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Dario Neron: lo scrittore svizzero presenta “Franco Toro”. L’intervista di Fattitaliani

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Dopo la pubblicazione di “Doctor Reset”, lo scrittore svizzero Dario Neron torna con il nuovo romanzo “Franco Toro. L'uomo più bello del mondo”, pubblicato da Castelvecchi editore.

Fedele allo stile del primo romanzo, quest’opera seconda racconta una storia esistenziale, con un linguaggio fresco e giovanile, un ritmo veloce. A tratti pure tragica portando a riflettere su temi d’attualità sociale, come il narcisismo, la mediatizzazione eccessiva e l’egocentrismo di una gioventù dal futuro, purtroppo, più incerto che mai. Egocentrismo impiegato come scudo di fronte alle pretese di una società tritacarne, in cui l’individuo è morto proprio perché tanto celebrato (o ricercato). Senza cascare nel volgare come la storia di un escort potrebbe fare, trova invece spazio il romanticismo, realista e a tratti naïve, mai rosa bensì raccontato con la poesia di due giovani, Franco ed Esse, e con la profondità di amicizie nate non per caso.

In esclusiva per Fatti Italiani, abbiamo avuto il piacere di intervistare l'autore. Ecco l'intervista completa.

 

Ciao Dario e benvenuto su Fattitaliani. Come e quando hai deciso di diventare scrittore?

Ciao a voi e grazie per l’opportunità! Difficile da dire, non credo sia stata una decisione. Diciamo che ci sono “scivolato” dentro, iniziando a scrivere un testo, poi un racconto, dopo il racconto un capitolo e alla fine mi sono trovato sul computer un manoscritto. Ho invece preso la decisione di metterci più impegno, quando è avvenuta la prima pubblicazione insieme ad alcuni premi letterari.

 

Il tuo autore contemporaneo preferito?

Michel Houellebecq è sicuramente molto in alto.

 

Nell’arco della giornata qual è il momento che dedichi alla scrittura?

Sono un incorreggibile procrastinatore. Purtroppo il momento nella giornata lo condenso in alcuni weekend durante l’anno nei quali scrivo molto. Pure le vacanze, soprattutto quelle trascorse al mare, sono periodi produttivi per la scrittura.

 

“Franco Toro” è il tuo secondo romanzo. Come è nata l’idea di questo libro?


La scintilla che ha fatto scattare l’idea di scrivere Franco Toro è avvenuta una sera in piscina. Nei finestroni per caso avevo notato il mio riflesso e vidi quindi come il riflesso a sua volta mi osservava. Qui mi è venuta l’idea di scrivere sul narcisismo e le sue conseguenze. L’idea dell’escort si è aggiunta più tardi.

 

Quanto è stato difficile portarlo a termine?

Non vorrei apparire arrogante, ma lo è stato. Era una stesura intensa di tre mesi – anche qui lavorando solo nei weekend – ma sapevo dove volevo arrivare. Le difficoltà sono arrivate dopo, nella post produzione e nella ricerca dell’editore.

 

Due aggettivi per descrivere il tuo nuovo romanzo.

Feroce, spietato.

 

Quali sono, secondo te, i punti di forza del tuo libro “Franco Toro”?

Direi la lettura scorrevole, il linguaggio fresco e giovanile e un personaggio molto molto particolare e caratteristico. Franco Toro è un personaggio alla Tyler Durden (Fight Club), che sa il fatto suo. Lo si ama o lo si odia, ma pure odiandolo, lo si rispetta.

 

Nel 2016 ti sei aggiudicato il Premio Inedito (primo posto sezione narrativa). Quali sono le emozioni che hai provato quando hai appreso di aver vinto?

Mi sono sentito preso sul serio. Prima di vincere l’Inedito avevo già scritto un altro romanzo, non pubblicato e probabilmente impubblicabile, ma le porte in faccia e tutte le risposte inesistenti da parte degli editori, hanno lasciato il segno. Quindi il premio Inedito e soprattutto il direttore Valerio Vigliaturo, hanno rimosso quel sentimento di non essere capace. E questa è un emozione impareggiabile.

 

Progetti per il futuro? Nuovi libri?

Certamente! Sto lavorando a una raccolta di racconti brevi e a un romanzo in tedesco.


Daniele Groff apre la seconda edizione di “MUSICA&POESIA”

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Cinque importanti appuntamenti musicali a partire dal 16 ottobre all'Auditorium Fonato, Via Carlo Del Prete, 37 - THIENE (VI), si terrà la seconda edizione della rassegna musicale Musica&Poesia organizzata da Alberto Parisotto per L’Asterisco Sas e patrocinata dall'Assessorato alla Cultura della Città di Thiene. La manifestazione vuole portare con 5 concerti/incontro con il pubblico, la musica e la poesia di diverse generazioni del pop e cantautorato italiano.

 

«Sono molto orgoglioso e contento della rassegna del 2020. Dopo una fase embrionale nella precedente edizione - dichiara l’organizzatore - la manifestazione si è affermata nel tempo e si è sviluppata quest'anno con ben 4 serate e 5 concerti. E' una ricerca di artisti conosciuti nel panorama nazionale, ma che della loro vita artistica e professionale hanno un visione molto curata, attenta al pubblico, mai sopra le righe e con una visione di musica e poesia sia nello scrivere testi e canzoni, sia nelle interpretazioni e nello stile personalizzato che sanno emanare e trasmettere ai loro sostenitori. E' l'aspetto artistico che sa fondersi con i valori umani e professionali. Sono ben lieto che aderiscano a questa 2 edizione della rassegna che sarà sicuramente un bellissima esperienza di concerti e di vicinanza fra l'artista ed il pubblico».

 

Quest’anno apertura il 16 alle 20.30 con Daniele Groff cantautore, musicista che ha al suo attivo la partecipazione a due Festival di Sanremo, la pubblicazioni di 4 album in studio e diversi tour non solo italiani.

 

Venerdì 16 ottobre ore 20.30 Daniele Groff

Sabato 17 ottobre ore 19.30 Benedetta Giovagnini

Sabato 17 ottobre ore 20.30 Danilo Sacco

Domenica 18 ottobre ore 20.30 Nathalie

e il 30 ottobre sempre alle 20.30 il concerto che chiuderà la seconda edizione di Musica&Poesia.

 

 

Musica&Poesia è un progetto nato nel 2019  in occasione del GIUGNO THIENESE, il variegato e fantasioso contenitore dal quale scaturiscono circa una settantina di appuntamenti che riguardano la Cultura, l’Arte, il Volontariato, lo Sport ed il Tempo Libero.

 

La precedente edizione della rassegna, ha visto un ottimo successo tanto da portare l’organizzazione a organizzare la una nuova edizione che a causa del COVID19 è stata posticipata a ottobre.

 

Ingresso a pagamento.

Per info e prenotazionipuntoevirgolailmensile@gmail.com - tel. 348 9014993

La rassegna si terrà nel rispetto delle norme di sicurezza e distanziamento con obbligo di mascherina.



RECmedia comunicazione e promozione

Roma Quirinale: Massimo Sestini, in mostra, racconta Dante

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di Riccardo Bramante - In occasione dei prossimi 700 anni dalla morte di Dante anche il Quirinale ha voluto celebrare la ricorrenza con una spettacolare mostra fotografica di Massimo Sestini nella Palazzina Gregoriana situata all’interno del complesso presidenziale.

Sestini è uno dei più importanti fotografi e giornalisti internazionali che ha al suo attivo numerosi scoop fotografici degli ultimi 40 anni, dalla prima foto di Lady D in bikini alle foto dall’alto dell’attentato a Falcone e Borsellino alle riprese subacquee o in elicottero di paesaggi e reperti archeologici.

In questa mostra, articolata lungo quattro sale, vengono presentati 20 scatti fotografici di grandi dimensioni che danno un ritratto attuale di Dante e dei luoghi che il Divino Poeta si trovò a frequentare, da Firenze a Verona a Ravenna, dai boschi ai palazzi citati nella “Divina Commedia”, che ci mostrano plasticamente quanto la presenza di Dante continui ad accompagnare la nostra vita. Il tutto trattato sulla base di tecnologie innovative che ritraggono, spesso da punti di vista insoliti, monumenti danteschi contestualizzati nell’ambiente raffigurato.

Il percorso si apre con la visione di due splendide ante in legno collocate a Palazzo Vecchio a Firenze, realizzate nel 1480 da Giovanni da Maiano e Francesco di Giovanni su disegno di Botticelli, raffiguranti il Poeta e Petrarca.

Particolarmente suggestive, tra le altre, una grande statua di Dante fotografata in una Piazza Santa Croce svuotata dal Covid; e, ancora, una inedita visione dall’alto verso il basso degli affreschi del “Giudizio Universale” di Giorgio Vasari e Federico Zuccari situati nella cupola del Duomo di Santa Maria del Fiore realizzata con una macchina fotografica calata con un filo dalla sommità della lanterna del Duomo stesso, e poi ancora Sestini immerso, con maschera e boccaglio e l’immancabile macchina fotografica, nella laguna veneta per immortalare la “Chiatta di Dante”, opera bronzea dello scultore georgiano Georgy Frangulyan.


Si susseguono poi scatti tratti dall’attualità, come quelle di alcuni studenti liceali immersi nella lettura della “Divina Commedia” e anche opere della Street Art che celebrano il genio italiano della letteratura.

La mostra è stata realizzata con la consulenza artistica di Sergio Risaliti e la consulenza scientifica di Domenico De Martino e sarà visibile sul sito del Quirinale fino all’11 ottobre per poi passare a Firenze nell’ex refettorio di Santa Maria Novella e nel 2021 trasferirsi all’estero come valido simbolo dell’arte e della cultura italiana.

Arturo Brachetti, da Marco Ghitarrari Presidente di Eureka il Premio internazionale "Le cattedrali letterarie europee"

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di Ester Campese - Al "TeatroBasilica" di Roma, si è tenuta la XIV' edizione del Premio internazionale "Le cattedrali letterarie europee", lo scorso 3 ottobre. Il premio istituito è stato istituito, da diversi anni, dall'Associazione Culturale Eureka di cui ne è Presidente Marco Ghitarrari.

Fin dalla prima edizione il riconoscimento internazionale "Le cattedrali letterarie europee" ha voluto premiare esponenti di eccellenza che si sono distinti nel panorama umanistico europeo e delle arti, con personaggi del calibro di Roberto Benigni ed Umberto Eco, Claudio Magris ed ancora lo studioso e critico austriaco Wendelin Schmidt, Dengler, John McCourt, David Lynch e lo scorso anno Ennio Morricone.

Quest'anno l'importante riconoscimento è stato conferito ad Arturo Brachetti, il noto artista teatrale italiano che ha avuto il pregio di saper riportare in auge un'arte pressocchè dimenticata e quasi scomparsa, dalla morte di Leopoldo Fregoli, nel 1936: il trasformismo, ovvero l'arte di cambiare personaggi, costumi e trucchi nel più breve tempo possibile.

I suoi esordi, come velocissimo performer, sono a Parigi. Brachetti rapidamente raggiunge la notorietà che ben presto si estende anche nel resto d'Europa. Antonello Falqui è il regista di varietà che lo lancia in Italia.

Un artista, Brachetti, capace di spaziare dal teatro comico al musical, dalla magia al varietà, che in una simpatica narrazione ha ripercorso al "TeatroBasilica" gli oltre suoi 40 anni di carriera, che lo hanno persino visto annoverare nel Guiness dei primati per la velocità dei suoi completi cambi, ad oggi giunti ad oltre 400 personaggi.

La maestria e simpatia di quest'artista è ben presto dimostrata anche in sala con una performance, incalzata dal Vice Presidente dell'associazione Eureka, Pierluigi Pietricola, interpretata da Brachetti con un semplice tovagliolo diventato, di volta in volta, bandana, bandiera, ventaglio, oggetto anch'esso trasformista, protagonista di una divertente storia. Non meno spassoso l'omaggio a Paolo Poli, imitato perfettamente, nei "dubbi amorosi" di Pietro Aretino.

L'intento di Eureka è quello di promulgare scienza, arte, spettacolo e l'informazione culturale, ma anche promuovere giovani talentuosi, come nel caso del prestigiatore e mentalista Adriano Scarafile, cui è stato assegnato il Premio Excellentissimus che ogni anno riconosce le attitudini di giovani promesse.

In sala tra gli ospiti molti volti noti tra cui la principessa Nike Arighini Borghese, la giornalista e conduttrice televisiva Alda D'Eusanio, le attrici Maria Rosaria Omaggio ed Elena Russo, Michaela Magalli, figlia di Giancarlo, la cantante Giò di Sarno, la giornalista Paola Zanoni, il violinista Gaspare Maniscalco, la stilista Eleonora Altamore, Riccardo Bramante con la pittrice Ester Campese e Angela Santoro della Fondazione Bruno Zevi.

Sada, "Fumo"è il 3° introspettivo singolo della band di Carpi

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Fumo, nuovo singolo dei SADA (video) è un brano nato da un'introspezione dovuta a un momento di forte emotività, come gran parte delle canzoni della giovane band.

In Fumo si racconta una relazione finita, ma non solo: Fumo non è una semplice canzone d'amore, è anche un manifesto della libertà di esprimersi e soprattutto di esprimere le proprie emozioni senza filtri. In una società in cui ci si sente in dovere di essere sempre contenti e felici, in realtà è ormai più comune il contrario. 

Questa canzone è quindi un modo per dire: 

“Ok sto male. Soffro, ma è normale. E voglio poterlo cantare a squarciagola”.

I SADA sono un gruppo nato il 18 Aprile 2019 e composto da Stefano Amoruso, Luca Lugli, Dario Simonazzi e Stefano Fiorentino.

La band propone un genere Alternative Pop Rock cantato in Italiano, che segue linee guida e influenza di band contemporanee internazionali come Imagine Dragons e Muse, con l'intento di uscire dagli schemi del rock classico e portare all'ascoltatore un genere familiare, ma con sfumature e colori originali.

Il 26 Aprile 2019 esce il primo singolo "Non è da Me" , pezzo che ha dato inizio ad un intenso periodo di lavoro da parte del gruppo e alla collaborazione con il TakeAwayStudios.

L'8 Gennaio 2020 viene pubblicato il secondo singolo "Rosa Nera" , brano che dà voce al sound e alle particolari sfumature tanto ricercate.

L'8 settembre dello stesso anno i SADA firmano il primo contratto con Sorry Mom!, che dà inizio ad un nuovo percorso ancora tutto da scoprire e con la quale esce il singolo "Fumo".

 www.facebook.com/SadaOfficialinfo

Casamaina di Lucoli alla ribalta nazionale

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Piccola storia del borgo ricordando Sirio Castellani, medico, a 50 anni dalla scomparsa diGiorgio Ottavio Castellani*

L’AQUILA - Casamainaè un piccolo borgo dell’Abruzzo aquilano, 171 abitanti, una delle frazioni del comune di Lucoli, luogo di escursioni festive per gente comune, di vacanza estiva e invernale. Di un mese fa il provvedimento del Presidente della Regione Abruzzo che ha dichiarato zona rossa, con misure restrittive anti Covid, cinque comuni della provincia dell’Aquila, tra i quali Lucoli. Una settimana fa 5 casi di positività al contagio sono stati accertati nel territorio comunale, lo ha comunicato il sindaco di Lucoli. Tutto questo è stato sufficiente per far balzare all’attenzione della cronaca nazionale Casamainae Lucoli, nel contesto della notizia d’una ripresa del contagio in Italia.

In paese la gente è sorpresa per questa “attenzione” nazionale da Covid 19, abituata com’è Casamainaad altri tipi di meritate attenzioni, per le meraviglie della natura, per le bellezze ambientali, per la buona cucina ed altro ancora, non certo per la pandemia che sta martoriando il mondo intero. Una pubblicità non cercata e non voluta, della quale volentieri avrebbe fatto a meno. Un allarme per la comunità di Lucolied i suoi frequentatori per fortuna rapidamente rientrato. Casamaina merita altra pubblicità positiva, per la grande generosità della sua popolazione, per l’ospitalità premurosa, per la bellezza dei suoi luoghi irripetibili.

Tanti anni fa Casamainaera un borgo montano isolato per le condizioni climatiche impossibili, per questo ancor più ameno, con una strada sterrata che rendeva difficile raggiungerlo, l’ultimo di un comune molto esteso, Lucoli, e composto da molti piccoli borghi di poche anime, ma pieni di vita e di umanità, con un presidio di pochi carabinieri, il municipio, la condotta medica e ostetrica, la scuola elementare e nell’Ottocento toccato persino da episodi di brigantaggio.

Nel territorio comunale, a Campo Felice, fino ad allora un vasto altipiano di verdi pascoli per pecore, qualche mucca, qualche asino o mulo, fu scoperta la bauxite e venne aperta una miniera. Anche allora divenne luogo d’interesse nazionale, ed accaddero alcune cose fino a quel momento inimmaginabili: la strada provinciale asfaltata, l’andirivieni di camion carichi di minerale scavato diretto verso il porto di Pescara e con destinazione finale Trieste, l’occupazione per una popolazione dedita alla pastorizia ed alla produzione di carbone vegetale, le comunicazioni giornaliere con la città capoluogo. Insomma, l’apertura alla civiltà! Questa la situazione di allora.


Casamenaro
era un tempo (e lo è ancor oggi per gli antichi valori che conserva) la persona adusa alla fatica, alla tribolazione, ma orgogliosa, instancabile e solidale. L’abitazione misera, a volte attaccata alla stalla dove qualche pecora, a volte un asino o una mucca contribuivano a mandare avanti a stenti la baracca familiare.

Negli anni successivi Casamainasi apriva al primo turismo della neve, qualche negozio e persino qualche pensione, un certo benessere cominciava ad affacciarsi. Intanto si esauriva però il commercio del minerale, non più redditizio, e iniziava l’esodo verso il capoluogo o i paesi d’emigrazione. Negli anni Settanta arriva l’autostrada Roma-L’Aquila e lo svincolo di Tornimparte-Campo Felice. La nuova strada bypassa la valle di Lucoli e di conseguenza il turismo, soprattutto da Roma, segue il nuovo percorso per raggiungere gli impianti da sci di Campo Felice. Ora però la situazione si è un po’ assestata, a Lucoli e nelle sue frazioni. C’è chi, avendo scoperto l’amenità del luogo, ha comprato o riadattato una casetta dove va passare in serenità, fuori dalle nevrastenie della grande città, i fine settimana e le vacanze.

La mia memoria torna agli anni Cinquanta quando SirioCastellani, mio fratello e medico, per concorso si aggiudica la condotta di Lucoli, allora abbastanza numerosa di abitanti. Si sistema a Collimento, capoluogo del comune, sede della caserma dei carabinieri - cinque o sei unità al comando di un brigadiere -, presenti sul posto anche un nucleo di agenti del Corpo forestale, l’ostetrica condotta, l’ufficio postale. Bisogna inoltre aggiungere che Lucoliera ed è residenza di un abate nelle prestigiosa Abbazia benedettina di San Giovanni, a Collimento. Ricordo anche la presenza, a Casamaina, di un giovane parroco molto vivace, don Valente, legato con incommensurabile affetto alla gente e punto costante di riferimento della popolazione.

Le comunicazioni con Casamainaerano sempre state problematiche. Spesso il medico, soprattutto nel periodo invernale, per arrivare in paese doveva ricorrere al supporto dei carabinieri, alla jeep in loro dotazione. A tal proposito c’è da dire che l’inverno a Lucoli era lungo e la neve ben abbondante. Ricordo che in un inverno particolarmente rigido una partoriente a termine che doveva essere ricoverata in ospedale, da Casamainarichiese per l’impercorribilità della strada l’intervento del Soccorso alpino. Alpinisti di notoria fama discesero la puerpera in taboga fino a Collimento. Là un’ambulanza l’aspettava per portarla in ospedale, dove il parto avvenne in tutta tranquillità. Questo episodio, che mi fu raccontato da mio fratello Sirio, ebbe anch’esso risonanza della stampa nazionale.

Condizioni di lavoro sempre molto impegnative, la gente era restìa al ricovero ospedaliero, che avveniva solo in situazioni eccezionali. Sirioaveva un rapporto affettivo eccezionale con Casamainae i suoi abitanti, gente generosa attaccata al suo medico. Egli la ripagava con una particolare dedizione. L’ambulatorio era sempre affollato – forsanche perché l’ambiente era riscaldato – pure perché i cittadini di Lucoli rinsaldavano con lui il contatto di fiducia, coltivando una familiarità davvero intensa. Tre giorni a settimana andava su a Casamaina. L’ambulatorio in un piccolo locale, un tavolino e due sedie, un letto da visita spartano e una piccola stufa a legna in ghisa, l’incontro con don Valente che lo ragguagliava sulle condizioni della gente, questo era il mondo di Sirio a Casamaina. C’era solo un negozietto nel paese, aveva il telefono, unico mezzo di collegamento. Quando Sirio mi portava con sé, mi lasciava in buona custodia dal gestore del negozietto, che mi riservava ogni premura e ogni volta mi deliziava con qualche caramella. Le traeva dai barattoli di vetro che contenevano i vari gusti di caramelle sfuse.

In quel tempo c’erano le varie mutue che erogavano l’assistenza gratuita per le diverse categorie di assistiti: INAM, Coltivatori Diretti, ENPAS, INPDAP, ARTIGIANI. Qualcuna sicuramente sfugge alla memoria. Ricordo che sempre si tornava da Casamainacon qualcosa che i pazienti visitati usavano offrire al loro medico, cose genuine e naturali che donavano con cortese insistenza: uova, piccoli formati di formaggio di pecora, frutta di stagione ed altri prodotti fatti in casa. Non potrò mai dimenticare - ancora il ricordo mi emoziona - un’anziana umile donna sola, visitata a domicilio, che condivideva con una mucca la sua unica stanza, divisa da un rudimentale tramezzo di legno. Alla fine della visita consegnò a Sirioun pacchettino molto profumato. Si trattava di una piccola saponetta che oltre al profumo emanava tutta la riconoscenza e l’affetto provati verso il suo medico. Un rapporto sempre vivo e cordiale che si rafforzava sempre di più.

II lavoro in miniera, l’esposizione alle polveri di calcare, il rischio di affezioni respiratorie sempre presente. Per diversi anni questo fu uno dei prevalenti impegni per Sirio, controllare le condizioni di salute dei suoi assistiti e approntare la documentazione medica a supporto della richiesta di riconoscimento di malattia professionale. Questo impegno assiduo cementò il rapporto degli abitanti di Lucoli con il loro medico condotto. Molti di loro, dopo mesi di traversie, ebbero finalmente riconosciuto il diritto a fruire dell’indennizzo del rischio, grazie alla solerzia del loro medico.

Nel 1968-69 arrivò l’asiatica. L’epidemia influenzale, dopo la poliomielite, si rivelò estremamente diffusiva, ogni strato di popolazione ne fu colpito. Allora non esisteva una particolare attenzione verso un evento pandemico che non sembrava particolarmente pericoloso, ma che invece si rivelò altamente dannoso. Nessuna terapia specifica, nessun vaccino, ma solo il tentativo di prevenirne le possibili complicanze. Comunque l’allarme e la diffusione dell’epidemia s’andava accentuando. Il medico condotto di Lucoli, come d’altronde tutti gli altri colleghi di altre zone, rispondeva alla numerose richieste di visita, soprattutto domiciliari, nei vari paesi del comune: Collimento, Lucoli alto, Le Piagge, Le Ville, Casamaina, Casavecchia. Giorno e notte. Sempre.

Sirioavvertì i primi malesseri, disturbi passeggeri. Poi sempre più insistenti, febbre e tosse. Il prof. Gianfranco Natali, primario all’ospedale San Salvatore, consigliò un controllo radiologico. Cardiomegalia, probabile versamento pericardico, ricovero ospedaliero, condizione stazionaria: una settimana, due settimane, tre settimane. In accordo con il prof. Natalisi decise il consulto con il prof. Puddu, fondatore e primario del reparto di cardiologia dell’Ospedale san Camillo di Roma, fautore del recente sviluppo della cardiologia moderna. Il professor Puddu accettò l’invito. Venne a L’Aquilae, con la sua usuale cordialità, fu accolto dal prof. Natalie da tutti i medici del reparto di Medicina. Durante la visita condivise l’ipotesi diagnostica: pericardite d’origine virale ed il trattamento terapeutico in atto. Durante la misurazione della pressione arteriosa Siriovenne invitato ad alzarsi. Ebbe un episodio sincopale, con perdita di coscienza. Pur permanendo attività cardiaca efficiente, furono negativi i tentativi di rianimazione.

Venni allontanato dalla stanza. Probabile embolia polmonare massiva. Il virus dell’asiatica aveva portato via mio fratello Sirio, il medico condotto di Lucoli. Cordoglio unanime. Una folla immensa al funerale celebrato a Monticchio, luogo di residenza della famiglia Castellani,testimone della gioventù spensierata di Sirio. Un passato di cavallerizzo e di studente nel seminario di Chieti, compagno di molti aquilani, per poter emancipare la propria cultura con l’obiettivo di raggiungere la licenza liceale da privatista. Era la sola possibilità, a quei tempi, per conseguire il titolo di studio superiore e poi ambire alla frequenza universitaria.

Mi emozionai fino a commozione quando vidi arrivare a Monticchioun autobus con i suoi amici di Casamaina, venuti per dargli l’estremo saluto, al medico condotto, il loro medico di famiglia che aveva dedicato la vita intera ai suoi assistiti. Un grande tributo di riconoscenza da parte della sua gente, calorosamente richiamato dall’abate don Virgilio Pastorelliche volle, nel cimitero dell’abbazia di Lucoli, apporre una targa a ricordo di Sirio Castellani, medico condotto. Nel breve periodo che seguì mi sentii in dovere di continuare ad assistere i suoi “concittadini” di Lucoli, in attesa di un sostituto. Ebbi così la conferma, per diretta percezione, di quanto grande fosse l’affetto ed il legame che univa la gente di Lucoli, e in modo singolare quella di Casamaina, al loro medico condotto. A distanza di 50 anni dalla scomparsa ancora viva nella comunità lucolana è la memoria indelebile di Sirio Castellani.

*Medico cardiologo, già Primario dell’Ospedale San Salvatore, nel 2009 durante il terremoto dell’Aquila era direttore del Dipartimento di Emergenza. E’ stato Consigliere comunale nella città capoluogo d’Abruzzo, Presidente della Provincia dell’Aquila e docente presso l’Istituto Superiore di Educazione Fisica (ISEF).

Gio’ Marinuzzi e Cristiana Polegri, TWO GIRLS FROM IPANEMA al Museo del Saxofono il 10 ottobre

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Sabato 10 ottobre il Museo del Saxofono ospiterà un concerto tutto al femminile, interpretato da Cristiana Polegri a voce e sax e Giovanna Marinuzzi a voce e chitarra.
TWO GIRLS FROM IPANEMA, in programma alle ore 21:00, è un duo affiatatissimo e coinvolgente, con l'armonia di due voci fuori dal comune, pronto a trasportare il pubblico con la mente e col cuore in Brasile per un'esperienza trans-atlantica e trans-culturale che passa dalle note del sax alle corde della chitarra. Le due musiciste dotate di simpatia e grande carica comunicativa, riescono ad instaurare un rapporto molto vivo col pubblico traducendo i testi e raccontando aneddoti.

Con arrangiamenti originali e stile personale, verranno proposti brani ormai dimenticati o “standard” entrati a far parte del repertorio più conosciuto a livello internazionale, con un programma di ampio respiro che spazia dal samba alla bossa nova,  dal samba canção  al frevo e allo chorinho, con brani di autori quali Jobim, De Moraes, Chico Buarque, Djavan, Veloso,  Azevedo, e altri. Il tutto interpretato non senza qualche incursione nella musica americana.

L'evento, come da consuetudine, è organizzato nel pieno rispetto di tutte le normative anti-covid e prevede un ingresso contingentato fino ad un massimo di 65 persone con prenotazione obbligatoria. Prevendita sul sito liveticket o chiamando i numeri +39 06 61697862 – +39 347.5374953. Prima dell’inizio del concerto è prevista un’apericena d’intrattenimento.

Gio’ Marinuzzi

Gio’ Marinuzzi è il “nome storico” della musica brasiliana in Italia, poiché è stata la prima italiana a proporre negli anni ’70 la Bossa Nova appena nata in Brasile, estendendo in seguito il suo repertorio anche agli altri generi brasiliani.  Si è esibita per anni  al Folkstudio insieme ai cantautori De Gregori, Venditti, Gaetano ecc.  ed in seguito è stata ospite fissa al Manuia, il locale “culla” della musica brasiliana a Roma. E’ stata leader di varie formazioni, come il gruppo Samba Carnaval,  con la partecipazione di alcuni tra i migliori musicisti italiani tra cui i chitarristi Michele Ascolese ed Eddy Palermo, il pianista Riccardo Biseo, il flautista Nicola Stilo, il sassofonista Gianni Savelli,  il contrabbassista Francesco Puglisi, il batterista Giampaolo Ascolese con cui compiva numerose tournées. E’ stata ospite di programmi tv ed ha  condotto  programmi sulla musica brasiliana su RadioTreRai.. Ha formato il trio Bye Bye Brasil con il chitarrista Gianluca Persichetti ed il percussionista Stefano Rossini con cui ha tenuto numerosi concerti nel “nascente” Alexanderplatz ed ha fatto parte del gruppo Mandrake Som. Tornata dal Brasile dove è vissuta 2 anni è stata invitata dal chitarrista brasiliano Irio de Paula  a tenere concerti in duo in tutta Italia riscuotendo sempre un notevole successo personale. Ha svolto attività didattica ed oltre a dare lezioni ad artisti quali Sergio Caputo e Claudio Amendola, ha tenuto  negli anni ’90  i  corsi di chitarra brasiliana presso il Centro Studi Brasiliani dell’ Ambasciata.

Cristiana Polegri

Cristiana Polegri sassofonista e cantante ha studiato classica al conservatorio e jazz alla Scuola Popolare di Musica di Testaccio. È inoltre diplomata come attrice al Cantiere Teatrale di Paola Tiziana Cruciani. Ha lavorato a teatro con Giorgio Albertazzi, Lello Arena, Pippo Baudo, Paola Cortellesi, Giampiero Ingrassia, Chiara Noschese, Dado e molti altri.Dal 1998 lavora nelle orchestre televisive di vari programmi. Ha inciso un album da solista dal titolo "Bindinjazz" (EMI); un omaggio in chiave jazzistica alla musica di U.Bindi con il quale ha partecipato ad importanti manifestazioni anche insieme ad artisti come F.Battiato, B.Lauzi, G. Paoli, Morgan, A.Ruggiero. Ha inoltre lavorato come turnista ( incisione dischi e tour europei) con Mario Biondi, Francesco de Gregori, Franco Califano, Little Toni, Loredana Berte', Riccardo Fogli, Marco Armani ecc.Ha scritto ed interpretato un suo spettacolo di Teatro Canzone dal titolo: “Brava, suoni come un uomo!” Con la collaborazione di Stefano Fresi, Toni Fornari, Pino Insegno, Rita Savagnone, Emiliano Luccisano, Urbano Lione che ha portato in scena all’Auditorium parco della Musica. Attualmente è insegnante alla Scuola di Doppiaggio cantato Disney Ermavilo ed assistente insegnante della Junior Jazz Orchestra di Massimo Nunzi alla Casa del Jazz per l’Auditorium Parco della Musica.

Sabato 10 ottobre 2020

 

TWO GIRLS FROM IPANEMA

Gio’ Marinuzzi – Voce e chitarra

Cristiana Polegri – Voce e sax

Museo del Saxofono

via dei Molini snc (angolo via Reggiani)

00054 - Maccarese, Fiumicino (RM)

 

Biglietto concerto:  €15,00

Apericena:  €10,00

 

MODALITA’ E TEMPI DI ACCESSO AI CONCERTI

Ingresso consentito fino ad un massimo di 65 partecipanti

 

Prevendita su

https://www.liveticket.it/museodelsaxofono


 

Raffaello... e la Ciociara

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La ricorrenza dei cinquecento anni dalla morte del ‘divino’ pittore è uno dei motivi per richiamare alla memoria  qualche circostanza  che in un certo modo alla luce di alcuni  episodi e fatti storici, evidenzia anche le relazioni  con i ciociari, incredibile che possa sembrare. Già una visita ai Musei Vaticani testimonia tale relazione: dopo la visita delle celeberrime quattro   ‘Stanze’   affrescate da Raffaello, viene immediatamente quella dedicata alla Immacolata Concezione affrescata da altro artista nello stile perfetto del Maestro, ma nel 1800: qui si assiste  alla proclamazione del Dogma dell’Immacolata del 1854 e il popolo che assiste all’evento secolare è rappresentato dalla ciociarella nel suo smagliante costume che al bambinello al suo fianco indica il Papa che officia. E si ha la riprova storica che ad  un certo momento, nel corso del 1800,  al forestiero a Roma a quell’epoca il vero abitante della Città Eterna, il romano autentico dunque, era il  ciociaro nel suo splendido costume. E perciò i titoli dei quadri con le immagini  della ciociarella o del pastore o del brigante cominciano ad essere non più l’Italiano o l’Italiana  bensì ‘Roma’ o ‘romano/a’. Pur se tale circostanza a qualche orecchio può sembrare peregrina, se si pensa alla situazione dell’epoca e cioè al numero degli abitanti di Roma che superano di poco, stando alle cronache, le centomila unità e se si pensa alla quantità impressionante di preti, monaci, monache, sagrestani, perpetue,  orfanelli, trovatelli, poi di nobili e aristocratici coi loro seguiti che affollavano le strade in ogni momento della giornata e che gran parte dei romani erano in effetti tutti caffettieri o pizzicagnoli o ristoratori o bottegai o artigiani, allora ben si comprende come  la quantità considerevole dei ciociari presenti e visibili in giro e dediti alle occupazioni più comuni rappresentassero una realtà incontestabile. E ovviamente una conseguenza di tale scoperta e costatazione per i forestieri e turisti fu che divenne normale e storicamente corretto ritenere i ciociari gli abitanti di Roma anche nei secoli precedenti. E quindi fu altrettanto normale che nelle scene settecentesche e perfino seicentesche gli artisti ne animassero le scene con personaggi in costume ciociaro.  E quindi perveniamo al nostro tema: allorché qualche pittore dell’Ottocento, e ve ne furono, inebriato e incantato  dopo la visita delle ‘Stanze’ vaticane surricordate, volle ricreare qualche episodio della sua vita, fu perfino naturale per lui  ricreare Raffaello nello studio, magari col Papa che lo osserva, che sta dipingendo   la sua modella seduta o in piedi sulla pedana: una  ciociara! A ribadire la consonanza e sincronismo  ma soprattutto la imponenza della comunità  ciociara rispetto alla popolazione vera e propria  quale, per esempio, descrittaci da Bartolomeo Pinelli,  e non solo nell’Ottocento bensì anche nei secoli passati! E questo raro dipinto di Charles F. Jalabert (1863-1901) che abbiamo il pregio di illustrare al lettore, documenta quanto fin qui accennato su tale pagina della storia ancora  tenuta sotto silenzio e cioè quella che possiamo giustamente definire la ‘Ciociarizzazione’ di Roma nel 1800.

Per tornare a Raffaello che dipinge la ciociarella col bimbetto in braccio davanti  a lui e al Papa,  va tenuta a mente un’altra considerazione:  noi abbiamo scritto: ‘la sua modella sulla pedana’, pertanto a quell’epoca, nel 1500, una tale espressione non era linguisticamente possibile poiché  il termine ‘modella’ al femminile non si conosceva! Bisognava impiegare il termine ‘modello’ al maschile oppure qualche altra espressione. E infatti scorrendo le pagine di MODELLE E MODELLI CIOCIARI A ROMA PARIGI LONDRA 1800-1900 che caldamente raccomando, si viene  a scoprire che in effetti la parola ‘modella’  appare per la prima volta a Roma inizi 1800 in concomitanza  dell’incontro artisti stranieri e umanità ciociara: nelle altre lingue europee, ancora oggi, è disponibile una sola glossa per i due generi. 

Michele Santulli

Foto: C.F.Jalabert: Lo studio di Raffaello e il Papa, 78x133,5 cm, collez.priv.


Francesca Della Ragione “Miglior attrice emergente” al Terra di Siena International Film Festival 2020

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Calato il sipario sulla XXIV edizione del Terra di Siena International Film Festival, kermesse che ha visto proiettare 12 film italiani, 7 film internazionali, 5 documentari, 21 cortometraggi, 3 eventi speciali e 4 proiezioni speciali oltre l’omaggio a Federico Fellini nel centenario della nascita.

Tra i protagonisti saliti sul palco durante la cerimonia di premiazione, tenutasi nel bellissimo Teatro dei Rinnovati, Francesca Della Ragione, premiata come “Miglior attrice emergente” per il film in concorso “La banda dei tre” di Francesco Maria Dominedò (“Miglior sceneggiatura”).

Attrice eclettica e talentuosa, Francesca Della Ragione è una delle interpreti più interessanti e promettenti dello scenario italiano, capace di spaziare dal cinema alla televisione, dai ruoli leggeri a quelli più impegnati. “Ricevere questo riconoscimento, nell’ambito di un Festival così importante, per me ha un duplice valore: innanzitutto viene premiata Patrizia, il personaggio che interpreto e a cui sono molto legata perché segna un punto di svolta nella mia carriera. Inoltre a consegnarmi il premio è stato Vincent Riotta, un grande attore e amico nonché mio acting coah da anni” commenta Francesca Della Ragione, che aggiunge: “A causa dell’emergenza Coronavirus, lo scorso aprile era stato rinviato il debutto al cinema del film. La produzione sta lavorando per la nuova programmazione: non vedo l’ora di conoscere i riscontri del pubblico!”.

“La banda dei tre”, tratto dall’omonimo libro di Carlo Callegari, è un film che stravolge i canoni classici del noir e che gioca sempre sul filo del grottesco e dell'ironia: distribuito da Zenit Distribution, vede nel cast, oltre a Francesca Della Ragione, Marco Bocci, Francesco Pannofino, Carlo Buccirosso e Aldo Marinucci.

Credit

Dress: Emilia Scaccia

Variazione il nuovo romanzo di Roberta Capriglione

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A due anni di distanza dall’uscita del romanzo d’esordio “Con il vento a  favore”, Roberta Capriglione presenta la sua nuova opera dal titolo “Variazione”.

Arte, sogni, amicizia e sentimenti, riempiono le pagine del libro, tenendo incollato il lettore fino all’ultima pagina e regalando emozioni e spunti di riflessione costanti, con estrema semplicità e leggerezza.

“Che colore si può dare alla propria vita quando si ha tra le mani una tavolozza fatta esclusivamente di diverse tonalità di grigio?”

Viola vive immersa in una realtà che non riesce ad accettare, perseguitata dai rimpianti dei sogni abbandonati in un cassetto nascosto. Ma proprio quando inizia a immedesimarsi nell’ultimo avanzo di cera di una candela, arriva un invito inaspettato da parte di un vecchio amico.

Nonostante l’iniziale esitazione, la donna accetta la proposta e si ritrova, così, a trascorrere un weekend del tutto inusuale in compagnia di due ex compagni del liceo dal carattere completamente opposto: misterioso e taciturno il primo, ironico e solare l’altro.

Tra risate, rabbia e blocchi interiori da superare, i tre amici trascorrono alcuni giorni intensi e coinvolgenti, alla riscoperta dei sogni ormai perduti. Ogni momento passato insieme segna il passo per una nuova sfida che li porterà a comprendere che, a volte, bisogna tornare alle origini per ritrovare se stessi. Sarà proprio un punto lasciato in sospeso vent’anni prima a trasformare il presente in un nuovo inizio. E così, una tavolozza piena di colori accesi prenderà il posto della scialba tonalità di grigi e un magnifico intreccio artistico condurrà i ragazzi verso un emozionante finale.

Con Variazione, l’autrice ha voluto esplorare l’animo di chi abbandona i propri sogni per piegarsi alla realtà della vita, con l’intento di regalare un messaggio di speranza: le occasioni, quelle più importanti, arrivano anche quando tutto sembra perduto.

“Sono ottimista di natura e mi piace condividere questo stato mentale. L’essere umano, poi, ha bisogno di sapere che prima o poi arriverà il lieto fine. Lo vuole sentire, ci vuole credere, allora perché non regalarglielo in un libro?”

L’introspezione e la descrizione minuziosa dei pensieri e dei sentimenti dei protagonisti è una costante delle opere dell’autrice, che tende a scandagliare le profondità della mente umana con semplicità e naturalezza, come se di fronte ci fosse un amico e non una figura uscita dalla fuori dalla fantasia.

“Nei miei romanzi cerco sempre di esplorare l’anima dei personaggi, perché non è solo importante tirare fuori una storia, ma far conoscere fino in fondo i desideri, le emozioni e le paure dei soggetti che descrivo. Solo in questo modo si riesce a creare la giusta empatia tra il libro e il lettore.”

Già da inedito, il romanzo ha ricevuto dei riconoscimenti importanti, risultando finalista al Premio Argentario 2019 e vincendo il Premio Note Letterarie 2019.

Variazioneè disponibile online o in libreria.

VINCENT RIOTTA STAR INTERNAZIONALE NEL FILM "DIVORZIO A LAS VEGAS"

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È conosciuto in Italia per le sue molteplici interpretazioni in serie tv e film di successo, tra cui quella di Tommaso Buscetta nella celebre Il Capo dei Capi. Insignito nel 2017 del premio internazionale artistico e cinematografico Vincenzo Crocitti nella categoria" Carriera Internazionale", Riotta è nato a Londra ma le sue origini sono tutte italiane, visto che i suoi genitori erano originari della provincia di Caltanissetta. Una carriera che si è estesa tra la natale Inghilterra, l’amata Italia e gli Stati Uniti, che porterà Vincent Riotta, da giovedì 8 ottobre, nella sale cinematografiche italiane con la commedia, diretta da Umberto Carteni, Divorzio a Las Vegas. Un set che ha riportato l’uomo nello Stato del Nevada, dove era stato in altre occasioni. Una nazione, l’America, dove spera di tornare presto per fare grandi cose. 

“Giampaolo Morelli, Andrea Delogu, Ricky Memphis e Gianmarco Tognazzi, con cui ho avuto la fortuna di lavorare in Divorzio a Las Vegas, sono delle persone fantastiche, così come il regista Umberto Carteni, che è molto acuto e buono, oltre che alla mano. Mi hanno fatto sentire a loro agio ed insegnato anche i trucchi che si devono mettere in pratica per portare in scena un commedia, che a differenza di quello che si può pensare è un prodotto davvero difficile. La trama presenta già una situazione esagerata, quindi gli attori devono cercare di non essere troppo sopra le righe. Soltanto così la pellicola risulta veritiera. Spero in futuro di tornare a lavorare in un prodotto del genere”. 

Riotta ha ricordato inoltre le giornate frenetiche, per via del lavoro, ma divertenti passate insieme ai suoi compagni.

Anche se non mi piacerebbe vivere a Las Vegas, a causa del modo di vivere superficiale che si respira lì, devo dire che mi sono divertito da morire ogni giorno. Noi attori siamo stati trattati molto bene da tutti i membri del team produttivo. Ho trovato, infine, decisamente affascinanti i giorni che abbiamo passato nel Nevad Desert. E’ stata una bella scoperta”.

Intervista ad Alessandra Galardi di Tanguro, arte artigiana

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Oggi la nuova generazione, che vive nella velocità, che usa tablet, selfie, smarphone, web, internet, guarda contemporaneamente moda, arte, cinema, video, food, vino, viaggi, diciamo tutto, in estrema velocità, usa dunque praticare la moda – nella velocità - per fare arte. È in definitiva un confine molto labile ma che fa capire come l’arte e la moda compongono un progetto visivo contemporaneo, anche per il fatto che “arte artigiana” vuole dire principalmente “pezzo unico”.

E in una città come Firenze, dove le “botteghe” artigiane sono il ricordo degli antichi mestieri e dei maestri d’arte, nascono nuovi brand dove il luogo comune è l’antica e minuziosa ricerca, artigianalità, rigore del bello, il fatto a mano.

Tra questi Tanguro, la voce di una designer fiorentina che vive nel Chianti, Alessandra Galardi, che ha presentato da tempo un suo progetto inedito sull’accessorio “borsa” sospeso sul filo dell’arte, un passato che si intreccia con il presente.

L’artista/designer coerente su un percorso di ricerca fra unicità della forma e modernità del materiale, è mossa dalla curiosità che la stimola a cercare concetti nuovi, non banali, forme inedite, una sofisticazione che porta alla manualità originale, infatti Alessandra Galardi crea elementi – le antiche coffe, borse da donna, una produzione di abitini Kidwear -  che diventano, come elemento diversificatore, un prodotto unico, arte pura, artigianato di qualità, hand made abbinato al pellame, al cotone, al velluto, alla lana, flash di emozioni d’arte per aprire una strada nuova, unica e originale, per una elevata qualità del prodotto che rimane sempre artigianato di alto livello, per cui un pezzo unico.

Una vita vissuta nell’arte, quella di Alessandra, nel verde della sua campagna toscana,  per concepire in maniera viva, originale, eclettica, un accessorio utile, che fa moda, che veste, glamour ma che è in sintesi un opera d’arte, un immenso bagaglio di idee, che genera l’emozione di una cosa unica, il glamour dell’arte concentrata in un accessorio femminile, una borsa, un abbinamento intrigante che ha come tema la curiosità che fa scaturire una creatività senza limite.

Borse senza tempo, attuali, per esprimere la personalità di chi le porta, pellame e velluti di altissima qualità, metallerie, pietre, gioielli dunque, ed infine l’opera d’arte – l’artigianato - che orna la borsa e ne diventa cifra di base, si potrebbe chiamare contaminazioni d’autore  oppure semplicemente il modo di vivere un opera d’arte, non solo appesa ad un chiodo in casa o in galleria, ma  direttamente on thestreet.

Alessandra spiegami il nome del tuo brand

Il mio è un eterno deja vu, quando ero piccolissima chiamavo i miei balocchi con il nome sbagliato, come fanno i bambini che iniziano a parlare, ed io chiamavo il mio canguro di pelushe col nome di Tanguro, poi ho saputo che è  il nome di un fiume nel Mato Grosso, uno dei posti più magici del Brasile, il Parco Indigeno Xingu, la regione, interamente pianeggiante è dominata da alte foreste intervallate da savane e campi ed è tagliata dal fiume Xingu e i suoi affluenti, a destra e sinistra. I corsi dei fiumi che si vengono a formare sono, tra gli altri,  il fiume Tanguro, e mi piace tanto il legame con un mondo lontano, affascinante, che mi ha ispirato la passione per i viaggi, desiderio di colore, pezzi unici per una donna unica.

Da cosa nascono questi tuoi primi modelli?

Cerco con le mie creazioni esclusivamente hand made di rivolgermi a donne che esibiscono un accessorio “solo per loro”, fiere della loro unicità.

Alessandra “raccontaci” le tue borse

Sono ispirazioni da ricordi di casa, cose già viste negli armadi di mamma e nonne, immagini, cose belle che ti scaldano il cuore, nostalgie, giardini pieni di fiori, cancelli ornati dal glicine, voci calde, morbide, forse sono i miei ricordi di bambina che riaffiorano, il mio tanguro di peluche,  e che io porto alla luce, li trasformo, li rendo attuali, moderni, unici in quanto fatti a mano..... 

……..A volte le parole non bastano. E allora servono i colori. E le forme. E le note. E le emozioni……
Alessandro Baricco
 

Testo di Cristina Vannuzzi

 

Celeste Caramanna, "Hilarious" nuovo singolo dell'artista italiana, londinese d'adozione

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Il singolo è il primo estratto da “Antropofagico III, Ep prodotto artisticamente da Tony Brundo e Lele Gambera, terzo appartenente al trittico “Antropofagico”.

Il testo è stato costruito su un ritmo energico che ben richiama lo spirito solare e propositivo del pezzo: il basso molto incisivo e la chitarra conferiscono al singolo un groove molto internazionale e retrò, senza scordare l’importante ruolo giocato dalle percussioni appartenenti alla tradizione brasiliana. A tutto ciò si è aggiunto infine un arrangiamento che ha donato al pezzo un abito funk con venature elettroniche.  Celeste Caramanna ha infatti da sempre voluto mantenere intatta la sua voglia di esprimersi in diverse forme, in diversi generi, diversi stili e diversi ritmi, senza legarsi o pretendere di appartenere ad uno solo di essi.

Il progetto musicale nel complesso si suddivide in tre Ep (costituti da 4 brani ciascuno tranne “Antropofagico III” fatto di 5). I tre tasselli presentano mondi sonori differenti: il primo (uscito a giugno 2019) ha una matrice brasiliana, il secondo (settembre 2019) ha influenze funk, soul e pop. Il terzo e ultimo, fuori dal 23 ottobre 2020, raccoglie tutte le influenze e gli stili che affascinano l’artista, rimescolati secondo la sua arte e la sua personalità.

Il termine “Antropofagico” (Anthropos - Fagei) fa riferimento al desiderio di “divorare” ciò che viene da fuori per poi assimilarlo, processarlo e inglobarlo, per dare origine a quello che può diventare unico e proprio - «portare l’esterno dentro di noi» - conclude l’artista.

Radio date: 6 ottobre 2020

Pubblicazione Ep: 23 ottobre 2020

Autori: Celeste Caramanna, Anselmo Netto, Giuliano Castagna.

Etichetta: Offline Artistic Production s.r.l.s.

I tacchi alti fanno soffrire oltre 8 donne su 10: dagli esperti i consigli per prevenirli e curarli

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“Non so chi abbia inventato i tacchi alti, ma tutte le donne gli devono molto” diceva Marilyn Monroe, inseparabile dalle sue décolleté tacco 11. Si può essere d’accordo o meno, ma è innegabile che questa tipologia di scarpa, simbolo di eleganza e sensualità, rappresenti un accessorio in grado di evidenziare stile e personalità di una donna. Sono molteplici i modelli “vertiginosi” che in occasioni come la Milano Fashion Week vengono presentati sulle passerelle per dettare le ultime tendenze. Non tutte le scarpe, però, sono adatte alla conformazione di ognuna: tra forma del piede, tipologia di arco plantare e patologie varie, scegliere il modello giusto è fondamentale per evitare traumi e dolori che, purtroppo, sono molto diffusi. Da un recente studio condotto dall’Institute of Health Sciences del Pakistan pubblicato su Health Science Journal è emerso infatti che l’86% delle donne prova dolori causati dai tacchi alti: in particolare, il 77,5% è affetto da dolori all’avampiedi, mentre il 6% associa il dolore alla zona centrale della pianta. Fenomeno che ha spinto sempre più donne a ribellarsi all’uso dei tacchi soprattutto quando viene imposto dalle aziende come in Giappone, protagonista del movimento #KuToo. Anche star internazionali come Julia Roberts e Kristen Stuart hanno scelto di seguire questa tendenza, togliendosi sandali vertiginosi sul red carpet e veicolando così un messaggio di libertà. Oltre a evitare tacchi più alti di 4 cm e indossandoli meno di tre volte a settimana, per ridurre i tempi di recupero in caso di infortunio, gli esperti ricorrono all’utilizzo della laserterapia Theal Therapy. Ma quali sono i disturbi legati all’utilizzo frequente di questa calzatura? “L'uso di scarpe con tacco alto influisce negativamente sul controllo neuromuscolare dell'equilibrio, con conseguente alterazione del sistema posturale. Studi cinematici e cinetici rivelano che indossare scarpe con tacco alto altera la deambulazione, la distribuzione pressoria plantare, le forze di reazione al suolo e le attività muscolari degli arti inferiori – afferma Angela Ravisato, dottoressa in podologia – Le alterazioni biomeccaniche e le deformità muscolo-scheletriche e ossee con maggiore incidenza sono le lesioni legamentose di caviglia, le degenerazioni articolari del ginocchio, dolori lombari e condizioni patologiche dell'avampiede. Il tacco alto provoca un aumento della pressione a livello della prima articolazione metatarso-falangea e a livello centrale dell’avampiede con diminuzione della pressione a livello del mesopiede e del tallone. Lo spostamento anteriore comporta rigidità del tendine d’Achille, instabilità articolare di caviglia e accorciamento dei muscoli del polpaccio”.

Ma non è tutto. Un interessante studio arriva dai ricercatori dell’Hanseo University in Corea del Sud, i quali hanno voluto approfondire i danni provocati dai tacchi alti dai 10 cm o più, esaminandone gli effetti su 40 donne che li indossano regolarmente: lo studio ha dimostrato che in un primo momento sono in grado di rinforzare i muscoli della caviglia, ma l’uso prolungato provoca uno squilibrio muscolare, un fattore che mette in pericolo il benessere delle caviglie. Una delle patologie più diffuse legate all’uso frequente dei “trampoli” è l’alluce valgo, una deformazione delle dita con contemporanea sporgenza mediale del primo osso metatarsale. Le calzature troppe strette possono provocare il dito a martello, ovvero una deformità che assume un aspetto piegato in corrispondenza dell’articolazione centrale del dito stesso e si associa a dolore e callosità che nei casi più gravi possono ulcerarsi. Un’altra patologia legata alla pianta dei piedi è il neuroma di Morton, un disturbo ortopedico che interessa uno dei nervi che attraversa il piede: secondo una ricerca dell’Health and Social Care Information Centre del Regno Unito pubblicata sul Daily Mail, tra il 2004 e il 2015 questo tipo di disturbo è aumentato del 115%. Ma non solo, anche la cervicalgia, il comune dolore al collo, può essere causato dall’uso assiduo dei tacchi, oltre che dall’assunzione di una postura scorretta.

Per curare i disturbi e i dolori ai piedi scende in campo la podologia riabilitativa che, come assicura la dott.ssa Ravisato “mira ad un approccio conservativo di cura e di prevenzione dei segmenti a rischio di lesione. In seguito a valutazione funzionale, biomeccanica e posturale, è possibile trattare il piede doloroso tramite ortesi plantari su misura, bendaggi, esercizi della muscolatura intrinseca ed estrinseca, terapia fisica strumentale. La tecnologia e lo sviluppo di elettromedicali ha permesso recuperi più rapidi dal dolore con ritorno ottimale all’attività quotidiana, lavorativa e sportiva. Mectronic ad esempio ha sviluppato il dispositivo laser Theal Therapy che consente di trattare la specifica situazione patologica in modo sicuro e selettivo, massimizzando i risultati terapeutici. Tema fondamentale ed ostico per l’efficacia riabilitativa, è l’utilizzo di una scarpa idonea al proprio piede, non corta né stretta, adeguatamente rispondente a requisiti di qualità, stabilità, ammortizzazione e protezione. Se le donne insistono ad indossare tacchi alti, dovrebbero almeno favorire un’altezza non superiore ai 4 cm ed indossarle per meno di 4 ore e meno di tre volte a settimana per garantire comfort, benessere e soprattutto ridurre rischio di lesioni”.

Nonostante le scarpe con tacco siano da sempre un pilastro della moda, essenziali nelle occasioni ed eventi più importanti, sono molte le celebrities che hanno dichiarato pubblicamente il loro astio verso i “trampoli”: Kristen Stewart e Julia Roberts durante il Festival di Cannes si tolsero entrambe i sandali vertiginosi per salire la leggendaria scalinata rossa, ribellandosi così al dress code rigidissimo. Una caduta rimasta negli annali della moda è quella della top model Naomi Campbell che durante una sfilata nel 1993 perse l’equilibrio in passerella cadendo dai suoi tacchi alti 30 centimetri. Non è da meno la collega Bella Hadid che durante una sfilata nel 2016, complici i sandali tacco 16, scivolò cadendo a terra davanti agli occhi increduli dei fotografi. Vittima della combinazione tacchi e vestito lungo Jennifer Lawrence che, durante gli Oscar 2013, inciampò sui gradini del palcoscenico poco prima di ritirare la statuetta come miglior attrice. Se nel mondo glamour e patinato delle star hollywoodiane i tacchi alti sono un accessorio quasi indispensabile, a volte pericoloso, dall’altro lato c’è chi ha condotto una vera e propria battaglia sociale contro questo tipo di scarpe: in Giappone l’attrice e attivista Yumi Ishikawa ha fondato #KuToo, un nuovo movimento formato da donne decise a dire basta alle rigide regole aziendali che le obbligano a indossare tacchi alti, presentando una petizione al governo per chiedere di poter scegliere, senza imposizioni maschili, cosa indossare in ufficio.

Creative Lab Napoli, I GRANDI ARTISTI SALGONO IN CATTEDRA

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È giunto al termine il secondo ciclo formativo di Creative Lab Napoli, il percorso laboratoriale che propone un modello di formazione all’avanguardia teso a creare un ponte tra il territorio, le imprese e le istituzioni culturali. Creative Lab Napoli propone, tra i vari materiali didattici del corso, il primo MOOC (Massive Open Online Courses)in Italia sulla musica e sulla creatività, dove le canzoni dei cantautori rappresentano una traccia per approfondire i mutamenti sociali e culturali (https://youtu.be/qLhbwO3XY1o)

Grandi artisti, testimoni privilegiati del mutamento sociale e culturale, sono saliti in cattedraper fornire la propria chiave di lettura su temi come arte, musica, creatività, innovazione, giovani, mezzi di comunicazione di massa e media digitali. Così le conversazioni universitarie con LIGABUE, JOVANOTTI, DALLA, BRITTI, BENNATO, MANGO che il prof. Lello Savonardo, curatore del progetto, ha raccolto durante gli ultimi 15 anni, sono diventate materiale di un corso online universitario accessibile a tutti! Il Mooc “I Linguaggi della creatività”è, infatti, fruibile gratuitamente attraverso la piattaforma Federica Web Learning dell’Università degli Studi di Napoli Federico II(https://www.federica.eu/linguaggi-della-creativita  - è necessario semplicemente registrarsi!).

In ogni appuntamento il professore e musicista Lello Savonardo affronta, da diversi punti di vista, il tema della creatività e dei linguaggi creativi - e musicali – che contribuiscono alla costruzione sociale delle nostre identità, individuali e collettive. Con MANGOsi parla del ruolo sociale della musica, con LUCIO DALLA, che definisce la creatività un’ “anomalia umana” si discute del rapporto tra arte e società, mentre con ALEX BRITTI si affronta il tema delle contaminazioni culturali e musicali. Il rock, la pop music e l’industria culturale sono invece il tema approfondito con EDOARDO BENNATO, mentre con LIGABUEsi parla di giovani, identità e di “società dell’incertezza”, per chiudere con JOVANOTTI, sul rap e sulle sottoculture giovanili.

Il Mooc “I linguaggi della creatività” è adottato anche nel corso di “Comunicazione e culture giovanili” presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Ateneo Federico II di Napoli e nel corso di “Storia e Teoria dei Nuovi media” presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli tenuti dal prof. Lello Savonardo (https://www.docenti.unina.it/raffaele.savonardo).

Il progetto formativo Creative Lab Napoli– coordinato dal professore Lello Savonardo e realizzato dal Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università “Federico II” di Napoliin collaborazione con l’Osservatorio Territoriale Giovani (OTG), la Fondazione Idis-Città della Scienza, Mad Entertainment S.P.A. e Ufficio K srl– favorisce lo sviluppo di nuove forme di imprenditoria sociale e culturale, anche attraverso l’utilizzo delle tecnologie digitali della comunicazione. Il laboratorio creativo è promosso dall’Assessorato ai Giovani, Creatività e Innovazione del Comune di Napoli, capofila del partenariato del Progetto Na.Gio.Ja._Costruiamo opportunità, ammesso a finanziamento nell’ambito dell'Avviso pubblico della Regione Campania “Benessere giovani Organizziamoci”.

Obiettivo del percorso è quello di formare, nei soggetti partecipanti, una cultura digitale d’impresa, di valorizzare e ottimizzare capacità creative ed espressive che possono essere sviluppate al fine di favorire la creazione di nuove imprese e progetti a vocazione culturale e sociale. In particolare, le attività di formazione hanno ad oggetto diversi temi legati all’industria creativa e culturale, alla social innovation, al marketing e alla comunicazione d’impresa.

Per chi vuole saperne di più è possibile visionare a questo link un trailer che raccontale attività svolte dai ragazzi che hanno frequentato il Creative Lab Napoli: https://youtu.be/1jn3zm-UPhU. È possibile anche accedere a info e dettagli sul sito dell’Osservatorio Giovani dell’Ateneo Federico II di Napoli (www.giovani.unina.it).


Questo percorso laboratoriale e didattico si pone come un modello di formazione all’avanguardia per l’università del futuro, soprattutto in questo particolare momento storico in cui l’apprendimento a distanza sta diventando una realtà centrale nel processo formativo. È un modello che a apre alle imprese e al mercato del lavoro, creando un dialogo con i protagonisti del settore. Un modello presentato nel volume “Culture digitali, innovazione e startup. Il modello Contamination Lab” a cura di Annalisa Buffardi e Lello Savonardo che vede la prefazioni dell’attuale Ministro dell’Università e della RicercaGaetano Manfredi e di Enrica Amaturoe la postfazione di Derrick de Kerckhove (Egea, 2019). Il libro è stato tradotto in inglese ed uscirà in questi giorni per la Bocconi University Press.


Teatro, Luigi Salerno e la componente ossessiva dei contesti drammatici. L'intervista di Fattitaliani per Proscenio

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Ospite odierno della nostra rubrica Proscenio è Luigi Salerno, autore e scrittore napoletano, il cui spettacolo "Le due stanze del colloquio" andrà in scena al Nuovo Teatro San Paolo di Roma  venerdì 30 ottobre alle 20:30, sabato 31 ottobre alle 20:30 e domenica 1 Novembre alle 18:00 con la regia di Ferruccio Ferrante. L'intervista.

"Le due stanze del colloquio" in che cosa si contraddistingue rispetto ad altri suoi testi?

“Le due stanze del colloquio”, si muove su di un crinale impervio, in cui l’articolazione del linguaggio cerca di farsi pulsione fobica e dinamica, utilizzando gli strumenti  della parola per esplorare il vuoto - e l’ignoto - degli spazi nella loro duplice funzione di attesa /contesa, dove quattro figure in gioco  vivranno un loro percorso di luminoso disfacimento, unico motore che condurrà ciascuno di loro verso una forma evolutiva concreta e definibile. Penso, quindi, che la particolarità piuttosto inusuale di questa struttura, rispetto alle mie consuetudini, consista nel rapporto esasperante con il corredo emotivo della pressione linguistica, da cui si evince il moto, spesso contrario, di una tensione drammatica affrontata da una prospettiva verticale, che i personaggi assorbono dalla frequentazione con i processi nebbiosi della loro memoria, utilizzati, spesso in modo inconsapevole, come strumenti raffinati e seduttivi di tortura. In effetti, l’uso alquanto controverso della lingua, come anche del ritmo, ha sempre questo colpo in canna, che, nelle mie intenzioni, più che garantire un’efficacia nell’ortodossia diegetica, vorrebbe ridefinire per ciascun elemento del colloquio una reazione motoria e istintiva alla dittatura del pensiero e del suo abisso, che mentre pare liberarli, di colpo li sottomette, illudendoli di avere ancora una presa drammatica sui loro ideali e sulle loro dolorose speranze. Un compromesso tra il moto apparente e speculare delle figure e la disgregazione drammatica dei sentimenti.

Quale linea di continuità, invece, porta avanti?
La linea di continuità che credo di scorgere tra “Le due stanze del colloquio” e gli altri lavori teatrali lunghi che ho scritto, è la componente ossessiva dei contesti drammatici affrontati, come anche l’amore per il mistero di ogni personaggio. La ricerca estenuante di infittirlo e di non svelarlo mai, sperando sempre di trovarvi quello strato sotteso in più, che, pur oscurandolo, ne suggelli nel contempo la sola possibilità di infinito. Credo che sia la mia costante. Il mio punto di non ritorno.

Com'è avvenuto il suo primo approccio al teatro? Racconti...
Il primo approccio, quello più teorico, è avvenuto grazie alla mia attività di lettore, per due grandi autori di letteratura: Mario Vargas Llosa e Thomas Bernhard. L’accostamento con il loro teatro, pervaso di trovate singolari, ma anche di una propensione avvolgente della lingua e del suo utilizzo, mi ha stimolato a una particolare ricerca trasversale, incentrata su come ottimizzare la tensione linguistica della parola nel movimento di scena, con tutte le problematiche annesse. Per cui la scrittura dei miei primi lavori l’ho vissuta e sperimentata molti anni fa, ma nella mia intimità, come mio territorio di solitudine e di esplorazione, senza alcun tipo di ambizione che ne proiettasse i contenuti in luoghi lontani dalle pagine. Poi, in seguito, grazie alla richiesta affettuosa di un amico attore, Fabio Gagliardi, ho avuto l’opportunità di scrivere un monologo per lui, da presentare a diverse rassegne. E credo che da lì sia cominciata la fase più fattiva e stimolante del percorso, non dimenticando la segnalazione del bando di drammaturgia di Belli Corti del Nuovo Teatro San Paolo, da parte di un’amica artista e scenografa, Cristiana Fasano, rassegna a cui partecipai con grande emozione e interesse. Credo che il mio rapporto con il teatro e tutta la sua evoluzione sia nato da questi gesti spontanei di stima e di amicizia, e non credo che avrei mai potuto immaginare una genesi più bella e toccante.

Quando scrive un testo nuovo può capitare che i volti dei personaggi prendano man mano la fisionomia di attrici e attori precisi?
A volte sì, ma di solito il processo di definizione attraversa diverse gradualità o stadi impermanenti di presagio. Come se il volto fosse sempre sul filo dell’acqua, quindi smosso dalle correnti più profonde, come dalle luci e dall’evoluzione fraintesa al suo destino. Meno lo scorgo nel disegno, più lo avverto e lo assimilo. La cosa più bella è riconoscere nell’attore o nell’attrice, in seguito, quel viso rivelato, che in fondo non avevo visto ma solo adombrato, senza mai definirlo in pieno, come una voce sconosciuta al telefono prima che la linea cada: quella sorta di innamoramento in filigrana di un’essenza che sa già di perduto sul suo nascere, più che la chiarezza rassicurante di una figura stabile e acquisita.

È successo anche che un incontro casuale ha messo in moto l'ispirazione e la scrittura?
Quasi mai. Forse solo nel caso che ho citato prima, in relazione al monologo del mio amico attore.

Per un autore teatrale qual è il più grande timore quando la regia è firmata da un'altra persona?Credo l’alterazione del mistero della mia intenzione primaria, che occupa quasi sempre una regione pre-concettuale, nella creatività. Riferendomi non a quello che io so di un mio lavoro, ma a quello che ancora non conosco, che in fondo rimane il suo nucleo più vitale, che la regia, qualsiasi sarà il suo percorso e la sua poetica, in qualche modo potrebbe ancora riconsegnarmi. Quindi il timore di non essere indovinato, se non decodificato, per qualcosa che ho solo taciuto; nel non ricevere una risposta a quella domanda che in fondo non avrei ancora posto. Credo che rimanga ancora una volta un gioco sottile di ombre e di risonanze sottili. Riconoscermi, anche nella riscrittura infinita della regia, in quella suggestione/presagio del volto nebbioso che ho appena percepito, ma che non ho saputo descrivermi o confidarmi del tutto.

Quanto è d'accordo con la seguente citazione di Nicolae Petrescu Redi e perché: "Quando la sala del teatro è piena, i polmoni dell’attore hanno meno ossigeno. Ma il cuore…"?
In tutto. Molto suggestiva e profonda. Vi rileggo i contrasti dell’interazione, la costante rottura di un equilibrio meccanico a favore del demanio spirituale che richiede la scena, quella dimensione dove ogni bilico  ritrova il proprio assetto sacrale, oltre quel momento violento di vuoto, particolare e assoluto, dove si incontrano la fragilità e la poesia.

Il suo aforisma preferito sul teatro... o uno suo personale...
Me ne viene in mente uno di Arthur Miller, a cui tengo molto: “Non farti sedurre dal pensiero che ciò che non produce profitto sia senza valore”.

Assiste sempre alla prima assoluta di un suo lavoro? 
A volte, ma non sempre. Di solito non è una scelta, ma il risultato di circostanze che potrebbero avermelo impedito. Ma rimango anche dell’idea che ogni nuova rappresentazione, a suo modo, nel momento unico e particolare nella quale si riforma e riprende luce, rimanga ancora e per sempre una prima - come anche un’ultima - rappresentazione.

L'ultimo spettacolo visto a teatro?
L’ultimo spettacolo visto al teatro è stato “Ti regalo la mia morte, Veronika” di Federico Bellini e Antonio Latella, ispirato alla poetica del cinema di Fassbinder, e in particolare al suo film “Veronika Voss”. È stata un’esperienza stimolante, che mi è rimasta dentro e mi ha incuriosito, soprattutto per questo intarsio sottile tra due forme linguistiche (estetiche e ideologiche) in contrappunto, con un risultato di grande effetto, cultura e lungimiranza.

Degli attori del passato chi vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo?
Bruno Ganz, anche se non appartiene a un passato troppo lontano, per la sua austerità, intensità, efficacia. Il suo viso fermo è già tempo, movimento. Ritornando ancora più indietro, direi Laurence Olivier. Per la straordinaria eleganza e l’uso scientifico, quanto ispirato, del corpo, in ogni suo dettaglio, nell’attivare e plasmare l’emozione pura anche dal gesto più impercettibile (penso ancora a quanto si è scritto sull’interpretazione freudiana del suo Amleto).

Il miglior testo teatrale in assoluto qual è per lei?
Domanda molto difficile. Direi, d’istinto, rimanendo nel Novecento “Un tram che si chiama desiderio” di Tennessee Williams. Con un balzo nel tempo, “Amleto” e per la sua analisi raffinata e moderna sul male, personalmente, anche il “Riccardo III” di Shakespeare.

La migliore critica che vorrebbe ricevere?
Il suo lavoro teatrale, in qualche modo, suona.

La peggiore critica che non vorrebbe mai ricevere?
Il suo lavoro è caotico, verboso, ma rimane muto. Non suona.

Dopo la visione dello spettacolo, che Le piacerebbe che il pubblico portasse con sé a casa?
Il mio amore per la vita e il desiderio infinito di scrivere. Anche solo di immaginarlo possibile.

C'è un passaggio, una scena che potrebbe sintetizzare in sé il significato e la storia di "Le due stanze del colloquio"? 
Detto questo, il mio problema, professore - e vengo subito al dunque -, è che quando io incontro e seduco una persona molto sola, in qualche modo la costringo a rinunciare alla sua profonda natura di solitudine e quindi alla sua unica forma - autentica - di libertà”. Giovanni Zambito.
LO SPETTACOLO

Una sala d’attesa. Tre personaggi, Teresa, Roberto e Armida, che non si sono mai visti prima, si ritrovano nell’attesa di un consulto con un misterioso professore in ritardo. Ciascuno di loro è lì per ragioni diverse e oscure, che non rende mai troppo esplicite. Il loro appuntamento sembra confluire allo stesso orario, mentre nello stesso appartamento la segretaria del professore è prossima a festeggiare il suo compleanno. Durante il logorio dell’attesa ciascuno esprime a tratti la sua identità, le sue condizioni, riserve, paure o speranze. Quando saranno invitati ad accomodarsi nella stanza adibita al colloquio con il professore, tutti e tre nello stesso momento, verranno fuori altre dinamiche caotiche del loro vissuto, che metteranno in gioco i fantasmi delle tre singolari e contrastanti identità, insieme alle sollecitazioni, alla stravaganza e alle suggestioni di ogni processo di rielaborazione.

SCHEDA AUTORE

Luigi Salerno nasce e vive a Napoli. Autore di romanzi, racconti, pièce teatrali e sceneggiature, nel suo percorso di esplorazione assimila il contagio e la passione di nuove forme espressive, ottenendo diversi riconoscimenti in premi letterari e rassegne, anche nell'ambito della drammaturgia. È cofondatore, autore e sceneggiatore del circuito di cinema indipendente “Nocte Film”, (‘La compagna di classe’,’ Finalmente l'inverno’, ‘La città vuota - out the blue’) nato dall'incontro con il filmmaker Fabrizio Fiore, con il quale ottiene numerose selezioni ufficiali in festival internazionali. I suoi scritti sono stati pubblicati su diverse riviste letterarie (Musicaos, Tuffi, Microtales, Risme) e la sua pièce teatrale ‘Ma è a due passi da lei’ è inserita nella Collezione di Teatro di Oèdipus. Pubblica con Ferrari Editore. A breve l'uscita del romanzo ‘Il vincolo cieco’. 

CAST

Regia Ferruccio Ferrante

Con Gianluca Cesale, Giordana Morandini, Fabio Pappacena, Laura Riccioli e con Giuliana Mancuso

Scene e Costumi Angela Di Donna, Mariagrazia Iovine, Giorgia Rauccio

Assistenti Scene e Costumi Lara Cannito, Joyce Giordano

Su Netflix “Django Unchained” di Quentin Tarantino, capolavoro da vedere…

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Recensione di Andrea Giostra 

Kerry Washington è la germanica Brynhildr - in inglese Broomhilda - la valchiria condannata da Odino a vivere una vita di donna mortale imprigionata in un castello dietro un muro di scudi sulla cima del monte Hindarfjall, dove dorme all’interno di un cerchio di fiamme vigilato da un potente drago, aspettando che Siegfried, uomo valoroso e senza paura, la salvi per farla sua sposa.

Jamie Foxx è Django, ma è anche Siegfried, che scala la montagna perché senza paura, e uccide il drago perché senza paura, e salva Brynhildr perché se lo merita.

Christoph Waltz (Dr. King Schultz) è il cacciatore di taglie di origine tedesca che commercia in cadaveri, permettendo che quella che definisce una pagliacciata, la schiavitù, gli sia di aiuto per la sua professione: commerciare in cadaveri, che come la schiavitù è un commercio.

Ma la schiavitù conduce l’uomo bianco Leonardo Di Caprio (Calvin Candie), ricco e potente possidente del Sud, all’arrogante prepotenza, alla cinica violenza, al divertente sadismo, alla spietata crudeltà, alla sanguinaria ferocia sul nero e schiavo che, alla vigilia della guerra di secessione americana del 1861, non è un uomo: è merce e forza lavoro per fare soldi. Come fa soldi Waltz, che uccide uomini bianchi e vende i loro corpi per denaro. Come fa soldi Di Caprio, che uccide la dignità di uomini neri per diletto e per denaro. Ma un tedesco non può tollerare che si uccida cinicamente per diletto il corpo e la dignità di uomini, neri o bianchi. Il tedesco Waltz è obbligato ad aiutare Foxx a liberare la sua amata Brynhildr. Il tedesco Waltz, sfidato con perseverante arroganza dall’altezzoso Di Caprio che con ingiustificata ferocia lascia sbranare da cani rabbiosi più che nelle membra, nell’anima e nella speranza l’indifeso D’Artagnan mandingo, scatena senz’esitare la sua vendetta germanica, al prezzo della sua stessa vita, con un colpo svelto e dritto al cuore contro lo “shoah nero” magnificamente personificato in Di Caprio la cui caduta inattesa fa levare l’attento e finallora silenzioso spettatore cinematografico in un inaspettato, spontaneo e fragoroso applauso. E qui l’alloro del trionfo cinematografico viene poggiato dagli spettatori dell’intero pianeta, sul capo di Quentin Tarantino, sceneggiatore e regista di questa superba produzione!

Ma è adesso che Jamie Foxx, catturato dal pusillanime traditore delle sue origini Samuel L. Jackson (Stephen), dovrà subire torture, violenze, soprusi, nel corpo e nel cuore innamorato, per scatenare poi impietoso, la catartica vendetta tarantiniana che acchiappa nell’entusiasmo cinefilo lo spettatore che ha amato, per identica ragione, l’italico Sergio Leone. Ed è tutto un’esplosione metaforica ed esagerata, dal negriero Tarantino, al terribile Di Caprio, al vigliacco Samuel L. Jackson, fantastici e superbi nella loro recita.

A Brynhildr e Siegfried non resta che guardarsi negli occhi liberi e scambiarsi le ultime affettuose battute:

- Ciao piccola peste.

- Ciao grandissima peste.

- Sai come ti chiameranno?

- La pistola più veloce del sud!

- Andiamocene.

 

Django Unchained - Official Trailer (HD)

https://www.youtube.com/watch?v=eUdM9vrCbow 

Trama Django Unchained daComing Soon:

«Django Unchained, il film diretto da Quentin Tarantino, vede protagonista lo schiavo Django (Jamie Foxx), la cui vita cambia improvvisamente grazie all'incontro con il dottor King Schultz (Christoph Waltz), ex dentista e cacciatore di taglie originario della Germania. Nello corso dello scontro a fuoco contro i mercanti di schiavi che si rifiutano di vendere Django, quest'ultimo dimostra un'innata abilità con le armi e Schultz gli propone di collaborare nella ricerca dei fuorilegge fratelli Brittle. In cambio, King si offre di aiutare Django a ritrovare sua moglie Broomhilda (Kerry Washington). Dopo alcuni mesi, il dottore scopre che la donna è schiava dello spregevole Calvin J. Candie (Leonardo DiCaprio). Per poter salvare Broomhilda, Django e Schultz si fingono interessati ad acquistare dallo schiavista un lottatore mandingo. Dopo aver assistito ad un incontro violentissimo, i due mettono in atto il loro piano e dichiarano di voler comprare uno dei lottatori per un'ingente somma di denaro. Dissimulando interesse, inoltre, cercano di far ricadere anche la cessione della donna nell'accordo. Ma il fedele capo della servitù di Candie, Stephen (Samuel L. Jackson), capisce che Django e Broomhilda si conoscono e informa il suo padrone dell'astuto inganno dei due forestieri. Profondamente adirato, il crudele Candie spinge il dottor Schultz al limite, mentre si scatena un brutale scontro a fuoco tra gli accoliti dello schiavista e i due impostori. Così Django, ad un passo dal liberare sua moglie, si troverà a dover lottare nuovamente contro più spietati aguzzini. Tuttavia, il tempo trascorso con il dottor Schultz ha lasciato un prezioso insegnamento all'uomo: Django non è più uno schiavo e la sua libertà merita di essere difesa fino alla fine...»

https://www.comingsoon.it/film/django-unchained/48607/scheda/

da vedere su Netflix cliccando qui:

https://www.netflix.com/it/title/70230640

Scheda IMDb:

https://www.netflix.com/it/title/70230640

Andrea Giostra:

https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/

https://andreagiostrafilm.blogspot.it 

https://www.youtube.com/channel/UCJvCBdZmn_o9bWQA1IuD0Pg

Domenico Pompilio, uscito “Linea di confine” 1° album del musicista

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È uscito in anteprima digitale “Linea di confine”, l’album d’esordio del musicista Domenico Pompilio.
Dodici tracce di chiaro stampo cantautorale, che fondono atmosfere poetiche a temi esistenziali. L’uscita del disco avviene a pochi mesi di distanza dal lancio dei due singoli “Cassiopea” e “La Felicità”. Ciascuna canzone dell’album è un tratteggio della linea che, nella sua interezza, rappresenta la demarcazione tra il passato e il presente. Oltrepassare la linea di confine vuol dire prendere coscienza di aver compiuto un passo in avanti, di aver superato un ostacolo a favore di un obiettivo. Linea di confine segna dunque un passaggio netto, lasciando intendere di trovarsi soltanto all’inizio di una ricerca tesa al rinnovamento e alla crescita: è una direzione verso altre direzioni. Ogni singolo brano è un racconto, una sorta di viaggio che attraversa il sogno, la realtà, l’amore, le domande e, a volte, le risposte. I rimandi ai maestri del cantautorato sono il fil rouge del disco: si va da De Andrè a Leonard Cohen, attraverso Nick Cave fino a Claudio Lolli, Guccini e altri ancora. Le influenze musicali di questi artisti, che fanno parte della formazione musicale dell’autore, sono forti, ma al tempo stesso elaborate in maniera del tutto originale e personale. Le sonorità spaziano dalla ballata al rock, passando per brani più intimi (solo piano e voce, solo chitarra e voce), fino ad arrivare a pezzi di stampo cantautorale tradizionale. Il flauto traverso, strumento principe dell’autore, è presente in molti brani del disco e crea, in maniera delicata e quasi magica, sfumature poetiche e eteree alla struttura dei brani. Linea di confine è un album interamente autoprodotto, che ha visto la partecipazione di Simone Alfonsi (chitarre), Giacomo Nardelli (basso), Danesh Chillura (batteria) e Gianpaolo Casella (tromba). Il lavoro è stato inciso, mixato e masterizzato presso gli studi Ermes Records di Roma da Franco Pietropaoli. 
Note biografiche del cantautore 
Nato in Puglia e trapiantato da diversi anni a Roma, Domenico Pompilio scrive canzoni da oltre vent’anni. Si è esibito in diversi locali della capitale sia con i suoi progetti che in open mic e live contest. Durante la quarantena si è esibito in streaming in occasione dell’Antivirus Festival (organizzato dai Ladri di Fragole di Piacenza) e ha inciso, in home recording, la canzone Ad un metro di distanza, cui ha fatto seguito un videoclip altrettanto casalingo. Nell’aprile 2020 è entrato a far parte della rosa dei quaranta artisti presenti nella compilation del MEI Fatto in quarantena con il singolo Cassiopea. Ha composto le colonne sonore dei romanzi dell’autrice Roberta Capriglione: Con il vento a favore (2018) e Variazione (2020). Tracklist Luci nel cortile – Cassiopea - Il senso dell’impresa - Io ti accarezzerò - L’acquario - Linea di confine - Poche parole - Va bene così - Le vie dell’arte - La felicità - All’angolo di quella strada - Con il vento a favore ((bonus track)

ELISA CAPONETTI, DALLA PSICOLOGIA ALLA TV

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Elica Caponetti come definirebbe sé stessa?

Sicuramente come una persona estremamente complessa. Il lavoro che svolgo e gli studi che ho fatto, mi hanno aiutato ad acquisire consapevolezza e a prendere maggior coscienza di me e di come sono, riconoscendo e accettando le mie qualità ma anche i miei difetti. Quando si diviene coscienti delle proprie criticità, queste possono diventare punti di forza. Ho valori forti e radicati che mi orientano nelle scelte che quotidianamente faccio. Sono molto emotiva e sensibile e questo è un aspetto che con la maturità ho imparato ad apprezzare e gestire. Cerco di essere sempre una mamma attenta e presente. Amo stare in compagnia dei miei affetti importanti ma apprezzo anche i momenti in solitudine. Per alcuni aspetti sono vulcanica, sempre in continuo movimento. Adoro viaggiare, in famiglia e con le mie inseparabili amiche. Sul lavoro sempre intenta a realizzare nuovi progetti.

Perché gli studi in psicologia?

La psicologia è una passione nata negli anni. Mi affascina la mente umana e la sua unicità, Comprendere cosa c’è dietro un determinato agito e riuscire a non fermarsi ad una lettura superficiale degli eventi, andare oltre, scendere in profondità e vedere che a volte le cose non sono semplicemente come possono apparire. Dare un senso e un significato agli agiti senza fermarsi soltanto alle parole. Il poter entrare nella vita delle persone e coglierne le loro singolarità. Poter fare questo lavoro, lo considero un enorme privilegio e un grande arricchimento personale.

In quali rami è maggiormente specializzata?

Mi sono laureata in Psicologia dell’età evolutiva ed ho completato il mio percorso clinico conseguendo una specializzazione in Psicoterapia di Coppia e Familiare. Sono però da sempre appassionata alla Psicologia Giuridica e Forense e per questo ho arricchito la mia formazione con studi giuridici e criminologici, coltivando una formazione integrata su più livelli e dando ampissimo spazio alla mia preparazione e maturazione professionale. Tantissimi sono gli studi specialistici, i corsi di formazione effettuati e i master, consapevole che per poter garantire un livello di professionalità elevata, è estremamente importante l’aggiornamento e la formazione costante. La solidità del sapere e della conoscenza sono elementi per me imprescindibili.

Il suo volto è noto in TV, in quali contesti televisivi viene coinvolta?

Nei talk show per affrontare tematiche anche leggere e spensierate ma anche in trasmissioni giornalistiche e che trattano di cronaca

Fra i casi che ha seguito quali l'hanno maggiormente colpita da un punto di vista umano?

Difficile poter rispondere a questa domanda. Ogni persona con cui entro in contatto mi colpisce per qualcosa. Si rivolgono a me persone che affrontano disagi e tormenti quotidiani, ma anche donne e uomini vittime di violenza, o minori che hanno problemi di alcool o droga, o chi è vittima di bullismo, o ancora, vengo coinvolta in noti fatti di cronaca. A pensarci bene, sicuramente, a colpirmi di più da un punto di vista umano, sono le vittime di false denunce. Coloro che pur essendo innocenti, si sono trovati coinvolti in procedimenti penali e lottano per avere giustizia.


Tenet, annotazioni sul film di Christopher Nolan

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Tenet” s’inserisce nel ricco filone degli action-movies fantascientifici, dove le scorribande temporali diventano quasi solo delle scuse per mostrare le solite immagini finalizzate a colpire lo spettatore con una esibita, muscolare, pirotecnica spettacolarità digitale. Christopher Nolan, che comunque è un grande regista, stavolta sembra non aver colpito nel segno e i dati del botteghino confermano questa impressione. Innanzitutto è da segnalarsi la pressoché completa impossibilità di comprendere come sia possibile viaggiare nel tempo. 

È vero che vengono citate le più recenti teorie in merito, ma alla fine risulta più comprensibile il vecchio, farraginoso ritrovato della “time machine” di Wells così come riprodotto nei film ad esso ispirato che le sottili, quanto fumosamente incomprensibili, per noi semplici mortali, teorie moderne che dovrebbero “giustificare” la possibilità del viaggio nel tempo. Il protagonista, che non ha nome, sembra alla fine aver compreso molto bene il tutto; purtroppo noi non siamo così fortunati o così dotati.

È un punto questo non irrilevante, perché in altri due bei film di Nolan (“Inception” e “Interstellar”) i fondamenti scientifici o para-scientifici sono abbastanza comprensibili e, coniugati con aspetti attinenti al profondo della vita umana, permettono ancora un’identificazione dello spettatore con il protagonista; in “Inception” è il mondo del sogno e del sogno nel sogno che viene tematizzato con un finale aperto dove riecheggia l’antico adagio di Calderòn de la Barcade “la vida es sueño”, in “Interstellar” sono il rapporto padre/figlia e in generale i rapporti umani che vengono descritti a partire dagli scherzetti procurati dai viaggi a velocità prossime a quelle della luce, assumendo in tal modo aspetti talmente stranianti da costringere lo spettatore a interrogarsi sul proprio essere. 

In ambedue i casi la scienza, nelle sue acquisizioni più recenti, appare al servizio di una riflessione sull’umano, così come il grande maestro di Nolan, StanleyKubrick, fa nel suo film più intenso, ovvero “2001 Odissea nello spazio”. Questa esigenza di riflessione sull’uomo in “Tenet” sembra scomparsa, ma sono ben presenti tutti i mezzi e le furbizie per giocare con citazioni e autocitazioni, con attrazioni e fuochi d’artificio in una struttura narrativa facilmente leggibile ma complicata, soprattutto verso la fine della pellicola, dai salti temporali degli attori: un virtuosistico e vorticoso giocattolo smontabile che cattura lo spettatore visivamente ma resta in ultima istanza qualcosa di freddo e lontano dal vivere che, invece, nelle due pellicole succitate, ma a ben guardare anche in “Memento” e nella trilogia di Batman, è ben presente e dà calore e colore alle opere. 

Si è detto della struttura narrativa; essa è tutta imperniata intorno a due concetti: il termine “tenet” e il palindromo. Tenet è un palindromo, possiamo leggerlo indifferentemente da destra e da sinistra, ma “tenet” non è un vocabolo qualsiasi. Grammaticalmente è la terza persona singolare, indicativo presente forma attiva del verbo latino tenēre, ma è anche la terza parola di un quadrato magico di cinque parole componente una frase a sua volta palindroma e dal significato a tutt’oggi non chiaramente stabilito, ma reperibile in chiese medievali inglesi come abruzzesi, francesi come laziali, insomma diffusa in tutto l’occidente (la prima attestazione risale alla Pompeiromana). 

Queste cinque parole sono tutte evocate nel film e lasciamo agli spettatori il cerebrale divertimento di individuarle, ciò che può interessare è che “tenet”, nel quadrato magico, forma una croce il cui centro è la “N” e tiene insieme l’alto e il basso, la destra e la sinistra. Perché sottolineare tutto ciò? Perché tutto il film è un grande palindromo. La narrazione, a parte un’ouverture in un teatro dell’opera, segue uno svolgimento che, arrivato all’apice nella scena centrale, una sorta di “n” di “tenet”, torna indietro ripercorrendo le stesse scene già viste ma ripresentandole al contrario e alla luce di ciò che avverrà (o è avvenuto). 

Un simpatico giochetto che dà modo di dispiegare tutto l’armamentario dei film d’azione con inseguimenti, sparatorie, scazzottate, per tacere dell’autocitazione di una piccola battaglia tra i monti, narrati in tal modo due volte e da punti di vista temporali differenti, il tutto condito da quei sapienti effetti speciali che fanno di questa pellicola un vero capolavoro in quest’ambito. 

Preme comunque sottolineare che al di là dei virtuosismi, anche fotografici, che sono in ogni caso di grande valore tecnico è, a nostro avviso, il quadrato magico con i suoi infiniti giochi e significati, una delle fonti più interessanti della pellicola e ciò lo si riscontra quando, avviandosi verso la fine, si registra una vera e propria difficoltà nel chiudere la storia; ciò è comprensibile perché, potenzialmente, il quadrato magico non ha fine.

Per comodità e curiosità si riporta il quadrato magico:

 

S

A

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O

R

A

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P

O

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E

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P

E

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A

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A

S

 

Come si può notare il contenuto può essere letto indifferentemente da sinistra a destra, da destra a sinistra (partendo dal basso a destra), dall’alto in basso (partendo dall’alto a sinistra) e dal basso in alto (partendo dal basso a destra). “Tenet” forma una croce greca centrale. Esistono comunque anche altre forme di lettura come la bustrofedica, la numerologica ed altre ancora che rendono pressoché labirinticamente inesauribile il gioco interpretativo. 

Nicola F. Pomponio

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