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VIVERE UN’EMOZIONE IN MEZZO AL MARE Con la cucina gourmet di Daniele Unione

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Vivere una emozione, un respiro vitale che nessuna mascherina può interrompere, una vera cucina “gourmet” per una magnifica crociera, fatta di ricette sane e gustose, sempre varie, da quelle semplici alle più elaborate ma che sempre  esaltano il gusto originario dei vari cibi, piatti a base di pesce e carne,  a cui si accompagnano  frutta e verdura di stagione, ma anche gustose pizze e focacce, dolci diversi, primi piatti ed anche la pasta fatta a mano, ritrovare una enogastronomia di forte identità territoriale. 

Qui l’assoluto protagonista è il mare, che colora le emozioni, trasformando le colorazioni del nostro animo in una ricchezza da assaporare, fatta di gusto e leggerezza, dove il regista di questo cooking show di sogno è  lo chef Daniele Unione, la cui filosofia eno-gastronomica da esperto gourmet offre un’esperienza unica, da vivere tra il vento del mare e le insenature delle isole campane su una magnifica nave da crociera, la LadyAdrian. 

Ormeggiando tra le baie più belle ed affascinanti lo chef inebria i fortunati ospiti  grazie all’esplosione di profumi e sapori a bordo, con gli ingredienti che cambiano ad ogni porto e il pescato freschissimo che si incontra tra le barche dei pescatori locali, la magia di un “ristorante sul mare” dove mangiare dell'ottimo pesce fresco, accompagnati dalla brezza marina. 

Come fosse un  magico trabocco per mangiare su un terrazzo panoramico che abbraccia sole, mare e terra in un solo colpo circondati dal mare a 360 gradi la cucina Daniele Unione  ti fa vivere un’esperienza da veri buongustai, nonostante gli spazi di una barca non siano come quelli di una casa e il tempo da poter   dedicare alla cucina limitato  lo chef propone una cucina con piatti mediterranei ma anche tipici campani, le ricette sono varie, sane e gustose con ingredienti sempre naturali e di prima qualità. La sua cucina mediterranea è solo uno degli aspetti più intriganti di questo viaggio da sogno dove i sensi dei buongustai si inebriano durante la crociera  a bordo di un veliero che, oltre al mare cristallino, ai bei panorami costieri e alle emozioni esclusive ed autentiche aggiunge un’esperienza gourmet garantita da uno chef stellato come Daniele Unione.



Ekynoxx presentano l'album "Gravità Zero": tutta l'energia del pop elettronico e della musica dance

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Quella degli Ekynoxx è musica elettronica per il corpo. Viscerale, muscolosa, groovy, a tratti smaccatamente pop è Gravità Zero (autoproduzione).
Un album che ribadisce la vicinanza all’elettropop anni 80, che qui viene sapientemente riveduto e corretto con i suoni dell’elettronica anni 90 e accostato a melodie da forma canzone che danno un valore aggiunto, molto pop, al progetto.

Parlateci del nuovo disco. Che impronta avete voluto dargli?

Gravità Zero è un Concept album che ha tutta l'energia del pop elettronico e della musica dance, con un occhio di riguardo, a livello di tematiche, per la società ed il mondo di oggi.

Un lavoro che analizza e porta in musica (cantato in italiano ad eccezione di una bonus track) lo stato attuale della società in cui viviamo. Nei testi delle canzoni compaiono riferimenti a temi importanti come l'inquinamento ambientale, l'alienazione sociale correlata ai social media, il controllo sull’individuo attraverso la raccolta dei dati personali, il consumismo, l’impoverimento delle relazioni interpersonali ed infine il sentimento. Il tutto è sorretto da sonorità electropop, con uso massiccio di sintetizzatori analogici.

Quali sono i vostri cantanti di riferimento? 

La nostra ispirazione scaturisce da quel Synth Pop e Disco Hi-Energy, che nasce con i Kraftwerk e Giorgio Moroder e che, evolvendosi nel tempo, arriva fino a Royksopp, Goldfrapp, Miss Kittin.

Qual è l’esperienza lavorativa che più vi ha segnato fino ad ora?

Dopo una prima partecipazione nel 2018, al contest musicale “Sanremo Rock”, la nostra esibizione sul palco del Teatro Ariston di Sanremo, ha colpito il Patron della manifestazione, Angelo Valsiglio, a tal punto, da richiamarci in qualità di Special Guests, per la successiva edizione del Festival.

Da questa bellissima esperienza è nata anche una collaborazione con gli organizzatori di Sanremo Rock, che ci hanno successivamente coinvolto in altri eventi come Miss Reginetta d’Italia e una Voce per l’Europa.

Invece quella mai fatta e che vi piacerebbe fare?

Non sono poche le band ed i progetti musicali che emergono grazie ad uno spot pubblicitario. Alcune tracks del nostro nuovo album si sposerebbero molto bene con diversi brand italiani e non, come colonna sonora per degli spot pubblicitari.

Progetti futuri? 

Per ora siamo in fase di promozione via Web per l’uscita del nostro Album.

Dopo l’uscita del primo singolo “Tutta l’Energia” (il video è già su YouTube e sta ottenendo numerosi riscontri e visualizzazioni), ora ci prepariamo per il nuovo video del secondo estratto dall’Album: “APPLEMAN”.

Il 18 settembre ci siamo esibiti in concerto a Mogliano Veneto, ma abbiamo in progetto di fare presto altre date, non appena l’emergenza Covid cesserà.

Intervista a Laura Salvinelli, ritrattista e fotografa di guerra: Le immagini non muoiono

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«Un tema importante e controverso per la fotografia sociale e di guerra è la bellezza. Molti fotografi sembrano evitarla, come se evidenziandola si approvasse la povertà, la disgrazia che rende “belli”… io lavoro con la bellezza e la cerco nei posti e nelle situazioni peggiori. Credo che vedere la bellezza voglia dire avere una visione, avere immaginazione e una missione, insomma essere liberi.» di Andrea Giostra.

Ciao Laura, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito. Se volessi presentarti ai nostri lettori cosa racconteresti di te quale artista della fotografia? Come ti descriveresti a chi leggerà questa intervista per dare l’immagine di te quale artista?

Sono Laura Salvinelli, ho iniziato a fotografare quando avevo 20 anni, ora è passato più di un terzo di secolo ed è ancora il mio unico lavoro e una grande passione. Sono ritrattista, fotogiornalista (scrivo anche i testi dei miei reportage) e fotografa sociale.

Come è nata la tua passione per la fotografia e quale il percorso artistico che hai seguito?

Ho sempre sognato che avrei lavorato nel campo delle immagini, magari per il cinema. E io seguo sempre i miei sogni. A 20 anni mi feci fotografare da un grande fotografo, Peppe D’Arvia, perché occasionalmente mi capitava di posare per qualche foto di pubblicità o moda. Non è mai stato un vero progetto di lavoro: ci venivano a scegliere fuori da scuola, era un’attività leggera e divertente e ben pagata. Peppe era un grande fotografo, particolarmente poliedrico, sapeva fare bene tutto, dal ritratto alla foto pubblicitaria, industriale, sviluppava e stampava eccellentemente, e anche un grande maestro. Non ha avuto la fama che meritava perché era un vero outsider. Questo avvenne poco tempo dopo che mi ero comprata la mia prima macchina fotografica. Mi chiese di mostrargli le foto che avevo fatto e mi incoraggiò a continuare nel modo migliore possibile, facendomi entrare nel suo studio. Lì mi resi conto che la fotografia era il lavoro per me. Quando ero piccola, col materialismo magico dei bambini, cercavo di dimostrare la verità dei sogni: stringevo in mano un oggetto che mi appariva in sogno e tentavo di trasportarlo nella vita da sveglia. Ovviamente mi svegliano con le mani vuote, ma continuavo a provarci, poi un giorno lasciai perdere. Uno dei primi giorni in camera oscura, mentre osservavo la magia dell’immagine che appare nella bacinella dello sviluppo, mi resi conto di aver finalmente realizzato quello che cercavo da bambina: la trasposizione da una dimensione all’altra! Col tempo il percorso iniziato da un’occasione casuale mi ha permesso sempre di più di esprimere quello che avevo dentro, e che avrei raccontato meglio con la sintesi di un’immagine fissa. Ho amato profondamente la camera oscura, quell’utero in cui accadono trasformazioni chimiche e magiche. Ho sviluppato tutti i miei negativi e stampato tutte le mie foto fino alla morte di Peppe pochi anni fa, lasciando però gli ingrandimenti per le mostre al bravo Luciano Corvaglia. 



Ha fatto tantissime esperienze lavorative, molte nel mondo dello spettacolo e del cinema. Quali sono state le esperienze professionali che vuoi raccontarci?

L’amore per il cinema e lo spettacolo è stato appagato divenendo parte del mio lavoro come soggetto da fotografare. Per altro, a Roma la scelta per me era facile: visto che mi piaceva molto la ritrattistica, potevo cercare clienti tra i politici o gli attori e i musicisti, e ho sempre preferito le persone dello spettacolo. Non perché non mi interessi la politica, tutt’altro, ma perché queste ultime sono molto più divertenti da fotografare. A parte qualche lungo viaggio in Asia in cui ho iniziato a fare i miei reportage che poi vendevo ai giornali, ho lavorato per quasi vent’anni per lo spettacolo, fino all’11 settembre 2001. Il lavoro che ha unito più passioni insieme: il cinema, l’impegno per una giusta causa, l’interesse per il buddhismo, il viaggio, è stata la partecipazione come protagonista di “Perché Buddha?”, un documentario di Paolo Brunatto girato sul set di “Il piccolo Buddha di Bernardo Bertolucci”. 

Mi hai raccontato, infatti, che dopo l’11 settembre 2001 la tua vita professionale ha avuto una svolta. Qual è e quale è stato il tuo lavoro dopo l’11 settembre?

L’11 settembre stavo fotografando un’attrice tedesca quando una mia amica mi telefonò sconvolta dicendomi di accendere immediatamente la televisione. Lì c’erano quelle immagini catastrofiche che purtroppo non erano un film. Decisi di mettere a disposizione quello che sapevo fare per il mondo umanitario. Ma non fu una folgorazione sulla via di Damasco: dopo tanti anni per lo spettacolo, quasi 20, stavo sempre più allontanandomi dall’edonismo imperante, e soprattutto dalla manipolazione chirurgica dei corpi (prima delle donne, poi anche degli uomini) che mi sembra un gran passo indietro in termini di evoluzione. Appena possibile andai in Afghanistan, e da allora lavoro in Asia e Africa da una parte per le organizzazioni umanitarie (agenzie delle Nazioni Unite ogni tanto, e soprattutto ONG, che preferisco di gran lunga) e per la stampa, per cui scrivo anche i testi dei miei ritratti e reportage.


Cosa significa oggi lavorare nei Paesi di guerra, nei Paesi delle grandi emergenze umanitarie? E qual è la differenza tra una “foto artistica”, quelle che hai fatto nel mondo dello spettacolo e del cinema, per esempio, e una “fotografia sociale”, se possiamo chiamarla così?

La grande differenza fra la fotografia sociale e quella per lo spettacoloè che, mentre la seconda è sempre un accordo bilaterale, che interessa entrambe le parti, la prima apre questioni etiche più delicate e complesse per il fotografo, che quasi sempre è solo a scegliere e dunque ha grande responsabilità, tanto maggiore quanto quello che testimonia è “sensibile”. Il discorso è molto lungo e meriterebbe più spazio per essere affrontato. Dopo quasi vent’anni io ancora non ho una risposta unica sul diritto che ho di fotografare la sofferenza degli altri. Credo che la risposta dipenda molto da come e perché lo faccio. E che, anche se non c’è una riposta unica per tutte le situazioni, l’importante è che la domanda mi lavori dentro sempre, che sia sempre presente ogni volta che ho la macchina fotografica in mano. Io mi sento profondamente motivata a dar voce e immagine a chi non ne ha, alla parte più fragile. Alle donne, ai bambini, ai poveri, ai disastrati, ai reietti, alle vittime civili delle guerre, agli animali. Sottolineando la loro dignità. Non usando mai come mezzo ma come fine le persone fotografate. Senza nessun cinismo nello sguardo. Denunciando, quando serve, o lavorando con la speranza quando la denuncia ha assuefatto, anestetizzato l’attenzione di chi guarda. Cercando sempre una risposta umana, empatica. Consapevole che la fotografia, per quanto onesta, è sempre di parte. Poiché ormai, dalla guerra del Golfo in poi, i fotografi sono sempre “embedded”, preferisco esserlo per le ONG che per i militari. Un altro tema importante e controverso per la fotografia sociale e di guerra è la bellezza. Molti fotografi sembrano evitarla, come se evidenziandola si approvasse la povertà, la disgrazia che rende “belli”. Personalmente io, pur rifiutando l’estetismo fine a sé stesso, lavoro con la bellezza e la cerco nei posti e nelle situazioni peggiori. Credo che vedere la bellezza voglia dire avere una visione, avere immaginazione e una missione, insomma essere liberi. Un’altra differenza fondamentale fra il reportage e la fotografia per lo spettacolo è che, mentre con la seconda si è liberi di elaborare à gogo le immagini in fase di post-produzione, con la prima ci sono dei limiti che non possono essere superati. L’immagine può essere “rafforzata” ma deve rimanere quella, non si possono tagliare né cancellare né incollare i pixel. 



Robert Capa, com’è noto uno dei più grandi fotografi di guerra del Novecento, diceva spesso che «L’unica cosa a cui sono legato è la mia macchina fotografica, poca cosa, ma mi basta per non essere completamente infelice.» Tu Laura c
osa ami del tuo lavoro e cosa è per te la fotografia?

Io amo il lavoro, che è fonte di felicità, come scrive Rainer Maria Rilke. Tutto il lavoro, ogni lavoro. Il mio lavoro non lo considero un lavoro: è la mia vita e quello che preferisco fare. Anche se chiaramente ci sono momenti esaltanti e momenti di noia. Si chiama vita. La fotografia è il mezzo migliore incontrato finora per rappresentare le mie immagini interiori e dunque esprimermi non verbalmente, anche se scrivo anche i testi dei miei reportage. Poiché non sono una scrittrice, nei testi racconto nel modo più semplice quello che ho visto e ascoltato, dopo essermi documentata il più possibile. I miei articoli sono fatti essenzialmente di interviste di persone incontrate sul campo. La fotografia mi mette in contatto con le mie immagini interiori, le immagini recenti dialogano con quelle più antiche. In realtà il viaggio avvicina invece di allontanare, e nelle fotografie non c’è mai esotismo ma profonda familiarità. Perché mai si dovrebbe essere attratti da posti da evitare come quelli delle guerre e delle emergenze, se quelle immagini non le avessimo già dentro? Io mi sento molto viva nelle situazioni di emergenza: in parte è conseguenza della produzione di adrenalina, e in parte del riconoscimento di una certa una familiarità che mi fa lavorare al meglio. Giocando con le parole chiamo i miei lavori “reportraits” perché è reportage fatto fondamentalmente da ritratti. La fotografia è nata per la ritrattistica, e fino a che esisterà, ci saranno ritratti da fare. L’amore per i ritratti per me è innato: nelle nuvole, nelle crepe dei muri, nelle macchie, nei paesaggi vedo sempre corpi e volti. E io amo i corpi e i volti più di ogni altra cosa. Il ritratto, inoltre, è un rapporto, perché la fotografia è fatta dall’incontro di chi fotografa con chi è fotografato. E i rapporti sono quello che più ci rivela come esseri umani. Il reportage e la fotografia sociale permettono di esprimere il proprio impegno civile e politico. Io sono impegnata e mi sento responsabile. Ho sempre creduto nei valori della sinistra, liberté, égalité, fraternité, tolleranza, solidarietà, rispetto dei diritti umani. Sono sempre più femminista: più viaggio più mi rendo conto che le donne sono le colonne delle società, quelle che lavorano di più dentro e fuori casa, spesso trattate come bestie da soma, da riproduzione, come oggetti sessuali,  e allo stesso tempo sono quelle che hanno meno potere decisionale. È una disuguaglianza brutale. E amo gli animali.

Come sta cambiando secondo te la fotografia?

La fotografia adesso può essere parte di una comunicazione in cui i video hanno sempre più spazio. Può essere usata per opere d’arte e installazioni. Ma chiaramente il ruolo che aveva è cambiato insieme alla tecnologia, sempre più capace, e al declino dei giornali stampati su carta. Dunque i giovani devono pensare a nuovi modi per poterne fare una professione. Noi dobbiamo trasmettere le conoscenze che altrimenti andrebbero perdute, e incoraggiarli ad aprire nuovi percorsi. La fotografia che ho sempre fatto è quella dello scorso secolo. Uso Photoshop come un prolungamento “naturale” della camera oscura. I miei maestri sono Robert Capa, Gerda Taro e i fotografi della Farm Security Administration: Dorothea Lange, Walker Evans eccetera. Questa fotografia sta scomparendo, e come tutte le cose scomparse, finisce nei musei. Infatti c’è un fiorire del mercato della fotografia come fine art prints che acquistano i collezionisti, e di mostre. Questa è una nuova opportunità che prima non c’era. Ma i giovani devono andare avanti e inventare modi nuovi. Le immagini non muoiono. 

Mi hai parlato del tuo lavoro, delle foto artistiche e delle foto sociali. Da ragazzo ho letto uno scritto di Oscar Wilde nel quale diceva cos’era l’arte secondo lui, e diceva che l’arte è tale solo quando avviene l’incontro tra l’“oggetto” e la “persona”. Se non c’è quell’incontro, non esiste nemmeno l’arte. Poi qualche anno fa in una mostra a Palermo, ho ascoltato un’intervista al grande Gino de Dominicis che sulle arti visive disse questo: «Le arti visive, la pittura, la scultura, l’architettura, sono linguaggi immobili, muti e materiali. Quindi il rapporto degli altri linguaggi con questo è difficile perché sono linguaggi molto diversi tra loro … L’arte visiva è vivente … l’oggetto d’arte visiva. Per cui paradossalmente non avrebbe bisogno neanche di essere visto. Mentre gli altri linguaggi devono essere visti, o sentiti, o ascoltati per esistere.»(Gino de Dominicis, intervista a Canale 5 del 1994-95). Qual è la tua prospettiva sull’arte in generale?

Mi chiedi della mia “arte” e mi riporti uno scritto di Oscar Wilde che “(giustamente) diceva che l'arte si trova nell'incontro tra la persona e l'oggetto... in mezzo... volatile... se quell'incontro genera emozione, allora è arte, altrimenti è altro…”. Per una volta, magari l’unica, non sarei d’accordo con Oscar Wilde. Ci sono tante opere che provocano emozione e non sono arte. Le emozioni vanno molto di moda, e ci sono fin troppi personaggi pubblici, di spettacolo, influencers, soprattutto i politici, che le cavalcano, le manipolano, muovono le viscere per ottenere successo e potere. Non per dire che l’arte non debba essere popolare, per carità! Ma, anche se i fans di tanta musica e cinema e letteratura spazzatura si emozionano, mi rifiuto di pensare che i loro autori siano artisti. Credo che sia il tempo a stabilire quello che è arte, non le emozioni del momento. Ma non per questo mi sento più vicina alla posizione di Gino de Dominicis. Credo che tutti i linguaggi debbano essere visti, o sentiti, o ascoltati per esistere. Forse tutta la realtà non esiste senza l’osservatore. Forse non c’è separazione, come ipotizzano la fisica quantistica e il buddhismo. Ma in fondo non mi interessa questo argomento perché non sono una critica d’arte né mi considero un’artista. Sono un’artigiana. Se così si definisce Gianni Berengo Gardin, come mai potrei considerarmi “artista”?

Quali sono i tuoi prossimi progetti e appuntamenti di cui puoi parlarci? Cosa ti aspetta nel tuo futuro professionale che vuoi raccontare e condividere con noi?

I miei progetti sono stati spazzati via dal Coronavirus: non si tiene tutto sotto controllo, le cose cambiano! Stavo preparando una mostra sul mio ultimo lavoro con Emergency sulla maternità in Afghanistan (dopo tanti anni negli ospedali nei Paesi di guerra ho fotografato finalmente i parti) che è stata sospesa. Sarei dovuta essere in missione per un’ONG in Kenya in questo periodo, ma sul campo in Africa ora non ci si può andare. Ho fatto dei reportage sul Covid a Roma (violenza contro le donne, senzatetto, didattica a distanza in una scuola per migranti, la sindrome Italia delle badanti…) per Alias del manifesto. Mentre molti giornali hanno interrotto i rapporti di collaborazione con gli esterni, il manifesto resiste alla crisi. Sto ricominciando a fare ritratti agli attori. Questo è il momento della navigazione a vista prima della scelta di nuove rotte.

Laura Salvinelli

http://www.laurasalvinelli.com/

https://www.facebook.com/laura.salvinelli.50

Andrea Giostra

https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/ 

https://andreagiostrafilm.blogspot.it 

https://www.youtube.com/channel/UCJvCBdZmn_o9bWQA1IuD0Pg

 

Malvida presenta l'album "Gli ultimi", un involucro stracolmo di amore universale incondizionato

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"Gli ultimi” è, come dice Malvida stessa, “un involucro stracolmo di amore universale incondizionato”. In generale si tratta di un disco di pop elettronico, anche se molte sonorità ricordano gli ’80, la retro wave e il lo-fi. Sono state volutamente utilizzate tecniche di registrazione  che danno  l’idea di “sporco”. “Gli ultimi” nasce come prodotto indipendente autogestito dall’ autrice e trova la sua dirittura d’arrivo a Roma con la revisione dell’artista romano Leo Pari.

Quando hai iniziato a fare musica?

Ho iniziato a fare musica durante il mio percorso accademico. Volevo in un qualche modo alimentare la parte creativa che, per via dello studio si stava assopendo. Il percorso accademico mi ha formato come attrice cantante, ho imparato tante cose, ma di artistico purtroppo non ha niente o ben poco. In quegli anni nasce Malvida, la pecora nera dell' istituto che violentemente si ribella a quei dogmi della -bella forma- per inseguire il cuore nell' elettronica.

Con quali artisti sei cresciuta?

Sono cresciuta con tutta la musica possibile. Cantautori italiani, ska, reggae, punk.. Solo successivamente il mio gusto si è "ristretto". E' stata piuttosto un' esigenza, sentivo che la musica che volevo fare andava in una direzione ben precisa, con sonorità ben precise. Nessun cantante/gruppo è stato così influente per me. Semplicemente, avendo anche fatto danza e canto impostato e moderno, sono "stata costretta" all' ascolto anche di generi che apparentemente non mi appartenevano. Per poi scoprire che così non era. La musica è bella tutta e tendo a dividerla in due macro contenitori: quella bella e quella brutta, quella fatta con il cuore e quella che mira ai soldi.

Come nasce la tua musica? Quali sono le fonti d’ispirazione?

La mia musica nasce dopo le 18:00 seduta alla mia tastiera con la domanda: "che faccio adesso?"

Nessuna pretesa, nessuna idea a priori. Quando mi va di suonare lo faccio e se il mio corpo si fa coinvolgere dal ritmo o dal sound in generale vado a fondo cercando di sviluppare il piu' possibile. La mia ispirazione è sempre stata l' amore e sempre lo sarà. Vorrei che "lui" ascoltando la mia musica stia bene.


Di cosa parla la tua nuova avventura musicale?

Nel disco, ma in generale in quello che scrivo, compaiono figure animalesche e vispe in grado di cambiare il mondo, fantasmi, vampiri e mondi “altri” come il Paradiso e l’ aldilà, ecosistemi in cui tutto fa pace con tutto e tutto si può risolvere. Una fuga dal mondo degli umani i quali spesso fingono l’ amore, lo pretendono o lo trattano male. Vuole essere un messaggio a vivere la vita con curiosità e gioia, perseveranza senza pretese, capacità di dire la verità e rincorrerla come i sogni che non possiamo permetterci di abbandonare. Ho per scelta messo da parte la tecnica vocale nel cantarlo, per dare invece spazio all’interpretazione dei singoli pezzi che necessitavano di sfumature differenti, per come li immaginavo.

Quali sono i generi in cui spazi nella tua produzione?

Le influenze sono diverse seppure si parla di pop elettronico. Lofi, trap in istrici, electro anni 80, it pop, synth preponderanti e collanti del tutto. Non penso di avere un genere, non voglio etichettarmi, voglio sperimentare. In generale spero di muovermi verso una musica piu' minimale prossimamente, sarà una sfida. Vedremo.

Cosa ne pensi dei social e del web in generale come mezzo per farsi conoscere?

I social sono purtroppo fondamentali soprattutto per chi, come me, si autoproduce. Sono anche un’ arma a doppio taglio: ti costringono a curare la musica tanto quanto l’ estetica o comunque ti portano a ragionare maggiormente sull’ immagine piu idonea per esprimere l’ intero immaginario proprio dell’ artista, il quale si vede appunto, sarto di se stesso a 360 gradi. Nel mio caso, amante della fotografia e del cinema,  la divulgazione dei videoclip è agevolata per fortuna dico, da questi mezzi, di cui ormai viviamo quotidianamente anche per le cose piu semplici.

Cosa non deve mai mancare in un brano che scrivi? 

Per quanto riguarda un brano di mia produzione, non deve mai mancare l'interlocutore. Il messaggio se molto forte dentro di te e vuole uscire, bisogna liberarlo e dedicarlo. Facendo felice qualcuno, dandogli un piccolo posticino per sè si crea ogni volta e dura circa 3 minuti e mezzo. Ogni canzone per me deve essere un regalo per qualcuno.

E nelle canzoni che ascolti?

Nelle canzoni che ascolto non ci sono regole o questioni comuni. Se mi arriva, mi arriva. Non valuto il testo e/o la musica, non penso a dissezionare le "parti" di una canzone, la apprezzo piuttosto nella sua interezza, se mi fa ballare, piangere, cantare, mi arriva e per questo mi rende felice o in grado di ascoltare i miei stessi pensieri tramite un' altra voce gradevole. 

Aumenta l'aspettativa di vita: +150mila anziani ogni anno. In calo malattie cardiovascolari, diabete e cancro

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Anziani, futuro e stile di vita. Nuovi studi pubblicati dalla SIGOT tra i geriatri ospedalieri ci riservano non poche sorprese in un anno in cui abbiamo dovuto piangere la perdita di migliaia di anziani a causa della pandemia Covid.

“La probabilità di godere di un invecchiamento sereno può aumentare adottando un corretto stile di vita. In particolare, l’adesione ai principi della dieta mediterranea riduce il rischio di gravi malattie degenerative croniche in età avanzata e favorisce la sostenibilità ambientale” sottolinea Stefania Maggi, Dirigente di ricerca, CNR-Invecchiamento, Istituto di Neuroscienze, Padova, nel presentare la sua ricerca al 34° Congresso della Società Italiana Geriatria Ospedaliera e Territoriale.

IL TRILEMMA DIETA-SALUTE-AMBIENTE – Il progressivo invecchiamento della popolazione viene spesso visto con preoccupazione a causa delle risorse socio-economiche che può richiedere se l’estensione della vita non si accompagna a vitalità, resilienza e buona salute. Per favorire la prevenzione delle malattie durante tutto l’arco della vita per poi ottenere un invecchiamento di successo, alcuni dei principali pilastri su cui possiamo agire sono dieta, esercizio fisico, vaccinazioni e riduzione dell’inquinamento ambientale. Dieta, salute e ambiente si intrecciano così in un trilemma che ci può guidare verso un corretto stile di vita. “La probabilità di godere di un invecchiamento di successo può essere notevolmente aumentata adottando un corretto stile di vita durante tutto il corso della vita – sottolinea Stefania Maggi, Dirigente di ricerca, CNR-Invecchiamento, Istituto di Neuroscienze, Padova - In particolare, l’adesione ai principi della dieta mediterranea ha il potenziale per ridurre il rischio di gravi malattie degenerative croniche in età avanzata. Inoltre, questo tipo di alimentazione, quando si basa sul consumo di beni prodotti localmente, nel rispetto della biodiversità e delle risorse naturali e umane, è più sostenibile dal punto di vista ambientale e ci permetterà di garantire un pianeta sano alle generazioni future”.

LA DIETA CORRETTA PER STARE IN SALUTE ANCHE IN TERZA ETA’ – La piramide alimentare, che raffigura in modo semplice e diretto il modello nutrizionale mediterraneo, vede alla base frutta e verdura - preferibilmente di stagione e di filiera corta -, quindi il pane, la pasta e i cereali - meglio se integrali - insieme ai legumi e all'olio extravergine d'oliva. A metà piramide ci sono il latte e i latticini, le carni bianche, le uova e il pesce, alimenti da consumare con moderazione. In cima alla piramide, infine, ci sono carne rossa e dolciumi, da limitare a 3-4 porzioni al mese. “La dieta mediterranea ha dimostrato, in ormai 70 anni di studi in Italia e nel mondo, di poter prevenire una quota significativa di patologie croniche in età avanzata – sottolinea Stefania Maggi – Riduce in media del 20-40% la morbilità associata a malattie cardiovascolari, diabete e sindrome metabolica, di circa il 30% alcuni tipi di cancro, ma anche del 15-30% disturbi cognitivi e demenza, nonché di dolore associato a patologie muscolo-schletriche. Diversi studi hanno inoltre dimostrato una prevenzione della fragilità dell’anziano, attraverso una riduzione dell’”inflammaging”, come dimostrato dalla diminuzione di marcatori di infiammazione, come proteina C-reattiva, IL-6 e fibrinogeno”.

DALLA DIETA ALLA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE - La dieta mediterranea rappresenta anche la proposta più sostenibile dal punto di vista ambientale. “Dal punto di vista della salute, i recenti spostamenti verso "modelli dietetici occidentali" (caratterizzati da elevate quantità di amidi raffinati, zucchero, carni rosse processate, grassi saturi) sono alla radice di un aumento sostanziale della prevalenza e dell'incidenza di malattie legate alla dieta, in particolare sovrappeso e obesità, diabete e malattie cardiache – spiega Stefania Maggi – Dal punto di vista ambientale, questi modelli sono dannosi, per l'aumento delle emissioni di gas a effetto serra, l'uso di fertilizzanti, l'inquinamento degli ecosistemi marini, di acqua dolce e dell'aria. Il modello dietetico mediterraneo è considerato avere un basso impatto ambientale, e quindi essere più sostenibile, grazie alla sua enfasi sugli alimenti vegetali, il consumo di prodotti locali e la preferenza per i prodotti di stagione, riducendo così l'impronta ecologica. Lo sviluppo di modelli di dieta sostenibili su scala globale richiede la consapevolezza tra i consumatori, i produttori e i governi che l'agricoltura, l'alimentazione, la nutrizione, la salute, la cultura e l'ambiente sono fortemente interdipendenti. L'esposizione cronica all'inquinamento atmosferico, infine, è uno dei fattori ambientali il cui effetto cumulativo per tutta la vita può portare a un invecchiamento patologico, con malattie croniche (cardiovascolari, respiratorie, metaboliche, neurologiche) attraverso effetti diretti sull’organismo e effetti epigenetici, ormai largamente studiati”.

I TEMI DEL CONGRESSO SIGOT – Il tema dell’invecchiamento della popolazione è uno dei temi al centro della 34a edizione del Congresso Nazionale della SIGOT, dal titolo “La complessità clinica del paziente anziano e la transizione nei diversi setting di cura”. Il Congresso si sta svolgendo in Virtual Edition online, con contributi sia in ‘live-streaming’ che con sessioni tematiche ‘on-demand’ registrate per consentire approfondimenti specifici da poter visionare e seguire a piacimento sino al 22 dicembre 2020. Nel Congresso SIGOT si è parlato di attualità, con anziani e Covid-19, ma vi sono state anche ampie riflessioni su ‘hot topics’ cari alla geriatria, quali la gestione della demenza, la prevenzione delle cadute, la nutrizione e il metabolismo, la cardio-geriatria e la patologia respiratoria.

“I dati ISTAT mostrano un aumento assoluto dell’invecchiamento della popolazione – ha evidenziato Filippo Fimognari, Past President SIGOT - Ogni anno abbiamo circa 150mila anziani in più rispetto all’anno precedente: dal 2009 al 2019, circa un milione e mezzo di anziani in più in Italia. Questo incremento è dovuto a un aumento progressivo dell’aspettativa di vita che scaturisce da una diminuzione della mortalità degli anziani. Questo fenomeno, che non sarà per sempre, è merito del SSN e dei progressi della medicina, che hanno permesso di salvare quei pazienti che solo fino a pochi decenni fa sarebbero deceduti molto prima, tenendo testa, fino ad ora, alla continua e legittima crescita di prestazioni di emergenza da parte degli anziani. Oggi ci troviamo di fronte a una nuova categoria di pazienti, gli “hospital-dependent patients”: questi soggetti soffrono di tante patologie croniche che tendono a riacutizzarsi. E nonostante un’ottima assistenza extra-ospedaliera, tornano appropriatamente in ospedale, perché solo in ospedale possono avere una chance di essere curati con successo. Invece, negli ultimi anni abbiamo assistito a un taglio lineare dei posti letto ospedalieri, nell’ illusione di un risparmio economico che comunque non c’è stato. La risposta della Geriatria e del SSN deve quindi essere quella di fare rete: da un lato, si deve implementare l’assistenza extra-ospedaliera, anche grazie al supporto delle più moderne tecnologie e della telemedicina; dall’altro, anche l’ospedale deve essere potenziato e qualificato, prevedendo un aumento dei posti letto di Geriatria e di altri reparti, perché una parte crescente di anziani avrà sempre bisogno del ricovero e non può aspettare giorni in Pronto Soccorso. I due diversi ambiti devono dunque crescere parallelamente e lavorare in modo integrato”.

KID LUCKY, IL CARTONE PER PICCOLI COWBOY E COWGIRL SU RAI GULP DAL 1° OTTOBRE

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Lucky Luke, il famoso cowboy dei fumetti nato dalla matita del fumettista belga Morris, arriva in tv in una nuovissima serie animata che per la prima volta racconta le sue avventure da bambino: “Kid Lucky”, prodotta da Dargaud Media e lo studio di animazione torinese Enanimation, in collaborazione con Rai Ragazzi, andrà in onda in prima tv su Rai Gulp da giovedì 1 ottobre, tutti i giorni alle ore 13,00.

La serie è ambientata negli anni ’70 del 1800, quando Kid Lucky ha solo una cosa in testa: crescere per diventare il più grande cowboy di tutto il Wild West.

Ogni nuova avventura porterà Kid Lucky sempre più vicino al suo sogno di diventare un vero cowboy. Insieme ai suoi amici Lisette, Dopey, Joannie Molson, Little Cactus, Kid cercherà di domare cavalli selvaggi (qualche volta con successo), seguirà le orme dei grizzly, dormirà all’aperto e sfiderà Billy Bad con la sua fionda. Kid ha una mira straordinaria. In più, come suggerisce il suo nome, è un ragazzo estremamente fortunato.

Ma la vita non è tutta giochi e divertimento, neanche nel Wild West. Infatti Kid Lucky ed i suoi amici devono chiedere sempre il permesso ai loro genitori e soddisfare le loro aspettative, come fanno tutti i ragazzi.

Tra le faccende domestiche, il lavaggio dei denti e la scuola non è facile essere un vero cowboy!

Il personaggio di Lucky Luke bambino è apparso per la prima volta nell’aprile 1995, in occasione del 50°del protagonista, in un album interamente dedicato all’infanzia del “cowboy che spara più veloce della sua ombra” dal titolo “Kid Lucky”, nella serie classica sotto il numero 33, disegnato da Morris.

Scritto e disegnato dal lionese Achdé, lo spin-off di fumetti “Les Aventures de Kid Lucky d’après Morris” è stato lanciato da Lucky Comics il 25 novembre 2011 ed è stato un successo immediato. Achdé, dopo la scomparsa di Morris nel 2001, ha proseguito la saga western sullo scanzonato pistolero insieme ad altri autori, fra i quali lo scrittore Daniel Pennac, nella linea diretta dell'universo di Morris e Goscinny. Il francese René Goscinny, divenuto poi il celebre autore con Albert Uderzo di Asterix, dal 1955 aveva infatti affiancato ai testi di Lucky Luke il fumettista belga. La serie si trasforma: il fumetto di Lucky Luke diviene una caricatura del genere western, e Lucky Luke sarà ancora un cowboy silenzioso, ma avrà un cavallo parlante, Jolly Jumper, e non farà mai ricorso alla violenza. Più tardi, nel 1988, dopo la morte di Goscinny avvenuta nel 1977, Morris toglierà via la sigaretta dalla bocca di Lucky Luke, rimpiazzata con un filo d’erba, guadagnando un riconoscimento ufficiale dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, e proseguendo il suo successo fino ai giorni nostri.

Curiosità, il personaggio di Lucky Luke è ispirato ad uno sceriffo di origine italiana, Luciano Locarno, vissuto tra il 1860 e il 1940. 

UN INCONTRO CON VAN GOGH

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Ove più ove meno il nome di Vincent van Goghè patrimonio di tutti, come pure  la sua vicenda esistenziale e perciò è motivo di attenzione da parte del lettore apprenderne più da vicino un aspetto poco conosciuto: tutto è stato scritto sulla sua esistenza, sulle opere: è da dubitare che un qualche aspetto sia sfuggito agli studiosi e ai ricercatori. Le circa mille lettere conservate scritte al fratello Théo principalmente e a parenti ed amici rappresentano la fonte primaria della conoscenza del suo pensiero e  della sua arte: lettere scritte indistintamente in francese, in inglese, naturalmente in olandese, a confermare una personalità  non comune. Come ben si immagina, tali note epistolari sono degli sprazzi di vita reale che investono la sua attività quotidiana, la sua arte,  i  problemi contingenti riferiti alla produzione artistica e anche alla permanente negativa congiuntura economica personale: enormemente stimolante e fecondo il suo pensiero, le esternazioni, le letture. L’eccezionalità del personaggio scaturisce sia dal messaggio artistico sia dal contenuto delle epistole,  una miniera inesauribile di concetti e di intuizioni e anche di confessioni. Eppure in questi ultimi anni gli studi e ricerche da parte degli studiosi si sono sensibilmente ridotti a seguito sicuramente di una situazione, pure essa eccezionale e fuori della tradizione: ad occuparsi criticamente dell’artista  ora è chiamato  unicamente il Museo Van Gogh di Amsterdam, fatto divenire il solo giudice della bontà di un’opera!  Il risultato è che nessun conoscitore e cultore dell’artista si sente stimolato ad esprimersi: è un caso unico, credo, nella storia dell’arte e ciò è imputabile alle case d’aste che, attente al solo aspetto commerciale, mettono in vendita unicamente le opere dichiarate autentiche dal Museo, buone o cattive! Ma qui arrestiamo tale considerazione in quanto ci allontanerebbe dal nostro tema che pertanto è strettamente collegato a tale situazione fuori del comune e che perciò abbiamo ricordato.

Dalle lettere si evidenzia un motivo che  occupa l’artista, un motivo tipico e personale, come la sua pittura pur se in realtà, come già espresso, sfuggito all’attenzione dello studioso: il tema della carrozza quale rappresentazione e personificazione della esistenza dell’uomo e il tema del cavallo che la tira. Già una esperienza da bambino lo accompagnerà per tutta la vita, quella  dello zio Vincent  a bordo della sua carrozza che entrava fragorosamente nel cortile della pieve di Zundert per far visita al fratello, padre dell’artista,  e ne scendeva con doni e leccornie per i nipoti. Saranno le letture e le esperienze della età matura che gli apriranno orizzonti più ampi su tale argomento. In particolare è un libro; ‘Tartarino di Tarascona’ di Alphonse Daudet. In decine di lettere al fratello, ai parenti, agli amici ne raccomanda la lettura, come pure ripetutamente, specie negli ultimi quattro anni di vita, un argomento delle lettere è il cavallo: questo nobile animale è l’uomo che, come il cavallo, è obbligato a tirarsi dietro una carrozza: “i poveri cavalli di carrozza di Parigi,  quali tu stesso e i poveri impressionisti  nostri amici..” o  “…quei nevrotici cavalli di carrozza che sono Delacroix e de Goncourt…”: la carrozza è la esistenza  che ognuno deve portarsi dietro: e quella dell’artista Van Gogh non è cosa piacevole e di conseguenza sofferenze ed umiliazioni per il cavallo a essa attaccato: meglio liberarsene e tornare alle origini,  “... a pascolare nei prati, liberi, spensierati…”. E naturalmente si innesta tutta una descrizione delle sue sensazioni e concezioni, nonché sofferenze e pene, che lo portano a soffermarsi continuamente sull’argomento e a definirsi un eterno viaggiatore in cerca di una destinazione felice per la sua carrozza. E una conseguenza  lo colpisce che pure ritorna nelle lettere e gli rammenta la sua esistenza: il lamento della carrozza: Tartarinosi trova in Algeria, a caccia, un giorno vede abbandonata sul ciglio di una strada una diligenza, vecchia e degradata sulla cui fiancata si legge ancora qualcosa che gli ricorda il suo paese d’origine, Tarascona e si avvicina: la diligenza lo riconosce e gli parla: “per anni ho fatto servizio tra Arles e Tarascona, ben curata e lucidata, quando partivo ero salutata da tutti e tirata da cavalli ben addestrati e ben curati percorrevo la distanza fino a Tarascona dove arrivavo festeggiata e salutata. Poi è arrivata la ferrovia e quindi non hanno saputo più che farne e mi hanno venduta qui nel Maghreb dove di me non hanno avuto alcuna cura, tirata da cavallucci  selvaggi e nervosi  che mi hanno fatto passare su ogni tipo di strada finché mi hanno ridotta in questo stato e qui abbandonata, a morire.”  E la carrozza rappresenta  la esistenza terribile dell’artista nel manicomio di St.Rémy, un anno di atroci sofferenze e solitudine, in compagnia di malati di mente. E adesso anche lui, povero cavallo, vuole liberarsi e si libera, della sua carrozza di sofferenza cioè del manicomio di St.Rémy  e tirarne un’altra, una nuova: e invero una nuova esistenza lo aspetta, a Auvers-sur-Oise!  Cioè la fine, poco più di due mesi dopo!  

                                                                                               Michele Santulli

 

Trilogia der sangue al Nuovo Teatro San Paolo 16-18 ottobre, regia Andrea Monti

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Lo spettacolo TRILOGIA DER SANGUE che andrà in scena al Nuovo Teatro San Paolo venerdì 16 ottobre alle 20:30, sabato 17 ottobre alle 20:30 e domenica 18 ottobre alle 18:00.

Lo spettro del padre muove Amleto verso la vendetta.

La perfidia di Iago muove Otello verso l’uxoricidio.

La sete di potere di Lady Macbeth muove il marito verso la strage.

NOTE DI REGIA

Ho affrontato Shakespeare con rispetto e timore, in passato. Oggi lo faccio con forza. La stessa di cui ha bisogno Amleto per uccidere lo zio, Otello per strangolare Desdemona e Macbeth per compiacere una lady a caccia di potenza. Ho ridotto nove ore di parole a poco più di una. Ho zappato nelle battute estraendo i frutti più sugosi, falciato monologhi per mantenerne la tensione, sterminato personaggi minori, spremuto meningi per liberare il sangue dalle viscere di immortali personaggi che continuano a immolarsi per farci essere migliori.

CAST

Regia Andrea Monti

Con Bruno Barbaro, Francesco Barone, Virginia Bigeschi, Fabio Cangiano, Ilaria Chiominto, Alessandra Farina, Andrea Filabozzi, Loredana Galasso, Simona Leone, Nicola Miliani, Davide Semplici

Aiuto Regia Matelda Sabatiello

Musiche Umberto Papadia

Coreografie Giorgia Valeri

Disegni Mariagrazia Iovine

Scene e Costumi Angela Di Donna, Mariagrazia Iovine


Sabato 17 Ottobre | 20:30

Domenica 18 Ottobre | 18:00

In sala è previsto il distanziamento, si consiglia la prenotazione.


Musica, Matilde Schiavon a Fattitaliani: Se sei vero, puoi cantare di qualsiasi cosa. L'intervista

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Disponibile in radio e in tutti i digital store "C'È TEMPO" (videoprimo singolo auto prodotto di MATILDE SCHIAVON, scritto nel pieno del lockdown.
Attraverso un'atmosfera intima ed introspettiva, descrive le sensazioni e le riflessioni che nei mesi di quarantena sono maturate dentro l'autrice : desiderio di mettere ordine, tra le sue cose e nella vita;  quel concetto di "normalità" che da sempre l’ha  affascinata e incuriosita ("normale" rispetto a cosa? Era davvero "normale" la vita che faceva prima?); la difficoltà di convivere, di condividere gli spazi in un modo così forzato e poco naturale; la mancanza delle persone che fino a poco prima riempivano e coloravano le sue giornate; il senso di distanza; la voglia di un abbraccio.  Matilde Schiavon ne parla così: «"C'è tempo è una canzone che mi ha permesso di prendere in mano molte cose rimaste in sospeso, guardarle con un occhio diverso e metterle in ordine - racconta Matilde -. È un brano che vuole lanciare un messaggio di speranza e invitare chi lo ascolta a fare un viaggio dentro di sé e tornare ad essere padrone della propria vita e del proprio tempo. Perché il tempo c'è. Basta ricordarsi di spenderlo bene ». Fattitaliani l'ha intervistata.
La composizione ti ha aiutata molto durante la fase di confinamento?
Forse si potrebbe rovesciare la domanda, e dire piuttosto che è stata proprio la fase di confinamento a stimolare la composizione, in particolare quella di questo pezzo.
È stato un periodo che ha risvegliato in me il bisogno di riordinare le cose della mia vita e, nel farlo, la musica è tornata al primo posto e ha dato il via per questo brano, che considero un po’ come un punto di partenza.
Pensi che la percezione dell'importanza del tempo sia cambiata in generale a causa dello spettro della pandemia?
Sicuramente il periodo particolare che abbiamo vissuto ci ha portati a riflettere sul modo in cui spendevamo il nostro tempo.
Io stessa mi sono resa conto che non facevo altro che spostarmi da un posto all’altro (per lavoro, studio, vita privata), a volte senza neanche mai fermarmi a chiedermi perché o semplicemente a rallentare e guardare le cose da un punto di vista più esterno.
Era una continua corsa, e la destinazione sembrava non arrivare mai.
Ho avuto modo di fermarmi (alternative non c’erano), farmi delle domande, rivalutare le mie priorità e le cose che mi fanno stare bene, e questo mi ha dato una convinzione più forte di prima.
Questo improvviso ostacolo allo scorrere ordinario del tempo credo abbia evidenziato che forse vale la pena considerare meglio come, a cosa e a chi dedichiamo il nostro tempo.

Che cosa fa di un'idea, di un'intuizione una canzone?
Non c’è una ricetta precisa, o almeno per me è così: mi ritrovo a pensare, a volte mentre guido, a volte mentre parlo con qualcuno, e nel pensare a quella particolare immagine, situazione o idea, iniziano a nascere delle frasi, con una melodia, che provvedo subito a fissare con una registrazione o una nota sul telefono.
È chiaro che per arrivare alla canzone “completa” ci dev’essere un’idea, una storia da raccontare, un sentimento che hai bisogno di esprimere.
Poi ogni canzone ha una sua storia, può nascere in qualche ora (come nel caso di “C’è tempo”) o in qualche mese o in qualche anno.
Credo che l’ingrediente più importante sia la verità di quello che si scrive/si interpreta. Se sei vero, puoi cantare di qualsiasi cosa e le parole vengono da sé.
Su quali riferimenti musicali ti sei formata?
Ho sempre ascoltato tanta musica, italiana e straniera, prevalentemente popolare, perché mi affascinava e mi affascina la sua semplicità e musicalità.
Sono cresciuta con i grandi classici della musica italiana (Mina, Cocciante, Battisti, Dalla, Venditti, Zero, Martini), ho amato con tutta me stessa gli artisti che sono emersi quando io ero piccolina e che tuttora ascolto con tanta stima (Pausini, Elisa, Ferro, ecc).
Adoro le voci di Whitney Houston, Celine Dion, Beyoncè, Lady Gaga, adoro le grandi donne che sono/sono state e quello che hanno lasciato alla musica.
Ho cantato e studiato tutti questi artisti e ogni pezzo mi ha lasciato qualcosa ed è stato una tappa fondamentale del mio percorso.
Oggigiorno come si fa a costruire una carriera artistica? A che principi bisogna attenersi?
Credo che sia fondamentale studiare e formarsi, al di là del talento naturale, per prepararsi sotto diversi punti di vista: prepararsi ad affrontare un live, tecnicamente, fisicamente e psicologicamente, a sostenere gli sguardi e le aspettative di un pubblico, a sopportare gli stress, i sacrifici e le pressioni che questo lavoro porta con sé inevitabilmente (essendo il musicista continuamente sottoposto al giudizio degli altri), e, purtroppo, a sostenere anche quell’incertezza che porta con sè vivere di musica.
Il principio cardine credo, di nuovo, che sia la verità: essere delle persone vere, raccontare la propria storia, senza voler a tutti i costi piacere agli altri o fingere di essere diversi.
Alle persone piace vedere una cosa vera, o almeno a me personalmente piace molto più che vedere una cosa costruita ad hoc soltanto per “vendere”, e quello che voglio per me è dare un’immagine di me che corrisponda a come sono realmente, pregi e difetti.
A "C'è tempo" seguirà altro?
“C’è tempo” è il mio inizio, pur essendo l’ultimo pezzo (ad oggi) che ho scritto, cronologicamente parlando. 
Sto già lavorando insieme a Matteo Maltecca (il mio arrangiatore) sul prossimo pezzo, che avrà un sapore completamente diverso ma che racconterà un altro lato di me, e di questo non posso che essere felice.
Il mio progetto è quello di rilasciare un EP nel 2021.
Chi si ferma, è perduto (salvo qualche pausa, se spesa per ritrovare il proprio focus).

Bellissima la copertina con quel girasole...
 
Il girasole è il mio fiore preferito, forse perché essendo un fiore di campo (quelli che abbiamo utilizzato per la foto erano appena stati raccolti da un’amica di Maila, la fotografa) mi trasmette un messaggio di semplicità e naturalezza, oltre a una grande gioia. Credo che mi rappresenti e rappresenti la mia tendenza a sorridere sempre alla vita e a guardare sempre al sole. Giovanni Zambito.

Bio:
Nata a Padova il 20 gennaio 1992, Matilde Schiavon inizia a studiare canto all’età di 16 anni con Vittoria De Leonardis, appassionandosi fin da subito alle grandi voci e ai grandi cantautori della musica leggera italiana (Mina, Mia Martini, Laura Pausini, Elisa, Lucio Dalla, Riccardo Cocciante) e della musica internazionale (Whitney Houston, Celine Dion, Michael Jackson). Amante della musica popolare in tutte le sue sfaccettature, si diploma in canto moderno all’età di 23 anni, per poi proseguire gli studi del canto e della sua didattica. Partecipa a numerosi seminari sulla voce (tra cui “La Voce Artistica” Ed. XI e XII) e si approccia al metodo EVT, di cui nel 2018 consegue la certificazione EFP col CMT Stefano Anelli. Dal 2020 studia con la vocal coach Eleonora Bruni.
Oltre al percorso di studi e all’attività di insegnante di canto moderno, dal 2013 fa parte dell’orchestra vocale WeRevolution, in cui ha avuto modo di esibirsi come corista e solista in importanti teatri e per la quale nel 2019 firma come coautrice il brano inedito “Waiting”. Tra i progetti di cui ha fatto parte: Riviera Life (swing band), StrawBabies (pop trio), Cure me (Elisa Tribute Band), Cardinali Group (come performer “Dama”). Dal 2019 è direttrice di “Amici miei – Singing Group Aps”.



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Jelena Bošnjak e Slađana Krstić, due grandi talenti della Moda, ora unite per una nuova collezione

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Sovente le conoscenze casuali  si trasformano in amicizie molto profonde che portano poi a importanti collaborazioni lavorative. Ed è questo decisamente il caso delle designer Jelena Bošnjak e Slađana Krstic.

Nonostante siano entrambe originarie della Dalmazia, ora le dividono molti km, visto che la seconda risiede da tempo per motivi lavorativi a Roma, mentre la prima è rimasta a vivere e a operare nella sua terra d'origine. 

<<Ci siamo conosciute quest'estate tramite un mio  caro amico amico,  che è il proprietario  di una nota agenzia di modelle a Spalato: io  cercavo una sartoria molto importante per la mia nuova collezione e lui mi ha dato il numero di Jelena. Devo confessare che  lei mi ha aiutato immediatamente e  che  ben presto siamo diventate amiche!>>, ha rivelato la Krstic. 


Se  Jelena ha vinto il titolo di miglior designer in Europa nel 2019 al concorso mondiale di design a Baku. Sladana  è  considerata da tempo- a buona ragione- come una designer molto particolare  in quanto crea in Italia le sue collezioni  solo con i suoi materiali dipinti.
Inoltre da  anni è vicepresidente dell'Associazione Italo-croata di Roma e rappresenta la Croazia in numerosi eventi di design europeo.
Dulcis in fundo è  anche la vincitrice del concorso "Culture trough fashion" a Malta.

Le due
sono completamente diverse  a livello creativo ma  sono simili  a livello caratteriale in quanto amano la spontaneità, l'unicità e soprattutto la Moda.  In particolare Jelena ama il monocromo, mentre Sladana è... “colorata”!

Si sono poi trovate- per così dire-  "a metà strada": in pratica hanno incorporato il materiale colorato dipinto di Sladana nelle creazioni di Jelena. Ed ecco così prendere vita  in un solo  mese la nuova collezione: la DeadLine. 

Una collezione che, dopo essere stata “immortalata” tra le mura del Palazzo di Diocleziano, sarà mostrata alla prestigiosa Fashion Week di Roma nel mese di gennaio 2021.


Credits:
Fashion designers: Sladana Krstic & Jelena Bosnjak
Brand: DEADLINE
Mua: JB LUX MAKE UP
Hairdresser: F.S. SHINE
Ph.: Aryan Mehrjouei

Entropia & Vera di Lecce presentano "Fragments": un mix elegante e accattivante per un pubblico eterogeneo

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Entropia & Vera di Lecce (ex cantante di Nidi D’arac), in Fragments fanno una impressionante carrellata in mondi e mood diversi dell’elettronica (ambient, techno, acid, etno), tenendo a mente le lezioni di Brian Eno e degli Orb (che rieccheggiano in diversi brani), con in più dalla loro la voce sognante e ipnotica, a tratti pop, di Vera. Un bellissimo tributo al mondo dell’elettronica. L'intervista.

Parlateci del nuovo album. Che impronta avete voluto dargli?

Entropia: È una collaborazione nella quale abbiamo realizzato a più mani con Vera di Lecce dei brani partendo da delle idee elettroniche con una forte ispirazione psichedelica. Volevamo creare delle atmosfere sospese e sognanti pur impiegando sequenze ritmiche sempre molto contenute che non deviassero troppo verso territori dance. Inoltre volevamo mettere in campo anche l’uso delle chitarre filtrate elettronicamente e dei guitar synth terreno che percorriamo da molti anni.

Vera di Lecce:  La produzione  ha  avuto un ritmo molto fluido  data  l'intesa artistica  nata  qualche  anno  fa. Le parti musicali di Entropia mi hanno subito ispirato e mi hanno fatto pensare  ad un possibile intreccio tra elettronica contemporanea e suggestioni antiche, per cui ho scelto alcune poesie di Saffo tradotte in inglese. Il risultato  è il nostro “Fragments”. Abbiamo alternato  gli assoli  di chitarra  synth di Alex Marenga ai miei  di voce  distorta, e lavorato su diverse timbriche  vocali, “frammentando “ e ricomponendo, esplorando  e osando, ricercando un mix elegante e accattivante, che potesse intrigare un pubblico  eterogeneo.

Quali sono i vostri cantanti di riferimento? 

Entropia: i nostri riferimenti sono innumerevoli e partono dal blues, dal jazz, dal rock anni 70 fino all’elettronica  sperimentale. Per fare dei nomi quasi casuali possiamo dire Brian Eno, Miles Davis, Kraftwerk, Neu!, King Crimson, Area, Bill Laswell,  Aphex Twin, Herbie Hancock, Pat Metheny, David Bowie e Autechre.

Vera di Lecce:  Mi associo  agli  ascolti  di Entropia  e aggiungo  Laurie  Anderson, Bjork,  Fever Ray, Billie Holiday  e Patti Smith  tra le voci femminili  che mi  hanno  ispirato.  Anche la musica tradizionale e le atmosfere dark sono parte della mia produzione attuale, che va a fondersi con la sperimentazione  elettronica.

Qual è l’esperienza lavorativa che più vi ha segnato fino ad ora?

Entropia: Ci sono stati vari momenti della nostra carriera partendo dagli anni ’90, che ci hanno condizionato molto. Forse la presentazione alla Knitting Factory a Hollywood del nostro disco americano “The Eclectic Ultimate Cinedelic Experience (Funky Cops & Hard Boiled Girls)” del 2005 che ci ha dato il polso delle nostre potenzialità sul mercato internazionale.

foto di Lau Chourmo

Vera di Lecce: Considero importante tutto il mio vissuto musicale e credo che ogni esperienza abbia la sua validità, tuttavia l'incontro artistico con Kaki King nel 2010 mi ha lasciato tanto. Ha creato delle atmosfere magnifiche per il mio spettacolo di performance in musica “Re-Chords”, al Circolo degli Artisti, davvero molto stimolante.

Invece quella mai fatta e che vi piacerebbe fare?
Entropia: probabilmente la serie di date sospese ad aprile causa Covid nelle gallerie d’arte degli Hamptons a New York all’interno di alcune performances “sinestetiche” con il progetto “SignOfSound” di Fabiana Yvonne Lugli.

Vera di Lecce: Sicuramente mi piacerebbe lavorare di più all'estero, sperimentare con  artisti di altre culture.

Progetti futuri?

 

Entropia: l’emergenza covid ci ha costretti a rivedere le modalità di proposizione dei nostri lavori specialmente ora che si avvicina la stagione al chiuso, credo che privilegeremo le piccole esibizioni o le possibilità del multimediale e dello streaming.

Vera di Lecce: Per il momento sto lavorando ad un nuovo album, e presto pubblicherò un singolo autoprodotto,  per quanto riguarda  le collaborazioni  (Entropia e Cesare  Basile) sicuramente  si opterà  per  concerti  a posti  limitati  o dirette streaming.

Seraphim, la trilogia urban fantasy di Benno Pamer. Primo volume: Il tradimento

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Nella trilogia urban fantasy Seraphim si entra in contatto con figure tanto eteree quanto terrene: quelle degli angeli e dei demoni, raccontate dall’autore Benno Pamer miscelando elementi religiosi, esoterici e di pura fantasia. Il risultato è la creazione di una mitologia che narra di ere di conflitti e di sangue versato, dove la ricompensa è il dominio della Terra e degli esseri umani. In questo primo volume della trilogia, Il tradimento, si fa la conoscenza del protagonista dell’opera, Noah Seraph, un giovane di ventun anni coinvolto in prima linea nella lotta tra il bene e il male. Egli fa parte dei serafini, pur avendo vissuto fino a quel momento come un comune mortale. Secondo la visione dell’autore, i serafini sono gli angeli di rango più elevato e i più potenti, dotati di sei ali; il loro nome si fa risalire all’ebraico “saraph”, che significa “ardere”. Per questo motivo sono anche chiamati “ardenti”, perché da essi si irradia una luce così chiara che i mortali ne sarebbero bruciati. Noah non sa di essere un serafino finché non gli viene consegnato un misterioso taccuino, eredità del padre morto vent’anni prima in circostanze altrettanto inspiegabili. Grazie all’aiuto dell’amore della sua vita, Mirjam, con la quale intrattiene una passionale e intensa relazione, riesce a trovare il serafino Gerd, che insieme alla donna istruisce Noah sul fondamentale compito che gli è stato assegnato, in quanto erede legittimo del serafino supremo Thomas: “Qualcosa si era destato nel suo intimo. Una parte che ancora non conosceva aveva cominciato a vibrare. Un acuto struggimento, provocato da una conoscenza che era più profonda e più genuina di tutto quello che fino a qual momento aveva visto in vita sua”. Man mano che si procede nella trama i poteri di Noah si manifestano, permettendogli di scoprire sempre più a fondo la propria identità; nel frattempo l’autore ci conduce in diversi luoghi del mondo come la Russia e la Siria, accompagnando Noah, Gerd e Mirjam in un viaggio di dolore e violenza, di coraggio e consapevolezza. Nella lotta tra gli angeli e i demoni il prescelto dovrà fronteggiare in primis Frank, principe dell’oscurità, traditore dei serafini ed essere spietato. Tra riferimenti biblici, simbologie arcane e avventure mozzafiato, l’autore presenta un romanzo che ricorda come la storia dell’umanità sia da sempre segnata dallo scontro tra il bene e il male, tra la luce e l’oscurità: “Ci troviamo alla guerra finale, vero? Il tempo del regolamento dei conti, come riportato nelle antiche scritture, sta arrivando”.

Titolo: Seraphim

1) Il tradimento; 2) I dannati; 3) Il retaggio

Autore: Benno Pamer

Genere: Urban Fantasy

Casa Editrice:Astro Edizioni

Pagine: 304; 336; 352

Prezzo: 14,90€; 15,90€; 15,90€;

Codici ISBN: 1) 978-88-331-70-244; 2) 978-88-3317-098-5; 3) 978-88-3317-100-5

Contatti

https://www.instagram.com/seraphim.trilogy/

http://www.astroedizioni.it/

https://www.youtube.com/watch?v=taH6i7Hxx_0&pp=QAA%3D

https://www.amazon.it/tradimento-Seraphim-Benno-Pamer/dp/8833170241/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&dchild=1&keywords=seraphim+il+tradimento&qid=1600950057&sr=8-1

https://www.lafeltrinelli.it/libri/benno-pamer/tradimento-seraphim/9788833170244

http://www.astroedizioni.it/catalogo-libri/thriller-e-gialli/seraphym-il-tradimento/

Comenio, un pensatore nei labirinti dell’Europa del XVII secolo: la mostra al Museo di Roma

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In occasione della ricorrenza del 350° anniversario della sua scomparsa, si apre per la prima volta in Italia, dal 2 ottobre al 15 novembre al Museo di Roma a Palazzo Braschi, una mostra dedicata a Giovanni Amos COMENIO (1592-1670), filosofo e pedagogista ceco. L’esposizione, dal titolo COMENIO - un pensatore nei labirinti dell’Europa del XVII secolo, esplora l´eredità del pensiero di Comenio, ancora oggi di straordinaria attualità, e ripercorre le ragioni per cui è considerato il precursore della pedagogia moderna e contemporanea.

La mostra, promossa dal Ministro della Cultura della Repubblica Ceca, S.E. L. Zaorálek e da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, è prodotta e organizzata dal Centro Ceco Roma, dall’Ambasciata della Repubblica Ceca, e dal Museo di Comenio di Uherský Brod (Rep. Ceca). A cura di Petr Zemek, comeniologo del Museo di Comenio di Uherský Brod. Servizi museali Zètema Progetto Cultura.

L’esposizione illustra la figura di Comenio nel suo contesto storico attraverso una selezione di circa 60 opere, tra cui scritti, stampe, opere editoriali, mappe e proiezioni audiovisive, contenenti le sue tesi più rilevanti sull’umanità e sul sapere. L’esperienza personale di persecuzione, esilio e guerra indusse Comenio a riflettere sulla futilità dell’azione umana, che lo portò a paragonare il mondo a un grande e caotico labirinto, in cui l’uomo cerca la luce. Comenio sosteneva che il miglioramento dell’umanità e la rinascita di una società fondata sulla pace, si potevano raggiungere attraverso la diffusione universale del sapere.

Nel campo educativo introdusse la pratica di un’educazione naturale con un percorso educativo graduale: nella sua visione “tutta la vita è scuola” e il bambino impara meglio divertendosi. I principi pedagogici di Comenio restano ancora molto attuali e nel contesto europeo può essere considerato il primo pedagogista della storia dell’educazione moderna.

Nell’ambito della mostra è prevista anche una conferenza sul recente dibattito – all’interno della più ampia rete di comunicazione degli studiosi europei – riguardante i progetti educativi di Comenio, la sua pansofia e i suoi piani universalistici per il miglioramento degli “affari umani”. La conferenza, che si terrà il 19 ottobre a Palazzo Braschi, è organizzata in collaborazione con l’Università Carolina di Praga e Sapienza Università di Roma.


Intervista a Viviana Fabiani, ideatrice di 667.mood

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di Laura Gorini
Al suo debutto nel mondo dello spettacolo grazie al Festival della Moda.
Il 667.mood è la t-shirt, l'indumento che ogni donna dovrebbe avere nel suo cassetto, pronto lì per ricordarci nei giorni più neri chi siamo e quanto valiamo.

Ha ideato un brand per dire “no” alla violenza sulle donne, la cretiva Viviana Fabiani. Il suo debutto? Al Festival della Moda. I suoi mentori? Sabina Prati e Stefano Raucci che lei non smetterà mai di ringraziare per aver creduto nel suo progetto.

Viviana, ci racconti l’emozione della tua partecipazione al Festival della Moda, quando per la prima volta hai presentato in pubblico la tua idea di brand?

Partecipare a un evento così importante, presieduto da due grandi professionisti come Sabina Prati, titolare dell'omonima agenzia di modelle, nonché fashion coaching,insegnante di portamento e organizzatrice di eventi, e come Stefano Raucci, conduttore radiofonico di Radio Radio e di Tv Sky, oltre che organizzatore di eventi, è stato molto emozionante. E ti dirò di più: è stato un vero onore parteciparvi anche perché io sono - in realtà - una persona poco avvezza alla mondanità! Ma, grazie alla loro esperienza e alla loro ingente professionalità, sono riuscita a vivere “il tutto” con la massima serenità e spontaneità.

Ci puoi parlarle del tuo brand?

667. mood,oltre ad essere una linea di abbigliamento, ci tengo a precisare, è molto legato alla tematica della donna come visione universale con maggiore sensibilità verso le donne meno fortunate vittime di ingiustizie e violenze. Proprio per questo motivo uno dei miei progetti futuri, oltre che desiderio personale, è quello di creare un evento proprio su questa tematica. Un'autentica piaga sociale.

Ma come è nata la tua realtà?

667.moodnasce dopo un mio periodo di riflessione e di distacco dal quotidiano, dovuto anche alla fase "storica" che abbiamo vissuto di recente e che – in realtà- viviamo anche oggi: la definisco in questo modo perché ritengo che sarà narrata come tale in futuro, come quella del Covid19. In pratica volevo creare qualcosa che rispecchiasse il mio pensiero e così ha preso vita il 667.mood.

Con quali parole descriveresti lo stile del tuo marchio?

Per prima cosa ci terrei a sottolineare che più che un marchio lo considererei quasi uno stile di vita, quindi un modo di affrontarla con i problemi presenti nella quotidianità. Rispecchia infatti la donna pronta a rimettersi in gioco senza aver paura del fallimento, perché è proprio da lì che esce la parte migliore di noi e del cosiddetto problem solving; quindi il fallimento- a mio avviso- può talora portare a una nuova opportunità. Il 667.moodè la t-shirt, l'indumento che ogni donna dovrebbe avere nel suo cassetto, pronto lì per ricordarci nei giorni più neri chi siamo e quanto valiamo. Questo è il messaggio del 667.mood!

Viviana, tu sei una donna molto impegnata e sei anche mamma. Come riesci a fare tutto? Hai qualche segreto a riguardo?

Sono una persona molto versatile ma ritengo che il più grande dono sia quello di essere genitore. Riesco a fare un po' tutto proprio grazie a questo mio aspetto caratteriale, oltre che grazie alla curiosità che manifesto in vari settori e nei confronti del mondo in generale. In particolare poi amo esplorare- ovviamente- nella moda ove cerco di esprimere al massimo i miei pensieri e i miei stati d'animo, oltre che mandare messaggi, senza però alcuna presunzione, questo sia chiaro! Tuttavia non ti nascondo che mi auguro, dal profondo del cuore, di riuscire anch'io nel mio piccolo, di scuotere gli animi, per così dire. In tale direzione mi viene in mente la mitica Coco Chanel; una vera e propria icona di Moda e guru di pensiero e di vita in toto!

Intervista a Monica Isabella Bonaventura, Maestra d'Arte in architettura e arredamento, pittrice

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«L’Arte contemporanea comunque sperimenta, vuole superare ogni limite sia nella pittura che nella scultura e andare oltre al passato e al tradizionale. Non si apprezza più per la bellezza esteriore, ma per il messaggio che suscita. Il bello serviva e serve a dare armonia, produce delle sensazioni.» (Monica Isabella Bonaventura) - di Andrea Giostra.

Ciao Monica, benvenuta e grazie per avere accettato il nostro invito. Ai nostri lettori che volessero conoscerti quale artista delle arti visive eMaestra d'Arte in architettura e arredamento, cosa racconteresti di te?

Sono nata in provincia di Venezia, ho sempre avuto la passione per l'Arte in modo particolare per il design, l'arredamento e la decorazione d'interni, sono una Maestra d'Arte in architettura e arredamento e subito dopo il diploma ho lavorato per alcuni studi di architettura, come disegnatrice realizzando e progettando arredamenti anche per conto proprio. Negli anni '80 entro a far parte di un centro culturale artistico, conoscendo alcuni artisti ed approfondisco la tecnica della serigrafia e litografia acquisendo esperienza. Poco dopo insegno educazione artistica in una scuola elementare e scuola materna, per poi essere inserita in un laboratorio per scenografie di teatro come pittrice e disegnatrice. Nel contempo creo e idealizzo alcune vetrine per negozi, dando un’immagine innovativa e curata, anche nel disegnare abiti per una sartoria. Studiando arte mi interesso alla pittura astratta e contemporanea, all'impressionismo astratto ed inizio a sperimentare la pittura d’azione “l’action painting”su grandi tele realizzando quadri su commissione e su misura, integrandoli ad ogni arredamento. Tra il 1998 e 2001 ho frequentato corsi di psicologia e sociologia infantile, ed uso la mia esperienza come Artista di pittura astratta su alcuni corsi per bambini come “pittura d'azione”. Organizzo corsi e insegno diverse tecniche d'arte in alcune scuole e privatamente (dal trasferimento d’immagine al decoupage, dallo stencil al decapè, dal collage, alla pittura al cesello …), ed è così che ha inizio la mia ricerca sul riciclo creativo, dando uno “sguardo” e senso, al riuso degli oggetti che si gettano quotidianamente e in poco tempo mi faccio conoscere come Artista del riciclo creativo e da questo nasce l’idea di concretizzare quest’Arte con Fare e Rifare esponendo le mie creazioni, dagli oggetti ai gioielli. Collaboro alla realizzazione di esposizioni d’Arte e mercati come Artista del proprio ingegno creativo, e da qualche anno ho iniziato a scrivere recensioni artistiche per artisti conosciuti e non, italiani e stranieri, per poi cooperare alla realizzazione di un libro come tecnica e supporter all’impaginazione. Sono stata intervistata su una emittente radiofonica locale e come Artista del riciclo, creativa e pittrice di Arte astratta e da poco intervistata da una nota Critica d’Arte dei salotti artistici di Roma. Sempre alla ricerca di innovazioni, d'imparare e di mettermi alla prova, ho partecipato e partecipo a diversi concorsi di letteratura, poesia, fotografie e pittura ottenendo premi a livello nazionali e internazionali facendomi notare da alcune gallerie di città italiane importanti e partecipo a progetti d'arte con altri artisti e giornalisti stranieri e le mie opere sono copertina di alcuni libri di poesie di un noto regista italiano. Ho esposto ed espongo su importanti gallerie d’Arte di città europee e italiane: Madrid, Lisbona, Parigi, Atene, Roma, Firenze, Milano, Matera, Padova, Venezia, Vicenza e su alcuni Comuni di Venezia e Padova, dove certi miei quadri e oggetti sono stati inseriti su aste. A seguito di un Concorso Internazionale di pittura contemporanea vengo selezionata da un importante Storico e Critico d’Arte ad esporre delle mie opere alla Mostra Internazionale: “Lo stato dell’Arte al tempo della 58’ Biennale di Venezia”, per poi essere ancora selezionata ad esporre su Gallerie importanti di Milano e Matera, Biennale di Atene, Biennale di Armenia e Biennale Ville Venete. In contemporanea con la Mostra del Cinema del 2019 vengo selezionata per rappresentare il cinema della metà del ‘900 e subito dopo selezionata dall’Associazione Vitaru di nazionalità Russa con un’opera contro la violenza sulle donne. Attualmente alcune mie opere sono state scelte per essere presentate da uno Storico Critico d’Arte su TV Sky. Sto ultimando un corso della lingua dei segni (LIS), faccio parte di diverse associazioni culturali, dalla musica alla pittura. Sto organizzando un evento di mia idea con il Comune di Venezia per portare arte in città e ancora, sto realizzando un avvenimento importante dove arte e cultura in generale saranno protagonisti, con rilevanti personalità politiche. Da poco mi sono candidata alle elezioni politiche come Consigliera alla Cultura della mia città.

 

… chi è invece Monica donna della quotidianità? Cosa ci racconti di te della tua vita al di là dell’arte e del lavoro?

Il mio quotidiano è molto vario, ma cerco sempre di organizzarmi al meglio per non accavallare le cose perché sono tante e di varia natura. Lavoro per una Amministrazione nell’ambito della cartografia e foto aeree, un lavoro che a me piace perché ho il contatto con le persone che non è soltanto professionale ma anche umano. Organizzo cene a tema e arredo la tavola a seconda del tema scelto. Mi piace svegliarmi presto per vedere lo sbocciare della giornata, bere un caffè nel silenzio dell’aurora e con calma prepararmi per la giornata. Andare in bicicletta è una delle cose che mi interessa di più fare, specialmente alla mattina dove l’aria è più fresca e in giro ci sono pochissime persone. Ascolto e mi capita di comporre musica.

 

Come è nata la tua passione per l’arte, per l’architettura e per le arti visive in particolare? Quale il tuo percorso professionale e artistico che hai seguito?

Ho frequentato la scuola d’Arte a Venezia e a Padova ed è stata una sfida per me, dato che i genitori quasi sempre cercano di indirizzare i propri figli ad un futuro lavorativo professionale e non artistico. Ma si sono resi conto, giacché da piccola ero molto creativa e amavo esprimermi con il dipingere, come ero solita a leggere libri che parlassero d’arte e l’arredamento, di non portarmi su altre strade perché non l’avrei fatto, il mio percorso era l’Arte. Finita la scuola sono stata chiamata subito a lavorare come disegnatrice in alcuni studi di architettura e poi acquisita esperienza, ho continuato da sola ma dipingere su grandi tele mi dava soddisfazione, imprimere nella tela il mio pensiero come fossi senza confini, un senso di libertà senza che nessuno ti imponga nulla, solo tu e la tua immaginazione.

 

Come definiresti il tuo linguaggio? C’è qualche artista al quale t’ispiri?

Il mio linguaggio sicuramente è l’astratto, interpreto ciò che vedo e lo trasformo, lo faccio mio come la mia mete e i miei occhi percepiscono e apprendono. Io seguo il tempo, il mio tempo. Io sono ieri e sono oggi, sono domani… il tempo! Sì il tempo, lo scorrete del tempo con il tempo, e per questo sono un’artista contemporanea. Non mi ispiro a nessuno, sebbene abbia studiato l’action painting, ma soltanto per un gusto di insegnare questa tecnica ai bambini, con la quale faccio corsi.

 

Chi sono stati i tuoi maestri d’arte che ami ricordare? Parlaci di loro.

Nel corso degli studi ho amato Caravaggio per la sua “nuda verità” e Pollock per la sua immediatezza nello “sporcare” la tela con forza e incapacità di comprendere quando dipingeva.

 

Da ragazzo ho letto uno scritto di Oscar Wilde nel quale diceva cos’era l’arte secondo lui. Disse che l’arte è tale solo quando avviene l’incontro tra l’“oggetto” e la “persona”. Se non c’è quell’incontro, non esiste nemmeno l’arte. Poi qualche anno fa, in una mostra a Palermo alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Riso, ho ascoltato un’intervista di repertorio al grande Gino de Dominicis che sulle arti visive disse questo: «Le arti visive, la pittura, la scultura, l’architettura, sono linguaggi immobili, muti e materiali. Quindi il rapporto degli altri linguaggi con questo è difficile perché sono linguaggi molto diversi tra loro … L’arte visiva è vivente … l’oggetto d’arte visiva. Per cui paradossalmente non avrebbe bisogno neanche di essere visto. Mentre gli altri linguaggi devono essere visti, o sentiti, o ascoltati per esistere.»(Gino de Dominicis, intervista a Canale 5 del 1994-95). Cosa ne pensi in proposito? L’arte esiste se esiste l’incontro tra l’oggetto e la persona, come dice Oscar Wilde, oppure l’arte esiste indipendentemente dalla persona e dal suo incontro con l’oggetto, come dice de Dominicis per le arti visive? Qual è la tua prospettiva sull’arte in generale?

Io penso che per far Arte, oltre ad essere conoscitore di tecniche applicate ci voglia inventiva, genialità e fantasia. Certo queste qualità le potremmo aver tutti, ma non tutti sono artisti. Con l’Arte concettuale si ha la provocazione, in molti casi non esiste più il bello dei colori, della materia, le sfumature, l’immagine ecc., il concetto ci interroga, sul “comportamento” dove, l’oggetto ha preso il posto dell’opera stessa, si deve capire il suo significato finale nel concepire l’opera, di come si è arrivati a fare questo o quello, l’oggetto quindi diventa arte. L’Arte contemporanea comunque sperimenta, vuole superare ogni limite sia nella pittura che nella scultura e andare oltre al passato e al tradizionale. Non si apprezza più per la bellezza esteriore, ma per il messaggio che suscita. Il bello serviva e serve a dare armonia, produce delle sensazioni. Penso che non sia facile diffondere l’Arte in una società basata soltanto su eventi del momento e di gran effetto… portare e fare Arte è comunicabilità, contatto, umanità, impegno, è contagiare l’amore, il bello, il gusto e comprendere un messaggio, una trasparenza d’animo, una sensazione, un dire, un fare, essere Arte nell’Arte, il tempo verso un tempo che corre incontro alla contemporaneità di una società che ha bisogno di sognare, di credere alla magia dei colori e lasciarsi andare alle sfumature di mille emozioni, per un contatto umano, vero, trasparente, fatto di uniche sensazioni che ogni Arte sa donare in primis.

 

«Poi c’è l’equivoco tra creazione e creatività. L’artista è un creatore. E non è un creativo. Ci sono persone creative, simpaticissime anche, ma non è la stessa cosa. Comunque, questa cosa qui dei creativi e degli artisti, nasce nella fine egli anni Sessanta dove iniziano i galleristi ad essere creativi, poi arrivano i critici creativi, poi arrivano i direttori dei musei creativi… E quindi è una escalation che poi crea questi equivoci delle Biennali di Venezia che vengono fatte come se fosse un’opera del direttore. Lui si sente artista e fa la sua mostra a tema, invitando gli artisti a illustrare con le loro opere il suo tema, la sua problematica. Questo mi sembra pazzesco.»(Intervista a Canale 5 del 1994-95). Tu cosa ne pensi in proposito? Secondo te qual è la differenza tra essere un “artista creatore”– come dice de Dominicis - e un “artigiano replicante” che crede di essere un “artista”?

Entrambi ci riconducono all’Arte in qualche modo. Spesso si sente parlare di creatività e di persone creative e c’è una cosa che distingue le persone creative dagli altri e dagli artisti ed è la capacità di vedere l’utilità, la validità, la funzionalità, là dove gli altri non le percepiscono normalmente, sanno unire i punti per collegare le cose. Una persona creativa pensa sempre di non aver creato nulla di speciale, che ha solo visto qualcosa che era ovvio e amano provare tutto ciò che è nuovo come esperienze e sensazioni, e questa è apertura mentale, perché essere aperti a nuove esperienze porta spesso ad ottenere risultati creativi. L’artista invece è come proiettasse la sua vita sulla tele, perché trasmette nelle sue opere il suo essere, il suo sentire, le sue angosce, i suoi stati d’animo, come se l’Arte fosse un veicolo che esprime il mondo interiore dell’artista il quale cerca di far vedere agli altri la sua condizione umana e personale. Tende a esporsi, a far vedere agli altri la sua profondità dell’essere, produce la propria opera perché è ispirato nell’animo, è una cosa sua interna, egli però usa la creatività per migliorare il suo lavoro.

 

Quali sono secondo te le qualità, i talenti, le abilità che deve possedere un artista per essere definito tale? Chi è “Artista” oggi secondo te?

Per essere un artista non basta aver studiato arte, la devi sentire proprio dentro e tra le mani, devi essere completo sapere fare qualsiasi cosa anche di artigianato, lavorare quindi il legno, la ceramica, il gesso, la creta, il vetro, il cemento ecc., deve essere anche poeta se si vuole attingere una piena e integrale capacità d’espressione. Oggi l’Artista non sempre è artista a 360°, maestri si diventa con applicazione dell’arte e studio. È come approfondire doti che uno ha già. Molti artisti passano anni prima di definire il loro stile unico, e trovare il proprio richiede tempo e pazienza, ma bisogna provare. L’Arte comunque in ogni sua manifestazione, è la più alta espressione umana di creatività e di fantasia, ed è l’unico momento perché permette all’uomo di esteriorizzare la propria interiorità che sia pittura, scultura, fotografia ecc. Penso che l’Arte debba entrare in ogni casa, in ogni luogo possibile, deve saper accedere nella mente e nell’anima delle persone perché produce nel vederla, uno stato d’animo armonico, uno splendore non solo per i colori ma per l’equilibrio che l’artista sa riprodurre in ogni sua opera. Un vero artista concepisce l’Arte come un proprio dono, sa essere generoso, è diretto, sa interpretare con un linguaggio chiaro a tutti la sua contemporaneità, è disponibile al confronto e ama la bellezza. Un artista crea forme di espressione estetica e morale, è capace di trasmettere emozioni e messaggi sebbene non esista un unico linguaggio artistico né un solo criterio di interpretare l’Arte. Amare il colore è come amare la vita, è ricco di sfumature.

 

Nel gigantesco frontale del Teatro Massimo di Palermo, la nostra città, c’è una grande scritta, voluta dall’allora potente Ministro di Grazia e Giustizia Camillo Finocchiaro Aprile del Regno di Vittorio Emanuele II di Savoia, che recita così: «L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire». Tu cosa ne pensi di questa frase? Davvero l’arte e la bellezza servono a qualcosa in questa nostra società contemporanea tecnologica e social? E se sì, a cosa serve oggi l’arte secondo te?

Io penso che l’Arte è l’evolversi di un paese, in questo caso di un popolo, essa racconta ed è la testimonianza di un periodo storico, ulteriormente un Teatro simboleggia sempre la cultura, una formazione intellettuale, uno sviluppo di progresso moderno e per Palermo a quel tempo è stato sicuramente una grandiosità a livello di architettura. L’Arte e la bellezza, intesa come un bene, una bontà, una potenza, una salvatrice, hanno sempre dato alla società sia contemporanea e non, un’importanza che risuona nell’anima, quella bellezza che suscita l’amore come totalità della persona, come illuminazione dell’essere quasi a diventare essenziale e profonda e contemplarne la bellezza perfetta; l’Arte essendo una sorta di magia della bellezza è da tutelare, entrambe incantano lo spettatore ed hanno bisogno di essere protette. La tecnologia fa parte di una società moderna, del progresso e a volte arte e tecnologia vengono abilmente condizionate e unite, ma una resta distacca all’altra. L’Arte ci rende meno soli, può ricordarci la normalità del dolore, coinvolgere le nostre emozioni più profonde, sostiene il lato migliore della natura umana mettendo in evidenza un mondo sempre più distratto e rumoroso. L’Arte si riempie dell’anima del vero Artista e l’Artista esiste per l’Arte.

 

Quando parliamo di bellezza, siamo così sicuri che quello che noi intendiamo per bellezza sia lo stesso, per esempio, per i Millennial, per gli adolescenti nati nel Ventunesimo secolo? E se questi canoni non sono uguali tra loro, quando parliamo di bellezza che salverà il mondo, a quale bellezza ci riferiamo?

Per le generazione del nuovo millennio la bellezza assume caratteri diversi, basata soprattutto sulla tecnologia, sul digitale social network. Ho visto rare volte in un Museo o Gallerie d’Arte ragazzi che contemplano delle opere d’arte, a parte gruppi studenteschi. Non è una questione di abituarli da piccoli ad osservare o modellare un’opera d’arte, loro vivono il loro tempo e il loro tempo è una frazione di secondo, loro non osservano, guardano e via! Sono ben pochi che vengono attratti dall’Arte, forse avvicinarli in maniera interattiva potrebbe essere interessante, ma ben presto passerebbero ad altro e tutto sfugge ai loro occhi. Generalmente i ragazzi trovano noioso studiare la storia dell’arte, interpretano la bellezza come qualcosa di comunicativo e di immediato come tutte le persone, del resto, ovviamente tutti davanti a qualcosa di bello restiamo meravigliati e abbagliati, ma ugualmente abbiamo bisogno della bellezza del buono, della gentilezza, della morale, dell’onesto. La bellezza comunque quale essa sia è in grado di parlare un linguaggio assoluto nel tempo e nello spazio, spetta ad ognuno di noi cogliere l’essenziale. Viviamo in una società impegnata nel creare persone tutte uguali, della quale uscire dai margini ti vedi, a volte, il dito puntato. Già nella Grecia antica si diceva “conosci te stesso” e farlo è una garanzia e una possibilità di vivere senza limiti e barriere, perché essere sé stessi è la cosa più nobile ed alta che un essere umano possa fare nella sua vita.

 

Esiste oggi secondo te una disciplina che educa alla bellezza? La cosiddetta estetica della cultura dell'antica Grecia e della filosofia speculativa di fine Ottocento inizi Novecento?

Si educa alla bellezza attraverso la bellezza! Ogni singola persona ha dentro di sé qualcosa di vero, originale di sorprendente sono risorse che spesso i giovani non si rendono conto di avere. Appropriarsi della realtà, guardarsi attorno per valutare, affrontare, gustare ed essere sé stessi. Nel fine’ 800, primi ‘900 l’Arte Nouveau si era diffusa, nei paesi in cui era cresciuto un benessere industriale, un linguaggio artistico, sociale e culturale che in quell’epoca si chiamava la Belle Époque proprio perché segnava la bellezza, l’eleganza e la ricchezza della società del tempo. Oggi si educa al bello anche attraverso a semplici cose come osservare la perfezione della natura, la sua immensità e varietà di colori, lo sbocciare di un fiore nel cemento o guardare e ammirare il viso di chi amiamo, leggere e far proprie le parole di una poesia

 

Gli autori e i libri che secondo te andrebbero letti assolutamente quali sono? Consiglia ai nostri lettori almeno tre libri e tre autori da leggere nei prossimi mesi dicendoci il motivo della tua scelta.

Consiglio “il Critico e le modelle” scritto dal Critico d’Arte Giorgio Gregorio Grasso, nessuno parla delle modelle dei grandi pittori, questo romanzo dell’arte dà voce a queste misteriose donne conoscendole più da vicino come modelle. Il secondo libro “Il critico come Artista” di Oscar Wilde, un dialogo fra l’artista il critico d’Arte; Per ultimo “La ragazza in blu”di Susan Vreeland, un libro fatto di vari racconti che però si collegano fra loro, il protagonista è il quadro raffigurante la ragazza in blu, un’opera realizzata dal pittore americano J. Janson.

 

Ti andrebbe di consigliare ai nostri lettori tre film da vedere assolutamente? E perché secondo te proprio questi?

“Mona Lisa Smile”, parla di un’insegnante e delle studentesse di un college, istruite solo per potersi sposare ma non per essere sé stesse. Lei insegna attraverso l’arte ad esserlo. Il secondo è “Pollock”, la vita del più grande espressionista astratto. Il terzo “Big Eyes”, parla della fatica che fa una donna artista ad essere considerata alla pari dei colleghi maschi.

 

Ci parli dei tuoi imminenti impregni professionali, dei tuoi lavori e delle tue opere in corso di realizzazione? A cosa stai lavorando in questo momento? In cosa sei impegnata?

Sto organizzando un evento dove si possono vedere le mie opere ascoltando un compositore pianista che nell’occasione suonerà per me dei suoi inediti, alcune mie opere sono state create nel periodo di lockdown dove la creatività di ogni artista, secondo me, ha dato quel qualcosa in più della disperata voglia di libertà. In questo evento poi dipingerò e coinvolgerò ad inserire brevi tratti di pittura alcuni invitati per poter lasciare un segno nella tela della loro presenza e l’opera sarà data in beneficenza. Si parlerà di sensorialità di cibo, di emozioni e di arte, il tutto verrà tradotto con un esperto di lingua della LIS e LIST perché voglio che tutti possano sentirsi parte integrante di questo evento e che possano comunicare liberamente. Come dico sempre l’Arte è di tutti e per tutti!

 

Una domanda difficile Monica: perché i nostri lettori dovrebbero comprare le tue opere? Prova a incuriosirli perché vadano nei portali online o vengano a trovarti nel tuo atelierper comprarne alcune.

Si pensa che la pittura astratta sia molto semplice da realizzare, in realtà non è così, perché io non ho un modello da copiare ma devo creare con il mio pensiero attraverso la mia percezione della realtà. Io interpreto ciò che vedo e sento e davanti alla tela tutto si trasforma, trovo me stessa e immergo la passione. L’idea e l’anima vengono segnati dai miei momenti di uno stato emotivo e sensoriale del vivere quotidianamente, ogni giorno può essere diverso, è diverso perché è già dopo il prima e il prima è già stato vissuto, quindi genero un’opera unica del mio profondo e irripetibile. Io seguo il tempo, il mio tempo, io sono ieri e sono l’oggi, il tempo dunque. Guardando le mie opere contemporanee non si trova l’esaltazione esasperata di qualcosa che spreme l’intelletto, ma neppure quel classicismo post-moderno degli anni ’60. Mi esprimo con la mia Arte ed è come donare una parte di me, profonda, umana, fatta di tenerezza, di dolcezza, di amore, di grinta, di sensualità senza margini e confini. Io sono questa e le mie opere mi accompagnano in un modo libero di dire agli altri chi sono, come un grido di liberazione. Le mie tele arredano ogni ambiente e si integrano a magnificamente con ogni stile e danno spazio alla comunicabilità perché come ogni opera d’arte diventano motivo di confronto.

 

C’è qualcuno che vuoi ringraziare che ti ha aiutato a realizzare questo tuo progetto di vita artistica e professionale? Se sì, chi sono queste persone e perché le ringrazi pubblicamente?

Ho partecipato a dei concorsi internazionali d’Arte e da lì è partito tutto…. Ringrazio me stessa per l’impegno e l’ostinatezza di non mollare!

 

Dove potranno seguirti i nostri lettori?

Mi potranno seguire sulla mia pagina Facebook e su Instagram. Ho un mio sito dove potete vedere anche le mie creazioni con il riciclo di materiali.

Facebook: Monica Bonaventura

Instagram: monica_bonaventura

www.monica-bonaventura.com

 

Per concludere, cosa vuoi dire alle persone che leggeranno questa chiacchierata?

L’Arte mi ha dato le ali e ho sempre cercato di volare più in alto che potevo per sentirmi libera di esprimermi. Nella tela ci sono io, il mio essere, la mia persona, la mia anima… L’Arte per me ha un solo linguaggio, diretto, unico, essenziale, è comunicazione del gusto, del bello, della contemplazione, dell’ammirare e del fascino e dev’essere alla portata di tutti e tutti dovremmo lasciarsi andare ed esprimerci con la pittura, la musica, la danza, poesia…. L’Arte è necessaria per una vita migliore! 

Monica Bonaventura

https://www.monica-bonaventura.com/

https://www.facebook.com/monica.bonaventura/

https://www.instagram.com/monica_bonaventura/

Andrea Giostra

https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/ 

https://andreagiostrafilm.blogspot.it 

https://www.youtube.com/channel/UCJvCBdZmn_o9bWQA1IuD0Pg



Jaqueline, “Jealous Guy” nuovo singolo della cantautrice e musicista siciliana

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È online il video di “JEALOUS GUY” (Ore25 / Marte Label, distribuito da Artist First), il nuovo singolo della cantautrice e musicista JAQUELINE disponibile in rotazione radiofonica, sulle piattaforme streaming e in digital download.

Il video, diretto da Daniele Comelli e Davide Fraraccio, è disponibile al seguente link: https://youtu.be/EBFLcbrO1a8

 

JEALOUS GUY” è un brano dalle influenze funk e caratterizzato da un magnetico riff di chitarra che racconta la fine di una storia d’amore tormentata, sfuggente ed eccessiva tra una donna sicura di sé e un uomo, appunto, geloso. 

 

«“Jealous Guy” vuole essere in parte una testimonianza del mio percorso (d'amore), ma anche, a mo' di provocazione, una "predica" esorcizzante per chiunque abbia superficialità rispetto al principe dei sentimenti – afferma Jaqueline – L’amore è un viaggio alla scoperta di noi stessi, dell'Altro, senza cadere nella percezione di dover spendere un tempo che sarà per forza sprecato. Comunque vada la storia, sarà sempre stato un itinerario dentro noi stessi, dentro la nostra intimità, alla scoperta delle moltitudini che ci abitano e dei paradossi che ci governano».

 


Jaqueline 
(nome d’arte di Jaqueline Branciforte) è una cantautrice e musicista siciliana che scopre la musica grazie alla ricca collezione di dischi del padre, ascoltando sin da piccola le più grandi leggende della musica internazionale come Michael Jackson, Madonna, Prince, Stevie Wonder, Aretha Franklin e tanti altri. Esordisce alla finale di Festival Show 2011, dove si esibisce dal vivo sul prestigioso palco dell’Arena di Verona. Conseguita la maturità, si trasferisce a Roma ed entra nell’accademia di musica “Saint Louis College of Music”. Nel 2018 il brano “Andare Via” fa parte della colonna sonora del film candidato ai David di Donatello e ai Nastri D’Argento “Un giorno all’improvviso” e l’anno seguente fa parte degli otto finalisti di Area Sanremo 2019 con il brano inedito “Game Over”. Al momento sta lavorando all’album di esordio, in uscita quest’anno.

 

 

MONO ROAD: LOST IN SHAKESPEARE a Villa Borghese. Corto Circuito Teatrale itinerante con Daniele Coscarella e la compagnia Monolocale

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MONO ROAD: 4, 8 e 11 Ottobre Villa Borghese. Orari: 1° Turno ore 19.30, secondo turno ore 20.45 - Festivi 17.45 e 19.00

con Daniele Coscarella, Dario Tacconelli, Emanuela Panatta, Shara Guandalini, Giorgia Ciotola, Alessandra Merico, Alessandro Tato Cecchini e Filippo Macchiusi, David Marzi, Matteo Cirillo, Micol Pavoncello, Cristina Chinaglia, Emanuela Bisanti, Andrea Zanacchi, Sara Baccarini. Fabrizio Mazzeo, Lara Balbo, Massimo Ceccovecchi.

testi degli attori di Monolocale

regia Daniele Coscarella

 

Dopo il grande successo di luglio e settembre, per soddisfare le numerose richieste, proseguono gli appuntamenti MONO ROAD. Il periodo storico, il rispetto dell’ambiente e il protocollo sanitario, conseguenza del Covid19, hanno spinto Daniele Coscarella e il gruppo lavoro di Monolocale produzioni formato da Emanuela Panatta, Dario Tacconelli, Pascal La Delfa e Paolo Di Pirro ad esplorare nuovi scenari, nuove forme di aggregazione e d’intrattenimento per il pubblico.

MONO ROAD - Corto CircuitoTeatrale, coinvolge sei aree tematiche: mobilità, ambiente, cultura, turismo, teatro, divertimento. Un percorso itinerante eco sostenibile a tappe per muoversi in piena libertà con monopattini elettrici e vivere Roma da un punto di vista nuovo e diverso in compagnia delle performances teatrali degli attori di Monolocale. Il coinvolgimento è assicurato! L’appuntamento è al MONO ROAD, dove ci sarà la presentazione dell’itinerario, per poi dare il via alla partenza del tour. Il gruppo sarà formato da un massimo di 10 spettatori e ogni monopattino avrà il nome di un artista che ha reso grande Roma: Gian Lorenzo Bernini, Michelangelo Buonarroti, Aldo Fabrizi, Nino Manfredi, Alberto Sordi, Renato Ruscel, Virna Lisi, Anna Magnani… Durante il percorso a tappe, oltre al divertimento nel guidare il monopattino, i Ryders saranno coinvolti dall’ambiente circostante e non mancheranno alcune sorprese: gli spettacoli itineranti dell’ 4, 8 e 11 ottobre sin intitoleranno Lost in Shakespeare. A Villa Borghese è facile perdersi tra misteri e leggende. Avvolti dalla rigogliosa natura: fontane, musei, tempietti e giardini d’ogni epoca. Ad ogni angolo è facile scovare una storia di vita e guerra che sa mutare tra il giorno e tramonto, la luna e la notte. Questa che vogliamo raccontare è una storia finale. 

Lost in Shakespeare è un’istallazione teatrale tra tradizione e fantasia: stanchi della solita routine e del solito finale di stagione, i personaggi shakesperiani, sono inaspettatamente scappati dal Globe! Dimenticati dal regista, stremati dalla competizione, si perdono tra i viali di Villa Borghese… Talmente forte il desiderio di cambiar vita e drammaturgia che tentano di organizzare una fuga. Ci riusciranno?

Partenza dal Belvedere della Casina Valadier, dove il pubblico partirà, per scoprire e conoscere questo nuovo Corto Circuito Teatrale - MonoRoad

I giorni di programmazione sono 4, 8 e 11 Ottobre Villa Borghese, 15 e 16 Testaccio. Orari: 1° Turno ore 19.30, secondo turno ore 20.45 - Festivi 17.45 e 19.00. La durata del circuito sarà di 40 minuti al prezzo di 13 euro. Prenotazioni a monolocaleaccento@gmail.com.    

Performance teatrali itineranti e in movimento, volte a scoprire una nuova Roma con nuovi occhi e nuove emozioni grazie agli itinerari tra Rioni, vicoli, fino alle piazze più suggestive ... Storie di attori, poeti e musicanti.

 

 

INFO

https://www.monolocalespettacolo.com/

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Promo sul canale YouTube Monolocale Tv Staff

https://www.youtube.com/watch?v=MTTSf7zVeeM&t=4s

Piranesi a Milano, una straordinaria raccolta di 97 opere in mostra fino al 14 novembre alla Biblioteca Braidense

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Il 2020 è il trecentesimo anniversario dalla nascita di Giovan Battista Piranesi (Venezia 4 ottobre 1720 - Roma, 9 novembre 1778), il più grande incisore della storia dell’arte italiana.
In questa occasione la Biblioteca Braidense dedica al grande artista che fu anche architetto, scavatore, restauratore di pezzi antichi e titolare di un’importante bottega d’arte a Roma e proseguì l’attività con i figli Francesco e Pietro, poi esuli a Parigi, una rassegna, “Piranesi a Milano”, che dal 1° ottobre al 14 novembre 2020 presenta al pubblico una straordinaria raccolta di 97 opere tra cataloghi, disegni, incisioni, libri, quadri, oltre a 66 fotografie di documentazione e due video che testimoniano il legame tra Piranesi e la città di Milano, dove l’artista non è mai stato. A cura di Pierluigi Panza e Aldo Coletto, sostenuta da Intesa Sanpaolo con gli Amici di Brera, l’esposizione della Biblioteca Braidense si avvale di materiale proveniente dalla Biblioteca dell’Accademia di Brera, dalla Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli, dal Civico Gabinetto dei disegni, dall’Archivio di Stato di Milano, dal Museo teatrale alla Scala, dalle collezioni del Teatro alla Scala e della ditta di attrezzeria Rancati, dalla Biblioteca della Scuola Militare Teulié nonché da raccolte private legate a Milano. la mostra. L’esposizione testimonia l’attenzione che Milano riservò alle incisioni dei Piranesi (come la serie delle “Carceri” e dei “Vasi” dalla Bertarelli in parte già di proprietà dei Trivulzio), documentandone gli inediti processi di acquisizione e la loro fortuna nella stagione neoclassica di Brera.  

Il ponte levatoio

In particolare, tra i cataloghi conservati alla Biblioteca Braidense si segnala l’unica copia al mondo delle “Antichità PIRANESI A MILANO Omaggio nel terzo centenario dalla nascita 1 ottobre – 14 novembre 2020 Biblioteca Braidense (Sala Maria Teresa) 3 PIRANESI A MILANO 1 ottobre – 14 novembre 2020 Biblioteca Nazionale Braidense www.pinacotecabrera.org www.braidense.it | www.bibliotecabraidense.org Romane”, già di proprietà del plenipotenziario Carlo Firmian, alla quale è anteposta la manoscritta “Allocuzione” agli accademici di San Luca. Dei cataloghi della Biblioteca dell’Accademia di Brera viene documentato il loro arrivo in periodo napoleonico per volontà del segretario perpetuo di Brera, Giuseppe Bossi, e il successivo uso che ne fecero gli allievi della scuola d’Ornato di Brera, testimoniato da alcuni schizzi conservati nel Civico gabinetto dei disegni.
In mostra, per la prima volta, alcuni volumi di una collezione completa delle opere di Piranesi del tutto sconosciuta, quella della Biblioteca della Scuola Militare Teulié: proviene dal proprietario della principale fonderia scozzese dell’Ottocento e presenta una incisione della Colonna Trajana lunga circa due metri. Dal Museo teatrale alla Scala alcuni bozzetti che dimostrano l’influenza piranesiana sugli scenografi milanesi e dalla Scala anche due vestiti settecenteschi usati per il “Don Giovanni” (montati su manichini offerti dagli Amici della Sala) simili a quelli indossati dai molti personaggi incisi da Piranesi nelle “Vedute di Roma”. I documenti dell’Archivio di Stato consentono sia di ricostruire le provenienze dei cataloghi Piranesi a Brera che di presentare una iniziativa del tutto sconosciuta: nel 1808 Francesco Piranesi, figlio di Giovan Battista, voleva trasferire la calcografia (con tutti i rami) e l’industria di manifatture avviate in Francia a Milano. Ma l’iniziativa non andò in porto.
Completano l’esposizione un disegno inedito, con ritratto di Piranesi, attribuibile al pittore Giorgio Teulié e alcune opere della serie “Icons. Unplegged” dell’artista mianese di fama internazionale Luca Pignatelli, che rielabora stampe di Giovan Battista Piranesi, nonché esperienze cinematografiche e universitarie in corso su Piranesi. il catalogo. A cura di Pierluigi Panza (Scalpendi editore) il catalogo raccoglie saggi di alcuni tra i maggiori studiosi di Piranesi e delle collezioni esposte (tra i quali John Wilton-Ely, Carlo Bertelli, Silvia Gavuzzo Stewart, Margherita Palli, Giovanna Mori, Alessia Alberti, Massimo Becattini, Pier Fedrico Caliari, Sergio Risaliti e Pierluigi Panza). il comitato scientifico. Il comitato scientifico della mostra è costituito da James Bradburne, Carlo Bertelli, Pier Federico Caliari (Politecnico di Torino), Maria Goffredo (Direttrice Biblioteca Nazionale Braidense), Pierluigi Panza (Politecnico di Milano), Claudio Salsi (Soprintendente del Castello Sforzesco), Stefano Basset (Generale, già Direttore del Museo Storico degli Alpini responsabile Biblioteche militari) 

L'arco trionfale

La mostra sarà aperta tutti i giorni, tranne la domenica, dalle 9.30 alle 13.30. 

Solo su prenotazione: https://booking.bibliotecabraidense.org

4 ottobre, giornata mondiale degli animali: alimentazione e cure mediche non sono un bene di lusso

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Il 4 ottobre si celebra la Giornata mondiale degli animali, festeggiata nel giorno dedicato a Francesco d'Assisi, santo patrono degli animali. Nata con l’obiettivo di salvaguardare e sensibilizzare sui diritti e il benessere degli animali, questa giornata è l’occasione per richiamare l’attenzione sulla necessità di ridurre l’IVA degli alimenti per cani e gatti e delle prestazioni veterinarie. Il 40% delle famiglie italiane vive con un cane e/o un gatto. Garantire una corretta profilassi e assistenza sanitaria per l’intera vita dell’animale da affezione con il supporto di un medico veterinario è un dovere imprescindibile. Buona salute e lunga vita dei pet, infatti, dipendono in buona misura dall’alimentazione e dalle cure mediche. Gli alimenti per gli animali d’affezione e le prestazioni veterinarie sono gravati da un’aliquota IVA al 22%, al pari di un bene di lusso. In Germania, in considerazione della quotidianità d’utilizzo e del ruolo degli animali d’affezione in società, l’aliquota IVA sugli alimenti per cani e gatti è al 7%. Le famiglie italiane quindi sopportano un’IVA pari a più di tre volte quella delle famiglie tedesche. Un carico fiscale importante che ricade direttamente sulle famiglie italiane, incompatibile con l’impoverimento post-emergenza. Per questo, le più importanti Associazioni del settore hanno chiesto al Governo e al Parlamento che, al primo provvedimento utile, gli alimenti per cani e gatti e le prestazioni veterinarie vengano permanentemente collocati in fascia IVA agevolata al 10%, la stessa dei medicinali veterinari. Una lettera aperta è stata inviata a Governo e Parlamento, firmata da Assalco (Associazione Nazionale tra le Imprese per l’Alimentazione e la Cura degli Animali da Compagnia) insieme alle maggiori Associazioni del settore che riuniscono Medici Veterinari e Imprese dell’alimentazione animale e dei farmaci veterinari (Anmvi, Fnovi, Simevep, Enpav, Aisa, Ascofarve e Assalzoo). È ormai appurato che la compagnia dei pet generi numerosi benefici fisici e psicologici per la famiglia di cui fanno parte. È dovere della famiglia rispettare le caratteristiche etologiche e fisiologiche del pet e assumersene la responsabilità, occupandosi del benessere, della salute, delle interazioni sociali con gli altri animali, le altre persone e con l’ambiente.

Leggi il Decalogo per il proprietario

Covid, morto a 81 anni lo stilista giapponese Kenzo. Attività di Italiano Lingua straniera

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Omaggiamo lo stilista giapponese Kenzo deceduto a causa del Coronavirus con un'attività di Italiano LS. L'articolo è preso da Repubblica.it di oggi.

Coronavirus, morto lo stilista Kenzo Takada. Aveva 81 anni

Lo stilista giapponese Kenzo Takada è morto all'età di 81 anni a causa del coronavirus. La notizia diffusa da un portavoce. Kenzo è stato il primo stilista giapponese a imporsi anche sulle passerelle di Parigi, dove ha poi sviluppato tutta la sua carriera. Si è spento all'ospedale americano di Neuilly-sur-Seine "a seguito del Covid-19", ha confermato il portavoce in un comunicato.

Nato nella prefettura giapponese di Hyogo nel 1939, quinto di sette figli, dopo aver frequentato la scuola di moda Bunka Gakuen di Tokyo, nel 1965 Kenzo si trasferisce a Parigi dove assiste alle sfilate di Cardin, Dior, Chanel e collabora, tra gli altri, con la casa di moda Feraud e con la rivista Jardin des modes. Nel 1970 apre la boutique Jungle Jap, il suo primo negozio nella Ville Lumière, e crea un suo brand, Kenzo, fondendo nelle sue creazioni originali forme e disegni mutuati dalla tradizione giapponese con lo stile europeo e con la cultura delle metropoli come New York.

Kenzo interpreta il 'flower power' con stampe jungle e richiami alla simbologia della natura, rivoluzionando il gusto anni '70 e '80. Alle collezioni per donna e uomo si aggiungono nel 1977 quella per bambini e, dal 1988, una linea di profumi.

Il marchio Kenzo dal 1980 è divenuto una società (presieduta da F. Baufumé) acquistata nel 1993 dalla LVMH Arnault, che è stato il direttore creativo fino al 1999, dal 2000 è stato sostituito dallo stilista scandinavo R. Krejberg.

Repubblica.it, 4 ottobre 2020, 241 parole, leggermente adattato.

Attività 1. Lessico: scegli fra le tre opzioni il significato più adatto al contesto.

1.    Portavoce (rigo 2 e 5) significa:

a.    megafono

b.    microfono

c.    persona che comunica ufficialmente

2.    ... il primo stilista giapponese a imporsi (rigo 2) significa:

a.    che è arrivato a Parigi

b.    che ha avuto successo a Parigi

c.    che ha lavorato a Parigi

3.    si è spento (rigo 3) significa:

a.    è diventato cieco

b.    è morto

c.    è sparito

4.    comunicato (rigo 5) significa:

a.    informazione inventata

b.    informazione ricevuta

c.    informazione ufficiale

5.    stampe (rigo 13)  significa:

a.    disegni

b.    francobolli

c.    pubblicazioni

 

Attività 2. Vero o Falso? Rispondi e giustifica tutte le risposte

1.    Un giornalista ha condiviso la notizia della morte di Kenzo             

2.    Kenzo ha lavorato per la maggior parte in Francia                            

3.    È morto in America                                                                            

4.    Kenzo proviene da una famiglia numerosa                                       

5.    Ha lavorato con Cardin, Dior, Chanel                                                

6.    I suoi modelli si ispirano solo alla cultura giapponese                       

7.    La natura ha influenzato il suo stile                                                    

8.    Ha portato molti cambiamenti nella moda                                          

9.    Ha iniziato creando vestiti per i piccoli                                             

10.Arnault è il direttore artistico della società Kenzo                                                             


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