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Maria Tronca, scrittrice palermitana, presenta il libro “L’ultima punitrice”. L'intervista

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«L'anima si ciba sia di ciò che si impara leggendo sia di ciò che si crea scrivendo ma, anche se dovesse esserci un “miele già preparato da altri”, nessuna anima che non sia affamata di infinito, riuscirà ad attingervi per degustarlo e non solo nei libri.» - di Andrea Giostra.

Ciao Maria, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori? Chi è Maria scrittrice?

Ciao, grazie a voi per avermi invitata. Sono una sognatrice seriale, una cacciatrice di storie e una canta/contastorie da sempre, da quando ero bambina. Non ricordo un giorno della mia vita, da quando ho dei ricordi, in cui io non inventassi storie. Me le raccontavo da sola e più avanti, in età scolare, le narravo alle mie compagne e amiche, l'esigenza di metterle su carta è arrivata più tardi e si è trasformata in un dictat: questa la devo scrivere. 

…chi è invece Maria donna nella sua quotidianità?

Ho due cappelli, quello della scrittrice e quello della cuoca, quindi sono la Cuciniera Narrante, una definizione che ho inventato e che mi rappresenta al 100%. Ho un micro home restaurant a Mondello in cui cucino per i miei ospiti, anche stranieri, e tra un piatto e l'altro racconto storie, vere o inventate, coccolando anche la loro anima, oltre che il palato. Amo il mare, d'estate ci vado spessissimo e d'inverno lo vado a salutare tutti i giorni, quando il tempo lo permette, odio il grigio, senza colori mi spengo un po', medito tutti i giorni, da più di 10 anni, e sogno spesso a occhi aperti. 

Qual è la tua formazione professionale e letteraria? Ci racconti il percorso che ti ha portato a svolgere quello che fai oggi?

Ho frequentato il liceo classico e ho una laurea in lingue e letterature straniere moderne, inglese e francese, adesso sto studiando lo spagnolo. Il mio primo libro l'ho letto a otto anni, Piccole donne, da allora non ho mai smesso di leggere e, a 14 anni ho scritto il mio primo romanzo, su 4 quadernoni, poi purtroppo l'ho buttato via, mi sembrava una stupidaggine e non puoi immaginare quanto mi dispiaccia non averlo custodito amorevolmente. Verso i 30 anni inventare storie e raccontarle oralmente non mi è bastato più, è scattato qualcosa, quello di cui parlavo prima, un dictat: la devo scrivere. L'ho fatto, ho ubbidito a quell'esigenza, ho onorato quello che considero un dono e da allora non ho più smesso. 

Come nasce la tua passione per la scrittura? Ci racconti come hai iniziato e quando hai capito che amavi scrivere?

Mi sa che l'ho già detto, ma desidero aggiungere che è una cosa che ho dentro, fa parte del mio DNA e sono anche convinta che non si impari a scrivere, si migliora di certo, ma è un dono che hai dalla nascita, altrimenti Amen. La voglia di scrivere è nata con me e io con lei. 

Ci parli del tuo libro, “L’ultima punitrice”? Come nasce, qual è il messaggio che vuoi che arrivi al lettore, quale la storia che ci racconti senza ovviamente fare spoiler?

L'Ultima Punitrice nasce dalla mia passione per I Beati Paoli di Luigi Natoli, un romanzo che ho letto per la prima volta da adolescente e ripreso più volte nel corso degli anni. I Beati Paoli erano una setta segretissima che agiva, tra mito e realtà, nella Palermo del '700, i cui adepti erano nobili, borghesi e popolani e che aveva una rete di informatori e “fiancheggiatori”da fare invidia alla CIA. Gli Incappucciati, li chiamavamo anche così, arrivavano dove il braccio canonico della legge non poteva, spesso non voleva arrivare, vendicando i soprusi e le infamie che i ricchi e i potenti dell'epoca infliggevano ai più deboli e poveri. Portavano giustizia laddove nessuno l'avrebbe mai portata. Un giorno, ma non so perché, ho pensato che sarebbe stato bello scrivere una storia con un Beato Paolo in gonnella ed è nata la mia Ultima Punitrice. Quanto al messaggio del romanzo: non scrivo mai con l'intento di inviarne uno, lo trova chi legge, ognuno il suo, ma a freddo mi viene da dire che nulla, se non lo guardi bene, è mai come sembra e che il dolore, quello che ti strappa l'anima, e la rabbia possono indurre ad agire nel peggiore dei modi, senza freni inibitori, perché mostrano una realtà distorta, forse quella che si vuole vedere. La vendetta non è un rimedio contro il dolore e non cancella l'onta subita ma spesso il desiderio di rivalsa è incontenibile. E letale.

Chi sono i destinatari che hai immaginato mentre lo scrivevi?

Non immagino nessuno e immagino tutti, davvero. Scrivo e basta, sperando che i miei libri facciano sognare, ridere e piangere, che scatenino emozioni forti a chiunque li legga. 

Una domanda difficile Maria: perché i nostri lettori dovrebbero comprare “L’ultima punitrice”? Prova a incuriosirli perché vadano in libreria o nei portali online per acquistarlo.

Perché è una storia che parla di sentimenti, dai più puri e brillanti ai più oscuri e inconfessabili, perché c'è un pizzico di magia che aleggia in ogni pagina, perché fa ridere e piangere, perché i personaggi ti prendono per mano, uno alla volta, e ti raccontano la loro vita, ti confessano la loro forza e la loro debolezza, e ti conducono su un piano della realtà in cui tutto può succedere. Basta crederci. E io ci credo. 

C’è qualcuno che vuoi ringraziare che ti ha aiutato a realizzare questa opera letteraria? Se sì, chi sono queste persone e perché le ringrazi pubblicamente?

Sicuramente la mia casa editrice, Les Flâneurs, perché ha creduto e crede in me, la mia editor Carlotta Susca e la mia ex agente Antonia Santopietro, che me li ha fatti conoscere. Ma soprattutto l'Universo, che mi ha dato questo dono, e miei genitori che sono stati il suo tramite. Ringrazio anche me, perché ho meritato di meritarmelo. Perché pubblicamente? Perché penso che sia bellissimo leggere nero su bianco: grazie di esserci.

Nella tua attività letteraria hai pubblicato altri libri o romanzi? Ci racconti quali sono, di cosa trattano e quale l’ispirazione che li ha generati?

Sì c'è una raccolta di racconti, L'isola delle Femmine, che ho pubblicato con Mondadori quando curavo una collana di letteratura erotica moderna e contemporanea e mi sono divertita a scrivere delle storie siculo-erotiche. Poi è arrivato il primo romanzo, Rosanerocon Baldini Castoldi e Dalai, che parla della convivenza dell'anima di un prestante e “talentuoso” uomo d'onore, morto ammazzato, con il corpo in cui si ritrova, quello di una bambina di nove anni. Non sarà facile per nessuno dei due. Il secondo romanzo, L'amante delle sedie volanti, sempre con la BCD, parla di una millenaria sedia di legno a forma di donna seduta, con incredibili poteri anche terapeutici, che fa di tutto per tornare dalla sua legittima proprietaria, una principessa metà bella e metà bestia. Poi sono arrivate Le fate di Palermo per DOTS Edizioni, una costola de Les Flâneurs, che racconta una storia dentro la storia, le vicissitudini di due sorelle Sara e Lula, narrate dalla maggiore in 10 diari che finiscono per caso nelle mani di un bibliotecario in pensione, stravolgendo la sua vita e quella della sua famiglia e inducendoli e cercarle, anche se sembrano svanite nel nulla. Le mie fonti di ispirazione sono molteplici: qualcosa che ho sentito o visto, un suono o una scritta su un muro ma indubbiamente Palermo e la sua magia, talvolta nera, sono le mie muse, prepotenti e amorevoli. 

«Quando la lettura è per noi l’iniziatrice le cui magiche chiavi ci aprono al fondo di noi stessi quelle porte che noi non avremmo mai saputo aprire, allora la sua funzione nella nostra vita è salutare. Ma diventa pericolosa quando, invece di risvegliarci alla vita individuale dello spirito, la lettura tende a sostituirsi ad essa, così che la verità non ci appare più come un ideale che possiamo realizzare solo con il progresso interiore del nostro pensiero e con lo sforzo del nostro cuore, ma come qualcosa di materiale, raccolto infra le pagine dei libri come un miele già preparato dagli altri e che noi non dobbiamo fare altro che attingere e degustare poi passivamente, in un perfetto riposo del corpo e dello spirito.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905). Qual è la riflessione che ti porta a fare questa frase di Marcel Proust sul mondo della lettura e sull’arte dello scrivere?

Credo che la lettura sia sempre e comunque salutare e se mentre si legge la mente vola e approda nei luoghi che vivono nelle pagine che stiamo leggendo, fa viaggi astrali e va oltre, che ben venga. Non sono convinta che la lettura possa sostituirsi alla vita vera, altrimenti si tratterebbe di una patologia seria, di una sorta di alienazione mentale, e penso che la crescita spirituale possa essere senza dubbio aiutata dalle letture giuste ma che debba essere ricercata e perseguita a prescindere. L'anima si ciba sia di ciò che si impara leggendo sia di ciò che si crea scrivendo ma, anche se dovesse esserci un “miele già preparato da altri”, nessuna anima che non sia affamata di infinito, riuscirà ad attingervi per degustarlo e non solo nei libri. 

«Nei tempi andati la vita degli scrittori era più interessante di quello che scrivevano. Al giorno d’oggi né le loro vite né quello che scrivono è interessante.» (Charles Bukowski, “Pulp. Una storia del XX secolo”, Giangiacomo Feltrinelli Ed., 1995, Milano, p. 52). Ha ragione Bukowski a scrivere queste cose a proposito degli scrittori contemporanei? Cosa ne pensi in merito?

Ma no, non è vero! La vita è sempre e sarà sempre interessante. Non credo che dipenda dal periodo storico, ma dagli esseri umani e, grazie a Dio, ci sono esseri umani, nonché scrittori contemporanei, molto interessanti. Ma si sa che Bukowski era un po' cinico, un po' disilluso e, come diremmo a Palermo, molto “disfiziato”. Soprattutto forse da sé stesso.

«La lettura di buoni libri è una conversazione con i migliori uomini dei secoli passati che ne sono stati gli autori, anzi come una conversazione meditata, nella quale essi ci rivelano i loro pensieri migliori» (René Descartes in “Il discorso del metodo”, Leida, 1637). Qualche secolo dopo Marcel Proust dice invece che: «La lettura, al contrario della conversazione, consiste, per ciascuno di noi, nel ricevere un pensiero nella solitudine, continuando cioè a godere dei poteri intellettuali che abbiamo quando siamo soli con noi stessi e che invece la conversazione vanifica, a poter essere stimolati, a lavorare su noi stessi nel pieno possesso delle nostre facoltà spirituali.»(Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905 | In italiano, Marcel Proust, “Del piacere di leggere”, Passigli ed., Firenze-Antella, 1998, p.30). Tu cosa ne pensi in proposito? Cos’è oggi leggere un libro? È davvero una conversazione con chi lo ha scritto, come dice Cartesio, oppure è “ricevere un pensiero nella solitudine”come dice Proust? Dicci il tuo pensiero…

Leggere per me è ricevere un messaggio, a volte molto diverso da quello che intendeva dare l'autore del libro perché ogni lettore è differente e lo decodifica a modo suo. Descartes parla di conversazione meditata, per me si tratta di una sorta di confessione laica che talvolta ci schiude le porte dell'anima di chi scrive e, molto spesso, fa vibrare la nostra. 

Chi sono i tuoi modelli, i tuoi autori preferiti, gli scrittori che hai amato leggere e che leggi ancora oggi?

Ho letto tutta la Recherche (tutta!) di Proust all'università e dopo aver superato le prime dieci pagine, durante le quali non sapevo se bruciare il libro o cambiare facoltà, sono entrata nel suo mondo. Sono stata ammaliata, sedotta, quasi fagocitata, dal suo stile ridondante, maniacalmente pignolo che mi ubriacava di parole e parole e parole, dalle quali scaturivano immagini così vivide e reali che anche ho sentito il gusto della madeleine. E poi in ordine sparso così come mi vengono: Pirandello, Sciascia, Calvino, Marquez in toto, Cent'anni di solitudine in prima linea, l'ho letto 6 volte, Isabelle Allende, Cohelo, Sepulveda, Edgar Allan Poe che mi faceva spaventare senza inorridire, Simenon, Camilleri etc etc etc... 

Gli autori e i libri che secondo te andrebbero letti assolutamente quali sono? Consiglia ai nostri lettori almeno tre libri da leggere nei prossimi mesi dicendoci il motivo del tuo consiglio.

A parte tutti i mie romanzi, naturalmente, direi 19Q4di Murakami perché è strano, magico ma realissimo, perché non sai se ti piace davvero ma non puoi smettere di leggerlo e quando hai finito dici: e ora come faccio? Shantaram di Gregory David Roberts perché per me è un capolavoro assoluto, un libro che si insinua in tutte le fibre del corpo e dell'anima soprattutto per chi, come me, non resiste al fascino dell'India, nel bene e nel male. E poi direi Aphrodita di Isabelle Allende perché sono una Cuciniera Narrante e ritengo che il cibo, come la parola, abbia un grandissimo potere seduttivo e dia un profondo piacere fisico e animico. 

E tre film da vedere assolutamente? Quali e perché proprio questi?

Blade Runner: cupo, affascinante, seducente, inquietante e struggente. Donnie Darko: che te lo dico a fare? The Big Fish: perché c'è dentro tutto il mio mondo, tutto quello che amo e in cui credo, tutta la magia del possibile e dell'impossibile. E, se posso, ne aggiungo un altro: Forrest Gump per non smettere mai di provarci, perché se ci credi ce la fai. Perché è un capolavoro, come diceva la mia mamma: “un merletto”. 

Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti che vuoi condividere con i nostri lettori?

Ho due romanzi finiti ma da plasmare ancora, prima che io possa dire che siano davvero finiti, uno da terminare perché la storia non mi dice chiaramente dove vuole andare, è lei che comanda, e un paio di idee che mi frullano in testa, si affacciano e se ne vanno, poi tornano ma non sono più come prima, sono timide ma prima o poi mi sveleranno tutti i loro segreti. Il 22 ottobre presenterò L'ultima punitrice a Palermo, al Malox, in piazza della canna, 8/9 alle 18.30, con la collaborazione della Libreria del mare. Venite? Anzi: dai venite!

Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire a chi leggerà questa intervista?

Intanto che mi hai fatto sudare sette camicie ma mi sono divertita molto a rispondere alle domande e poi che la lettura è davvero terapeutica, è cibo per l'anima ma fa gioire anche il corpo. Quindi: leggete tanto tanto e ancora tanto (anche me!). 


Maria Tronca

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“L’ultima punitrice”, Les Flâneurs ed., Bari, 2020:

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Andrea Giostra

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La Biblioteca di Crispiano di Michele Annese, autore meticoloso, attento, informato, colto

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di Franco Presicci - Che fatica sollevare questo volume di quasi 600 pagine di Michele Annese: “La Biblioteca di Crispiano: documenti, testimonianze e foto di un’esperienza di promozione culturale, sociale e turistica nel territorio di Crispianodal 1964 al 2014”. E che fatica per lui nel raccogliere tutto quel materiale, una ricchezza per un paese adagiato in mezzo a una corona di colline. 

Quando, scendendo da Martina Franca, si arriva al bivio, il cui cartello indica a destra Grottagliee a sinistra Crispiano, si avverte già un’aria che ristora soprattutto lo spirito. È un paese vivace, dove la gente non si annoia mai. Le iniziative si susseguono con ritmo accelerato, e le feste anche.

Un tempo a far da motore al movimento era la Biblioteca “Carlo Natale” guidata da Michele Annese, che era anche segretario generale della Comunità montana. L’atmosfera in quell’oasi di cultura era accogliente e dava piacere la vista di tante persone, giovani e anziani, chinati su un libro o su un giornale, avidi di conoscenza, a destra dell’ingresso. Se chiedevi un libro in due secondi già te lo trovavi fra le mani. Se cercavo inutilmente un testo nelle librerie di Taranto, correvo in via Roma, alla Biblioteca “Carlo Natale”, e uno degli addetti subito lo pescava su uno scaffale e me lo affidava. 

Era un’impresa avere un tavolo e una sedia per leggere, ma la disponibilità degli addetti e la premura, la gioia nell’accontentarti approntava il rimedio. La Biblioteca, che non chiudeva mai, era un cantiere sempre all’opera. Il motto poteva essere “Novità e sviluppo”. Un programma dietro l’altro: corsi di preparazione agli esami, di aggiornamento professionale, di cucito, persino per addetto stampa, tenuto da un giornalista professionista, mostre d’arte, di fotografia, presentazione di libri.

Ecco un pezzo di giornale: “La Biblioteca di Crispiano: uno strumento di crescita civile”. Un altro: “Fare cultura in provincia: un buon esempio da Crispiano”; “La biblioteca è una cittadella dove si fa cultura”, recita il titolo di un’inchiesta. La biblioteca è un luogo d’incontro, di formazione. È una stazione, dove arrivano personalità di ogni tipo: quanti scrittori sono piombati a Crispiano per dialogare con i cittadini, dopo aver illustrato le proprie opere. Alberto Bevilacqua, per esempio.

Se si mette il volume di Annese sul piatto della bilancia, l’ago si ferma a due chili e 50 grammi (la cultura, oltre ad essere valore, potere, prestigio, ha anche un peso). Queste pagine ce l’hanno per la quantità di fatti, di chicche, di situazioni che offrono della vita di Crispiano, anche attraverso immagini e ritagli di giornale, con pazienza certosina, con passione. Spulcio qua e là e mi fermo a leggere quegli avanzi di giornale: “Un comitato per salvare il forno di Crispiano?”, del l4 gennaio’83. La spiegazione: “Una nuova costruzione, con regolare concessione edilizia, farà scomparire il forno a legna più antico di Crispiano?”.

I “C’era una volta” continuano con le cantine sociali, con i divertimenti di un tempo, con i vecchi mestieri: “u callarel”, lo stagnino; “u carvuner”, il venditore di carbone”, “a cazztter”, la riparatrice di calze di nylon¸ “u cazzabrecc”, il frantumatore di pietre... Una notizia: nel ’47 si aprì a Crispiano un prestigioso pastificio, alla via Salita Luccarelli, gestito dai tre fratelli Chisena, che utilizzavano prodotti e tecnologie di Gragnano. Chiusa l’attività, Giuseppe fu poi fatto sacrestano alla Chiesa Madre. Annese va addirittura ad esplorare il Registro generale delle contravvenzioni del Comune, gelosamente custodito dall’attuale comandante della polizia locale, dottor Donato Greco. E scopre che la prima contravvenzione è del 29 gennaio ’52 e riguarda un tale che, dopo aver scaricato la paglia dal carretto, ha omesso di pulire la strada. Crispiano è una città pulita, civile, non permette simili infrazioni.

Nel libro sfilano anche sindaci, assessori, consiglieri comunali; si ricordano serate musicali, manifestazioni in masseria, tra le quali la Lupoli, che ha anche un museo della civiltà contadina. Tra i sindaci, Giuseppe Laddomada e Francesco Paolo Liuzzi, che una sera lasciò una cena in un’architettura rurale per seguire con il collega Martino De Cesare una ragazza disperata (entrata urlando e chiedendo un telefono) per il fidanzato che rischiava il coma diabetico.

L’ho conosciuto, Liuzzi, uomo intelligente, orgoglioso, spiritoso, generoso, capace all’occorrenza di chiedere scusa. Una sera nel cortile di una rosticceria, al termine di un convegno sulle “lumache” (“escargot”, se si preferisce il francese), organizzato da un altro Liuzzi, Franco, ne offrirono una coppa a ogni invitato. Il sindaco Liuzzi era seduto a un passo da me, e quando si accorse che la mia era rimasta vuota, me ne indicò cinque su un altro tavolo e mi spinse ad approfittare, “perché le lumache mangiano il colesterolo”.   

Un’altra pagina e un’altra preziosità: “Le vacanze di Alda Merini a Crispiano”. In villa Valente, in via Piave 26, erano soliti passare le giornate estive il poeta Michele Pierri e la grande Alda Merini. Molti di noi hanno avuto modo di conoscerli, incontrarli sotto l’albero di gelso davanti alla casa dove Alda amava suonare il pianoforte. Era la casa in cui Michele Anneseè nato e cresciuto fino all’età di un anno. Nell’ottobre del 1983 Alda e Michele Pierri si sposano e vanno a vivere a Taranto. Alda è curata e protetta dal marito, che prima di andare in pensione era un medico, ex primario di cardiologia dell’ospedale Santissima Annunziata di Taranto…”. 

Una foto troneggia a corredo di un articolo e suscita emozione in chi ha lavorato alcuni anni battendo i tasti di una “Lettera 22” (cara a Adriano Olivetti e a Indro Montanelli ed esposta al MoMA di New York) prima dell’irruzione dei computer: una macchina da scrivere che non può nascondere i suoi anni.

Che bello, questo libro di Michele Annese. Bello e interessante. Lo si legge e lo si guarda con piacere. L’autore è meticoloso, attento, informato, colto. Non dimentica le feste patronali, il carnevale estivo, allestito dalla Pro Loco, il presepe vivente creato nelle grotte basiliane, la storia di Crispiano in un quadernetto degli anni 50-60, il Premio letterario Città di Crispiano, la banda musicale, il gemellaggio con la Grecia, l’esemplare figura dell’editore Nunzio Schena, la cui casa editrice ha sfornato migliaia di volumi sulla Puglia, compreso questo, e neppure i pittori, come Franco Palazzo, artista d’avanguardia che espone in tutto il mondo, i briganti, tra cui Pizzichicchio, al secolo Cosimo Mazzeo,  catturato nella gola del camino della masseria Belmonte (è anche il titolo di un godibilissimo libro di Franco Zoppo). 

Libro da tenere bene in vista in libreria: una fonte inesauribile di fatti, dati, esperienze. Ogni pagina una notizia, decine di foto: il Premio Crispius, il volume “Le cento masserie”, recital, iniziative nei cortili delle masserie con esposizioni di opere eseguite da artigiani di grande valore, tra i quali Mimino Miccoli con i suoi don Chisciotte e altre sagome eseguite con pezzi metallici, serate con la presenza di finti briganti con fucili in spalla. 

Nel salone della Biblioteca “Carlo Natale” fu anche presentato il volume “Recupero e Valorizzazione delle gravine di Crispiano”. Potremmo continuare, ma purtroppo le pagine di un giornale non sono di gomma. È doveroso aggiungere che c’è anche una pagina tratta dall’intervento di Nico Blasi, direttore di “Umanesimo della Pietra”, eccellente rivista che da anni si pubblica a Martina Franca, in un incontro per le celebrazioni del centenario dell’autonomia del Comune di Crispiano.

La presentazione è di MicheleCristella, giornalista caporedattore al “Corriere del Giorno”, quotidiano di Taranto purtroppo estinto; la premessa di Anna Sorn. In evidenza un pregevole scritto di una deliziosa e bravissima giornalista, Anita Preti, che si legge sempre volentieri. Anita fa la storia della Biblioteca “Carlo Natale”, di Michele Annese, del suo amore per i libri… Parte dal ’64, quando lui stava per affrontare mille chilometri di strada ferrata per andare al Nord a prendere il posto che gli aveva assegnato un concorso. Ma a Crispiano occorreva un uomo come lui, capace di dar corpo alla biblioteca e lo supplicarono di restare. E lui s’imbarcò in quell’avventura che succhiò tutte le sue forze, la sua intelligenza, la sua attrazione per Crispiano.

La sua mente fervida ha partorito una pletora di imprese, che hanno sempre riportato successo. Ricordo uno spettacolo musicale nella masseria “Monti del Duca”, dove il pianista suonava con una mano sola perché l’altra era infortunata (presentava alla grande Anna De Marco, una delle collaboratrici della Biblioteca); e la serata per il libro “Puglia, il tuo cuore” di Giuseppe Giacovazzo nella “Monti del Duca”, con la sua austera torre di vedetta, la chiesa, lo stemma, gli animali, la bellezza della struttura….  

Tutto quello che ho conosciuto a Crispiano, uomini e luoghi, lo devo a lui, a Michele. Con lui ho partecipato a sagre ottimamente allestite (quella del fungo, quella del peperoncino, ideata e realizzata dagli Amici da sempre, con il professor Biagi, espertissimo di “diavulicchie asquande” a mostrare preziosità internazionali nel suo stand). Ho conosciuto il gruppo musicale Crispianapolis, un professore dell’università di Amsterdam, autore degli scavi nella masseria Amastuola; ho visitato il Centro montaliano, da lui creato. Insomma Michele Anneseè stato per me anche un premuroso cicerone. Mi resta da visitare la sede dell’Università del Tempo libero e del Sapere, istituita da lui e dalla moglie, la giornalista e professoressa d’italiano Silvia Laddomada dopo l’uscita dalla Biblioteca.

Presentato il docufilm di Alex Infascelli "Mi chiamo Francesco Totti"

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È stato presentato ieri alla festa del cinema di Roma, il docufilm sul Capitano della Roma Francesco Totti.
Assente il protagonista per via del lutto che l'ha colpito. In sala il regista ed i produttori evidentemente emozionati hanno raccontato di questa straordinaria esperienza.

Come nasce il film?
"Nasce per empatia, dice il regista Alex Infascelli, per la relazione che c'è tra Roma ed un grande calciatore. E' un film particolare che rappresenta una parte della nostra vita dove non si racconta solo il giocatore, ma soprattutto l'uomo, una presenza romanesca, un mito senza tempo che questa città ama con tutto il cuore".

Come è stato realizzato il progetto? Francesco ha messo del suo nel film? Voglio dire: ha partecipato alla scrittura o alla regia?
"Questo film è stato un duetto e non poteva essere da meno. Posso dire che Totti è stato un co-regista ed è arrivato nel momento in cui lui aveva voglia di raccontarsi. Lui ha dato tanto al progetto e senza di lui non potevo raccontarlo. Non è soltanto un film, ma un viaggio di emozioni e di ricordi che lo spettatore percepisce dal calore delle parole di Francesco. Non volevo riprendere il protagonista, ma volevo ascoltarlo: così ci siamo seduti davanti ad un caffè a casa sua ed ho posizionato il microfono sopra le nostre teste: non volevo fosse percepita come un' intervista ma come una chiacchierata tra amici, che risultasse vera e profonda. Per questo motivo ho voluto la stanza in penombra, volevo che Francesco fosse completamente rilassato e immerso nei suoi pensieri e ricordi, volevo ascoltare la sua coscienza!".

Si può definire Francesco Totti, Cristologico?
"Francesco proviene da una famiglia ipercattolica, ma viviamo anche in una città simbolo del cristianesimo ed è la sua vita è stata un pò come una missione in questa città!"

Con quale aggettivo definisci Francesco Totti?
"Vicino, familiare, un uomo  che rappresenta per tutti un punto di riferimento".

Come sarà distribuito il film?
"Attraverso la piattaforma, la tv ed il cinema e speriamo in questo periodo particolare causato dal Covid-19 che Francesco Totti, faccia il miracolo di riportare il pubblico in sala!". Emanuela Del Zompo.

Stardust racconta l'icona David Jones in arte David Bowie

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Un film diretto da Gabriel Range che vede protagonista Johnny Flynn nel ruolo del Duca Bianco.

1971 Stati Uniti d' America. David Bowie intraprende un tour per lanciare la sua musica ed il suo alter ego Ziggy Stardust.

Il film è un viaggio intimo dove fragilità e demoni interiori sottolineano la sua vita e la sua arte. 

Vestito con abiti femminili, tacchi ed ombretto, il giovane cantante è costretto da un agente ad esibirsi in locali e feste anonime e neanche i giornalisti, quelli che contano lo apprezzano. Anche l'incontro con Andy Warhol e Lou Reed lo deludono: mentre dorme in motel degradati, il fantasma del fratellastro Terry Burns lo tormenta con la sua pazzia. Affetto da schizofrenia entrava ed usciva dagli ospedali come le zie. Bowie spaventato di aver ereditato lo stesso male della famiglia inizierà a sdoppiare la sua personalità è questo sarà forse l'inizio del suo successo.


Non può mancare la scena della tanto sospirata intervista a Rolling Stones dove alla domanda del giornalista sul messaggio della sua musica, David risponde che la musica rock deve essere come una prostituta, un pierrot ed un clown.

Il film non ha avuto il consenso degli eredi e del figlio di David Bowie che non hanno concesso l'uso dei brani musicali dell'artista. L'attore-cantante Johnny Flynn riesce a dare una buona interpretazione del personaggio soprattutto nel finale dove David-Ziggy si presenta al pubblico con tanto di chioma rossa e abito che lo fa sembrare un alieno. E' il momento in cui il pubblico lo osanna a star e Bowie entra nella leggenda!

Tutto sommato il film presenta un uomo e le sue debolezze e i tanti fallimenti prima di arrivare al successo! "Basta che ci creda uno e noi siamo in due!" (il suo agente a Bowie).

Supernova, Harry McQueen racconta il viaggio dei sentimenti di una coppia omosessuale

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Colin Firth e Stanley Tucci in un film drammatico che racconta l'amore, la malattia e la musica.

La storia ambientata in Inghilterra per lo più ripresa in viaggio con un camper, esplora i luoghi dove è nato l'amore della coppia gay e si sofferma ad un festival di musica. 

Qui Sam (Colin Firth), un famoso pianista scopre che il suo compagno Tusker, uno scrittore ( Stanley Tucci) gli ha registrato un audio d'addio prima di suicidarsi. Non sopportando più il dolore della malattia e non volendo essere un peso per il suo amato, egli decide di porre fine alla sua vita, ma Sam scopre in tempo il piano di Tusker e cerca di dissuaderlo dalla sua scelta, senza riuscirci. Quindi prima dell'ultima melodia che Sam ha deciso di interpretare in memoria del suo compagno affronta la decisione di Tusker chiedendo di essergli vicino fino all'ultimo suo respiro. 


L'arte riflette l'amore dei due in un tempo che sfugge velocemente nella storia. Il film trae ispirazione da una storia vera dice il regista che qualche tempo prima aveva conosciuto una signora con cui lavorava, affetta da demenza precoce. In meno di un anno la donna è cambiata e la malattia l'ha portato prima sulla sedia a rotelle e poi in meno di un anno alla morte. Il film sarà distribuito in Italia da Lucky Red.

Il messaggio della pellicola è chiaro: l'universalità dell'amore e del dolore che in un mondo ideale non fa distinzione di qualunque sia la natura della coppia. "Voglio essere ricordato per come sono ora e non per cosa diventerò!" (dalle parole di Tusker a Sam).

Tv, Noemi Gherrero conduce "Le parole per dirlo": sarò me stessa e basta. L'intervista di Fattitaliani

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Stamattina ha preso il via il nuovo settimanale di Rai3 Le parole per dirlo, in onda ogni domenica dalle 10.20 alle 11.10. Un appassionante viaggio nella lingua italiana per raccontare il nostro modo di parlare nei suoi aspetti più vitali e concreti. Condotto da Noemi Gherrero con la collaborazione dei linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, indaga uno specifico ambito linguistico (cpolitica, pubblicità, social network...) con l’obiettivo di esplorare, attraverso gli usi verbali, i diversi aspetti della nostra quotidianità. Afferma Noemi Gherrero: "Al giorno d’oggi le parole sono importanti ed è fondamentale saperle usare. Assistiamo quotidianamente all’incapacità delle persone di relazionarsi, specialmente dei più giovani. La parola, usata nel modo giusto dà la possibilità a tutti noi di comunicare e arrivare alle persone. Il nostro non è solo un format sul corretto uso della lingua italiana, parleremo anche di linguaggi ed è questa l’arma vincente del programma perché faremo da lente di ingrandimento sulle realtà che fanno parte di noi.”. L'intervista di Fattitaliani.

Che cosa aggiunge questo programma alla tua formazione eclettica e poliedrica?
Certamente consolida un posizionamento che a lungo ho ricercato. Riuscire a trasferire competenze personali o, comunque, una visione del mondo approfondita e non necessariamente di tendenza, mi sembra l'aspetto più pertinente ed importante per quanto riguarda la mia figura.

Al di là di tecnicismi e dell'interesse specifico, quale formula "Le parole per dirlo" adotterà per attirare più spettatori possibili anche fra i giovani?
Io non studio formule prestabilite. Sono sempre stata una di poche strategie sia nella vita che nel lavoro. Ora più che mai, all'esordio di un programma nuovo, credo che impostare un'immagine fissa e da clichè è un formulario, un vocabolario da "statistiche e algoritmi" per dirla come Instagram e non è la scelta vincente, anzitutto perché siamo in prova tutti e poi perchè nessuno conosce bene le potenzialità del programma, nessuno conosce il target di riferimento. Inoltre, perchè questo è un programma informale, che vuole appositamente essere naturale e stimolante. Lo stimolo non nasce nella precondizione, le cose devono essere vissute. Io sarò me stessa e basta, con emozioni, piccole sbavature, fuori programma.

La presenza dei linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota non potrebbe rendere un po' troppo 'istituzionale' il programma? in che modo interagiranno con te e interverranno nella scaletta?

I due linguisti sono strepitosi. simpatici, piuttosto leggeri, con un loro ruolo riconoscibile. Sono parte attiva del programma, interverranno spesso e, comunque, ogni volta che si avrà bisogno di ascoltare l'esperto. Non dimentichiamo l'ospite, che è il perno centrale su cui regge la puntata. Non credo si corra il rischio di risultare pesanti.  Il registro è comodo e informale, pieno di colori.
Che opinione personale hai riguardo le parole, il linguaggio adoperato oggi in politica, nei giornali e sui social?
Abbiamo attraversato un momento, (e non ne siamo ancora usciti) di deriva culturale e linguistica soprattutto sui contenuti a mio parere, più che nella forma. Molti e in molti settori "pubblici" sentono l'esigenza di essere performanti e sentirsi  i numeri uno, quelli impostati, magri senza inflessione, freddi e lucidi come il ghiaccio, pensando che quello significa essere professionali. Io ci leggo invece molta finzione e carenza di sostanza. Non mi disturba tanto la forma nel linguaggio (coi dovuti limiti) quanto le posizioni spesso piuttosto mediocri.  

La forma e il parlare correttamente potrebbe aiutare anche a sviluppare concetti più ricchi e coerenti?

Questo è l'obiettivo, certo, e questo perché chi sa parlare, chi sa cosa dire ha una diversa capacità anche cognitiva e emozionale. Molto spesso chi non trova le parole giuste per dire qualcosa è chi non empatizza con gli altri, non ha scambi, non ha confronti. Contestualmente, chi impoverisce il proprio lato affettivo-cognitivo, è chi ha poi anche un vocabolario poco ricco. Le due cose sono collegate. La parole è lo strumento più importante di cui un essere umano è dotato. Una parola cambia il corso della storia.
Laureata in relazioni internazionali, hai avuto modo di verificare personalmente l'uso 'diverso' che diversi Paesi fanno della propria lingua?
Domanda stimolante. Personalmente no, non sono entrata mai nello specifico almeno sotto il profilo linguistico. Diciamo che la mia formazione mi permette di osservare che tendenzialmente una lingua si riconosce attorno a dei codici universali almeno nel cosiddetto mondo occidentale. Forse per chi disegna ideogrammi o scrive, al contrario, si cela una visione del mondo diversa. Io credo che sia la forma a cambiare poi la sostanza. Se pensiamo alle parole chiave, alla demagogia e al populismo dei linguaggi nelle dittature, credo che tutto si giochi dietro alle abilità di piegare la storia alla parola. Giovanni Zambito.

BIOGRAFIA NOEMI GHERRERO

Laureata in Relazioni Internazionali e Diplomatiche all’Università L’Orientale di Napoli, non ha mai smesso di pensare che la propria formazione accademica potesse incidere notevolmente sull’approccio alla dimensione artistica. Appassionata di simbolismo, psicologia e antropologia culturale, ha portato avanti contestualmente iniziative artistiche sperimentali che avessero un certo riflesso sulla socialità e percorsi più classici legati al mondo del teatro, dell’audiovisivo e della televisione.
Noemi Maria Cognigni, nata a Napoli nel 1988,( in arte Noemi Gherrero), si è avvicinata al mondo dello spettacolo nel 2009, attraverso il musical. In ambito teatrale ha partecipato a decine di spettacoli. Si è esibita al teatro Bellini nel dramma Arteriosclerosi, di Dalia Frediani; è stata protagonista dell’opera My Self, messa in scena al teatro Totò di Napoli; ha affiancato il cantautore Povia in una performance artistica tenuta al teatro Sannazzaro di Napoli e si è cimentata in numerose performance live centrate sulla contaminazione dei generi e delle arti in location prestigiose quali la Galleria Borbonica di Napoli e il PAN. Nel 2019 è Vera Stella nel classico “Ecco… Francesca da Rimini” diretta da Giacomo Rizzo. Nel 2020 si esibisce nella drammaturgia di Antonio Mocciola, in uno spettacolo a due “Dove colpire” assieme a Diego Sommaripa, in cui viene fuori la grande fame di esprimersi in contesti sempre più labili, dove il borderline dei personaggi e il borderline della messa in scena la fanno da padrone nella realtà del teatro dell’assurdo.
Spinta dal costante bisogno di cimentarsi in nuove sfide, dopo l’esperienza accademica nell’Accademia Artisti a Roma, prende
parte a varie masterclass: col casting director Roberto Bigherati, col regista Vincenzo Marra e con l’americana Ivana Chubbuck.
Noemi non si è fermata però al teatro: protagonista di quattordici cortometraggi, fra i quali “La ricchezza di Napoli”, diretto da Loris Arduino e premiato al Sud Film Festival nel 2018 in cui affianca Federico Salvatore nel bravissimo Pulcinella, Noemi è legata soprattutto al cinema indipendente- da Gramigna di Sebastiano Rizzo a Magari resto di Mario Parruccini- da Passpartù-operazione doppiozero che ha riscosso notevole successo in piattaforme quali Amazon, a Lui è mio padre con la regia di Roberto Gasparro. Ha lavorato con attori quali: Giacomo Rizzo, Gianluca Di Gennaro, Michele Riondino, Federico Salvatore, Emiliano De Martino, Julia Mayarchuk, Gianni Parisi. In televisione spiccano partecipazioni a “I bastardi di Pizzofalcone”, “Non dirlo al mio capo” e “Mare fuori”, prodotte dalla RAI e la docufiction” Il giorno del giudizio”, prodotta dalla No Panic e trasmessa su Lanove Sky.
Personalità poliedrica, Noemi è impegnata anche come presentatrice televisiva e conduttrice di eventi importanti. E' stata co-conduttrice nelle trasmissioni televisive sportive In Azzurro, Tifosi e Si gonfia la rete; nonché In casa Napoli e Goal di notte di Michele Plastino passando per una breve seppur fortunata parentesi in Telelombardia. Ma ha condotto anche eventi di alto spessore culturale e di intrattenimento fra cui “ Le giornate del cinema di Napoli “ svoltesi al teatro Mercadante di Napoli, il Gobeer con la partnership di radio CRC , il Festival della Letteratura in Nola e il Festival del cinema di Fano. Nel 2019 conduce il “ Mercurio d’argento” primo festival della musica cinematografica a Massa Carrara. Nel 2020 è sul palco dell’evento “Restate a Napoli”, patrocinato dal Comune di Napoli in
partnership con Made in Sud, in cui ha una serata a sé dedicata assieme a Francesco Mastandrea. –Seguono poi le ultime serate culturali nel Chiostro di San Domenico Maggiore in cui intervista e introduce artisti di certo rilievo musicale.
Madrina nazionale del Giro rosa nel 2018, Noemi è anche modella e lavora molto attraverso la fotografia. Testimonial in passato di svariati brand, è apparsa anche su copertine di riviste nazionali quali quella di For Men senza rinunciare al percorso di ricerca legato alle foto d’arte e di autore. Tra queste per esempio, il nudo artistico nell’architettura con la supervisione dell’architetto Francesco Scardaccione e foto del fotografo Roberto Pierucci e la mostra fotografica di Marco Ricci, esposta a Palazzo Venezia nel 2019. Nel 2020 Noemi è ideatrice del concept e della mostra fotografica “Scomposizioni e fughe nell’anima:arte pandemica” alle Officine Garibaldi di Pisa. Il concept nasce come risposta al periodo della quarantena e Noemi è anche protagonista degli scatti ed è autrice di una performance sulle foto.
Attualmente scrive per un giornale on line EurasiaNews, in cui si occupa di notizie dal mondo e di attualità e cultura e si sta dedicando ad un’inchiesta riguardante la sessualità con particolare sguardo alla sessualità nella disabilità, col supporto di testimonial e associazioni.
Iscritta SIAE nella sezione DOR, ha nel cassetto un romanzo, scritto a quattro mani con Marco Peluso.
Prossimamente sarà impegnata sul set di un film di Chiara Sani e su Raitre come conduttrice di un programma sulla lingua italiana.

La mafia ci rassomiglia

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L’editoriale di Daniela Piesco, avvocato, su Il Corriere Nazionale.net, giornale internazionale on line diretto da Antonio Peragine
Vale la pena sottolineare che la ricerca dei significati del termine “Mafia” sia una ricerca necessariamente complessa, in quanto, da un punto di vista criminologico e socio-culturale, va di pari passo con la ricerca delle radici culturali, storiche e antropologiche del fenomeno sostanziale.

La mafia è un fenomeno antico, complesso e mutevole nel tempo, la cui esistenza per lunghi periodi è stata negata. 

È un fenomeno che cerca di rendersi invisibile ma al tempo stesso ha la necessità di essere percepito dalla società come presente e condizionante. È un fenomeno camaleontico e mimetico, nel contempo sempre profondamente uguale a se stesso, le cui specificità antropologiche, culturali e psicologiche caratterizzano il pensiero mafioso come unico ed inconfondibile.

La parola mafia cela uno stato d’animo, una filosofia della vita, una concezione della società, un codice morale, dati che costituiscono un modo di essere e di pensare che appartengono non solo agli uomini di una determinata organizzazione criminale ma che attraversa l’intera cultura locale.

Ciò premesso, l’approccio migliore per la comprensione del fenomeno è capire che l’identità e il modo d’essere di una persona si formano dall’incontro tra l’individualità psichica e biologica e la cultura di riferimento, prima di tutto la famiglia e i valori di cui essa è portatrice.

Questa area di indagine è stata definita da Innocenzo Fiore “il pensare mafioso”, quale sintesi dei significati relativi al modo di essere e di sentire, di guardare la vita, di creare e mantenere rapporti, di acquisire e trasmettere il sapere, tipici della cultura di appartenenza. E dunque prendendo a prestito le parole di Giovanni Falcone “se vogliamo combattere efficacemente la mafia non dobbiamo trasformarla in un mostro, né pensare che sia una piovra o un cancro. Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia”.

L'illustre giurista, chiaramente si riferiva ad ogni atteggiamento e comportamento, da chiunque adottato, di sopraffazione e disonestà che legittima i traffici economici e politici della criminalità organizzata e dall’omertà, anche istituzionale, che ne deriva.

Piuttosto, ancora, Giovanni Falcone, “per lungo tempo si sono confuse la mafia con la mentalità mafiosa”, poiché il mafioso non s’identifica col criminale in senso stretto ma con il cd ’uomo d’onore.' E dunque c'è la rappresentazione interna di un mondo buono formato da uomini d’onore (e perciò rispettabili) ed uno esterno malvagio (che costringe alla difesa dal diverso da sé) e l’identità mafiosa è l’alternativa “all’essere nessuno”.

La mafia ci rassomiglia in quanto indica un modus vivendi di cui tutti possiamo essere protagonisti con atteggiamenti e/o comportamenti che tendendo ai favoritismi e al clientelarismo, umiliano merito e capacità. In ogni caso rassomigliare non significa essere uguali. Un cambiamento è dunque possibile. 

La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. La scuola è strategica per combattere mafia e il pensare mafioso perché le mafie si combattono e si vincono solo se si conoscono. 

Insegnare la cultura della legalità è diventato un compito difficile, nonostante il proliferare negli ultimi anni di associazioni e movimenti in suo favore. Appare sempre più evidente che educare le giovani generazioni al rispetto delle regole e alla convivenza, richieda dei processi lunghi e complessi, che non si esauriscono con delle sporadiche "giornate per la legalità". La soluzione verso un progressivo e lungo cambiamento risiede nelle limpide parole del giudice Caponnetto: "La mafia ha più paura della scuola che della giustizia". Ed è da lì che bisogna partire, dalla scuola, dall'istruzione, dall'educare le coscienze al giusto, dall'insegnare cosa siano le mafie, come agiscano, come si siano sviluppate e come continuano ad operare.

L'istruzione toglie il terreno sotto i piedi alla cultura mafiosa."

Se una società avesse come valori sono quelli che insegna (o dovrebbe insegnare) la Scuola la massima aspirazione di una persona non sarebbe la ricchezza, non il potere, ma sentirsi una brava persona, indipendentemente da tutto il resto.

La scuola ha il compito, attraverso l’educazione e la cultura, di insegnare ai più giovani quali sono i valori cui tendere.

Ecco, se la Scuola per assurdo riuscisse davvero a insegnare il rispetto di tutto questo, non esisterebbe la Mafia. Certo, questa, oggi, pare essere utopia. Però può e deve fare la sua parte. Come le altre istituzioni, prima tra tutte la famiglia. 

Daniela Piesco - www.corrierenazionale.net

redazione@corrierenazionale.net

Sam Onso presenta l'album "Lockdown Lion". L'intervista

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Alex Redsea è un artista di origini libanesi. Insieme a  Uber Cavalli (basso fretless) e J.M. Le Baptiste (batterista dei Frigidaire Tango) dà vita al progetto Sam Onso & The Kiters. Hanno già pubblicato quattro album per la Keinworinderwelt Records. Ora propongono il loro lavoro in Italia con Lockdown Lion, una selezione dei primi quattro album che riunisce vari stili legati al rock, dalle ballate psychedeliche a tracce più hard di matrice tipicamente blues. L'intervista.

Parlaci dell'album. Che impronta hai voluto dargli?

L'ultimo album pubblicato si intitola "LOCKDOWN BLUES" e come si evince dal titolo, ha un'impronta tipicamente blues.

Quali sono i tuoi cantanti di riferimento?

Ho ascoltato molta musica a partire dagli anni 60 fino a quella attuale. Il blues è stato sicuramente un riferimento (Zeppelin-Hendrix-ecc) ma importanti per me sono stati anche Neil Young, west coast in genere come pure Battisti-Finardi-Area e moltissimi altri tra i quali D. junior Nirvana sound garden come Radiohead.. Qual è l’esperienza lavorativa che più ti ha segnato fino ad ora?

Tutte le esperienze lavorative hanno avuto importanza in un modo o nell'altro. Si impara sempre qualcosa se ci si applica in quello che si fa

Invece quella mai fatta e che ti piacerebbe fare?

Scrivere musica per altri artisti

Progetti futuri? 

Il prossimo lavoro sarà un concept album che penso sarà doppio, intitolato" Three Brothers". Ci vorrà un anno per completarlo e comprenderà brani scritti negli anni 70" con il mio gruppo di allora e brani nuovi.  


Antonio Marfella, recensione de “I miei cento passi nelle Terre dei Fuochi”

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di Emanuela Medoro - Il libro “I miei cento passi nelle Terre dei Fuochi” raccoglie articoli scritti dal luglio 2014 al marzo 2020 dal Dott. Antonio Marfella, scienziato e filosofo. I cento passi sono un percorso di ricerca nel campo sanitario e ambientale principalmente nelle provincie di Napoli, Caserta e Salerno.
Iniziò nel 2006, quando il magistrato Federico Bisceglia, che indagava su problemi dell’ambiente, morì per un misterioso incidente automobilistico. La lettura del libro illumina la relazione esistente fra borse, scarpe e vestiti venduti a 20 euro o anche meno e il numero sempre crescente di malati con malattie cronico degenerative, cancri e tumori più o meno trattabili.

 Riporto per cenni il contenuto degli articoli, tutti complessi e documentati da numeri e grafici. La frase “Terre dei fuochi” indica: “smaltimento illegale tramite roghi dimanufatti del settore pelletterie, scarpe e borse prodotte in regime di evasione fiscale” (genn.2016). Nel maggio 2018 il significato è ampliato“… presa di coscienza civile del fenomeno di smaltimento scorretto non dei rifiuti urbani ma dei rifiuti speciali, industriali e tossici…”  27 agosto 2018: “E’ Terra dei rifiuti speciali senza impianti, senza controllo e con licenza diuccidere” gli uomini, non le “pummarole”, da circa trent’anni.

 Ho trovato una parola per me nuova (16 febbraio 2015): il verbo tombare e il sostantivo tombamento profondo. Indicano la tecnica di seppellimento di scorie tossiche, tombate in gran profondità e coperte da uno strato di terra tanto spesso da non contaminare i terreni agricoli. Insomma, il lavoro è fatto con scaltrezza, la “pummarola” e le bufale sono pulite e sane, la pizza è salva e tutelata, molto meno le persone.

 Citato spesso il maxi-inceneritore di Acerra, un mostro gigantesco, grande otto volte più degli altri costruiti in Italia, che “…incenerisce non meno di 700mila tonnellate di “munnezza” …e produce 150mila tonnellate di ceneri tossiche da smaltire senza tracciabilità certa” (13-11.2019). Serve a coprire, incenerendo ogni prova, anche gli scarti tossici delle attività manifatturiere in nero.  A ciò si accompagna la totale mancanza in Campania di impianti specifici a norma per il trattamento di rifiuti industriali tossici, sebbene ci siano state ripetute richieste nelle sedi istituzionali, Parlamento compreso. Richieste finora non ascoltate, sottostimate e anche denigrate (19-2-2018).

 L’articolo del 14 apr. 2017 dà la dimensione degli affari delle ecomafie, in costante aumento per le vendite online: “…dobbiamo stimare a non meno di 6mila tonnellate al giorno i rifiuti specialiprodotti in regime di evasione fiscale da smaltire obbligatoriamente in modo illegale con danno certo alla salute pubblica.” Da aggiungere che gli operai di queste attività producono “a nero” scarpe, borse e vestiti anche delle migliori marche, per 25 euro al giorno.

Lo studio delle cause ambientali della crescente diffusione di alcune malattie gravissime, non casuali, è un modo originale e personalissimo di collegare le esigenze dei cittadini con gli enti locali e lo stato. Per questi l’autore parla di “una continua omissione e/o sottovalutazione del problema ambientale che va contrastata con tutte le nostre forze…” (maggio 2018). “Cancelliamo il termine “Terra dei Fuochi”, ha tuonato il Presidente De Luca in difesa delle “pummarole” proprio durante un immane ennesimo rogo di rifiuti speciali (8 sett. 2018).

La copertina del libro mostra l’immagine di una discarica da cui nasce un braccio con una mano circondati da tanti cuori, la chioma di un albero nato da un mucchio di rifiuti. Bella immagine del pensiero dell’autore che destina i suoi diritti alla diffusione nelle scuole e tra i medici della “Laudato Sì”, la enciclica in cui Papa Francesco spiega l’importanza di una ecologia integrale. Una bella immagine di Papa Francesco circondato da bambini delle Terre dei Fuochi dipinta da Jorit su un muro di Napoli sarebbe un simbolo efficace e duraturo del suo impegno civile.  

Nelle ultime pagine del libro l’autore propone una personale modifica del testo di “Fratelli d’Italia” (21-11-2019), perché: “La munnezza tossica ormai nel sangue degli italiani del nord e del sud ci ha reso fratelli molto più del sangue versato dai nostri eroi del Risorgimento”. Cito infine la lettera a Luciano De Crescenzo che lui spera di poter salutare un giorno “nello sfolgorio abbagliante dell’azzurro del mare della Costiera amalfitana”. Con questa bella immagine della sua terra, il Dott. Marfella insieme a Luciano De Crescenzo, dopo la tragedia della Terra dei Fuochi, ci fa sorridere.

 

La ballata dei matti regia di Lorenzo Gioielli a Spazio Diamante 21 e 22 ottobre 2020

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Sarà in scena a Spazio Diamante il 21 e 22 ottobre 2020, nell’ambito di “I Classici del Secolo Futuro”, lo spettacolo,LA BALLATA DEI MATTI da “Il tenace soldatino di stagno” di H.C. Andersen, drammaturgia Daniele Prato, movimento scenico Alberto Bellandi, regia Lorenzo Gioielli. Scritto ed interpretato da: Cristiano Arsì, Michele Breda, Teresa Canciello, Diletta Cappannini, Alessio Dantimi, Flaminia Gai, Manuela Milia, Eduardo Rinaldi, Simona Vaira.

Antonio Viscardi è convinto di aver perso una gamba in una guerra che non ha mai combattuto e per questo viene chiuso in manicomio. Lì incontra Eva, una ex ballerina, bellissima e muta di cui s'innamora perdutamente. Ma conquistare il suo cuore non sarà affatto semplice, soprattutto se il destino e una psichiatra cattivissima decidono di mettersi in mezzo. È una storia folle, questa, come i personaggi che la abitano, è un racconto irriverente, paradossale dove essere matti vuol dire essere liberi. 

Classici del secolo futuro

La Stap Brancaccio ha compiuto un altro passo avanti nella coniugazione tra formazione e professionismo, obiettivo dichiarato del Terzo anno dell’Accademia Stap Brancaccio, tramite la collaborazione anche di registi e drammaturghi esterni al percorso didattico dell’accademia stessa.

I “Classici del Secolo Futuro” restituiscono il nucleo pulsante e vivo del concetto stesso di “classico”. Si occupano della riscrittura i diplomandi attori del terzo anno della Stap Brancaccio, Accademia di recitazione, drammaturgia e regia. Li accompagneranno in questo cammino Lorenzo Gioielli, Marco Carniti, Bartolini/Baronio, Katia Ippaso, Virginia Franchi e Daniele Prato. Con il ciclo “I Classici del secolo futuro” la Stap Brancaccio afferma fortemente di credere ad un teatro giovane, popolare, emozionante.

SPAZIO DIAMANTE

21 e 22 ottobre 2020

LA BALLATA DEI MATTI

da “Il tenace soldatino di stagno” di H.C. Andersen

drammaturgia Daniele Prato
movimento scenico Alberto Bellandi
assistente alla regia Lucia Gioielli

regia Lorenzo Gioielli

scritto e interpretato da: Cristiano Arsì, Michele Breda, Teresa Canciello, Diletta Cappannini, Alessio Dantimi, Flaminia Gai, Manuela Milia, Eduardo Rinaldi, Simona Vaira

STAP

https://stapbrancaccio.com/

INFO: 
tel. 06.87671757 cell.
340 6716474

SPAZIO DIAMANTE
Via Prenestina 230B - tel. 06 27858101

Prezzo biglietti 8 euro

Ingresso obbligatoria per via delle vigenti normi in materia di prevenzione dal covid

INFO E PRENOTAZIONI: 
tel. 06.87671757 cell. 340 671647

Trasporto Pubblico

Con l’autobus 150F, N12 – Fermata Prenestina/Conti

Con il Tram 5 / 14 / 19 – Fermata Prenestina/Conti

Con l’automobile è possibile parcheggiare sulla via Prenestina e strade adiacenti.

Taxi Stazione taxi Largo Preneste

Intervista a Gerardo Di Lella, Direttore D’Orchestra e “Maestro di Paste made in Italy”

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«Professionisti Geniali» di Roberta Cannata e Andrea Giostra - La Rubrica «Professionisti Geniali», arrivata alla 8^ di 10 puntate con l’intervista a Gerardo Di Lella, Direttore d’Orchesta, si pone l’obiettivo di “scovare” tra professionisti di alta qualità e di grande livello di responsabilità, delle personalità che, al di là del loro lavoro quotidiano, curano interessi e coltivano passioni che li rendono per certi versi unici, geniali appunto. “Unici” come la passione per “le paste mede in Italy” del Maestro Di Lella, che si cimenta come cuoco improvvisato, ma non tanto, quando in tournée all’estero ama deliziare i suoi amici dell’ottima cucina italiana. Buona lettura e buon divertimento a tutti i lettori… Roberta&Andrea

Ciao Gerardo, benvenuto a “Professionisti Geniali” e grazie per aver accettato il nostro invito. Nella vita professionale sei un famoso “Direttore D’Orchestra, Pianista, Arrangiatore e Compositore”. La Musica è il tuo mondo, ci racconti del tuo lavoro?

Mi sono ritrovato a fare questa professione dopo una serie di circostanze che mi hanno dato quella spinta necessaria per fare un cambio di passo molto importante nella mia vita. Ho iniziato a studiare musica a 4 anni con mio nonno che era un musicista, poi ho continuato a studiare composizione fino a diplomarmi in Pianoforte e in musica jazz. Avevo vent’anni ed un pomeriggio capitai per caso davanti al “Covo di Nord-Est”, il famoso locale di Santa Margherita Ligure dove si suonava musica dal vivo. M’intrufolai nel locale senza farmi notare e quel giorno accadde qualcosa di incredibile perché a pochi metri da me c’era il grande Barry White che provava con la sua Orchestra. Non credevo ai miei occhi, rimasi folgorato dalla spinta e dall’impatto sonoro che trasmettevano tutti quei musicisti messi insieme. Poi nel ‘91 decisi di fare un corso di pianoforte alla Jazz University di Ternie in quella occasione ebbi la possibilità di ascoltare le prove della Big Band diretta da Bruno Tommaso. Quel giorno capii che quello era il lavoro che volevo fare da grande, l’Arrangiatore e il Direttore d’Orchestra.

Oltre ad essere Direttore d’orchestra sei anche un Arrangiatore di Musica Extracolta, è un lavoro molto complicato ed articolato vero?

Sì, ci sono alcuni aspetti del mestiere dell’arrangiatore che definirei molto faticosi. Per trascrivere un brano di natura orchestrale occorre moltissimo tempo perché devi individuare tutte le linee dei singoli strumenti. Ricordo che da giovane per trascrivere New York New York, cantata da Sinatra e arrangiata da Don Costa, impiegai circa due mesi. Adesso sono più veloce ma resta sempre un lavoraccio, devo dire però che a lavoro finito ascoltando quello che ho scritto vengo investito dalla massa sonora di cui è capace solo l’orchestra e provo un enorme piacere che mi ripaga di tutti gli sforzi. 

Roma Caput Musicae Gerardo Di Lella Grand Orchestra:

https://www.youtube.com/watch?v=6Y6CZ6Y7T1U


Facciamo chiarezza, la figura del Direttore d’Orchestra di Musica Extracolta come si differenzia da un Direttore d’Orchestra di musica Classica?

La prima grande differenza sta nel fatto che il direttore di musica classica non si occupa quasi mai della scrittura e attinge direttamente alle partiture già scritte dai vari compositori, mentre chi fa musica extracolta, come me, è obbligato a scrivere l’arrangiamento del brano scelto e successivamente può dirigere quello che ha scritto. Questo comporta, quindi, da parte dell’arrangiatore, una competenza tecnica musicale-compositiva molto approfondita per poter affrontare i tantissimi stili musicali che a volte hanno grammatiche stilistiche totalmente diverse. Molto spesso il pubblico e gli operatori culturali ignorano questo aspetto e tendono a sminuire il lavoro di chi come me non dirige musica classica. Diciamo che se in musica classica un direttore d’orchestra può rivestire anche un ruolo politico (indipendentemente dalle sue capacità), nel mio contesto non può funzionare perché quello che scrivi non dipende da un Beethoven o da un Mahler ma direttamente da quello che hai scritto Tu.

Dal 1993 dirigi le tue formazioni: La Big Band, La Gerardo Di Lella Pop O’rchestra con 22 elementi e la Grand O’rchestra con 70 elementi, come scegli i tuoi musicisti? Quando preparate un Concerto quante ore di prove servono al giorno per arrivare alla perfezione?

La scelta dell’organico dipende sempre dal tipo di musica che devo eseguire. Per la mia musica ho bisogno di musicisti molto particolari, bravi e che abbiano la conoscenza di linguaggi diversi dalla musica classica, questo è un requisito fondamentale per raggiungere il giusto sound. Invece per montare un repertorio ex-novo solitamente convoco l’orchestra nei due giorni precedenti al concerto provando dalle 10 alle 18 con piccoli intervalli e pausa pranzo, anche dai tempi così stretti si intuisce che il livello tecnico dei musicisti deve essere eccellente.

Gerardo Di Lella Grand Orchestra plays "Gran Galà per il cinema italiano"

https://youtu.be/VHPOeKiYn1E

Con le tue Orchestre hai collaborato con i più grandi nomi della musica internazionale come Tony Hadley, Noa, Jarabe de Palo, Randy Crawford, Katia Ricciarelli e poi Claudio Baglioni, Biagio Antonacci, Edoardo Bennato e tanti altri ancora. Cosa vuol dire dirigere Artisti di questo livello? Come è strutturato il tuo lavoro con loro?

Sebbene ogni artista adotti una propria condotta di produzione in linea di massima la prima cosa da fare con loro è la scelta dei brani da eseguire, spetta invece a me l’onere di arrangiare il repertorio in questione per l’organico disponibile. Più è alto il livello dell’artista e più sarà alto il livello di responsabilità. Personalmente cerco sempre di dare il massimo indipendentemente dall’artista in questione.


Come Direttore d’Orchestra hai partecipato a diversi programmi ed eventi televisivi come Sanremo, Concerto di Natale, I David di Donatello e ultimamente Miss Italia su Rai 1. Ti piace fare televisione? Qual è la differenza tra uno studio Tv e il Teatro?

Tutte e due i contesti sono affascinanti per motivi molto diversi. Quando fai televisione il tuo unico giudice è il team composto da autori e regista ed è paradossale invece che non lo sia quasi per niente il pubblico che è a casa. In teatro invece l’unico riferimento è proprio e solamente il pubblico presente in sala, questo ti fa sentire molto più libero di agire. In televisione la cosa più importante è l’immediatezza mentre in teatro la qualità.

 

Gerardo Di Lella Big Band & Jarabe De Palo y Malika Ayane Concerto di Natale:

https://www.youtube.com/watch?v=cJaC2pYsv0U

 

Una vita sotto i riflettori calcando i palcoscenici più importanti, quali sono i ricordi più belli?

Devo dire che sono tante le emozioni che mi hanno lasciato un segno, le prime che mi vengono in mente sono quando ho fatto il tour con Diane Schuurin Sicilia, due concerti meravigliosi a Catania e Palermo. Un altro evento emozionante è stato con Gloria Gaynor al Centrale del Tennis al Foro Italico, tutta Roma era lì in piedi a ballare con noi. Nel 2015 poi con Tony Hadley abbiamo fatto il memorial concert per Frank Sinatra e fu un’emozione bellissima per me per Tony. Poi con lui ci siamo rivisti sul palco per eseguire il “Best” del repertorio degli Spandau Ballet. Con Arturo Sandoval, vincitore di 10 Grammy Award, abbiamo fatto un concerto sull’isola Tiberina dove il pubblico rimase incantato dall’atmosfera magica che si venne a creare, pensate che per ascoltare il concerto la gente si affacciava dal lungotevere bloccando anche il traffico.

La Musica e i tuoi nuovi progetti, ci dai qualche anticipazione?

A settembre stiamo organizzando due concerti dedicati alla musica del cinema, un omaggio ai Grandi Federico Fellini ed Alberto Sordi, il giorno 2 settembre saremo a Maiori e il 3 ad Avella in Costiera Amalfitana. Appena usciremo da questa situazione post emergenza sanitaria spero di riprendere con la mia attività di sempre e produrre concerti unici dove intorno all’orchestra ruotano artisti di fama internazionale, un po’ come in America fa il grande David Foster. Sto continuando inoltre a lavorare per portare il Concerto di Capodanno di Roma in televisione in modo da avere anche noi un concerto dai contenuti tutti italiani e che possa essere una valida alternativa a quello tradizionale di Vienna.

 

Gerardo Di Lella Grand Orchestra plays " La Musica del Cinema italiano nel mondo"

https://youtu.be/FCa8HE5E0wA

 

Chi è invece Gerardo nella quotidianità, nella vita al di fuori del lavoro?

La mia quotidianità è cambiata un anno e pochi mesi fa con la nascita di mio figlio, un’emozione bellissima quanto inattesa alla mia età! Direi che la mia vita è cambiata totalmente in modo repentino, ho ridotto le uscite serali e passo tutto il tempo con lui e con la mia compagna. Il lockdown poi mi ha dato la possibilità di stare h24 con Lui e non sarebbe mai potuto succedere in un regime di vita normale, l’unico aspetto positivo dell’emergenza sanitaria.

Come ben sai Noi siamo alla ricerca di “Professionisti Geniali” e Tu lo sei al 100%. Ti abbiamo definito “Il Direttore d’Orchestra maestro di Paste made in Italy!”. Sappiamo che quando sei in tournée in giro per il mondo ti piace cucinare e far assaggiare agli Artisti internazionali, con cui collabori, le tue famose “pasta e fagioli & pasta e ceci”rigorosamente made in Italy! Come nasce e come coltivi questa passione?

Diciamo che proprio grazie alla permanenza forzata a casa ho riscoperto una passione molto importante e che mi aveva dato molte soddisfazioni soprattutto quando abitavo all’estero… cioè la cucina. Voglio subito chiarire che non sono un cuoco e che posso cimentarmi solo in pochissime pietanze, quelle più “terra terra”, la pasta e le frittate! Sono delle banalità, è vero, ma viaggiando molto ho avuto modo di verificare che anche in un piatto semplice la qualità può fare un’enorme differenza. Fare un buon piatto di pasta e ceci, per esempio, non è così semplice come sembra. Cucinare un buon piatto di pasta al pomodoro sembra facile ma anche lì si può fare la differenza, lo stesso vale per la carbonara, pasta e lenticchie e pasta e fagioli. Per quanto riguarda le frittate io adoro la frittata di asparagi e quella con le cipolle, sono cucine poverissime ma di sicuro se fatte bene sono buonissime e ti saziano molto più di tanti piatti sofisticati.

Per quali colleghi e artisti hai cucinato in giro per il mondo? E in quali occasioni e dove? Raccontaci qualcosa per incuriosirci…

Devo dire che in varie occasioni mi sono giocato con grande successo la mia italianità all’estero proprio attraverso la cucina. In Svezia mi facevano assaggiare tutti orgogliosi degli spaghetti letteralmente “immangiabili”e a quel punto quando ho cucinato i miei spaghetti al pomodoro o la mia pasta e fagioli li facevo letteralmente impazzire. Ho cucinato per i colleghi e quando posso lo faccio ancora con grande passione e divertimento.

 

Gerardo Di Lella Jazz Orchestra meets Diane Schuur:

https://www.youtube.com/watch?v=0EzPph_EH_g

 

Il tuo segreto in cucina quando prepari questi gustosissimi piatti? Vogliamo una ricetta in musica!

Mah, dei segreti ovviamente non si parla … posso solo dirti che quando cucino sono molto pignolo e seguo con la stessa attenzione e cura tutte le fasi della cottura, mi riferisco alla preparazione dei singoli ingredienti prima di metterli insieme. Le proporzioni tra sedano cipolle, aglio, sale, zucchero, pepe o peperoncino… sono fondamentali. Parliamo di sciocchezze ma su questi piatti non temo nessuno modestamente!

Nel gigantesco frontale del Teatro Massimo di Palermo c’è una grande scritta, voluta dall’allora potente Ministro di Grazia e Giustizia Camillo Finocchiaro Aprile del Regno di Vittorio Emanuele II di Savoia, che recita così: «L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire». Tu cosa ne pensi di questa frase? Davvero l’arte e la bellezza servono a qualcosa in questa nostra società contemporanea tecnologica e social? E se sì, a cosa serve secondo te oggi l’arte e l’arte della musica in particolare?

Come si fa a non essere d’accordo col significato di questa bellissima frase! L’arte nel momento in cui ti penetra, magari guardando un quadro o una scultura, oppure ascoltando qualche suono, insomma ti metti immediatamente a pensare dentro di te, chi altri può scaturire tale reazione in un essere umano? La sensibilità deve essere anche coltivata per sviluppare ed arricchire il nostro animo. La musica poi, se permettete, tra tutte le arti è la più immediata perché nel momento che suoni la nota è già arrivata al pubblico, non necessita di sofisticate elaborazioni.

Qual è il tuo sogno nel cassetto che ti senti di rivelarci?

Il mio sogno più importante è quello di instaurare un rapporto continuativo con artisti di fama internazionale e produrre sempre più concerti unici ed entusiasmanti.

 

Gerardo Di Lella Pop Orchestra meets Tony Hadley intervista:

https://www.youtube.com/watch?v=5dI0-XVx4as

 

Dove potranno seguirti i nostri lettori?

Sono molto seguito su Facebook, Instagram e Twitteranche perché la mia assistente, Paola Corrado, è fortissima e segue tutta la mia comunicazione con molta efficacia.

Prima di salutarci ecco la nostra domanda di rito: “Che cos’è per Te la genialità”?

La Genialità restando nel campo musicale è quella che hanno avuto musicisti come Ennio Morricone, purtroppo di recente scomparso, cioè quella capacità di arrivare al cuore delle persone attraverso apparentemente “semplici”melodie, senza scomodare chissà quali conoscenze tecniche, che ovviamente Lui possedeva come pochi altri.

Grazie Gerardo e come dice Beethoven “Dove le parole non arrivano... la musica parla.”

Roberta e Andrea

 

Gerardo Di Lella

https://www.gerardodilella.it/

https://www.facebook.com/gerardodilellajazz/

https://www.facebook.com/gerardodilellaorchestra

Canale YouTube di Gerardo Di Lella:

https://www.youtube.com/channel/UCtCsg7SEpqsaXTWNLVWoRTg 

Roberta Cannata

https://www.facebook.com/roberta.cannata.9

https://www.instagram.com/robycannata1/

Andrea Giostra

https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/

https://andreagiostrafilm.blogspot.it

https://www.youtube.com/channel/UCJvCBdZmn_o9bWQA1IuD0Pg



TWICE 20: Esce oggi il nuovo singolo “BEAUTIFUL DREAM” (Feat. RHADE)

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Da martedì 20 ottobre in radio “BEAUTIFUL DREAM” (Food Records / Freecut Music), il nuovo singolo dei TWICE 20 con il featuring di Rhade, prodotto da Ricky Boerci e Lobstar. Il brano parla dell'importanza di liberarsi da cose, persone e sentimenti inutili, che ci allontanano dalla semplicità e dalla purezza della vera felicità. 

«Questa canzone rappresenta il viaggio che ognuno di noi intraprende per ritrovare la vera forma della felicità; anche se non è  facile, lasciamo indietro persone e ricordi, momenti di tristezza e di sconforto, ma grazie alla nostra forza di volontà, sapremo trovare la strada giusta e gli amici con cui ritrovarsi», commenta Rhade.

 

Il videoufficiale, disponibile su YouTube ha superato le 500.000 views e 2.4 Mln su Tik Tok. La clip rappresenta la bellezza del viaggio e la capacità di gustarsi tutto quello si trova sul nostro percorso. Tutti i frame del video sono stati girati con uno smartphone durante i vari viaggi del gruppo in giro per il mondo (Bali, California, Arizona, Antigua, Maldive, Africa, Italia).

 

Il ricavato della vendita delle canzoni dei Twice 20 viene devoluto alla Fondazione Onlus Bruno Boerci, per la ricerca oncologica e scientifica.

 

Twice 20 è un nuovo progetto di musica dance nato dall’idea di un gruppo di creativi italiani che, dopo aver messo il proprio lavoro al servizio di diversi settori, decidono di lanciarsi nel mondo della produzione musicale.

Il gruppo dance nasce nel 2016 da un'idea dei producer Ricky Boerci (tastiere) leader fondatore della band insieme a Paolo Agosta in arte Lobstar (chitarra e voce) e gli amici Giovanni Sangalli (batteria), Paolo Janko (chitarra e voce) e Ramona Debellis in arte Rhade (voce).

Nel 2017 firmano un accordo con Time Records, che pubblica su etichetta Food Records il primo singolo “Save me”, interpretato dal cantante americano Max C e remixato da Nari & Milani. Il video raggiunge 2 milioni di views in poche settimane.

Nel 2018 pubblicano il secondo brano intitolato “Fallin”, remixato da Get Far (Fargetta) e interpretato da Lobstar. La canzone viene trasmessa da Radio Deejay e il video supera i 2 milioni di views. Viene anche utilizzato durante una puntata della trasmissione televisiva Tu Si Que Vales.

Nel 2019 collaborano con il produttore storico della dance italiana, Paolo Sandrini (Gigi D'Agostino, Christian Marchi) per il brano intitolato “I am free”, interpretato da Lobstar e per la prima volta appaiono tutti e cinque nel videoclip musicale. La canzone è sotto una nuova etichetta discografica, la Food Record creata da Time Records.

Nell'estate 2020 esce “Beautiful Dream” cantato da Rhade, prodotto da Ricky Boerci e Lobstar, che puntano a sonorità più minimal e leggere. Il video è un montaggio di video raccolti durante vari viaggi di Rhade in giro per il mondo. Supera il mezzo milione di views su Youtube, 2.4 Mln su Tik Tok e riscuote grande successo anche su Spotify.



https://www.facebook.com/Twice20Music

https://www.instagram.com/twice20music/

https://www.tiktok.com/@twice20rhade


RECmediacomunicazione e promozione

Giorgia Vezzoli, dal 29 ottobre in libreria il nuovo romanzo "Period Girl"

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«Robin vi sarà simpatica, giuro l'amerete tantissimo, sarà la vostra migliore amica. E ora non vi resta altro che conoscerla attraverso le pagine di questo libro.» (Igiaba Scego)

Arriva in libreria il 29 ottobre il nuovo romanzo per giovani adulte e adulti di Giorgia VezzoliPeriod Girl, pubblicato da Settenove, il primo romanzo in Italia in cui le mestruazioni, da tabù innominabile, diventano assolute protagoniste, con tutta l’intenzione di rivoluzionare l’immaginario collettivo.

In molti paesi del mondo le ragazze e le donne lottano contro i pregiudizi e superstizioni che, durante le mestruazioni, le tengono lontane dalla scuola e dalla società. In Europa e nel ricco Occidente il pregiudizio è tale per cui la rappresentazione sui media o la discussione pubblica è soggetta a gravi tabù. Le mestruazioni, fenomeno che accomuna la metà del genere umano, ricevono un'attenzione irrisoria nell'ambito delle politiche di benessere e salute pubblica dei nostri Governi e ancora oggi in alcuni paesi, come la Scozia, emerge un problema di period poverty, con donne e ragazze indigenti costrette a saltare la scuola durante la mestruazione per l'impossibilità di acquistare gli assorbenti.

È giunto il momento perché l'immaginario collettivo cambi! E il libro di Giorgia Vezzoli va in questa direzione, parlando a ragazze e ragazzi adolescenti.

All'arrivo del menarca Robin ha 11 anni e iniziano ad accaderle fenomeni strani. Voci, rumori, la pianta avvizzita sullo scaffale che cresce improvvisamente... Scoprirà che in corrispondenza di ogni sua mestruazione si manifesta in lei un vero e proprio superpotere: a contatto con la terra, Robin può far nascere alberi, piante e altri elementi naturali. Period Girl narra la genesi di una supereroina che, grazie al potere del proprio flusso mestruale, può salvare il pianeta dalla deforestazione, contrastando i cambiamenti climatici e collaborando con le più importanti organizzazioni internazionali.

Con ironia, leggerezza e grande energia, il romanzo di Vezzoli decostruisce lo stigma legato al ciclo mestruale e sprona le giovani lettrici ad accogliere i cambiamenti del corpo con serenità… e anche un pizzico di impazienza!

Il ciclo di incontri on line

In occasione dell’uscita del libro è stato organizzato un ciclo di incontri online: si comincia giovedì 29 ottobre alle 18.30 con una diretta Facebook sulla pagina di Settenove con Giorgia Vezzoli e Paola Maria Lussoglio, ostetrica e consulente sessuale, per discutere di Menarca tra pregiudizi e super poteriIl grande tabù delle mestruazioni sarà invece protagonista del secondo appuntamento, giovedì 5 novembre, sempre alle 18.30, con l’autrice in diretta affiancata da Igiaba Scebo, scrittrice e giornalista e Alessandra Spada, autrice e illustratrice. Si prosegue poi il 12 novembre alle 18.30 con Uomini e mestruazioni: chi paura del flusso?: Lorenzo Gasparrini, filoso e scrittore, discuterà in diretta con Vezzoli di uno dei tabù maschili più diffusi.


L'autrice

Giorgia Vezzoli è poeta, autrice e esperta di comunicazione. Per Settenove ha pubblicato il racconto Mi piace Spiderman…e allora? che ha venduto oltre 5000 copie diventando un piccolo classico della letteratura femminista italiana per l’infanzia, presente in varie antologie scolastiche. Ha gestito per anni il blog «Vita da streghe» divenuto poi una pagina Facebook molto attiva nel contrasto agli stereotipi e alle discriminazioni di genere.

Period Girl è l’ultimo libro della collana narrativa di Settenove, casa editrice nata nel 2013 dedicata alla prevenzione della discriminazione e della violenza di genere attraverso albi illustrati, saggistica, narrativa e percorsi scolastici.

Incipit

«Undici anni sono pochi e sono tanti.

Sono pochi per uscire di sera da sola. Sono tanti per stare tutto il giorno a giocare con le bambole di tua cugina che frequenta l’asilo. Sono pochi per andare a lavorare. Ma non sono mai pochi per aiutare i genitori nelle faccende domestiche.

Raramente, pensava Robin, undici anni sono giusti. Perché si è sempre o troppo grandi per qualcosa o troppo piccole per qualcos’altro. Undici anni, per esempio, sono pochi per avere un figlio o una figlia. Eppure sono sufficienti per diventare fertili e avere le mestruazioni. Questo, per Robin, era il mistero più assurdamente incomprensibile degli undici anni nel momento in cui giunse il suo primo ciclo [...]».


Period Girl

Giorgia Vezzoli
208 – 15,50 euro
formato 13 x 21
isbn 9788898947591


Musica, Cazale presenta "Loop Life". L'intervista

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Charlie out Cazale
, cantante dei Frigidaire Tango e dei Vindicators ma anche produttore (Alice in Sexland, Da's Hirth, Scary Melodies, Bloko Maranhao) e fondatore dell'etichetta Casal Gajardo Records registra nel 2002 una serie di brani elettronici sperimentali (pubblicati da poco online sotto lo pseudonimo di Don Carlito Cazale). Nel 2019 inizia una raffinazione di una parte del materiale registrato che mescola elettronica e cantautorato con suoni atipici che arrivano fino alla più moderna trap.
Parlaci del nuovo album. Che impronta hai voluto dargli?

L’ambivalenza del titolo richiama l’attenzione sul ciclo infinito della vita e sui vari loop usati durante la produzione. Oggi si può far musica con la musica mescolando frammenti a strumenti suonati senza paura. Si può essere più creativi quando non si hanno limiti. Poi, come in questo caso, basta ricondurre il tutto a una forma canzone mediante un arrangiamento appropriato.

Quali sono i tuoi cantanti di riferimento? 

La nostra generazione è cresciuta con gli echi degli anni sessanta (Beatles e Stones in primis) ma la formazione musicale consapevole avvenne attraverso il progressive rock (Pink Floyd, Genesis, King Crimson) la west coast (Crosby, Stills, Nash e soprattutto Neil Young) Il Glam (Bowie, Lou Reed e i Roxy Music), generi che di fatto erano il mainstram dell'epoca prima di farci folgorare dall'avvento del Krautrock ( Neu, Can, Faust ecc.).

Poi, in piena adolescenza, arrivò il Punk a resettare la scena dando corso a un nuovo risorgimento musicale chiamato New Wave che cavalcammo felicemente per almeno un lustro in contemporanea con i nostri eroi, Devo, Talking Heads, Wire, Joy Division, Cure, Stranglers, Ultravox, Magazine ...e potrei continuare a lungo.

Qual è l’esperienza lavorativa che più ti ha segnato fino ad ora?

Tra le varie esperienze collaterali quella di promoter di eventi è stata sicuramente la più faticosa ma anche la più ricca di convenuti umani.

Invece quella mai fatta e che ti piacerebbe fare?

L’artista a tempo pieno.

Progetti futuri? Farai un tour?

Il mio progetto non prevede esibizioni dal vivo, ma la curiosità di sentire un certo ti di musica così particolare suonato dal vivo è forte. Sicuramente uscirà prima un secondo album già in lavorazione.

DramaShot: Progetto artistico tra palco e digitale

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Dal 19 ottobre su Instagram e sui principali social network, DramaShot, un progetto artistico completamente inedito, con l’obbiettivo di far vivere al pubblico, in prima persona, l’esperienza visiva del personaggio attraverso la tecnica cinematografica del Point of View.

“Siamo certi che l’arte necessiti, oggi più che mai, di un nuovo slancio creativo e con questo pensiero abbiamo cercato di intrecciare forme d’espressione come la fotografia, la musica, il cinema e il teatro con il passatempo più immediato di quest’era: il Social”.

DramaShot nasce da un’idea degli attori Simone Bochicchio, Martina Lovece, Greta Milani, Marco Vitiello e prende vita grazie al supporto registico e tecnico di Riccardo Alessandri, attraversando, nel corso del tempo, cambi di rotta e un completo restyling ideologico.
Con una formazione teatrale alle spalle, i componenti sono partiti dall’idea di uno spettacolo Live per poi virare sulla tecnica cinematografica del POV, una ripresa soggettiva condotta grazie all’uso di una GoPro, in cui il fruitore non solo può assistere a spaccati di vita dei personaggi ma vi è direttamente coinvolto.

Instagram, e i social permettono al progetto di entrare nelle case di tutti, sul palmo di una mano, grazie ai propri smartphone, con incisività e immediatezza.
Il primo viaggio di DramaShot, o meglio “primo cerchio” (come hanno deciso di chiamarlo loro), ha inizio su un Tram, quello di Tennessee Williams, un grande classico teatrale, la cui forza è quella di affrontare tematiche incredibilmente attuali.

“In un mondo, come quello di oggi, che ci vincola a sole immagini e ad una visione esterna di noi stessi, porre uno sguardo interno e personale è un atto coraggioso e necessario”. 


Damio a Fattitaliani: il rap è protesta, e le proteste sono fondate su temi veri e credibili. L'intervista

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I dissidi interiori di un ragazzo che, per spiegare al mondo la propria diversità e la voglia di cambiare, trova rifugio in amori distruttivi, droghe e alcol, ora sostituiti dalla sua passione per la musica. È il significato di "Giorni" il singolo con cui debutta il rapper Damio (pseudonimo di Damiano Francolini), già disponibile in rotazione radiofonica e su tutte le piattaforme digitali come pure il videoclip ufficiale diretto da Jheison Garcia e girato tra le periferie di Roma e la casa dell'autore. Fattitaliani lo ha intervistato.

In che maniera e con quale stato d'animo stai vivendo questo passaggio dall'ispirazione all'incisione?

Devo dire la verità, mi sto abbastanza annoiando questo periodo. Oggi ho la consapevolezza di chi sono e di dove voglio arrivare, dentro di me ho cambiato tutto, fuori però sembra ancora tutto fermo.

Come definiresti il brano “Giorni”?

Unico. È un brano umile, non prepotente, e questo è un fattore che secondo me lo innalza. È completamente rimato nella stessa maniera, un capolavoro.

Quanto ti rappresenta?

Non ci sono né falsità né ostentazioni, come dicevo è un testo vero e umile, è un po' una centrifuga di me stesso.

Ci sono dei luoghi, delle persone, degli oggetti che ti ispirano maggiormente?

Tendo sempre a lasciarmi andare e a farmi ispirare da tutto, e qui ogni nuova ispirazione è più grande di quella prima.

Ti chiamano Damio in famiglia? perché la scelta di questo pseudonimo?

No, Damio mi ci hanno chiamato solamente due persone in vita mia di loro iniziativa, per questo l'ho scelto.

A “Giorni” seguirà un progetto più completo?

"Giorni"è solamente la prima maglia di una catena infinita, non mi ci soffermerei troppo.

Cosa speri venga soprattutto recepito e compreso della tua canzone?

Non spero. Dall'uscita di questo singolo mi aspetto tutto e non mi aspetto niente. So già che il pezzo spacca e me lo ripeto ogni volta che lo ascolto. Si tratta solo di vedere come e con quale potenza arriverà agli ascoltatori. Essendo un brano molto personale e profondo, l’ascoltatore potrebbe cascarci completamente dentro senza neanche accorgersene, come però potrebbe succedere che lo "scarti" dopo venti secondi

Il rap è cambiato negli anni secondo te? 

Sì, assolutamente. Oggi pochi fanno rap e lo fanno nella giusta maniera, non voglio dare lezioni a nessuno ma il rap è protesta, e le proteste sono fondate su temi veri e credibili.

Cosa hai imparato dal vivere ad Amsterdam? 

Ho imparato che dal momento che ti ritrovi senza limiti e regole per la prima volta in vita tua, je dai giù pesante come si dice a Roma. Amsterdam e le cose che mi ha preservato mi hanno cambiato, e la ringrazio, perché oggi altrimenti non sarei chi sono. Giovanni Zambito.

Biografia

Damio, pseudonimo di Damiano Francolini, è un rapper italiano nato nel 2002. Cresciuto a Roma, ha sempre fatto musica sin da piccolo, prima suonando diversi strumenti come la batteria e il pianoforte. All'età di 16 anni si è trasferito ad Amsterdam, dove si è impegnato con una società di calcio, tornando poi a Roma un anno dopo con la voglia di iniziare a scrivere testi Rap.

Instagram: https://instagram.com/damio___?igshid=v5cvq1wsia1q

All’ombra del vecchio tiglio sul lungomare di Milano, presentazione del romanzo di Ornella Protopapa a Cascina Torrette, con il prof. Lenoci

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di Franco Presicci MILANO - Su un rudere può spuntare un fiore. E la vecchia Cascina Torrette di Trenno, in via Giuseppe Gabetti, 15, è sfuggita alla sorte di tante consorelle demolite dal piccone. La mano dell’uomo le ha riaggiustato le ossa e rimessa in piedi, dandole un nome attraente: “Mare culturale urbano”, frequentato da numerosissime persone. Chi non l’ha mai visitata crede sia un nome scelto per catturare la gente; invece vi si cammina sulla sabbia, ci si stende sulla sdraio sotto l’ombrellone, si conversa, si legge, si medita, si fanno confidenze tra i vicini e si sogna il mare, che qui non c’è, ma se ne respira l’aria sul “lungomare di Milano”. La cascina è del 1600 ed è diventata un presidio sociale e culturale per la periferia ovest della città. Un’opera di apprezzabile rigenerazione umana. 

In un salone che probabilmente una volta era la stalla, tra luci soffuse, su una larga pedana, è stato presentato l’altra sera il bellissimo libro di Ornella ProtopapaAll’ombra del vecchio tiglio”, con l’intervento del professor Francesco Lenoci, al quale due giorni prima l’Isfoa, in via Santa Marta 22, ha assegnato il Premio alla Carriera, assieme a Germano Lanzoni, il famoso “milanese imbruttito”, e a Tonino Lamborghini della famosa famiglia produttrice di automobili di lusso.

È stata una serata interessante, con un pubblico folto e attento. Lenoci ha parlato in modo confidenziale, rivolgendosi spesso a Ornella, che gli aveva scritto con bella calligrafia la seguente dedica sulla prima pagina del libro: “Gli elementi della natura aleggiano nel libro, e quindi incarnano perfettamente lo spirito che tutti vorrebbero imprimere alla propria vita. Ti auguro giornate piene di vento che fa bene al cuore e all’anima, come il vento che fa muovere le vesti delle tarantate”.

Lui il vento del Salento lo ha visto soffiare forte due volte: sul faro di Punta Palascìa, a novembre del 2019 (Ornella vi ha presentato il suo libro il 20 agosto del 2020); ad Alessano mentre parlava agli scout intorno alla tomba di don Tonino Bello, vescovo, poeta, testimone, maestro di vita, in odore di beatificazione.

Io sono abituato ai venti di Martina Franca, che ululando dondolano querce e castagni, noci e fichi e danno un colore argenteo alle foglie degli ulivi. E, come Lenoci, Ornella conosce il vento di Milano, una delle due città in cui si snodano le varie vicende della protagonista del romanzo: Bianca.

Bianca vive e lavora a Milano, ma c’è qualcosa dentro di lei che la spinge altrove. Lascia un impiego soddisfacente, che l’aveva vista impegnata per il “raggiungimento di un concetto di perfezione”, che improvvisamente le appare vuoto e insignificante. Un sogno la scuote, le dà l’impulso: suor Adele, tutto amore per i bambini e preghiera, fa da tramite alla sua voglia di palingenesi. E lei corre. Eccola di fronte alla cattedrale di Otranto ad ammirare la semplicità delle sue linee architettoniche (ah, la cattedrale di Otranto, il solo nome scatena il ricordo del 28 luglio 1480, quando i turchi massacrarono 800 persone decise a non abiurare la loro fede cristiana: n.d.a.), quindi entra nel tempio e ruota lo sguardo fra le navate. Riflette e decide di bussare a Casa Donna Petronilla, dove incontra tanti bambini, e pensa che il “mio digiuno d’amore è finalmente finito”.

Un libro che tiene il lettore inchiodato alla sedia per una giornata, come è successo a me, che avendo cominciato a leggerlo, ho saltato anche il pranzo, non accorgendomi che il tempo passava. Ogni pagina avvince, commuove, coinvolge, con uno stile agile, brillante, espressivo, efficace, che qua e là sfiora la poesia. La storia si svolge con un profumo di tiglio, albero dalle foglie a cuore e simbolo di fedeltà e amicizia. Il tiglio, che si nutre di leggende ed era molto apprezzato dai greci antichi, è una presenza quasi umana, a cui chiedere protezione nei momenti di smarrimento, almeno questa è l’impressione che ho avuto io divorando il racconto tra sacro e profano, tra sogni e realtà.

Ci si può ritrovare nella protagonista, una ragazza forte e fragile nello stesso tempo, alla ricerca del proprio cambiamento, della propria rinascita. E Bianca confessa con sincerità e semplicità questo bisogno. Lenoci, che sa tenere desta l’attenzione e non è mai monotono, non si è limitato a fare commenti: con la sorella di Ornella, Tiziana, che intercalava in maniera discreta e simpatica, poneva domande, ma non per fare un lavoro di scavo, solo per saperne di più.  E Ornella ha risposto con piacere. Sollecitata dal relatore, ha parlato della processione nel mare di Otranto della Madonna dell’Altomare, avvenimento importante e solenne.

E lì si è rasentata la tragedia, di quelle che lasciano perplessi e fanno gridare al miracolo: Bianca e suor Adele hanno portato i bambini più grandi a vedere la spettacolare cerimonia liturgica, estasiate davanti alla statua della Madonna accompagnata dalla banda e “scortata da storici pescatori”. Imbarcate su un naviglio tra crepitii di fuochi d’artificio che in cielo si aprono come stelle, e tante altre piccole barche, all’improvviso Ieia, 5 anni, cade in mare. Bianca chiede aiuto a gran voce, sopraffatta dai suoni e dalla confusione, si tuffa, cerca di afferrare il vestito della bambina, le urla di non cedere. Stanno per soccombere, quando un giovanissimo angelo compare nell’acqua e li salva. Sacro, superstizione? Importa il risultato. Ma Bianca non si dà pace: deve sapere, incalza chiunque incontri, e apprende che in tempi lontanissimi per una disgrazia era morta annegata una bimba. A dirglielo, rovistando nella memoria, è suor Adele. Quella bambina era figlia di una famiglia scampata al massacro degli ottomani.

Le domande di Lenoci si susseguono. Tra queste, l’invito a parlare delle tradizioni e Ornella è sempre pronta ad esaudirlo: “Dalle nostre parti nel periodo natalizio, le donne preparano squisiti piatti fatti in casa utilizzando miele e canditi, in particolare le ‘pittule’, una soffice e squisita bontà fatta con acqua e farina fritta in olio bollente”. Le cuciniere dell’orfanotrofio, Dina e Mega, si affaccendavano nella preparazione di ‘pareddhruzzi’ e ‘carteddhrate’”.

Esaudito Lenoci, che su Facebook ha tra l’altro un gruppo, il cui motto è “Ogni pietanza ha il piatto adatto”, Tiziana piazza la domanda sulle radici. Beh quelle non si possono estirpare. Anche un trattore con la sua potenza fa fatica a sradicare un ulivo. Ovunque si vada, il richiamo del paese natio ti segue, suscitando spesso nostalgia. E per sentirsi vicino alla culla qualcuno utilizza il dialetto, altro argomento caro a Lenoci.

Concludendo, “All’ombra del vecchio tiglio”, pubblicato da Bertoni Editore, è un libro splendido, in cui Ornella Protopapa descrive con sapienza paesaggi, situazioni, personaggi, sentimenti; dipinge suor Adele, la piccola Ieia, che non parla da quando ha subito un trauma e ha tanto bisogno di amore e di premure; l’atmosfera dell’orfanotrofio e la vita che vi si conduce; la bellezza del Salento, dove si sposano mare e sole, sacro e profano. Pagine dense, ricche di dettagli. Il finale? Quello il lettore lo scoprirà leggendo.

L’illustrazione di questo libro è una delle tante manifestazioni di “Mare Culturale Urbano”, dove “le persone possono stare insieme, passare il tempo e star bene. È un connettore culturale e sociale, dove artisti e cittadini respirano la stessa aria, scambiandosi necessità ed esperienze per alimentare reciprocamente il senso del proprio stare al mondo”, riferisce Lenoci, entusiasta di questo luogo, che “ospita anche compagnie nazionali e internazionali per la produzione di attività territoriali e attivazioni urbane rivolte al quartiere…”.

Durante il brindisi di saluto molti ospiti gli hanno chiesto notizie di Ornella Protopapa, una signora bella e gentile, nata in Svizzera e cresciuta a Martano, il capoluogo della Grecìa Salentina che custodisce un castello del XV secolo, di cui sopravvivono due torri. Si è laureata in materie economiche all’Università Bocconi a Milano – “città altera, elegante, fieramente vestita delle sue contraddizioni, fredda e spigolosa e tanto lontana dal calore e dal fascino dell’orientaleggiante Otranto, che riempie il cuore”, ma generosa e ospitale – vive in campagna nei pressi di Crema, con il marito Alessandro e i loro due figli, Giuseppe e Luca; lavora nel capoluogo lombardo, in banca nel settore del marketing.

Il 6 agosto di quest’anno è stata nominata da Teresa Gentile, coordinatrice del Salotto Culturale di Palazzo Recupero di Martina Franca, Dama dell’Arcobaleno, che è quella “che ogni volta che realizza un sogno e condivide una sua idea di bellezza, crea emozioni positive, contribuendo ad accrescere l’armonia presente nel creato”.

È stato forse proprio all’ombra di un tiglio che ha scritto questo libro, tenuto per tanto tempo nel cassetto, dove spesso tengono i sogni. Lei ha avuto il coraggio di tirarlo fuori ed è stata premiata, perché - lo direi ancora tante volte - questa sua opera è una perla.

Autunno e inverno nel Cilento: da Palazzo Belmonte e Villa Sirena il viaggio nel territorio tra arte, cultura, tradizioni ed eccellenze enogastronomiche

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“Il nostro cuore volge al sud”, così scrive Sigmund Freud nel 1900 in una lettera alla moglie. Questo sud è il nostro meridione con le sue seduzioni archeologiche, climatiche e gastronomiche che per molti anni furono tra i luoghi prediletti dal padre della psicoanalisi.

Il Cilento, con il suo patrimonio archeologico, il clima mite anche in autunno e inverno e le sue tradizioni enogastronomiche, ancora oggi offre quelle suggestioni ed emozioni che l’hanno reso famoso nel mondo, e con i suoi parchi e i suoi borghi è stato inserito dal 1998 nella World Heritage List dell'Unesco.

Qui è ancora possibile vivere la sensazione del Grand Tour rinnovando il piacere del viaggio attraverso la storia e le tradizioni. Quest’invito viene da un ospite d’eccezione, Angelo Granito Pignatelli, Principe di Belmonte, che ha fatto di Palazzo Belmonte e Villa Sirena due eccellenze dell’ospitalità cilentana, la prima a Santa Maria di Castellabate, la seconda a Punta Licosa, due posizioni privilegiate per vivere e scoprire i molti tesori che il Cilento offre: “Il mio è un invito a visitare questi luoghi dove la mia famiglia risiede fin dal 1300. E’ un invito, in questo momento così delicato, ad abbracciare l’Italia, a dare forza al nostro Paese, a conoscere luoghi e storie che da sempre ci rendono unici agli occhi del mondo e che costituiscono la vera ricchezza dell’Italia e dei suoi territori”.

Palazzo Belmonte, residenza storica, è immerso in un parco di due ettari sul mare, offre la possibilità di vivere una vacanza attiva o in completo relax. A disposizione degli ospiti ampi spazi verdi, la grande spiaggia che si presta anche in autunno e inverno per lunghe passeggiate e il borgo di Santa Maria di Castellabate con i suoi negozi, ristoranti e bar.

Villa Sirena, ex casa colonica sapientemente ristrutturata a ridosso del castello di Punta Licosa, e seconda dimora storica unita al casino di caccia della famiglia, è riservata a nuclei familiari o di amici ed è una vera e propria residenza esclusiva con personale di servizio dedicato. Si presta in particolar maniera in questo periodo per attività motorie e sportive nella riservatezza dei grandi spazi della Tenuta, ed è il luogo ideale per famiglie o gruppi di amici che vogliono trascorrere le feste natalizie e di fine anno immersi nella natura e in totale privacy in una lussuosa dimora di campagna affacciata sul mare.

Grazie alle posizioni ideali di Palazzo Belmonte e Villa Sirena sono molte le escursioni che si possono effettuare nel territorio. La Direzione del Palazzo e della Tenuta effettua su richiesta l’organizzazione di tutti gli spostamenti, le prenotazioni per visite, degustazioni, e itinerari sulla costa e all’interno.

Si può partire alla scoperta dei giacimenti enogastronomici di cui il Cilento è ricco. Qui si sentono ancora le influenze greche e bizantine nel modo di fare il pane, con la farina di grano e di cereali, nella pasticceria a base di mandorle e miele e nell’uso delle spezie. Santa Maria di Castellabate offre numerose botteghe specializzate lungo la via principale, ed è ricca la ricerca sul territorio di eccellenze a chilometro zero.

La “Regina” del Cilento, famosa in tutto il mondo, è la mozzarella di bufala. Lungo la strada che porta da Paestum a Battipaglia è un susseguirsi di caseifici d’eccellenza e diversi allevamenti di bufale che offrono la possibilità di assistere al ciclo completo di produzione fino alla famosa “mozzata”, il taglio manuale della pasta filata da cui deriva il termine mozzarella.

Nella Piana del Sele si gusta il Carciofo tondo di Paestum IGP, prodotto particolarmente tenero e delicato. Chi ama la pasta ha due indirizzi da non mancare, Felitto per i famosi fusilli serviti nel tegamino di creta e Trentinara per gli strangulaprievati (cavatielli giganti), i cavatielli al sugo e la famosa zuppa cilentana di lagane e ceci (tagliatelle fresche e ceci). Stio Cilento è conosciuta per i Ciccimmaretati, zuppa legumi, grano, granoturco, olio e abbondante peperoncino, piatti poveri della tradizione cilentana. Sempre a Stio Cilento a novembre c’è la raccolta e la festa delle castagne, così anche a Magliano Vetere e Magliano Nuovo dove le eccellenti produzioni di castagne si uniscono alla degustazione dell’ottimo vino locale. Poco lontano, a Gioi, si trova la soppressata affumicata presidio Slow Food, divenuta famosa anche grazie al film “Benvenuti al sud”. Vallo della Lucania è considerata la capitale del Cilento e offre vini pregiati, caciocavalli, mozzarelle e formaggi in genere. Due i luoghi da non mancare per gustare i rinomatissimi fichi bianchi amati anche dalla Regina Elisabetta d’Inghilterra e che si trovano in aziende d’eccellenza a Prignano e Ogliastro. A Pisciotta, nella frazione Rodio, si produce una qualità esclusiva di olio EVO, l’olio pisciottano, ricavato da ulivi secolari che producono un frutto particolarmente pregiato. Uliveti secolari e olio di gran gusto si trovano anche a Marina di Camerota e Camerota. In tutto il territorio durante le festività natalizie si possono degustare i dolci tipici come le pastuccelle cilentane a base di castagne e cioccolato, gli struffoli e gli struffoloni, cui si da la forma con un vecchio pettine tolto da antichi telai. In una visione piacevolmente nuova sono molti i prodotti del territorio che stanno raggiungendo importanti riconoscimenti, come le alici di Menaica, il cece di Cicerale, i fagioli di Controne, a dimostrazione della ricchezza dei giacimenti gastronomici cilentani.

In questo territorio, dove si parla di bontà, si fondono grandi orizzonti di montagna e mare, strade panoramiche, paesaggi e volti antichi. E pare che proprio qui Hemingway abbia trovato l'ispirazione per "Il vecchio e il mare". E l'ispirazione è anche quella di cercare e conoscere la bellezza come nello splendido borgo alto di Castellabate, che offre una vista davvero straordinaria e luoghi da visitare come il castello dell'Angelo, fatto costruire nel 1123 dall'Abate Costabile Gentilcore per difendere l'area dalle incursioni dei pirati saraceni, l'Antiquarium, la Basilica Pontificia e il Lago, una zona prosciugata dai monaci Benedettini, ricoperta di macchia mediterranea e fiori particolari. Mentre a Santa Maria di Castellabate, si visitano il delizioso centro storico che si sviluppa lungo la spiaggia, la Chiesa di Santa Maria costruita proprio a contatto con la sabbia, e il molo dell'antico Porto Traverso, oggi conosciuto come Porto delle Gatte.

Ma è la ricchezza di siti archeologici, città storiche e celebrate, Musei, Palazzi, Ville ed edifici religiosi che rendono Palazzo Belmonte e Villa Sirena ancora più interessanti come luoghi dove soggiornare per alternare relax a percorsi culturali, a cominciare dagli straordinari siti archeologici che l’area possiede, come Paestum con i suoi maestosi templi e Velia famosa per la scuola di Parmenide e Zeno. Da qui si raggiungono anche Pompei, Ercolano e Oplontis, con la villa di Poppea, una delle più belle di tutta l’antichità. Fra le città da visitare, Salerno con il suo centro storico e il Duomo, consacrato nel 1084 da Papa Gregorio VII e sulla cui facciata è posto il pregiatissimo portale in bronzo bizantino. E poi Napoli con il suo fascino e i suoi tesori, il Museo Archeologico, il Museo di Capodimonte, Villa Floridiana, cui si aggiunge la passeggiata nella Napoli vecchia per vedere il complesso monumentale di Santa Chiara, la Chiesa di San Domenico Maggiore, la cappella di San Severo con il famoso Cristo velato e un tuffo, vista la stagione, a San Gregorio Armeno per i presepi. Infine, la costiera, con Positano, Amalfi e Ravello che l’autunno e l’inverno rendono ancora più suggestivi e romantici. E si raggiungono facilmente anche la Certosa di San Lorenzo a Padula, il più vasto complesso monastico dell’Italia Meridionale, e Caserta, con la Reggia del Vanvitelli.

Ognuno dei percorsi proposti rende ancora più piacevole il ritorno nella privacy e negli spazi di Palazzo Belmonte o Punta Licosa. L’alternanza fra escursioni e relax renderà particolarmente ricca la vacanza in questo periodo.

A Palazzo Belmonte sono aperte le Suite e le camere di Charme con trattamento B&B per un minimo di due notti. Villa Sirena può ospitare da quattro a quattordici persone (unico gruppo) in via esclusiva.

Nelle due strutture sono quotidianamente assicurati tutti i servizi di tutela per il contrasto del Covid-19.



BREVE SCHEDA TECNICA

Stagione autunno/inverno 2020:

- Villa Sirena, sempre aperto;

- Palazzo Belmonte, chiusura stagionale dal 22 dicembre 2020 al 2 gennaio 2021.

Contatti: T. +39 0974960211 | info@palazzobelmonte.com – ww.palazzobelmonte.com

Distanze: Roma 320 km; Napoli 120 km; Salerno 65 km; Agropoli 15 km.

Servizi del periodo: concierge, deposito bagagli, reception 24 ore su 24, Staff multilingue, parcheggio,

Animali non ammessi

Maria Elisabetta Giudici: disponibile in libreria il nuovo romanzo “LA FORESTA INVISIBILE”

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È disponibile in libreria e negli store digitali “La foresta invisibile”, il nuovo libro di Maria Elisabetta Giudici pubblicato da Castelvecchi nella collana Tasti. Il romanzo narra di una preziosa collana nata da un ramo strappato via da una foresta sottomarina, il cui ruolo invisibile si capirà solo alla fine del racconto.

«Il corallo è stato spettatore di gran parte della mia vita. Da bambina, dopo infinite insistenze, riuscii a farmi regalare un piccolo braccialetto di corallo che avevo visto a Sorrento durante una gita con i miei genitori, poi per la mia laurea qualcuno mi fece trovare in un cofanetto di velluto color melograno degli orecchini di corallo, infine tre anni fa qualcun altro mi mise al collo una collana di coralli. - spiega l'autrice - Ho pensato dunque di rendere onore a questo “materiale marino” che quasi non esiste più, appaiandolo alle vite dei personaggi che si dipanano e vengono intrecciate come perle di una collana, infilate con ordine e precisione fino a formare un oggetto prezioso».

 

“La foresta invisibile” è vincitore del Premio Acqui Terme 2019 sezione romanzi storici e Premio Etna Book 2020 “Miglior Inedito”.

 

Trama del libro:

 Una preziosa collana di corallo, dono d’amore di un pescatore siciliano alla sua donna, arriva, dopo un viaggio di cent’anni attraverso l’Europa, in una Parigi distratta dalle incredibili novità dell’Esposizione Universale del 1900, lasciandosi dietro una scia di amori travolgenti, tragiche rivoluzioni, avventure imprevedibili, vite spezzate. È in quel momento che fa la sua comparsa Giovanni che, con il coraggio dell’incoscienza, riuscirà a scrivere le pagine bianche di un oscuro complotto. Prigioniero delle sue indecisioni, incalzato dalle ombre dei suoi inseguitori, rischiando la vita e nel tentativo di prevedere le loro mosse, affronterà con astuzia e fermezza l’ansia dell’inevitabile.

L'autrice: Maria Elisabetta Giudici, è nata a L’Aquila ma è vissuta a Roma, dove ha svolto la professione di architetto. Da qualche anno si è trasferita con la famiglia in un piccolo borgo antico ai piedi del Parco Nazionale di Abruzzo Lazio e Molise.

Il suo primo romanzo “Il re di carta” (Emersioni - 2019), è risultato vincitore del premio speciale della Giuria “Histonium 2019”. “La foresta invisibile” (Castelvecchi editore - 2020) è il suo secondo libro, vincitore del Premio Acqui Terme 2019 sezione romanzi storici e Premio Etna Book 2020 “Miglior Inedito”.


https://www.facebook.com/bettagiudici/


Ufficio Stampa:Scardilli Press

Mi manchi Tan, il romanzo d’esordio di Madeleine Hakizimana. La recensione

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«Mi chiamo Federica, per gli amici “Chicca”». Così inizia il romanzo di Madeleine Hakizimana, Mi manchi Tan edito da BookSprint Edizioni. Una storia narrata in prima persona dalla protagonista, una giovanissima donna, che deve fare i conti con un amore tormentato. Il romanzo è ambientato nel ricco quartiere Parioli di Roma, e Chicca è una giovane ragazza innamorata di Tancredi, che gli amici chiamano “Tan”. Il loro amore, però, non è lineare. Lei è una ragazza insicura e fragile, lui un ragazzo consapevole della propria bellezza e per questo difficile da conquistare e a tratti anche spietato. Tutto si svolge nella cornice di feste esclusive, di locali della Roma bene. La relazione che si instaura tra i due potremmo definirla malata, perché Tancredi non fa che illudere Chicca, che inevitabilmente soffre per la sua condizione. Detta così, la vicenda potrebbe sembrare una banale storia tra ragazzini, in realtà l’autrice ci mostra come certe relazioni possono essere deleterie e a dir poco pericolose. La reazione di Chicca e le situazioni che si trova a vivere la condurranno sull’orlo del precipizio. Il suo senso di inadeguatezza, la necessità di colmare un vuoto d’affetto la indurranno a prendere delle scelte drastiche. Non è solo intreccio questo romanzo, ma è una lettura concreta e vivida di un contesto sociale e umano non del tutto positivo. Sono tantissimi gli spunti di riflessione che l’autrice ci offre con il suo libro. Il primo è sicuramente legato alla vulnerabilità di Chicca, che potrebbe essere quella di tantissime ragazzine innamorate di un uomo irraggiungibile, che sadicamente si diverte a sfruttare i sentimenti altrui, usandoli come oggetti di poco conto per poi gettar via senza riguardo. Il secondo aspetto è legato al comportamento e alla personalità di Tancredi. Un giovane, che forte della sua posizione sociale, si sente quasi onnipotente e autorizzato a prendersi gioco degli altri. Un altro aspetto è connesso ai sentimenti e alla disparità di valore che viene loro attribuito. Per Chicca sono fondamentali, sono l’essenza della sua vita. Non può pensare di avere una vita senza provare amore puro per Tancredi, ma la sua ingenuità, se così si può definire, la porterà ad andare oltre i limiti pur di sentirsi accettata. Dall’altra parte c’è Tancredi, che è sprezzante e non fa altro che svalutare ogni sentimento. Ma non è solo questo, perché nel romanzo è messa in evidenza la faccia malata di una generazione che vive di feste, di trasgressione, di un mondo fatto di lustrini e abitato da piccole lolite e uomini che non si fanno scrupoli ad avvicinare. “Mi manchi Tan” è la storia di un amore tormentato, di un amore tossico che potrebbe colpire ogni adolescente e segnarne l’esistenza per sempre. Con la sua opera d’esordio Madeleine Hakizimana coinvolge il lettore in uno spaccato della società e lo porta a riflettere su ciò da cui bisogna difendersi per sopravvivere in un mondo in cui cinismo e opportunismo spesso la fanno da padroni.

  

Titolo: Mi manchi Tan

Autore: Madeleine Hakizimana

Genere: Teen Drama

Casa Editrice: BookSprint Edizioni

Pagine: 226

Prezzo: 17,90 

Codice ISBN: 978-88-249-42-188

 

Contatti

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