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La scuola cattolica, in corso le riprese del film di Stefano Mordini dal romanzo di Edoardo Albinati

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Sono in corso le riprese de LA SCUOLA CATTOLICA, il nuovo film di Stefano Mordini che torna alla regia assieme ad alcuni dei più grandi nomi del cinema italiano e a una nuova, promettente, generazione di giovani attori per portare sul grande schermo la storia tratta dall’omonimo romanzo di Edoardo Albinati edito da Rizzoli, vincitore del Premio Strega 2016.


LA SCUOLA CATTOLICA
un film di STEFANO MORDINI
tratto dal romanzo omonimo 
di EDOARDO ALBINATI
edito da Rizzoli - 
Premio Strega 2016

Con la partecipazione di 
Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca,
con Benedetta Porcaroli, Ludovico Tersigni
e con Valentina Cervi, Fausto Russo Alesi,
Fabrizio Gifuni 
nel ruolo di Golgota

Una produzione 
Warner Bros. Entertainment Italia e Picomedia 

Prodotto da  Roberto Sessa


Distribuito da  Warner Bros. Pictures 

Sceneggiato da Massimo GaudiosoLuca Infascelli
Stefano Mordini

Le riprese hanno una durata di otto settimane
e si svolgono a Roma e a San Felice Circeo
SINOSSI
In un quartiere residenziale di Roma sorge una nota scuola cattolica maschile dove vengono educati i ragazzi della migliore borghesia. Le famiglie sentono che in quel contesto i loro figli possono crescere protetti dai tumulti che stanno attraversando la società e che quella rigida educazione potrà spalancare loro le porte di un futuro luminoso.
Nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1975 qualcosa si rompe e quella fortezza di valori inattaccabili crolla sotto il peso di uno dei più efferati crimini dell’epoca: il delitto del Circeo.                  
I responsabili sono infatti ex studenti di quella scuola frequentata anche da Edoardo, che prova a raccontare cosa ha scatenato tanta cieca violenza in quelle menti esaltate da idee politiche distorte e un’irrefrenabile smania di supremazia.

Dal 5 novembre in libreria "ALADINO E LA LAMPADA MAGICA" testi di NADIA TERRANOVA illustrazioni di LORENZO MATTOTTI

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Chi può affermare di conoscere bene la novella di origine orientale di Aladino e la lampada magica nella versione riportata nella raccolta delle Mille e una notte?

Sugli eccezionali disegni di Lorenzo Mattotti, un mito della narrazione per immagini, Nadia Terranova, scrittrice raffinata, è partita da lì per riscriverne una riduzione che ha saputo conservare l’inconfondibile e originario sapore esotico, miscelandolo a una lingua tutta contemporanea. La storia attraversa il tempo, ma non cambia: è quella “di un ragazzaccio di strada, delle sue avventure e di tutto quello che gli accadde: perdersi, ritrovarsi, innamorarsi, crescere, avere paura, sfidare la sorte, cadere in disgrazia, diventare coraggioso, disperarsi e divertirsi un sacco. Ci insegna soprattutto una cosa: che la fortuna non appartiene a nessuno ma è a disposizione di chi sa usarla”. Parola di Nadia Terranova.

LE PAROLE. 

Nadia Terranova è nata a Messina nel 1978 e vive a Roma. Ha studiato filosofia e si è dottorata in storia moderna. Pubblica sia storie per grandi che storie per piccoli per diversi editori e i suoi libri hanno ottenuto riconoscimenti ma lei si considera premiata ogni volta che un bambino va da lei e le fa notare qualcosa su un suo libro, qualcosa a cui lei non aveva pensato. Tiene regolarmente laboratori di scrittura nelle scuole e nelle biblioteche, scrive sui giornali e qualche volta per il teatro. Tra i suoi ultimi libri “Addio fantasmi” selezionato nella cinquina finale del Premio Strega 2019, “Gli anni al contrario” (2015) e “Omero è stato qui” (2019) illustrato da Vanna Vinci. Nel catalogo di orecchio acerbo “Bruno. Il bambino che imparò a volare” aggiudicatosi il premio Napoli e il premio Laura Orvieto.

LE IMMAGINI. 

Lorenzo Mattotti. Nato nel 1954 a Brescia, Lorenzo Mattotti è probabilmente il più importante e conosciuto fumettista e illustratore italiano. Il suo lavoro si è evoluto secondo una costante di grande coerenza, ma nel segno eclettico di chi sceglie sempre di provarsi nel nuovo e i suoi libri sono oggi tradotti in tutto il mondo. Nel 1998 si trasferisce a Parigi, e vince il premio come miglior autore di fumetti all’International ComiCon di San Diego. Nell’ottobre del 2019 esce “La famosa invasione degli orsi in Sicilia”, tratto dal romanzo omonimo di Dino Buzzati, di cui Mattotti cura la regia. Nel catalogo di orecchio acerbo: “Huckleberry Finn” su testo di Antonio Tettamanti dal romanzo di Mark Twain (2012), “Hänsel e Gretel (2009) vincitore del Premio Andersen - Il Mondo dell’Infanzia Miglior Albo Illustrato 2009, “Il mistero delle antiche creature” (2007).

La geografia secondo Terra Madre: "Il mondo è una sfera, siamo interconnessi. Cambiamo modello economico per salvarlo"

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Gli appelli di tre studiosi d’eccellenza, Franco Farinelli, Virginie Raisson e Paul Collier, nel corso della conferenza inaugurale in cui si è discusso delle geografie del futuro.

Siamo ufficialmente dentro Terra Madre Salone del Gusto 2020! La tredicesima edizione della più importante manifestazione dedicata al cibo buono, pulito e giusto è cominciata oggi e proseguirà per sei mesi, con un format innovativo che unisce appuntamenti digitali trasmessi sulla piattaforma on line www.terramadresalonedelgusto.com ed eventi organizzati in 160 Paesi del mondo. 

Un’edizione inedita, unica nel suo genere, con un obiettivo duplice e ambizioso: quello di fornire gli strumenti per analizzare ciò che sta accadendo nel mondo e proporre soluzioni concrete per migliorare la situazione. 

Come comprendere ciò che sta accadendo? Studiando la geografia

A inaugurare Terra Madre Salone del Gusto 2020 è stata la conferenza intitolata Nuove geografie e futuri possibili, disponibile on line per la visione a partire da questo pomeriggio alle 17. 

Per quale motivo un evento che tradizionalmente si occupa di agricoltura, allevamento e pesca sostenibili, di modelli di sviluppo alimentari equi, di cultura del cibo, è cominciato parlando di geografia? Perché, per dirla con Davide Papotti, il docente di geografia culturale presso l’Università degli Studi di Parma che ha moderato l’incontro, «cambiare prospettiva sul modo in cui guardiamo il pianeta è fondamentale per cambiare i nostri comportamenti e i modelli di sviluppo che abbiamo adottato fino a oggi». In altre parole: il cambiamento per il quale da oltre trent’anni si batte Slow Food, che insieme a Regione Piemonte e Città di Torino organizza Terra Madre Salone del Gusto, può avvenire soltanto se cambiamo radicalmente il modo di guardare ai problemi che riguardano il pianeta.  

«Occorre disegnare una nuova geografia» ha spiegato Papotti. Terra Madre l’ha fatto mettendo da parte la consueta interpretazione geopolitica fatta di confini e di istituzioni statali, per guardare alla Terra concentrandosi sugli ecosistemi: zone collinari e montuose, aree marine, lacustri e fluviali, superfici pianeggianti e città. Ambienti che presentano specificità simili e spesso anche gli stessi problemi, indipendentemente dal continente e dalla nazione a cui appartengono, e che possono pertanto anche ragionare su soluzioni condivise.

Superare una logica locale, da questo punto di vista, è indispensabile. Lo testimoniano le interrelazioni tra fenomeni all’apparenza differenti, ma che in realtà hanno tutti le stesse radici. L’accelerazione sulla perdita di biodiversità, l’aumento delle diseguaglianze sociali a livello planetario, le violazioni dei diritti umani, il costante problema della fame nel mondo, le migrazioni hanno spesso un denominatore comune: la crisi ambientale, che amplifica quelle economiche e sanitarie che stiamo vivendo.

Recuperare un senso di comunità con cui ripensare il capitalismo moderno

C’è un altro aspetto da considerare, e l’ha illustrato Virginie Raisson, analista in relazioni internazionali, specializzata in geopolitica prospettiva e direttrice del centro studi francese Lépac e autrice del volume 2038. Atlante dei futuri del mondo, edito in Italia da Slow Food: «Le grandi minacce come il riscaldamento globale, la crisi energetica, le pandemie, la perdita di biodiversità, le crisi finanziari ed economiche, la criminalità informatica, non tengono affatto conto dei confini, e pertanto è importante trovare altri modi per rappresentare il mondo e mostrare le relazioni tra i fenomeni». 

La tentazione di ragionare a compartimenti stagni - di «fare a fette la sfera terrestre e pensarla mappa dopo mappa» come ha detto Franco Farinelli, già professore ordinario di Geografia dell’Università di Bologna e docente presso le Università di Ginevra, Los Angeles, Berkeley, e alla Sorbona di Parigi - e la progressiva dematerializzazione del mondo, cioè il fatto che l’attività digitale che occupa una porzione sempre maggiore della giornata di ognuno di noi, non devono avere la meglio. «Il nostro pianeta è una sfera, pertanto bisogna ragionare in questo modo, come un’unica sfera» ha spiegato Farinelli. 

Una sfida durissima, ma non più procrastinabile: se per Farinelli occorre «un nuovo umanesimo», per Paul Collier, il direttore del centro di ricerca londinese International Growth Centre (IGC), si tratta di «recuperare quella componente di cooperazione, di “intelligenza collettiva”, andata perduta negli ultimi quarant’anni di capitalismo e che aveva invece contribuito al progresso».

Bologna, LIMINAL. Ritratti sulla soglia mostra fotografica di Francesca Cesari

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Il MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna, grazie alla collaborazione con l'Area Educazione Istruzione e Nuove Generazioni del Comune di Bologna, è lieto di presentare negli spazi del proprio Dipartimento educativo la mostra fotografica di Francesca Cesari dal titolo LIMINAL. Ritratti sulla soglia, visibile al pubblico dall'8 ottobre 2020 al 31 gennaio 2021.

Limen è una parola latina che significa "soglia", un confine che segna il passaggio tra due diversi spazi, anche identitari, per avventurarsi in qualcosa di percepito ancora come sconosciuto.
Il progetto fotografico di Francesca Cesari è un viaggio alla scoperta di un'affascinante terra di mezzo, di quella particolare fase della crescita in bilico tra la tarda infanzia e l'adolescenza. Un'età ambigua, senza un nome proprio, portatrice di quelle grandi e piccole rivoluzioni che condurranno alla metamorfosi del proprio aspetto esteriore, all'elaborazione della propria identità e a una più profonda consapevolezza della propria interiorità.
Le immagini della serie LIMINAL ritraggono ragazze e ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 14 anni, durante questo lungo e delicato processo di cambiamento, interiore ed esteriore, che li porterà a sviluppare, con la pubertà, un nuovo aspetto fisico, che potrà essere tanto promettente quanto inquietante, e al tempo stesso a maturare una nuova e più personale visione del mondo.
Le ragazze e i ragazzi sono ritratti all'interno della loro casa, il loro bozzolo protettivo, in una posa lunga e rallentata, che riesce a catturare intime tensioni e sogni a occhi aperti.
Lo sguardo di Francesca Cesari ascolta in silenzio e fa emergere delicatamente questo istante di rivelazione e sospensione. Nella penombra degli ambienti domestici prende forma la timida consapevolezza di una crescente ed inesorabile autonomia e la scoperta di un proprio spazio interiore, totalmente privato e ancora enigmatico.

La mostra è arricchita da alcuni lavori inediti dell'artista della serie LIMINAL - Metamorfosi, ritratti delle stesse ragazze e ragazzi ripresi a distanza di tempo, ormai usciti dalla pre-adolescenza.
I volti e i corpi osservati nello spazio esterno alla luce naturale del giorno, lasciano trapelare una diversa e più matura consapevolezza di giovani adulti, in cammino verso la propria identità.

LIMINAL. Ritratti sulla soglia è visibile negli spazi del Dipartimento educativo MAMbo con i seguenti orari di apertura: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì h 14.00–18.30; sabato e domenica h 11.00–18.30; lunedì chiuso.
L'ingresso è gratuito nel rispetto dei limiti di capienza consentiti dalle norme anti Covid-19.

Biografia dell'artista
Francesca Cesari nasce nel 1970 a Bologna, dove tuttora lavora come fotografa freelance.
Laureata in Storia dell'Arte Contemporanea presso l'Università di Bologna, ha conseguito il Diploma in Professional Photographic Practice presso il London College of Communication di Londra.
La sua ricerca artistica è incentrata sulle persone, ritratte principalmente all'interno del loro ambiente lambite da luce naturale. L'indagine fotografica è volta soprattutto a osservare le relazioni umane e i passaggi fondamentali dell'esistenza. Nei suoi progetti infatti la fotografa ha affrontato il tema della famiglia (Siblings), della maternità (In the room), dell'adolescenza (LIMINAL), del femminile (Pillow book) e dell'accoglienza (Casa Betania).
Dal 2016 fa parte del progetto collettivo Diventa Morandi, un lavoro di ricerca che mette in dialogo diverse pratiche espressive per cogliere l'opera di Giorgio Morandi da molteplici prospettive e restituirla al pubblico attraverso esperienze autentiche e coinvolgenti.
Finalista al Portraits - Hellerau Photography Award 2018, al Photovisa 2018 e al Kuala Lumpur International Photoaward 2018, Francesca Cesari ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Tokyo International Foto Awards (TIFA), l'International Photography Awards (IPA) e il Julia Margaret Cameron Award; i suoi progetti fotografici sono stati presentati nell'ambito di mostre personali e collettive e le sue immagini sono regolarmente pubblicate sia in Italia che all'estero.
Francesca Cesari collabora con l'agenzia LUZ Photo.

Informazioni generali:
MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna
via Don Minzoni 14 | 40121 Bologna
Tel. +39 051 6496611
Instagram: @mambobologna
Twitter: @MAMboBologna
YouTube: MAMbo channel

Copertina: Francesca Cesari, Ivan, 12 anni © Francesca Cesari

DIABOLIK, IL GIOCO DA TAVOLO È UN DIVERTENTE CRIME A SQUADRE

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“Diabolik - Colpi e Indagini” eÌ il titolo del gioco da tavolo tratto dal noto personaggio a fumetti che usciraÌ il prossimo novembre. I giocatori vivranno i furti impossibili della famosa coppia Diabolik ed Eva Kant e proveranno a sventare i loro piani nei panni dei detective Ginko e Morrigan. Da 2 a 4 giocatori si troveranno all’interno di un’esperienza in sti- le “guardia e ladri” interamente declinata all’interno del mondo del Re del Terrore.

Lo scopo del gioco per i criminali saraÌ quello di riuscire a portare a termine due colpi sui tre disponibili nella partita, muovendosi nell’ombra, ovvero celati agli avversari. I detective, attraverso le indagini e inseguendo i criminali qualora dovessero trovarli, dovranno portare al massimo il Livello di Pericolo sgominando cosiÌ i piani della coppia.

L’uscita del gioco precede quella della distribuzione nelle sale cinematografiche il prossimo 31 dicembre del film ispirato proprio a Diabolik, prodotto e distribuito da 01 Distribution per la regia dei Manetti bros. con Luca Marinelli (Diabolik), Miriam Leone (Eva Kant) e Valerio Mastandrea (Ginko).

Sciccaria Bistrot. La cucina cilentana di Francesco Mastrogiovanni, tra tradizione e innovazione

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È un cambio di pelle importante quello di Sciccaria, realtà ristorativa nata nel 2016 puntando su panini d’autore e buona birra.

Un’evoluzione tutto sommato naturale e graduale, che ha trovato compimento nell’incontro dei 4 fondatori con lo chef Francesco Mastrogiovanni.

Ed oggi, a pochi mesi dal passaggio da “Meat & Bread” a “Bistrot”, Antonello e Francesco Pellegrino, Gianluca Stabile e Giovanni Vece sono orgogliosi di raccontare il nuovo corso.

“Eravamo degli amici appassionati di buon cibo e sempre alla ricerca di scoprire qualcosa di nuovo. Quando siamo diventati ristoratori è stato l’inizio di un’avventura che non ci aspettavamo. Abbiamo scoperto un mondo ancora più complesso ed affascinante di quello che immaginavamo. Siamo partiti da ciò che ci è sembrato più semplice, ma poi abbiamo sentito il bisogno di far crescere il nostro locale, assieme a noi e al modo in cui ci siamo evoluti nel tempo. La cucina di Francesco ci è piaciuta perché unisce la tradizione cilentana di cui è figlio, alle influenze internazionali che hanno segnato il suo percorso. Perché come noi punta alla sostanza, mantenendo una certa semplicità e un’informalità che fa sentire tutti a casa”, spiegano.

 Dallo scorso gennaio, infatti, Sciccaria si è trasformato in un perfetto urban bistrot.  Nella Piana del Sele, a Battipaglia, la cucina a vista è ospitata in un locale dall’arredo originale e – in gran parte – costruito dagli stessi soci con l’utilizzo di materiale di recupero.

Stessa filosofia anche per gli oggetti di vita quotidiana, in taluni casi antichi e sempre fortemente simbolici, che caratterizzano la struttura. Una cinquantina i posti a sedere, tra gli interni e lo spazioso dehors.

LA CUCINA.

Autodidatta, quarantaquattrenne, cilentano: lo chef Francesco Mastrogiovanni si è formato attraverso l’esperienza in diverse cucine, italiane e non. Importante la sua esperienza in Africa, che ha stimolato il suo desiderio di commistioni.

La sua è sostanzialmente una cucina che parte dalla tradizione cilentana e partenopea, per poi concedersi divertissement informali, ospiti inattesi e giochi di equilibri.

Uno stile che sdrammatizza e diverte chi ama lo stile “bistrot”, una filosofia che punta alla qualità dei prodotti, alla ricerca del buono, mantenendo costi accessibili.

“Cucinare mi è sempre venuto naturale, più volte ho dovuto scegliere tra la cucina e scelte più sagge (almeno agli occhi degli altri) e lei ha vinto sempre. Amo i progetti nuovi e le persone vere che ci credono, qui a Sciccaria ho trovato amici con cui condividere una passione immensa. Sono sicuro riusciremo a fare la differenza”, spiega lo chef.

IL MENU’.

Vario e divertente, nel menù come nel servizio vince la sostanza e la voglia di informalità, quella piacevole del sentirsi a casa.

Il cavallo di battaglia sono le “sciccherie”, piccoli antipasti d’autore in stile tapas che rapiscono per la golosità e la varietà.

Ma tanto amate sono anche le polpette e i ragù con il pane caldo, per fare una scarpetta speciale, accompagnata da una carta dei vini dedicata alla Campania e con qualche escursione tra le regioni limitrofe.

Ovviamente la birra non manca, alla spina ma anche artigianale, nelle diverse proposte che legano giovani realtà imprenditoriali al territorio.

Primi e secondi che variano spesso in base alla stagione, accolgono grandi classici che vengono generalmente rivisitati con estro. Tagli di carne locali, una selezione di Scottona, ma anche il polpo tra i secondi più amati.

Diritto di nomina per il dolce creato in collaborazione dallo chef Francesco Mastrogiovanni ed il pasticciere Renato Ardovino de “Le torte di Renato”. Si chiama “L’oro di Napoli” e porta al bicchiere un mix esplosivo di babà, sfogliatella riccia e crema al mascarpone.

Un indirizzo da salvare perché? Per l’accoglienza generosa, la cucina sfiziosa, il locale originale, il clima informale ed una selezione di prodotti (qualcuno da portare a casa dall’angolo shop) di grande qualità, che rappresentano bene l’agroalimentare campano e meridionale.

Sciccaria Bistrot

Via Giovanni Palatucci 7 – BATTIPAGLIA (SA)

Info e prenotazioni: 328.1060710

Pagina IG e FB: Sciccaria_bistrot

Aperto tutte le sere, chiuso la domenica

Epifanio Ferdinando, presentazione del volume "Centum Historiae" tradotto da Maria Luisa Portulano e Amedeo Elio Distante

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Esattamente 400 anni dopo la sua pubblicazione, avvenuta a Venezia a spese dell’Università di Padova, sabato 10 ottobre 2020, alle ore 18,nel Castello Normanno-SvevodiMesagne si presenta un libro cheèun vero miracolo,in quanto esprime alcuni valori universali che caratterizzano i popoli civili: la Ricerca, la Formazione e l’Assistenza agli ammalati,che vannocurati almeglio epossibilmenteguariti acosti sostenibili!

Il volume Centum Historiae seu Observationes et Casus Mediciè un capolavoro scritto da Epifanio Ferdinando(Mesagne 1569 - 1638)inunacasa che esiste ancora oggi a Mesagne, a non meno di 200 metri dal Castello. Tradotto dal latino da Maria Luisa Portulano ed Amedeo Elio Distante, studiosi mesagnesi (letterata lei e medico-chirurgo lui), il corposo volume è frutto di una strategia lungimirante per valorizzare l’opera di un genio del territorio. Esso ha richiesto una pazienza certosina, ma ora è fruibile da medici, storici, studenti,ricercatori e da tutti i cittadini che scopriranno in Epifanio Ferdinando una delle menti più acute nella storia travagliata della nostra “piccola” Italia.

Patrocinato dalla Regione Puglia, sostenuto dal Comune di Mesagne e sponsorizzo dalla Contract Research Organization (CRO) ClinOpsHub, il libro sulle Cento Storie fu dedicato a Giulia Farnese, Marchesa di Mesagne, della quale Epifanio Ferdinando fu medico di famiglia ed amico. Si tratta di una mirabile descrizione di casi clinici che racchiudono molteplici domande di ricerca, ragionamenti articolati sulle possibili cause delle malattie, con indicazioni sui rimedi terapeutici. Come emerge dalle citazioni (non esaustive), le patologie sono una sfida per l’umanità ancora oggi: perdita della memoria, epilessia, malattie psichiatriche come depressione, manie, delirio e psicosi, le malattie infettive come varicella, morbillo, sifilide, gonorrea, carbonchio, le tipologie di febbri allora considerate vere malattie, le patologie metaboliche quali diabete, gotta, obesità, magrezza, e poi gli ascessi, la cataratta, l’asma, la pleurite, il carcinoma mammario, le coliche renali, l’ipertrofia prostatica, l’aborto, il parto e le sue complicazioni, la fibrillazione atriale, etc.

Pur scritte circa 4 secoli fa (ma alcune sono andate perse), le opere di Ferdinando contengono linfa, spunti e stimoli per i giovani sensibilicheintendono impegnarsi per progettareil futuro con le proprie mani, oggi. In un libro del 1626 trattò La Peste descrivendola come pandemia, e di fatto richiamando i tragici giorni che viviamo ora. Portulano e Distante la tradussero in italiano nel 2001.

Per testimoniare l’importanza delle opere di Epifanio Ferdinando, rese fruibili dallo splendido connubio culturale fra Amedeo Elio Distante e Maria Luisa Portulano, ci saranno il Sindaco di Mesagne dr. Antonio Matarrelli a nome delle Istituzioni, il professor Giuseppe Armocida Presidente onorario, a nome della Società Italiana di Storia della Medicina, il biotecnologoStefano Lagravinese direttore scientifico della ClinOpsHub, a nome di un’impresa focalizzata sulla sperimentazione clinica, ed infine Alessandro Distante, presidente dell’ISBEM (Istituto Scientifico Biomedico Euro Mediterraneo) a nome del mondo della ricerca biomedica. L’impegno di tutti loro è quello di valorizzare al massimo la “splendida squadra” di persone che, pur nella periferia del mondo, hanno giocato una grande partita al di fuori del tempo (400 anni), proponendo alle future generazioni un meta-modello da emulare, con lo studio, la serietà, la lungimiranza e la generosità. 


Dopo aver frequentato il Liceo Classico a Francavilla Fontana, la Facoltà di Medicina a Perugia, e la Scuola di Specializzazione a Bologna, Amedeo Elio Distanteè stato Medico di Famiglia e Pediatra popolarissimo a Mesagne. Dotato di spiccato acume clinico e di una grande memoria, egli è oggi il direttore dell’Unità di Ricercadell’ISBEM Storia della Medicina e Storia loco-regionale. Per oltre 20 anni ha “rubato il tempo al tempo” per lavorare intensamente con Maria Luisa Portulano, amatissima presidescomparsa nel 2017, ancora nella memoria di moltissimi fra noi. Hanno tradotto tutte le opere note del medico e filosofo Epifanio Ferdinando, che visse tra il 1569 e il 1638 a Mesagne, dove fu anche sindaco apprezzato, in quanto innovativo. Si deve a lui, peraltro, sia un assetto “rivoluzionario” del piano urbanistico della città che la costruzione della Porta Nuova.

L’evento si può seguire anche in streaming connettendosi con Qui Mesagnehttps://www.quimesagne.it/

Le informazioni sul volume da presentare sono su: www.s4m-edizioni.it e su www.eliodistante.it

I segreti della luna, esordio letterario di Valentina Morretta. La recensione

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I segreti della Luna di Valentina Morretta è il racconto dell’affascinante e complicata vita di una giovane donna che ha deciso di nascondersi dietro una maschera per cercare di realizzare i propri sogni. Victoria è una ragazza tormentata e fragile, che ha scelto la strada della fama e per questo motivo ha deciso di far nascere Luna, suo alter ego, dalla personalità in apparenza forte e decisa. Victoria/Luna riesce ad emergere, a conquistare il successo sperato: diventa prima blogger molto seguita e poi attrice. Il suo cammino nel mondo patinato in cui ha scelto di vivere è compiuto mostrando sempre la faccia di Luna, mentre quella di Victoria rimane ben nascosta, come il volto celato della luna in cielo, che viene tenuto gelosamente in ombra dal nostro satellite. Per Victoria è più semplice vivere da Luna, deresponsabilizzarsi e recitare non solo davanti a una macchina da presa ma anche nella vita di tutti i giorni. L’autrice presenta un personaggio femminile nel quale è facile identificarsi, e in cui riscontrare le fragilità e i dubbi delle nuove generazioni; Victoria è costretta a nascondere la sua essenza per emergere, e anche quando trova l’amore in Kimon, non riesce mai ad essere veramente sé stessa. L’autenticità è merce sempre più rara nel mondo contemporaneo, complice la richiesta di perfezione e di omologazione sempre più pressante. Nel romanzo I segreti della Luna si narra del mondo giovanile e delle incessanti richieste a cui si è sottoposti se si vuole “contare”, e Victoria decide di sacrificarsi per emergere, per diventare una donna di successo. Ma la domanda è: quanto si è davvero disposti a sacrificare? Victoria/Luna affronta le mille avventure di cui è protagonista con coraggio e determinazione, ma si deve rendere conto a un certo punto del percorso che troppo è andato smarrito. In un doveroso confronto con sé stessa, comprende alla fine che il volto che ha sempre celato merita di tornare a risplendere alla luce del sole. E l’amore di Kimon la aiuterà in questo processo doloroso, e la farà uscire dal guscio in cui è convinta di avere protezione, quando invece è solo una prigione che la tiene fuori dalla vita vera. Questo romanzo non racconta solo una storia d’amore ma anche e soprattutto una storia di accettazione. Valentina Morretta esordisce nella narrativa con un’opera fresca e ritmata che parla soprattutto ai giovani, ma che può essere apprezzata da chiunque sia alla ricerca di un’ispirazione per cambiare la propria vita. Alessandra Iudicone 

Titolo: I segreti della Luna

Autore: Valentina Morretta

Genere: Narrativa contemporanea

Casa Editrice: Self-publishing

Pagine: 266

Prezzo: 18,50

Codice ISBN: 978-88-923-68-149

Contatti

www.instagram.com/valentina.morretta

www.facebook.com/v.morretta

https://twitter.com/ValeMorretta

http://www.valentinamorretta.com/blog1

https://www.amazon.it/segreti-della-Luna-Valentina-Morretta/dp/B087FF97R5/ref=tmm_pap_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=&sr=

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ROMA MUSIC FESTIVAL, PARLA IL PATRON ANDREA MONTEMURRO

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Il produttore e patron del Roma Music Festival Andrea Montemurro si è già messo all'opera. Chiusa da qualche giorno l'edizione 2020 del festival, si lavora già alla prossima. 

Chiediamo intanto al patron un bilancio dell'edizione 2020: "Il livello dei finalisti è stato altissimo e di questo sono molto soddisfatto. Ci tenevamo a fare bene e gli attestati di stima che ci sono pervenuti sono per noi una gratificazione enorme. Ringrazio i miei collaboratori e in primis il maestro Mario Zannini Quirini che ha curato la direzione artistica del  festival. Un grazie va ovviamente anche ai 13 concorrenti finalisti, provenienti da ogni parte d'Italia, che hanno mostrato talento e bravura ben al di sopra della media".

Neanche il Covid vi ha fermato... "Non nego che ci sono state delle difficoltà, dettate dal momento contingente che tutti noi stiamo attraversando. Ho voluto fortemente che la serata finale andasse in scena, comunque. Molti dei ragazzi che hanno partecipato alla finale mi hanno ringraziato, anche perché erano fermi da mesi. Per quel che mi dicono gli addetti ai lavori, il Roma Music Festival non ha nulla da invidiare ad altri festival anche più storici e reclamizzati. E dobbiamo fare in modo che sia così anche in futuro".

A proposito, si sta già lavorando all'edizione del 2021? "Sì, stiamo ripartendo con le nuove selezioni. Sul nostro sito (www.romamusicfestival.com) daremo presto aggiornamenti, la prossima sarà un'edizione ancor più ricca di qualità e di sorprese. Speriamo di riavere anche i teatri aperti e il pubblico dalla nostra parte. L'impegno sarà quello di mantenere il livello delle ultime edizioni, e anzi di migliorarci ancora. Ci saranno novità, ma è ancora presto per parlarne" - conclude Montemurro. 

Mariapia De Conto ed Enrico Iannello vincono il Premio Letterario nazionale Chianti

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Con i romanzi 'Il silenzio di Veronika' e 'La compagnia delle illusioni'. Le votazioni nel Palazzo comunale di Greve alla presenza dei finalisti.

Sono Mariapia De Conto con 'Il silenzio di Veronika' (Santi Quaranta ed.) ed Enrico Ianniello con 'La compagnia delle illusioni' (Feltrinelli) i vincitori ex aequo della XXXIII edizione del Premio letterario Chianti. La finale si è svolta con la votazione da parte della giuria popolare delle opere dei cinque autori finalisti nel Palazzo comunale di Greve in Chianti, presenti alla cerimonia.

È la prima volta in 33 anni di un ex aequo del Premio.

Con Deconto e Ianniello i finalisti erano Valerio Aiolli (Nero Ananas, Voland editore), Andrea Molesini (Dove un'ombra sconsolata mi cerca, Sellerio) e Gesuino Nemus (Il catechismo della pecora, Elliot).

Ai finalisti e a personalità che hanno contribuito al consolidamento del Premio (quest'anno i poeti Claudia Piccini e Leonardo Manetti) è stato donato, tra l'altro, il bassorilievo bronzeo realizzato dal Maestro Orafo Mauro Bandinelli.

Il riconoscimento è sponsorizzato e promosso da otto Comuni del Chianti fiorentino e senese (Greve, Castelnuovo Berardenga, Castellina, Gaiole, Radda, Impruneta, San Casciano, Barberino-Tavarnelle), con il contributo di Rotary San Casciano-Chianti, Coop Cooperativa Italia Nova di Greve in Chianti, Società di mutuo soccorso Fratellanza di Greve in Chianti. Patrocinio della Provincia di Siena.

Di particolare significato il contributo del Rotary Club San Casciano Chianti, che insieme al Premio, negli anni ha preso in carico e portato avanti diversi progetti di solidarietà e di formazione.

Ascoltate il grido del mondo del Live

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Erano 500 i bauli posizionati in piazza Duomo a Milano. 

Una denuncia silenziosa ma ben visibile della crisi in cui versa il mondo dello spettacolo dal vivo, dall’inizio della pandemia. 

Migliaia gli operatori del settore  (artisti, tecnici, organizzatori, promoter, direttori artistici, ecc.) presenti in piazza.

Un settore dimenticato messo in ginocchio dal COVID.

Per il nostro mondo live, come dice Massimo Luca noto chitarrista di Lucio Battisti , la crisi venuta dalle chiusura ci ha messo in ginocchio .

È necessario un intervento immediato da parte del Governo per aiutare gli oltre 500.000 lavoratori del mondo dello spettacolo, fermi dal mese di marzo.

Il vino buono, pulito e giusto: il Manifesto di Slow Food

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Dalla materia prima che sia espressione diretta e sincera del terroir di provenienza al ricorso a prodotti consentiti in agricoltura biologica, dal rapporto virtuoso con collaboratori, dipendenti e altri produttori alla tutela della biodiversità, fino alla salvaguardia del paesaggio. Il Manifesto Slow Food per il vino buono, pulito e giusto presentato oggi a BolognaFiere, in occasione di SANA, racchiude in dieci punti ciò che, per l’associazione della chiocciola, significa il mestiere del vignaiolo, inteso non più solo come produttore di vino, ma anche come motore attivo per un’agricoltura che promuova una crescita culturale, economica e sociale, etica e armonica sul territorio.

Leggi qui il Manifesto Slow Food per il vino buono, pulito e giusto

Per comprendere l’origine di questo Manifesto occorre tornare indietro di 13 anni, al 2007, quando a Montpellier si riunivano i Vignerons d’Europe, i vitivinicoltori del Vecchio Continente. Al termine di quelle giornate di incontro nasceva un documento con cui affermavano i capisaldi della produzione slow. Ora ci si apre a tutto il mondo e il nuovo documento si arricchisce, prendendo in considerazione tutto il complesso di relazioni che genera il lavoro del vignaiolo.

«Il senso del nostro Manifesto è trattare il vino come qualcosa che vada oltre al bicchiere e che includa ambiti di importanza strategica per lo sviluppo del nostro Paese» ha spiegato Giancarlo Gariglio, curatore della guida Slow Wine insieme a Fabio Giavedoni, nel corso del convegno di lancio del Manifesto tenutosi a Bologna in occasione di SANA Restart. «In questa fase storica abbiamo compreso che nessuno sopravvive da solo, che sia una grande impresa, un’associazione con migliaia di iscritti, una piccola azienda o una famiglia. Mai come ora il concetto di comunità ha assunto un valore universale - ha aggiunto Gariglio - Il decalogo presentato oggi è il documento fondativo di una comunità che spero possa crescere e ramificarsi, una comunità che accomunerà tutti gli amanti del vino: quelli che lo fanno e chi, apprezzando questi vini, valorizza e ripaga le loro fatiche quotidiane».

«Il Manifesto Slow Food per il vino buono, pulito e giusto contiene tutti valori fondanti dell’approccio biologico, come il rispetto del suolo, il rifiuto dei pesticidi, la difesa della biodiversità» ha dichiarato Maria Grazia Mammuccini, vignaiola e presidente di FederBio. «In questo senso sono certa che l’esperienza accumulata negli anni dal bio e dal biodinamico possa essere particolarmente utile ai produttori che vogliono aderire a questo documento il cui punto di forza è certamente la centralità del viticoltore, anche dal punto di vista etico». 

«Fare il vino è uno dei mestieri più belli che si possano fare, perché consente di esprimere i propri valori attraverso il lavoro della terra - ha aggiunto Mammuccini - È però importante superare la fase storica nella quale si è pensato che fosse possibile produrre in qualsiasi modo: per dare sostanza a quei valori non si può non partire dal rispetto della terra e delle persone».

«Il manifesto è frutto di una riflessione collettiva a cui in questi anni hanno dato il loro apporto molti produttori, non è un ricettario calato dall’alto» ha dichiarato Maurizio Gily, agronomo, giornalista e già direttore di Millevigne, il periodico dei viticoltori italiani. Alla base del decalogo, naturalmente, il concetto di viticoltura sostenibile: «Significa conservare le risorse - suolo, aria, acqua - affinché non ne siano private le generazioni future, senza trascurare la sostenibilità economica, né quella etico-sociale. Non è sostenibile un’azienda certificata biologica che rispetta i protocolli colturali ma sfrutta il caporalato o non paga i fornitori. Non c’è sostenibilità senza etica» ha continuato Gily.

Da Saverio Petrilli, vignaiolo, enologo, fondatore e consigliere della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (FIVI), è arrivato l’appello a recuperare «gli aspetti più importanti del mestiere del vignaiolo: la socialità e la ruralità. Sono sentimenti essenziali, hanno storicamente caratterizzato la vita e il lavoro della campagna, eppure oggi li stiamo perdendo. Il mio invito è a mantenere quel modello di vita, coniugandolo al mondo moderno. Niente quanto il vino crea socialità, ed è dal vino che dobbiamo ripartire».

Whoopi Goldberg: non vedo l’ora di tornare in Italia. Stiamo lavorando a Sister Act 3

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Ho voglia di venire lì di persona. Non vedo l’ora di tornare in Italia, ho cercato di farlo negli ultimi 5 mesi e non ci sono riuscita ma arriverò presto. Stiamo cercando di organizzarci. È folle ma arriverò”, così Whoopi Goldberg ospite di Fabio Fazio in collegamento a Che tempo che fa.

Sul suo sostegno allo show Help for Italy che ha raccolto fondi per l’Italia: “L’Italia è sempre stata davvero qualcosa che amo, secondo me è stata una buona idea dimostrare questo amore. Cerchiamo sempre di imparare dall’Italia e abbiamo cercato di imparare in questa occasione per la pandemia. Quindi sono andata ad esprimere il mio amore per l’Italia e dire grazie”.
 
Riguardo alla quarantena: “Sono ingrassata, non mi alzo dalla sedia perché mi vedreste, non credo nemmeno che rimarrebbe intera”.
 
Sul suo talk show “The view”, che ha condotto senza pubblico durante il lockdown: “Non è stato facile, ma noi ancora lavoriamo da casa. Non andiamo in studio, io lancio da casa, non vado in studio dalla prima settimana di marzo. Anche perché io sono stata parecchio male lo scorso anno, ho avuto la polmonite bilaterale, per cui non sono ancora al 100%”
 
Sul suo impegno sociale e l’appoggio a Black Lives Matter: “Non tutti se la sentono. Io ho una piattaforma che mi permette di fare qualcosa e dire ciò che penso. Se c’è qualcosa che ti preoccupa devi parlarne, devi dire alla gente perché le cose stanno accadendo. Io me la sento e lo faccio, è importante fare qualcosa”.
 
Sull’aggressività e l’ostilità: “Vorrei poter dire che succede solo negli Usa ma succede ovunque. La gente si sente senza potere. Non apprezza le cose che accadono nel mondo, stanno cambiando tante cose, ci sono persone che non capiscono le persone gay che si sposano, i neri che possono votare e non sono più sottomessi, non capiscono perché i bambini non rispettano più i genitori… e non ce la fanno, non gestiscono questa situazione”
 
Sull’impatto della pandemia sulla vita delle persone: “Io credo che questo periodo abbia fatto una cosa grande per noi, perché ha forzato le persone a conoscere le proprie famiglie. Quando è arrivato il Covid tutti sono stati obbligati a stare in casa. Si è scoperto che non siamo dei geni perché a volte non si riescono ad aiutare i figli a fare i compiti a casa e quindi a un certo punto uno apprezza gli insegnanti per quello che fanno; abbiamo scoperto che i bambini sono interessati a quello che dici, se gli parli. Secondo me ci siamo un pochino riequilibrati, è stato anche un modo per apprezzare tutti i lavoratori, tutte le persone che ci hanno aiutato e che fanno lavori ‘di merda’ che noi non faremmo mai. Tra l’altro le elezioni arriveranno a breve, vediamo cosa succederà. Penso che la gente sia stanca”
 
Su “Il colore viola”: “Dal primo giorno mi sono resa conto che stavo entrando nella storia del cinema. Il primo giorno ho visto Steven Spielberg ed ho cominciato a ridere, pensando: ‘Caspita, sono sul set con Steven Spielberg’”.
 
Su “Ghost”: “Quando lo vedo piango e rido, ma principalmente piango, per Patrick Swayze. Mi manca tanto, tra l’altro è stato bravissimo perché mi ha permesso di fare quella parte perché non mi volevano. Quando lo vedo piango soprattutto per lui”
 
Sull’ipotesi di lavorazione di “Sister Act 3”: “Stiamo lavorando a Sister Act 3, lo posso confermare. Stiamo scrivendo la sceneggiatura. Beh, circa 55 persone devono dire: ‘Sì ci va bene” e poi forse… Ma insomma siamo entusiasti perché ci vuole qualcosa di leggero e divertente in questo momento, per cui stiamo davvero cercando di farlo. Ci proviamo da parecchio e adesso sembra che le cose si stiano muovendo. Semplicemente si sono annoiati perché io continuavo a ripetere: ’Perché non proviamo?’. E adesso ce lo fanno rifare. Teniamo le dita incrociate”

La forza delle donne: scatti di sofferenza e di denuncia, per amore di Madre Terra, inquinata e depredata dall’egoismo umano

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di Domenico Logozzo* - Madre Terra sempre meno rispettata. E le conseguenze sono evidenti. C’è tanto egoismo umano, come ha evidenziato lo stesso Papa Francesco, sostenendo che “a causa dell’egoismo, siamo venuti meno alla nostra responsabilità di custodi e amministratori della terra: abbiamo inquinato la nostra casa comune, l’abbiamo depredata mettendo in pericolo la nostra stessa vita”. E rivolgendosi in particolare ai giovani: “Sarà ancora necessario che i nostri figli scendano in strada per insegnarci ciò che è ovvio, vale a dire che non c’è futuro per noi se distruggiamo l’ambiente che ci sostiene”. E proprio due giovani amiche calabresi sono state protagoniste di una intelligente e originale iniziativa per risvegliare le coscienze, preoccupate per il futuro dell’umanità. Agiscono con una forte voglia di cambiamento, mettendo in campo tutte le loro migliori energie: intelligenza, cultura, creatività, coraggio, umanità, sensibilità. “La sofferenza del nostro pianeta è diventata la mia sofferenza”, ci dice Miriam Violi, 25 anni, laurea in medicina con lode a Pisa, parole che si leggono chiaramente sul suo volto, grazie agli scatti dell’amica fotografa Sara Leonardi, 26 anni, laurea in Grafica d’Arte a Reggio Calabria. Foto di sofferenza che sono in effetti pagine significative di un racconto d’amore per Madre Natura.

Amiche inseparabili fin dagli anni dell’asilo, oggi giovani ed apprezzate professioniste, Sara Leonardi, fotografa, e Miriam Violi, medico chirurgo, sono unite anche dall’amore per l’ambiente. Ragazze della Calabria che non si arrende, Sara e Miriam compiono azioni positive, molto coinvolgenti. Son ragazze che hanno idee, progettano e agiscono effettivamente per il bene comune. “Facciamo tutto questo - spiega Sara - per invitare le persone ad essere più rispettose e amorevoli verso la nostra cara Madre Natura, che è davvero prodiga di meraviglie, che a volte sfuggono alla mente e alla sensibilità umana”. Decisamente dalla parte dell’ambiente, che è vita, contro ogni forma di devastazione. Un amore che recentemente hanno deciso di esprimere in maniera ancora più incisiva, con l’arte e la cultura fotografica. La sensibilità delle donne. Sara ci mette la creatività; Miriam ci mette la faccia che racconta il disagio umano. Scatti di denuncia, messaggi per la sensibilizzazione della pubblica opinione. 

La buona idea viene a Sara, musicista, laurea in Grafica d’Arte e appassionata di fotografia. Vuole esprimere il suo “disappunto per tanta superficialità umana nei confronti di ciò che di più bello abbiamo, cioè il diritto inviolabile alla vita”. Pensa agli scatti fotografici per far riflettere, dire no agli scellerati inquinatori, fermare la sconsiderata condotta dell’uomo che devasta e aggrava la “sofferenza umana, nell'essere avviluppata da tutto questo malessere”. E coinvolge l’amica Miriam Violi, medico chirurgo che si toglie il camice bianco e diventa brava “fotomodella per un giorno”. Immagini che lasciano il segno. Ecco il bel volto della ragazza, pericolosamente “imprigionato” dalla plastica che uccide l’ambiente, sconvolgente l’espressione di dolore di Miriam. La natura violentata, umiliata, distrutta per mano dell’uomo che la stringe in un intreccio inestricabile di lacci velenosi. L’uomo la sta facendo colpevolmente morire. Miriam ama la vita e per passione e amore ha scelto di fare il medico, salvare la vita agli altri, mettendo a rischio anche la sua giovane vita, in questi difficili mesi di pandemia. 

Dalla Calabria da tempo arrivano dunque testimonianze significative, che vanno ricordate ed elogiate. Risvegliano le coscienze e ci ricordano ancora una volta che la difesa della natura riguarda tutti noi. Purtroppo sono tante, troppe le pericolose emergenze rifiuti che si susseguono. Sono questioni che riguardano la salute di tutti. Risultano perciò di grande attualità alcune azioni positive come la mostra fotografica dello scorso anno a Gioiosa Jonica, con gli scatti di Sara Leonardi e il volto di Miriam Violi. Una iniziativa di alto valore sociale e culturale. L’idea, come dicevamo, è partita da Sara Leonardi, 26 anni, scuola di musica a Gioiosa Jonica fin da quando aveva 7 anni, diploma al Liceo Artistico di Siderno, poi l'Accademia di Belle Arti a Reggio Calabria, la laurea triennale in Grafica d'Arte, ora sta completando gli studi del biennio di Grafica. L’amore verso la fotografia, che considera “una vera e propria arte. Ormai fa parte di me, della mia vita. Con la fotografia riesco ad esprimere meglio quello che io sento”. E aggiunge: “Fin da piccola provavo un grande piacere a farmi fare le foto. Crescendo ho acquisito la consapevolezza di essere portata a quella che io definisco "espressione del mio essere"” 

Come volto efficacemente espressivo, che con gli sguardi racconta il disagio dell’umanità provocato dal maledetto inquinamento ambientale, sceglie opportunamente l’amica Miriam Violi. Laurea con lode in medicina e chirurgia, è iscritta all’Ordine dei Medici della Provincia di Pisa, lavora come sostituto dei medici di famiglia. “Si fanno tanti sacrifici e soprattutto chi è fuori sede fa uno sforzo in più per inseguire i propri sogni, tanti sforzi in più, è stato difficile ambientarsi e affrontare tutto passo dopo passo con le proprie forze, con non poche discriminazioni purtroppo. Sono stati anni duri. Ma ora mi trovo molto bene a Pisa. Sono felice di aver realizzato il mio sogno più grande ma ancora ho tanta strada da fare”. Ha fatto domande alla Regione Toscana ed è in attesa di risposte. “Il mio obiettivo è proprio quello di diventare un medico a 360 gradi e per fare questo mi serve tanta pratica. Solo così posso capire la mia strada futura da percorrere. E mi piacerebbe anche fare la carriera accademica, nel reparto che sceglierò per la specializzazione”. 

Miriam, il suo bel volto, come una attrice consumata, l’ha saputo trasformare e adeguare di volta in volta al ruolo che Sara le assegnava e alle pose che le suggeriva. “La sofferenza del nostro pianeta è diventata la mia sofferenza, quindi la sofferenza dell’intera umanità, distrutta dalla volontà dell’uomo. È un messaggio importante, fortissimo quello di rappresentare la natura unica e sola vittima dell’umanità”. Sara per le sue foto sceglie il bianco e nero.  “Amo molto il bianco e nero”, confessa. Precisando subito: “Un bianco e nero mio! Con il quale riesco ad esprimere meglio ciò che sento in quel momento. Poi il bianco e nero, per me è fantastico! La foto diventa reale!”. Proprio così. Il volto di Miriam che racconta e gli scatti di Sara che trasmettono forti emozioni. “Mi piace giocare con luci, colori e ombre, bianchi e neri; ciò contraddistingue la mia personalità, che ama anche velare "il tutto" attraverso un po’ di mistero”. 

Le foto, come accennavamo all’inizio, sono state presentate lo scorso anno in una mostra allestita nell’atrio del comune di Gioiosa Jonica. Ed è stato un successo, che Miriam Violi spiega così: “Credo che la bellezza e il successo delle foto di Sara sia in primis tutto merito dalla sua professionalità e capacità creativa oltre che dall’importanza del tema, che non è cosa di poco conto”. La giovane dottoressa è convinta che un ruolo fondamentale rivesta pure “il legame forte e la sintonia che ci lega e che ci ha permesso di riuscire in questo progetto, esprimendo appieno le emozioni e trasmettendole al pubblico con indescrivibile naturalezza”. 

Sara spiega con tanta umiltà e sincerità e passione quale è stata la scintilla creativa della sua buona idea per la difesa della natura. “E’ nata in me quando un giorno, nello smistare la differenziata a casa mia, in particolare la plastica, il metallo e tutti quegli oggetti inquinanti che deturpano la natura, ho sentito il bisogno di esprimere, pur nel mio piccolo, il mio disappunto per tanta superficialità umana nei confronti di ciò che di più bello abbiamo, cioè il diritto inviolabile alla vita”. Ma cosa ha voluto mettere in particolare evidenza? “Quando si parla di inquinamento ambientale, si fa subito riferimento al mare, ai pesci, ai boschi, all'ambiente in generale, senza mettere in evidenza in maniera particolareggiata il disagio umano. Io, invece, ho cercato di evidenziare, attraverso lo scatto, l'espressione di dolore e soprattutto il mio coinvolgimento interiore, la sofferenza umana, nell'essere avviluppata da tutto questo malessere”. 

E Miriam ha interpretato in maniera impeccabile il ruolo che l’amica fotografa le ha assegnato. “Ho posato tante volte per Sara - racconta la brava dottoressa fotomodella - ma devo dire che questa volta il tema mi è sembrato davvero originale e di profonda attualità. Sara mi ha spiegato sapientemente che avrei dovuto sentire dentro la sofferenza della nostra amata terra, delle specie animali e attraverso le mie espressioni mostrarla con l’immagine”. Immagini che fanno riflettere: “La sofferenza del nostro pianeta - rivela Miriam - è diventata la mia sofferenza, quindi la sofferenza dell’intera umanità, distrutta dalla volontà dell’uomo. È un messaggio importante, fortissimo quello di rappresentare la natura unica e sola vittima dell’umanità. Quindi io sono stata pesce, fiore, albero, pianta, terra...qualsiasi specie vivente soffocata dalle mani dell’uomo”. E poi rivolge un elogio alla professionalità dell’autrice degli scatti: “Sapientemente Sara ha guidato l’espressione del mio volto, lo sguardo e mi ha permesso di dare tanto all’immagine. È stata un’esperienza sicuramente forte, importante, piena di significato ma anche molto divertente, perché portare avanti un progetto, un obiettivo con accanto un amico si trasforma in un momento piacevole da passare assieme e tutte le sfide diventano possibili”.

Sara l'amicizia con Miriam quanto ha influito sulle sue scelte fotografiche?

“Come sa, la mia amicizia con Miriam ha radici molto profonde e risale alla nostra tenerissima età, siamo cresciute insieme. La sua presenza ha particolarmente influito sul mio percorso fotografico, soprattutto in quest'ultimo periodo, mettendoci anche del suo, interpretando al meglio, ciò che io volevo, attraverso la sua grazia, il suo sguardo profondo nell'affrontare un tema particolare come quello dell'inquinamento ambientale, nonché la sua spontaneità”. 

Amicizia solida, ribadisce con orgoglio Miriam Violi. “Sì, ci lega un’amicizia forte fin dall’infanzia e questo ci ha permesso davvero di conoscerci in tutto, anche e soprattutto nelle nostre sfumature e nel profondo delle nostre personalità. Ci ha permesso di metterci in discussione e di accettarci completamente in tutto quello che siamo, nonostante il bello e il brutto di un rapporto. Si tratta quindi di un rapporto che ha basi solide e questo ha permesso anche di creare una confidenza forte e di far scaturire una spontaneità e una naturalezza indescrivibile nelle foto che facciamo. Il sentirsi a proprio agio davanti all’obiettivo permette di esprimere tanto, di suscitare emozioni profonde”.

Tutte foto sono dunque anche il frutto naturale di una bella e lunga amicizia. “Lealtà e rispetto” sono per Sara i più grandi valori. E mi fa tornare alla mente una canzone dei miei anni giovanili a Gioiosa Jonica. “L’amicizia sincera è un grande dono, il più raro che c’è”, ripeteva il poeta della canzone Herbert Pagani, in uno dei suoi dischi più belli nel lontano 1969, quando Sara e Miriam non erano neppure nate. Ma loro oggi danno idealmente seguito a quella bella definizione dell’amicizia nata dalla mente geniale di un cantante che troppo presto se ne è andato e troppo presto è stato purtroppo dimenticato.

*già Caporedattore centrale TGR Rai

 

Apre la Patty’s Art Gallery, galleria d’arte di Patrizia Stefani dedicata a talentuosi creativi contemporanei

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Sei un artista rinomato e ben quotato, oppure ancora emergente? Sei un amante dell’arte, un investitore od un collezionista?
Allora devi assolutamente sapere che apre la Patty’s Art Gallery, galleria d’arte contemporanea di Patrizia Stefani. Un’occasione imperdibile per vivere un’innovativa esperienza virtuale grazie alla quale mostrare le tue opere e le tue emozioni, ma anche per potersi aggiudicare straordinari pezzi d’arredo, con certificato d’autenticità, di pittori, scultori, fotografi selezionati con cura.

Testarda e tenace, coraggiosa e concreta, Patrizia Stefani indirizza sempre e solo all’eccellenza: veicoli di comunicazione quelli esposti alla Patty’s Art Gallery che si distinguono nel panorama nazionale ed internazionale per la capacità di impressionare e commuovere l’osservatore in virtù della costante attenzione nel dar corpo, esprimere ed immortalare con maestria ogni più piccola sfumatura di pensiero e ogni sentimento umano – tant’è che ciascuna opera presentata e acquistabile dal sito www.pattys.itè testimonianza e segno destinato ad entrare nella storia.

Quadri, fotografie, sculture ed eterogenei oggetti d’arte tutti di alto livello che si qualificano e connotano per essere potente linguaggio di condivisione nonché piacevole opportunità di immergersi nelle meravigliose passioni di creativi inimitabili ad arricchire belle case, studi, attività e negozi, collezioni private e musei pubblici dei quattro continenti.

Ed è la stessa Patrizia Stefani ad affermare, a proposito appunto del proprio progetto avviato con lei al timone, dopo una lunga esperienza in associazione e piacevolmente a contatto con famosi critici e storici d’arte, che <<L’obiettivo è di mettere in comunicazione l’anima, l’idea, l’essenza di un artista con chi vuole investire non solamente sull’oggetto in quanto bello ma pure sulla persona. Fondamentale far capire alla gente e agli uomini d’affari l’importanza di ciò che può dare e trasmettere un oggetto d’arte, ossia trovare nel suo riflesso la gioia e l’entusiasmo in grado di far battere ogni giorno il cuore alla sua vista>>.Poi la talent scout ed art advisor, non a caso, aggiunge <<Credo fortemente nell’investimento artistico: diversificare il capitale è pilastro imprescindibile dell’attività finanziaria di un avveduto buon imprenditore e su tal fronte mi metto personalmente al suo servizio affinché riesca a comprendere che nel tempo un quadro, uno scatto fotografico, una scultura o un’installazione acquisteranno sempre un valore>>.

Ma qual è la peculiarità primaria e distintiva dell’arte? L’arte, per l’influente e preparata gallerista originaria di Bassano del Grappa, è sostanza e fondamento dell’esistenza; ella sostiene difatti che chi si avvicina al mondo dell’arte non riuscirà più a tornare indietro e separarsene giacché incarna la bellezza ed è spesso espressione d’un contesto storico, socio-culturale in atto in cui tanto l’artista, quanto il fruitore si trovano immersi e dal quale finiscono quindi per essere dipendenti in più o meno larga misura, direttamente o indirettamente, in maniera conscia od inconscia che sia.

Copertina: Opera di Cazzola


DAN BROWN: HO AVUTO IL COVID-19, NON RIUSCIVO A RESPIRARE…

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Ho avuto il Covid-19, ma adesso sono a posto” - così lo scrittore bestseller Dan Brown a Che Tempo che Fa su Rai3 intervistato da Fabio Fazio “Sono stati 3 giorni davvero terribili e la settimana successiva ho avuto problemi di respirazione. Sono arrivato ad avere 40 di febbre, non sentivo odori e non riuscivo a respirare. 
 

Sull'affermazione di Trump di essere ringiovanito dopo aver avuto il Covid-19: “Non voglio commentare e non so cosa dire: è talmente senza senso, io mi sono sentito più vecchio di un paio d’anni
 
Su fake news e negazionisti: “È difficile fare lo scrittore adesso: la realtà supera la fantasia. Se 3 o 4 anni fa uno avrebbe potuto scrivere un libro su un Presidente come Trump o una pandemia o la Brexit. Se avessi detto di Milano in lockdown per 6 settimane, nessuno ci avrebbe creduto. Sono cose da pazzi. Ci sono tante teorie cospirazioniste, un po’come la religione: la mente umana non vuole credere alla causalità, ci vogliamo dare una motivazione per tutto. Infatti se qualcuno che amiamo muore, ci dicono sempre che c’è un motivo, che Dio l’ha richiamato e questo ti fa sentire meglio
 
Sul nuovo libro di Dan Brown ‘La Sinfonia degli Animali: “I miei genitori non credevano nel potere della tv: volevano che leggessi e suonassi. I ricordi più belli della mia infanzia sono quelli in cui sto seduto a leggere i libri e sentire i dischi di mamma, che era una professionista, una musicista di musica classica. Volevo ricreare questa esperienza di poesia, immagini e musica anche per i bimbi di oggi. È stata un’enorme gioia scrivere il libro. Ho lavorato con 100 musicisti e produttori e un'illustratrice. C’è un’app con cui ascoltare la musica del libro. I bimbi si divertono moltissimo, girando le pagine c’è la colonna sonora: sembra una magia. Per gli adulti, la storia è piena di morali, di insegnamenti e molti segreti”.
 
Sugli inizi della sua carriera: “Quando andavo all’università, ho studiato composizione musicale e letteratura. Finita l’università mi sono detto: ‘scrivo musica o romanzi?’. La musica è più divertente, andai a Los Angeles e fui fortunato perché riuscii a incidere un disco che ha venduto ben 12 copie, 6 le ha comprate mamma. Quindi ho deciso di darmi ai romanzi”.
 
Su Lucio Dalla: “Io adoro Lucio Dalla, è il mio cantante Pop preferito. Mi si è spezzato il cuore quando è morto. L’ho scoperto nel 1984 quando ero in Spagna e la mia canzone preferita è Caruso”.

Agata Reale conduce "The Coach": i concorrenti si liberano delle maschere. L'intervista

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È pronta a tornare su 7Gold con la terza edizione di The Coach, in onda da lunedì 12 ottobre alle 19.00. Parliamo di Agata Reale, conduttrice ed uno dei volti più amati del talent show Amici, che l’ha vista tra i concorrenti nella sesta edizione. Un ritorno sul palco significativo, che arriva dopo alcuni mesi non proprio positivi della sua vita, proprio come ci ha raccontato in questa lunga e intensa intervista.

Salve Agata, com’è cominciata la sua esperienza a The Coach?

L’esperienza a The Coach nasce tre anni fa. Il primo anno è stata una conduzione un po’ diversa rispetto a queste ultime due. Un po’ perché, da due anni a questa parte, sono diventata uno degli autori del programma, che è molto bello e particolare perché è centrato sui coach, una figura che spesso e volentieri sta dietro le quinte. Questa volta ci sono però anche loro in prima linea. E’ bello perché dai ragazzi, dai talenti, ti aspetti delle emozioni, invece dai coach è più facile aspettarsi una freddezza artistica perché ormai sono abituati e preparati da diversi anni. Invece, attraverso la prima fase Academy, dove io faccio un corso che vede proprio spogliarsi di tutto sia i talenti, sia i coach, queste figure a volte autoritarie vengono a cedere, non in male. Si spogliano di tutte quelle corazze che ogni giorno ci mettiamo”. 

É soddisfatta di fare parte della squadra?

Sì, perché fondamentalmente faccio quello che ho sempre desiderato. Parlo coi ragazzi, sto con loro ad aiutarli. La mia formazione artistica è a 360°. Vengo dalla danza, dal musical, dalla recitazione e, quindi, ne capisco sotto l’aspetto artistico. Spesso, dietro le quinte o quando li vedo esibirsi, do loro piccoli consigli. Quando facciamo questo corso, di cui parlavo prima, conosco non più gli artisti, ma le persone, visto che mi capita anche di intervistarli. Questo credo che sia una chiave importante del programma perché, rispetto magari a quello che si fa altrove, andiamo a raccontare la vita delle persone. Ho sentito pure dei feedback dai concorrenti e dai coach che, grazie al mio corso, spesso ritrovano loro stessi. Si liberano anche di alcune maschere che loro mettono. La chiamano lezione di vita, ma è proprio qualcosa che permette loro di aprirsi proprio tanto. Quest’anno, ad esempio, ci sarà un coming out fatto da un ragazzo che mi ha detto di essersi sentito libero e ha scritto un post molto bello rivolto a me. “Grazie a te sono tornato a vivere. Non riuscivo a dire alla famiglia, alla mamma di essere gay”. In un contesto come quello lì con le telecamere e tanta gente intorno non è facile. Lui, attraverso questo lavoro mentale che faccio con loro, è riuscito a liberarsi e, quando è ritornato a casa dopo le registrazioni, è andato dai genitori e si è fatto coraggio per parlargli. C’è stato inoltre qualche coach che ha avuto problemi con il marito, non riusciva a dire certe cose, ma dopo si è liberata. Dal corso si esce un po’ diversi. Per me a livello umano questa è una delle cose più belle in assoluto che faccio a The Coach”.

Com’è il suo rapporto con Garavelli e Zarotti, che producono The Coach?

Ho la libertà di fare come voglio. I produttori Luca Garavelli e Marco Zarotti, che è anche il regista, mi danno proprio tutto in mano. Per la serie: ‘entra sul palco e fai quello che vuoi’. La cosa bella è che abbiamo tante scalette, con delle cose diciamo scritte, ma in realtà quando arrivo sul palco si registrano tante puntate. Noi riusciamo a fare dalle 15 a 20/25 puntate al giorno. Cominciamo alle 8/9 del mattino e finiamo tardi la sera. Con Garavelli e Zarotti siamo riusciti a fare un prodotto molto interessante. Su questa cosa qui sono molto felice perché poi comunque non ho il gobbo scritto, non ho niente. Vado molto a braccio, in base a quello che succede lì dentro. Capita a volte che un ragazzo si fermi e trovo la soluzione giusto per farlo andare avanti. Non è semplice, motivo per cui sono fiera di me stessa. Ringrazio sempre Luca e Marco per questa libertà che mi danno”. 

E’ conosciuta da tutti per essere stata una delle allieve di Amici 6. Che cosa ha fatto subito dopo il talent show?

“Dopo Amici ho fatto tante belle cose, iniziando da Verissimo, dove ho fatto l’inviata grazie a Silvia Toffanin che mi ha voluto fortemente. Ricordo ancora quella telefonata, quando mi chiamò la redattrice per offrirmi il ruolo di inviata speciale. Era una cosa che non era mai successa, soprattutto ad un ragazzo di Amici. Io ero ballerina, all’epoca si facevano i musical e capitava che cantassi… ma era comunque una nuova veste. Anche lì forse è stato poi il lancio per la mia nuova figura artistica, quella che è ormai la conduzione da 10 anni. Devo dire che grazie a Silvia ho riscoperto una nuova me, mi sono messa in gioco. Dopo Verissimo ho fatto delle cose per Sky, dei programmi per ragazzi. Ho fatto delle coreografie per il programma “Leone Auz” con Leone di Lernia nel 2010 e per il video musicale del brano “Batticuore” di Mich&Squalo. Ho fatto delle belle cose, condotto tantissimi eventi anche importanti”. 

So che ha avuto anche due menzioni speciali.

“Si, due molto particolari e speciali. Una di queste è il premio internazionale Universum Donna 2017, dove mi sono ritrovata con tante donne importantissime, come medici e scienziate. Quel giorno quando leggevano il curriculum delle altre mi sentivo un po’ inferiore rispetto a loro, perché mi chiedevo che cosa avessi fatto di speciale oltre la televisione e il teatro. Però devo dire che, quando hanno letto il mio curriculum, mi si sono presente tutte le cose artistiche che ho fatto e ne sono stata orgogliosa. L’altro premio è quello di Ambasciatrice di Pace, da un’accademia svizzera. Sono molto felice di questa cosa perché sono una tipa ‘peace & love’, mi piace molto aiutare gli altri”.

Ha aperto anche una scuola tutta sua, no?

Esatto. Undici anni fa. Inizialmente lavoravo nella mia scuola quindici giorni, perché ancora abitavo a Milano. Dopo due anni, mi sono trasferita in Sicilia, a Catania, perché mi mancava tanto la mia terra, i miei affetti. Sono partita da casa che avevo 15 anni. Ho lasciato casa, la mia famiglia e la scuola per andare a vivere da sola, a Firenze, perché avevo vinto una borsa di studio importante in una delle più importanti e grandi accademia di danza. Lì è stata una bellissima formazione perché studiavo canto e danza dalla mattina alla sera. Poi c’è stata la svolta nella compagnia di Renato Greco. Ho fatto un audizione appena 18enne e mi hanno presa, con tanto di contratto. Finchè, come sa, non sono arrivata ad Amici”.


Ripercorriamo un po’ l’esperienza ad Amici? Che ricordo ha di quell’anno?

“In realtà, non volevo fare il casting di Amici, devo essere sincera, perché non avevo all’epoca il tempo di seguire. Dalle 8 del mattino alle 8 di sera frequentavo l’Accademia, poi uscivo e andavo a lavorare. Facevo la raccatta bicchieri in una discoteca giusto per non pesare sui miei genitori perché non volevo che loro spendessero troppi soldi per mantenermi. Mi sentivo un po’ in colpa, anche se la mia famiglia inizialmente non ha mai saputo di questo lavoro. L’hanno scoperto quando una volta dimenticai il cellulare in casa e mia madre mi chiamava in continuazione e io non lo rispondevo. Mi sono ritrovata la polizia sotto casa l’indomani mattina perché mamma non era riuscita a rintracciarmi per ben 12 ore. Perché solitamente la chiamavo alle 10 per dirle che stavo andando a dormire, prendendo un attimo il cellulare dal mio armadietto. Ho così dovuto dire questa cosa, anche se i miei non l’hanno apprezzata inizialmente perché non volevano che lavorassi. Ho sempre voluto essere indipendente e pesare poco su di loro”.

Entriamo un po’ più nei dettagli allora. Come mai, alla fine, si presentò ai casting di Amici?

“Amici è arrivato perché me lo proposero alcune mie colleghe della compagnia. Non ero molto felice, anche se mamma mi diceva sempre di provarci. Una notte, perché facevano le repliche, mi sono così messa a guardare il programma, ma non mi sentivo adatta. All’epoca ero una ragazza molto timida, mi vergognavo pure di andare a comprare il pane. Essere andata a vivere da sola, a soli 14 anni, è stata la svolta perché ci sono stati episodi che mi hanno fatto maturare, tante cose belle ma anche brutte che mi hanno fatto crescere in fretta. Già a 18 anni mi trovavo a stare con gente molto più grande di me, anche di 35/36 anni. Nei primi tempi, anche nella compagnia, non ero ben vista sia perché arrivavo da fuori, sia perché non venivo dalla scuola di Renato Greco. Col tempo, è però andata meglio”.

E quel provino, alla fine, è andato bene…

“Già, io passai il provino di Amici, le mie colleghe no. Loro lo volevano fare, mentre io ero lì per mia mamma, perché sapevo che l’avrei resa felice nel caso fossi passata. In quel modo avrebbe potuto vedermi tutti i giorni, visto che all’epoca non c’erano le video chiamate, Whatsapp e così via. Lo dissi anche alla redazione quando mi chiesero la motivazione della mia partecipazione al provino. Non mi aspettavo minimamente di passare, invece le audizioni sono andate molto bene”.

Cosa ha rappresentato per lei fare Amici?

“Amici è stata una svolta, ma non perché la gente mi riconosce ancora per strada o perché, subito dopo, ho cominciato a lavorare bene, facendo più serate e tante cose. E’ stato per me una svolta di vita: ho scoperto di essere diversa da come mi reputavo. Credevo di essere timida e silenziosa, invece lì sono diventata una piccola iena. Spero di non essere mai stata maleducata con nessuno, ma non mi facevo pestare la coda, come sicuramente molti si ricorderanno. Mi ricordo sempre questa cosa del collo del piede. Sono stata io nel casting a dirlo alla Celentano. Quest’ultima mi chiese infatti per quale motivo, per via della mia base tecnica, non facessi la ballerina classica e le risposi che il mio collo del piede non era adatto per quel tipo di danza, motivo per cui facevo ballo contemporaneo. Le dissi anche che ero molto ferita da questa cosa, fondamentalmente perché avrei voluto fare danze classica, ma da persona competente avevo capito che la strada non poteva essere quella ed ero andata a fare contemporaneo. Quando un giorno, durante la lezione, disse che non avrei potuto fare la ballerina perché non avevo il collo del piede, ci sono rimasta male. Ho pensato che fosse matta. Ero stata proprio io a parlargliene. Non capivo dunque perché stesse tirando fuori quella storia lì”.

E da lì si è innescato il suo conflitto con Alessandra Celentano. 

“Proprio così. Ho cominciato a risponderle a tono. Anche perché mi diceva che non avrei mai lavorato, mentre io avevo già una compagnia con un regolare contratto. Non capivo la ragione di tante cattiverie, lavoravo già e non volevo che alla gente a casa arrivasse un messaggio sbagliato. Comunque sia, Amici è stata una bella svolta personale che mi ha fatto conoscere tante persone valide, come l’autore Luca Zanforlin, che tutt’oggi per me è un punto di riferimento. Lo definisco il mio amore segreto. E’ una persona fantastica. Io e lui ci guardavamo negli occhi e ci capivamo. Ci sono poi Chicco Sfondrini, Roberto Maltoni… i registi, i cameramen, i macchinisti, la regia. Davvero tutti. Non ci hanno mai fatto mancare nulla. Ero una di quelle che chiedeva pochissimo, soprattutto quando eravamo rinchiusi nelle stanzette, ma loro erano sempre pronti. Dopo dieci minuti, se facevi una richiesta, c’era qualcosa”.

E Maria De Filippi?

Maria è la mia regina. Per me è la mamma artistica e lo sarà sempre. Era lì ad aiutarmi, a darmi una mano, mi diceva di non arrendermi. Quando veniva nelle stanzette e notava che ero silenziosa, cosa rara per me che sono logorroica, mi dava forza, mi faceva una battuta e col sorriso mi faceva capire che stavo facendo bene. Per Maria potrei solo spendere parole bellissime e mi arrabbio se vedo gli articoli di alcuni ragazzi che hanno fatto Amici che le vanno contro, scrivendo che si sono sentiti abbandonati e usati. Non capisco cosa vogliano. Maria non è un ufficio di collocamento. Ci ha dato l’opportunità di emergere, ma se uno è valido deve farcela con le sue gambe, come un po’ ho fatto pure io, senza chiedere aiuto a nessuno. Ho sempre dimostrato sul palco in scena, durante le serate, e non mi è mai piaciuto farmi aiutare”.

Cambiamo un po’ argomento. Lo scorso novembre è stata male e si è reso necessario il suo ricovero in ospedale…

“Si, il 9 novembre. Sono svenuta in casa, ho perso del sangue e mi sono ritrovata in ospedale. Quel giorno è stato molto brutto. Ho avuto paura, soprattutto per mia figlia. Sono felicemente sposata da quattro anni, anche se il matrimonio è avvenuto in chiesa un anno fa. Chloe è tutta la mia vita. Quando sono stata male, ho pensato subito a lei. Era tosta, soprattutto perché dovevo restare circa 5 mesi in ospedale. Avevo tanti pensieri, sia per la bambina, sia per i miei allievi. Non sapevo cosa fare. Avevo paura di perdere tutto quello che avevo costruito. C’era anche preoccupazione per il percorso da vocal coach che ho intrapreso perché, qualche anno fa, dopo Verissimo ho avuto un problema di salute fisico e quindi ho dovuto scegliere se continuare a danzare o vivere normalmente. In quel caso, ho constato che lasciare la mia più grande passione, la danza, era un po’ come vivere a metà, ma ringraziando Dio mi sono risollevata e ho scoperto nel canto, nella recitazione e nella conduzione quello che mi piace fare. In questi 12 anni ho dovuto fare un percorso diverso rispetto a quello che avevo immaginato per me. Nel cuore sono ancora una ballerina, ma non posso più danzare”.

Immagino non sia stato facile.

“No, in quel periodo ero a Milano. Dormivo tutto il giorno. Vivevo per la danza, ma non mi sono sentita di fare delle operazioni per continuare. Sono stata molto male e ho avuto anche dei momenti di depressione. All’epoca mi ha aiutato il mio cane Budino, che hanno conosciuto tutti a Verissimo. Grazie a lui, sono riuscita ad andare avanti. Ed è lì che ho cominciato il percorso da vocal coach, che ormai dura da 7 anni. Una mia allieva, Elena Manuele, ha vinto la prima edizione di Sanremo Young ed è stata una grande soddisfazione. Capisce quindi che mi preoccupava lasciare la mia scuola per cinque mesi, lo scorso novembre, perché non volevo abbandonare i miei ragazzi, con cui avevo già ottenuto belle cose. Ed il pensiero costante era anche per mia figlia, che non avrei più rivisto per un lungo periodo”. 

E’ stato un ricovero continuativo?

No, ci sono state delle volte che potevo uscire o per una settimana o per dieci giorni. Ebbene, una delle prime cose che ho facevo, quando tornavo alla libertà, era andare alle lezioni, nonostante le mie condizioni. Non riuscivo a fare persino gli scalini di casa ed in questo mio marito e mia madre sono stati eccezionali. Lui mi prendeva in braccio, mi metteva a letto quando ero quasi inerme. Avevo voglia però di stare con loro, di andare a lavorare e quando Garavelli, in vista della nuova edizione di The Coach, si è preoccupato per me, gli ho promesso che ad aprile, mese in cui uscivo dall’ospedale, gli avrei fatto sapere se fossi disponibile per registrare il programma a luglio. A maggio gli ho comunicato che avrei fatto tutto, anche se magari non proprio fisicamente in forma, a causa del tanto cortison. Ed il primo giorno di registrazioni ho litigato un po’ con tutti”.

Ah sì? E come mai?

Mi avevano tolto talmente tante cose che avevo già fatto il primo anno, come le interviste, per non farmi stancare troppo. E ho avuto una crisi, perché volevo lavorare senza essere considerata malata. E’ vero che dovrò lottare ancora un po’ per via della malattia, ma ero andata lì per fare il mio lavoro. Ho fatto finta che nulla fosse accaduto ma, terminata quella giornata di lavoro, a casa ho ripensato a quella malattia che comunque c’è. Però, come ho scritto nel post, non ho paura né di quella, né di morire. Ho paura di lasciare mia figlia. Mi fa stare veramente male il pensiero. Lottare, invece, lotto sempre. Ogni settimana faccio i controlli, ogni 3 mesi faccio una visita abbastanza forte per vedere a che punto sta la malattia. Questa sono io”.

Altri impegni esterni a The Coach?

“Ho fatto una puntata per un programma che andrà sul web di cucina. Mi piace molto cucinare perché mamma ha una gastronomia ed è chef. So cucinare bene, almeno così mi dice mio marito. Avevo anche mandato dei video per Tale e Quale Show ma, purtroppo, per la malattia non abbiamo più approfondito niente. Mi piacerebbe fare il Grande Fratello per la mia storia e il messaggio che potrei dare ai ragazzi. Mi rendo conto, facendo l’Academy a The Coach, che in qualcosa sono brava. Una ragazza mi ha confidato di avere pensato al suicidio, ma di avere cambiato idea grazie alle riflessioni che le ho fatto fare. Sono cose abbastanza toste, ma forse potrei aiutare qualcuno anche al Grande Fratello. Sarebbe una delle cose più belle che potrei fare in questa vita”. 

Modigliani... a cent'anni

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Mattina del 27 gennaio 1920, inverno nordico, a Montparnasse, Parigi, le serrande di tutti i negozi e locali pubblici abbassate, quantità di gente assiepata sui marciapiedi, commozione sui volti: il feretro  si dirige verso il cimitero Père Lachaise: il corteo è iniziato all’ospedale della Charité, l’ospedale dei poveri di Parigi, dove è stato trasportato due giorni prima, già in coma, da un paio di amici che ne conoscevano la terribile situazione, sua e di Jeanne, la compagna: stiamo parlando di Amedeo Modigliani, l’artista,  morto tre giorni prima, il 24,  angosciato e disperato e, anche,  alcolizzato e tisico. Anche se, in vita,  non molto considerato  dalla comunità artistica a causa dei suoi eccessi e della sua permanente  ristrettezza di mezzi, del continuo stato di ebbrezza, dello spettacolo  dei suoi disegni in cambio di un bicchiere di qualche cosa e delle sue plateali stravaganze canore e poetiche: ora in questo triste momento della sua fine, tutti gli sono vicini, consapevoli di aver perso un uomo fuori del comune, a dispetto  delle sue eccentricità e miseria, un artista autentico.  Le spese per il funerale  furono coperte da una colletta di circa, le cronache, 1400 franchi dell’epoca, organizzata da due amici artisti, Chaim Soutine e Moise Kisling, anche ebrei.

Jeanne, la compagna, di ventidue anni, incinta di nove mesi, già madre di una bimba, dal fratello fu accompagnata dai genitori che, cattolici osservanti, avevano sempre ostacolato e osteggiato la relazione con Modigliani non solo perché squattrinato e senza una casa e senza un avvenire, quanto perché ebreo. Il giorno dopo la morte dell’amato, Jeanne, affranta e disperata, si butta giù dal quinto piano dove abitavano i suoi, col figlio in grembo.

Pur se con ritardo abbiamo voluto ricordare la tragica conclusione della esistenza terrena di questo grande dell’arte  perché ne abbiamo voluto richiamare alla memoria i legami, diretti ed indiretti, col mondo ciociaro che qui andiamo a ricordare. Allorché arrivato a Parigi prese lezioni di modellato all’Académie Colarossi, scuola privata forse la più importante e antica,  fondata parecchi anni prima da Filippo Colarossi,  modello, da Picinisco: qui aveva studiato anche la futura compagna Jeanne.

Grande la sua sfortuna, feroce il suo destino: tre giorni dopo la sua morte, il 27 gennaio 1920, giorno del corteo funebre, in altra parte della città  il suo primo mercante, da lui eternato in un quadro intitolato Novo Pilota e cioè Paul Guillaume, inaugurava  la  mostra di arte moderna, la prima nella storia dell’arte con prsentazione di Guill.Apollinaire e vi esponeva quattro opere di Picasso, dodici di Modigliani, 5 di Matisse e una rarissima di De Chirico: le opere di Matisse erano il quadro ‘Le tre sorelle’ oggi al Museo della Orangerie che illustrano Loreta, Rosa e Elena Arpino, modelle della Valcomino e le sculture in bronzo per le quali aveva posato un altro modello pure della Valcomino, Cesidio Pignatelli.

Quando davanti ai caffè e luoghi pubblici di  Montparnasse  Modigliani  ogni tanto tirava  fuori dalla tasca un foglio di giornale e apertolo, iniziava a decantarne la bellezza e le qualità: si trattava dell’immagine  del ‘Ragazzo col panciotto rosso’ di Cézanne che illustrava un ciociarello pure della Valcomino. Le vie di Montparnasse che maggiormente frequentava e dove anche periodicamente aveva la sua stanza e il suo studio, erano la Rue de la Grande Chaumière dove era anche la sede principale dell’Académie Colarossi e, vicino,  la Rue Campagne Première dove  al n.3 si trovava Chez Rosalie, una piccola trattoria tenuta da Rosalia Tobia, con addentellati di Picinisco, una volta acclamata modella di Bouguereau che ci ha lasciato qualche suo nudo fragoroso.  Rosalie,   sessantenne,  amava filialmente molto il bel Amedeo e in  qualche modo lo proteggeva: era abituata a vederlo nel suo locale  con belle donne.   E accettava, pur se non con molto gradimento  perché li considerava ‘scarabocchi’, i disegni che l’artista le dava in pagamento, sicuramente qualche centinaia:  Rosalie li usava per la toilette o per accendere le fornacelle o quale pasto dei topi! Quando veniva trovato ubriaco davanti alla Closerie des Lilas o davanti alla Rotonde, caffè  mitici dell’epoca oggi ancora sui luoghi,  gli amici lo trascinavano da Rosalie e lei gli preparava un giaciglio nel retrobottega in attesa che passasse la sbornia, poi un piatto di tagliatelle e un bicchiere di chianti. Rosalie, l’umile modella di Picinisco, è  personaggio integrante e costitutivo della esistenza di Amedeo Modigliani. La mostra di cui sopra segnò l’inizio della  gloria: già nei giorni successivi numerosi mercanti soprattutto e anche collezionisti passavano da Rosalie  per comprare opere dell’artista: enorme il suo disappunto  per non aver conservato nemmeno un disegno!    

Un altro fatto che ci giustifica a  tale commemorazione del grande artista è che la Rotonde, il famoso caffè dove anche  amava sedere e ubriacarsi, e che, si dice, oggi è anche il locale  preferito di Macron, è a pochi metri dalla  grande scultura di Balzac realizzata da  Rodin : il volto di Balzac è quello dalle guance rugose  e corrose e dalle occhiaie incavate e la chioma al vento, di Celestino, modello della Valcomino. uello di C elestibo, modello nche li della V alcolmi no.

Un paio di anni fa un quadro di Modigliani, quale nemesi! è stato venduto per oltre centosettanta milioni di dollari, il quadro più costoso! E una sua scultura acquistata, appena terminata, da un pittore inglese in viaggio di nozze a Parigi, al prezzo, si racconta, di un fiasco di vino, è stata venduta tre o quattro anni fa a Londra per settantasette milioni di sterline!

Una volta a Parigi, non si manchi di andare al Père Lachaise e posare un fiore sulla tomba dove ora giace in pace con Jeanne. 

                                                                                   Michele Santulli

 

Segnalibro, Mariapia De Conto a Fattitaliani: ne "Il silenzio di Veronika” il mio bisogno di sapere, di scoprire, di capire. L'intervista

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Fresca del XXXIII premio internazionale Chianti con "Il silenzio di Veronika" (Santi Quaranta ed.), la scrittrice Mariapia De Conto parla oggi con Fattitaliani per la rubrica Segnalibro. Comincia intanto commentando il recente riconoscimento: "Che dire? Innanzitutto che sono felicissima e onorata! Non solo di essere vincitrice, ma già a suo tempo di essere stata selezionata tra i cinque finalisti. Il Premio Chianti, giunto ormai alla 33esima edizione, è indubbiamente importante per la sua valenza culturale e per il coinvolgimento fondamentale del territorio, delle biblioteche e dei lettori. Aggiungo che se è emozionante la cerimonia di premiazione, l’incontro che si fa con i lettori, con chi quindi ha già letto il tuo libro è, almeno per me, uno dei  momenti più belli e intensi che uno scrittore può vivere.". L'intervista.

Quali libri ci sono attualmente sul suo comodino?

Veramente se ne aggiungono in continuazione…  succede che ne inizi più di uno fino a quando trovo quello che mi cattura e allora per un po’ abbandono gli altri. E ovviamente per libri intendo tutta la letteratura compresa la letteratura per ragazzi, troppo spesso dimenticata o addirittura sottovalutata dagli adulti.

L'ultimo "grande" libro che ha letto?

Vede, definire “grande” un libro piuttosto che un altro è sempre molto soggettivo, inoltre citarne alcuni a scapito di altri non mi sembra carino, visto che mi riferirei a scrittori contemporanei. E poi… leggo moltissimo ma ho una memoria penosa perciò mi dimentico titoli e autori! Naturalmente come tutti ho i miei autori preferiti, come David Grossman, Georges Simenon, Doris Lessing e di cui leggo praticamente tutto, ma anche molti altri… l’elenco sarebbe lunghissimo! E soprattutto ci sono anche passioni che cambiano nel tempo.

Chi o cosa influenza la sua decisione di leggere un libro?

Recensioni, consigli, predilezione per un autore o un’autrice…non c’è una regola fissa, ma certo curiosare tra gli scaffali di una libreria è il modo migliore per scovare un libro. Una bella copertina sicuramente può influenzare la mia decisione. Penso che la copertina come il titolo di un libro siano molto importanti per indirizzare il lettore. Va anche detto però che sono generalmente scelte editoriali  e che spesso gli autori non hanno voce in capitolo. Così ci sono tante brutte copertine che non rendono merito al contenuto e all’autore. Quindi meglio non fermarsi all’apparenza.

Quale classico della letteratura ha letto di recente per la prima volta?

Tra le ultime letture c’è sicuramente Christa Wolf, in particolare Il cielo diviso e Un giorno all’anno. Il mare dei classici è vastissimo sia nel campo della letteratura così detta per adulti, che in quella per ragazzi, perciò c’è sempre molto che mi incuriosisce e che alterno con la letteratura contemporanea, che peraltro conta già tanti libri che possiamo considerare classici, basti pensare a Marquez, Allende, Pitzorno, Sepulveda o lo stesso Camilleri. E poiché per dirla con Calvino, classici sono quei libri che si ha voglia di rileggere, in questo momento ho voglia di riprendere per mano Simone De Beauvoir.

Secondo lei, che tipo di scrittura oggi dimostra una particolare vitalità? 

Mah, curiosando tra gli scaffali delle librerie mi pare molto spazio abbiano i libri gialli, o considerati tali.

Personalmente, quale genere di lettura Le procura piacere ultimamente? 

Come già detto prima, sono molti gli autori e i libri che mi attirano, e alterno le letture tra quelle che mi rilassano o che semplicemente mi invogliano  e quelle che considero utili al mio lavoro. Il genere introspettivo sicuramente fa parte dei miei interessi, ma direi che soprattutto amo la bella scrittura. Se non c’è quella, nessuna trama riesce ad avvincermi.

Quale versione cinematografica di un libro l'ha soddisfatta e quale no? 

Raramente le versioni cinematografiche mi soddisfano se ho già letto il libro, anzi evito proprio. Più facile che dalla visione del film mi venga voglia di leggere il libro e in questo caso generalmente mi piacciono entrambi. L’ultimo che mi viene in mente, anche se non recentissimo è per esempio “Pomodori verdi fritti” di Fannie Flagg, o “The hours", tratto dal romanzo di Michael Cunningham.

Quale libro sorprenderebbe i suoi amici se lo trovassero nella sua biblioteca? 

Un trattato di astrofisica!

Qual è il suo protagonista preferito in assoluto? e l’antagonista?

Ce ne sono davvero troppi e la memoria non mi aiuta!

Lei organizza una cena: quali scrittori, vivi o defunti, inviterebbe? 

Ovviamente per buon gusto i viventi non li nomino. Dei grandi autori del passato, inviterei volentieri molte donne scrittrici, come Virginia Wolf, Simone De Beauvoir, le sorelle Brontë, Emily Dickinson,… perché mi affascinano per la loro storia, per l’epoca in cui hanno vissuto, per la loro testimonianza. 

Che cosa c'è di Mariapia De Conto ne "Il silenzio di Veronika”?

In realtà, credo niente, per lo meno a livello cosciente! C'è indubbiamente il mio bisogno di sapere, di scoprire, di capire. Ho girato per le strade di Berlino, immaginando di essere lei.

Ne "Il silenzio di Veronika" c'è un passaggio, una parte che lo potrebbe riassumere nella sua essenza?

A mio avviso, più che una parte è una parola quella che caratterizza il libro nella sua essenza ed è “silenzi”. I silenzi che si insinuano tra le pagine del libro come nella vita dei suoi personaggi. Silenzi che pesano, silenzi esterni e interiori e che non sempre riescono poi a trovare la voce. Giovanni Zambito.


La “Dolce Vita” di Hanna Moore Milano al Social World Film Festival di Vico Equense

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Si è conclusa la settimana del Social World Film Festival, la Mostra Internazionale del Cinema Sociale,  diretta del regista e produttore Giuseppe Alessio Nuzzo.

Madrina del festival è stata Gaia Girace, la Lila della serie“L’Amica Geniale”, che dopo il successo planetario torna nella sua città natale.Un’edizione speciale per il decennale, per salvare il rapporto tra pubblico e cinema. Il cinema sociale inteso come mezzo di comunicazione internazionale, confronto oltre che contenitore di critica, sviluppo e promozione. Non solo una rassegna cinematografica, quindi, ma un momento di aggregazione culturale e sociale per giovani unico nel suo genere, un’esperienza di cooperazione e integrazione, un format cinematografico di denuncia e riflessione.

La Pre-apertura del festival si è tenuta  con l’inaugurazione della mostra fotografica “Federico Fellini, 100 anni del genio del cinema italiano” in collaborazione con il Centro Sperimentale di Fotografia e ha visto, nelle sale e le terrazze a picco sul mare dello splendido Castello Giusso,  la Collezione diHanna Moore Milano “Ladolce vita” dell’imprenditore Gianfranco Unione indossata dallemodelle diNancy D’Anna Young Fashion Agency con la collaborazione delTeam HM Italy Staff di Miriam e Luciano Carino – Official Hair Makeup Artist della manifestazione.

“La Dolce Vita” di Hanna Moore Milano, una collezione che ha presentato un nuovo concetto contemporaneo di raffinatezza, quindi, dove l’esclusiva qualità del Made in Italy si unisce alla ricercatezza dei materiali, all’utilizzo di trattamenti speciali e all’estetica di un design moderno. Vero e proprio punto di riferimento per lo street stylecontemporaneo, la linea  rende omaggio ai modelli retro-running degli anni Novanta, quella della Dolce Vita del film di Federico Fellini, un’epoca effervescente caratterizzata da trend iconici e da movimenti che hanno influenzato i decenni a venire, dunque un omaggio agli anni ’70 e ’80 con sofisticate citazioni con una specie di serenata post-moderna di grande impatto sensoriale.

Castello Giusso - Via XI Febbraio, 80069 Vico Equense NA –

Telefono 081 801 6235

Grazie a Miriam Carino  HM Staff

A Nancy D'Anna Young Fashion Agency per le bravissime modelle

Hanna Moore Milano  - Gianfranco Unione Management

 www.hannamoore.it

 

press: Cristina Vannuzzi

 

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