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MUSICA, THE CONVENTIONALS PRESENTANO "CONVENTIONALS ALBUM". L'INTERVISTA

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Nella primavera del 1996 Charlie out Cazale e Alex Redsea registrano alcuni demo acustici che rimangono in un cassetto per 20 anni prima di essere ripresi ed arrangiati elettricamente nel 2017 e in seguito pubblicati nel 2020 in questo “Conventionals Album”.

Nella visione dei due musicisti il materiale ha un taglio “convenzionale”, da qui il nome del progetto, che si rifà ai canoni più classici del Rock che va dalle ballate acustiche del folk a potenti brani elettrici con influenze post punk miscelate al sound grunge degli anni 90, decennio nel quale furono registrati gli embrioni dei brani che compongono il disco.

Parlateci del nuovo album. Che impronta avete voluto dargli?

Nella primavera del 1996 io e Charlie abbiamo registrato alcuni demo acustici che sono rimasti in un cassetto per 20 anni prima di essere ripresi ed arrangiati elettricamente nel 2017. Abbiamo coinvolto Uber e Bat per la sezione ritmica e invitato anche Mark (tastierista dei Frigidaire Tango) per qualche intervento. Ne è uscito un classico disco Rock con un taglio anni ’90 che per noi tutti sono stati l’ultimo vero risorgimento del genere. Nelle composizioni emergono comunque influenze che vanno dal Folk al Punk.

Quali sono i vostri cantanti di riferimento?

Dopo l'infanzia dominata da Beatles e Stones ci siamo tutti formati musicalmente attraverso i grandi classici degli anni settanta, dal Progressive alla West Coast, dal Glam al Krautrock. Ale e Uber hanno in Jimi Hendrix il loro spirito guida, Io ho masticato per anni Bowie e Lou Reed mentre Bat era più influenzato dal Jazz Rock. Poi, ovviamente, i nostri contemporanei hanno avuto in ruolo determinante, parlo di Punk e New Wave in auge quando abbiamo iniziato a salire sui palchi.

Qual è l’esperienza lavorativa che più ti ha segnato fino ad ora?

Abbiamo tutti un lavoro che ci piace, diciamo che più che segnato la nostra esperienza lavorativa ci ha piacevolmente accompagnato.

Invece quella mai fatta e che vi piacerebbe fare?

La risposta è universale: I musicisti a tempo pieno !

Progetti futuri? un tour? 

I prossimi brani avranno meno identità e più libertà e saranno affidati all'ispirazione del momento, nulla di pianificato. Viviamo in luoghi distanti ma non è da escludere che arrivi il momento di portare il disco sul palco.


Stefano Belluzzi a Fattitaliani: ognuno dovrebbe coltivare il proprio talento. L'intervista canzonata

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Fattitaliani per L'intervista canzonata ha interpellato oggi Stefano Belluzzi, cantautore e jazzista emiliano di Correggio, che, accompagnato dalla chitarra di Giancarlo Bianchetti, propone una visione alternativa del suo modo di fare musica, un’esplorazione del suo inconscio attraverso sei personaggi protagonisti dei brani che compongono l'album “Ridi”. Per le domande abbiamo utilizzato titoli dell'ultimo ep e di dischi precedenti.
Di fronte a che tipo di situazione tu "Ridi" piacevolmente e al contrario "Ridi" per non piangere?

Devo dire che con il tempo sono diventato più esigente sotto molti aspetti e le situazioni che mi fanno davvero ridere si sono fatte via via più rare. Le risate da ventenne con gli amici hanno lasciato il posto a risate più rare ma altrettanto vere e se vuoi più nascoste (mi piace chiamarle risate interiori). Amo molto osservare le persone e i loro comportamenti nelle situazioni più svariate, tipo ai supermercati quando mi soffermo ad ascoltare e mi faccio delle belle risate (interiori) sapendo magari che loro fanno altrettanto nei miei confronti. Non mi è ancora capitato di ridere per non piangere di solito piango semplicemente.

Scrivere canzoni e dedicarsi alla musica aiuta a scoprire di sé "L'altra parte"?

Penso che una vita senza particolari passioni sia più povera. Ognuno di noi dovrebbe coltivare il talento che ha ed attraverso quello scoprire giorno dopo giorno nuove parti o altre parti di sé. Certo, nel mio caso, mentre faccio un concerto jazz, mentre suono le mie canzoni o mentre scrivo i miei testi, sono sempre in compagnia più o meno piacevole, di “altri Stefani”.

In questi anni di carriera ha sempre più compreso che cosa al mondo "Non è" musica, melodia, canto?

Penso che la “vera musica” non sia legata ad un genere musicale particolare, ma sia strettamente legata a chi la suona o la interpreta. Se il messaggio è autentico, sincero e non costruito a tavolino, allora è ok e la apprezzo, di qualsiasi genere essa appartenga.

Accade che il risultato di certe composizioni alla fine "Sono note inutili?"

Posso parlare delle mie note, per esempio. Certo che capita e quando capita straccio il foglio e ricomincio finché quello che scrivo non mi piace. Nella canzone del mio primo album “Sono note inutili” critico una formazione che ho sentito in un locale jazz, ma all'epoca avevo 33 anni ed è un’altra storia.

In questo periodo di forte ripresa dei contagi, è più che legittimo che ognuno pensi "Ho diritto al mio panico": non trova?

Certo! È un momento particolare e ho la sensazione quotidiana di non avere la situazione sotto controllo. Tanti, troppi momenti della giornata possono rappresentare un rischio di contagio. Fare benzina, andare al bancomat, etc etc . Inoltre, insegno musica alle scuole medie, i rischi ormai li conosciamo tutti.

Nel sogno della canzone omonima, il "Cowboy" ha un volto preciso? Chi potrebbe essere? da chi potrebbe essere interpretato?

Bella domanda! Il Cowboy di cui parlo ha il coraggio di staccare la spina dal superfluo, ha un senso di giustizia, sta bene con se stesso e cerca la pace esteriore ed interiore. Insomma, rappresenta un po’ quello che vorrei. Purtroppo per adesso è solo la rappresentazione di un sogno, ma c’è chi dice “guai a chi smette di sognare”.

Come muta l'ispirazione quando "Cambiano i momenti"?

Spesso, nella vita, improvvisamente, i momenti “cambiano”. Ci crolla il mondo addosso oppure tocchiamo il cielo dalla felicità. Questo non può non influire sulla nostra creatività. Quando ti crolla il mondo addosso la mia scrittura diventa “in down” ma quando riesco a vivere bene anche le piccole cose ed apprezzarle le cose cambiano, come per esempio ho scritto nel brano “Non è”. E non è sempre vero che “chi si accontenta gode... così così”, anzi! 

Grazie per questa bella chiacchierata! Giovanni Zambito.

Foto: Antonio Boschi AZ Press

BIOGRAFIA

Nato nel 1959 nelle montagne del Trentino ma con uno sviscerato amore per il mare, Stefano Belluzzi è un sensibile contrabbassista jazz, che vanta collaborazioni con moltissimi artisti italiani e stranieri. La sua vena creativa dalle mille sfaccettature lo porta a comporre musica per importanti spot pubblicitari per celebri brand, quali Parmacotto, Collant         Levante, Givenchy Profumi, creme solari Bilboa e molti altri ancora. Si dedica al cantautorato pubblicando due album con la casa editrice Wea, “Sono cose inutili?” (1994), che vede la produzione artistica di Luciano Ligabue e “Sono rosso di nascita” (1996). Nello stesso anno interpreta il brano “Ho capito che ti amo” di Luigi Tenco, che verrà incluso nella compilation “Quando”, sempre edita dalla Wea, che lo porta ad esibirsi prima al Premio Tenco e, successivamente, al Premio Recanati. Partecipa come musicista in diverse trasmissioni televisive tra cui Roxy Bar, Maurizio Costanzo Show e Segnali di Fumo e a diverse trasmissioni radiofoniche come Rai Radio 2 e verrà scelto per aprile ad Elvis Costello nello storico concerto al Foro Italico di Roma. La qualità delle composizioni di Stefano Belluzzi hanno catturato l'attenzione di Claudio Maioli, manager di Luciano Ligabue che – prendendolo sotto la sua ala – produce per la sua etichetta Riserva Rossa due nuove canzoni, “Che ora è?” e “Solo a matita”. Nel 2010, il successivo album “Voilà”, contiene il singolo “Ho diritto al mio panico”, sempre prodotta da Maioli. Nel 2020 pubblica il nuovo Ep “Ridi” per Busker, con la produzione artistica di Fabio Ferraboschi.

Maledetta Primavera di ELISA AMORUSO dal 12 novembre al cinema con Ramazzotti e Morelli

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(trailer) (clip1) (clip2) È il 1989. Nina ha undici anni e una famiglia incasinata, il padre e la madre litigano sempre, Lorenzo ‐ suo fratello minore ‐, quando si arrabbia, diventa un pericolo.   Dal centro di Roma si ritrova catapultata in un quartiere di periferia, fatto di palazzoni, ragazzi sui motorini e prati bruciati. Anche la scuola è diversa, non ci sono le maestre ma le suore, non ha neanche un amico. Ma un incontro improvviso stravolge tutto, come una tempesta: ha tredici anni, abita nel palazzo di fronte, è mulatta e balla la lambada. Il suo nome è Sirley, viene dalla Guyana francese, in Sud‐America, e ha un sogno ambizioso: interpretare la Madonna nella processione di quartiere. Sirley è una creatura strana, con un passato difficile, piena di fascino e di mistero. Non le importa delle regole, non ha paura di nessuno, e l’unico modo che ha per interagire con le persone è quello di aggredirle o di sedurle. Nina ne è attratta e spaventata, eppure Sirley fa qualcosa che nessuno finora ha fatto davvero: le dà attenzione e a modo suo, la fa sentire speciale. 


La coinvolge in un mondo nuovo, e rapidamente quest’amicizia così anomala la assorbe totalmente.   


Maledetta primavera è il racconto di come il desiderio plasma e trasforma l’infanzia in adolescenza. Una storia di crescita e di solitudini. Una storia d’amore vista con gli occhi di una bambina che cerca il suo posto nel mondo. 

L'evanescente, romanzo noir di Luca Guarino

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Renzo Penna, il protagonista di questo noir, è un ex poliziotto che, per sensi di colpa, ha deciso di impegnarsi nel campo dell'investigazione privata. Lavora a casi di poca importanza, finché un suo amico poliziotto non manda al suo studio una donna desiderosa di indagare sulla scomparsa della propria sorella gemella che in realtà, si scoprirà, è stata uccisa. Il killer è astuto, pulito, e sa il fatto suo. Non esistono tracce evidenti sul luogo del delitto. Renzo, aiutato dal suo amico Massimo e dall'ispettore Benedetto Diotallevi, finisce per brancolare nel buio e per fronteggiare le proprie ancestrali paure che riaffiorano con prepotenza. Sotto il cielo di una Torino invernale, si combatte quindi su due fronti.

Mantova, Gastone Biggi. Il tempo della natura, gli spazi della realtà dal 24 ottobre

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Sabato 24 ottobre 2020 a LaGalleria di Palazzo Ducale a Mantova apre al pubblico una ricca antologica dedicata a Gastone Biggi. Costruita intorno a un gruppo di cinquanta opere, partendo dai lavori della fine degli anni '50 fino a quelli degli anni 2000, la mostra si configura come una lunga cavalcata che si propone di raccontare il modo in cui l’arte di Biggi si è confrontata con lo spazio naturale e lo spazio mentale. La mostra dal titolo programmatico “Gastone Biggi. Il tempo della natura, gli spazi della realtà”, è a cura di Giovanni Granzotto e Leonardo Conti, in collaborazione con la Fondazione Biggi presieduta da Giorgio Kiaris, ed è organizzata da Il Cigno.

Dalle “Cancellate” del 1957 e dai “Racconti” e “Tempi” del triennio 1958-60, serie che rappresentano le prime anticipazioni di quello che sarà il rapporto di Biggi con la realtà naturale e con la dimensione, anche fisica, dello spazio, prende le mosse un percorso espositivo che si dispiega per affrontare il famoso ciclo dei “Continui”, quello che proiettò Biggi sulla scena pittorica italiana degli anni ‘60 proponendo una nuova visione dell’incontro fra spazio mentale e ritmi naturali. É a partire da questo momento che la sua pittura affronta in maniera sempre più vigorosa le tematiche del colore, in uno stretto confronto con le cromie che ci presenta la natura: nascono così i cicli dei “Variabili”, dei “Ritmi”, dei “Cieli” e dei “Campi”, per poi immergersi nelle atmosfericità ambientali dei cicli delle “Luci” e delle “Suite americane” della fine degli anni ottanta e della prima parte degli anni novanta. Con il passare del tempo il rapporto spazio-natura si fa sempre più percettivo, quasi a sfiorare una dimensione fisica e tattile, con i cicli delle “Costellazioni”, delle “Icone”, delle “Cosmocromie”, degli “Eventi metropolitani”, di “Ayron” e delle “Puntocromie” che introducono pienamente il visitatore negli anni 2000, sotto il segno di una pittura che cerca in maniera sempre più profonda di coniugare citazioni di arte programmata con l’esprit naturel. Che è conclusivamente rappresentato da il tema simbolico dei “fleurs” con cui Biggi chiude il suo lungo viaggio espressivo.

 Campi Campo del vento, 1986, Vinilici e pastello a cera su tela, 60 x 150 cm, Fondazione Gastone Biggi

Sede espositiva

LaGalleria, Palazzo Ducale

Piazza Sordello, 40 - 46100 Mantova

Inaugurazione

23 ottobre 2020 ore 18.00 - 20.00

Orari

Martedì – Domenica

dalle 8.45 alle 19.15 (ultimo ingresso 18.20)

Copertina: suite Americana Terza (New York) Manhattan Light, 1990, Vinilici e pastello a cera su tela, 100 x100 cm, Fondazione Gastone Biggi

Io sono un’emigrante, una calabrese ha realizzato il sogno americano: resta la nostalgia per le radici

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di Domenico Logozzo* - Racconti di oggi, ricordi di ieri. Il sogno americano e un giornale-comunità, che tiene saldamente legati gli emigranti italiani ai grandi valori delle radici. “Complimenti. Compro America Oggi perché mi piace leggere i fatti, gli avvenimenti della mia terra e di tutti gli italo-americani sparsi per il mondo”. Su Facebook l’amica Maria Ursino Barcia, emigrata nel 1972 dalla Calabria, così commenta un mio articolo su OGGI7, il magazine settimanale di America Oggi, unico quotidiano degli Stati Uniti in lingua italiana che si stampa a New York. Maria pubblica anche la foto della pagina del giornale dove ho scritto su Sara Scopece, giovane artista di talento di origini meridionali (papà foggiano, mamma calabrese). Dall’impegno sociale all’amore per la natura, Sara con i colori delle piante dipinge i muri delle città. Dipinge e si fa dipingere “il corpo come una tela”, titola OGGI7. “Bello l’articolo che hai scritto”, aggiunge Maria. Un bell'esempio di attaccamento alle radici. Maria ricorda che anche papà Luigi ha letto dal 1973 il quotidiano in lingua italiana, prima il “Progresso” e poi America Oggi “fino all’ultimo giorno che ci ha lasciati, nel 1994. Era uno assiduo lettore”.

Mi scrive, a proposito dell’articolo su Sara Scopece: “Il piacere di leggere cose positive dei nostri connazionali”. Ma so che anche Maria è una positività della migliore Calabria, che onora la terra natia Oltreoceano. Con umiltà. E le chiedo di raccontarci la sua storia di emigrante che ce l’ha fatta, di ragazza partita da Gioiosa Jonica con una valigia piena di sogni e di speranze e di belle intenzioni. “La mia vita da emigrante comincia il 14 di luglio del 1972, quando lasciammo il nostro bel paesello con la mia famiglia per il grande Sogno Americano”. Dal sogno alla realtà. “Si parte con entusiasmo, per una vita migliore, ma per noi emigranti non è facile inserirsi. Una nuova cultura, ma un problema grande è stata la non conoscenza della lingua. C’è voluto del tempo. E mi mancava il mio paese, tutto quello che da teenager mi sembrava banale, mi mancava da morire!”

Difficile integrazione, nostalgia. Però emerge subito in Maria la forte volontà di superare tutti gli ostacoli, da calabrese che non si arrende mai. “Mi sono rimboccata le maniche e con tanti ma tanti sacrifici, tra lavoro e scuola, sono riuscita a inserirmi in una società di investimenti Shearson Lehman Brothers con cui sono stata per 18 anni. Dopo il 2001, quando Wall Street è andata a rotoli, ho avuto l‘opportunità di impiegarmi nel comune di New York”. Dal paesello calabrese alla grande metropoli. Quando i sogni diventano bella realtà. “Sono attualmente impiegata nella città di New York, specializzata nelle traduzioni in italiano per il sindaco di New York”. Il precedente sindaco, Michael Bloomberg, che aveva un buon legame con l’Italia, ogni volta che rappresentanti italiani venivano in visita da lui, io era stata scelta per tradurre in italiano i suoi discorsi. Ogni anno eravamo invitati a cena dal sindaco per essere ringraziati”.

Grandi emozioni e soddisfazioni, ripensando con orgoglio alle origini. “Vengo da una famiglia umile: la nonna e il nonno contadini, papà andava ogni anno a lavorare dalla Calabria al Nord per 6 mesi. Poi ritornava, coltivava la sua terra e quindi ripartiva”. Partenze, ritorni e ripartenze. Ragazza brillante e lungimirante. Guardava oltre. “I miei sogni da ragazza erano quelli di evadere dal quel paese che secondo me non aveva niente da offrirmi. Tra gli anni Sessanta e Settanta non erano tempi facili. Da bambini si giocava sulla piazza del monumento con gli amici. La vita era semplice: scuola, la domenica a messa, la passeggiata in piazza, qualche scampagnata, d’estate al mare. Ma queste cose non le apprezzi quando ce l’hai”. 

Maria intanto sognava e disegnava il suo futuro. “Io avevo sempre sognato qualcosa di più di tutto quello che avevo allora in Calabria”. E la speranza diviene certezza. “Nel 1972 arriva da mio zio l’atto di richiamo per andare in America. Non ti dico lo gioia, finalmente il mio sogno si avverava. Si partiva, andavamo nella Grande Mela. Ero invidiata dai miei amici perché sognavano tutti quella grande metropoli. I sogni sono belli ma la realtà è un’altra”. Ribadisce: “Sono stati anni difficili, perché dovevo lavorare di giorno e andare a scuola la sera per cercare di imparare la lingua. Ma ora è diverso, l’inglese più o meno si conosce. Io non conoscevo la lingua e poi avevo solo la terza media”. Ragazza di Calabria, forte e decisa. Non si è mai arresa. “Mi sono inserita nel modo migliore nel mondo del lavoro”. Orgogliosa dei risultati finora ottenuti. “Il mio sogno si è avverato, con alti a bassi, ho avuto belle soddisfazione nella vita. Mamma e papà sono stati orgogliosi dei loro 3 figli: io, Piera e Paolo. Hanno avuto grandi soddisfazioni da noi.” 

Una vita da emigrante che ce l’ha fatta. Mariaun’eterna sognatrice, idealista, tra un problema ed una certezza. “Sogno sempre quella piazzetta e quelle cose che io chiamavo “banali” le rifarei mille volte. Domenico, Gioiosa sarà sempre nel mio cuore. Ma ho un problema”. Quale? “Io mi sento al cento percento italiana, però ogni volta che ritorno in Italia non mi sento italiana. Qui a New York non mi considero un’americana, perché le mie radici sono italiane. La mia conclusione: IO SONO UN’EMIGRANTE”. Riflessione e certezza. La sensibilità e il grande cuore, i sentimenti delle belle donne del Sud. 

Anche il marito Frankè un figlio del Sud. “Emigrato dalla Sicilia con la famiglia quando aveva 13 anni, esattamente da Mezzojuso, in provincia di Palermo. Un un paese molto caratteristico. Comunità con due religioni: cattolici e greco-ortodossi. Nella piazza principale ci sono le due chiese, una accanto all’altra. Nel convento di Santa Maria si trova la più antica libreria di manoscritti. Io sono stata fortunata a visitarla privatamente, con un religioso ortodosso che mi ha dato interessanti spiegazioni”. 

Le chiedo qualche foto degli anni giovanili in Calabria: “Non ne ho troppe. Sai quando si parte per questi viaggi Oltreoceano molte cose sentimentali purtroppo dobbiamo lasciarle perché ci sono altre cose importanti da mettere nella valigia”. E mi manda con orgoglio le foto di mamma Anna e di papà Luigi Ursino: la prima da fidanzati e l’altra dopo 40 anni di matrimonio. Mi fa notare: “C’è la stessa luce nei loro occhi. Vorrei che tutti gli innamorati oggi avessero quella luce nei loro occhi”. Emozioni e foto del cuore: ecco quella di quando faceva le elementari ed ecco quest’altra con la sorella Piera e il fratello Paolo, nel 1972. E l’ultima, fatta a Gioiosa prima di partire per gli Stati Uniti. Donna umile, così come i suoi splendidi genitori Anna e Luigi, una vita per il lavoro. Maria mi scrive: “Questa è la storia della mia vita, semplice storia Domenico, non molto importante. Se ti va di pubblicarla va bene, se poi la trovi inutile va bene lo stesso”. Grazie Maria, “IO SONO UN’EMIGRANTE” è una preziosa testimonianza d’amore per le belle radici.

*già Caporedattore centrale TGR Rai

 

IL FESTIVAL DELLA MODA FA TAPPA A VELLETRI IL 24 OTTOBRE

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Appuntamento il 24 ottobre alle ore 18.00 nei saloni di Villa Bernabei per l'evento organizzato da Sabina Prati e Stefano Raucci: moda ed eleganza di nuovo protagoniste

Si svolgerà sabato 24 ottobre a partire dalle ore 18,00 nella prestigiosa location di Palazzo Bernabei a Velletri una nuova tappa del Festival della Moda, format dedicato alla bellezza e alle nuove tendenze della moda nazionale e internazionale. L'evento torna nonostante la piena emergenza sanitaria e lo fa rispettando tutti i protocolli anti-covid, per dare un segnale di ripartenza significativo. Ad organizzare il Festival della Moda, che nella tappa di sabato avrà il patrocinio del comune di Velletri, sono Sabina Prati, titolare dell'agenzia Sabina Prati Eventi Moda e presente da anni nelle più prestigiose passerelle di Alta Roma con le sue modelle, e Stefano Raucci, voce e volto di RadioRadio, direttore artistico e conduttore da anni di format e programmi televisivi sui canali Sky. 

Abbinato al Festival della Moda ci sarà il contest di bellezza "Miss Moda & Talento", che vedrà le ragazze partecipanti sottoporsi al giudizio di una attenta e qualificata giurìa con in testa addetti ai lavori e rappresentanze delle istituzioni locali.

A sfilare in passerella saranno nomi noti ed emergenti della moda italiana e internazionale come l'originale e glamour Sladana Krstic (vincitrice del contest di "Detto Fatto" su RaiUno e già vincitrice del premio Original Fashion assegnatole proprio al Festival della Moda) e l'innovativa Stefania Ceccarani con la sua linea Goupille, un'esplosione di stle ed eleganza sempre al passo con i tempiA presentare l'evento con il consueto garbo e con ritmo sarà Stefano Raucci.

A curare il look delle modelle saranno gli hair stylists di Callori Hair Style. A fare da degna cornice, la mostra della modella e artista Valentina Roma che esporrà alcuni suoi dipinti di pregevole fattura. 

"Ringraziamo l'assessore Alessandro Priori e l'amministrazione comunale di Velletri per averci concesso il patrocinio e aver dato l'ok alla manifestazione, che avevamo preparato lavorandoci per diverse settimane, con largo anticipo. L'evento si svolgerà praticamente a porte chiuse, con ingresso garantito solo per gli addetti ai lavori e nel rispetto di tutti i protocolli di salute anti-covid. Chi vorrà seguire lo spettacolo potrà farlo comunque in diretta facebook, sulla pagina ufficiale del Festival della Moda. Un grazie speciale va a tutti gli sponsor che hanno creduto in noi, sostenendo la nostra voglia di non fermarci e di lavorare, sempre nel rispetto delle normative anti-Covid".  

Eccoli, gli sponsor: Shopping On Line AKKASATUA.IT , Paneria ,Pulicati Auto, Pulicati Moto , Top Supermercati, il caffettaio Matto, Fazi  frutta esotica, GioiaArreda ,Up bistrot ,Reslgym palestra , Farmacia Cesaroni ,Prati Multiservice ,Piemme Carrozzeria e Nolo , il Bottegone ,Giada Impianti , Danilo Sciotti lavorazione in Ferro , Pensieri e Preziosi, Lp immobiliare, System Hygiene, SITISSIMI.

L'appuntamento è dunque per sabato 24 gennaio alle 18,00 nei saloni di villa Bonelli a Velletri per uno show nel quale moda, arte e talento si fonderanno perfettamente. 

Nelle foto, la locandina della serata e gli organizzatori Sabina Prati e Stefano Raucci

Diego Riace, talento ‘made in Italy’ nel cast della serie Netflix “Barbarians”

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Momento d’oro per Diego Riace: l’attore romano è tra i protagonisti di “Barbarians”, una delle serie più attese dal pubblico, disponibile da oggi, venerdì 23 ottobre, su Netflix, il colosso dello streaming a livello internazionale.

La prima stagione ruota attorno alla battaglia della foresta di Teutoburgo, una delle più grandi disfatte subite dall’esercito romano, avvenuta nell’anno 9 d.C.: le legioni di Publio Quintilio Varo furono annientate da una coalizione di tribù germaniche. In “Barbarians”, serie storica diretta dal regista di “Vikings” Steve Saint Leger, con Barbara Eder, Riace interpreta Quintus, il vice del governatore romano Varo: un ruolo di prestigio per Diego Riace che nella sua carriera si è sempre diviso tra film e serie tv, risultando sempre camaleontico e moderno.

Poter partecipare a questo progetto significa tanto per me, un ruolo come quello di Quintus l’ho cercato tutta la vita” commenta Riace, che aggiunge: “Una scuola incredibile per me perché ho potuto condividere il set con dei grandi professionisti, anche a livello umano. Sarò per sempre grato a Netflix che ha voluto credere in me”.

Gli impegni professionali di Diego Riace, però, non finiscono qui: il 26, 27 e 28 ottobre sarà nelle sale con “La Belva”, film d’azione diretto da Ludovico Di Martino con Fabrizio Gifuni.


SPAZIO ART D’OR: Arte, moda, gioielli e cultura a Bari

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Via Melo 188, una strada centralissima di Bari, piena di vita, di rumori, di suoni si è fermata davanti al vernissage culturale della Spazio Art d’Or, tra arte e fashion, raffinate edizioni, ceramiche design, gioielli, incisioni su vetro, dove la cura del dettaglio è il fil rouge che accompagna tutto l’arredo ed è facile perdersi in un mondo di bellezza, un mondo all’insegna del total made in Italy.

Lo spazio è stato pensato dalla stilista designer Marina Corazziari come un luogo di aggregazione, di condivisione e di incontro tra moda, arte e cultura, dove sarà possibile coniugare tradizione ed innovazione, storia e contemporaneità, come spiega l’ideatrice. Le creazioni e le linee di Marina Corazziari, nota designer di gioielli, sono state presentate congiuntamente a eventi d’arte come la personale di Guido Corazziari che ha inaugurato la sezione Arte e linee sartoriali di alto livello con le collaborazioni quali Arianna Laterza, Peppe Volturale, Pietro Paradiso, Massimo Crivelli, Nicola Introna, la principessa Fabrizia Dentice di Frasso, Napoli Couture by GianPiero Cozza, Mariella Tissone, Aribea by Adele Guacci, AD by Antonella Delfini, Giuseppe Fasano.

Marina Corazziari ha sempre portato con sé in giro per il mondo l’amore per Bari e il suo mare, un amore che ha trasferito nelle sue creazioni, i suoi gioielli fatati, avvolti di magia  e mistero ed è proprio con il desiderio di unire la sua città e il suo mare alla gente, sia di Bari che in tutta Italia e all’estero, che è nata l’idea dello showroom culturale permanente in Via Melo – aggregazione, condivisione e incontro – come è il ruolo del suo mare.

In una scenografia fatta di arte e glamour, di rinascimento e grande creatività di tutto quello che è “fatto a mano” si possono ammirare le collezioni piene di colori dei designer che profumano di festa, in definitiva il contesto ideato da Marina Corazziari dove si intravede un confine molto labile ma che fa capire come l’arte e la moda compongono un progetto visivo contemporaneo, anche per il fatto che “arte artigiana” vuole dire principalmente “pezzo unico”. 

Nel grande spazio, arredato con colori tenui, le grandi vetrate sulla strada che mostrano flash di colori degli acrilici di Guido Corazziari alle pareti,  la moda, i profumi, gli abiti, gli accessori, le grandi firme sono gli attori principali di uno spettacolo unico dove, per l’inaugurazione ufficiale, quattro modelle vestite dalla mano fatata di Arianna Laterza sono state protagoniste di una specie di tableau vivant, le giacche paramilitari di Nicola Introna, i caftani con fantasie rinascimentali di Pietro Paradiso, e poi lo show room luminoso e solare punteggiato dal bianco delle ceramiche di Giuseppe Fasano spezzato dai colori dei gioielli di Marina Corazziari, in una bacheca preziosa i vetri delicatissimi come farfalle, incisi a mano, di Fabrizia Dentice di Frasso, sui manichini i capispalla per una lezione di stile degli abiti di Napoli Couture by GianPieroCozza, i gioielli di Antonella Delfini, i foulard d’arte ricavati dai dipinti di Mariella Tissone, sui tavoli le bag e i foulard di Aribea by Adele Guacci, il tutto incorniciato dalle preziose bollicine della Cantina Borrega, Wine Sponsor ufficiale della manifestazione, che ha deliziato gli ospiti della galleria con un’etichetta scintillante, proposta in esclusiva e ultimo, ma non ultimo per importanza, la Banca Generali, che sarà partner di eventi .

Con un calendario coinvolgente e variegato che conterà eventi e mostre d’arte, collezioni, presentazioni di libri, formazione, laboratori di arte orafa nel centro della città, il Progetto si pone l’obiettivo di fare avvicinare, dialogando fra loro,  tutti gli amanti della cultura, del bello e del fatto a mano, non limitandosi quindi agli esperti del settore. 

Grazie a Eleganza del Gusto Partner dell’iniziativa.

Crediti Foto di Lidia Piccaglia

Spazio ART d’OR  - Via Melo da Bari,188- 70121 Bari

Per info: spazioartdor@icloud.com - mcorazziari@libero.it  cell 347 8446967

Press: Cristina Vannuzzi Landini

 

La psicologa Elisa Caponetti: le coppie di Temptation Island fanno un viaggio dentro i propri sentimenti

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Lei in qualità di psicoterapeuta segue anche la terapia di coppia. Chi si rivolge a lei?
La terapia di coppia serve ad apportare un cambiamento in una relazione che è diventata non più appagante e funzionale. Può capitare che si rivolgono a me sia coppie che chiedono un aiuto per poter superare i momenti critici che incontrano nel loro percorso e che vogliono quindi ritrovarsi, sia coppie che da sole non riescono a lasciarsi e pertanto necessitano di un professionista che li accompagni in questo doloroso e traumatico momento. C’è poi chi chiede aiuto perché vive un rapporto altamente conflittuale e vuole tutelare i figli laddove presenti. Nella maggior parte dei casi, le persone ne traggono beneficio. Quando fallisce è perché il conflitto genera comunque un legame, seppur patologico. A volte alcune persone preferiscono mantenere un contatto con l’altro, anche se disfunzionale, piuttosto che risolverlo e confrontarsi con il vuoto e con l’assenza dell’altro. 

Cosa ne pensa del fortunato e seguitissimo format televisivo Temptation Island?

Il grande successo di Temptation Island sta proprio nel riuscire a rappresentare i problemi che molte coppie spesso prima o poi si trovano a dover affrontare. Sono storie comuni in cui molte coppie possono rispecchiarcisi. L’amore poi, nelle sue tante sfaccettature appassiona sempre tanto ed ha un grande impatto sulle persone.  

Secondo lei che tipologia di coppie entra in questo reality?

Le coppie che partecipano a questo reality in comune hanno il fatto che stanno tutte vivendo un punto nodale del proprio rapporto, che da soli, per mille differenti motivi, non vogliono o non riescono ad affrontare. Catapultati in una diversa realtà, tolti dalla routine e dagli impegni quotidiani, si è obbligati a fare un viaggio dentro i propri sentimenti e giorno dopo giorno diviene più difficile non raccontare a se stessi e all’altro, cosa si prova e si vuole veramente e così smettono di raccontarsi bugie o nascondersi dietro una inappagante quotidianità.  

Si arriva alla fine a risolvere  veramente  il problema dopo un'esperienza del genere, dove la tentazione è veramente dietro l'angolo?   

Nel momento in cui si decide di voler partecipare ad un programma di questo tipo, si vuole dare uno scossone alla propria vita (in una direzione o in un’altra). Il punto non è però tanto e solo la tentazione. Oggigiorno, ognuno di noi può essere sottoposto a tentazioni continue. A meno che non si è di fronte ad un “traditore seriale” chi si lascia tentare, sta segnalando un sintomo di un proprio malessere ed una propria insoddisfazione. Se il legame è solido resiste oltre le seduzioni. Partecipare ad un reality così, rappresenta però soltanto un primo passo. Attenzioni alle facili soluzioni! Può però rappresentare una leva importante per iniziare ad intraprendere una reale trasformazione trovando anche la forza di rivolgersi ad un professionista per riuscire a realizzare un cambiamento vero e duraturo e non soltanto momentaneo scatenato da una reazione istintiva data dal momento. Temptation può essere un’esperienza molto forte che costringe a vedere la realtà per come è veramente anche se per lungo tempo, pur conoscendola si è finto di non volerla cogliere. Spesso però se ne esce devastati. Bisogna inoltre considerare che la verità viene sbattuta violentemente in faccia di fronte a milioni di telespettatori, a se stessi, ai propri familiari e ai propri amici. Rivolgersi ad un professionista, aiuta ad acquisire una reale consapevolezza delle proprie emozioni e dei propri vissuti e ad attivare il vero cambiamento non dettato soltanto da un impulso generato da quanto vissuto nei giorni del reality.

Che dinamiche scatena il tradimento all'interno della coppia?  

Il tradimento è un sintomo di un malessere di coppia e nasce sempre da un rapporto diventato insoddisfacente, nel quale si avvertono delle mancanze. In tale contesto, si può insinuare facilmente, l’altro. Se la coppia è solida non c’è spazio per guardarsi all’esterno. Spesso, quando avviene, possono esserci  responsabilità, seppur di livello diverse, in entrambi i partner. Può segnare la fine di una relazione ormai insoddisfacente o può rappresentare, invece, un modo per prendere atto di criticità presenti all’interno della coppia ed attivare una reciproca volontà nel risolvere i propri problemi, scegliendo di volersi ritrovare. Per evitare tutto ciò, bisogna tutelare la propria relazione investendo quotidianamente nel rapporto, senza mai dare niente per scontato. È necessario inoltre sapersi mettere in discussione, ma anche fidarsi e allo stesso tempo affidarsi all’altro. Ovvio che in tutto ciò deve esserci reciprocità.

Giovanni De Rosa, scrittore avido di vita: La scrittura è il mio momento di massima creatività. L'intervista

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di Laura Gorini - È indubbiamente molte cresciuto nell'ultimo periodo a livello di scrittura Giovanni De Rosa. Dopo gli ottimi romanzi d'esordio, molto differenti fra di loro quali Ecco Perché Frequento Le Vostre Donne/Diario di un personal trainere Cancellati, quest'anno, a distanza di pochi mesi, ha dato alle stampe per Nulla Die Edizioni, altre due opere: stiamo parlando di Questa È La Vita Che Voglioe Onice Nera. Opere che gli consentono - a buona ragione - di essere definito un'ottima penna del thriller nostrano. L'intervista.

Giovanni, possiamo dire che quest'anno è stato molto proficuo per te a livello di scrittura... Ma com'è cambiato nel corso del tempo il tuo rapporto con essa?

La scrittura è il mio momento di massima creatività. L'attimo in cui mi sento nel flusso, nella flow experience, lontano da tutto ciò che mi circonda ed immedesimato totalmente nella vita e nei personaggi protagonisti dei miei racconti. Il tempo vola, e non c'è niente capace di farmi uscire dall'ipnosi creata dalle storie che emergono dalla mia fantasia. È magia, estasi, perché tutto scorre con naturalezza prendendo energia e linfa da un mondo interiore, che a tratti, per la sua imprevedibilità, riesce a sorprendere anche me.

Dico sempre che ho avidità di vita, il desiderio di poter vivere più esistenze, e la scrittura me lo permette.

Il periodo del lockdown è stato vissuto con grande intensità: esternamente sembravo immobile, perché il corpo doveva rimanere imprigionato nell'appartamento in cui vivo, ma davanti al computer, senza avere impegni pratici né obblighi lavorativi, la mia anima ha potuto viaggiare lontano in mondi meravigliosi e sconosciuti come non mai.

Indubbiamente sei molto cresciuto come scrittore nell'ultimo periodo, credi che la lettura di alcuni testi ti abbia in qualche maniera aiutato a maturare in tale direzione?

Devo essere sincero. Se c'è stata una maturazione, e me lo auguro, non è dovuta alla lettura di alcuni testi, ma solo alla crescita personale. Alle esperienze, alle tante riflessioni, soprattutto maturate in questi ultimi difficili anni, ed alla nuova consapevolezza che forse ho acquisito confrontandomi con le persone a me più vicine che mi vogliono bene.

Si dice che un bravo scrittore - e tu certamente lo sei - sia in primis un bravo lettore. Tu che lettore sei stato in passato e che lettore sei ora?

Nel passato sono stato un grande lettore. Ma come gesto di ennesima, estrema sincerità devo ammettere che ultimamente leggo molto poco.

Per scelta.

Sono molto attento nel riconoscere le doti degli artisti con cui vengo a contatto. Ma per mantenere intatta la mia creatività, che voglio che rispecchi un carattere di unicità ed originalità, cerco di allontanarmi da input che possano condizionarmi inconsciamente.

Creo un'idea di “sconnessione”, allontanandomi e prendendo le distanze dalle espressioni artistiche dei miei colleghi, non per presunzione, ma perché la scintilla della mia anima artistica possa trovare realizzazione senza alcun modello da emulare.

Come si può - secondo te - quando si scrive non cadere nella tentazione di emulare a livello testuale di stile i propri scrittori preferiti?

Ognuno di noi è unico ed ha dentro di sé un dono meraviglioso da condividere con gli altri.

Non c'è niente da invidiare anche a chi è stato nostro mentore, e merita la nostra stima ed ammirazione. Se cadiamo nella tentazione di emulare chi tanto ci ha saputo emozionare, rischiamo solo di essere la sua brutta copia.

Perciò aggiungo: “Scava nell'anima. Dalle respiro. Lasciala volare lassù in alto. Libera!”

A proposito di stile, con quali parole descriveresti il tuo stile “odierno”?

Moderno, contemporaneo perché ricco di immagini, e di una successione di azioni incalzanti.

Innovativo perché le storie non vengono narrate da una voce fuori campo, ma dai pensieri degli stessi personaggi.

Sincero e trasgressivo perché ogni protagonista si espone con la massima schiettezza e limpidezza, senza ipocrisie, maschere e finto perbenismo.

Sii sincero: hai mai riletto i tuoi primi due romanzi, ovvero Ecco perché frequento le vostre donne, Diario di un personal trainer... e Cancellati? Oggi credi che li scriveresti nello stesso modo o che cambieresti qualcosa livello stilistico e/o a livello di trama?

Ecco perché frequento le vostre donne/ Diario di un personal trainer ha sicuramente generato tanto scalpore e qualchecritica.Purtroppo è stato interpretato come autobiografico, essendo io un istruttore di fitness, e visto il tema trattato, un uomo tradito che per partito preso decide di andare con le donne degli altri, spesso è stato duramente criticato. C'è sempre il rischio che il lettore confonda i personaggi descritti con lo scrittore. Ma non ho rimorsi.

Lo scriverei, come scriverei tutti quelli che ho pubblicato.

Anche se credo di aver affinato lo stile col tempo, e le trame negli ultimi lavori sono diventate più accattivanti, non rinnego nulla del passato.

Che farei allo stesso identico modo.

Senza cambiare nulla.

Ogni attimo di vita, e le azioni che lo contraddistinguono, ha il suo perché e le sue ragioni per quello che siamo in quel momento a causa delle esperienze, delle relazioni che abbiamo, degli stati d'animo, e delle emozioni che ci scalpitano dentro.

Ieri” ero in quel modo, e malgrado ora sono “diverso, forse migliore” abbraccio con accettazione ed amorevolezza ogni sfumatura del mio passato.


Certamente, al di là dello stile, anche le storie dei personaggi presenti nei tuoi due nuovi bei romanzi, quali
Questa È La Vita Che Voglio eOnice Nera,sono tutti molto importanti e pertanto possiamo anche dire che si tratta di romanzi corali. A che cosa è stata dovuta questa scelta?

Il mondo contemporaneo è un mondo di immagini. Dove regna la seduzione del Cinema e della Televisione. Capace di dare, con la “magia dei film”, ritmo in un susseguirsi vorticoso di colpi di scena.

La coralità che ho cercato di creare nelle mie ultime storie risponde a quest'esigenza, perché ne sono io stesso affascinato.

Tutti i personaggi acquistano importanza e scandiscono la successione degli eventi, in maniera così incalzante e personale da lasciare il lettore incollato alle pagine del libro, sedotto dalle azioni e pensieri che contrastano nella loro mente, con il solo desiderio di vedere come andrà a finire la storia e conoscere quale sarà l'epilogo di quel turbolento intreccio di emozioni.

Indubbiamente i personaggi femminili hanno grandissima importanza in queste due opere e, sebbene all'inizio ci appaiano fragili, poi si rivelano ben altro: hai voluto dunque omaggiare così la reale forza dell'animo femminile?

La dimensione femminile è meravigliosa, capace di affascinare e sorprendere noi uomini.

Molto più forte di quanto si pensi.

Anche perché la donna non necessita di proclami per dimostrare quanto vale, o quanto di sé mette in gioco in ogni situazione.

Era per me importante dare un giusto tributo a tutte quelle donneche appaiono poco, quelle che sostano sempre dietro le quinte, disposte spesso al sacrificio per permettere la realizzazione dei loro partner, o dei figli. Quelle che combattono giornalmente per farsi riconoscere ed apprezzare, per dare spazio ai propri sogni, per cercare di assecondare qualche bisogno senza però pretendere nulla da chi è vicino, per difendere con dignità i propri diritti.

Quelle donne che hanno bisogno semplicemente di una carezza, un sorriso, di sentirsi ascoltate, comprese e ricevere, anche solo per un attimo, una piccola parte del grande amore che donano incondizionatamente.


E infine, un augurio che vorresti rivolgere a queste figure nate dalla tua fervida penna e a te stesso, non solo in veste di scrittore, ma anche e soprattutto di uomo in toto.

Auguro ai miei personaggi di trovare un senso, un significato alla loro esistenza, ed auguro a me stesso che questi miei lavori sappiano dare spunti di riflessione e soprattutto emozionare nel cuore e nell'anima il lettore.

Abbiamo così bisogno tutti quanti di sognare!

AMLETO CATALDI NELLA CASA PIÙ SFARZOSA D’AMERICA

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È incredibile quante sorprese  dalla figura di Amleto Cataldi, lo scultore di Roma, personaggio di primario significato  nell’arte europea del primo Novecento: eppure trattato con sufficienza, quando non letteralmente  vilipeso, come si legge nel Dizionario Treccani, il primo sito  che si incontra  in  google: scheda zeppa di errori, di gigantesche omissioni, di strafalcioni imperdonabili, di giudizi fuori della realtà... un veleno per l’artista. In verità è il solo strumento attendibile a disposizione di tutti coloro in cerca di informazioni sull’artista.

È storia che nel 1920 il re Vitt.Em.III e le massime gerarchie politiche e industriali lombarde fossero convenute a Crespi D’Adda  in provincia di Bergamo, per inaugurare il monumento dedicato ai 64 operai caduti in guerra. Il monumento fu realizzato da Amleto Cataldi dietro commissione degli industriali Crespi, Cristoforo Benigno Crespi e il figlio Silvio Benigno,opera talmente classica e scevra da ogni amplificazione retorica da poter essere considerata contraltare del ‘Quarto Stato’ di Pellizza da Volpedo, l’opera pittorica assurta a simbolo delle lotte operaie. Cataldi realizzò anche i busti dei  membri della famiglia Crespi, industriali rinomati, proprietari  tra l’altro  del ‘Corriere della Sera’.  Un membro della famiglia, Pio Crespi, ebbe occasione di conoscere e anche di apprezzare l’artista e in quel medesimo anno, 1920, forse consigliato da Cataldi stesso, acquistò la Danzatricefamosa esposta alla Biennale di Venezia. Pio Crespi il medesimo anno  fu inviato dalla famiglia  in America a rappresentare gli affari aziendali  e così avvenne:  si stabilì nel Texas, a Dallas e portò avanti con successo l’attività intrapresa. E in questo momento si innesta una storia di colore che mi piace raccontare  perché assolutamente sconosciuta.

Pochi anni dopo il suo arrivo nel Texas, Pio Crespi, acquistato un lotto di dieci ettari in una zona prestigiosa della città, con l’intervento di un noto  architetto si fece costruire la propria abitazione: una volta terminata, con le dipendenze, un parco all’italiana, i servizi e tutto quanto si può immaginare di meglio e di esclusivo in siffatti contesti, la scultura del Cataldi fu collocata nel parco e qui,  esposta all’aperto: la Danzatrice acquisì la delicata patina di acqua che ancora oggi la connota in certe parti.

A seguito degli incontri sociali ed eventi che vi avvenivano e altresì delle voci e commenti che seguirono nel corso degli anni, ad un certo momento la villa Crespi di Dallas  assurse a simbolo  della casa più bella e prestigiosa degli Stati Uniti! Incredibile! E quindi anche la Danzatrice visse, di riflesso, lo splendore e il successo della famiglia Crespi.

Epperò ad un certo punto, come sempre succede, tutto finisce, quando non ci sono discendenti o quando questi hanno altri interessi e motivazioni. Per cui i quadri furono venduti in Italia, le sculture che arricchivano il parco affidate alla casa d’aste Christie di New York,  la villa, “la casa più bella d’America” affidata in vendita ad una agenzia immobiliare. E pochi anni fa effettivamente  è stata venduta al prezzo incredibile di 135 milioni di dollari: successivamente i dieci ettari originari in gran parte parcellizzati, dato l’alto valore  acquisito dai terreni:  basti ricordare che George Bush, l’ex presidente americano, abita nei paraggi.

La Danzatrice, passata in asta a New York, tornò in Italia in collezione privata: fu messa a disposizione dell’Amministrazione Provinciale di FR il cui assessore alla cultura dell’epoca ne apprezzò il significato e organizzò con impegno e buon gusto una esposizione  per diversi mesi che riscontrò successo e gratificazione da parte del pubblico.  

                                                                                               Michele Santulli

Intervista a Cristian Martinelli, un talentuoso scrittore e un inguaribile romantico

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di Laura Gorini - Sono assolutamente certo che le emozioni possono condizionare la vita di ognuno, sta a noi scegliere come e dove veicolarle

È uno scrittore certamente talentuoso Cristian Martinelli, oltre che assai abile, a esplorare l'animo umano in tutte le sue innumerevoli, e talora persino audaci, sfaccettature. CASO4,il suo primo romanzo, uno splendido thriller, lo ha fatto conoscere al grande pubblico, ma ora è Tiam, la sua seconda opera, fresca fresca di stampa, definibile a buona ragione come un romanzo d'amore assolutamente atipico, a far felici i suoi lettori, sempre più numerosi.

Cristian, disegnatore tecnico di professione e scrittore per passione. Il tuo lavoro richiede precisione, e anche la scrittura – a tuo avviso – ne necessita?

Nel mio lavoro, come giustamente affermi, è necessaria la precisione perché il prodotto finito dipende da quello che disegno. Ogni imperfezione, quindi, si riflette su di esso. A mio avviso, nella scrittura, posto che la precisione va ricercata nella grammatica del testo, credo siano le sfumature che fuggono da uno schema ben delineato a fare la differenza. Sono convinto che nell’arte in generale si debba cavalcare quella sana follia che contraddistingue ognuno di noi.

Indubbiamente i tuoi testi, molto differenti tra di loro, sono ben scritti e studiati. Quanto lavoro c'è dietro la loro stesura? Scrivi di getto oppure sei più “meditativo”?

Per raggiungere un obiettivo che ci si pone, qualunque esso sia, sono necessari impegno e costanza. Se spinti dalla passione, questo “lavoro” si trasforma in una piacevole esperienza. Nella stesura dei miei romanzi esiste una fase impulsiva dove scrivo quello che mente e cuore mi comunicano, senza filtri e troppi ragionamenti. La storia di un romanzo, poi, deve risultare credibile agli occhi del lettore: qui entra in gioco la fase riflessiva dove cerco di capire cosa valorizzare di più o di meno, senza mai stravolgere, però, quello che ho scritto.

Molti scrittori mi hanno rivelato che, prima di inviare le bozze agli editori, le fanno leggere a persone di fiducia. Sii sincero: è un'abitudine che hai anche tu?

Sì, lo ammetto, sono colpevole! Quando finisci la bozza di un romanzo e la devi inviare alle varie case editrici, ti assale l’incertezza; il timore di metterti a nudo ti consiglia di cercare un porto sicuro, famigliare, dove poterti confrontare. Pur sapendo che di per sé non è costruttivo – per quanto possano essere sinceri, amici e parenti non potranno mai essere spietati come una CE – ritieni questo passaggio uno step fondamentale per far proseguire il viaggio alla tua opera.

Beh, certamente per rimanere in argomento “abitudine” non si può dire che i personaggi di entrambi i tuoi romanzi, ovvero CaSO4e Tiam, siano degli abitudinari, anzi! Possiedono vite piuttosto movimentate e complesse, ma soprattutto sono grandi protagonisti di storie d'amore. Perché hai deciso di dare così tanta importanza ai sentimenti anche nel primo che - in realtà - è un thriller?

Perché sono un inguaribile romantico! A parte questo, il mio intento è cercare di scrivere storie che possano slegarsi dal genere a cui appartengono. CaSO4, pur avendo tutti i crismi del thriller, ha una forte base sentimentale che lega tutti i personaggi della vicenda. In Tiam, che è un romanzo d’amore, i personaggi si confrontano con il lato più oscuro di questo meraviglioso sentimento, scavando nel dolore il sentiero per raggiungere un lieto fine. Sono assolutamente certo che le emozioni possono condizionare la vita di ognuno, sta a noi scegliere come e dove veicolarle.

Indubbiamente ci sono nei tuoi testi dei protagonisti, ma anche gli altri personaggi non si possono definire secondari, poiché tutti hanno le loro storie e sono perfettamente caratterizzati. Tuttavia – in realtà – non sempre i loro racconti privati e personali sono funzionali alla storia, ma fanno parte della cosiddetta “cornice”. È stata forse questa una scelta “cinematografica”?

Dal mio punto di vista, un romanzo è un po’ come un’opera teatrale, tutto ciò che va in scena deve essere ben caratterizzato e brillare di luce propria. Ovviamente ci sono i protagonisti che “rubano” la scena ai personaggi minori. Per far sì che un lettore, nella sua mente – che poi è il palcoscenico dove muove le vicende – possa riconoscersi anche nei personaggi di nicchia, mi piace dar loro un vissuto, non necessariamente a fuoco con le vicende dei protagonisti.

A proposito di Cinema, tu sia in CaSO4che in Tiamparli molto di arte, e si intuisce che la ami molto in tutte le sue svariate forme. È così o è solo una sensazione che percepisce il lettore?

Pur non essendo un assiduo frequentatore di gallerie d’arte o spettacoli teatrali, adoro tutto ciò che racchiude questa meravigliosa disciplina. L’arte è bellezza ed è il miglior mezzo di comunicazione esistente. Con un’opera, qualunque essa sia, ognuno ha la possibilità di parlare al mondo senza dover a tutti i costi esporsi. Quando anche il più introverso dei caratteri riesce a comunicare attraverso l’arte, non resta altro che bearsi di quella intensità.

E tu che lettore sei? Riesci comunque nonostante gli impegni lavorativi e familiari e quelli legati alla scrittura, a trovare il tempo per la lettura?

Prima di avere una famiglia leggevo moltissimo, ora il tempo a disposizione è veramente poco. Il lato positivo, però, è che ora la scelta del testo è più ricercata, prima leggevo di tutto.


Quali sono i romanzi che ti hanno maggiormente segnato nel corso della tua vita?

Come dicevo poc’anzi ho letto autori di vario genere, alcuni proprio agli antipodi. Non so se è una pecca o meno, ma non amo i classici. Se devo darti un paio di titoli, direi Io Uccidoe Niente Di Vero Tranne Gli Occhidi Giorgio Faletti, due testi che mi hanno colpito per come sono strutturati. Soprattutto ho apprezzato come il compianto Giorgio sapesse mettersi in discussione su vari settori, eccellendo in tutti. Un libro, invece, che mi ha sconvolto e insegnato molto è La trilogia della città di K, scritto dall’immensa Agota Kristof.

Ma quali caratteristiche deve possedere - a tuo avviso - un testo per poter “funzionare”?

Dipende dall’accezione che vuoi dare alla parola “funzionare”. Se intendi vendere copie, credo ci voglia talento ma anche molta fortuna nell’essere “visto” da una grande casa editrice. Se invece parliamo della visione più romantica, credo che un libro funzioni quando, una volta terminato, ti faccia sentire orfano dei personaggi che ti hanno accompagnato nella lettura. Che ti lasci qualcosa, che non si faccia dimenticare.


Che augurio ti senti di farti sia come uomo che come scrittore?

Come autore mi auguro di non perdere mai la passione della scrittura, e perché no, raggiungere traguardi ambiziosi e gratificanti. Come uomo, non posso chiedere di meglio di quello che ho oggi.

Matteo Rovere presenta Romolus, serie girata in protolatino distribuita da Sky costata 20 milioni di euro

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Co-prodotta con la Groenlandia, la serie avrà anche una seconda stagione. Dal 6 novembre le prime 10 puntate.

Il tv-movie è raccontato tra storia e fantasia con l'aiuto di studiosi e archeologi che hanno aiutato la produzione a ricostruire la scenografia ed il set per lo più naturale ambientato tra boschi e grotte. Suggestive le scene con le vestali e le iniziazioni. La storia di Roma raccontata per la prima volta in maniera diversa ed innovativa.


Un racconto che inizia prima della nascita di Romolo e Remo, una storia  pre-storica e rivolto ad un pubblico maschile ma condito sempre dalla presenza di personaggi femminili, personaggi semi-divini. Tra guerre e combattimenti, c'è spazio anche per l'amore, il tradimento ed il riscatto.

"Recitare in questa lingua non è stata certo una passeggiata, dice Francesco di Napoli, si rischiava di non essere naturali e credibili, ma il set ed i costumi ci hanno aiutato a calarci nel personaggio che interpretavamo. È stata un'esperienza unica ed intensa". In tv si potrà scegliere di veder il film in italiano.


Matteo Rovere aggiunge, " Non ho fatto questo film da solo, è stato un lavoro di condivisione anche con altri registi come Enrico Maria Artale e Michele Alhaique; è stata una serie complessa e come tale non potevo pretendere di farcela da solo. Nella storia si parla anche di potere e di politica. Tutto parte dai trenta popoli a Sud del Tevere che si sono alleati ma ognuno ha il proprio Re, ma riconoscono il quello di Alba il capo in assoluto.

I tre protagonisti sono una scoperta e rappresentano il loro personaggio con delle caratteristiche uniche: Andrea Arcangeli interpreta Yemos, principe di Alba, " mi sono rivisto nel mio personaggio, anche io come lui lascio la famiglia per cercare la mia strada. Ho dovuto parlare una lingua complicata, andare a cavallo e girare seminudo nel mese di novembre!"


Silvia Calderoni interpreta la Lupa. "I personaggi vivono in un mondo quasi irreale dove non conoscono regole e come proseguire il proprio cammino.

Il lavoro convince soprattutto perché alla storia si mescola il fantasy ed il gotico, circondato da superstizione e sesso.  Azzeccata anche la scelta della serialità e della distribuzione televisiva in un momento difficile per gli esercenti del cinema.

Damiano presenta "Colpa della verità", la lotta fra testa e cuore. L'intervista di Fattitaliani

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In rotazione radiofonica e su tutte le piattaforme di streaming “Colpa della verità”, brano d’esordio del giovane Damiano: un quadro musicale che mostra all’ascoltatore come la verità può distruggere la barriera visiva che si crea quando si è innamorati e come il cuore e la mente possono trovarsi in continua disapprovazione su una scelta comune, che si tratti di responsabilità o di aspettative a lungo termine. Il videoclip ufficiale del brano “Colpa della Verità” è guidato da un intreccio narrativo che mette in luce la cecità del cuore di fronte ad una palese verità che non si vuole accettare; questa verità viene mostrata sotto diversi punti di vista. L'intervista di Fattitaliani.

In che maniera e con quale stato d'animo stai vivendo questo passaggio dall'ispirazione all'incisione? 
Ma in realtà non me ne sono ancora reso conto totalmente, è tutto nuovo, sto ricevendo molte interviste, molti feedback, tante condivisioni e commenti, mi piace...
Come definiresti il brano “Colpa della verità”? 
Il brano "Colpa della verità"è la lotta tra interno ed esterno, testa e cuore, amore e logica.

Quanto ti rappresenta? 

La storia è autobiografica, ma diciamo un po’ un classico, però ho voluto girare degli aspetti e mostrarli sotto un'altra ottica cioè che anche la verità può avere delle colpe.  

Ci sono dei luoghi, delle persone, degli oggetti che ti ispirano maggiormente? 

Nell’ultimo periodo sto dando spazio e fiducia ai miei impulsi e stimoli, dove l’attenzione cade lascio che la mente crei.

Nato come ballerino, ti sei avvicinato alla recitazione e al cantautorato: in che cosa secondo te queste tre dimensioni artistiche si incontrano particolarmente? 

Queste dimensioni artisti non si incontrano si completano. L’una aiuta l’altra, la supporta e l’arricchisce.

A “Colpa della verità” seguirà un progetto più completo?

“Colpa Della Verità” è il primo di un Ep di sei brani nonché titolo dell’Ep. Giovanni Zambito.


Biografia

Damiano è un giovane artista di ventiquattro anni con la passione per la musica e la recitazione. Nasce come ballerino e a poco a poco inizia ad ampliare gli orizzonti artistici, scoprendo la recitazione e il cantautorato. Iniziando da gare e competizioni nazionali ed internazionali (con la danza), inizia le prime esperienza da palco, successivamente interpretando ruoli sia in musical che in spettacoli di prosa ed infine con esibizioni live cantate. Crede molto nella libera interpretazione e nel sogno come obbiettivo e, spinto dal bisogno di divulgare la sua arte e le sue parole, intraprende la carriera come cantante solista.

Il brano d’esordio di Damiano dal titolo “Colpa della verità” è disponibile in radio e in digitale dal 16 ottobre.


Emanuela Del Zompo e la cantante gospel Fatou Kinè Fall sul red carpet del festival del cinema di Roma

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Faotu Kinè Fall interpreta nel cortometraggio diretto da Emanuela Del Zompo, The Women's angels (presentato alla 77° Mostra del cinema di Venezia) una cantante gospel durante la commemorazione in Chiesa di Emy, sposa interpretata da Emanuela Del Zompo. La cantante ha interpretato 2 brani: Amazing Grace e Back to Black di Amy Winehouse. " Ho già lavorato in diversi film internazionali, tra cui Daylight di Silvester Stallone, ma la musica è la mia prima passione. 

Come è arrivata la tua partecipazione al cortometraggio The women's angels?

"Con Emanuela ci siamo conosciute in un coro gospel e abbiamo cantato insieme per circa 2 anni: siamo state anche a Ballando con le Stelle di Milly Carlucci con la canzone I will follow me, celebre per il film Sister Act di Whoopi Godberg.

Ora mi dedico alla carriera di solista con brani jazz. Sperando che questo periodo Covid passi in fretta per tornare ad esibirmi!"

Foto: Vanna Giannoccaro

Renzo Arbore “ambasciatore della musica italiana nel mondo” premiato da Eureka

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di Riccardo Bramante - Nell’austera location del Teatro Basilica, presso S. Giovanni in Laterano, Renzo Arbore ha ricevuto l’ambito premio internazionale “Le Cattedrali Letterarie Europee”, consegnatogli dal Presidente e dal Vice Presidente dell’Associazione culturale Eureka Marco Ghitarrari e Pierluigi Pietricola i quali hanno voluto aggiungere anche il suo nome al già lungo elenco di personalità dello spettacolo e della letteratura che lo hanno ricevuto negli anni passati, da Meryl Streep a Umberto Eco a Roberto Benigni a Carlo Verdone, solo per citarne alcuni.

Come accade sempre quando un artista come Renzo Arbore sale sul palco, l’evento si è trasformato nell’occasione per un vero e proprio show in cui l’artista ha ricordato i fatti salienti della sua carriera attraverso episodi a volte inediti a iniziare da quando, giovane provinciale pugliese, approdò a Napoli dove ebbe l’occasione di entrare in contatto con i maggiori rappresentanti della canzone napoletana di allora come Roberto Murolo, Mario Trevi e Renato Carosone.

Ma la vera svolta –racconta-  la ebbe quando arrivò a Roma, vincitore di un concorso RAI come programmatore musicale e conobbe in quella occasione colui che fu suo compagno di lavoro per tutta una vita, Gianni Boncompagni. L’arrivo nella Capitale fu anche l’occasione per conoscere una ancora diciottenne Gabriella Ferri con cui per quasi due anni ebbe stretti legami non solo affettivi ma anche professionali attraverso il reciproco scambio delle conoscenze lui della canzone napoletana e lei di quella romana.

Alla RAI, allora diretta da mostri sacri come Ettore Bernabei, Biagio Agnes e la stessa Presidente Letizia Moratti, si dedica dapprima alla radio con “Bandiera gialla” che trasmette anche musica americana ed inglese, divenendo così, come tiene a rivendicare, il primo dj italiano “inventore” della “beat music”, a cui segue con pari successo “Alto gradimento”, ideato insieme a Gianni Boncompagni.

Passa poi alla televisione e mette in onda quello che può essere considerato il primo talk show della tv italiana “Speciale per voi” e poi l’indimenticabile “L’altra domenica”, nel 1976, che porta una buona dose di anticonformismo con la partecipazione del pubblico da casa attraverso telefonate estemporanee e con donne non più semplici vallette ma “donne parlanti”, come lui ricorda con orgoglio facendo anche vedere alcuni spezzoni di quegli spettacoli.

Provocato da una maliziosa domanda del Presidente Ghitarrari sulle differenze che riscontra tra la sua televisione degli anni ’70 e ’80 e quella attuale, Arbore ricorda come allora la televisione si proponeva di educare il pubblico chiamando sullo schermo personaggi come Umberto Eco, Furio Colombo e Cesare Zavattini e anche nei cosiddetti programmi leggeri c’era sempre un intento educativo. Ora, invece, si è scaduti nelle risse e nel linguaggio pesante in cui domina il pettegolezzo e il gossip; si ride poco e ci si arrabbia molto e, in generale, si tiene conto soprattutto dell’indice degli ascolti a scapito dell’indice di gradimento.

Quanto ai progetti attuali, Arbore ha voluto sottolineare la sua funzione di “ambasciatore della musica italiana nel mondo”, in particolar modo attraverso il recupero e la conseguente valorizzazione della  canzone napoletana classica che porta avanti con la sua “Orchestra italiana” esibendosi in  numerose tournée sia in Italia che all’estero, dall’America al Giappone all’Australia alla Russia, nonché con la sua rete tv “Renzo Arbore channel”.

Infine, nel rispetto di quello che è uno degli scopi primari dell’Associazione Eureka di premiare i giovani talenti distintisi nel panorama artistico italiano, nel corso dell’evento sono stati insigniti del “Premio Excellentissimus” il Trio Blewitt composto dai musicisti Stefano Proietti, Gian Marco De Nisi e Oscar Chierici che hanno ricevuto il plauso anche di Renzo Arbore al termine del loro video di presentazione, nonchè il musicista e fantasista Marco Vannucci che, con goliardica parodia, ha dapprima cantato legando tra loro brani musicali diversissimi e poi ha salutato il pubblico presente eseguendo la famosa canzone di Fabrizio De Andrè “Bocca di rosa”.

Analogo premio è andato anche a David Ambrogio, purtroppo non presente alla manifestazione.


L’artista Eugenia Serafini omaggia l’Oriente con una straordinaria mostra a Roma

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Un evento di cultura globale al Circolo Esteri della Farnesina - di Carlo Franza.

ROMA - Presso il Circolo degli Esteri di Roma (Via dell’Acqua Acetosa 42), fondato nel 1936 con finalità di rappresentanza del Ministero degli Affari Esteri, è stata inaugurata venerdì16 ottobre 2020, alle ore 18, la mostra personale dal titolo “Sguardo a Oriente” di Eugenia Serafini, a cura del prof. Carlo Franza. All’inaugurazione, insieme all’artista, erano presenti Luigi Maria VignaliMinistro Plenipotenziario e Presidente del Circolo degli Esteri-Roma che  ha introdotto l’evento, il Prof. Carlo FranzaOrdinario di Storia dell’Arte Moderna e Contemporanea ed anche  giornalista e critico de “Il Giornale”, l’Ambasciatore Umberto Vattani  ideatore-fondatore della Collezione Farnesina e Presidente della “Venice International University”e l’Ambasciatore Gaetano Cortese che dirige la Collana sulle Ambasciate italiane nel mondo per l’Editore Colombodi Roma.Presenti ancora l’Ambasciatoredi Taiwan Andrea S. Y. Lee, numerosi diplomatici, intellettuali italiani e un nutrito pubblico interessato all’evento.

 

La mostra fa parte di“MONDI” un progetto - a cura del Prof. Carlo Franza - appositamente ideato per il Circolo Esteri del Ministero Affari Esteri di Roma nel ventennale della Collezione Farnesina di Arte Contemporanea. Esso vive nobilmente sulle arti che riprogrammano il mondo, si campiona  ad essere uno spettacolare archivio decentralizzato  ove le diverse discipline si nutrono di arte-mondo, mira a rappresentare come si abita la cultura globale, ovvero l’altramodernità, che altro non è che una sorta di costellazione, una specie di arcipelago di  singoli mondi e singoli artisti le cui isole interconnesse non costituiscono un continente unico di pensiero, ma  lo specchio di un’arte postproduttiva e frontaliera, mobile, ipermoderna, ipertesa, ipercolta, mente e cuore, ma anche progetto e destino della comunicazione estetica. 

 

Con“MONDI” (2020-2021) si porgono dodici mostre personali di dodici artisti contemporanei, taluni di chiara fama. Questa mostra dal titolo“Sguardo a Oriente” è la seconda del nuovo percorso, ed è già una novità in quanto si veicolano aRoma nomi dell’arte contemporanea di significativo rilievo, che evidenziano e mettono in luce gli svolgimenti più intriganti del fare arte nel terzo millennio. L’esposizione riunisce una serie di opere dell’artista Eugenia Serafini, già apparsa agli occhi della critica italiana e internazionale come una figura delle più interessanti e propositive dell’arte contemporanea, e ricordata come chiara e significante interprete. 

 

Tra i discorsi inaugurali, illuminanti le parole dell’Ambasciatore Umberto Vattani, ideatore e fondatore della Collezione Farnesina, il quale ha trovato nella declinazione della tematica intrapresa dall’artista romana un’attualità senza precedenti. Entriamo nel vivo della mostraSe cercassimo la continuità del pensiero dentro la diversità del fare, per conoscere attraverso scoperte e ragioni il linguaggio di taluni artisti, ecco che il dibattito contemporaneo si misura certamente nella storia del presente, pur tenendo in evidenza cheessi vivono leculture dell’Occidente e dell’Oriente, due dimensioni geografiche, due mondi artistici, indagandone l’emozione dei luoghi, vissuti o scoperti, masoprattutto legati alla propria realtà interiore. 

 

Ora Eugenia Serafini struttura un racconto visivo estremamente mobile, refrattario ai confini, con una sua consapevolezza compositiva, come insieme concettuale di azioni, di norme legate al fare pittorico. Sa che ogni forma data nasce dal preciso contatto con il tempo, associata alle presenze dell’esistere. “L’arte - scriveva Lucio Fontana non appartiene alle necessità materiali dell’uomo, che sono e restano alla stato primordiale…le arti sono una manifestazione dell’intelligenza dell’uomo e quindi seguono l’evoluzione del loro tempo”. Ecco scoprire in questa mostra l’invisibile fluire degli eventi, il suo fare è suono che si propaga sulla carta e nel colore, è l’atmosfera del pensiero che cerca se stesso dentro il mondo E’ un processo graduale di affinamento e di approfondimento, la percezione del mondo visibile, come melodioso tumulto, brusio allargato di suoni che hanno nelle immagini e nei simboli dell’Oriente le loro equivalenze. 

 

Se si osservano iventagli, le scritture, gli ideogrammi, ecc. si noterà un atteggiamento animistico, di religioso ascolto, disospeso stupore, di fronte al miracolo del vero visibile.E’ unaradice esistenziale e filosofica che da sempre laSerafini si porta addossoe che maggiormente oggi, con questo capitolo sull’Oriente, ci spiega e sottolinea la sublimazione ideogrammatica, il minimalismo poetico, laparola assoluta, i raffinati grafismi, lecomposizioni cromatiche melodiose e rigorose, le radici di una cultura antica e sempre contemporanea. C’è la modernità con il neo-informale e l’astrattismo lirico, c’è l’introspezione filosofica di chi si interroga, nella terra desolata per dirla con Eliot, sulla persistenza dei valori poetici.

 

Ad osservare queste installazioni di Eugenia Serafini, esse vivono nel quadro delle forme originali dell’arte italiana contemporanea, nutrite di effluorescenze, bagliori, accensioni, alla luce di proporzione, equilibrio e ordine; come in Fontana, come in Burri. E’ una ricerca la sua che si moltiplica nelle opere, con variazioni intorno al tema dell’Oriente, come ricerca della perfezione spinta fino al limite estremo. Vuoto e pieno possono essere una chiave di lettura significante delle attuali opere della Serafini, nel senso di un vuoto inteso come incontro della materia pittorica con il tutto fatto di tempo, silenzio, eternità e musica. Le sue superfici dove la presenza cromatica corre in un moto orizzontale e poi circolare, perfettamente percettibile, lasciano leggere taluni punti focali, da dove per l’appunto esplodono la materia e il colore. Sono marcature date dalla concentrazione della materia, dall’intensità del colore, da segni che sfuggono, che portano a cercare, dentro il particolare, il ritmo della velatura, la leggerezza di un gesto che non è mai finito, completo. I suoi spazi, dettati anche dalle installazioni che spesso si incontrano nel suo percorso, aprono lo sguardo, divengono onde di una natura misteriosa, esplodente e avvolgente, che cerca di accogliere e invitare alla scoperta. 

 

L’Oriente diEugenia Serafini è dettato da una filosofia che fa leggere il mondo intermediario fra cielo e terra,di forze che portano in sé le armonie delle sfere celesti ma anche le palpitazioni e le pullulazioni della terra. Acqua, terra, aria e fuocoevocano il perpetuo andare del mondo,custode della memoria delle ere e dei tempi, e l’artista qui ne evoca l’intreccio di sonarità interiori, il divenire del tutto. Lo stesso spettatore diviene parte di un silenzio vibrante, di quei segni, a volte graffiati, simbolici movimenti di un giardino zen, dove ogni elemento accentua la propria forza spirituale in simbiosi con la trama di un racconto sospeso. La realtà scompare perfarsi natura o sentimento del tempo. La Serafini si è lasciata guidare in questo capitolo da un’istintività colta, per nulla lasciata al caso, perfezionata dalla conoscenza della tecnica, nell’uso di una texture estremamente raffinata, capace di veicolare una liricità musicale, la stessa che pervade molte opere e molta arte della contemporaneità.

 

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Eugenia Serafini è docente di Disegno dell’Università della Calabria(UNICAL), artista e scrittrice internazionale, performer, giornalista, nasce a Tolfa (RM) nel 1946, vive e opera tra Roma e la Toscana. Si laurea in Lettere Classiche alla Sapienza di Roma, in Letteratura Latina con il massimo dei voti. Studia con il grande Natalino Sapegno e frequenta la Scuola Nazionale di Archeologia di Roma. Redattore della rivista romena Noul Literator, è Direttore responsabile della rivista FOLIVM, della Collana di Libri d’Artista e di Ex-Libris dell’Artecom-onlus. Collabora per anni con Mario Verdone, Carlo Franza, Duccio Trombadori, Giorgio Di Genova condividendo stima e amicizia. E’ tra i fondatori e promotori del prestigioso “Premio Internazionale ARTECOM-onlus per la Cultura”. Predilige la contaminazione intermediale, crede nella Creatività e nella Cultura come mezzo per la Pace. È stata invitata per Mostre e Performance nei quattro continenti, dove sue opere sono in Collezioni pubbliche e private. Scrive e dipinge sin dall’infanzia, passando con la maturità dalle fiabe alla poesia di teatro e di performance, tradotta e pubblicata in arabo, inglese, francese, norvegese e romeno.

 

PARTECIPAZIONI E PREMI: Eugenia Serafini Ambasciatrice dell’Arte per Le Fondazioni dell’Unione Europea, Bruxelles, 2019; Membro d’Onore e Messaggero della Cultura Romena in Italia, 2018; Premium International Florence, GrandPrix Absolute per l’Arte 2017; Premiata con il Leone d’Argento per la Creatività 2013, Biennale di Venezia; Riconoscimento della Segreteria di Stato Vaticana  e Benedizione di Papa Francesco, 2013 e 2020; Redcarpet alla 66^ Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, interprete del film “POETI” di T. D’Angelo 2009. BIBLIOGRAFIA: G. Di Genova, Storia dell’Arte Italiana del ‘900, Generazione anni ’40, Bologna 2007. D. Trombadori, C. Pitto, M. Verdone, U. Milizia, Monografia 1993-2003, Roma 2003.

 


Anticipiamo l'ultimo spettacolo

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Una realtà durissima da affrontare, per un settore che fin dall’inizio della pandemia ha dovuto scontrarsi duramente con limitazioni e carenza di introiti, con pesanti conseguenze economiche su lavoratori, artisti, professionisti e con la sopravvivenza delle stesse attività, già fortemente minate dal primo lockdown. Una questione cruciale, tanto che, qualche giorno prima dell’approvazione del dpcm del 18 ottobre, i lavoratori dello spettacolo avevano organizzato una protesta pacifica di grande impatto visivo in Piazza del Duomo, allestendo 500 bauli per le attrezzature di scena.

Perché chiudere un settore dove i dati AGIS riportano un numero di contagi pari a 1. Chi risarcisce ora tutti i soldi spesi per mettersi a norma? 

Massimo Luca 

Gaetano Aronica interpreta Varo: "Barbarians" ha scombussolato la mia vita con la potenza di un tornado. L'intervista di Fattitaliani al Presidente Fondazione Teatro Pirandello di Agrigento

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Disponibile da venerdì scorso su Netflix, "Barbarians" ha subito ricevuto un grandissimo riscontro da parte del pubblico, tanto da risultare la serie più guardata durante il fine settimana. Sei episodi che culminano nella battaglia della foresta di Teutoburgo, una delle più grandi disfatte subite dall’esercito romano, avvenuta nell’anno 9 d.C., in cui le legioni di Publio Quintilio Varo furono annientate da una coalizione di tribù germaniche. Puntata dopo puntata, la storia diventa sempre più avvincente e coinvolgente per diversi espedienti narrativi efficaci e soprattutto grazie all'interpretazione dei protagonisti e di Gaetano Aronica, nel ruolo del governatore. L'attore agrigentino, Presidente della Fondazione Teatro Pirandello di Agrigento, racconta a Fattitaliani l'origine, lo svolgimento, l'impatto di questa esperienza sul suo percorso umano e professionale. L'intervista.
Come sei stato coinvolto nel progetto?
Nel modo più semplice che si possa immaginare. Sono stato contattato dalla mia agenzia, la Linkart di Roma, per un provino internazionale con Netflix. Essendo impegnato col Teatro Pirandello che per me è sempre al primo posto, ho fatto un selftape ad Agrigento, cioè un provino filmato da me stesso che la mia agenzia ha inviato all’ufficio casting. Dopo circa una settimana ho saputo che avevo sbaragliato la concorrenza e che i due registi, Barbara Eder e Steven Saint Leger mi avevano scelto di comune accordo e senza nessun dubbio: il mio provino era risultato il migliore, ma ancora in italiano e in inglese, nessun accenno al latino. Quello è avvenuto dopo, perché da quel momento è partita questa meravigliosa avventura che ha scombussolato completamente la mia vita privata e professionale con la potenza di un tornado. Mi sono ritrovato come nel film “Ritorno al futuro” dentro la macchina del tempo. E comunque, Agrigento mi ha portato fortuna. 
Che ti ha colpito subito del tuo personaggio e della sceneggiatura?
I personaggi non avevano ancora i loro veri nomi e all’inizio la storia era assolutamente coperta da segreto. Netflix e anche la Gaumont  erano molto attenti a questo aspetto. Avevamo l’obbligo di non far trapelare nulla, neanche di essere stati scelti. Per me non è stata una novità, ero già abituato con Tornatore a lavorare nella massima riservatezza. Lo trovo giusto: è il miglior modo per proteggere attori e progetto. La sceneggiatura era semplicemente meravigliosa. L’ho letta in inglese tutta d’un fiato. Era già cinema. Aggiungo che per me la sceneggiatura è tutto, o almeno, quasi tutto. Senza quella non si potrà mai realizzare un buon film, anche se hai tutti i premi oscar sul set.
Attraverso la serie hai conosciuto più "da vicino" la realtà dell'impero romano? 
Certo. È uno dei motivi per cui faccio questo lavoro; la possibilità di non arrugginirmi, di andare avanti con la ricerca, con lo studio, di colmare le mie lacune, di crescere, di capire di più. Ogni volta che affronto un progetto è per me l’occasione per approfondirne l’aspetto storico, culturale, antropologico;  ho letto Tacito e Giulio Cesare, ho cominciato ad appassionarmi a questa vicenda e mi dicevo: ma sto sognando? Davvero io sarò Publio Quintilio Varo? E perché hanno scelto proprio me in tutto il mondo? Una favola, una favola vissuta a cinquant'anni e anche più. Incredibile.
Secondo te, la serie potrebbe offrire interessanti spunti di riflessione su come la storia viene raccontata e trasmessa? 
Sì. Succede anche a teatro quando si vogliono veicolare dei contenuti forti. Non bisogna dimenticare che lo spettatore ascolta e vede un’unica volta, dunque per evitare che si distragga bisogna avere una suprema perizia tecnica per rendere incisivo, spettacolare, unico, ogni passaggio. Netflix è stata fantastica e così registi, sceneggiatori e produttori; molto coraggiosi. I buoni e i cattivi non sono divisi a metà come due pezzi di mela, uno buono e uno cattivo, appunto. La complessità dei sentimenti, delle motivazioni, delle emozioni, delle scelte, rende l’ambiguità dei personaggi, ne mostra senza pietà i lati oscuri, ha il coraggio di rendere sgradevoli i protagonisti e anche molto umani, non sono dei personaggi da cartolina, inconsistenti e inutili. Ti rimangono impressi per questo.

Alla fine i "Barbari" sono chi: più i Romani o i Germani? 
Uno storico scrisse che dopo la battaglia di Teutoburgo il mondo non fu più lo stesso. Roma perse la Germania per sempre o … fu la Germania a perdere Roma? Erano due mondi troppo diversi. Per i Germani ciò che per i Romani era l’opera pubblica, la strada, la diga, la clessidra persino, era opera degli dèi, magia, qualcosa di soprannaturale che li sconvolgeva. Per il resto, in guerra l’uomo dà il peggio di sé, anche adesso, ai nostri giorni e i confini si confondono in un’unica scia di sangue.
Che rapporto personale intrattieni con il latino? ti è piaciuto recitare 'risuscitandolo'?
È stato bellissimo. Pensavo sempre a tutti i libri che riempivano la mia casa e la casa dei miei. Sono tutti ancora lì. Non ho il coraggio di toccarli. A casa mia erano sacri. Mio padre e mia madre potevano risparmiare su tutto, ma sui libri, sulle enciclopedie, persino sulle librerie che spesso dovevano essere ampliate, su tutto ciò che riguardava il sapere, non badavano a spese. La scelta del latino è avvenuta di notte, in contato telefonico con la regista Barbara Eder, la Gaumont e Netflix, una specie di intrigo internazionale. È stato meraviglioso. Non saprei dire altro.
E con Netflix?
Loro sono molto generosi con me. Rigorosi ma anche generosi. Posso dire di essere stato molto coccolato, lo ammetto. Non ho mai avuto un problema sul set, un’armonia straordinaria, mi adoravano e io li adoravo. Parlavo con tutti e con il mio inglese li facevo anche sorridere. Parlavo persino con il mio cavallo: Eko. Siamo diventati molto amici. Ogni tanto scappavo nei boschi con lui e sentivo dopo un po’ il megafono della regia che mi riportava all’ordine: “Gaetano, come back on the set, please  don’t  play with the horse, come on…”. Fantastico.  C’erano proprio tutti: tedeschi, russi, inglesi, irlandesi, francesi, americani, sudafricani, giapponesi, austriaci, c’era tutto il  mondo, io una macchina da spettacolo così non l’avevo mai vista e neanche immaginata. E ne ho fatti di film…

Puoi condividere con noi una curiosità legata a "Barbarians"?
Due curiosità: la prima è che ho vinto il provino su 400 attori sul ruolo solo in Italia, tutti di fama e di esperienza per ovvi motivi. Insomma, considerata la posta in gioco, questo provino lo hanno fatto veramente tutti. E non solo in Italia. La concorrenza era in tutto il mondo. E arrivare primi contando solo sulle proprie forze è una cosa molto importante. La seconda è che nel party di fine lavorazione film a Budapest, la produzione ha deciso di dare una password molto originale e per me lusinghiera agli invitati: VARUS, il nome del mio personaggio. Ho capito in quel momento di essere entrato nel cuore di tutti e questo avrà sicuramente un futuro. Io conosco un solo modo per andare avanti: lavorare bene, non so fare altro… In questo film me lo hanno permesso, non è poco, credetemi. Ti confido un segreto: Credo che mi abbiano scelto anche perché somiglio al Giulio Cesare di Asterix, ma non lo dire a nessuno, shh…. Giovanni Zambito.

Foto in copertina: L'espressione di un immenso Gaetano Aronica nella scena finale in cui attonito assiste alla disfatta.
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