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L'Aquila, la città delle acque

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di Giuseppe LalliL’Aquila, capoluogo dell’Abruzzo, è da sempre la città dove l’acqua è di casa. Forse non tutti sanno che il nome stesso, ‘Aquila’, a dispetto di una diffusa opinione che vuole che provenga dal maestoso rapace simbolo imperiale del presunto fondatore, Federico II, deriva da “aquola”, che altro non è che il diminutivo della parola ‘acqua’.

   Non a caso L’Aquila, un tempo ‘Aquila degli Abruzzi’ (l’articolo, fonte di sgrammaticature, è stato apposto con regio decreto nel 1939, e avrebbe più senso se riferito all’uccello), è la città della fontana delle novantanove cannelle: novantanove – secondo la leggenda - come le piazze, le fontane, i rioni che la compongono e i castelli che la fondarono.

   L’Aquila, come è noto, è una “città di fondazione”, nata per il concorso dei castelli disseminati su un vasto territorio; castelli i cui abitanti, nella stragrande maggioranza, pur continuando a vivere nei villaggi di provenienza (extra moenia), vollero lasciare all’interno delle mura cittadine (intramoenia) un quartiere che, con una piazza, una fontana e una chiesa, perpetuasse la memoria del borgo fondatore.

   La città, come è noto, risale al XIII secolo, allorché, volendo dare unità civica ai tanti castelli, i feudatari imperiali della zona, in lotta contro Federico II di Svevia(1194-1250) decisero di accogliere la proposta di papa GregorioIX (al secolo Ugolino dei Conti di Segni, pontefice dal1227 al 1241), di creare un nuovo insediamento «ad locum Acculae», vale a dire nei pressi dell’abitato di Acculae, un piccolo centro ai piedi del versante settentrionale dell’attuale Monteluco, luogo assai ricco di acque poco distante dal sito oggi occupato dalla menzionata Fontana delle Novantanove cannelle, monumento-simbolo del capoluogo abruzzese in tutte le guide turistiche e che in questi caldi giorni d’estate, nonostante l’emergenza sanitaria, anzi forse proprio a motivo della forzata clausura dei mesi passati, ha fatto registrare una grande affluenza di turisti.

  La nuova città sorse a partire dal 1254. Appena cinque anni dopo, Manfredi(1232-1266), figlio di Federico II e di Bianca Lancia(incerti i dati anagrafici) la distrusse, in quanto città di parte guelfa, cioè legata al papa. Giova ricordare che dal secolo XII era iniziata la nota contrapposizione tra il “partito” dei guelfi e quello dei ghibellini. I guelfi, sostenitori, al contrario dei ghibellini, della supremazia del papa nei confronti dell’imperatore, prendevano il nome da Welf, capostipite del casato dei duchi di Baviera, in lotta contro gli Svevi del casato di Hohenstaufen, (da cui era uscito Federico Barbarossa, nonno di Federico II), che dal nome di un loro castello in Franconia si denominavano signori di Waibling, anticamente Wibeling, (da qui il termine italianizzato di ‘ghibellini’).

   La città fu riedificata da Carlo d’Angiò (1226-1285) unendo i due feudi di Amiternum e di Forconium (Forcona). Da allora L’Aquila divenne sempre più grande e sempre più ricca, a motivo delle sue industrie della seta, dei merletti, della lana, del cuoio e dello zafferano.

   Questo notevole sviluppo economico fece da sfondo ai molti monumenti di prestigio che sorsero entro le mura cittadine o poco discosti da esse, quali le chiese di San Silvestro, del Duomo e di San Bernardino, il Castello cinquecentesco e, sopra tutti, la magnifica basilica di SantaMaria di Collemaggio. Quest’ultima, con la sua meravigliosa facciata ricca di tre portali e tre rosoni e tappezzata di pietre rosa e bianche secondo una sapiente geometria, con il suo interno luminoso e mistico, è da considerare il tempio più rappresentativo di tutta l’architettura abruzzese.

   Fu edificata anche per volontà di quel Pietro da Morrone (1209/10-1296) che vi sarà incoronato papa nel 1294 con il nome di Celestino V e che volendo legare in eterno il suo destino a quella che considerava la sua città, sapendola dilaniata dalle lotte intestine, le volle concedere quella Bolla della Perdonanza, che da allora conserva valore universale di pace e di perdono.


OLTRE TEVERE, dal 5 settembre fotografia d'autore e turismo lento lungo il fiume sovrano della città eterna

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Oltre 400 km di percorso a piedi, attraverso 4 regioni e 56 comuni d’Italia, per un mese di cammino alla scoperta di alcuni dei luoghi più suggestivi dell’intera penisola.  È Oltre Tevere, un itinerario artistico-culturale per scoprire, raccontare e mappare, attraverso una documentazione fotografica del cammino, luoghi inediti e ricchi di storia e natura attraversati dal fiume sovrano della città eterna. 

Oltre Tevere è ideato da Sarah Carlet e Arianna Catania di PhotoTales -organizzazione che opera nella promozione della cultura e della pratica fotografica- ed è promosso da Kristin Jones, artista artefice del noto murale Triumph & Laments di William Kentridge sulle sponde del fiume Tevere, con il patrocinio dell’Autorità di Bacino dell’Appennino Centrale, ENIT e Legambiente, insieme alla Riserva Naturale Tevere Farfa e i Comuni di Verghereto, Pieve di Santo Stefano, Sansepolcro, Marsciano, Civitella del Lago, Baschi e Alviano.

Protagonisti del cammino sono un gruppo di fotografi professionisti tra cui Pietro Vertamy e Ilaria Di Biagio, molto noti nel mondo del turismo “in cammino” con il collettivo da loro fondato sotto il nome di Around The Walk, laboratorio errante di progetti artistici e culturali che unisce le diverse forme d’arte – dalla fotografia all’illustrazione, dalla scrittura alla musica fino alle arti performative- con la creazione di itinerari ex novo da percorrere esclusivamente a piedi. Con loro, ciascuno per una determinata parte del percorso, ci saranno i fotografi Claudia Gori, Marco Zorzanello, Giuseppe Chiantera e Claudia Borgia. 

All’insegna della lentezza come valore, animati dallo spirito per la tutela ambientale e di indagine sul paesaggio, il gruppo sarà coadiuvato da Pietro Vertamy che guiderà chiunque vorrà unirsi al cammino -fotografi, artisti o viaggiatori-forte dell’esperienza di chi da anni percorre lunghe distanze a piedi, alla ricerca delle sensazioni di questo particolare e antichissimo modo di viaggiare sensibilizzando alla modalità di fruizione dolce e alle economie locali.

Sul versante delle scienze sociali protagonista sarà Marco Saverio Loperfido, documentarista e sociologo visuale, guida ambientale escursionistica (AIGAE), noto per avere sperimentato -per la prima volta in Italia- il cammino come dispositivo di recupero e reinserimento, accompagnando sei detenuti a fine pena, in un viaggio a piedi di 900 km da Roma a Santa Maria di Leuca. Un progetto che è diventato la docuserie TV, «Boez - Andiamo via», andata in onda lo scorso anno in prima serata su Rai 3. Loperfido, ideatore e curatore del progetto e sito ammappalitalia.it, partner di Oltre Tevere, guiderà il cammino lungo la tratta da Todi a Civitella del Lago del 17 settembre.

Dal Monte Fumaiolo -punto di partenza sabato 5 settembre- nell’estremo sud della Romagna vicino alla cui vetta a 1268 m s.l.m dove si trova la sorgente del "fiume sacro ai destini di Roma, fino agli argini dell’Idroscalo di Ostia,passando per Sansepolcro (AR), Città di Castello (PG), e Umbertide (PG), le bellezze paesaggistiche dei laghi di Montedoglio e Corbara, l’Oasi naturalistica di Alviano solo per citare alcune tappe, Oltre Tevere sarà un’esperienza di viaggio da vivere con ritmi nuovi, nel rispetto di ambiente e paesaggio e alla scoperta di tipicità gastronomiche e luoghi meno conosciuti, dove le risorse naturali e culturali possono essere scoperte e riscoperte dando vita a esperienze sempre nuove.

 Autori e artisti coinvolti restituiranno, ognuno dal proprio personale punto di vista, uno sguardo privilegiato sui luoghi più suggestivi incontrati nel viaggio attraverso una documentazione fotografica d’autore consultabile sul canale Instagram e successivamente sul sito di Oltre Tevere.

Sulla scia tracciata dal loro cammino sarà realizzata una mappatura georeferenziata, che verrà resa disponibile online sul sito oltretevere.it e ammappalitalia.it, partner del progetto, in modo da rendere fruibile il percorso.

Il progetto sarà presentato anche in occasione del Tevere Day domenica 4 ottobre, con un evento presso il barcone di Marevivo, a cui seguirà una passeggiata archeologica guidata dall’Associazione CCPAS e Around The Walk in alcuni siti in prossimità del fiume Tevere.

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SCARICA QUI IL COMUNICARO IN WORD

TAPPE e PERCORSO

Foto pre partenza (si raccomanda di usare sempre il credito delle foto presente nel nome file)

 

Un progetto di: PhotoTales

In collaborazione con: Eternal Tiber, Around The Walk, Ammappalitalia

Con il Patrocinio di: Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Centrale, ENIT, Legambiente, Riserva Naturale Tevere Farfa e i Comuni di Verghereto, Pieve di Santo Stefano, Sansepolcro, Marsciano, Civitella del Lago, Baschi, Alviano

Media Partner: Lonely Planet Magazine Italia

Con il sostegno di: Cà SolareLibera Università di AlcatrazCasette di GloriaMeridiana, Ecoturismo Tevere FarfaAssociazione culturale CCPASSpazio Corsaro

SponsorMarevivo, Radica

Foto copertina: ©Around The Walk - Roma Perpignan ATW_2014

Storie di spie in prima nazionale al Calvi Festival venerdì 28 agosto

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Una Prima Nazionale al Calvi Festival 2020.
Per la sezione dedicata al Teatro andrà in scena, venerdì 28 agosto alle ore 21.15 nel Giardino del Monastero, lo spettacolo dal titolo “Storie di Spie” da un’idea di Carlo Emilio Lerici. Testi di Alberto Bassetti e Germano Rubbi. Con Fabrizio Bordignon, Martina GattoPaolo Pinelli e Germano Rubbi che ne firma anche la regia. Aiuto regia di Gabriela Carmen Marin.

 “Storie di spie è uno spettacolo in cui tre personaggi, realmente esistiti, raccontano loro stessi svelando, in questo modo, quella parte della storia contemporanea che viene tenuta nascosta negli scaffali secretati. Valerie Plame, ex agente della CIA; Fritz Kolbe diplomatico divenuto spia contro i nazisti e, per finire, un non meglio precisato agente del SIFAR dalle mille identità diverse, svelano i retroscena delle loro doppie vite facendo emergere le dinamiche delle trame segrete che accompagnano la quotidianità delle ignare persone qualunque. A fare da raccordo fra i tre personaggi c’è “la voce esterna” che simboleggia il vero fil rouge dei protagonisti e li accomuna nelle loro vite fittizie”.  

Il Calvi Festival continuerà la programmazione fino al 5 settembre e si svolgerà nel rispetto delle vigenti regole di sicurezza anti-covid-19 perciò il numero di presenze fisiche sarà limitato e l’accesso sarà consentito soltanto previa prenotazione. Il biglietto d’ingresso allo spettacolo “Storie di Spie” è di Euro 3 (tre). Si può prenotare on line tramite vivaticket.com oppure telefonando o recandosi direttamente presso il Punto Informazioni Turistiche presso la sede in piazza Mazzini n°14 – Calvi dell’Umbria (Terni). Orario di apertura al pubblico: mattino 10/13; pomeriggio dalle ore 20, ovvero un’ora prima dello spettacolo). Numero telefonico del Punto Informazioni Turistiche: 3339615741.  Sito ufficiale: www.calvifestival.it

 ‘CALVI FESTIVAL 2020’ -  sezione Teatro / PRIMA NAZIONALE

“STORIE DI SPIE”

Da un’idea di Carlo Emilio Lerici.

Testi di Alberto Bassetti e Germano Rubbi.

Regia: Germano Rubbi.

Con: Fabrizio Bordignon, Martina GattoPaolo Pinelli e Germano Rubbi.

Calvi dell’Umbria (Terni) -  Giardino del Monastero (ingresso da piazzetta dei Martiri)

Venerdì 28 Agosto 2020 - ore 21,15.

Biglietto: Euro 3 (tre).

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA:

On line: vivaticket.com.

Telefonicamente o direttamente: Punto Informazioni Turistiche, Calvi dell’Umbria  (Terni) - piazza Mazzini°14 - Tel.: 3339615741. Orario: tutti i giorni ore 10/13. Il pomeriggio: dalle ore 20 (un’ora prima dello spettacolo in programma).

LA SCRITTRICE ANITA: DOBBIAMO FARE TESORO DEL NOSTRO PASSATO E DELLA FORZA CHE CI DÀ L’AMORE

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di Francesca GhezzaniAutrice del romanzo “Avrei voluto portarti sulla luna, ma ho trovato posto solo al lago” (Ed. Albatros), Anitaè una scrittrice che dietro a uno pseudonimo nasconde profondità e emozioni forti. La scrittura per lei è il veicolo d’elezione per tirare fuori i sentimenti che prova e superare paure e fragilità.
Anita, quali sono le fonti di ispirazione di cui ti servi quando scrivi? Parti da esperienze reali, autobiografiche o dalla tua immaginazione?

Tutto inizia quando ho bisogno di elaborare un sentimento o un malessere che crea in me emozioni con una grande carica emotiva, successivamente cerco di unire esperienze personali con eventi di pura immaginazione.

Cosa rappresenta per te il passato e come può essere utile per costruire il futuro?

Il passato è fondamentale per costruire e ricostruire ciò che siamo, serve a trovare la motivazione giusta per portare avanti i nostri progetti e le nostre ambizioni. Dobbiamo sempre ricordarci che cosa abbiamo affrontato per migliorare la nostra vita. Non avremmo alcun futuro se non potessimo confrontarci con il nostro passato.

Parli, nel tuo romanzo, di un amore eterno: credi davvero nel ‘per sempre’ anche in una società come quella attuale?

Diciamo che è molto difficile, non impossibile, ma difficile. L’amore non è mai come noi vorremo, è sempre in evoluzione, messo in discussione, l’amore affronta le nostre insicurezze e le nostre paure. Ho 31 anni e il concetto di amore cambia, si evolve, per cui mi viene difficile paragonarmi con qualcosa che non ha un principio né una fine, ma ho la fortuna di essere una sognatrice, quindi mi viene naturale crederci.

Se l’amore che racconti è pressoché da fiaba, la sofferenza sembra quasi spazzarlo via… o quanto meno lo mette a dura prova. I sentimenti vincono comunque anche su destino avverso?

Sì, sono certa che se abbiamo la fortuna di provare un amore autentico, profondo, viscerale, si possano affrontare situazioni molto difficili. L’amore in ogni sua forma può farci riscoprire una forza che spesso siamo inconsapevoli di avere.

La morte la vedi più come una fine o come liberazione? E i tuoi personaggi, Anita e Agostino, come la vivono nelle tue pagine?

La morte è un argomento di grande conflitto per me, penso che sia la fine di un percorso terreno, quando si muore ci spegniamo, smettiamo di far parte del mondo, sopravvivono alla morte il nostro ricordo, una nostra foto per non farci dimenticare, le parole delle persone che ci hanno voluto bene o, contrariamente, che ci hanno disprezzato, ma prima o poi smetteremo di esistere: di noi non resterà neanche il ricordo.

Mi conforta, tuttavia, il pensiero che in qualche modo la nostra energia possa continuare a vivere, a essere percepita, per proseguire un nuovo viaggio. 

Infine, nel tuo libro parli anche di una rinascita in un certo qual modo, intesa sia a livello personale che per i tuoi protagonisti?

Soprattutto a livello personale, avevo bisogno di farmi spazio, di esprimere un carico emotivo che avevo messo da parte per molto tempo, avevo voglia di liberare le mie fantasie, cercare di essere me stessa senza provare vergona.

Anita e Agostino sono rinati dal momento stesso in cui si sono incontrati, hanno portato reciprocamente nelle loro vite emozioni e parole che hanno cambiato la prospettiva che avevano su sé stessi, modificando di conseguenza il modo di pensare e l’idea che avevano sull’amore.

GIORNATA INTERNAZIONALE DEL CANE, PER 1 ITALIANO SU 4 È COME UN FIGLIO

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Il 26 agosto è la Giornata Internazionale del cane e tutto il mondo celebra l’amico a quattro zampe più amato dai pet lover. Secondo l’ultimo Rapporto Assalco Zoomark 2020, i cani presenti nelle famiglie italiane sono 7 milioni e un folto stuolo di sociologi e esperti del mondo animale sono pronti a sottoscriverne gli effetti positivi dai più piccoli agli over 65. Quali sono gli ambiti dove porta benessere? In primis nella famiglia. Come emerge dallo studio condotto da Swg per Ca' Zampa  -  il primo Gruppo in Italia di Centri per il benessere degli animali domestici presenti alle porte di Milano, Cremona, Udine e Mestre  - da cui emerge che il cane è un affetto molto importante tanto che per il 37% è considerato come un figlio; un dato che sale sensibilmente se si prende in considerazione la generazione Z (raggiunge il 51%) e gli abitanti del Nord Est Italia (41%). Secondo il 17% , ci si sente persino più compresi dai propri animali che da figli (12%), amici (10%) e genitori (9%) e per quasi 8 proprietari su 10 (75%) meritano solo il meglio soprattutto sotto il profilo alimentare (84%).

A confermare il profondo legame uomo-cane è anche Giovanna Salza, presidente Ca' Zampa che afferma: “Studi e ricerche dimostrano che la presenza del cane trasmette benessere generale. Un cane in casa aiuta a stemperare le tensioni e crea coesione anche perché unisce la famiglia nella sua cura. Questo è un aspetto che a Ca' Zampa sentiamo molto: è opportuno pensare al benessere a tutto tondo del nostro cane, il che significa pensare alla sua salute, ma anche alla sua bellezza, alla sua forma fisica e alla sua educazione. Di tutto questo ci occupiamo in Ca’ Zampa perché crediamo che se sta bene il nostro cane sta meglio tutta la famiglia".

 

Benefici che si registrano già sui bambini, come dimostra lo studio di Fondazione Affinity da cui emerge che il 54% dei bambini afferma che il loro animale preferito è proprio il cane. Il 92% ritiene che donino amore più di ogni altro e il 60% ritiene che l’amico a quattro zampe aiuti ad amare e rispettare di più le persone. Lo stesso dicasi anche per gli over 65, come dimostra una ricerca condotta da Senior Italia Federanziani: per 9 over 65 su 10 vivere con un animale domestico migliora la vita. Ha un impatto positivo su umore e salute: riduce la sensazione di solitudine ed aumenta quella di serenità e, secondo quanto rilevato da Il Centro Studi Senior Italia, i possessori di cani pare abbiano il 57% in più di probabilità in più di svolgere attività fisica rispetto a chi non ha animali domestici tanto che gli anziani che vivono con un cane sono più in forma e dimostrano 10 anni in meno.

 

Cosa cela in realtà lo specchio?

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Approfondimenti della puntata in onda sulle frequenze di Radio CRT di Flaviana Pier Elena Fusi con Edoardo Flaccomio.

Preludio di Flaviana Pier Elena Fusi

Lo specchio appare chiaro, non risponde al desiderio ignaro, non nasconde l’animo austero e non guarda chi è troppo altero.

Un sé importante e altisonante incide la sua via di egocentrismo e malattia.

Lo specchio non mente e lo fa egregiamente, non sa cambiare una realtà e non è banalità. Riflette giustamente e riporta integralmente, così se hai ingannato ti rimanda un concetto sbagliato. Nell’idolatria si perde la simbologia e del contenitore non si utilizza l’energia.

Lo specchio contiene buona volontà che è dell’anima peculiarità. Riluce, conduce e amore produce. Sa raccontare, tutto quello che vuoi sapere, basta stare a vedere, oltre il velo dell’accadere. Nel futuro e nel destino lo specchio ti è vicino.

A chi guarda dritto alla vita, la Conoscenza è servita.

Lo specchio è uno strumento magico. Andando a rivedere le mie esperienze di vita, devo necessariamente soffermarmi, o forse meglio dire riflettermi, in quello gigantesco della mia sala da aerobica; mi vedo lì, di fronte alla parete sulla quale risalta, con le allieve schierate alle mie spalle. Si ballava sulla sincronia di movimenti ritmati che infondevano fiducia, energia e allo stesso tempo forgiavano il corpo. Materia plasmata dalla “destra informazionale”: é noto a tutti che i movimenti coreografici non cominciano mai con mano e piede sinistro.

La destra di Dio produce simmetria nel momento in cui trasporta l’informazione che detiene dall’altro lato, ove la sinistra esecutrice la fa propria. Questo “spostamento laterale” dell’energia, completa il movimento di ogni singola persona producendo armonia sincronizzata. Grazie agli elementi del corpo di ballo, presenti nella sala, la diffusione del messaggio è simultanea e istantanea: una sorta di “entanglement quantistico”, reso possibile proprio dallo specchio. Se un elemento del gruppo perde di vista il dato ricevuto, il danno si ripercuote su tutti. La distrazione di un solo elemento provoca disfatta generale e ciò può accadere per una serie di motivi, tutti riconducibili a un’unica causa. Guardarsi, avendo l’esclusiva percezione del proprio corpo, non fornisce la visione corretta e quindi si compromette la totalità. Lo specchio è lì soltanto per facilitare l’esecuzione dei passi, per agevolare la sintonia con il gruppo unica e indispensabile caratteristica al fine dell’effetto magico generale. Soffermarsi sulla propria bellezza fisica, inficia la verità.

Come non pensare alla pandemia, alla provvidenza causale assimilabile a una sorta di specchio? Il covid sta fornendo le risposte necessarie all’evoluzione, atte alla creazione di un nuovo mondo fondato sull’armonia e sull’uguaglianza.

Ognuno faccia appello alla propria coscienza, di ‘lei’ non si può far senza.

Ciascuno deve agire con un sé inserito nel tutto e per raggiungere un efficace cambiamento tutti siamo chiamati ad agire.

Rifletto nel mio specchio, come sia contenitore di “anima insegnante”. È proprio la nostra che vediamo rispecchiata, pertanto se ciò che guardiamo non ci soddisfa, è su di noi che dobbiamo indagare.

La strega cattiva di Biancaneve, parla al suo specchio da ingannatrice, così che lo strumento stesso le rimanda la sua falsa essenza. Lo specchio diviene ingannatore.

Il motivo m’induce a pensare che nei camerini-prova dei negozi, sia impossibile ritrovare la propria dimensione. In questi specchi, come del resto accade per i luoghi, restano intrappolate le energie di tutte le persone lì passate. Il falso si mescola al vero e la risultante visione ne è inevitabilmente compromessa.

Lo specchio è l’immagine dell’anima.

La società è lo specchio dell’evoluzione dell’animo umano.

Indagine di Edoardo Flaccomio

PROLOGO

Già nel II secolo d.C., lo storico greco Pausania affermava di aver visto in un tempio uno specchio magico. Tale specchio anziché riflettere il volto della persona, rimandava quello degli dei dell’Olimpo.

Secondo una leggenda locale, a Stonehenge sarebbe seppellito uno specchio imprigionante un essere potentissimo vissuto 14 000 anni fa. Se fosse dissepolto e la sua superficie toccata dai raggi del sole, tale misterioso abitante del suo interno verrebbe fuori per scatenare le proprie ire.

Si racconta che gli specchi fabbricati secondo un’antica formula, consentano la sopravvivenza fisica, anche dopo la morte, dell’immagine di chi vi si è specchiato a lungo.

In un brano inquietante di Carlos Castaneda, uno specchio artigianale costruito da stregoni, immerso in un ruscelletto, attirerebbe esseri informi e permetterebbe la visione tridimensionale degli abissi, stelle comprese. Tale visione sarebbe così potente da succhiare in un attimo le forze vitali di chi assiste alla scena. 

Dall’ebraico:

Spe, è costituito da lettere il cui significato è: contenitore.

Le lettere restanti formano una parola il cui senso è: interno, nucleo, essenza, ma anche, forza, potenzialità.

Altre indagini sulla parola ‘chio’ dicono: rendere opaco, appannare.

Il messaggio inserito nella parola “Specchio” è: Contenitore di essenza che può appannarsi e opacizzarsi.

L’archetipo femminile è tradizionalmente collegato allo specchio e alla magia, così come sono interconnessi magia e specchio.

Quest’asserto si spiega dal punto di vista del Modello Assoluto, chiamato Rosc, in ebraico, Manah in sanscrito, Essenza della Mente nel Buddismo.

La Destra strutturale è il lato di Dio, di Adamo; la sinistra, di contro, è il lato di Eva, della manifestazione, della concretezza. Adamo è l’informazione, dona il dato, Eva costruisce la realtà utilizzando i ‘dati creatori’ ricevuti dal compagno.

Lo specchio è esterno rispetto alla persona che gli è di fronte, quindi “rende concreto” ciò che riceve; essendo manifestazione, è associabile alla femminilità.

Se colui o colei che si riflette possiede un difetto o un pregio, la spazializzazione, cioè l’attraversamento dello spazio (interposto tra il soggetto e lo specchio) dei raggi luminosi che rilevano la superficie del corpo della persona, ne amplifica i tratti. Questo vale anche per gli umori.

Le sensazioni, appartenenti al ‘Dentro’, grazie alla Legge dello Scambio Orizzontale, si spostano ‘Fuori’, sul viso della persona, di qui, tali impressioni, vero e proprio imprinting, si trasferiscono sull’astronave chiamata luce. Giunti sulla superficie di vetro dello specchio, lo attraversano, depositandosi sul fondo, sulla lastra argentea riflettente, dopo essere stati lievemente ingranditi e amplificati da una lievissima rifrazione. È proprio questa lievissima deviazione del raggio luminoso ad accentuare pregi e difetti quando ci guardiamo allo specchio. Fatto che non accade quando a osservarci, sono gli occhi di una persona esterna a noi, in questo caso, non essendoci il vetro di mezzo, l’immagine percepita è reale, non alterata, né accentuata.

Per ricongiungermi al prologo, in virtù del fatto che il Principio è collegato alla Fine, appare chiaro che il Cosmo è lo specchio che rimanda tridimensionalmente ciò che è nell’Oltrecosmo, Aldilà quandanche. La bellezza del Creato è l’accentuazione di quell’inspiegabile, meraviglioso esistere che già c’è di là, indipendentemente da noi.

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Ricetta erboristica di Anna Maria Esposito: responsabile della testata giornalistica di Radio CRT conduttrice del programma “Blaterando”. 

La menta

Il nome menta richiama la ninfa Myntha della mitologia greca. Sfortunatamente era così bella che Plutone, dio degli inferi e signore dei morti, se ne innamorò a tal punto da trascurare sua moglie, Proserpina. Fu proprio quest’ultima a tramutare la ninfa in pianta per vendicarsi dell’affronto. Plutone, non potendo riportarla in vita, come ultimo gesto d’amore, le donò il caratteristico e fresco profumo che tutti conosciamo. Sono note oltre 600 varietà di menta poiché la pianta tende a ibridarsi. È profumatissima, rinfrescante e facilita la digestione, ottimo rimedio contro la nausea e il vomito. Strofinata sui denti combatte l’alitosi. È utile in casi di cefalee ed emicranie.

Menta utilizzata in cosmetica: Sali da bagno lenitivi.

Rimedio naturale contro prurito, orticaria e dolori articolari.

Ingredienti:

140 gr. di sale del mar morto

15 gr. di amido di mais

5 gr. di oleolito di arnica

1 gr. di curcuma

85 gr. di olio essenziale di menta

80 gocce di olio essenziale di eucalipto

40 gocce di olio essenziale di timo

Procedimento

In una ciotola unire l’oleolito di arnica, gli olii essenziali e la polvere di curcuma. Amalgamare e mescolare al sale del mar morto aggiungendo per ultimo l’amido. Conservare i Sali da bagno in un barattolo munito di coperchio. 

Versare 4 cucchiai di sale nell’acqua della vasca da bagno immergendosi almeno 15 minuti per trarre migliori benefici dal trattamento. 

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Ricetta di Chefdomenico

Trofie “io e te”

Trofie alla menta per due persone

Ingredienti:

180gr. di trofie

1 melanzana del tipo dolce di colore rosa

3 foglie di menta

Mandorle tostate

Burro

Pecorino grattugiato

Sale q.b.

Preparazione

Cuocere le trofie nel modo classico, nel frattempo sbucciare la melanzana e tagliarla a dadini. Rosolarla in una padella dove abbiamo sciolto il burro, cuocere a fuoco vivo per alcuni minuti e se necessario aggiungere acqua di cottura della pasta. Scolare le trofie spadellarle col sugo di melanzane aggiungendo mandorle tostate sbriciolate, pecorino grattugiato e le foglie di menta. Il piatto è pronto

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Bollettino radiometeo di Flaviana Pier Elena Fusi

Specchio delle mie brame

Chi è la più bella del reame?

Così chiama la gente

Che intorno non vede niente.

Un sé ingombrante

Da tutto tiene distante

Un riflesso strano

Che attacca all’amo

Della fragilità

Dove prioritaria è la beltà.

 

Per non sbagliare

Lo specchio è utile attraversare

Guardare al di là

Per trovare altra sincerità

Quella dell’anima antica

Che in questa vita ti è amica

Se la scruti potrai trovare

La strada con lasciapassare.

Consultare la memoria

Traccerà di te nuova storia.

 

Consiglio radiometeo: lo specchio contiene potenzialità, guarda dritto e troverai tutto là.

LE VARIAZIONI DEL CONTINGENTE SCOLASTICO ALL'ESTERO PER IL 2020/21

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La Uil Scuola si unisce alle preoccupazioni del personale docente della scuola di Asmara per l’imminente sospensione delle attività didattiche ed ha avviato con l’incontro in data odierna la procedura di confronto con il Maeci, riservata esclusivamente ai sindacati firmatari del CCNL scuola, sulle proposte di variazione del contingente scolastico, per il successivo ricollocamento del personale perdente posto ad Asmara. Tenuto conto che delle 38 nuove unità proposte dal Maeci, soltanto 26 posti riguardano le scuole statali, abbiamo chiesto un congruo aumento dei posti di scuola primaria, media e secondo grado nelle altre istituzioni scolastiche statali per evitare la riduzione degli organici in tale essenziale tipologia del nostro intervento scolastico all’estero ed abbiamo ribadito con forza il totale impegno a garantire il successivo trasferimento d’ufficio di tutto il personale scolastico e della dirigente scolastica di Asmara. 

In particolare la Uil scuola Africa ha sollecitato il recupero dei tre posti di sostegno soppressi nella scuola di Asmara ( uno di scuola primaria, uno di scuola media, uno di scuola secondaria di secondo grado) per soddisfare le richieste pervenute dalle scuole statali di Addis Abeba, Atene, Madrid e Barcellona. 

Inoltre, a giudizio della Uil scuola Africa, le 14 cattedre vacanti (accantonate per una eventuale futura ripresa delle attività dell’IISO di Asmara) rappresentano un inutile congelamento di risorse, che potrebbero essere invece utilizzate in maniera più funzionale per affrontare con maggiore disponibilità di organici l’emergenza covid 19 con l’avvio delle lezioni per il prossimo A.S nelle nostre istituzioni scolastiche all’estero. 

Nella seconda parte della riunione la Uil scuola ha rappresentato le istanze pervenute in relazione alla fruizione delle ferie residue, la quarantena, i protocolli di sicurezza anti covid 19, , le criticità per il trasporto masserizie da Asmara, l’applicazione dell’art. 186 fino alla conclusione delle procedure di ricollocamento d’ufficio. I rappresentanti del Maeci si sono riservati di fornire le loro risposte nella prossima riunione che si svolgerà il 26 agosto p.v. Hanno partecipato all’incontro Angelo Luongo, Resp. Dipartimento estero e la Responsabile Uil Scuola Rua Africa Rossana Di Bianco.

L'incolore è la salvezza

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di Salvatore Maria Mattia Giraldi * - 
È facile scrivere di loro, ma difficile farsi leggere, forse perché non leggono, forse perché non sprecano il loro tempo in così futile modo o perché dall’alto del loro olimpo raramente si aprono al dialogo con chi per vederlo bisogna chinare la testa.
Non accettano la critica e se oltre un milione di persone scende in piazza, ebbene per l’occasione saranno pure sordi ed orbi. Dall’arroganza traspare che la resistenza e l’opposizione li innervosisce.

Eppure la Resistenza è il loro vanto! Forse non sono più rossi, o chissà, si saranno scoloriti con il tempo! Sono confusi, cantano Bella Ciao ed umiliando chi giace lassù in montagna sotto l’ombra di un bel fiore, definiscono Partigiani gli immigrati irregolari.

 

Hanno reciso le loro radici sconfessando ogni loro creatura, a Potere Operaio oggi preferiscono il Bilderberg, alle piazze le poltrone ed i privilegi, a Lotta Continua le banche.

Si colorano di una prezzolata solidarietà “portando in salvo” solo quell’essere umano reso fonte di guadagno.

 

Un quadro deprimente che colora i nostri tempi, ma la colpa non può ricadere sul mostro che l’urna crea e che vive in Parlamento, ma esclusivamente su quella mano mossa da una mente inintelligibile che per sua natura finisce per amare il proprio carnefice.

 

In ossequio dei mercati e dei banchieri è stata messa al bando la volontà popolare e chi dovrebbe garantire la Costituzione spesso cade nella trappola della procrastinazione. La coerenza politica, oggi si è estinta ed il potere è gestito da un “democratico” buco nero alimentato e tenuto in vita dal collasso gravitazionale delle stelle. 

 

Falsità e ambiguità, ormai assodate, da destra a sinistra non lasciano spazio alla giustizia, alla legalità ed ai diritti, la società è immunodepressa e la variopinta politica affetta da parlamentite acuta ne approfitta per violare ogni forma di democrazia.

 

Questo è il vero virus che sta distruggendo l’Italia, un virus che si alimenta di potere, di denaro, di privilegi e di paura. Paura di perdere quello che si possiede e paura di non ottenere quello che si desidera, paura dei deboli che temono la violenza dei forti, paura dei forti che temono la ribellione dei deboli.

 

Un potere che stravolge le menti che porta a non rinunciare ed a non riconoscere il proprio fallimento e la propria incapacità, che produce modelli e miscugli di surrogati politici ibridi ricchi di palesi discordanze, che adottano sistemi e linguaggi diversi, esempio ne siano le Stelle che dettavano tagli costituzionali a fronte di grandi risparmi, trascinando il paese nello spreco referendario, per poi ravvedersi un mese prima, fino a proporre il contrario.

 

Questa Italia, paese di santi, poeti e navigatori, ma soprattutto di saltimbanchi, malfattori faccendieri e ciarlatani, riesce sempre a stupire e con largo anticipo, a disprezzo della futura volontà referendaria, edita la Nuova Costituzione aggiornata alla legge costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari!

 

Storie di un “regime democratico” dove votare serve ben poco e dove chi vince non governa, storie d’imperio in un Vascello ricco, “a destra e a manca”, di privilegi e dispense in cui colori ed ideologie si trasformano in materiale di colliquazione.

 

Storie di un popolo raggirato che rischia di violare l’equilibrata rappresentanza democratica, diminuendo il numero di parlamentari, senza capire che l’unica cosa da tagliare realmente sono gli sprechi, gli stipendi ed i privilegi di chi si presta liberamente a servire la nazione.

 

Storie di un popolo autolesionista che consapevole della caduta dei valori e delle ideologie ostenta ancora confuse appartenenze e sbiaditi colori, un popolo che non si ama e che non ama, un popolo spettatore pagante in un teatro senza Dio.

 

Non più “resistere” ma ripartire dalla ricerca dell’incolore e ritrovarsi nei meriti, affermando le virtù…, è l’unica salvezza. “Le funzioni di Senatore e Deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione o indennità”(Art. 50 dello Statuto Albertino) 

 

*Vice Direttore del Corriere Nazionale - www.corrierenazionale.net


SET CINEMATOGRAFICO TRA ASCOLI PICENO ED ACQUAVIVA PICENA PER EMANUELA DEL ZOMPO, AUTRICE E REGISTA

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Michael Segal, tra gli interpreti scelti da Emanuela Del Zompo, per lo short movie che sarà ambientato ad Acquaviva Picena con il supporto dell'associazione Sponsalia, Palio del Duca di Nello Gaetani che fornirà i costumi di scena per gli attori. Il progetto avrà anche il Patrocinio del Comune di Acquaviva Picena per le riprese della Rocca e le figurazioni ed i piccoli ruoli saranno riservati esclusivamente a cittadini marchigiani.

Anche la troupe per lo più sarà formata da persone del luogo.
Il fantasy ispirato alla rievocazione storica di Sponsalia, sarà tratto dal fumetto di recente pubblicato dalla Del Zompo, che vestirà i panni della protagonista, Kaira. Il progetto partirà a metà settembre.
Mentre domani, la stessa autrice e regista, inizierà le riprese di un cortometraggio con Cinemadamare, ad Ascoli Piceno. La storia è incentrata su un personaggio femminile realmente esistito.


"La leggenda di Kaira", è il nuovo fumetto di Emanuela Del Zompo torna ad esplorare la condizione della donna nelle varie epoche storiche. Il fantasy, prodotto e diretto dall'autrice, è ambientato nel Medioevo, nel Rinascimento e nel presente. "La protagonista è una guerriera che compie un viaggio nel tempo per adempiere ad una profezia che cambierà il suo destino. Un amore ostacolato, forze oscure, allucinazioni e sogni confusi riflettono uno spirito che invoca il nome dell'Amazzone, mentre Templari e Santa Inquisizione incrociano la loro strada con il Paranormale, la risposta ad ogni domanda è celata in un vecchio monastero che custodisce un libro antico e un quadro che raffigura una donna dai capelli fluttuanti ed il suo Unicorno" spiega l'autrice, che nella prefazione  aggiunge "mi sono spesso chiesta cosa è cambiato nel corso della storia dell’umanità, circa la condizione della donna nella società. Sono giunta a conclusione che nonostante le lotte femministe, il diritto di voto, la donna nel lavoro o in politica, alcuni stereotipi sono sempre gli stessi e anche se è vero che lungo il corso dei secoli ci sono stati parecchi cambiamenti per il genere femminile, ancora oggi la donna riceve spesso un trattamento meno favorevole di quello riservato all’uomo. Kaira, la protagonista, con il suo viaggio attraverso il tempo vuole rappresentare le donne di ieri e di oggi, ma soprattutto cambiare il modo in cui la società le considerano e le trattano. Sembra Utopia, ma la guerriera che è in ognuna di noi è ormai esplosa, non accetta più compromessi, mezze verità ma soprattutto rivendica la sua indipendenza, libertà da qualsiasi tipo di costrizione sia fisica che mentale. E’ ora che il destino delle donne cambi, che si riconosca l’errore umano che l’ha costretta alla sottomissione, alla schiavitù, all’umiliazione e alla sua negazione di essere umano per essere sottoposto alla volontà altrui.
Emanuela Del Zompo ha già firmato "Grace di Monaco" e "Grunda", l'angelo dalle ali rotte, fumetto sul tema del femminicidio presentato alla 75° Mostra del Cinema di Venezia e alla 69° edizione di Berlino (in lingua tedesca).
"La leggenda di Kaira", in formato e-book e versione cartacea, è in esclusiva su Amazon.it (versione italiana) ed è prevista a breve anche la versione in inglese. Per i personaggi del fantasy, frutto della sua fantasia, e per la loro collocazione storica, l'autrice si è ispirata ai borghi medioevali delle Marche, sua terra d'origine. La voce narrante del trailer book è dell'attore Michael Segal .
 

A MOTHER FORTRESS il Premio al Miglior Documentario 2020 al Festival del Cinema di Spello

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Ha conquistato il Premio come Miglior Documentario 2020 al nono "Festival del Cinema Città di Spello ed i Borghi Umbri - Le Professioni del Cinema" il lungometraggio di Maria Luisa Forenza MOTHER FORTRESS, un’opera vissuta in prima linea raccontando in un monastero siriano la pericolosità quotidiana delle vite dei religiosi, e seguendo convogli umanitari di pronto soccorso che dall’antico villaggio cristiano di Qarah si sono spinti attraverso terreni minati dagli opposti fronti della guerra terroristica: Homs, Aleppo, sino a raggiungere Raqqa, Deir Ezzor e il fronte del fiume Eufrate. La motivazione con cui la giuria ha decretato il riconoscimento è stata la seguente: "Per aver saputo raccontare il coraggio di una fede che è riposta più nell’uomo che nel divino, per aver puntato un faro su una zona d’ombra del mondo e della nostra storia, per aver delineato i contorni del coraggio di una donna che combatte una guerra silenziosa con l’arma della bontà."

La regista sarà ospite martedì 25 agosto nel Tg diurno di Rai News per narrare della sua esperienza umana e artistica che l'ha condotta a realizzare, in più riprese dal 2014 al 2017, un film-documentario oggettivo e antiretorico, definito recentemente da Alfredo Baldi "miracolo di sapienza narrativa, raggiunta attraverso la semplicità, la sincerità e la sottrazione".

MOTHER FORTRESS, Menzione Speciale del Tertio Millennio Film Fest (Città del Vaticano), in Italia è stato precedentemente ospitato in rassegne significative quali il Meeting di Rimini, Milano Movie Week e Festival Human Rights Nights di Bologna. Attualmente fa parte del ciclo “Racconti italiani” distribuiti dalla FICE.


MOTHER FORTRESS (Italia, 2019)

soggetto, sceneggiatura, regia: Maria Luisa Forenza
fotografia, suono presa diretta: Maria Luisa Forenza, Giulio Pietromarchi

montaggio: Annalisa Forgione, Maria Luisa Forenza
sound editing: Marco Furlani

sound mix: Marcos Molina

color grading: Vincenzo Marinese

produzione: Maria Luisa Forenza per Damascena Film

in collaborazione con Rai Cinema, MAECI-DGPSP, Roma Lazio Film Commission
distribuzione: Rai Cinema, Damascena Film, FICE

durata: 77′

lingue originali: Inglese, Francese, Arabo, Spagnolo

sottotitoli: Italiano

 

Sinossi

Madre Agnes, assieme a monaci, monache provenienti da Francia, Belgio, Portogallo, Libano, Cile, Venezuela, Colorado-USA (di cui alcuni ex-giornalisti), affronta gli effetti della guerra in Siria sul suo monastero, situato ai piedi delle montagne al confine con il Libano dove ISIS insidiosamente si nasconde. 

Nonostante sia esso stesso obiettivo di attacchi, il monastero accoglie orfani, vedove, rifugiati (cristiani e sunniti), vittime di una guerra fratricida che dal 2011 ha prodotto caos e devastazione. Organizzando un convoglio di ambulanze e camion, che percorrono strade controllate da cecchini, Madre Agnes persegue la rocambolesca missione di fornire aiuti umanitari (cibo, vestiti, medicine) ai siriani rimasti intrappolati nel paese. Esplorazione non della guerra, ma della condizione umana in tempo di guerra, il film è un viaggio fisico e spirituale, una 'storia d'amore' con destinazione Roma dove il senso del racconto si rivela...

Giancarlo Campopiano, In illo tempore mostra a Siena 2 - 9 settembre 2020

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Giancarlo Campopiano già fondatore e per molti anni direttore del periodico culturale Accademia dei Rozzi, accademico lui stesso, ha voluto con questa rassegna “ raccontare” i suoi ricordi e condividere le sue riflessioni attraverso la pittura. Un modo di pensare in contrapposizione al decadentismo, con uno stile che ricorda il modernismo.

I suoi quadri costruttivi nei tratti, fuori dalle convenzioni e dai legami più comuni, suscitano emozione e sensazione di libertà in una visione della vita più ampia e meno impositiva.

Grazie ad una rielaborazione inconscia, in chiave attuale della rappresentazione dinamica della società industriale, e l’insieme è originale ed evidenzia l’appartenenza ad una comunità che ha dato origine a personaggi importanti.

A Giancarlo Campopiano nel 1980 è stato assegnato il premio “Mercantile Oscar dell’Export”

Personale di Giancarlo Campopiano

“In illo tempore” – Accademia dei Rozzi – Siena

2 – 9 settembre 2020

Curatori Giustiniano Guarnieri – Alessandro Bisogni

Collaboratori Michele Neri – Pietro Ligabue

laF: A 70 anni dalla morte di Cesare Pavese, Paolo di Paolo racconta il grande autore in 'Fuoco Sacro'

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Giovedì 27 agosto
 alle ore 20.40 su laF (Sky 135), a 70 anni dalla scomparsa di Cesare Pavese, avvenuta il 27 agosto 1950, va in onda “Cesare Pavese - Da C. a C.”uno degli episodi del progetto “FUOCO SACRO - Il talento e la vita”, produzione originale laF - tv di Feltrinelli realizzata in co-produzione con EchiVisivi: un viaggio con la narrazione appassionata dello scrittore Paolo Di Paolo nelle vite tormentate e visionarie di quattro grandi autori del Novecento italiano, interpretati da altrettanti attori.

“È la prima volta che faccio il consuntivo di un anno non ancora finito. Nel mio mestiere sono il re. In dieci anni ho fatto tutto. Se penso alle esitazioni di allora… Nella mia vita sono più disperato e perduto di allora. Che cosa ho messo insieme? Niente.”. Sono queste le parole che Cesare Pavese scrive nel suo diario - pubblicato postumo nel 1952 con il titolo “Il Mestiere di vivere” pochi giorni prima della sua scomparsa. Da qui inizia il racconto di Paolo Di Paolo nella vita dello scrittore piemontese che, a 42 anni, ha raggiunto l’apice della sua carriera ricevendo solo un mese prima il Premio Strega per il romanzo “La Bella Estate”; un successo che tuttavia non riesce a colmare quella che lui stesso definisce un’ “angosciosa inquietudine”: “Ora so qual è il mio più alto trionfo – scrive infatti nel diario - e a questo trionfo manca il sudore, manca la carne, manca il sangue, manca la vita. Non ho più nulla da desiderare su questa terra, tranne quella cosa che quindici anni di fallimenti ormai escludono. Questo il consuntivo dell’anno non finito, e che non finirò”.
 
Arricchita dall’interpretazione di Pietro De Silva, la narrazione ripercorre la vita dello scrittore, dall’infanzia nelle Langhe, anni che gli ispireranno il suo capolavoro “La luna e i falò”, agli amori infelici, in particolare l’ultimo, per l’attrice Costance Dowling, di cui scriverà nelle ultime pagine del suo diario e nella raccolta di poesie “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. Una sofferenza che lo porterà all’estrema decisione, anche se, come scrive nel diario poco tempo prima di morire: “Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla”.
 
Fuoco Sacro – il talento e la vita
 è una produzione originale laF – tv di Feltrinelli, sempre disponibile on demand su Sky e SkyGo: un viaggio in 4 episodi da 30 minuti nelle vite di quattro grandi autori del Novecento italiano - Alda MeriniLuciano BianciardiCesare Pavese ed Elsa Morante – con la narrazione di Paolo Di Paolo e le interpretazioni di Federica Fracassi, Paolo Sassanelli, Pietro De Silva e Sonia Bergamasco. Realizzata da EchiVisivi per laF, ideata e diretta da Samuele Rossi.
 
“Fuoco Sacro – Cesare Pavese” va in onda giovedì 27 agosto 2020 alle 20.40 su laF (Sky 135) ed è disponibile anche on demand su Sky e Sky Go.

Benvenuto a Madame Cristina Vittoria Egger. New Hon Bailli di Monaco by “La Chaîne des Rôtisseurs”

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Una comunità globale "La Chaîne des Rôtisseurs" (Association Mondiale de la Gastronomie) il cui obiettivo è la fratellanza, l'amicizia, il cameratismo e la condivisione della passione per le arti culinarie. Con quasi 25.000 membri, la Chaîne des Rôtisseurs è un'associazione internazionale di gastronomia ora costituita in oltre 80 paesi che riunisce appassionati che condividono gli stessi valori di qualità, cucina raffinata, incoraggiamento delle arti culinarie e piaceri della tavola. La Chaîne des Rôtisseurs invita tutti gli amanti della gastronomia, del buon cibo e dei vini pregiati a condividere i suoi valori di eccellenza e fratellanza, unendoci nella continuazione di grandi tradizioni culinarie. Il Presidente Onorario è il Principe Alberto, e il Bailli della Confraternita di Montecarlo è Gerard Canarie.

Madame Cristina Vittoria Egger, italiana, Dama di Casa Savoia, è stata  presentata la stessa sera alla comunità gourmet come New Hon Bailli di Monaco. 

La prima cena dopo Lockdown è stata organizzata presso “La Pinede“ uno dei più rinomati ristoranti di pesce del litorale tra Montecarlo e Cap d'Ail. Lo chef dell'evento è stato Fabio Antonacci, uno chef italiano che vive e lavora da tempo in Costa Azzurra ed è specializzato in pesce.



Storia su La Chaîne des Rôtisseurs:

1248 - Luigi IX, il re francese successivamente canonizzato come San Luigi, ordina l'istituzione di diverse corporazioni professionali tra cui quella degli "Ayers" o torrefattori di oche. Lo scopo di questa corporazione era quello di migliorare le conoscenze tecniche dei suoi membri: apprendisti, commercianti e maestri. 1509 - Durante il regno di Luigi XII, le conoscenze della corporazione furono estese alla preparazione di altre carni e pollame, inclusa la selvaggina, e prese il nome di "Rôtisseurs". 1610 - Creazione dello stemma: Presenta due spiedi incrociati e quattro utensili da lardo al centro, circondati dalle fiamme del focolare. Nella versione odierna, questo storico blasone è circondato da fleurs-de-lys e due catene con il nuovo nome dell'associazione in mezzo. La catena interna rappresenta i membri professionisti, mentre la catena esterna simboleggia i membri non professionisti. 1793 -Per più di quattro secoli, la Confrérie des Rôtisseurs coltiva e sviluppa l'arte culinaria. Soddisfò tutti i requisiti di professionalità richiesti dal "Tavolo Reale", fino al 1793 quando il sistema corporativo fu sciolto durante la Rivoluzione francese. 1950 - I Rôtisseurs furono quasi dimenticati fino al 1950 quando Jean Valby, insieme ai gastronomi Curnonsky (eletto Principe dei Gastronomi) e al dottor Auguste Bécart, e ai professionisti Louis Giraudon e Marcel Dorin, rianimò l'associazione fondando la Confrérie de la Chaîne des Rôtisseurs. 1963 - L'Ordre Mondial des Gourmets Dégustateurs (OMGD) è una sezione specifica della Chaîne des Rôtisseurs specializzata e concentrata su vini, liquori, liquori e bevande artigianali. 2008 - La Chaine des Rôtisseurs è registrata ufficialmente come un ente di beneficenza - l'Associazione Caritative de la Chaîne des Rôtisseurs - presso la Prefettura di Polizia di Parigi. 

Ciò ha reso possibile l'avvio di programmi nel campo dello sviluppo sociale volti a nutrire e migliorare le condizioni di vita dei bisognosi, soprattutto i bambini. 

Lo stemma originale è costituito da due spiedi rotanti incrociati e quattro aghi da lardello, circondati dalle fiamme del focolare su uno scudo. Per la nuova Confrérie è stato creato un logo che utilizzava al centro l'ex scudo storico. Era circondato da gigli e due catene, tra le quali erano scritti il nome originale della Società e le date di fondazione del 1248 e del 1950. La stringa interna rappresenta i membri professionisti; la catena esterna i membri non professionisti e il legame che unisce tutti i membri. 

La sede internazionale (Siege Mondial) rimane a Parigi, dove è stata fondata la Società, e l'attuale Chaîne des Rôtisseurs è ancora basata sulle tradizioni e le pratiche dell'antica confraternita francese, ma ora in un contesto veramente internazionale e contemporaneo.

Grazie a:

Discover more @ La Chaîne des Rôtisseurs  

edit by Krissy Grey Pesciglioni-Cuni

Editor & Founder Monaco Woman 


SERGIO CASABIANCA E LE GOCCE, dal 25 agosto disponibile in digitale l'album "CHI SONO IO"

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 Da martedì 25 agosto è disponibile in digitale “CHI SONO IO”, il nuovo album del canta – attore SERGIO CASABIANCA e LE GOCCE, anticipato dal singolo omonimo in radio dal 22 maggio.

 

Il filo conduttore del disco è quello di cercare di dare voce ai quei valori che oggi si perdono troppo facilmente nella frenesia della vita, dar voce a quelle persone che non hanno voce, rimarcare la bellezza del posto in cui viviamo che si chiama Italia e soprattutto, cercare di “trasmettere” quella forte energia vitale e quella semplicità necessaria al mondo per essere felici, per vivere e non sopravvivere.

 

Questa la tracklist dell’album: “Amore in mezzo a noi”, “Crescere”, “Chi sono io”, “La coscienza”,

“Perché”, “Fammi battere il cuore”, “Dove vivo”, “Prima o poi”, “Io ci credo ancora”.

 

«Ho scelto la tracklist insieme alla band, immaginando di essere noi tra il pubblico ad ascoltarci... cercando di respirare le sensazioni che arrivano dalle parole e dalla musica e creare una sorta di viaggio che possa tenere con noi chi lo ascolta, fino alla fine del disco...come cerchiamo di fare ogni volta nei nostri live », commenta Sergio Casabianca.

 

La band de Le Gocce è composta da Montesi Francesco (tastiere), Montesi Filippo (chitarra), Federico Lapa  (percussioni), Gianmarco Petti (basso) e Marco Talevi (batteria).

 

Hanno suonato nel disco Daniele Mancini (saxofono), Lucia Solferino (violino), Agnesina Giso (corno) e Krapach voce sul brano “La coscienza”.

 

Autodefinitosi “canta – attore”, Sergio Cenci, in arte Sergio Casabianca, è capace di trasportare la musica nel teatro e il teatro nella musica, grazie a una voce calda e grintosa e a una grande capacità comunicativa.

Nato a Rimini, classe 1966, inizia la carriera come cantante, imitatore e cabarettista nei locali della Riviera Romagnola, coinvolgendo le piazze con un’energia esplosiva e il carisma di un animale da palcoscenico.

Caparbio e tenace, dopo essersi proposto al pubblico interpretando cover di grandi artisti, si dedica al cantautorato, esprimendo appieno le sue doti. Ha partecipato ad eventi prestigiosi come CastrocaroSanremo Rock, e a trasmissioni televisive come “Il Senso della vita” con Paolo Bonolis, “Geo & Geo”“Una Canzone per te” con l’amico Alessandro Greco e Federica Panicucci. Ha al suo attivo numerose collaborazioni e duetti con grandi artisti, quali Giulio Capiozzo e Paul Manners, l’apertura del concerto di Zucchero a Parma, Irene FornaciariFilippo GrazianiPaolo VallesiIskra MenariniAndrea MingardiBarbara ColaPaolo BelliMarco Della NoceAlessandro PolitiAleandro Baldi e i Nomadi.

Proprio dalla collaborazione con questi ultimi, è nata una splendida realizzazione; è di Sergio Casabianca il testo del brano “Io ci credo ancora” contenuto nell’album “Nomadi dentro”, pubblicato dalla band NOMADI il 27 ottobre 2017, pezzo di cui ha co-firmato anche la musica con Carletti, Reggioli e Montesi.

Uomo di spettacolo completo, dotato di mille risorse, da alcuni anni Sergio si è avvicinato anche al mondo del teatro, scrivendo e interpretando spettacoli comici e musicali, in cui regala emozioni miscelando forme d’arte diverse e offrendo spazio ad artisti emergenti, sempre con un grande successo di pubblico e critica.

Artista poliedrico, nei suoi spettacoli racconta il cuore vero della Romagna e diffonde un messaggio di profonda positività legato ai valori più autentici: l’onestà, il rispetto, la passione, la capacità di seguire i propri ideali e di scegliere di Vivere, anziché di sopravvivere.

Cantautore e a tratti cantastorie, per ciò che racconta nei suoi coinvolgenti monologhi e per la teatralità che porta sul palco durante i concerti, trasmette la sua fede in una Forza Universale e i suoi brani, a volte intimi e sempre emozionanti, danno voce all’amore e alle contraddizioni del mondo, regalando sorrisi e momenti di riflessione.

Coerente con i suoi ideali, porta avanti con entusiasmo un forte impegno nel sociale, che gli ha fatto fondare nel 2002, insieme all’amico Gianpaolo Bernabini, la Onlus “Una Goccia per il Mondo” e nel 2018 l’Associazione Culturale “Sorridolibero”. Con  le sue esibizioni artistiche e le sue conferenze, nelle scuole e in numerose convention dove racconta in parole e in musica la sua esperienza di tre anni di vita in Cambogia, aiuta a sostenere i progetti locali e Internazionali della Onlus e attraverso l'Associazione Culturale organizza eventi per dare spazio ad altri artisti e per sensibilizzare maggiormente le persone all'importanza dell'Arte nella vita di ognuno.

Gli anni di volontariato, trascorsi anche a fare animazione in numerose strutture per anziani, e le esperienze di vita, hanno portato inoltre Sergio ad avvicinarsi al delicato tema dell’Alzheimer. Da questi contatti è nata nel 2020 l’ispirazione per il brano “Chi sono io”, composto insieme a Marco Giulio Magnani e arrangiato da Francesco Montesi. La canzone, mirata a sensibilizzare il pubblico e a inquadrare la malattia in un più ampio messaggio di speranza, è stata accolta con calore da diverse Associazioni legate al mondo dell’Alzheimer e, nel febbraio 2020, è stata presentata con successo a Sanremo nell’ambito di eventi collaterali al Festival, tra i quali la trasmissione Sanremo Doc.

Il 25 agosto pubblica “CHI SONO IO”, il nuovo album anticipato dal singolo omonimo in radio dal 22 maggio. Il brano è accompagnato da un videoclip (https://youtu.be/X0EzryWYU1U) realizzato e montato dal coreografo e ballerino Marco Baldazzi, che ha utilizzato diverse immagini girate da altri registi come Marco Toscani, trasformandole in una storia toccante.


www.sergiocasabianca.com

https://www.facebook.com/sergiocasabianca.it/

https://www.instagram.com/casabiancasergio/


RECmediacomunicazione e promozione

Il soprano Anna Koshkina è Violetta "ruolo difficile psicologicamente e vocalmente". L'intervista di Fattitaliani

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Il Mythos Opera Festival approda stasera approda in una nuova suggestiva location, il Teatro antico di Tindari, dove alle ore 21 andrà in scena il Galà lirico - La Traviata di Giuseppe Verdi, secondo evento stagionale dell’ormai consolidata rassegna dedicata all’opera lirica, con la direzione artistica di Nino Strano. Il Galà lirico vedrà la partecipazione straordinaria, come voce narrante, dell’attrice etnea Guia Jelo, sul palco si esibiranno il soprano Anna Koshkina, nei panni dell’affascinante Violetta, il tenore Roberto Cresca (Alfredo) e il baritono Alessio Quaresima Escobar (Giorgio Germont). Al pianoforte il maestro Gianfranco Pappalardo Fiumara, sovrintendente del Mythos Opera Festival. L'intervista di Fattitaliani al soprano Anna Koshkina.

Violetta è un'icona, un personaggio simbolo, l'opera... Personalmente Lei che ne pensa sia come personaggio che come ruolo e impegno vocale?
Il ruolo di Violetta mi ha affascinato sin da piccola. Violetta è un’icona. Penso sia il personaggio più importante nel repertorio sopranile: una donna forte, ma fragile. Violetta voleva essere amata, ma pensava di non meritare amore. 
Il ruolo è veramente difficile sia vocalmente che psicologicamente. È difficile entrare in un personaggio che sente così tanto dolore. Vocalmente è difficile, perché Violetta richiede tre tipi di voce per i tre atti: soprano lirico leggero per il primo, soprano lirico per il secondo e soprano lirico pieno per il terzo atto.  
Come vede la forma-concerto di un'opera? Secondo Lei, può contribuire a valorizzare sfumature diverse di musica, opera e personaggi?
La forma di concerto per un'opera può essere nello stesso tempo più facile e più difficile. Perché è bello sentire la musica pura senza i costumi o una scenografia complicata,  ma allo stesso tempo è molto più difficile perché con la sola voce occorre dare tutti i colori e sfumature di interpretazione. Ovviamente, dopo mesi di quarantena, sarà una bellissima esperienza sia per noi che per il pubblico ascoltare questa meravigliosa opera.
Quando è iniziato il suo rapporto con l'opera italiana e con Verdi?
Ho debuttato con il ruolo di Rosina ( “Il Barbiere di Siviglia" di Rossini) a Trieste quando avevo 23 anni. Io veramente amo l’opera italiana! L’anno scorso ho cantato Violetta alla sala accademica del conservatorio Santa Cecilia a Roma, è stata la mia prima esperienza con la musica di Verdi. Mi sono innamorata del genio del maestro. Sono molto emozionata perché il 26 agosto sarà il mio debutto in ruolo di Violetta in teatro. 
Anche l'opera russa ha una sua grande tradizione: si trova più a suo agio nell'opera russa o in quella italiana?
La lingua russa è molto difficile da cantare anche per noi russi. Ho debuttato l’anno scorso nel ruolo della Zarina di Šcemaha al Staatstheater Braunschweig (Germania) nell'opera di Rimskij-Korsakov “Il gallo d’oro”. È stata una grande esperienza perché adoro la musica russa e anche perché il ruolo della Zarina è veramente bello, è stata per me la prima volta che ho cantato l’opera russa. Ma devo dire che cantare nella lingua italiana mi fa sempre grande piacere. Rossini, Bellini, Donizetti e Verdi sono i miei compositori preferiti, perché il repertorio belcantistico sta molto bene con la mia voce. 
Conosceva già Tindari e la Sicilia?
Sono già stata tante volte in Sicilia. Mi piacciono tanto Catania e Palermo, l’architettura del barocco siciliano è bellissima. Il teatro Bellini di Catania è una perla spettacolare! Ho tanti amici siciliani e anche la mia prima maestra di canto Linda Vajna era di Aci Trezza. Venivo spesso a fare lezioni di canto nella sua villa vicino al mare.  Non sono mai stata a Tindari ma so che il posto è bello e anche il teatro greco è meraviglioso. 
Che progetti La attendono nei prossimi mesi, quando tutto riprenderà (almeno si spera)?
Sto progettando collaborazioni con diversi teatri in Italia e Germania, purtroppo, a causa della pandemia, non è ancora chiaro a quali progetti parteciperò sicuramente. Mi piacerebbe imparare nuovo repertorio e cantare i ruoli che non ho fatto ancora sul palco: Gilda, Amina, Lucia... e speriamo che faremo altri progetti con Mythos Opera Festival. Giovanni Zambito.

The Errorist debuttano con "Hangover" per "l'urgenza di comunicare la nostra ricerca musicale". L'intervista di Fattitaliani

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HANGOVER
 è il primo singolo del duo elettronico THE ERRORIST, gruppo molto in vista nel panorama dell’urban jet set milanese
Distribuito dall’etichetta olandese Freaky Sounds Amsterdam, “HANGOVER” è un brano con un sound internazionale dall’ispirazione techno-pop, ricco di contaminazioni provenienti dal mondo dell’arte e del design, come del resto testimonia il suo eccentrico videoclipUn singolo intenso, spudorato e a tratti sfacciato, in cui la voce di Nina Echo, artista audace dalla personalità alquanto ribelle, conduce l’ascoltatore in un viaggio onirico all’interno del bosco delle paure, per riemergere ancora più forte in un posto incantato. L'intervista di Fattitaliani.

Innanzitutto, complimenti per il nome scelto: come nasce?
The Errorist come nome nasce dalla collaborazione con il BRAND FASHION: MARIOS, durante la creazione del sound per loro fashion show la nostra divisa era una felpa con impresso Errorist, era stata studiata per noi, rispecchia la nostra ricerca di un sound nuovo con contaminazioni, non poggia su un terreno stabile ma al contrario un terreno rischioso, che frana, dove il margine dell'errore diventa creazione e abbatte possibili limite e regole.

Militate nella musica non da poco: com'è avvenuto e come avete vissuto il debutto discografico?
Siamo un duo, entrambi con base a Milano, provenienti da mondi differenti, Antonio Spitaleri sound design per il teatro e  vari Designer del mondo dell'arte contemporanea europea. Matteo Bogoni fonico, sound design e creatore di nuovi suoni e strumenti analogici. Studiando e creando sound per fashion show e presentazioni per vari designer è nata la base della nostra performance musicale dove abbiamo incontrato Nina Echo (che vive fra Londra, Parigi e Milano). la nostra unione ha sancito anche l'urgenza di comunicare qualcosa di nostro, per cui  è nata l'esigenza di creare  un vero e proprio disco, un messaggio musicale.
Avete scelto subito "Hangover" come primo vostro singolo? perché?
Hangoverè stato il nostro debutto discografico, nato dietro l'urgenza di comunicare la nostra ricerca musicale. Sulle note di un disco techno pop si nasconde un testo che usa la metafora  club disco dell'after party, l'hangover come mondo parallelo, un posto onirico dove cercare la propria identità, essere se stessi senza sentirsi a disagio, poter mostrare i propri occhi e la propria anima. Il video ambientato in un bosco rappresenta tutto questo mondo quasi fiabesco,  la protagonista incontra un coniglio che rappresenta la paura, il cinghiale la forza, e la civetta simbolo del tempo  che trascorre,  che non si ferma mai.
Noto che l'etichetta discografica è olandese: il vostro è stato un incontro casuale?
Amsterdam, non casuale, un posto dove ci si incontrava a metà strada con Nina Echo. 
Seguirà un progetto più completo a "Hangover"?
Sì, stiamo preparando un Ep firmato sempre dalla collaborazione con Nina Echo, un totale di 6 tracce, il prossimo singolo si intitola Donald Trump is my boyfriend a cui ne seguirà un terzo che sarà "Post GenderFluid world".
Com'è lo stato della musica elettronica in Italia?
La musica elettronica esiste da diversi decenni, se prendiamo uno dei primi creatori come Klaus Schulze, ha seguito varie fasi e trasformazioni. In questo momento in italia sembra essere riservata agli amanti della techno, house, indie alternative e l'elettrodisco. Giovanni Zambito.

BIOGRAFIA


Dietro al nome THE ERRORIST si celano le figure di Antonio Spitaleri e Matteo Bogoni. Il primo, milanese d’adozione, sviluppa inizialmente la sua vena creativa dietro le quinte di molti teatri con il gruppo Animanera; il secondo invece, nato e cresciuto a Verona, è un fonico che disegna suoni con sintetizzatori modulari. Oggi, entrambi sono sound designer producers immersi nell’urban jet set milanese, e si lanciano sulla scena internazionale proprio con “HANGOVER”.

Nina Echo, artista-performer di natura eclettica, è convinta che l’arte sia la maniera di transducere luce e che può venire fuori in svariati modi, a seconda della frequenza su cui si è sintonizzati.

L'artwork della cover del singolo è stata realizzata dall'artista milanese classe ’85 Marco Basta.

YOUTUBE: https://www.youtube.com/channel/UCclRCzlN5ctG80vej8DiIow

SPOTIFY: https://open.spotify.com/track/0WJwt2i0lg2x3638IuFdlq?si=RnfJsrUGQZysTm6mvrMAdA

FACEBOOK: https://www.facebook.com/Theerrorist-111637510549539/

INSTAGRAM: https://www.instagram.com/theerroristproject/?hl=it

Rossana Lo Giudice, poeta e artista, “giocoliere di parole”: la scrittura in me sortisce un effetto catartico. L'intervista

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«Chi scrive deve necessariamente avere il fuoco dentro. La passione che arde nel magma di una incandescente fantasia. Avere il cuore che pulsa in balìa alla ineffabile bellezza di un pensiero atemporale: senza confini, senza meta, senza tempo.» - di Andrea Giostra.

Ciao Rossana, benvenuta e grazie per la tua disponibilità. Come vuoi presentarti ai nostri lettori quale Rossana artista e poeta?

Ciao Andrea, grazie a te. Lusingata oltremodo e felice perché gioco in casa, come si suol dire! Moltissimi lettori e follower sanno che entrambi siamo legati da una profonda amicizia di vecchia data. Un rapporto che ci permette di condividere numerose esperienze professionali ed artistiche. Ecco perché preferisco dire che insieme a te farò una bella chiacchierata con un amico carissimo. Una fra le tante, soltanto questa allargata ai nostri lettori. Dovrò quindi mantenere una certa compostezza evitando d’interromperti spesso a causa della mia vulcanica loquacità. Tu oggi sei il mio intervistatore e non posso avere neppure il beneplacito di “giocare” durante la conversazione. Come accade sovente fra di noi e considerato che fra i due sono io la burlona, sempre con la battuta pronta, a trascinarti e coinvolgerti in un mare di risate. Dinanzi al tuo “savoir-faire” sempre elegante e compito (soprattutto quando lavori!) non posso che  rispondere subito alla prima domanda. Mi presento ai nostri lettori come un’artista eclettica. Una che ama l’arte nella sua ineffabile bellezza e poliedricità delle sue espressioni: scrittura, musica (sono pianista Diplomata al Conservatorio) poesia, recitazione, fotografia. Fra le tante forme espressive cui mi cimento certamente la scrittura occupa un ruolo pregnante. Mi piace però essere chiamata Poeta: è come se la mia immagine fosse dipinta di bellezza, permeata dal sogno, dall’incanto e dalla magia. Non ti nascondo però che amo pure definirmi un “giocoliere di parole”, capace di folleggiare con i versi e sbeffeggiare pure i fessi! Di poetare simpaticamente e portare allegria alla gente. Un “cantastorie” che “canta e cunta ddi la ggenti”. Un menestrello, un giullare di corte. Circa questo mio modo di definirmi ho scritto versi a iosa. Quando “folleggio” con i versi ho sempre l’umiltà di chiedere scusa al Sommo Poeta, che amo oltremodo. Una volta sognai pure Bukowski, mi chiamava poeta. In un angolo Dante se la rideva, alzava le spalle e strizzava l’occhietto. Sogno vanesio e lusinghiero? In altri termini il mio amato Dante mi prendeva per il c…! (Andrea e Rossana scoppiano in una risata scrusciusa!).Quando compongo ringrazio pure Dio per la mia arte. Ciò soprattutto nei testi in dialetto siciliano.

…chi è invece la Rossana donna della quotidianità?

Una donna semplice sebbene a primo acchito dia l’impressione di una che se la tiri! (sorride).Ne sai qualcosa, no? Al di là del mio essere oltremodo ilare. Sono ironica ed autoironica e forse per un celato o palese narcisismo amo parlare di me. Del come sono, del mio carattere. Mi piace raccontarmi ma non decantarmi. Lungi dal parlare delle mie gesta. Mi vergogno da sempre. Amo la montagna, faccio sport, sono iperattiva. Amo fare lunghe passeggiate vicino al mare dove spesso vado per ascoltarne il canto e lo scruscio. Non potrei starne senza. Per citare Camilleri. “Cosa le manca della Sicilia? ‘U scrusciu du mari!” Amo ritagliarmi degli spazi, squarci, petits corner di solitudine per ascoltare la mia anima e trarre ispirazione. Mi piace il jazz, andare al cinema e fare belle chiacchierate con le persone a me care. Sono affabile, gentile, empatica, spiccatamente sensibile e sempre presa da mille impegni di lavoro, di arte e routine. Profondo senso civico, del dovere e della responsabilità. Mi definisco una donna all’antica, dai sani e saldi valori, sebbene inganni l’aspetto esteriore.“Mizzica, vera donna sicula sono!” Non voglio però annoverare tutti i miei pregi. Sono troppi! (sorride). Sono una donna “perfetta” fra centinaia di imperfezioni. Mettiamola così . 

Tu Rossana sei una poetessa e scrittrice che alterna l’uso del dialetto siciliano all’italiano. Come nasce questa forma di scrittura nella tua arte?  

Ammetto di essere molto versatile anche nella scrittura, ovvero scrivere in italiano e in dialetto siciliano. Con grande orgoglio e tanta umiltà pare mi riesca benino. Domanda interessante questa e sulla quale potrei disquisire per lunghe ore. Rappresenta il cuore di questa meravigliosa chiacchierata con te. Ti prometto che sarò sintetica, sebbene sempre incline alla prolissità. Prima che studiassi all’Università non ero una grande estimatrice del dialetto siciliano, anzi lo “snobbavo” in toto, rifiutando la mia cultura dialettale. Troppo stilosa perfino nel lessico. Troppo formale nel parlato perfino in contesti informali. Paradossale, no ? Peraltro provengo da una famiglia medio borghese dove l’uso del dialetto non è mai stato visto di buon grado. Come se chi lo usasse fosse da ritenere uno di seconda categoria, un cafone. Mi spiace questo, ma l’importante è ricredersi. Come quanto successo a me. Fino a quando, giocoforza, mi “abbandonai” alle sorti del dialetto. Certo non lo parlavo, mi limitavo soltanto all’uso di qualche piacevole parola (appresa e subito metabolizzata a scuola o con amici). Diciamo “parolaccia!” Come quando sovente mi scappava un simpatico “camurria”mentre si adagiava su di me lo sguardo in cagnesco di papà o mamma. Mi autosputtano, Andrea! È noto che qualsiasi imposizione da parte dei genitori desti sempre l’effetto contrario. Cominciai a studiare la storia delle tradizioni popolari siciliane e lessi e leggo tanto. La Sicilia, isola d’amuri, della cultura ellenica e non, ma anche di tanto talento. Terra feconda che ha dato molto alla letteratura. Come non menzionare fra i miei autori prediletti Luigi Pirandello, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Verga che situo nell’Olimpo e le cui opere conosco a menadito; Sciascia, Camilleri, Bufalino. Anche autori minori ma che hanno dato molto alla tradizione letteraria siciliana e non. Il dialetto siciliano, e tu Andrea puoi confermarlo, è molto difficile nello scritto ma anche nel parlato. Poiché non lo utilizzo nel linguaggio corrente, essendo una lingua  alquanto difficile, me ne pregio nella scrittura. Scrivo, canto, cuntu e ricuntu, in dialetto. Amo pure il grande poeta e cantastorie Ignazio Buttitta, la cantante Rosa Balistreri, storie di Sicilia che rendono vivo il mio interesse. Negli ultimi anni, poi, l’incontro con una persona speciale, Andrea Giostra (ecco, l’ho detto!), ha fatto sì che questa passione diventasse un mestiere. Fino ad oggi. Cominciai a scrivere delle brevi novelle in uno stile “bastardo”, per intenderci. Racconti scritti in italiano con l’aggiunta di frasi in dialetto siciliano. Un po’ come il Maestro Camilleri dinanzi a cui mi genufletto. A tal proposito vengo definita da molti lettori come la Camilleri in versione femminile. Mi s’invita ad inviare i racconti perfino alla Tv e farne delle puntate del Commissario Montalbano! Tutto ciò mi lusinga oltremodo, è troppo reggere un confronto del genere. Con il Maestro Camilleri. No, no! Tanti altri addirittura riscontrano nelle mie novelle uno spirito verghiano. No, no, Andrea. Cominciai a scrivere in dialetto per scherzo e subito pubblicai nella mia pagina ufficiale per vedere l’effetto che sortissero nei lettori. Ma anche altrove, nella cerchia di amici. Con te ovviamente. Da subito le novelle riscossero un successo notevole di pubblico. Un vero exploit, un fortunato continuum fino ad oggi. Spero ad libitum. I miei testi, ammetto, sono molto divertenti e rispecchiano il mio spirito ilàre, giocoso e divertente. In essi prevale la mia anima sicula, passionale, antitetica a quella dei miei “Sospiri dell’anima”: una silloge di poesie da me pubblicata (e da cui prende il titolo l’omonima pagina Facebook) dove la mia ineluttabile voglia di scrivere diviene canto dell’anima. Dove le mie gioie, i miei malumori, le lacrime, il mio microcosmo interiore diventa sospiro di poesia. Le novelle di Sicilia, invece, altra storia. Si ride davvero tanto e altrettanto si riflette. Nel chiosare i testi aggiungo sovente una morale; un po’ come faceva Fedro nelle sue favole .   

Il 10 dicembre del 2018 hai creato la tua pagina Facebook d’arte, “Sospiri dell’anima”, che ha riscosso e sta riscuotendo un grandissimo successo con decine di migliaia di follower che leggono i tuoi scritti e seguono quotidianamente la tua attività artistica. Come è nata questa tua idea? Ti aspettavi questo successo considerato che parliamo di arte, di scrittura, di poesia e di lettura non sempre così popolari nei social?

Proprio in quell’anno pubblicai, sempre grazie alla tua collaborazione, una silloge dal titolo “Sospiri dell’anima”. Per pubblicizzare il libro tu mi proponesti la creazione di una pagina social dall’omonimo titolo del libro: “Sospiri dell’anima”. Uno spazio in cui pubblicavo le poesie contenute nello stesso. Da subito, un successo inaspettato. Sappiamo tutti bene che la poesia non ha un vasto pubblico, soprattutto  nel campo del mercato editoriale e altrove. È soltanto per pochi eletti, sebbene oggi chiunque scrive versi e sono in tantissimi a definirsi poeti. Spetta a noi discernere il bello dal brutto. Io, per esempio, sono una capace di poetare simpaticamente. Sempre però attenta all’uso del linguaggio, di parole ricercate e rispettosa della tessitura sonora del testo. Sì, la prima cosa che ricerco è la musicalità. Mera deformazione professionale, visto che sono musicista, pianista Diplomata al Conservatorio. Tornando alla pagina, mi resi conto, nonostante il successo, che non potevo continuare a mettere sempre le poesie del libro. Prima o poi i follower avrebbero abbandonato la pagina per noia. Ebbi la fulgida idea di cambiare i contenuti della stessa, mantenendo sempre il titolo “Sospiri dell’anima”. Da quel momento la considerai uno spazio in cui dare sfogo la mia creatività. Pubblicando contenuti artistici di ogni sorta: novelle, saggi, fotografie, disegni. Altresì articoli come quelli che attualmente pubblico come redattore di un magazine siciliano di sola arte e cultura. Uno spazio libero, il mio habitatartistico. Nella pagina, che da ben due anni riscuote un successo immane fino ad oggi, ci sono i miei contenuti artistici: di spessore, fra il serio ed il faceto e per un pubblico variegato. Tantissimi a seguirmi, soprattutto quando pubblico le novelle in dialetto, molto umoristiche. Da qualche tempo anche videoclipin cui mi cimento nella lettura dei miei testi. Da pochi mesi anche videoclip in cui leggo e interpreto anche testi scritti da altri autori siciliani. Tanto materiale che si trova su Google, sulla mia Play List di YouTube e che riscuotono diverse migliaia di visualizzazioni.

“CURÒ” | TESTO, VOCE E INTERPRETAZIONE DI ROSSANA LO GIUDICE

https://youtu.be/alLHLgb6eMI

Come nasce la tua passione per la scrittura e per la poesia in siciliano in particolare?

Scrivo si da quando ero piccina. Sono una famelica di scrittura, capace di scrivere per tante ore ininterrottamente. Non parliamo poi nei momenti in cui sono giù di corda o di particolare metamorfosi interiore. È proprio vero che la scrittura in me sortisce un effetto catartico, come del resto la lettura. La scritturacheta la mia anima inquieta,dico sempre. In questi ultimi anni dopo aver pubblicato la mia silloge di poesie “Sospiri dell’anima”, mi sono cimentata nella poesia dialettale, come già detto: molti componimenti poetici sono interamente scritti in dialetto siciliano. A differenza delle novelle scritte in italiano con l’aggiunta di sole frasi dialettali. Si tratta di poesie scritte sempre con uno stile vivace, colorato e spiccatamente umoristico. Che rispecchiano in toto la mia anima sicula, focosa, viscerale e passionale. Legata alle radici, alla Sicilia: terra di mari e d’amuri e di tanta gente umile e verace. Non sono le solite poesie tediose, di sicuro strappano tanti sorrisi a chi le legge. Sono consapevole di tutto ciò, non soltanto perché mi si dice. Conosco bene il mio “modus scribendi”incline a fare scompisciare dal ridere anche la persona più musona. Forse è questo il segreto del mio successo: esprimermi attraverso un linguaggio semplice e pieno di colore, sempre proteso alla ricerca della musicalità. Di parole che fanno la rima, per esempio. Creare la magia sonora in un testo è cosa prioritaria per me. Mera deformazione professionale, ribadisco ulteriormente. Nonostante il successo dei miei scritti ciò che conta per me è arrivare al cuore della gente. Pare di riuscirci e ne sono ben felice. Sostengo sempre che il talento è un dono divino, un quid in più, e chi lo possiede  deve metterlo al “servizio” altrui. 

Chi sono i poeti e gli scrittori che hai amato leggere, che leggi tutt’ora e che prendi a modello per le tue opere e composizioni?

Amo oltremodo la letteratura italiana del ‘200 e ‘300, i classici, la Scuola poetica Siciliana, Il ‘900 italiano ma anche la poesia francese: Baudelaire, Paul Verlaine e Jacques Prèvert. Del resto considero la lingua francese come la mia seconda lingua che parlo e scrivo correttamente. Fino alla poesia siciliana di Ignazio Buttitta, come già ti dissi nella domanda precedente. Lucio Piccolo di Calanovella, uno dei maggiori poeti del Novecento. Non prendo a modello alcuno di loro. Amo avere uno stile personale, libero e vivace, avulso da ogni tipo di etichettatura, per intenderci

Oltre a scrivere poesie, novelle e racconti, li interpreti e li reciti rendendo partecipi i tuoi amici virtuali e i tuoi follower nella tua pagina Facebook e nella tua Play List di YouTube. Come è nata questa passione per l’interpretazione di scritti, poesie e racconti? E cosa pensano i tuoi follower visto che i tuoi videoclip vengono visti e ascoltati da decine di migliaia di persone?

Amo recitare sin da bambina, dai tempi in cui facevo le recite in parrocchia o a scuola in cui ero sempre la protagonista indiscussa. Sempre grazie alla mia verve e a questa passione che coltivo fino ad oggi. Ho alle spalle anche esperienza teatrale con i ragazzi sordi. Amo oltremodo leggere, recitare ed interpretare i miei testi. Con tanto rispetto per chi fa l’attore come professione. Ci mancherebbe ! Io però mi diverto tanto. Tanti i videoclip che riscuotono sempre un successone. I miei followerimpazziscono “incoronandomi” sempre di gloria e allori. Migliaia di visualizzazioni: una bella ed inaspettata sorpresa per me. Grazie sempre al mio pubblico e soprattutto alla tua disponibilità nel supportarmi nella mia arte. Da non dimenticare le mie collaborazioni artistiche con attori di fama i quali sempre molto gentilmente si prestano alla lettura dei miei testi.

“TURI” | TESTO, VOCE E INTERPRETAZIONE DI ROSSANA LO GIUDICE

https://youtu.be/bmyBiO11-QY

Charles Bukowski, grandissimo poeta e scrittore del Novecento, artista tanto geniale quanto dissacratore, in una bella intervista del 1967 disse… «A cosa serve l’Arte se non ad aiutare gli uomini a vivere?» (Intervista a Michael Perkins, Charles Bukowski: the Angry Poet, “In New York”, New York, vol 1, n. 17, 1967, pp. 15-18). Tu cosa ne pensi in proposito. Secondo te a cosa serve l’Arte della scrittura, della narrazione, del raccontare, dello scrivere?

Mi piace molto Bukowski, una passione sfociata in questi ultimi anni. Come prima ti dissi ho perfino sognato che mi chiamava poeta! Che si sappia scrivere bene o meno, l’arte rende vivi: nutre lo spirito e l’intelletto.

«Quando la lettura è per noi l’iniziatrice le cui magiche chiavi ci aprono al fondo di noi stessi quelle porte che noi non avremmo mai saputo aprire, allora la sua funzione nella nostra vita è salutare. Ma diventa pericolosa quando, invece di risvegliarci alla vita individuale dello spirito, la lettura tende a sostituirsi ad essa, così che la verità non ci appare più come un ideale che possiamo realizzare solo con il progresso interiore del nostro pensiero e con lo sforzo del nostro cuore, ma come qualcosa di materiale, raccolto infra le pagine dei libri come un miele già preparato dagli altri e che noi non dobbiamo fare altro che attingere e degustare poi passivamente, in un perfetto riposo del corpo e dello spirito.»(Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905). Qual è la riflessione che ti porta a fare questa frase di Marcel Proust sul mondo della lettura e sull’arte dello scrivere?

Beh, proprio dalle riflessioni di Marcel Proust in merito al piacere della lettura che ultimamente ho dato un mio personale contributo alla stesura di un Saggio scritto a più mani da diversi autori. Lavoro che mi ha entusiasmato oltremodo e che probabilmente uscirà dopo l’Estate. Ritengo la lettura una sorta di piacere voluttuoso, libidinoso, eccitante. Da godersi come fosse un amplesso che non si consumasse troppo velocemente: più lento è, più è piacevole, metaforicamente parlando! Eleva dunque lo spirito e l’intelletto. Un viaggio dal sapore mistico che consente di esplorare, attraverso il “pensiero di un altro”, il proprio microcosmo interiore. Di varcare la porta delle stanze metafisiche dell’anima. A me arreca sempre quel senso di pienezza e benessere capace di sedare i malumori dell’anima: un effetto catartico, quello stesso di cui prima ti ho parlato in merito alla scrittura. Consapevole dei suoi limiti, ovviamente. Così come li riconosce Proust, pur avendone decantato il suo fascino. 

«La lettura di buoni libri è una conversazione con i migliori uomini dei secoli passati che ne sono stati gli autori, anzi come una conversazione meditata, nella quale essi ci rivelano i loro pensieri migliori» (René Descartes in “Il discorso del metodo”, Leida, 1637). Tu cosa ne pensi in proposito? Cos’è oggi leggere un libro? È davvero una conversazione con chi lo ha scritto?

Leggere un libro vuol dire, ribadisco, nutrire l’intelletto e lo spirito. Scegliere un libro è come scegliere un amico che ti tiene compagnia. Le mie letture sono direttamente proporzionali al mio stato d’animo: scelgo sempre il libro che si confà al bisogno di un determinato momento. Ecco perché non mi sento di consigliare ad altri libri da leggere! Se son triste, per esempio, preferisco abbandonarmi ad una lettura spensierata, scorrevole e poco impegnativa. Quando mi accingo a leggere scelgo sovente un petit corner, un piccolo angolo, uno scorcio di tranquillità, poiché lo reputo un momento di raccoglimento e intimità con me medesima. Il silenzio è la conditio sine qua non perché possa godere del suo piacere. Lungi da me letture veloci per sedare lo stress in attesa di un bus o una metro che tarda ad arrivare ! È una pseudoconversazione silente con l’autore! 

«…anche l’amore era fra le esperienze mistiche e pericolose, perché toglie l’uomo dalle braccia della ragione e lo lascia letteralmente sospeso a mezz’aria sopra un abisso senza fondo.» (Robert Musil, “L’uomo senza qualità”, Volume primo, p. 28, Einaudi ed., 1996, Torino). Cosa pensi di questa frase di Robert Musil? Cos’è l’amore per te e come secondo te è vissuto oggi l’amore nella nostra società contemporanea?

L’amore è il motore che muove l’universo: “ l’amor che move il sole e le altre stelle!” Per quel che mi riguardal’amore è contraddizione: dolce e salato, estate e inverno, luce e buio, etc. È gioia e tormento, ma anche coincidenza della contraddizione. È il coraggio di denudare la propria anima e abbandonarsi all’altro. È cedimento, perdita di equilibrio. Si può amare senza necessariamente stare in coppia e, quando ciò succede, alla base deve esserci fiducia reciproca. Stare in coppia non implica l’annullamento della propria individualità. Non significa mettere le  catene” all’altro per paura di perderlo. Se questi sono i presupposti, non può durare a lungo una relazione. Bisogna coltivare un rapporto quotidianamente come fosse una pianta da abbeverare, che abbisogna di acqua per crescere. Darne sempre nuova linfa onde evitare si cada nella noia. L’amore è ottundimento della ragione, irrazionalità. Sovente ti porta a fare azioni folli e impetuose, sciocchezze prive di senso. Nel caso in cui fosse guidato dal barlume della ragione, dalla razionalità, non è amore. L’amore oggi è cambiato grazie all’indipendenza raggiunta da noi donne. È vissuto con maggiore libertà, e in un certo senso di superficialità, rispetto al passato. Sovente capita che coppie sposate da poco tempo si separino subito dopo il matrimonio: facile escamotage per correre ai ripari. Soltanto chi si vuole veramente bene compie gesta eclatanti al fine di salvare un rapporto (soprattutto in presenza di figli piccoli). Qualora si abbiano i soldi per affrontare le spese legali, si ricorre al divorzio. Questa però è altra storia! C’è chi può dissentire da ciò che dico, ma questo il mio modus pensandi. Da non dimenticare come l’avvento dei social network abbia giocato un ruolo prioritario di scompiglio al noioso ménage familiare. Di dissolvimento delle relazioni, diciamolo pure. Anche questa altra storia sulla quale avrei molto da disquisire. Ti ho promesso però, all’inizio di questa splendida chiacchierata, di non essere prolissa nello rispondere. Non posso venir meno a questa promessa. 

«Io vivo in una specie di fornace di affetti, amori, desideri, invenzioni, creazioni, attività e sogni. Non posso descrivere la mia vita in base ai fatti perché l’estasi non risiede nei fatti, in quello che succede o in quello che faccio, ma in ciò che viene suscitato in me e in ciò che viene creato grazie a tutto questo… Quello che voglio dire è che vivo una realtà al tempo stesso fisica e metafisica…» (Anais Nin, “Fuoco” in “Diari d’amore”terzo volume, 1986). Cosa pensi di queste parole della grandissima scrittrice Anaïs Nin? Quanto incidono l’amore e i sentimenti così poderosi nella tua arte e nelle tue opere?

Bellissime parole di Anaïs Nin. Come non farle proprie! Chi scrive deve necessariamente avere il fuoco dentro. La passione che arde nel magma di una incandescente fantasia. Avere il cuore che pulsa in balìa alla ineffabile bellezza di un pensiero atemporale: senza confini, senza meta, senza tempo. Deve avere un’anima nuda, libera da orpelli e sovrastrutture. Un’anima viva. Vortice inarrestabile. Fiume in piena senza argini. Io scrivo ciò che sento: i miei “battiti”, i miei “respiri”, i miei sorrisi, ma anche i malumori dell’anima. Le lacrime che rugano il volto. Le emozioni che catturo nel quotidiano al fine di trasmetterne altrettante a chi mi legge. Tutto ciò che scrivo mi appartiene a livello viscerale: è come varcare la porta delle mie stanze metafisiche. Guizzi di estro che solleticano la mia ispirazione e fecondano bellezza .Musica che dirige l’orchestra della fantasia per divenire sospiro di poesia. Dipinti e squarci del mio mondo interiore.

 

“Ventu e focu d'amuri” | Testo, voce e interpretazione di Rossana Lo Giudice

https://youtu.be/0FyiK2d5iMY 

Perché secondo te oggi è importante scrivere, raccontare con la scrittura?

Per raccontarsi non necessariamente occorre scrivere. Ci sono tante forme espressive attraverso le quali ci si può raccontare: il canto, la pittura, etc. Ognuno poi sceglie la forma d’arte a lui più congeniale. Un po’ come nel mio caso che amo esprimermi poliedricamente.

Gli autori e i libri che secondo una persona che vuole definirsi scrittore o poeta dovrebbe leggere assolutamente quali sono? Consiglia ai poeti e agli scrittori che leggeranno questa intervista, o potenziali tali, almeno tre autori da leggere assolutamente per imparare da queste letture qualcosa sull’arte dello scrivere e della poesia.

Non mi sento in genere di elargire consigli in merito a libri da leggere. Ogni libro è come un amico da scegliere, che ti tiene compagnia pur tacendo. Sono una famelica di libri e mai prediligo un genere. Spazio sempre dalla narrativa alla filosofia, dalla letteratura alla saggistica. Dipende ciò che mi si aggrada in quel momento in cui decido di leggere. Visto che me lo chiedi, posso menzionarti tre libri: “Uno, nessuno e centomila”, di Pirandello; “Le affinità elettive”, di J.W.Goethe; “Il Barone rampante” di Italo Calvino.

Se dovessi consigliare tre film da vedere assolutamente, quali consiglieresti e perché consigli proprio questi?

“Via col vento”, un vero film cult della cinematografia americana che ha avuto una vasta eco a livello mondiale. Mi piace il dialogo finale tra Rossella O’Hara e Rhett Butler. Lei gli dice : “se te ne vai che sarà di me ? Che farò?”. Lui risponde: “francamente me ne infischio!”. (sorride).Il film “Gomorra” perché fatto bene, sebbene di notevole crudezza, e avevo letto il libro di Saviano. Di altri, non saprei!

A cosa stai lavorando in questo momento che vuoi condividere con i nostri lettori? Raccontaci dei tuoi prossimi progetti artistici e letterari.

Lavoro a due libri, uno di racconti siciliani e l’altro sulla quarantena che, al di là dei suoi effetti incresciosi, per me è stata feconda per quanto attiene la produzione artistica. Darò pure il mio contributo artistico alla stesura di un Saggio scritto a più mani e che probabilmente uscirà nel mese di novembre 2020. Sempre tante le mie collaborazioni con altri artisti. 

“SARIDDA E DON TONINO” | TESTO, VOCE E INTERPRETAZIONE DI ROSSANA LO GIUDICE

https://youtu.be/7voDOgv7ZOw 

Dove potremo seguirti?

Attualmente sulla pagina ufficiale Facebook cui sotto trovate il link di riferimento. Anche in diversi gruppi social dei quali sono amministratrice.

Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire ai nostri lettori?

Ringraziando te, Andrea! Il mio mentore, Maestro, il mio faro. Fonte inesauribile di cultura e conoscenza. Un pozzo da cui attingo continuamente “acqua”per sedare la mia sete di curiosità. Colui che ha stravolto positivamente la mia vita dandomi l’opportunità di farmi conoscere al pubblico. Colui che sta dietro ai miei successi, che mi elogia e redarguisce alla bisogna. Che pretende affinché raggiunga sempre il top. La guida che mi accompagna nel percorso artistico ma soprattutto umano. Un grande uomo, colto e spiccatamente sensibile. Soprattutto generoso.  “Possiamo scherzare ora, Andrea”?  “Sarà un successone”, anticipo la tua risposta, Dott. Giostra! Alla prochaine fois!

Rossana Lo Giudice

https://www.facebook.com/rossana.logiudice

Pagina Fb ufficiale de “I sospiri dell’anima” dove la silloge si può leggere gratuitamente online:

https://www.facebook.com/rossanalogiudiceartista/

Rossana Lo Giudice | Play List su Canale YouTube

https://www.youtube.com/playlist?list=PLwBvbICCL565tQ-oCuDEkMsmlmcf3gwe4

 

Andrea Giostra

https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/

https://andreagiostrafilm.blogspot.it

https://www.youtube.com/channel/UCJvCBdZmn_o9bWQA1IuD0Pg

 



Cinemadamare, a volte basta uno starnuto per gridare Covid-19

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Allarme in Ascoli Piceno per un raffreddore. Registi di Cinemadamare sottoposti a tampone, dopo che una di loro aveva manifestato febbre a 37. I tamponi sono risultati tutti negativi. Salta la manifestazione! di Emanuela Del Zompo Il giorno 24 agosto il raduno di Cinemadamare è arrivato nella città di Ascoli Piceno per girare cortometraggi per la promozione della città. Il 25 agosto si è tenuta la conferenza stampa di presentazione dell'evento presso l'auditorium del Polo di Sant'Agostino in corso Mazzini. Dopo la conferenza è stato comunicato che una ragazza del gruppo rimasta in palestra Monterocco, aveva la febbre a 37. Sono subito scattate le misure di precauzione e tutto il gruppo è stato messo in isolamento presso la palestra, sorvegliato dalla polizia municipale. L'asl è arrivata solo il giorno dopo a fare i tamponi che sono risultati tutti negativi.

La domanda che sorge spontanea, riferendomi agli organi di informazione locale, era  necessario, prima di verificare i dati e le informazioni, creare tanto allarmismo pubblico su una questione che si è rilevata una bolla di sapone?

Come cittadino e lettore ho il diritto ed il dovere di essere informato bene, con questo non voglio sottovalutare il problema Coronavirus, ma rivolgendomi ai colleghi della stampa, smettetela di scrivere titoli sensazionali, e dati non verificati, prima di pubblicare una notizia che molte volte mette nel panico il lettore e negativizza un evento che poteva dare lustro alla città di Ascoli Piceno.

"Quest'inverno con l'influenza stagionale, saremo tutti malati di Covid-19!"

NEL CENTENARIO DELLA NASCITA DI PAPA WOJTYLA UN LIBRO RICORDA LA VISITA IN POLONIA

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Il volume di Mario Narducci, già vaticanista de “il Popolo”, il 30 agosto in anteprima a San Pietro della Jenca - 
di Goffredo Palmerini
L’AQUILA - Nell’anno centenario della nascita di Karol Wojtyla - San Giovanni Paolo II, esce in questi giorni il volume “I giorni che sconvolsero l’Europa dell’Est - Il primo viaggio di Wojtyla in Polonia di Mario Narducci. Il fecondo poeta e scrittore aquilano, già vaticanista del quotidiano “il Popolo”, in questo interessante volume ricorda, attraverso i suoi reportage a seguito del pontefice, lo storico viaggio apostolico in Polonia di Giovanni Paolo II, nel giugno 1979. Narducci, che aveva già seguito gli ultimi anni di Paolo VI, è stato poi testimone diretto per un decennio delle visite apostoliche di Papa Wojtyla in tutto il mondo.

 

Domenica prossima30 agosto 2020, alleore 17.30, Mario Narducci presenterà in anteprima il suo libro nell’ultimo appuntamento della Rassegna “Il Giardino Letterario”, organizzata dall’Associazione culturale “San Pietro della Ienca”, laddove è situato il primo Santuario dedicato a San Giovanni Paolo II, nel luogo dove il Papa polacco andò più volte a rinfrancarsi e a raccogliersi in meditazione, all’ombra del Gran Sasso, montagna che egli molto amava, forse perché gli ricordava i Monti Tatra.

 

All’evento interverranno Pasquale Corriere, presidente dell’Associazione culturale “San Pietro della Jenca”, Liliana Biondi, già docente all’Università dell’Aquila, Stefano Pallotta, presidente dell’Ordine dei giornalisti d’Abruzzo, Goffredo Palmerini, scrittore e giornalista, Angelo De Nicola, giornalista e scrittore, Luca Bergamotto, direttore dell’emittente televisiva LaqTV, Franco Narducci, attore e regista.

 

L’incontro con lo scrittore Mario Narducci– scrive l’Associazione San Pietro della Jenca in una nota - chiuderà, con successo, la VII rassegna culturale “Il Giardino Letterario” che ha avuto l’obiettivo primario di contribuire a promuovere le attività culturali e sostenere la conoscenza turistica del territorio del Gran Sasso e della Città dell’Aquila. Intento dell’Associazione Culturale è proprio quello di promuovere, attraverso la cultura con ospiti di rilevanza nazionale, un turismo integrato e di qualità, favorendo ed esaltando la conoscenza delle specifiche peculiarità del territorio costituito dalla meravigliosa bellezza della montagna unitamente ai valori dei centri storici del territorio aquilano.”

 

Non casuale la data della presentazione, programmata proprio in coincidenza con la ricorrenza del 40° anniversario della visita apostolica di Papa Giovanni Paolo II a L’Aquila, il 30 agosto 1980, quando il Santo Padre celebrò la Santa Messa all’esterno della Basilica di Santa Maria di Collemaggio, dopo aver visitato la Basilica di San Bernardino, il traforo del Gran Sasso e il Santuario di Roio.

 

Il volume “I giorni che sconvolsero l’Europa dell’Est” di Mario Narducci, pubblicato da IAED Edizioni, riporta molte immagini e in Appendice tutti i discorsi e le omelie pronunciate da Giovanni Paolo IIin quella storica visita apostolica dal 2 al 10 giugno 1979. Reca inoltre la Presentazione di Stefano Pallotta e la Prefazione di chi scrive. Si riporta qui integralmente per dare meglio un cenno sull’opera di Mario Narducci, davvero molto interessante.

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PREFAZIONE di Goffredo Palmerini

Si legge tutto d’un fiato questo bel libro di Mario Narducci. Intanto per la qualità della scrittura, davvero di rango elevato, che coinvolge il lettore nel racconto facendogli vivere eventi ed emozioni, quantunque si tratti di reportage giornalistici di 41 anni fa. Un fatto storico che “fece la storia”: questo fu il viaggio di Karol Wojtyla nella sua Polonia nel giugno 1979. Papa Giovanni Paolo II andava in visita apostolica nella sua terra oltre cortina, l’anno dopo la sua elezione al soglio di Pietro, avvenuta il 16 ottobre 1978. Mario, allora vaticanista del quotidiano il Popolo che già aveva seguito nei suoi viaggi Paolo VInell’ultimo scorcio del pontificato, dopo il brevissimo papato di Giovanni Paolo I durato appena 33 giorni, si trovò a vivere una straordinaria esperienza da cronista giramondo per oltre un decennio, seguendo papa Wojtyla nei suoi numerosi viaggi. Alla fine del pontificato Giovanni Paolo II ne avrebbe contati ben 104 di viaggi apostolici, in ogni angolo del mondo. 

Questo volume, dell’eccezionale pontificato di papa Wojtyla, ne dà un luminoso saggio attraverso alcuni magistrali articoli che a tratti toccano livelli di finezza letteraria, descrivendo con pagine di grande giornalismo i nove giorni (2-10 giugno) della visita apostolica in Polonia del papa polacco, il primo non italiano dopo oltre quattro secoli e mezzo, da quando l’olandese Adriano VI aveva indossato la tiara nel 1522-23. Mario lo fa raccontando della visita del papa, con rigore ed acutezza di pensiero, non solo le celebrazioni (12 Messe con omelie) e gli eventi pubblici (con 37 discorsi), ma anche il contesto religioso, politico e sociale di quella Polonia che da quella storica visita apostolica non sarebbe più stata la stessa, nonostante tutti gli artifizi, i diversivi e le manipolazioni dell’informazione che il regime comunista aveva messo in campo.  

Da questi puntuali resoconti, ricchi di dettagli e citazioni, si comprende come la sensibilità e la perspicacia del cronista Narducci arrivano lucidamente ad intuire quale seme di cambiamento la visita di papa Wojtylaimpiantasse non soltanto nella comunità dei cattolici, ma nell’intera società polacca. E come quella storica visita sarebbe poi stata l’elemento catalizzatore più significativo e determinante, pur non potendo da subito vaticinarne l’evoluzione, dello straordinario processo di cambiamento che il pontificato di Giovanni Paolo II avrebbe messo in moto nella sua amata terra di Polonia, come poi nel mondo e nella vita della Chiesa. Una vera “rivoluzione” durante il suo pontificato, il più lungo nella storia della cristianità, se si eccettuano quelli di San Pietro apostolo e Pio IX.

Ho letto più volte il testo di questo libro, per poter scrivere queste modeste annotazioni. Per chi ha vissuto quegli anni, come me, attraverso queste splendide pagine Mario Narducci richiama alla perfezione il clima politico e il contesto spirituale ed umano di quella storica visita. Anche chi quegli anni non li visse ha possibilità di farsene un’idea compiuta di cosa significò per la Polonia, per la storia dell’Europa e per la Chiesa. Varsavia, Gniezno, Czestochowa, Cracovia, Wadowice, Auschwitz e Birkenau, Novi Targ, Mogila e ancora Cracoviale tappe di quella visita, niente affatto facile e scontata. L’avrebbe tanto voluta realizzare Paolo VI una visita in Polonia, ma non gli fu concesso dalle autorità (dal regime comunista), quantunque proprio quel Papa avesse continuato con il cardinale Agostino Casaroli la Ostpolitik verso i Paesi dell’Est, l’apertura diplomatica voluta da Giovanni XXIII. Una ferita, quell’inespresso diniego a Paolo VI – le autorità di governo polacche neanche risposero al desiderio di visita espresso dal papa –, che Giovanni Paolo II con molta franchezza sottolineerà in uno dei suoi discorsi durante la visita. 

Fu uno dei primi pensieri di Karol Wojtyla una visita pastorale in Polonia, appena eletto papa. Impartì in tal senso istruzioni alla Curia vaticana, la quale subito informò le autorità di Varsavia del desiderio del pontefice di far visita alla Polonia nella ricorrenza dei 900 anni del martirio di San Stanislao, che ricorreva nel maggio del 1979, avanzando la proposta di due giorni. Ovviamente la richiesta mise a soqquadro le cancellerie polacca e dell’URSS, con le preoccupazioni delle conseguenze politiche che la visita avrebbe potuto generare. Alla fine Leonid Breznev, segretario del Partito comunista sovietico che molto aveva influito sul regime polacco perché l’eventualità fosse rimossa, lasciò ad Edward Gierek, suo omologo polacco, tutta la responsabilità della decisione e delle conseguenze.


Tante furono le condizioni che Varsavia pose al Vaticano, in primis lo spostamento ad altro periodo e nessun collegamento alla ricorrenza del martire San Stanislao. Le intese alla fine si chiusero con l’accettazione da parte del Vaticano dello spostamento della visita nel mese di giugno, ma con l’allungamento di altri 4 giorni sul programma. Servizi segreti e polizie di mezza Europa furono coinvolti, non solo per sorveglianza e sicurezza com’è intuibile, e con infiltrazioni tra gli stessi pellegrini, in quel mare di cattolici che a molte centinaia di migliaia parteciparono con entusiasmo, malgrado le misure di dissuasione messe in atto dal regime. Il quale tentò in ogni modo di minimizzare la visita sui mezzi di (dis)informazione, con operazioni che oggi appaiono talmente goffe se non ridicole rispetto alla trionfale accoglienza del papa polacco. Lo denuncia chiaramente Mario nei suoi reportage, riportando le interferenze sulla stampa straniera del vice ministro polacco per gli Affari religiosi, Aleksander Merker.   

Così tra l’altro annotò Mario nel reportage dell’ultimo giorno di visita, a Cracovia: L'ultima giornata del soggiorno in Polonia era incominciata assai presto per il Papa. Alle 9, in piedi sul gippone bianco-giallo, i colori del Vaticano, compariva tra la folla che si era andata radunando sul «Blonia», gli sterminati prati alle porte di Cracovia, fin dalla notte precedente. Sembrava, per usare un'immagine biblica, la folla di Josafat, tanta era la gente: tre, quattro, cinque piazze S. Pietro insieme, e forse più. Non meno di due milioni di persone, la stima ufficiale, ma saranno state anche due milioni e mezzo. Mai vista tanta folla insieme.

Non indulgo in altre citazioni, lasciando al piacere della lettura del libro, se non in questa espunta dal reportage “Auschwitz, Golgota del mondo”, quando papa Wojtylaè in visita nel più grande tra i campi di sterminio nazisti. Ecco l’incipit dell’articolo di Mario:  Nel luogo del «terribile eccidio» che recò la morte a quatto milioni dei deportati di diverse nazioni e all'ombra di una grande croce cinta di una corona di filo spinato e drappeggiata con una bandiera a strisce, come la divisa dei deportati, con il numero del beato Kolbe, Papa Giovanni Paolo II ha levato alta la sua voce, all'omelia della messa celebrata per le vittime del nazismo, contro la barbarie umana, contro le guerre, contro ogni violazione della dignità dell'uomo. È stato, quello di oggi pomeriggio, 7 giugno, certamente il momento più coinvolgente e drammatico della visita del Papa nella sua terra e nella sua diocesi. […] Eccolo adesso, il Papa, come un gigante nei paramenti del pontificale, puntare il dito contro ogni nemico dell'uomo. Dal suo volto è scomparso il sorriso per lasciare posto alla piega della sofferenza. Conosce bene questo luogo «costruito per la negazione della fede in Dio e per calpestare … tutti i segni della dignità umana, dell'umanità».

 

Forte e chiara la voce del Pontefice risuonò nel richiamare la storia della Polonia, nel corso della liturgia nella grande piazza di Varsavia: «Non è possibile capire, senza Cristo, la storia della nazione polacca, di questa grande e millenaria Comunità […] È impossibile comprendere la storia della Polonia, da Santo Stanislao a Massimiliano Kolbe, se non si applica loro, ancora, quell'unico criterio fondamentale che porta il nome di Gesù Cristo». E nelle omelie e discorsi il richiamo costante ai diritti fondamentali dell’uomo, alla libertà religiosa, alla dignità umana, ai rapporti tra Stato e Chiesa. Un crescendo che scuote e imbambola i funzionari del regime, presenti a migliaia, ingessati nel loro mutismo e nell’impassibilità quando la marea di gente accorsa – moltissime migliaia di giovani con i quali il papa stabilisce da subito un feeling intenso – ferma e attenta alle parole del pontefice, si apre poi agli applausi festosi, sottolineandone i passi salienti. 

 

La visita fu una vittoria su tutti i fronti. Un successo strabiliante per partecipazione ed entusiasmo del popolo polacco. Avremmo poi visto come sarebbe evoluta la Polonia negli anni successivi, in una transizione verso la democrazia inimmaginabile senza questo precedente. Avremmo ancor di più visto ed ammirato di questo papa il coraggio, la determinazione, la capacità di parlare ai giovani, la sua forte testimonianza, i gesti profetici, l’attentato in piazza San Pietro, le esortazioni a non aver paura e a “spalancare le porte a Cristo”, le memorabili Giornate mondiali della Gioventù, l’eroismo nella malattia degli ultimi anni fino a consumarsi per sempre, nella completa dedizione a Dio, in quella dolorosa serata del suo transito, il 2 aprile 2005. Un gigante della Fede e della Storia.

 

Noi aquilani l’avremmo visto nelle sue tre visite apostoliche nell’agosto 1980 a L’Aquila, poi con i giovani Scout ai Piani di Pezza di Rocca di Mezzo, e ancora nel giugno 1993 a Campo Imperatore sul Gran Sasso, all’inaugurazione della chiesetta della Madonna della Neve restaurata dagli Alpini. Su quei nostri monti molte decine di volte sarebbe venuto in segreto a rinfrancarsi, forse perché gli ricordavano i suoi Monti Tatra. Ancora qui, sulle nostre montagne, a sei anni dalla morte, egli accolto tra i Beati, nel 2011 gli sarebbe stato dedicato il primo Santuario, la piccola chiesa di San Pietro della Jenca. Tre anni dopo, il 27 aprile 2014, entrava nella schiera dei Santi. Un papa amato, Giovanni Paolo II, che è nel cuore degli aquilani.

 

 

CARLOTTA BOLOGNINI: CINEMA MON AMOUR

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di Caterina Guttadauro La Brasca - In questo pezzo parleremo di una persona che, per le caratteristiche che riveste, dà all’articolo un carattere di unicità: Carlotta Bolognini. È cresciuta A PANE E CINEMA, ha respirato aria di palcoscenico con due persone che sono la Storia del Cinema Italiano: Manolo e Mauro Bolognini, il papà produttore e lo zio regista. 
Un mondo che per tutti è un sogno ma per Lei era la quotidianità, vissuta senza vanto e senza spinte ma che è stata sicuramente l’inizio di un cammino che  l’ha resa la Produttrice e Sceneggiatrice di talento che è oggi. Ha riportato in un libro i suoi ricordi che sono un intreccio di sentimenti ed eventi: affetti, artisti, emozioni, conoscenze, ricordi che la rendono testimone di un’epoca in cui il Cinema ci rappresentava con fedeltà, ci catturava perché reso credibile dalla volontà di raccontare la vita, i rapporti, la storia in ogni senso, da quella delle famiglie a quella sociale e storica.

Tra l’altro ciò di cui parliamo mi riporta al mio passato di ragazza in una Sicilia anni 60, ad un invito a vedere un film che catturò la mia attenzione e la cui regia era di Mauro Bolognini.

Non si investivano le ingenti somme di oggi ma i risultati erano lusinghieri e riconosciuti perché chi guardava un film si riconosceva nei personaggi, si rideva, ci si commuoveva perché il Film era lo specchio di quel tempo, che oggi forse quelli della mia generazione rimpiangono.

Carlotta respirava l’aria del palcoscenico, assorbiva senza saperlo dei dettami che sarebbero stati la sua scuola.

Non ha avuto né voluto sconti, ha iniziato a rendersi utile portando il caffè, a vivere le scene con i più grandi attori che suo padre e suo zio tennero a battesimo e lanciarono sulla scena internazionale.  

Carlotta è la depositaria di cotanto valore e con giusta ragione ne è fiera e consapevole.    

Ha lavorato nella produzione in diversi film, collabora con il Centro Culturale Mauro Bolognini. 

Ha scritto il libro intervista Manolo Bolognini, la mia vita nel cinema, ricordi e aneddoti di backstage di oltre 50 anni di cinema del padre. Ha ideato, prodotto e sceneggiato il docufilm Figli del set, un omaggio al cinema, visto attraverso gli occhi del figli di ogni settore del cinema, con Ricky Tognazzi, Danny Quinn, Saverio Vallone, Fabio e Fabrizio Frizzi, Renzo Rossellini, Alessandro Rossellini, Simona Izzo, Claudio Risi, George Hilton e tantissimi altri, voce narrante di Giancarlo Giannini. Il docufilm ha partecipato come evento speciale al Giffoni Film Festival a Taormina e ai David di Donatello. Carlotta Bolognini ha ricevuto parecchi premi, proprio qualche giorno fa il Premio Apoxiomeno a Forte Dei Marmi dove si è svolta la XXIV edizione del Premio internazionale Apoxiomeno, prestigiosa manifestazione promossa dell’International Police Association (Ipa) in collaborazione con l’Associazione Arte di Apoxiomeno che ogni anno regala iniziative di grande spessore culturale. 

Il 16 febbraio 2018 è stata invitata a Montecitorio, alla Camera dei deputati, per organizzare un evento in ricordo di Manolo Bolognini. 

D. Carlotta, Lei ha un cognome “di sostanza” a livello umano e professionale. Ha dovuto fare i conti con questo?

R. Ho dovuto fare i conti con il mio cognome da tutta la vita, in bene e in male. Si sono aperte tante porte ma ho subito tantissimi " sgambetti", abbracci sinceri ma tanti, troppi tradimenti. Più o meno come nella vita di tutti. Sicuramente però, ho sempre dovuto lavorare più degli altri, per dimostrare che ero su quel lavoro o set perché ero capace e non per il nome (i miei non mi hanno mai raccomandato, anzi) e, soprattutto, non mi è stato mai permesso sbagliare. Spesso è molto pesante, perché si aspettano sempre il massimo da me.                               

D. Preferisce che di suo Padre e suo Zio si dica che furono due grandi del Cinema o due persone oneste e perbene, anche se l’uno non esclude l’altro?

R. Assolutamente che sono stati due Uomini onesti, generosi, perbene, due grandi signori. Quando penso a loro, cioè ogni giorno, ricordo le nostre giornate insieme, i pranzi di famiglia, tutto quello che mi insegnava zio e molto meno di quando erano sul set. Erano i miei due splendidi Papà, a cui devo tutto. Mi hanno dato dei valori profondissimi, come l’onestà e il rispetto. Valori che non ho mai tradito.

D. Quando ha avuto la consapevolezza di voler fare questo lavoro?

R. Da quel che ricordo, verso i cinque anni. Papà stava girando Django e io lo assillavo perché volevo lavorare. Un giorno, forse, lo presi per stanchezza, mi diede un Block notes, una penna e mi mise accanto alla segretaria di edizione. Mi disse «Guarda se è tutto a posto nelle scene, se ci sono sbagli, se la scena è buona o no e scrivi tutto ". Mi sentivo grande, lavoravo! Fui serissima! C’era solo un problema ...non sapevo ancora scrivere! Non ricordo cosa scarabocchiavo, ma da lì cominciai a stare attenta ad ogni dettaglio, a trovare sbagli o cose in campo che magari i tecnici non notavano. Da quel momento capii che era la mia passione.     

D. Se ne è mai pentita?

R.   Pentita mai!  Disillusa e demoralizzata ...tanto! 

D. Qual è la sua opera in cui si è messa in gioco consapevole di rischiare confronti con dei MOSTRI SACRI come suo padre e suo zio?

R.  Nessuno dei miei lavori può essere nemmeno minimamente messo a confronto con i capolavori della mia Famiglia! Ma nemmeno una briciola per carità!  I loro lavori, come quelli di tanti loro grandi amici e colleghi, sono irripetibili!  Visconti, Zeffirelli, Tosi, De Sica, Rossellini, Germi, Pietrangeli, Zampa...sono cime che non si raggiungeranno più!

D. Cosa le manca ancora oggi di suo padre?

Di mio padre mi manca soprattutto il suo sorriso sornione mentre raccontava le bellissime storie dei suoi film, i nostri pranzi domenicali, il suo profumo Eau Sauvage. Di zio, le sue telefonate giornaliere, io e lui sul divano della casa di Piazza di Spagna a chiacchierare, i pranzi che preparava per gli amici e il caos che faceva solo per un sugo, le risate che ci facevamo, i suoi abbracci e i suoi insegnamenti. 

D. Non mi piace chiedere a chi ho dinanzi di fare delle scelte anche perché ognuno di noi è figlio del proprio tempo ma dovesse dire il loro film che più ha amato, sarebbe?

R. I film che ho più amato sono: Arrangiatevi, il bell’Antonio, La Pelle, Un uomo da rispettare, The sicilian cross gli esecutori, il generale della Rovere, "Guardia, guardia scelta, maresciallo", L eredità Ferramonti, Fatti di gente perbene, Metello e tanti altri.                                                                                                                 

D. Un consiglio da dare ai giovani che vorrebbero vivere il palcoscenico?

R. Ai giovani dico sempre STUDIATE! Studiare anche il passato, le basi, sono fondamentali! Vedo tante, troppe lacune.              

D. Ha un sogno nel cassetto?

R. In questo momento il mio sogno nel cassetto è riuscire a realizzare un docufilm che ho scritto, una storia verissima, straordinaria. È' veramente una Bomba!  E anche riuscire a portare a termine un progetto sul quale sto lavorando da marzo, sotto lockdown ...speriamo speriamo!   

D. Gli attori contemporanei che preferisce? 

R.   Gli attori che amo adesso tra gli italiani, Edoardo Leo, Marco Giallini, Pierfrancesco Favino, Carolina Crescentini, Vittoria Mezzogiorno e il sempre caro Giannini. Gli stranieri: Anthony Hopkins, Colin Firth, Tom Hanks, Daniel Craig, Cameron Diaz, Jude Law.

D. Si definisca con una frase.

R.  Onesta fino dentro le ossa!

È veramente impressionante come una semplice intervista possa illuminarci nel dare un giudizio su di Lei. Oggi ho trascorso un po’ del mio presente proiettata nel passato e posso dire che ho ritrovato in una Donna il meglio di due grandi Uomini. Carlotta ha e continua a dare lustro meritato a due grandi persone della Cinematografia Mondiale e, forse, proprio perché ne è la figlia e la nipote, mette in gioco tutta se stessa in ogni lavoro, ovviamente rapportandosi al tempo che si rappresenta.

In Cinema va sorretto economicamente, dagli Organi preposti, perché è Cultura, specchio dei costumi e delle tradizioni da tramandareai nostri figli.

E’ una bella persona questa figlia d’Arte e il successo, i risultati raggiunti, i Premi meritati non le hanno fatto perdere l‘umiltà ed il valore di ciò che veramente conta. Noi la ringraziamo, augurandole tanti successi, nella convinzione che ovunque siano Manolo e Mauro Bolognini sicuramente sono fieri ed orgogliosi di Lei. 

Caterina Guttadauro La Brasca

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