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Trilogia Millenium di Stieg Larsson, tutti i lunedì dal 3 agosto alle 21.15 su CIELO

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Nati dal caso editoriale della trilogia Millenium di Stieg Larsson tornano il lunedì in prima serata sugli schermi di Cielo i tre lungometraggi scandinavi di Niels Arden Oplevche e di Daniel Alfredson, “Uomini che odiano le donne”, “La ragazza che giocava con il fuoco”, “La regina dei castelli di carta”.

Tutto ha inizio dalle indagini del giornalista Blomkvist (Michael Nyqvist) e dell’hacker Lisbeth (Naomi Rapace) alle prese con il mistero della scomparsa, avvenuta anni prima, della bella Harriet Vanger, giovane membro della potente Vanger. Dopo aver collegato la scomparsa di Harriet a una serie di orrendi delitti avvenuti una quarantina d’anni prima, i due investigatori cominciano a dipanare una storia familiare oscura e sconvolgente. Ma i Vanger sono gelosi dei loro segreti, e Blomkvist e Lisbeth scopriranno di quanti delitti si siano macchiati pur di difenderli.

Ne scaturisce un ritratto al vetriolo della società svedese, in contrapposizione con l’immagine spesso idilliaca cui siamo abituati, bilanciato però dal desiderio di verità, dalla volontà di reagire manifestata tanto da Blomkvist che dalla giovanissima Lisbeth Salander; un’eroina atipica, resa solo in apparenza fragile da un passato di violenze domestiche e dal fisico tendenzialmente anoressico, capace invece di sprigionare una determinazione e una forza a prima vista impensabili.

ll cupo universo di Millennium torna su Cielo in tre serate dai risvolti tenebrosi e inquietanti.

R.O

- Lun 03/08 alle 21.15 = Uomini che odiano le donne del 2009

- Lun 10/08 alle 21.15 = La ragazza che giocava con il fuoco del 2009

- Lun 17/08 alle 21.15 = La regina dei castelli di carta del 2009

Ely Rozenberg e il design per risolvere problemi in modo elegante ed estetico. L'intervista di Fattitaliani

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Domenica 2 agosto alle 19.15, nel giardino del Monastero, per la sezione “Calvi Incontri" del Calvi Festival diretto da Francesco Verdinelli, si potrà assistere all’interessante conferenza con Ely Rozenberg, dal tema “Design come metodo di azione per risolvere problemi" a cura di Victoria Mesistrano. Industrial design, light design, materiali e tecnologie innovativi si incontrano nella creazione. Fattitaliani ha intervistatol'industrial designer, professore di industrial design, curatore, produttore di mostre di design ed imprenditore di design.
Ci parla un po' di sé e dei suoi inizi?
Sono nato nell'ex Unione Sovietica, in Tajikistan, a Dushanbé, la capitale, e all'età di 8 anni la mia famiglia è emigrata in Israele, dove ho frequentato la Bezalel Academy of Art and design che è un'accademia storica di Belle Arti di Gerusalemme fondata nei primi del '900. Nel '98 ho partecipato al Fuori Salone del Salone del Mobile di Milano, creando, insieme a due partner una collezione di lampade realizzate con un filo luminoso che era un materiale innovativo prodotto esclusivamente da una startup israeliana. Abbiamo ricevuto un'incredibile visibilità  mostrandoci nel cuore del design mondiale, grandi riscontri della stampa internazionale, ma eravamo ancora impreparati a gestire la parte commerciale, ovvero a tradurre quel successo in termini di ordini e produzione.
Quando e per quale occasione è iniziata la sua "relazione" con l'Italia?
Dopo la Laurea ho deciso di trasferirmi in Italia per due motivi principali: uno perché mia moglie era italiana, che mi aveva seguito in Israele durante i miei anni di studio universitario, e inoltre perché ho iniziato ad avere un interesse, anzi una passione per l'Italia ancora prima di iniziare i miei studi. Sapevo che prima o poi avrei voluto tentare di rimanere a vivere e lavorare in Italia per un periodo.
Il tema che tratterà a Calvi dell'Umbria “Design come metodo di azione per risolvere problemi" sembra davvero ambizioso. In che maniera l'approccio può essere realistico e realizzabile quotidianamente?
Secondo l'opinione diffusa il designer 'qualcuno che fa delle belle cose', invece io appartengo alla visione che il design sia uno strumento per risolvere problemi in modo possibilmente elegante ed estetico. Uno degli studi più importanti di design al mondo IDEO, che ha collaborato con la Apple e con tantissimi altri brand importanti, come il design del mouse Apple, ha codificato un metodo che si chiama Design Thinking. Oggi questo metodo viene insegnato ed appreso nelle scuole più importanti di MBA  (master di Business Administration).  Questo è un riconoscimento rispetto al fatto che il design thinking sia un vero e proprio metodo per risolvere qualsiasi problema di ordine pratico. Paradossalmente questo metodo non è così tanto seguito nelle scuole italiane di design. Ad esempio, il monopattino elettrico rappresenta una soluzione di design e di tecnologia per rispondere alle esigenze contemporanee nel traffico dei centri urbani. Nella mia conferenza illustrerò il caso di un designer imprenditore israeliano che ha puntato tutto su una produzione di monopattini elettrici già nove anni fa, ipotecando la sua casa, pur di produrre e commercializzare il suo monopattino che qualche anno fa è diventato un simbolo dello stile di vita della Tel Aviv contemporanea.
In che misura imparare l'italiano Le ha permesso di conoscere meglio e approfonditamente gli italiani e la nostra cultura?
L'amore per l'Italia e la lingua italiana convivevano in me  e crescevano simultaneamente. Ho iniziato già in Israele a studiare l'italiano, poi mi sono trasferito a Roma per fare un corso intensivo di lingua e cultura. All'epoca era raro trovare in ambiente professionale persone che parlassero inglese, ed anche oggi la conoscenza dell'inglese non è sufficiente per ambientarsi in Italia. Considero la conoscenza della lingua fondamentale per  comprendere la cultura locale. In Italia si aggiunge la stratificazione dei dialetti, dove mi sono divertito anche a cercare di sintonizzarmi con lo spirito particolare ed unico di certe espressioni, ad esempio con l'abruzzese. Ognuno di noi nasce con una identità ma alcuni scelgono anche di adottarne un'altra, o più di una. Per me era naturale, venendo da una famiglia ebraica in cui gli spostamenti e la padronanza di lingue erano molteplici: il russo e l'ebraico sono madrelingua, l'inglese è una lingua strumentale, l'italiano è la mia vera lingua di adozione.
A che punto è -secondo lei- il design italiano? c'è ancora una cifra, un segno di riconoscimento?
Il design italiano è stato messo a dura prova negli ultimi vent'anni per i processi di globalizzazione, ritirandosi da settori di fascia medio bassa come oggettistica e utensili e perdendo del tutto settori strategici dei prodotti informatici, come ad esempio la Olivetti, o quello degli elettrodomestici.
Nonostante questo, l'Italia rimane caratterizzata da migliaia di aziende piccole e familiari di alta qualità, di complementi di arredo ed accessori  che costituiscono un panorama imparagonabile per qualità e stile rispetto ad altri paesi. La dimensione piccola è il tallone di Achille della capacità di marketing e vendita di queste ditte che non possono permettersi grandi budget di ricerca e sviluppo ma sono comunque un ecosistema unico e imparagonabile per diversità e ricchezza rispetto a qualsiasi paese nel mondo. Visitando le fiere si distingue subito lo stile nell'allestimento dei prodotti e nella cura della presentazione italiana, e quando oggi si vede un'azienda  turca, polacca, lettone o altra che lo fa altrettanto bene, è perché hanno imparato virtuosamente dall'Italia.
Quanto il coraggio decisionale dei politici permetterebbe al design di dispiegarsi e operare al meglio? Mi viene da pensare a Milano e Roma o altre città...
Manca un incoraggiamento alle startup innovative nel settore del design. I budget dedicati ai bandi sul design sono ridicoli e non premiano spesso il design innovativo bensì applicano una selezione basata sulla corsa per aggiudicarsi il "numeretto" dei primi arrivati e l'ordine di arrivo non sempre corrisponde alla scala di qualità.
Inoltre, la comunicazione dell'assegnazione dei fondi e della reale possibilità di avviare il progetto spesso subisce tempi lunghissimi, non compatibili con la velocità del mercato e della concorrenza, quindi il prodotto della startup innovativa  rischia di non essere più così innovativo dopo due anni...
A quale progetto sta attualmente lavorando?
Sto lavorando su alcuni progetti. Uno con una startup innovativa nell'ambito della Fintec (financial technology), un progetto di  tecnologia indossabile, accessorio per pagamenti digitali.
Un altro riguarda una cargo bike elettrica che impatta sulla mobilità urbana per piccoli trasporti merce. Un altro coinvolge altri ricercatori ed è legato a sistemi di illuminazione sanificanti.
Inoltre, continuo a sviluppare la startup innovativa di cui sono socio "Caffè con vista" che produce oggetti, come ad esempio tazzine e piattini con vista immersiva basati su principi di arte anamorfica.
Dopo la collezione Roma, ora stiamo lavorando su nuovi siti storici e paesaggistici di valore nel Sud italia. Un progetto legato alla valorizzazione territoriale.
Negli anni in che direzione si è mosso ed è cambiato il suo concetto di design?
Mentre dapprima il design, per me, era soprattutto ricerca di materiali innovativi  e tecnologie di produzione nuove da applicare al design, oggi cerco progetti che oltre alla sfida tecnologica risolvano i veri problemi, fornendo soluzioni adeguate alla vita quotidiana. Oppure, come nel caso delle tazzine immersive, la direzione era quella di creare un prodotto contemporaneo che  potesse rispecchiare il patrimonio culturale del luogo, ricostruendo l'esperienza vissuta nel posto in modo più completo e incisivo rispetto ad altre tecniche rappresentative.
Per questo, dietro quella bellezza, c'è una ricerca di ottica ed un brevetto.
Giovanni Zambito.
L'ingresso all’Incontro con Ely Rozenberg è libero. Si può prenotare telefonando o recandosi direttamente presso il Punto Informazioni Turistiche (telefono 3339615741; sede in piazza Mazzini n°14. Orario di apertura al pubblico: mattino 10/13; nel pomeriggio un’ora prima degli eventi). Sito ufficiale: www.calvifestival.it.
Ely Rozenberg
Come professore di Industrial Design ha coordinato il corso di design di RUFA (Università di Belle Arti di Roma). Come titolare di uno studio di design, ha lavorato con piccole e grandi organizzazioni come la multinazionale MMC (Mitsubishi Chimical Coorporation), Algida (Unilever), Leo Burnett, Osram, IBM, MIbacT ed altri. Negli ultimi anni è coinvolto in start-up nel campo del WT (wearable technologies) e del merchandising culturale con cui ha vinto bandi del Ministero dello Sviluppo italiano. E’ stato insignito di numerosi premi, come il primo Compasso d'Oro International Award ® 2015, RED DOT BEST OF THE BEST ® 2012 e GOOD DESIGN ® AWARD 2017 della Chicago Athenaeum Museum of Architecture and Design.

LUCCA CITTÀ DI CARTA: DAL 28 AL 30 AGOSTO LIBRI, CULTURA E ARTE PROTAGONISTI D’ESTATE

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AL REAL COLLEGIO AUTORI, EDITORI, GIORNALISTI, STAMPATORI E ARTISTI. TRA GLI OSPITI MARCO VICHI, LUCA NANNIPIERI, GAIA NANNI, FRANCESCA DURANTI, FABRIZIO SILEI

Non una vetrina spot, ma un evento annuale che faccia e metta in rete, produca cultura in modo concreto, scopra talenti, valorizzi il territorio, sia dibattito d’attualità e avvicini grandi e piccini alla cultura del libro e della carta con attività divertenti. Si presenta così “Lucca Città di Carta”, il primo festival della città delle Mura dedicato ai libri e alla carta, che si terrà, dopo uno stop forzato e relativo spostamento causa Covid, sempre al Real Collegio, ma dal 28 al 30 agosto 2020, a ingresso gratuito (orari: 28 e 29 agosto 15-24; 30 agosto 10-22).
Organizzato dalle associazioni culturali Nati per Scriveree L’Ordinario – con sostegno di Regione Toscana e Comune di Lucca e il patrocinio di Ufficio Scolastico IX Lucca Massa Carrara – “Lucca Città di Carta” propone un programma trasversale con circa cento eventi in tre giorni, adatto sia agli appassionati lettori, sia a chi ama la storia e l’arte della carta e della scrittura. Il Festival sarà una vera e propria fucina di cultura in movimento, dove i visitatori potranno apprendere divertendosi, tra laboratori, conferenze, esposizioni e letture; grazie alla partecipazione di stampatori, calligrafi, artisti e illustratori presenti con tante attività, il pubblico potrà provare il piacere di mettere letteralmente le “mani in carta” e non solo, il tutto nel rispetto delle norme anti-covid. Tanti gli ospiti attesi, oltre sessanta le presentazioni di libri, un’area interamente dedicata ai bambini, prodotti artistici dal vivo, due progetti editoriali a firma festival e un piccolo punto ristoro per fare una pausa.
“Se dovessimo usare un’immagine per descriverlo – spiegano Romina Lombardi e Alessio Del Debbio, ideatori di “Lucca Città di Carta” e presidenti delle rispettive associazioni culturali -  questo Festival sarebbe quella delle mani e del cuore di tante persone che da due anni credono e sostengono questo progetto e che ci hanno spinto ad andare avanti, nonostante il Covid e tutte le difficoltà incontrate. Questo è il Festival dei particolari: dei libri usciti letteralmente dalle soffitte, delle mani che riproducono miniature, calligrafie particolari, incisioni d’arte e carte, del profumo delle cose vecchie, come le macchine da stampa, e di quello dei libri, delle tenaci parole degli editori indipendenti, della fatica della nascita di tanti progetti culturali. Questo è “Lucca Città di carta”. Non una bella vetrina che riluce per tre giorni l’anno, ma una produzione dal basso, che crea prodotti di qualità e collaborazioni durature, oneste e fattive. Una chiamata continua per chiunque abbia voglia di fare cultura di qualità rispettando i vecchi valori di impegno e meritocrazia. E ovviamente speriamo che sia una grande festa della cultura per tutti, un po’ più contenuta rispetto al previsto, ma comunque una festa.”
“Lucca Città di Carta” rientra nel Patto per la Lettura di Regione Toscana ed è realizzato con il sostegno di Regione Toscana e Comune di Lucca, Real Collegio, Colorè, Unicoop Firenze, Carrozzeria Tris, Autocarrozzeria NuovaEra, La Salana, Blume Immobiliare, Cesarsedia, Fondazione Parco Nazionale di Collodi, Sinapsi Group, in collaborazione conBiblioteca Agorà, Metro Srl, Lucca Biennale, NessunoPress, Consorzio di promozione turistica della Versilia, Lucca Info&Guide, Ubik Lucca, Puccini Museum, Lu.C.C.A.Lucca Center of Contemporary Art, Stamperia d’Arte Busato, Emporium Athestinum, Società Operaia Cascina, associazione culturale L.A.P.I.S, Consultorio “La famiglia – Lucca”, Elisabetta Donaglia e Marina Miragoli. Media Partner: Radio Bruno, Toscana Libri, Leggere:Tutti.
Ecco nel dettaglio la proposta della rassegna culturale.
OSPITI ED EVENTI.  Tra gli ospiti attesi al Festival Marco Vichi e Leonardo Goriin un esilarante “duo” in giallo, in dialogo con Sandra Tedeschi (28 agosto, ore 21.15); lo storico e critico d’arte Luca Nannipieri con il suo ultimo libro dedicato a Raffaello e protagonista di una tavola rotonda sulla cultura in Italia (il 28 agosto alle 18.45 e 29 agosto ore 18.30); la grande scrittrice Francesca Duranti in una delle sue rare apparizioni a eventi pubblici, protagonista di un’intervista-omaggio a cura di Andrea Pannocchia (29 agosto ore 19.00); i giornalisti Angelo Mellone, scrittore e capostruttura Rai che al festival presenterà “Fino alla fine”, l’ex Ilva e i fallimenti di un paese (29 agosto ore 21.15), Angela Iantosca, da sempre impegnata sui temi sociali con il suo “In trincea per amore. Storie di famiglie nell’inferno delle droghe”(28 agosto ore 21.00) e Damiano Grognali, inviato di SkyTg24 che in assoluta anteprima al Festival terrà una speciale lezione sull’uso e studio del mezzo e fenomeno PODCAST (30 agosto ore 15.00).
Il Premio Andersen Fabrizio Silei sarà invece protagonista (sabato 29 agosto alle ore 15.15) di un evento speciale realizzato in collaborazione con  Biblioteca Agorà e L'Ornitorinco Atelier dal titolo“Trappola per volpi, ovvero scambiamoci una storia”: un incontro-narrazione condotto dall'autore con uno scambio di storie dei partecipanti a partire da una vecchia foto che il pubblico dovrà portare. La nota attrice toscana Gaia Nanni sarà interprete delle poesie scritte da Elisa Cordovani contro la violenza di genere nel libro prodotto dal Festival “Un gioco che non sono io” (vedi proseguo cartella stampa). Attesa sabato 29 agosto alle 17.30 per il grande esperto di comunicazione Riccardo Pirrone, colui che ha creato il fenomeno social di Taffo, l’agenzia funebre più irreverente e conosciuta d’Italia. Al Festival, in un’intervista con la giornalista Margherita Grotto presenterà il libro appena uscito “Taffo, ironia della morte”. Tra gli eventi legati all’attualità anche la presentazione del libro “Ponte Morandi, il sesto senso di un soccorritore” di Alessandro Basile (28 agosto ore 15.15), e “Le guerre degli altri”di Marco Giaconi (29 agosto ore 17.15).
Inoltre spazio alle presentazioni delle case editrici indipendenti e ai nuovi talenti letterari, con incontri continui nelle tre sale intitolate ai grandi autori della letteratura italiana: Montale, Leopardi, Pirandello. Per il programma completo degli eventi e le informazioni in tempo reale si rimanda al sito ufficiale del Festival: www.luccacittadicarta.it
SPAZIO LIBRI.  Oltre sessanta gli stand tra editori, associazioni culturali, collettivi, autori e agenzie letterarie provenienti da tutta Italia per proporre i migliori prodotti editoriali del panorama indipendente. Dal fantasy al thriller storico, dalla poesia all’arte, fino alle tavole rotonde sui temi caldi dell’attualità con un’attenzione particolare per i valori e le nuove generazioni. A “Lucca Città di Carta” sia i libri proposti che gli incontri regaleranno un panorama trasversale per far nascere un momento importante e duraturo di condivisione e scambio culturale.
Spazio anche per gli aspiranti autori, che potranno presentare i propri manoscritti direttamente agli editori, durante lo speed-date letterario in programma per domenica 30 agosto, e per i poeti, invitati a declamare le loro composizioni durante il reading poeticoorganizzato dall’associazione culturale L.A.P.I.S, venerdì 28 agosto.
PADRINI E MASCOTTE SPECIALI. La nascita del Festival ha avuto due padrini d’eccezione che nel corso del tempo lo hanno sostenuto con dedizione: lo scrittore Marco Vichie lo storico e critico d’arte Luca Nannipieri, entrambi ospiti di “Lucca Città di Carta”.
Tra le particolarità, anche una mascotte speciale: grazie a Fondazione Nazionale Carlo Collodi e a Sinapsi Group,ospite d’eccezione e porta-fortuna presente al Festival sarà un Pinocchio giornalista-scrittore realizzato interamente in legno dall’estro di Mauro Lampo.
LIBRI E OLTRE. Le pagine dei libri si aprono su musica e teatro, con tre eventi originali. Il gruppo teatrale “Gli itineranti”, di Carrara, metterà in scena la performance “Frammenti di Amir”, ispirata al romanzo “In viaggio con Amir”, di Melania Soriani (Leucotea Edizioni), una storia di scoperta del mondo e di rispetto per le diversità (28 agosto, alle 21.30, in Sala Leopardi). La band “Joe Natta e le Leggende Lucchesi”, che da anni trasporta in musica le storie e le leggende toscane, si esibirà nel suggestivo Chiostro di Santa Caterina, in una serata speciale dedicata al folclore locale, affiancata dal professor Paolo Fantozzi e dallo scrittore Alessio Del Debbio, alternando letture a racconti delle nostre tradizioni (29 agosto, dalle 21.00). Alessandro Agostinelli presenterà il suo libro “Benedetti da Parker” (Cairo Editore), il romanzo sull’incontro tra Dean Benedetti e Charlie Parker, una storia sul jazz, l’America e la provincia italiana, quella di Torre del Lago Puccini, del dopoguerra, in una presentazione-lettura accompagnata dalle straordinarie improvvisazioni del noto contrabbassista Nino Pellegrini (30 agosto, alle 18.30, Chiostro di Santa Caterina).
LE ESPOSIZIONI PERMANENTI DI LUCCA CITTÀ DI CARTA. Dalle antiche e rare macchine da stampa storiche, in mostra grazie all’Associazione veneta Emporium Athestinum, agli antichi timbri e carte di Torello Tarabori visibili per la prima volta, dalla Divina Commedia scritta a mano e dalle miniature di Giulietta Biagi, ai libri d’artista di Lucilla Cunico, dai ritratti dei grandi scrittori e poeti di Bruno Pollacci agli acquerelli di Aldo Marchegiani che raccontano la bellezza di Lucca.
Imperdibile, inoltre, una passeggiata nella Galleria degli Artisti, nei corridoi del primo piano del Real Collegio, per ammirare illustratori, disegnatori e grafici al lavoro, dal vivo, nei tre giorni del festival.
LABORATORI PER GRANDI E PICCINI. Sicuramente tra i primi obiettivi del Festival, già nella fase embrionale, c’è sempre stato quello di far sì che la rassegna diventasse un luogo fisico e mentale dove grandi e piccini incontrassero la cultura, il libro e la carta, divertendosi, possibilmente insieme. Grazie alle numerose collaborazioni, tra cui quelle con Biblioteca Agorà, Fondazione Nazionale Carlo Collodi, Emporium Athestinum,Libreria Leggi e Sogna, Elisabetta Donaglia, Silvia Talassi, Alice Walczer Baldinazzo e Stamperia Busato di Vicenza, nonostante le difficoltà legate all’emergenza Covid, il Festival, rispettando le normative, avrà i suoi laboratori: da quelli per i più piccoli, con la creazione di segnalibri e speciali oggetti in carta come i nasini di Pinocchio, le farfalle, le lettere di Don Chisciotte, le letture animate e gli approfondimenti su alcuni autori come Gianni Rodari, a quelli per i più grandi come quelli di scrittura creativa, calligrafia, prove di stampa e molto altro. I laboratori sono gratuiti con prenotazione consigliata a eventi@luccacittadicarta.it
SPAZIO BIMBI. Grazie alla Libreria Leggi e Sogna, di Sestri Levante, il Festival avrà uno spazio lettura comodo e accogliente, con tappeti lavabili (di modo che possano essere igienizzati dopo ogni accesso/passaggio), con un assortimento di libri da sfogliare liberamente (dopo l'uso del gel disinfettante) tutto a disposizione di bambini e genitori. Ma anche uno spazio con tante, semplici attività, per dare il via alla fantasia, a partire da carta e colore. Tra le iniziative: un laboratorio inventastorie, un angolo dedicato ai 100 anni di Gianni Rodari con una piccola mostra fotografica, libri, storie, animazione e letture continuative.
ITINERARI EXTRA: Lucca è da sempre luogo d’incontri e di passaggio di intellettuali, scienziati, artisti e grandi personaggi storici. Fra gli stretti vicoli del suo centro storico e le sue strade principali, circondate dalle imponenti Mura rinascimentali fu ideata da Ottaviano Diodati la prima edizione italiana de L’Encyclopedie di Diderot e d’Alembert, stampata dalla storica Stamperia Giuntini. Lucca Info&Guide propone due passeggiate guidate da tenersi il sabato e la domenica. (costo 15 euro su prenotazione. Prenotazione obbligatoria a: METRO srl  – Tel 0583 – 583150  – uff. Accoglienza Turistica di Lucca. turismolucca@metrosrl.it; www.infoguidelucca.wordpress.com)
LUCCA CITTÀ DI CARTA: UN FESTIVAL CHE PRODUCE CULTURA
DAL PATTO PER LA LETTURA AI LIBRI EDITI, DAI PREMI LETTERARI AL CONCORSO SCUOLE
Un Festival che faccia rete, che produca progetti culturali, scopritore di talenti e attento ai più giovani e alle tematiche più importanti della società. Questi, come già detto, i principali obiettivi di “Lucca Città di Carta”.
IL PATTO PER LA LETTURA. Nonostante le difficoltà dovute allo slittamento e all’emergenza sanitaria, la rassegna, già in questa prima edizione, traccia nettamente la strada. Da alcuni mesi infatti, non solo il Festival siede al tavolo dei lavori del Patto per la Lettura promosso dalla Regione Toscana, ma costruisce rete anche sul territorio per realizzare lo stesso obiettivo in progetti che verranno presentati durante la rassegna.
I LIBRI DEL FESTIVAL. Ben due i progetti culturali che nascono dalla prima edizione del Festival: “Un Gioco che non sono Io”, silloge poetica sul delicato tema della violenza di genere scritta da Elisa Cordovani e illustrata da Alice Walczer Baldinazzoe “Toscana Interiore”, il libro fotografico di Filippo Brancoli Pantera. Curati da Romina Lombardi per “L’Ordinario” ed editi da NPS Edizioni, i due volumi, che hanno richiesto un lavoro progettuale di oltre un anno, sono stati fortemente voluti per la loro valenza sociale, artistica e culturale. Saranno presentati in anteprima al Festival nel pomeriggio di domenica 30 agosto.
 “Un gioco che non sono Io”. Le donne di Elisa Cordovani sono “nude d’occhi”, “boati d’ignoto”, “crepe immacolate”, “cuspidi di dolore registrate al rovescio” che vanno fino in fondo al proprio dolore per capirlo, per essere consapevoli di potergli sopravvivere. Sono donne che si trasformano nella vergogna che provano, nelle lacrime che pensano di non aver diritto a versare, negli occhi di madri e padri – come nel toccante omaggio che la Cordovani fa alla memoria di Elisa Amato, scomparsa nel 2019, vittima di volenza – nel futuro che non avranno e in quello che, invece, avranno.  Tra i versi poetici di questo esordio letterario davvero notevole, esplodono in echi sapienti figure retoriche e suoni onomatopeici che l’autrice regala all’estro di Alice Walczer Baldinazzo. L’artista vicentina, chiamata a illustrare questo volume, riesce in qualcosa di sopraffino: crea volti e pose che si fanno amare e ripudiare al medesimo tempo, senza che si riesca a distogliere lo sguardo. Un affaccio sulla parte più oscura di noi che un colore rosso amore prova a lenire.
“Toscana Interiore” è molto più di un connubio tra scrittura di viaggio e un libro di fotografia. È una ricerca pura dell’origine di noi stessi. Filippo Brancoli Pantera toglie alla Toscana la sua bellezza da cartolina e va a scavare radici, ad annusare le piante, a capire i loro vestiti, a scontornare rocce, pietre, ritrarre cartelli, insegne, strade, che se ne stanno lì, come i nostri nonni, a indicarci la via. A risalire colline per scoprire un altro paesaggio, un altro lato di ciò che siamo. Filippo Brancoli Pantera ci racconta di foglie scavando sotto la terra per indagare, in realtà, le nostre Storie. Perché ha capito, forse più di tutti, quanto il Paesaggio sia in realtà il nostro Dna meno indagato, ma talmente potente da raccontarci una verità storica: ricerchiamo il viaggio perché non abbiamo mai smesso di essere cacciatori-raccoglitori nomadi, nemmeno quando siamo diventati agricoltori.
Entrambi i libri usciranno il 1 ottobre 2020, per NPS Edizioni, ma verranno lanciati in anteprima esclusiva a “Lucca Città di Carta”.



I PREMI DEL FESTIVAL
Il Festival è “casa” di tre importanti Premi: Parole in Posa, Misteri d’Italia, L’Ordinario Scuole. Dopo il lavoro di selezione dei mesi precedenti, la mattina di domenica 30 agosto, verranno finalmente premiati i vincitori.
Parole in Posa – Premio Bramanti”’è il concorso fotografico a tema libri e letteratura italiana dedicato ad appassionati di fotografia e fotografi professionisti, che sbarca a Lucca Città di Carta grazie alla collaborazione di Romina Bramanti con Versiliatoday, Nati per scrivere, Bakemono Lab e Panesi Edizioni. Il concorso è intitolato a Enzo e Sandra Bramanti, padre e figlia, amanti della cultura, prematuramente scomparsi per due mali incurabili. Enzo, padre affettuoso e sensibile, trasmetteva agli altri l’immenso amore per gli animali, il suo bizzarro modo di “inventarsi” oggetti riutilizzando abilmente materiale in disuso e la passione per i libri. Sandra, tenace e altruista e con una grande passione per la fotografia amatoriale, divoratrice  di fumetti oltre che di libri. Unendo le loro passioni, Romina, l’altra figlia di casa Bramanti, ha ideato questo contest fotografico/letterario come omaggio alla loro vita.
“Misteri d’Italia”è il concorso gratuito riservato a romanzi inediti, a tema, appunto, “segreti, leggende e misteri d’Italia”, come da linea editoriale di NPS Edizioni, che pone il territorio al centro della narrazione. L’Italia, infatti, è ricca di storia, arte, cultura, leggende e folclore, tradizioni che devono essere recuperate e valorizzate. La ricerca di nuovi talenti letterari attenti a queste tematiche ha permesso di individuare due finalisti: Franco Giacoia, con il romanzo “Lu tajatore”, e Laura Rizzoglio, con “La masca”. Il vincitore, oltre alla pubblicazione con NPS Edizioni, riceverà in premio un soggiorno in Versilia, ospite della struttura turistica “La stagione dell’arte”, partner dell’associazione “Nati per scrivere”.
Il “Premio Ordinario Scuole”è invece indetto dall’Associazione culturale L’Ordinario, che dal 2018 edita il Blog Magazine www.lordinario.it, riportando al centro della notizia la quotidiana umanità, l’azione civile, la valenza sociale, l’etica, la tradizione, la cultura, i luoghi sconosciuti o riscoperti.Con il Premio, ai Ragazzi delleScuole Superiori è stata richiesta una riflessione attenta, da tradurre in tema/articolo, su ciò che è STRA – ORDINARIO nella vita di ogni giorno. In una società sempre troppo distratta, di fretta e poco attenta all’umanità delle persone, il tema del Premio è – e vuole essere – uno stimolo serio di valutazione. I premi sono messi a disposizione da Fondazione Nazionale Carlo Collodi, Sinapsi Group, Puccini Museum, Lu.C.C.A. Lucca Center of Contemporary Art.
Programma completo degli eventi disponibile sul sito www.luccacittadicarta.it
L’organizzazione invita a prenotare il proprio posto agli incontri, scrivendo a eventi@luccacittadicarta.it

Danza, Ricky Bonavita a Fattitaliani: Lo spettacolo dal vivo è un bene di prima necessità. L'intervista

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Stasera alle ore 18.30 nei Giardini del Monastero delle Orsoline prenderà il via la quinta edizione del Calvi Festival: il direttore artistico, M° Francesco Verdinelli presenterà il programma
Anche quest’anno il primo appuntamento sarà dedicato alla Danza con lo spettacolo firmato da Ricky Bonavita “Pulsazioni” (brani scelti) e i danzatori della Compagnia Excursus Pin/Doc. Le coreografie sono di Ricky Bonavita. Musiche di Rachmaninov, Debussy, Schubert, Saint Saens. Interpreti: Ricky Bonavita, Valerio De Vita, Enrica Felici, Yari Molinari, Emiliano Perazzini, Francesca Schipani. "Pulsazioniè una serata romantica e concertante, spiega l'artista a Fattitaliani, dove i personaggi s'incontrano per dare luogo a delle relazioni: nei miei lavori è sempre forte la componente emozionale. Qui il tutto è stato rivisitato secondo le attuali regole Covid in cui il contatto è vietato e l'incontro avviene nel massimo della vicinanza possibile".

L'idea coreografica e la selezione dei brani sono nate lo stesso momento?
Sì. Le scelte musicali sono sempre contestuali nei miei lavori. Prima ho un'idea drammaturgica e registica della tematica che voglio andare ad indagare, dopodiché cerco delle musiche preesistenti come in questo caso per una serata romantica e che abbiano una linea comune all'interno della quale scelgo degli appositi brani per i quadri che vado a comporre. Una volta scelta i brani, anche questi sono ovviamente di ispirazione perché le partiture musicali sono essenziali per la creazione della partitura coreografica.
Direttore artistico del Festival TenDance, apre il Calvi Festival: la Danza sta avendo sempre più spazio?
La danza sta cercando di avere sempre più spazio: il pubblico la ama molto. Oggi è un momento storico in cui secondo me la gente ha bisogno dell'emozione e la danza, lavorando e parlando con il corpo, ha sempre più forte questa componente emotiva. Certo, non è un momento felice per lo spettacolo dal vivo alla luce di quello che è successo con la pandemia.
Cosa cambia nella resa di un balletto con le restrizioni dovute al distanziamento? 
Sono andato a scegliere un programma che avesse una partitura coreografica che non risentisse di questa problematica che in realtà sulla scena c'è: non la si evince in "Pulsazioni" perché l'ho rimodulato e rimaneggiato come se potesse essere per quello che vedrete. Però, nel mio lavoro le prese e il contatto fisico sono molto presenti: ho scelto questo balletto perché appunto in questo momento ne risentirebbe meno degli altri lavori che avrei dovuto stravolgere.
Lei viaggia molto: ha notato una concezione della danza diversa a seconda del Paese? 
Sì. Ci sono Paesi in cui il teatro dal vivo ha uno spazio, un investimento, una cultura maggiore da parte dei vertici, per cui la gente è più abituata e formata. Ci sono pubblici più pronti alla ricezione di un certo tipo di messaggio culturale che avviene attraverso lo spettacolo dal vivo. L'Italia è un Paese dove ha molta presa, però ci sono Paesi che sono più avanti di noi dal punto di vista produttivo e quindi il mercato della vendita è più agile. La crisi però si sente dappertutto anche alla luce di tutto quello che è successo: anche perché lo spettacolo dal vivo non è un bene di seconda necessità, è un bene di prima necessità. L'arte salva i popoli per me, e lo spettacolo dal vivo ancor di più. In questo momento, quindi, è già una grandissima cosa che abbiano organizzato il Calvi Festival, che ha deciso di andare in onda nonostante i limiti imposti dalla situazione. Con Danila Blasi, altro direttore artistico di TenDance, lo faremo in maniera ridotta e quest'anno dedicheremo un premio speciale alla coreografia e alla produzione a Theodor Rawyler, purtroppo prematuramente scomparso.
Come insegnante, cosa si augura che i suoi allievi percepiscano e imparino del suo modo di vivere la danza?
Penso che sia un po' un discorso totalizzante quello di vivere l'arte, che ha bisogno di nutrimento ma spesso chiede una dedizione totale. La danza in questo senso è pazzesca perché è una delle arti dal vivo più estrema in termini di continuo aggiornamento e allenamento, dedizione continuativa. Per me è essenziale che non si perda mai il piacere di lavorare sul corpo: credo che sia la prima cosa che io trasmetto, molto prima della tecnica e del lavoro sul corpo. Se si perde questo piacere dell'apprendimento e della rielaborazione dell'informazione, è finita la nostra missione di educatori. Il discorso è a tutto tondo e non può essere soltanto tecnico: credo che vada passata questa dedizione totalizzante.
Com'è stato il suo primo approccio con la danza? Racconti...
Si perde nella notte dei tempi... Avevo questa passione da adolescente, sin da bambino. Un certo punto l'ho intrapresa per mio diletto, è diventata subito una cosa totalizzante e quindi, nonostante facessi il liceo e lavorassi nella casa editrice di mio padre, ho intrapreso questo cammino che mi ha portato molto presto in giro. In seguito, la mia dedizione è diventata completa e dopo il liceo ho cominciato a girare il mondo, cosa molto importante come stimolo culturale. Ho iniziato da grande, perché prima s'iniziava più tardi per i maschi. C'era tutto un altro mercato. L'importante è non demordere, continuare a crederci. Giovanni Zambito.
Calvi Festival. Leggi le interviste a:
Ricky Bonavita 
Artista, coreografo e danzatore; docente di tecnica di danza moderna e contemporanea presso l'Accademia Nazionale di Danza a Roma, insegnante ospite di università europee come Norges Dansehøyskole, Oslo; University of Tartu Viljandi Culture Academy, Estonia; Konzervatoř Duncan centre, Praga.
Dal 2018 condivide con Giovanna Velardi la direzione artistica di PinDoc, associazione che produce il lavoro di dodici compagnie e coreografi italiani sostenuta dal MIBAC e dalla Regione Sicilia.
Fin dagli anni '80 è stato in scena in più di 800 spettacoli in Italia e all’estero compiendo un intenso percorso artistico e professionale come coreografo e danzatore. Nel 1994 fonda insieme a Theodor Rawyler la Compagnia Excursus sostenuta dal MIBAC. Attraverso più di 30 produzioni la compagnia diventa il mezzo per avviare una propria ricerca coreografica ed estetica, dove convive l’amore per la creazione di ambienti onirici governati da corpi dinamici e dalle linee astratte con l’esigenza di raccontare e di esplorare i rapporti interpersonali attraverso la danza.
Come coreografo ospite ha collaborato con Fundación Opera Panamá, International World Stars of Ballet Art in Kazakhstan, La Compagnia dell’AND a Roma, Akarwerkstatt in Svizzera, nell'ambito di produzioni teatrali per "Memorie di Adriano" di Maurizio Scaparro con Giorgio Albertazzi, per "Il funambolo" di Daniele Salvo per Napoli Teatro Festival; in ambito televisivo per RAI1 Eurovisione in diretta "L'alba separa dalla luce l'ombra", Concerto di Andrea Bocelli dal Colosseo, Roma.
Ha vinto fra altri il 1° premio per la coreografia contemporanea The Young Ballet of the World Competition 2010, a Sochi in Russia, presieduta dal M° Yuri Grigorovich, il 3° premio per la coreografia Serge Lifar International Ballet Competition 2004 a Kiev in Ucraina, e il Premio Fausto Maria Franchi per il miglior brano coreografico contemporaneo al Concorso Internazionale di Danza – Premio Roma 2010, il 1° premio "Singolari di danza 1988" del Teatro Spaziozero di Roma.
Cura la direzione artistica del Festival TenDance, festival di danza contemporanea dell’associazione Rosa Shocking sostenuta dal MIBAC e dalla Regione Lazio.
Produzione PinDoc
PinDoc nasce nel 2018 dall'unione delle progettualità di Excursus ed Fc@pin.d'oc, due realtà da tempo conosciute per la produzione di spettacoli di danza contemporanea, sia dei loro direttori artistici, sia di altri autori, talvolta giovani talenti coreografici, che già collaboravano come danzatori con le due compagnie, talvolta artisti indipendenti affini per sensibilità e visione. PinDoc è sinonimo di percorsi artistici intrecciati, di collaborazioni, di compagni di strada, e si rappresenta in maniera esemplare attraverso il team che ha voluto la fusione: Giovanna Velardi e Ricky Bonavita per la direzione artistica e Danila Blasi e Theodor Rawyler per la direzione generale.
Collaborazioni fatte di viaggi condivisi, basati su coworking, sperimentati per citare un esempio significativo in occasione dell'OfficinaCOREografica, progetto importante sostenuto da MIBAC e Regione Lazio, dedicato interamente alla danza con residenze creative, contributi alla produzione, laboratori, ricerche e incontri, che ha innescato una riflessione profonda sulla realtà della danza professionale nel Lazio e che ha coinvolto un gran numero di compagnie, coreografi, danzatori, docenti, operatori e studiosi, tutti aderenti a CORE Coordinamento della danza e delle arti performative del Lazio. Quest'esperienza insieme ad altre progettualità condivise ha facilitato l'allineamento delle due associazioni intrapreso negli ultimi anni.
Fra i punti forti di PinDoc sottolineamo l'ampia offerta di spettacoli e la pluralità di linguaggi connessi alla creazione contemporanea che permettono di dare vita ad un soggetto di produzione danza più forte, che possa sostenere un percorso a cadenza triennale di tutti i coreografi associati, supportandoli dal punto di vista organizzativo, amministrativo, logistico e della comunicazione nei loro individuali percorsi artistici, tutti strettamente legati alla danza contemporanea, pur nelle loro differenze stilistiche, con segni che spaziano da un linguaggio più legato ai codici delle tecniche della danza contemporanea, ai codici del teatro danza, e dalla danza più propriamente di ricerca, a progetti che nascono nell'ambito della danza di comunità. La presenza di coreografi appartenenti a generazioni diverse permette inoltre un passaggio del sapere professionale legato direttamente alle pratiche di produzione, una supervisione e promozione degli emergenti che nasce nel dialogo quotidiano e che è messa in pratica con orgoglio dalla direzione di PinDoc.
Compagnia Excursus
Excursus, “digressione”, come simbolo del discorso coreografico di Ricky Bonavita, delle sue atmosfere rarefatte, della gestualità che ispirandosi al quotidiano è trasfigurata in surreale e stilizzata espressione. Il vasto repertorio della compagnia, protesa verso la creazione contemporanea, dà spazio alla ricerca di un formalismo astratto, alla creazione di universi onirici e simbolici e all’esplorazione dei rapporti interpersonali.
Con la compagnia fondata nel 1994 Ricky Bonavita offre una propria visione coreografica e stilistica, che continua a rinnovarsi attraverso produzioni e collaborazioni artistiche in un percorso fino ad oggi aperto al nuovo. Excursus sostenuta dal 2000 dal MIBACT condivide dal 2018 la propria progettualità con Pindoc Ass. Cult. Onlus per una ricerca artistica focalizzata sulla danza e sul corpo come mezzi espressivi, teatrali e poetici. In collaborazione con partner pubblici e privati la Compagnia Excursus è distribuita in Italia, nella Comunità Europea e oltre.
Le produzioni destinate a teatri e spazi scenici tradizionali sono affiancate da progetti di danza urbana, e in collaborazione con ASL e strutture convenzionate da progetti di danza sociale o di comunità. Maggiori informazioni: www.excursus.it

C’È QUIETE TRA GLI ULIVI

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Dopo mesi di forzata immobilità, niente può essere più curativo per il corpo e per la mente di un soggiorno, anche breve in quei posti quasi monastici che sono gli AGRITURISMI.

Questo tipo di vacanza è ormai consolidata ed apprezzata perché coniuga tutto ciò che è natura e accoglienza al buon vivere, ai sapori che il progresso aveva ormai messo tra i frutti dimenticati.
La purezza dell’aria, la cordialità, l’essersi spogliati delle sovrastrutture e del manierismo delle città fa emergere il meglio di noi.
Le colline, le pianure, distese di verde a perdita d’occhio, il mare,sono l’habitat per chi visita la REGIONE MARCHE, generosa finestra appenninica da cui lo sguardo sfiora queste immense distese di verde cangiante fino a confondersi all’orizzonte con l’azzurro del cielo e del mare.
E’ una terra che ha una sua intensa religiosità e poesia.
Non a caso varie Congregazioni Monastiche sono nate in questa terra che ne conserva le antiche Chiese e le Pievi, piccoli monumenti di arte sacra.
Per non parlare, poi, della Cultura: percorrere le strade acciottolate di Recanati fa sentire ovunque i versi eterni del “Ricordo” leopardiano.
Passeggiare per la piazza del “Sabato del Villaggio” ammirare quegli struggenti paesaggi, alzare lo sguardo verso la Torre del “Passero solitario” ti fanno vivere la poesia da protagonista.
Recanati è la città dell’"INFINITO” una delle poesie più amate al mondo.
Nonostante i due secoli che separano la nostra epoca da quella del Poeta,la Poesia di Leopardi continua ad avere questo fascino.
Immersa in una delle zone più belle e ricche del paesaggio, sorge CINGOLI, detto “IL BALCONE DELLE MARCHE” per la sua preziosa panoramica.
La sua fondazione è legata ad un ancestrale culto solare che prende il nome dalla Maga Circe.
Addentrarsi nei suoi vicoli la sera consente di fondersi con la magia delle ombre lunghe che gli antichi eleganti palazzi proiettano sulle piazze e sulle vie.
In una di queste colline è adagiata una casa padronale, l’AGRITURISMO GLI ULIVI, ricavata da un seicentesco monastero.
Il suo restauro non ha stravolto la sua originaria struttura, non alterando le sue caratteristiche murarie e consentendo così agli ospiti di vivere i gusti, i sapori, gli odori che riesumano le lontani origini.
I proprietari, Giuseppina, Lauro e Gioia, gestiscono il complesso dell’Agriturismo che offre più soluzioni di ospitalità.
L’amore per il passato, per l’”antico” li motiva ad avere tanta cura sebbene questo comporti tanto sacrificio.
Hanno saputo far rivivere un passato facendone non solo la loro storia ma quella di tutti.
Tutti i loro cibi sono unici per lavorazione, con frutta ed erbe aromatiche; per la prima volta fanno dono ai nostri lettori di un liquore particolare che si chiama” ARDUINO”.
I sui ingredienti essenziali sono: le foglie della Visciola (amarena selvatica) che si raccolgono a metà giugno, si mettono a macerare nel vino piceno per 15 gg..
Successivamente si filtra, si aggiungono zucchero ed alcol, lasciandolo riposare per circa un mese, quindi è pronto per soddisfare e sorprendere il gusto di chi lo assapora.
Si è circondati da ortaggi, frutta, piante aromatiche, ma soprattutto degli ULIVI secolari, piante che danno linfa vitale e che sono sacri da sempre, fin da quella sera in cui Gesù si sedette alla loro ombra per pregare il Padre affinchè mitigasse il suo dolore.
Chi appartiene a queste terre non può non sentirsi parte della loro storia sacra e avverte il dovere di raccontarla per farla rivivere.
La fine della vacanza significa interrompere questa avventura ma è proprio la fine che fa apprezzare e sentire poi la mancanza di ciò che si è vissuto.
Non resta che salutare, volgendo all’indietro l’ultimo sguardo, quasi per fissare l’ultimo fotogramma da portare tra i ricordi più belli.
Niente finisce se è riposto nel cuore, come questo arrivederci che è la premessa di un nuovo ritorno per tornare a rivivere la magia della TERRA MARCHIGIANA, che fece dire al grande Leopardi:”….e il naufragar mi è dolce in questo mare.”
Caterina Guttadauro La Brasca

SAN FRANCO D’ASSERGI: LA STORIA E LA LEZIONE

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di Giuseppe Lalli Nei primi secoli dell’era cristiana, in quell’affascinante stagione della storia che chiamiamo ‘Medioevo’, poteva accadere che in questi luoghi solitari e remoti dell’Appennino, alcuni giovani, magari provenienti da famiglie gentilizie come Benedetto da Norcia (480 c.ca-547), giovani assetati di assoluto, sentissero il bisogno di unirsi per condurre vita comune nella pratica della nuova religione del Dio incarnato.
E così fondavano un monastero. Più tardi, attorno al monastero cominciavano a stabilire le proprie dimore i montanari dei dintorni, e si iniziava a disboscare e dissodare le terre circostanti. E infine si costruiva la chiesa, che diventava punto di aggregazione comunitaria, liturgica e civica, tempio e municipio, di quell’uomo medievale che è unitario, non schizofrenico come quello moderno.

Qualcosa del genere è potuta accadere anche in questa nostra contrada, dove, per una di quelle singolari circostanze che chiamiamo coincidenze e che forse dovremmo chiamare ‘Dio-incidenze’, in uno stesso torno di tempo è nato un castello, quello di Assergi, una chiesa, il nucleo dell’attuale chiesa parrocchiale, e, in una non lontana contrada, un uomo, il futuro San Franco (1154/59-1220/30), che con questo castello e a questa chiesa avrebbe intrecciato il suo destino, in vita e dopo la morte. Le notizie su San Franco ci vengono quasi tutte dagli Atti, che sono l’antico manoscritto latino che fu conservato nella chiesa parrocchiale di Assergi fino al 1791 e poi andato perduto. Nicola Tomei (1718-1792), preposto di Assergi dal 1742 al 1764, uomo dotto e fine latinista, che lo ebbe tra le mani, nella sua Dissertazione sopra gli Atti, e culto di S. Franco, pubblicato a Napoli nel 1791, lo descrive come un piccolo codice membranaceo scritto in carattere antico abbastanza intellegibile, con lettere iniziali miniate, contenente la vita, morte e miracoli di S. Franco.

Il Tomei assegna il manoscritto agli ultimi decenni del secolo XIII (a differenza di qualche altro studioso, che lo colloca comunque non al di là dei primi decenni del secolo successivo) e crede che si tratti della stesura primitiva o di una copia ricavata su di essa. Pensa altresì che lo scritto debba attribuirsi ad un monaco o a un prete di Assergi, contemporaneo del santo, che aveva inteso tramandare avvenimenti a cui aveva assistito o che aveva udito raccontare da chi ne era stato testimone. Si deve quindi ritenere che ci troviamo di fronte a un testo scritto quando il santo era morto da poco. Oltre a quella riportata dal Tomei nella sua Dissertazione, di versioni degli Attine esistono altre tre: una, riportata dai Bollandisti, negli Acta Sanctorum redatta dal gesuita Padre Antonio Beatillo (1570-1642), a cui Tomei muove puntuali critiche di ordine filologico, e altre due, curate dal benedettino PadreCostantino Caetani (1568-1650), custodite nella Biblioteca Universitaria Alessandrina di Roma. Pur presentando queste quattro versioni alcune varianti grammaticali e sintattiche, oltre che nell’estensione della narrazione  riferita ai miracoli attribuiti al santo post mortem, esse sostanzialmente concordano nel testo, e si possono persino disporre in lettura sinottica, come del resto ha fatto  nel suo libro, Assergi e S. Franco – eremita del Gran Sasso - , pubblicato nel 1980, Don Demetrio Gianfrancesco (1922-2004), dal 1954 al 1976 parroco zelante di Assergi, di cui fu anche scrupoloso studioso e della cui chiesa fu custode amorevole.

Che cosa ci dicono questi Atti?  Franconasce all’inizio della seconda metà del XII secolo, allorché la dominazione normanna nell’Italia meridionale volge al declino. L’anonimo biografo non riporta la data di nascita, ma ci fornisce, in relazione ad essa, dei riferimenti storici, tra i quali il più stringente è quello relativo al papato di Adriano IV (4 dicembre 1154-1°settembre 1159): in tutto 4 anni e nove mesi in cui si deve collocare la nascita del santo. Nessun dubbio invece sul luogo: nasce a Roio (Castellum de Roge o anche Pagus ruìdus, come si legge in alcuni antichi documenti), nell’attuale frazione di Roio Piano, che al tempo faceva parte del feudo amiternino e della diocesi di Forcona. Ancora oggi, a Roio Piano, in un edificio una lapide apposta sul muro ricorda che quella era la casa natale di San Franco.

Franco nasce da agiata famiglia di allevatori, e mostra ben presto di essere un ragazzo intelligente e virtuoso. Il padre lo affida alle cure del prete Palmerio affinché gli dia i primi rudimenti. Nell’animo del ragazzo matura assai presto la vocazione religiosa, e un giorno in cui un suo fratello maggiore, forse mosso da invidia, lo costringeva a pascolare le pecore, fugge e bussa alla porta del monastero benedettino di San Giovanni in Collimento, a Lucoli. Qui, resistendo alle insistenze dei genitori che volevano che tornasse a casa, completa gli studi e conduce per vent’anni una esemplare vita di monaco, rifiutando, alla morte dell’abate, di sostituirlo alla guida della comunità, nonostante la volontà espressa dai suoi confratelli. Spinto da un desiderio di perfezione maggiore, una notte, scambiato un commosso abbraccio con i suoi compagni, avendo per solo viatico il Vangelo e una sporta con poco sale e qualche pane, prende congedo da loro e si rifugia dapprima in una grotta vicino ai boschi di Lucoli e poi, sfuggendo ai tanti devoti che, spinti dalla fama che presto si diffonde delle sue virtù e dei suoi prodigi, desiderano incontrarlo, vaga dalle parti di Montereale, per poi raggiungere un luogo remoto sopra il territorio del Vasto, dove miracolosamente fa sgorgare una sorgente d’acqua pura e dove rimane per cinque anni. Ma nemmeno questo, a lungo andare, gli pare posto adatto alla sua esigenza di solitudine. Molta gente va a fargli visita, e allora si sposta verso i monti sopra Assergi, sistemandosi in una spelonca sotto una rupe. La tradizione ha identificato in una grotta sotto le rocce di Pizzo Cefalone e in un’altra più in basso, detta “I Peschioli”, i due eremi dove l’eremita trascorse i suoi ultimi quindici anni, conducendo vita austera e compiendo molti miracoli. Scendeva a valle solo nei giorni festivi per assistere alla messa nella chiesa di Assergi e ricevere i sacramenti dai monaci del contiguo monastero.

Quando Francorende l’anima a Dio, le campane della chiesa di Assergi suonano da sole; i monaci, insieme a tutto il popolo, svegliati e commossi, vedono una luce che promana dalla grotta dell’eremita e intuiscono ciò che è accaduto. Raggiungono l’eremo. Canti e lacrime si confondono, depongono devotamente in una barella il corpo che odora soavemente e lo trasportano a valle. Più che un corteo funebre dovette trattarsi di una piccola marcia trionfale. Possiamo immaginare che il corteo entra nel castello di Assergi e si dirige verso la chiesa. Nella cripta vengono tumulate le spoglie mortali di colui che per il popolo è già santo. Dopo qualche tempo le ossa verranno estratte e sistemate in una cassa di pietra andata perduta e della quale si conserva il solo coperchio, dove è scritto in latino: Qui riposa il corpo di Franco(ne), sacerdote di Dio, 5 giugno. 
   
Gli Atti non menzionano la data della morte del santo. Una tradizione antica e consolidata ci ha tramandato il solo giorno (5 giugno, giorno della sua festa), mentre l’anno, sulla base di alcuni dati cronologici nominati nella scarna biografia, lo si fa ricomprendere, con ragionevole approssimazione, nel decennio 1220/1230. Per convenzione tra gli studiosi si è infine deciso di indicare nel 1220 l’anno ufficiale della morte, e questo ha fatto sì che nel corrente anno 2020 si celebri l’Ottocentenariodella morte del santo eremita. Il culto popolare inizia subito dopo la morte. Il vescovo di Forcona dovette ben presto approvare le manifestazioni spontanee dei fedeli. E così San Franco ebbe il suo altare, la sua ufficiatura e la sua festa liturgica. Giova osservare che nell’epoca di cui si parla il riconoscimento della santità era demandato ancora alla chiesa locale, vale a dire al vescovo. La canonizzazione affidata al papa, benché fosse già iniziata, non si era ancora consolidata nella prassi ecclesiale. Non si deve però pensare che quella locale fosse una prassi sbrigativa nella quale il vescovo si limitasse a sancire automaticamente il fervore popolare. Al contrario, si trattava di un procedimento assai rigoroso. Anche se la “voxpopuli” era considerata un indizio importante, l’approvazione del vescovo non era affatto scontata.
   
La fama di santità dell’eremita del Gran Sasso, da sempre particolarmente viva nel versante teramano della montagna, si diffonde assai presto e oltrepassa gli stessi confini della regione. Attualmente si festeggia nei paesi che furono toccati dalla sua biografia: Roio, naturalmente, il suo paese natale, Lucoli, nella cui abbazia visse per almeno vent’anni, Arischia, il cui territorio è vicino all’Acqua di S. Franco, Ortolano, frazione di Campotosto la cui chiesa parrocchiale è intitolata al santo eremita, ed è poi protettore, oltre che di Assergi, di una  piccola frazione di Isola del Gran Sasso, Forca di Valle, dove, particolare curioso, il santo è rappresentato non vecchio e con la barba, ma come un giovane pastore, a significare forse che la santità è un’eterna giovinezza. La chiesa parrocchiale di Assergi, intitolata a Santa Maria Assunta, diventa assai presto chiesa-santuario e assume la sua attuale forma basilicale già a partire dalla seconda metà del XIII secolo, ad incrementare un pellegrinaggio già iniziato.

Ho richiamato questi dati storici non per inutile pedanteria, ma per mostrare che la vicenda di questo santo, ancorché assai lontana nel tempo, e sia pure con qualche incertezza temporale e inesattezza che si riscontra negli Atti in riferimento al contesto storico-politico, è storicamente attendibile. Inoltre, come dirò, è inquadrabile in un preciso contesto religioso e in una determinata geografia spirituale. Quella di San Francoè senz’altro una vicenda originale (ma del resto tutti i santi sono originali), ma non isolata, e si capisce meglio alla luce di un fenomeno, quello dell’eremitismo dei secoli centrali del Medioevo, tra l’XI e il XII, che interessò l’Italia e l’Europa, e che avvenne all’interno di un più generale movimento di rinnovamento spirituale. Ciò avveniva in un contesto sociale caratterizzato da una forte crescita economica e da una intensificazione dei rapporti commerciali, fattori che furono alla base di una decisa crescita demografica.
   
Un particolare colpisce della biografia del giovane Franco. Egli è di buona famiglia. I suoi appartengono ad una classe che con terminologia moderna potremmo definire di piccola borghesia agraria, che vive di pastorizia e commercializzazione della lana. Il giovane Franco, intelligente e sensibile, realizza ben presto che quello di una tranquilla esistenza di agiato possidente non può essere il suo ideale di vita. Egli chiede alla vita un senso. C’è, da parte sua, unarichiesta di senso che è anche, a mio parere, una larvata protesta nei confronti di una certa ipocrisia di una società che già mostra i segni dell’opulenza, a cui Franco oppone la scelta della radicalità cristiana, un atteggiamento analogo a quello che sarà di Francesco d’Assisi(1881/82-1226), sia pure declinato in forme diverse. Mi viene da pensare a quella rivoluzione giovanile degli anni ‘60 del secolo scorso. Ho sempre creduto che, mutatis mutandis, dietro slogan e atteggiamenti di rottura radicale, ci fosse in gran parte di quei giovani una richiesta di senso, un’esigenza di assoluto che classi dirigenti più sensibili e una chiesa post conciliare meno distratta, avrebbero potuto cogliere ed intercettare. Il proiettile sparato in alto, se non trova sfogo, rimbalza sulle pareti e finisce per ferire chi lo ha lanciato... A partire dal X secolo, e in modo particolare tra l’XI e il XII, l’età in cui vive Franco, in un contesto religioso percorso da fermenti di rinnovamento evangelico cui non sono estranee attese di tipo apocalittico, alla crisi del monachesimo tradizionale corrisponde una rinnovata fioritura spirituale, che si manifesta, da un lato, in forme più o meno organizzate che presto verranno inquadrate nei grandi Ordini Mendicanti (i Domenicani e i Francescani); dall’altro, in forme libere e individuali, come è il caso del nostro eremita.
   
Questo eremitismodella seconda ondata differisce da quello dei primi secoli dell’era cristiana in più di un punto. Se quello antico si caratterizza per la ricerca del deserto (prevale la fuga dal mondo), quello medievale, che è profondamente segnato dalla prevalenza della Regola monastica di San Benedetto, tende ad armonizzarsi con il contesto sociale. La vicenda di Franco, a saperla leggere, è intrisa di questa socialità. Dagli Atti traspare abbastanza chiaramente come in Franco la fuga dal mondo convive, sia pure in maniera problematica, con l’apertura al mondo. Vediamo che Franco, da un lato non si sottrae al rapporto con quanti lo cercano, dall’altro cerca sì di isolarsi, ma è un isolamento che è dettato dall’esigenza di mantenere la pace interiore sulla punta dell’anima ed è finalizzato ad attingere da un rapporto più intenso con Dio la forza per abbracciare tutto e tutti. Del resto, un’altra differenza tra questo eremitismo e quello antico attiene ad un aspetto all’apparenza pratico, ma che ha conseguenze anche di ordine spirituale: mentre gli anacoreti dei primi secoli sono dediti alle attività manuali, con le quali si procacciano il necessario per vivere, quelli del tempo di Franco vengono assai spesso riforniti dai devoti. L’eremita, al contrario del cenobita, diventa in questa età una figura familiare, perché incontra la gente: la vita contemplativa non esclude le relazioni umane. Franco ci appare tutt’altro che un misantropo. Se fosse stato un misantropo, o un asociale, i monaci di Lucoli non lo avrebbero preferito come loro capo; e quando ha preso commiato dai suoi confratelli, come leggiamo negli Atti, li ha abbracciati con le lacrime agli occhi.

Girovagando tra queste montagne, magari alla ricerca di frutti di bosco, avrà sicuramente esercitato l’apostolato occasionale. Quante liti tra pastori avrà sedato; quante dispute tra piccoli proprietari, magari per problemi di confini, avrà composto; quanti consigli a vecchi e giovani avrà dispensato; quante ferite dell’anima avrà curato; e quanta paziente direzione spirituale avrà esercitato anche tra i suoi stessi confratelli del convento di Assergi, che lo avranno considerato un fratello maggiore, un compagno distaccato in una sorta di prima linea dello spirito. Avrà perfino, di tanto in tanto, accettato di mangiare un pezzo di pane e un po’ di pecorino con i pastori. Sarebbe tuttavia fuorviante giudicare la vicenda di Franco con le sole categorie umane. Gli stessi miracoli, che spesso ci parlano di un ritrovato equilibrio tra l’uomo e la natura, servono all’uomo di Dio a mostrare “i nuovi cieli e le nuove terre”, cioè l’anticipo di ciò che attende una umanità riconciliata, nella Grazia, con la natura, e a far vedere ciò che doveva essere il mondo prima che il peccato intervenisse a rompere l’equilibrio che Dio aveva stabilito. Al tempo stesso Franco mostra come la natura stessa sia un miracolo permanente per chi la voglia vedere con gli occhi della fede: il grano che cresce, l’acqua che scorre, gli alberi che danno frutti.

 Un’altra sollecitazione ci viene da questo Medioevodegli eremiti: il valore di quella condizione esistenziale così estranea alla mentalità odierna, vale a dire il silenzio: il valore del silenzio in un mondo che ha fatto della parola, anzi della chiacchiera, la sua nota dominante. Siamo così sommersi dalle parole che in ogni città importante, in ogni capoluogo di provincia, è stato eretto un monumento alla chiacchiera: il Palazzetto dei Congressi. Se ci prendessimo la briga di fare una ricerca su ciò che si dice in questi luoghi, anche in riferimento alle comunicazioni scientifiche propriamente dette, accerteremmo che le effettive “informazioni” rappresentano una percentuale bassissima: tutto il resto è chiacchiera, laica liturgia della parola, diplomazia comunicativa, pubbliche relazioni; quando non è autoincensamento dell’“io”, vaniloquio o sprezzante faziosità. Eppure, per poco che rientriamo in noi stessi, ci accorgiamo che prima di ogni parola sensata c’è il silenzio, e che dietro ogni idea degna di questo nome e alle spalle di ogni solido progetto, c’è un pensiero coltivato, accarezzato nel silenzio. Sappiamo per esperienza che in ogni rapporto interpersonale emotivamente intenso i momenti di silenzio superano di gran lunga quelli della parola.

Il silenzio fa partedellastruttura costitutiva dell’essere umano, come ci mostrano i grandi pensatori di ogni tempo. Franco, questo silenzio, lo ha coltivato fino a farsi abitare dall’Assoluto, e solo dopo ha parlato al lupo, che gli ha obbedito, e ha gridato all’albero che si stava schiantando sul boscaiolo e l’albero si è fermato a mezz’aria. Come accennavo all’inizio, Assergi e San Franco sono stati per molto tempo un binomio inscindibile. Nicola Tomei scrive che «rare sono le persone del paese, ch’entrino in Chiesa, e non calino a venerare il Santo». Nel secondo dopoguerra, quando gli emigranti partivano, chiedevano al parroco, come viatico, una messa «a cascia aperta», cioè celebrata nella cripta tenendo aperto il coperchio della cassapanca contenente le reliquie di San Franco. Alla fine della celebrazione, come ha ricordato appropriatamente in un’intervista l’amico Franco Dino Lalli, veniva fatta baciare la reliquia del braccio del santo, a protezione dalle insidie che coloro che partivano avrebbero potuto incontrare in terra straniera.

Tra tutti i miracoli che si ricordano negli Atti, uno, tra quelli registrati subito dopo la morte, a me pare il più toccante, e quello che meglio descrive il valore della santità. L’ho sentito per la prima volta dalle labbra di mia nonna quand’ero bambino. Si trova nella LectioVII degli Atti. Si racconta che un uomo di Assergi di nome Tommaso di Giacobbe uscì di casa in pieno giorno per condurre le vacche e le pecore al pascolo nel bosco. Il figlioletto, di nascosto dalla madre, prese la stessa strada dove aveva visto incamminarsi il papà, ma ad un certo punto, perso l’orientamento, si inoltrò nel fitto della vegetazione del bosco. Vagò per tutto il giorno e alla sera, stanco e in lacrime, vinto dal sonno, si addormentò. A sera Tommaso, rincasando, chiese alla moglie dove stesse il bambino, e si sentì rispondere che essa era convinta che stesse col lui. Poiché non riuscivano a trovarlo, chiamarono i parenti e i vicini e, torce alla mano, andarono a cercarlo, ma inutilmente. I genitori cominciarono a temere che, avventurandosi nel bosco, il bimbo fosse stato divorato da bestie feroci. In preda alla disperazione, si recarono in chiesa a supplicare il santo davanti al suo sepolcro chiedendogli la protezione del figlioletto. Di buon mattino, ripresero le ricerche nel bosco e quale non fu la loro gioia quando videro il bimbo sano e salvo. Dopo averlo riabbracciato, gli chiesero come avesse trascorso la notte. Il bambino rispose che un monaco, a tarda ora, lo aveva svegliato, gli aveva dato pane e formaggio e gli era stato vicino per tutta la notte. Poi, sul far del giorno, lo aveva condotto nel posto dove lo avevano ritrovato dicendogli di non aver paura perché i genitori stavano venendo a prenderlo. Dopodiché il monaco era scomparso. Che dire? Qui ci troviamo di fronte all’irrompere del soprannaturale nella vita ordinaria. Storie simili si sono sentite raccontare anche ai nostri giorni da persone credibili in riferimento a un altro frate che sembrava venuto direttamente dal Medioevo: Padre Pio. Questo miracolo di San Franco ci mostra che il soprannaturale non è lontano da noi, anche se non lo vediamo, come non vediamo l’aria che respiriamo e il sangue che scorre nelle vene: il Cielo si chiama così non perché sta in alto, ma perché si cela ai nostri occhi, come ho sentito dire spesso da un altro frate di nome...Padre QuirinoSalomone.

Si dirà che siamo creduloni. Forse! Ma siamo in buona compagnia. Recentemente Vittorio Messori, un giornalista e storico dal passato tutt’altro che da credulone, ha pubblicato un piccolo libro dal titolo “Quandoil Cielo ci fa segno”, nel quale riferisce di episodi (uno dei quali capitato a lui stesso) su cui ha condotto un’indagine rigorosa e per i quali mostra che non c’è altra spiegazione ragionevole rispetto all’esistenza di una “dimensione altra”che di tanto in tanto si manifesta.      E vorrei concludere, rimanendo su questo tema, con la testimonianza di Henry Bergson (1859-1941), originale figura di filosofo e scienziato francese vissuto tra l’Ottocento e il Novecento, studioso, tra l’altro, dei problemi della psicologia, anche lui tutt’altro che credulone. Della sua straordinaria esperienza ci riferisce il suo ultimo discepolo, Jean Guitton (1901-1999), morto quasi centenario poco più di vent’anni fa: un racconto che vale da solo più di un trattato.
   
Siamo nel 1905, Bergson sta ultimando un importante saggio sull’evoluzione dell’universo, ma non riesce ad andare avanti. È colto da tensione, emicranie, stanchezza, senso di vuoto. Un giorno in cui il disagio si era fatto più acuto, dirigendo lo sguardo fuori della finestra del suo studio, gli pare di vedere una grande luce. A questo punto crede di stare impazzendo, di essere vittima, lui studioso dei fenomeni paranormali, di una sorta di allucinazione. È in preda a questi pensieri, quando nella stanza entra la sua figlioletta di nove anni, Jeanne, che gli grida: «Papà, papà! Ero in camera mia, ho visto una luce, qualcosa nella luce, papà, non ho mai visto niente di così bello!». Il padre tira un sospiro di sollievo e le dice: «Bambina mia, non farne parola con tua madre: non capirebbe. Ma sappi che io ti credo perché...perché ho appena visto la stessa cosa».    
        
Presto torna il sereno nella sua anima, riprende il lavoro e ultima il saggio. Ma il ricordo di questa esperienza lo seguirà per tutta la vita, e quando, venticinque anni dopo, nelle ultime pagine del suo capolavoro, “Le due fonti delle religionee della morale”, uno dei più grandi saggi del Novecento, passerà in rassegna tutti i fenomeni parapsicologici, parlando di quelle manifestazioni che non trovano una spiegazione naturale plausibile, scrive queste memorabili parole:
   «Supponiamo che un chiarore di quel mondo sconosciuto giunga fino a noi, visibile agli occhi del corpo. Quale trasformazione (avverrebbe) in questa umanità abituata di solito, checché se ne dica, ad accettare come esistente solo ciò che vede e ciò che tocca! L’informazione che ci arriverebbe[...]riguarderebbe forse[...]l’ultimo gradino della spiritualità. Ma tanto basterebbe a convertire in realtà viva ed operante una credenza nell’aldilà che sembra essere presente nella maggior parte degli uomini, ma che molto spesso appare verbale, astratta, inefficace. […]. Basta guardare come ci buttiamo nel piacere: non ci terremmo tanto (al piacere) se non vedessimo in esso...un mezzo per esorcizzare la morte. In verità, se fossimo sicuri, assolutamente sicuri di sopravvivere (alla morte del corpo) non potremmo pensare ad altro. Il piacere sarebbe eclissato dalla gioia».
  
Queste parole luminose di speranza sono anche il succo di questo mio modesto intervento, il filo rosso che lega tutte le mie riflessioni sulla figura di San Franco. Franco rinuncia ai piaceri e alle comodità che gli avrebbe garantito una tranquilla esistenza di agiato proprietario, per inseguire, dapprima  in un monastero benedettino, poi in un eremo tra queste nostre montagne, la gioia profonda, anticipatrice di quella eterna: nomade della speranza, come lo ha definito con felice espressione l’amico Giacomo Sansoni in un suo scritto e – aggiungo io – pellegrino dell’assoluto, oltre che, come ci suggeriscono questi nostri stupendi scenari, silenzioso cultore della nuda poesia del Creato. Senza questa “follia”, lucidamente perseguita e così scandalosamente lontana dalla nostra mentalità, non si capirebbe né la vicenda di questo eremita del Gran Sasso, né la santità cristiana che si esprime in ogni tempo e in ogni latitudine.
 

I’M ERIKA: Uscito il singolo d'esordio "LIVING IT UP"

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ph. Andrea Boccalini
Da venerdì 31 luglio in rotazione radiofonica e disponibile sulle piattaforme digitali “LIVING IT UP” (New Team Music) il singolo d’esordio di I’M ERIKA.
Il brano scritto da Valentina Ducros, composto e arrangiato da Franco Micalizzi, parla di quanto sia bello “spassarsela” con la musica. La canzone è una vera esplosione di entusiasmo ed energia che I’M ERIKA riesce a trasmettere a chi ascolta e non potrà trattenersi dal muovere il suo corpo a tempo di musica!

 

A proposito del singolo, la cantante commenta: «Ho scelto di cantare questo brano perché mi è piaciuto subito il sound energico e frizzante. Leggendo il testo mi ci sono ritrovata totalmente. – continua - Inizialmente, la canzone si intitolava “Jazzy Groove” e, venendo da ascolti di musica jazz, funk, soul ed affini, ne sono stata subito colpita. Nel testo vengono citati alcuni artisti con cui sono “cresciuta” come Chet Baker, Dizzie Gillespie e la mia adorata Ella Fitzgerald, per cui cantarlo mi ha fatto sentire subito “a casa”».

 

« “Living it up” è un brano tipicamente funk, parente stretto anche del genere “fusion” con uno spirito

molto positivo, che invita al ballo e al movimento. Il testo è della grande Valentina Ducros nota come cantante e paroliera. La festa comincia...», afferma Franco Micalizzi.

 

Erika Croce in arte I’M ERIKA nasce a Foggia nel 1986. Inizia gli studi musicali da autodidatta e successivamente si perfeziona con Valentina Ducros. Ha frequentato seminari delle principali tecniche di canto: Vocal Power, con Elizabeth Howard la vocal coach di Sting, SLS - Speech Level Singing (Stevie Wonder, Michael Jackson etc.). Ha all’attivo 15 anni di esperienza tra concerti, eventi e festival. Si specializza nell’interpretazione del repertorio Soul, Funk, R’n’B, Neo Soul e Jazz.

Ha tenuto cicli di seminari di “Storia della musica moderna” e “Interpretazione stilistica” nelle Accademie Lizard pugliesi (Associazione “Il Filomusico”) dal 2013 al 2018. Ha insegnato in numerose accademie private locali ed è stata titolare della classe di canto nell’associazione ARS DAUNIA di Foggia fino al 2017.

Nel 2013 è invitata a duettare con RON nella manifestazione COMICS FOR AFRICA (BN). Nello stesso anno tiene un concerto al SOLO BAR di Camden Town a Londra.

Nel 2014 è 2° classificata al TROISI MUSIC FESTIVAL.

Dal 2018 insegna canto moderno in varie scuole di Roma e provincia.

Ha all’attivo due progetti: “FLAWED 3” (Funky, Soul, R’n’B) e “IO VIVO COME TE” un insolito omaggio a Pino Daniele con un organico molto particolare: voce femminile, EWI (Electric Wind Instrument) e pianoforte.

Amante di Amy Winehouse è al momento impegnata nella realizzazione di un omaggio alla sua musica. Dal 2018 vive a Roma e continua a perfezionare i propri studi.

Il 31 luglio 2020 pubblica “LIVING IT UP” il singolo d’esordio, che anticipa l'uscita del primo album.

 

 

https://www.facebook.com/ErikaCroceSinger/

https://www.instagram.com/erikacrocesinger


Il gesto plasmatore della parola nel libro di Goffredo Palmerini

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di Gianfranco Giustizieri * - Finalmente il nono volume è arrivato, allineato nel ripiano della mia biblioteca e preceduto dagli otto “fratelli maggiori”.
La gestazione ha conosciuto le difficoltà temporali legate alla pandemia che ne ha ritardato la pubblicazione, come la stessa casa editrice ha voluto sottolineare, ma ora già viaggia nel mondo rispondendo all’attesa dei suoi moltissimi lettori. Infatti, come gli altri libri, Italia ante Covid” di Goffredo Palmerini (One Group Edizioni, 2020), sta superando i nostri confini per approdare in terre anche molto lontane e unire attraverso i ricordi, i personaggi, le storie, le tradizioni e tanto altro ancora, le comunità italiane sparse nel villaggio globale della conoscenza.
E come per gli altri, ho dapprima incominciato a sfogliarlo, a soffermarmi a caso qua e là nel percorso pre-covid tracciato dall’autore, a leggere un capitolo per poi andare altrove, a cercare ciò che mi sarebbe piaciuto trovare, insomma ho cercato di impadronirmi del libro perché secondo una personale convinzione la pubblicazione di un testo comporta il possesso del lettore. Così ho tentato, nel rispetto dell’autore, di farlo mio, di non seguire le pagine ma di farmi guidare dall’indice nella convinzione che alla fine avrei letto tutto il volume.

Ho ritrovato il fascino della narrazione Alla scoperta delle meraviglie del Belpaese quando la parola si trasforma in storia, immagini, colori, odori e sapori e consegna ricordi e conoscenze a lettori lontani. Viaggio metaforicamente con l’autore, i luoghi mi accolgono e ascolto le particolarità della loro antica storia; gli occhi godono la varietà dei paesaggi, s’imbevono di colori e ammirano la sapienza delle città e dei borghi affacciati sul mare o “arroccati su monti e colline come piccoli presepi”; l’olfatto coglie gli odori di “terre generose e feconde” e il profumo di pianure e di boschi; il gusto cattura le molteplicità dei sapori dalla “vasta gamma di produzione locale”.

Conosco “la millenaria arte” e la raffinatezza artigiana tramandata nei tempi generazionali; raccolgo il fascino di antichi templi “di magnificente bellezza e spiritualità” raggiunti dai pellegrini di ogni terra; scopro antiche culture racchiuse in “una vera enclave culturale”; allargo l’appello che “si aprano finestre” al fine di rendere “il doveroso tributo” a donne e uomini illustri del territorio aquilano messi nell’ombra perché soggiacciono al detto “di non essere profeti in patria”.

L’arte di plasmare la parola ai fini di narrazioni letterarie nate da realtà antiche o quotidiane, dai viaggi, dalla storia, dalla cronaca, contraddistingue la scrittura di Palmerini e connota lo stile del giornalista: viaggia per raccontare, per cercare di portare agli altri di terre lontane le emozioni, le sensazioni, le conoscenze di luoghi, di persone, di avvenimenti. È, come nota Lina Palmerini nella Presentazione del volume, l’impegno dell’autore “[…] a scovare storie e persone nell’intento di tessere una rete, tenerla viva e alimentarla come volesse ricreare lo stesso spirito che si respirava nei paesi d’Abruzzo… sempre con l’idea di onorare una parte di noi stessi, dei nostri padri e nonni di quello che ci hanno insegnato…È una parte importante di identità […]”.

Ma una parte per “gli altri di terre lontane” sono anche per noi, da fuori confine al dentro confine: mi si perdoni l’anafora per rendere il concetto. Infatti come non leggere i reportage dal Canadadove “Il cielo di Montreal è plumbeo, pioviggina e l’aria è quasi gelida”, sul Columbus Day in Michigan con il richiamo a Cristoforo Colombo e alle presunte revisioni storiche oltre Oceano che: “[…] Un’abborracciata e presunta revisione storica, che nulla ha di fondato con la Storia, vorrebbe Cristoforo Colombo non scopritore del nuovo mondo ma spietato -genocida- dei Nativi. Ancora più motivata, dunque, la passione della comunità italiana nel celebrarne la Giornata come una manifestazione dell’orgoglio degli italo-americani per quanto hanno dato al grande Paese che li ha accolti, diventando la loro seconda patria. […]”.

Precise sono le parole di Benedetta Rinaldinella Prefazione al volume quando sottolinea “[…], quella di Goffredo è una vera e propria missione di -ambasciatore- della più bella Italia, nel promuovere oltre i confini della regione e del Paese le singolarità e le meraviglie dell’Abruzzo, come pure del resto d’Italia… Questo impegno di servizio funge peraltro da straordinario rafforzamento del legame etico e culturale tra l’Italia e l’altra Italia […]”. Personalmente aggiungerei che grazie alle numerose “pillole” conoscitive disseminate tra le pagine, “l’impegno di servizio” conosce sempre il viaggio di ritorno da uomini/donne, luoghi e usanze di terre fuori confine e l’Italia.

Uno dei tanti esempi della mia affermazione può venire dalla lettura di Appunti di viaggio, tra Detroit e Rochester dove un’ampia introduzione conoscitiva della città di Detroit e di tessere di emigrazione, ci introduce ad una varietà di letture tra storia, personaggi, gastronomia, paesaggi, ricordi in un lungo percorso di attraversamento del Canada con l’approdo nella città di Rochester.

Poi i protagonisti. Narrazioni diffuse di emigrazione, antiche e nuove generazioni dalle comuni radici di terre abruzzesi e non di cui l’esempio più illustre, citato sempre nei libri di Palmerini a testimonianza di una ferrea amicizia e di una stima reciproca, è il grande drammaturgo Mario Fratti a cui è dedicato il libro: “a Mario Fratti, drammaturgo scrittore e poeta insigne, amico straordinario e fraterno con L’Aquila nel cuore”. Cosa dire? Ogni protagonista è una storia narrata di sacrifici e di successi, di memoria e di riscoperte, solo la lettura totale del libro darà la giusta dimensione: una personale scelta sarebbe arbitraria. A loro si aggiungono i residenti in terra di confine. Uomini e donne illustri, personalità insignite di riconoscimenti: per ognuno pennellate di emozioni.

Infine vorrei indirizzare la penna direttamente sull’autore tramite alcune interviste riportate nel volume. La prima è di Domenico Logozzo, già Caporedattore Tgr Rai, a seguito dell’uscita del precedente volume Grand Tour a volo d’Aquila. Attraverso l’intervista si colgono alcuni elementi essenziali della scrittura di Palmerini che permeano tutti i suoi volumi. Innanzi tutto la condivisione partecipativa e la diffusione conoscitiva delle vicende di intere generazioni che partendo da antiche radici hanno germogliato oltre confine. Ma non è solo cronaca: emozioni, sentimenti ricordi, speranze, amicizia, fratellanza, impegno civile, cultura, permeano le sue pagine dove l’essere umano è sempre posto al centro della narrazione.

La seconda è di Giustino Parisse, redattore del quotidiano “il Centro”, dal titolo Serve maggiore dedizione al bene comune, dove da un incipit dedicato all’infanzia di Palmerini, agli studi e al percorso lavorativo, la lente si dilata all’attività trentennale di amministratore del Comune dell’Aquila, come consigliere, assessore e vicesindaco. Lì emerge la linfa di valori ispirata dal cattolicesimo democratico che ha nutrito non solo l’attività politica, cercando di operare per “l’interesse generale”, ma tutte le molteplici esperienze fino a contribuire a dare voce al fenomeno emigratorio, perché dalle antiche sofferenze, merita di essere “conosciuto e riconosciuto” nella Storia d’Italia per ciò che è stato, per ciò che ha donato, per ciò di cui ora gode in stima e prestigio.

Un’ultima nota la voglio dedicare a quelle pagine scritte all’inizio del libro: Dieci anni dal terremoto dell’Aquila: il nostro grazie. Ebbene lì c’è tutto il nostro Autore, non hanno bisogno di commento: leggetele all’inizio e rileggetele alla fine. Vi accorgerete che raccolgono il carattere e lo spirito dello scrittore.

*Scrittore e critico letterario


AL VIA IL 41° ROSSINI OPERA FESTIVAL La serata inaugurale in diretta streaming gratuita

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Prende il via sabato 8 agosto alle 20.30al Teatro Rossini la 41esima edizione del Rossini Opera Festival.
La serata inaugurale, con la prima della nuova produzione della Cambiale di matrimonioeseguita assieme alla cantata Giovanna d’Arco, sarà trasmessa in streaming gratuito sul sito web e sulle pagine social del festival, per dare l’opportunità ai tanti spettatori che quest’anno non potranno essere a Pesaro di mantenere il proprio legame con la manifestazione anche a migliaia di chilometri di distanza. Inoltre l’opera sarà trasmessa in diretta radiofonica su RaiRadio3.

La cambiale di matrimonio, in programma al Teatro Rossini l’8, 11, 13, 17 e 20 agosto, sarà diretta da Dmitry Korchak, al suo debutto come direttore d’orchestra al ROF, alla guida dell’Orchestra Sinfonica G. Rossini e di un cast composto da Carlo Lepore (Tobia Mill), Giuliana Gianfaldoni (Fanny), Davide Giusti (Edoardo Milfort), Iurii Samoilov (Slook), Pablo Gálvez (Norton) e Martiniana Antonie (Clarina). La regia è curata da Laurence Dale, coadiuvato da Gary McCann per scene e costumi e da Ralph Kopp per le luci. L’opera è in coproduzione con la Royal Opera House di Mascate, dove sarà riproposta nel gennaio 2021. Assieme alla Cambiale di matrimonio, sarà eseguita anche la Cantata Giovanna d’Arco, interpretata da Marianna Pizzolato.

La seconda produzione lirica in programma è Il viaggio a Reimsfirmato da Emilio Sagi (costumi di Pepa Ojanguren) e ripreso da Elisabetta Courir nell’ambito dell’attività dell’Accademia Rossiniana “Alberto Zedda”. A causa del rinvio dei corsi dell’Accademia ad ottobre, stavolta il cast sarà composto da ex-accademici che hanno già avviato una importante carriera: Maria Laura Iacobellis, Chiara Tirotta, Claudia Muschio, Claudia Urru, Matteo Roma, Pietro Adaini, Nicolò Donini, Diego Savini, Michael Borth, Jan Antem, Alejandro Sánchez, Antonio Garés, Carmen Buendía, Valeria Girardello, Francesca Longari, Oscar Oré, Elcin Huseynov. L’Orchestra Sinfonica G. Rossini sarà diretta da Giancarlo Rizzi. Lo spettacolo andrà in scena il 12 e 15 agosto alle 20.30 in piazza del Popolo.

Sempre in piazza del Popolo si terranno sei concerti con orchestra tenuti da alcuni tra i principali interpreti rossiniani d’oggi: Olga Peretyatko (9 agosto), Nicola Alaimo (10 agosto), Jessica Pratt (14 agosto), Juan Diego Flórez (16 agosto), il trio di buffi Alfonso Antoniozzi, Paolo Bordogna ed Alessandro Corbelli (18 agosto), Karine Deshayes (19 agosto). L’orchestra sarà la Filarmonica Gioachino Rossini, diretta da giovani talenti della direzione d’orchestra quali Michele Spotti, Nikolas Nägele ed Alessandro Bonato.

Altra novità del Festival 2020 sono i Concerti al Museo, tenuti all’interno del Museo Nazionale Rossini da alcuni tra gli ex-accademici presenti a Pesaro: si esibiranno, accompagnati al pianoforte da Giulio Zappa, Nicolò Donini (11 agosto), Manuel Amati (13 agosto), Claudia Muschio (14 agosto) e Maria Laura Iacobellis (16 agosto).

Quale anteprima del ROF 2020, giovedì 6 agosto alle 20.30piazza del Popolo ospiterà la Petite messe solennelle, ultimo capolavoro sacro di Gioachino Rossini, dedicato alla memoria delle vittime del Covid-19: una commossa celebrazione di un lutto che è stato al tempo stesso personale e collettivo. La Messa sarà proposta nella sua versione originale per due pianoforti ed harmonium. Alessandro Bonato dirigerà il Coro del Teatro della Fortuna (Maestro del coro Mirca Rosciani), e un cast composto da Mariangela Sicilia (soprano), Cecilia Molinari (mezzosoprano), Manuel Amati (tenore) e Mirco Palazzi (basso). Al pianoforte Giulio Zappa e Ludovico Bramanti, all’harmonium Luca Scandali.

Lecce, sesta edizione di Pizza Village fino al 9 agosto

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Come veniva preparata inizialmente la pizza? Una storia millenaria e una tradizione tutta italiana conosciuta in ogni angolo del mondo, la pizza è davvero uno dei simboli più importanti del nostro Paese in tutto il mondo. 

Ma andiamo per gradi. Scoperta la cottura sulla pietra, l’uomo non ha potuto fare altro che scoprire anche la pizza. Poi dopo la nascita dell’agricoltura, gli uomini capirono che cuocere sulla pietra polente di cereali tostati e macinati o di pane azzimo fosse un buon modo per mangiare qualcosa di davvero gustoso e originale. 
Grazie poi agli antichi Egizi, scopritori del lievito, si avvia la storia della pizza. Con la lievitazione gli impasti di cereali schiacciati o macinati diventano, dopo la cottura, morbidi, leggeri, più gustosi e digeribili. E così si diffonde inizialmente il pane.
Inventato il pane, il percorso a tappe della pizza continua nell’antica Roma. I Romani impastavano la farina di chicchi di frumento macinati con acqua, erbe aromatiche e sale. Mancano ancora tantissimi ingredienti, molti dei quali sconosciuti fino a secoli e secoli dopo. 
Verso l’anno Mille si trovano i primi documenti ufficiali col termine “pizza”. Come in uno datato 1195 e redatto a Penne, in Abruzzo. O quelli della Curia Romana del 1300, dove si parla di “pizis” e “pissas” riferendosi ad alcuni tipici prodotti da forno.
Nel 1535, finalmente, nella sua “Descrizione dei luoghi antichi di Napoli”, il poeta e saggista Benedetto Di Falco dice che la “focaccia, in Napoletano è detta pizza”. In poco tempo, però, l’olio d’oliva prende il posto dello strutto, si aggiunge il formaggio e si ritrovano le erbe aromatiche. E così fa la sua apparizione una ricetta dal maestoso profumo di basilico, la pizza “alla Mastunicola” (in dialetto, del maestro Nicola).
Nel 1600 siamo davvero agli inizi della storia moderna della pizza. Pasta per pane,cotta in forni a legna, condita con aglio, olio e sale grosso, oppure, nella versione più “ricca”, con caciocavallo e basilico. Con la scoperta dell’America, poi, arriva il pomodoro anche in Italia e tutto prende un sapore diverso.  
La mozzarella, arriva dopo nel 1800 circa, con mozzarella e basilico, senza pomodoro che è ancora opzionale, mentre per i condimenti, si legge in “Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti” di Francesco De Bourcard, si può usare “quel che vi viene in testa”. Ma verso la fine dell’Ottocento la pizza col pomodoro e mozzarella arriva addirittura in America grazie agli italiani che emigrano.
Ricordiamo poi che la pizza pomodoro e mozzarella (pomodoro, olio, mozzarella, origano), realizzata dal pizzaiolo Raffaele Esposito in onore della regina Margherita ed i cui colori richiamavano intenzionalmente il tricolore italiano, divenne poi la pizza Margherita. La sovrana apprezzò così tanto quest’ultima da volerne ringraziare ed elogiare l’artefice per iscritto. 
E veniamo ai nostri giorni. Dal 2 al 9 Agosto, in piazza Mazzini a Lecce, si sono riaccesi i forni della più grande pizzeria a cielo aperto della Puglia, quelli del “Lecce Pizza Village”, evento gastronomico interamente dedicato alla pizza salentina e napoletana, giunto alla sesta edizione.
Anche quest’anno l’evento conferma la presenza di partner importanti, leader nazionali nel loro settore di riferimento, come Delizia Spa storico caseificio di Noci, main sponsor, il cui sogno è produrre eccellenze, creare bontà, trasformando il miglior latte crudo pugliese in specialità uniche e inimitabili lavorate a mano da mastri casari esperti, e controllate secondo le più severe norme igienico qualitative, Molino Polselli, fra i principali molini italiani, insieme ad Heineken Italia con il brand Dreher, oltre agli sponsor tecnici Ghs Salento Food Service, Cursano Distribuzione, Fernando Pensa e Isolp. 
“Doneremo un momento di spensieratezza, insieme ai colleghi napoletani, a chi vorrà venire a gustare una pizza di qualità, sapendo che rispetteremo al massimo le direttive anti-Covid. Come sempre garantiamo il meglio delle materie prime, grazie alle aziende del territorio e non solo che ci accompagnano nonostante soffrano anche loro non poco le conseguenze di questa pandemia”  ha riferito Marco Paladini, coordinatore del gruppo Mpgs (Maestri pizzaioli gourmet salentini). 
Lecce Pizza Village nasce come approfondimento di Agrogepaciok - Salone nazionale del food & beverage di qualità - ed in particolare del Forum Pizzeria incentrato sulla promozione dell’arte della pizza. Nel corso della manifestazione, infatti, si svolgeranno anche forum tematici a cura del gruppo Mpgs che, grazie al confronto con la tradizione napoletana, promuoverà la cultura del mangiare sano nel mondo della pizza.
Organizzata dall’agenzia Eventi Marketing&Communication di Carmine Notaro con il patrocinio del Comune di Lecce e di Confcommercio Lecce, la manifestazione quest’anno vedrà protagonista il gruppo dei Maestri pizzaioli gourmet salentini (Mpgs) guidati da Marco Paladini e aderente a Confcommercio Lecce, insieme ai maestri del Master Pizza & Street Food Vesuviano guidati da Luigi Pirozzi. 
Per otto giorni, nel “cuore” commerciale del capoluogo salentino, oltre 40 pizzaioli salentini e napoletani si alterneranno dietro 10 forni a legna, 1 forno gluten free. Le specialità da degustare (e giudicare) ogni sera saranno due, la pizza margherita (pomodoro, olio, mozzarella, origano) e la pizza marinara (pomodoro, aglio, olio, origano), realizzate dai migliori professionisti del Sud Italia, rigorosamente con ingredienti di prima qualità.
La musica di intrattenimento sarà protagonista ogni sera. L’ingresso è gratuito. Stand aperti dalle ore 19. 
Vito Piepoli


Dopo 40 anni lo scienziato Roberto Crea dalla California ritorna in Calabria

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Un progetto ambizioso e di respiro internazionale che vuole riportare la Calabria agli splendori della Magna Grecia.

E' questa la proposta lanciata dal Prof. Giuseppe Nisticò, farmacologo di fama internazionale, già direttore generale del Rita Montalcini Institute e già presidente della Regione Calabria, alla quale hanno già aderito entusiasticamente personaggi autorevoli come il prof. Aaron Ciechanover, premio Nobel per la chimica 2004, il prof. Thomas Südhof, premio Nobel per la medicina nel 2013Sir Salvador Moncada lo scienziato che ha scoperto il nitrossido.

D'altra parte il progetto si propone di realizzare a Lamezia Terme una piattaforma innovativa per lo studio e la produzione di anticorpi monoclonali e di pronectine.

Si tratta delle terapie più avanzate al mondo che si stanno già realizzando da anni presso la prestigiosa industria Protelica di San Francisco, il cui CEO è lo scienziato Roberto Crea, considerato il padre delle biotecnologie. Parliamo di prodotti biotecnologici innovativi che attualmente rappresentano la terapia più avanzata nel trattamento del cancro, di alcune forme di leucemia e si stanno rivelando anche molto efficaci contro le infezioni dal Coronavirus e da eventuali suoi mutanti.

Il prestigio che esprime il progetto non è passato inosservato, tanto che l'attuale Presidente della Calabria, Jole Santelli, dopo aver parlato con il prof. Roberta Crea, conosciuto anche per aver realizzato l'insulina umana ricombinante, lo ha invitato a ritornare nella sua terra di origine per dirigere l’Istituto Dulbecco.

"Si tratta pertanto - precisa Giuseppe Nisticò - di un progetto ambizioso della Calabria che va incoraggiato, creando le condizioni ideali per una ricerca di avanguardia, in modo tale che tanti altri calabresi che dirigono istituti di ricerca di grande prestigio in altri Paesi possano ritornare nella loro terra di origine".

Insomma la Magna Grecia ha tutte le potenzialità per tornare ai suoi splendori, ad essere nuovamente epicentro multidisciplinare, della massima attualità in cui c'era una interazione tra filosofia, matematica, fisica, astronomia e cultura. Come fu ai tempi di Pitagora, genio della Matematica e dell'Etica e di Zaleuco di Locri, il padre del Diritto, che per primo al Mondo - sette secoli a.C. - affermò il principio della Libertà di uomini e donne. In quello stesso periodo Protagora di Abdera proprio in questa terra redisse la Costituzione Democratica affermando: "La persona umana è misura di tutte le cose”.

Otto giovani donne e il sogno della cittadinanza italiana, a settembre su Rai 3 "Il nostro paese" di Matteo Parisini

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“Ricordati che c’è di peggio fuori. Neanche gli italiani con gli italiani vanno d’accordo.”
È la risposta ironica e lucidissima di Rabia, 22 anni, nata in Pakistan e arrivata in Italia all’età di due mesi, al racconto dei quotidiani episodi di razzismo subiti al liceo dalla sua amica. Raia vive e studia a Cremona. Dopo oltre vent’anni, non ha ancora la cittadinanza italiana. Rabia è una delle otto protagoniste de Il nostro Paese, il film di Matteo Parisini prodotto da Ladoc che verrà tramesso in prima visione per la tv il 4 settembre su Doc3 Rai3.
Il film racconta le vite e le aspirazioni di otto ragazze, testimoni esemplari di quel milione circa di giovani nati in altri paesi che hanno trovato la propria casa in Italia. Insaf, Alessia, Marya, Anna, Sabrine, Ihsane, Ana Laura e Rabia vivono e studiano in Italia, parlano naturalmente italiano, condividono abitudini e costumi dei loro coetanei: essere italiani è per loro una condizione di fatto. Contribuiscono attivamente alla costruzione della società civile, sono perfettamente integrate nel nostro tessuto sociale ma senza un documento che lo possa testimoniare perché lo Stato nega loro il riconoscimento formale della cittadinanza. La politica ne discute da anni, cercando senza successo una legge che regolamenti la materia.
Da nord a sud, da Trieste a Napoli passando per Reggio-Emilia e Barletta, Il nostro Paese segue la loro vita quotidiana, la difficile e odiosa condizione di perenne incertezza di chi si ritrova ad essere “quasi italiano”, fra sogni da realizzare e una precarietà che mette a rischio la possibilità di essere felici. C’è Alessia, diciannovenne nata in Russia ma cresciuta in Italia dove è arrivata all’età di tre anni. È cintura nera di taekwondo, ha vinto due coppe e gareggia sia a livello nazionale che internazionale ma non può partecipare alle Olimpiadi con la Nazionale Italiana. C’è Ana Laura, origini brasiliane, a Trieste dall’età di due anni. Studia all’università ma non può fare l’Erasmus. C’è Anna, nata a Napoli da genitori senegalesi, che a 18 anni ha perso l’occasione per richiedere la cittadinanza per motivi burocratici e da allora deve rinnovare ogni anno il permesso di soggiorno. Ogni anno da otto anni. E ci sono le altre, ognuna con le proprie aspirazioni, gioie, difficoltà quotidiane.
A sentirle rispondere su articoli della Costituzione a un esame universitario, riflettere sulla diversità come condizione essenziale della crescita individuale e collettiva e immaginare con fiducia, nonostante tutto, il loro futuro qui, vien da pensare che forse i veri stranieri oggi siamo noi italiani riconosciuti, estranei a noi stessi, al nostro passato di emigranti e di popolo accogliente. Estranei a quella carta costituzionale che regola il nostro vivere civile da oltre 70 anni e immemori del contesto storico che portò a scriverla quella carta. Eppure, Il nostro Paese, come le sue protagoniste, non cede al pessimismo e si trasforma in un’occasione per esplorare la provincia italiana: la vita reale di un paese che si rivela a volte migliore rispetto a quanto il racconto mediatico dipinge quotidianamente, un paese capace di offrire sorprendenti e concrete pratiche di integrazione.
Insaf, Alessia, Marya, Anna, Sabrine, Ihsane, Ana Laura e Rabia, “straniere per la burocrazia”, rappresentano una generazione che ha già compreso che la globalizzazione non è un processo che si può ostacolare ma una condizione definitiva. E che la diversità è uno strumento per comprendere la complessità del presente e così crescere, evolversi. Fedele al proprio impegno a raccontare la realtà attraverso il documentario narrativo e a valorizzare punti di vista nuovi su temi, storie e personaggi di rilevanza sociale e di attualità, con Il nostro paese la casa di produzione Ladoc dà voce a un autore, Matteo Parisini, che intende stimolare una riflessione condivisa sull’idea di cittadinanza, esplorando la complessità dei concetti di identità e di nazione, a partire proprio da chi si confronta con una molteplicità di identità e un contraddittorio senso di appartenenza.
LE PROTAGONISTE
Alessia, diciannovenne nata in Russia, è arrivata a Reggio Emilia a tre anni. Cintura nera di taekwondo, vincitrice di due coppe Italia junior, un campionato italiano junior e un campionato italiano categoria olimpica senior. Gareggia a livello nazionale e internazionale, ma senza la cittadinanza italiana il suo percorso è bloccato. Il suo grande sogno è la partecipazione alle Olimpiadi con la nazionale italiana.
Ihsane, ventiquattrenne originaria di Casablanca, in Marocco, studentessa al quinto anno di Giurisprudenza. Ihsane abita a Ciano d’Enza, in provincia di Bologna, e oltre a studiare lavora in una cooperativa per richiedenti asilo. Nel tempo libero si dedica al rap e al teatro. Ha fondato anche un’associazione, Re-generation, che si occupa di educazione interculturale nelle scuole e attraverso il rap parla agli studenti di questioni come l’immigrazione, la diversità e la cittadinanza.
Mariya, mediatrice culturale per la ASL di Napoli, arrivata con la madre dalla Bielorussia all’età di 14 anni oggi ne ha trenta. Fa la mediatrice culturale per restituire quanto ha ricevuto e aiutare i “nuovi italiani” nel processo di integrazione. Vorrebbe poter votare.
Insaf, vive a Bologna da quando aveva 3 anni, da genitori tunisini. Oggi ne ha 24. Studia diritto e vuole intraprendere la carriera politica.
Sabrine, nata in Marocco ma cresciuta a Barletta dall’età di 4 anni, ha ricevuto la cittadinanza a 22 anni e ha raccontato tutto il suo percorso – i momenti di frustrazione e scoramento fino al grande sollievo - in un libro che è diventato il riferimento per molti e molte nella sua condizione.
Anna, nata a Napoli da genitori provenienti dal Senegal. Ha perso l’occasione per richiedere la cittadinanza al compimento dei suoi 18 anni per ragioni burocratiche. Oggi ne ha 26, studia economia e va avanti con un permesso di soggiorno da rinnovare anno dopo anno.
Ana Laura, nata in Brasile e arrivata a Trieste all’età di due anni, è cresciuta in un contesto benestante e sereno. Iniziata l’università scopre di cosa significa non avere la cittadinanza italiana –non poter fare il percorso di studi europeo che immaginava, non poter viaggiare liberamente – e da questo momento decide di raccontare la sua esperienza in vlog per i suoi coetanei.

L’AUTORE
Matteo Parisini è nato a Bologna nel 1980. Il suo primo cortometraggio, A Ming, è selezionato a Cinéma du Réel a Parigi. In seguito, si specializza anche come montatore collaborando con le principali società nazionali, con cui monta quaranta documentari destinati al mercato nazionale e internazionale. Alterna il montaggio alla regia e realizza Porrajmos, parole in musicaEra Ieri, l’ultima intervista a Enzo Biagi e Lisola.

LA PRODUZIONE
Ladoc è una società di produzione specializzata nel documentario per il cinema e la tv, basata a Napoli, Italia. Privilegiamo il documentario narrativo, valorizzando punti di vista nuovi su temi, storie e personaggi di rilevanza sociale e di attualità, in cui possa realizzarsi l'incontro tra visioni culturali diverse. Perseguiamo sguardi singolari e sorprendenti, unici, per accedere all’universale, consapevoli della forza unica della narrazione per conoscere l’uomo. Le produzioni Ladoc sono andate in onda in Italia e all’estero (tra gli altri: Rai Uno, Sky Arte, TV2000 Al Jazeera Documentary, France 3, RSI), distribuite in sala (Napolislam con IWonder Pictures) e sono state presentate nei principali festival di cinema europei: da Locarno a Camden, da IDFA a Trieste, da Jilhava a Thessaloniki. Ladoc ha co-prodotto con broadcaster quali Rai Cinema, TV2000, Al Jazeera Documentary Channel, France Télévisions. Negli ultimi anni Ladoc ha avviato e concluso co-produzioni internazionali con Dublin Films (Francia), Filmsnòmades (Spagna), Ripley Point Pictures (Canada).

Scritto e diretto da Matteo Parisini
Produzione Ladoc
In coproduzione con Isola Film e Ghirigori
Con il supporto di Regione Emilia-Romagna Film Commission, Regione Puglia Apulia Film Commission, Fondo Audiovisivo Friuli-Venezia Giulia
Con il patrocinio di Amnesty International
Con il sostegno di Italiani Senza Cittadinanza

Grande successo per il 1° concorso IDEE NELLO SPAZIO al Teatro lo Spazio

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Si è conclusa nel fine settimana la Prima edizione del concorso “Idee nello Spazio 2020”, dopo due settimane che hanno riportato l’energia sul palcoscenico del Teatro lo Spazio, all’insegna della passione e della qualità.

Sono stati 35 i corti teatrali in gara che, in 11 giorni di concorso, hanno animato il teatro nel cuore di San Giovanni, diretto da Manuel Paruccini.
Il Teatro lo Spazio continua, dunque, con successo la sua corsa verso il rilancio, registrando un’affluenza di pubblico inaspettata, nonostante le difficoltà dovute al momento storico e sempre nel rispetto delle disposizioni vigenti in relazione al contingentamento.
“Idee nello Spazio” ha dato modo ad  attori , autori e registi di confrontarsi sulle tavole del palcoscenico,  con l’intento di trovare nuove realtà teatrali e dar vita ad un confronto costruttivo più che a una vera e propria competizione .
Il pubblico, che ha affollato le serate accorrendo numeroso, ha infatti avuto modo di partecipare ai dibattiti con la giuria tecnica, composta da artisti e operatori dello spettacolo che hanno dispensato suggerimenti e consigli alle compagnie, con interesse e passione. Tra di essi: Pino Ammendola, Fabrizio Bancale, Riccardo Castagnari, Anna Cuocolo, Gianni De Feo, Valentina De Giovanni, Annalisa Favetti, Attilio Fontana, Maximilian Nisi, Massimo Zannola.
Tre sono i corti vincitori, proclamati nella serata finale  dal presidente di giuria Pino Ammendola,  i quali avranno la possibilità di essere inseriti nella prossima stagione in uno spazio a loro dedicato.
Al primo posto si è classificato “ Occhio al cuore “ di Emiliano Metalli, con Bruno Petrosino e Mauro Toscanelli, al secondo  posto “ L’Ospite” di  Refrigeri- D’arcangelo,  con Chiara Moretti e Paola Salvatori, e al terzo posto “ Mary “ di  Cecchini-Macchiusi, con Federico Maria Galante e Filippo Macchiusi.
Il Premio Miglior interprete femminile è andato a Gisella Cesari, vincitrice anche del Premio Fotobook a cura di Diego D’Attilio, mentre quello per il Miglior interprete maschile a Mauro Toscanelli.
Infine, il Premio Spazio Giovani è stato assegnato a “Secondo Atto" di Simone Sardo.
 “E’ stato emozionante vedere quanta voglia c’era di tornare ad appropriarsi della scena.” -dichiara il direttore artistico Manuel Paruccini-. ”Il clima e il livello artistico delle proposte mi riempie  di soddisfazione e orgoglio, segnale evidente di un grande cambiamento, che vedrà la sua conferma con la nuova stagione che speriamo si possa svolgere in normalità."

Noto, 6° GIACINTO FESTIVAL-NATURE LGBT+ 8-9 agosto 2020

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Torna l’atteso festival di informazione e approfondimento sulla cultura omotransessuale.

“GIACINTO FESTIVAL-NATURE LGBT+”, giunto quest’anno alla VI edizione.
Tra i protagonisti di questa edizione: la raffinata DRUSILLA FOER, l’onorevole STEFANIA PEZZOPANE e DARIO ACCOLLA.
Sabato 8 e domenica 9 agosto 2020 ritorna, nella splendida città di Noto il festival di informazione e approfondimento culturale lgbt+: “Giacinto festival - nature lgbt+”. 
Il festival prevede due giorni di lavori durante i quali, attraverso l’utilizzo di linguaggi differenti, si racconteranno le realtà e i temi che più interessano la comunità LGBT+ (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali). Il festival è diretto dall’attore ed operatore culturale Luigi Tabita:
“La pandemia e le sue continue restrizioni fisiche ci hanno messo difronte all’importanza e ai limiti del nostro corpo. Corpi nascosti o protetti per evitare il contagio, corpi forti o fragili come quelli di coloro che non ce l’hanno fatta. Ognuno di noi ha dovuto fare i conti con la propria fisicità e la mancanza di quella degli altri. Vogliamo dedicare proprio al corpo questa VI edizione per approfondirne la sua forza rivoluzionaria. La libertà di essere noi stessi, di scegliere, di autodeterminarci passa dalla libertà dei corpi. Una libertà continuamente minata, imbrigliata in stereotipi e timori che ancora oggi ci rendono schiavi del sistema. 
Saranno due giornate ricche di incontri ed approfondimenti. Affronteremo il tema del Bodyshaming” (derisione del corpo). L'atto di deridere una persona per il suo aspetto fisico, secondo gli esperti, oggi è un vero e proprio allarme sociale; proietteremo il film “Gli anni amari” diretto da Andrea Adriatico sulla vita di Mario Mieli, teorico degli studi di genere, e poi ancora invaderemo la città con delle istallazioni urbane: dal progetto “I am”sui corpi in transito, ideato dalla coppia di artisti Schirra/Giraldi e pubblicato anche sul National Geographic, allo studio “I am what I am: nude” di Fabio Dolce, e per concludere, nella giornata di domenica, le associazioni lgbt+ realizzeranno un percorso pedonale rainbow nel cuore della città. La chiusura del festival sarà affidata all’arguta Drusilla Foer, attrice e cantante, già giudice di StraFactor e protagonista del talk di Piero Chiambretti CR4 – La Repubblica delle Donne, che si racconterà tra musica e poesia”
Anche quest’anno il festival si svolgerà nell’elegante Cortile del Convitto delle Arti, contaminando il centro storico di Noto con varie iniziative. 
Media partner GAY.it
Partner della manifestazione: Gay Friendly Italy, Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, Arcigay, Stonewall, Agedo, Amnesty International, No Hate Speech Movement Italy- No all’odio, Giosef Siracusa, Lila, Astrea, Arciragazzi Siracusa 2.0.

PROGRAMMA
SABATO 8 AGOSTO

H.20.00  
I AM
DI SCHIRRA/GIRALDI
ISTALLAZIONE URBANA

IL PROGETTO A DITTICO RACCOGLIE RITRATTI DI PERSONE PRIMA E DOPO LA TRANSIZIONE.

CORSO VITTORIO EMANUELE


I AM WHAT I AM: NUDE
DI FABIO DOLCE 
VIDEO ASSISTANT AND TECHNICIAN PHANUEL ERDMAN
ISTALLAZIONE URBANA

UNO STUDIO SUL SIGNIFICATO DEGLI AGGETTIVI MASCHILE E FEMMINILE. CHI E/O COSA NE DETERMINANO LA DIFFERENZA. 

VIA SILVIO SPAVENTA

Allestimenti Vincenzo Medica per Studio Barnum
H.20.45 BODYSHAMING (derisione del corpo)
SALUTI:
LUCIA SCALA/ PRESIDENTE ARCIGAY SIRACUSA
ALESSANDRO BOTTARO/ PRESIDENTE STONEWALL GLBT
INTERVERRANNO:
ON. STEFANIA PEZZOPANE/ DEPUTATA DELLA REPUBBLICA ITALIANA
DARIO ACCOLLA/ SAGGISTA E CO-FOUNDER DI GAYPOST.IT
CONVITTO DELLE ARTI

H.22.00 GLI ANNI AMARI 
FILM DIRETTO DA ANDREA ADRIATICO SULL’ATTIVISTA E SCRITTORE MARIO MIELI.
CONVITTO DELLE ARTI

DOMENICA 9 AGOSTO

H.19.30 RAINBOW STREETS
LE ASSOCIAZIONE LGBT+ REEALIZZERANNO UN PERCORSO PEDONALE RAINBOW.

H.21.30 DRUSILLA
DRUSILLA FOER SI RACCONTA CON PUNGENTE IRONIA TRA MUSICA E POESIA.
CORTILE DELLE ARTI

Silvia Siravo interpreta il ruolo di Io nel “Prometeo” per la regia di Patrick Rossi Gastaldi

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E’ Silvia Siravo ad interpretare il ruolo di “Io” nel PROMETEO di Eschilo adattamento di Patrick Rossi Gastaldi con Eduardo Siravo, Ruben Rigillo, Gabriella Casali e Alessandro D’Ambrosi.
In una estate difficile per il teatro italiano, segnata dall’emergenza per la pandemia da Covid19, un segnale di ripresa arriva da più parti e importanti sono le date della tournée di questo “Prometeo” che vede protagonista la Siravo: 7 agosto alle 21:30 a Volterra nell’ambito del Festival Internazionale del Teatro Romano di Volterra, 12 agosto presso l’arena plautina di Sarsina nell’ambito del Plautus Festival, 13 agosto ore 21.15 Calvi Teatro nell’ambito del Calvi Festival, 21 agosto Festival del Teatro Classico “Tra Mito e Storia” di Portigliola, per poi fare tappa in Sicilia il 24 agosto a Segesta, il 25 agosto a Selinunte, 26 agosto a Gela e 27 agosto a Tindari.
Io, il personaggio che sto interpretando nel Prometeo di Eschilo – racconta Silvia Siravo - è doppiamente vittima: degli abusi di Zeus e dei suoi stratagemmi per coprire quegli stessi abusi. Trasformata in giovenca, condannata ad errare pungolata da un tafano, il personaggio pone senza dubbio delle difficoltà. Spontaneamente ho immaginato il tafano come una paura interna che non si può scacciare, quella corsa come un'ossessione distonica, cioè incoerente con tutto il suo essere.I movimenti convulsi e afinalistici di Io, mi hanno fatto pensare ad un disturbo mentale provocato da un forte trauma. Sarà per me una sfida complessa ma sicuramente interessante portare in scena un personaggio perennemente in fuga che vaga senza requie e meta e così colmo di dolore”.
In un momento storico in cui si deve andare in scena prestando la dovuta attenzione al distanziamento sociale, la scelta di un testo bellissimo come il Prometeo, permette, racconta ancora Silvia Siravo, di svolgere un lavoro giustissimo in questi tempi di emergenza: “Abbiamo scelto questo testo perché è piuttosto statico e permette il distanziamento. È vero però che Prometeo è interpretato da Edoardo Siravo, nonché mio padre, e in quanto congiunti possiamo avvicinarci. È spiazzante stare così lontani in scena, limitare l'impulso ad accostarsi. Lo stesso disagio sentito nella vita durante questo periodo così difficile risuona sul palcoscenico in modo evidente”.È la prima volta che l’attrice romana lavora con Patrick Rossi Gastaldi, e l’esperienza si è rivelata essere molto bella per Silvia: “E’ un vero piacere, il suo sguardo è sempre profondo e le sue indicazioni stimolanti”.

Silvia Siravo, sempre molto impegnata nel suo percorso artistico in questo periodo è anche alle prese con altri progetti interessanti e ce lo racconta: “In questo periodo sto facendo anche un audiolibro sul lessico giapponese...un'impresa appassionante. Quando mi ritrovo a dover pronunciare molte frasi e parole in questa lingua così lontana ma affascinante devo dire però che sudo più che in palestra (commenta ridendo); inoltre con una collega ed amica Arianna Ninchi stiamo curando un progetto editoriale dal titolo Musa e getta che poi diventerà anche teatrale. Sta per nascere, grazie a Ponte alle Grazie e a Vincenzo Ostuni, un'antologia tutta al femminile che intende celebrare le muse ispiratrici, ovvero quelle donne che meritano di uscire dall'ombra in cui hanno vissuto”. 
Foto Matteo Nardone

Montone, Umbria Film Festival 2020 dal 5 al 9 agosto

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Dal 5 al 9 agosto si tiene a Montone (Perugia), l'Umbria Film Festival, con la direzione artistica di Vanessa Strizzi, la direzione organizzativa di Chiara Montagnini Marisa Berna e la presidenza del regista Terry Gilliam.
 Il festival, che si svolgerà nella nuova location panoramica di Piazza San Francesco, per usufruire di un maggiore spazio per il distanziamento di pubblico e ospiti, presenterà anteprime di lungometraggi e non mancherà la sezione dedicata ai cortometraggi per bambini. Come da tradizione, anche la tavola rotonda sui migranti, dedicata per questa edizione allo sfruttamento da parte del caporalato. Da quest’anno si inaugura un importante premio, quello per il Miglior Casting Director Italiano, realizzato in collaborazione con l'UICD - Unione Italiana Casting Directors.

Il programma del festival si apre mercoledì 5 agosto alle ore 21:00 con la proiezione del cortometraggio frutto di una nuova iniziativa, dedicata ai più piccoli. Immaginato durante il periodo di quarantena, in piena emergenza virus, è nato infatti il progetto Drawings 2020, su idea della regista danese Lone Scherfig, da anni ospite del festival e nel 2019 insignita della Cittadinanza Onoraria di Montone. Un progetto che parte dall’idea di veder rappresentati, su qualsiasi superficie e con qualsiasi strumento, pensieri e desideri per il futuro da parte dei bambini. “Abbiamo, così, contattato – spiegano Strizzi e Scherfig - le maestre della scuola di Montone, che hanno accolto con entusiasmo il progetto e ci hanno messo in contatto con le famiglie”. Diciotto bambini hanno quindi aderito a Drawings 2020 e il risultato è un cortometraggio delicato ed emozionante, in cui i bambini mettono in scena visioni diverse di futuro: la libertà di un palloncino, isole con arcobaleni, viaggi in giro per il mondo, ma, soprattutto, la voglia di tornare a stare insieme. Drawings 2020 è stato ideato e supervisionato da Lone Scherfig, con musiche di Francesco De Luca e Alessandro Forti. L’organizzazione è di Rachele Parietti e Cristiana Rosini, ha collaborato al progetto Paolo Panella. A seguire le proiezioni dei corti per bambini con lavori provenienti da Germania, Olanda, Australia, Francia e Spagna e alle ore 22:20 l'anteprima italiana del lungometraggio Moothondi Geetu Mohandas, thriller d'azione indiano che segue le vicende di un bambino in cerca di suo fratello maggiore che ha sbalordito gli spettatori del Toronto Film Festival.

Giovedì 6 agosto alle ore 21:30 la serata prevede cinque cortometraggi per bambini provenienti da Francia, India e Russia. Alle 22:20, il lungometraggio brasiliano "Bacurau", diretto a quattro mani da Kleber Mendonca Filho e Juliano Dornelles. Il film, che 'disegna un'immagine apocalittica del Brasile', è interpretato da Sonia Braga e Udo Kier, ed è vincitore del Premio della Giuria al Festival di Cannes 2019, del Premio per la Miglior Regia al Festival del cinema fantastico di Sitges e del Premio Black Panther per il Miglior Film al Noir in Festival. Tra stilemi western e socio-politica, il lungometraggio racconta di un piccolo villaggio brasiliano, Bacurau, che subisce strani eventi in seguito alla morte della matriarca 94enne Carmelita. La rivolta contro un politico locale, che ha preso il controllo dell'acqua, si innesta alla scomparsa del villaggio dalle mappe satellitari e al ritrovamento di cadaveri trivellati di colpi.

La serata di venerdì 7 agosto si apre alle 21:30 con i corti per bambini, provenienti da Giappone, Germania, Francia, Corea del Sud e Australia. Alle 22:20 la proiezione dell'ultimo lungometraggio di Mika Kaurismaki"Mestari Cheng", delicata commedia interpretata da Chu Pak HongAnna-Maijia Tuokko e Vesa-Matti Loiri. Nel solco dello stile del regista finlandese, una storia che travalica i confini delle nazionalità, in cui il cibo mostra tutto il suo potere taumaturgico. Dopo la morte della moglie, lo chef cinese Cheng arriva nella Lapponia finlandese con il figlio per ritrovare un vecchio amico, che, però, al villaggio nessuno sembra conoscere. Sikka, proprietaria di una caffetteria offre ai due alloggio e in cambio Cheng la aiuta in cucina preparando manicaretti cinesi. A poco a poco Cheng diventa una celebrità nel villaggio, e il visto turistico in scadenza mobilita la comunità affinchè padre e figlio possano rimanere...

Sabato 8 agosto, alle ore 21:30 i corti per bambini con 6 film da Germania, Svizzera, Francia e Ungheria e a seguire la premiazione per il Miglior Casting Director Italiano, realizzato in collaborazione con l'UICD - Unione Italiana Casting Directors. Alle 22:20 il lungometraggio inglese “Days of the Bagnold Summer”, opera prima dell'attore comico Simon Bird, presentato al Festival di Locarno, il delicato ritratto del rapporto tra un adolescente patito di heavy metal e la madre, la persona che meno sopporta, raccontato nell'arco di una estate.

L'ultimo giorno del festival, domenica 9 agosto, si apre alle ore 21:30 con i cortometraggi della sezione 'Colpo di fulmine', con lavori da Australia, Cina/USA, Irlanda, Iran e Francia. Alle 22:20 la proiezione del lungometraggio rivelazione di Cannes 2019, il franco-algerino “Non conosci Papicha”, esordio di Mounia Meddour, distribuito da Teodora Film e nelle sale in autunno. Già insignito di un doppio César per la regista e l’interprete principale, la giovanissima Lyna Khoudri, acclamato in Francia con oltre 2 milioni di euro di incasso, il film è tuttora bandito in Algeria per motivi mai chiariti dal governo. Inno all'emancipazione femminile, dramma dei contrasti, solare, teso, vitale e commovente insieme, racconta la vita della giovane e brillante Nedjma (soprannominata “Papicha”), studentessa universitaria algerina che sogna di diventare stilista. La sua vita è sconvolta da un’ondata di fondamentalismo religioso che fa precipitare il Paese nel caos. Determinata a non arrendersi al nuovo regime, Nedjma decide di organizzare con le compagne una sfilata dei suoi abiti, che diventerà il simbolo di un’indomita e drammatica battaglia per la libertà.
Due i concerti che animeranno le serate: venerdì 7 agosto alle ore 19:00 l'emozionante concerto del Quartetto Pessoa, una delle formazioni da camera italiane più prestigiose che accosta i generi più diversi: dalla grande letteratura classica per quartetto d’archi alle contaminazioni con il jazz, il rock-blues, il tango, la musica klezmer da film e contemporanea.

Sabato 8 agosto, sempre alle 19.00 invece sarà la volta dei Ginger Bender, duo al femminile, due chitarre, loop station, due voci in una unione tra musiche del passato e un presente funky, groovy, elettronico, in cui anima nera e anima bianca si fondono; il ritmo e l'energia africana e l'armonia europea, con atmosfere anni Trenta rivisitate in versione riot girl.

Tra le altre iniziative del festival, due corsi: il Corso di Sceneggiatura, che sarà tenuto dal regista e sceneggiatore Emiliano Corapi (Premio Moravia per la sceneggiatura, Premio del Pubblico al Torino Film Festival e Nastro d’Argento), il cui secondo lungometraggio – L'Amore a domicilio, con Miriam Leone e Simone Liberati – presentato in anteprima lo scorso anno al festival, è programmato nelle arene estive e sulla piattaforma di Prime Video. Quindi, il Corso di Fotografia documentaria, che sarà tenuto dal fotografo e documentarista Paolo Amadei. Lezioni teoriche, da tenersi in presenza degli studenti, con le nozioni base di fotografia, l'analisi di spazio, luce e azione e lo studio dell'inquadratura di fotografie di grandi autori.

La serata di venerdì 7 agosto prevede alle ore 21:00 la proiezione dei cortometraggi realizzati grazie al Progetto Action Movies, un centro estivo per bambini e bambine dai 6 ai 12 anni realizzato in collaborazione con il Comune di Montone, la cooperativa Asad e l’Associazione Giovani Montone. I bambini hanno frequentato fino al 1 agosto corsi
sull’animazione in stop motion per il cinema, sia con la plastilina che con il collage e i disegni, per creare dei cortometraggi che saranno proiettati in piazza.

Giovedì 6 agosto inoltre nella Chiesa Museo di San Francesco a Montone, alle ore 16.30, si terrà – nel rispetto delle misure anti-Covid 19 - il seminario 'Migranti 2020. Caporalato: lavoratrici e lavoratori vittime di vecchie e nuove forme di sfruttamento'. Partendo dall'esame della legge 199 del 2016 cd sul caporalato e dall'art 103 del decreto legge 341/2020 (decreto Rilancio), ne parleranno la Ministra Bellanova o un suo delegato, il vice-presidente della Giunta Regionale nonchè Assessore all'Agricoltura della Regione Umbria, il Prefetto di Perugia, rappresentanti dei sindacati e dei datori di lavoro (Coldiretti, Cia, CGIL, CISL e UIL Umbria, CGIL Calabria) e studiosi di livello europeo, protagonisti e testimoni. Coordina Carla Barbarella, curatrice della Ricerca: Lavoro si Caporalato no, con i saluti istituzionali di Mirco Rinaldi, sindaco di Montone. Il Seminario è organizzato dall'Associazione Umbria Film Festival, dal Comune di Montone, da ALISEI Coop.

Per informazioni

Cristiana Capotondi, al via le riprese di CHIARA LUBICH film Tv di Giacomo Campiotti

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Prendono il via le riprese di Chiara Lubich, Tv movie di Giacomo Campiotti ispirato alla fondatrice del Movimento dei Focolari. Interprete di questa figura carismatica, nell’anno del Centenario della nascita, Cristiana Capotondi.

Sceneggiato da Francesco Arlanch, Giacomo Campiotti, Luisa Cotta Ramosino, Lea Tafuri, il film è una coproduzione Rai Fiction - Casanova Multimedia, prodotta da Luca Barbareschi.
Conosciamo Chiara Lubich a ventitré anni e fin dall’inizio incontriamo una giovane donna e il suo sogno, quello di lavorare per realizzare la fratellanza universale.
Siamo a Trento, una città oltraggiata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Addolorata per la tragedia che vede intorno a sé, Chiara decide di consacrare la sua vita a Dio, l’unico ideale che le sembra non crollare. Insieme ad un gruppo di amiche si dedica ai bisognosi e nel clima d’odio che il conflitto ha generato, si preoccupa di favorire la riconciliazione, sanare le ferite e progettare un futuro migliore per l’umanità.
Siamo in un’epoca storica complessa, caratterizzata da intolleranza e misoginia e Chiara si scontra con le consuetudini del tempo. Suscita scandalo la scelta di andare a vivere in una casa con le sue amiche, come pure la sua abitudine di leggere il Vangelo in pubblico, fino a quel momento prerogativa di uomini religiosi.
La comunità che raccoglie attorno a sé cresce e diventa un Movimento vitale che si diffonde rapidamente in tutto il mondo. Al centro dei suoi dialoghi di pace spiccano la forza dell’amore e la solidarietà che può costruire ponti tra gli uomini di qualunque razza o fede religiosa.
Quattro settimane di riprese in Trentino e una tra Roma e Viterbo per il ritratto di una donna libera, appassionata, laica e coraggiosa.
Una figura affascinante e rivoluzionaria ma anche un personaggio complesso per la Chiesa dell’epoca che, dopo averla sottoposta al giudizio del Sant’Uffizio, la riconosce definitivamente con Papa Paolo VI.

Si ringrazia il Presidente della Provincia Autonoma di Trento Maurizio Fugatti, l’Assessore alla Cultura della Provincia Autonoma di Trento Mirko Bisesti, il Presidente della Film Commission Giampaolo Pedrotti e il responsabile Luca Ferrario. Un caloroso grazie al Comune di Trento e al Sindaco Alessandro Andreatta, al Comune di Rovereto e al Sindaco Francesco Valduga, all’Azienda per il Turismo San Martino di Castrozza, Passo Rolle, Primiero e Vanoi e al Direttore Manuel Corso e alla Comunità del Primiero, al Comune di Pergine Valsugana e il Sindaco Roberto Oss Emer. Un ringraziamento infine a Trentino Sviluppo S.P.A.


Mostra “I disegni giovanili di Le Corbusier. 1902-1916” dal 19 settembre al Teatro dell’architettura Mendrisio

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Da sabato 19 settembre 2020 a domenica 24 gennaio 2021 il Teatro dell'architettura Mendrisio presenta la mostra “I disegni giovanili di Le Corbusier. 1902-1916” promossa dalla Fondazione Teatro dell’architettura, con la collaborazione dell’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana a Mendrisio.

L’ampia rassegna, con più di ottanta disegni originali inediti provenienti da collezioni private e pubbliche svizzere e con numerose riproduzioni di disegni provenienti dalla Fondation Le Corbusier di Parigi, è stata organizzata in occasione della pubblicazione del primo volume del Catalogue raisonné des dessins de Le Corbusier, curato da Danièle Pauly, edito da AAM-Bruxelles in coedizione con la Fondation Le Corbusier e con il contributo della Fondazione Teatro dell'architettura di Mendrisio.

LA MOSTRA 
La mostra, a cura di Danièle Pauly, è dedicata ai disegni che il giovane Le Corbusier eseguì tra il 1902 e il 1916: dall’anno del suo ingresso nell’Ecole d’arts appliqués di La Chaux-de-Fonds, sua città natale, a quello che precede il suo definitivo trasferimento in Francia e l’avviamento dello studio d’architettura a Parigi.
La quasi totalità dei disegni esposti appartengono a collezioni private e pubbliche svizzere e sono in gran parte inediti: il pubblico avrà così per la prima volta l’opportunità di conoscere un eccezionale corpus di documenti rari. Completa la mostra una serie di riproduzioni di disegni originali e di carnet di viaggio eseguiti da Le Corbusier nello stesso periodo.
Il Teatro dell’architettura accoglie dunque il racconto di ciò che ha determinato la nascita di una vocazione che il giovane Charles-Edouard Jeanneret, il futuro architetto Le Corbusier (1887-1965), pensava all’inizio essere quella di pittore. Fattore determinante per la sua formazione saranno in primo luogo, tra il 1902 e il 1907, gli studi nella scuola di arti applicate nell’ambito dell'orologeria e dell’architettura, influenzati da un maestro carismatico come Charles L'Eplattenier, un pittore che si ispirava alle idee di John Ruskin e al movimento Arts and Crafts. In seguito contribuiranno in modo determinante alla formazione della sua personalità sia l’esperienza nell’atelier di Auguste Perret tra il 1908 e il 1909 e la frequentazione assidua dei musei di Parigi, sia l’incontro con gli architetti delle avanguardie europee dell'inizio del XX secolo ma anche, incoraggiato dal suo mentore William Ritter, i viaggi di studio tra il 1907 e il 1911, che si concludono con il lungo viaggio in Oriente, un’esperienza che influenzerà profondamente i suoi progetti negli anni a venire.
Paesaggio con montagne azzurre, 1910, mina, acquerello e gouache su carta vergata, firmato e datato "Ch. E. Jt./A Munich 1910", coll. Éric Mouchet, Parigi, fotografia © Éric Mouchet
Le opere selezionate in mostra dimostrano l’importanza che fino dagli esordi Le Corbusier ha attribuito al disegno: un modo per avvicinarsi alla realtà e uno strumento di osservazione, come ad esempio gli studi sulla natura che ha realizzato dal 1902 al 1905 durante i primi anni di scuola. Il disegno è dunque per il giovane Charles-Edouard Jeanneret uno strumento di analisi e di ricerca, come emerge dai fogli realizzati nei musei parigini, o nei primi disegni di architettura prodotti La Chaux-de-Fonds tra il 1905 e il 1907. Schizzi e disegni sono infine per Le Corbusier sia uno strumento al servizio della memoria, eseguiti su taccuini nel corso dei suoi viaggi, ma anche occasione di espressione lirica, come testimoniano i suoi acquerelli, i gouaches di paesaggi e di nudi femminili realizzati dopo il suo ritorno in Svizzera nel 1912.
La mostra si articola in più sezioni, a partire dagli anni di formazione scolastica, caratterizzata da meticolosi disegni a matita con soggetti naturalistici, piccoli acquerelli di paesaggi, studi decorativi per oggetti di artigianato con motivi Art Nouveau, al periodo dei viaggi con i soggiorni nelle capitali europee: il viaggio in Italia del 1907 dedicato allo studio del Medioevo e alla pittura della scuola ‘primitiva’ italiana; il soggiorno a Parigi nel 1908-1909 con l’apprendistato nell'atelier dei fratelli Perret, gli studi su Notre-Dame e i disegni realizzati nei numerosi musei della città.
Nel 1910 il viaggio in Germania, con un periodo da apprendista nell'atelier berlinese di Peter Behrens e un tour che tocca diverse città tedesche e nel 1911, in ultimo, il lungo viaggio iniziatico in Oriente.
L’ultima sezione della mostra racconta del ritorno a La Chaux-de-Fonds (1912-1916), periodo durante il quale Le Corbusier insegna, intraprende l’attività di architetto e si dedica alla pittura e al disegno di una serie di paesaggi, ritratti, scene di famiglia, di nudi femminili e di nature morte, che già preannunciano i soggetti della seconda fase della sua produzione artistica, dove prevarrà il lavoro di ispirazione purista.
Notre-Dame de Paris, galleria superiore, 1908 , mina, carboncino e inchiostro diluito su carta color bistro, datato "juin 08", coll. privata, Svizzera, fotografia © Éric Gachet
LE CORBUSIER 1902-1916 
Le Corbusier, pseudonimo di Charles-Édouard Jeanneret-Gris (1887 –1965), uno dei più grandi architetti e urbanisti della storia dell’umanità, è stato anche pittore e scultore.
Figlio di Georges-Eduard Jeanneret-Gris, incisore e smaltatore di orologi e di Maria Carlotta Amelia Jeanneret-Perret, musicista, si forma all’Ecole d’arts appliqués di La Chaux-de-Fonds per seguire una formazione d’incisore cesellatore di casse d’orologio.
Durante questo periodo frequenta corsi di disegno e di decorazione assieme a un corso superiore di decorazione d’interni. Inizialmente deciso a intraprendere la carriera di pittore, il giovane Jeanneret, su consiglio di Charles L’Eplattenier, inizia anche a seguire un corso di architettura che lo avvicinerà al mondo della professione.
Nel 1907, al termine degli studi, inizia un viaggio in Europa: in Italia, dove scopre l’architettura medievale; in Austria, dove conosce i lavori della Wiener Werkstätte ed entra in contatto con gli ambienti della Secessione viennese; in Francia, dove collabora come disegnatore nell’atelier dei fratelli Perret a Parigi; in Germania, dove incontra personalità come William Ritter, Theodor Fischer, Heinrich Tessenow, Hermann Mthesius, Bruno Paul, e dove lavora nello studio di Peter Behrens a Berlino.

Nel 1911, assieme ad Augusto Klipstein, allora studente di storia dell’arte, parte per un lungo viaggio in Oriente, facendo tappa a Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest, Tarnovo, Gabrovo, Kasanlik, Istanbul, il Monte Atos ed Atene. Sulla via del ritorno per la Svizzera Le Corbusier passa di nuovo dall’Italia visitando Napoli, Pompei, Roma, Firenze, la Certosa di Galluzzo e Pisa. Nel corso del viaggio in Oriente realizza centinaia di disegni e schizzi, contenuti nei famosi carnet ricchi di annotazioni.

In seguito, dal 1912, Le Corbusier si ristabilisce a La Chaux-de-Fonds dove comincia ad insegnare Composizione decorativa e Composizione architettonica nella nuova sezione dell’Ecole d’arts appliqués e inizia a praticare l’architettura negli Ateliers d’Art Réunis. Nello stesso anno i suoi genitori gli commissionano il progetto per la loro casa al Pouillerel.

Tra il 1915 e il 1916 soggiorna nel Landeron, dove si è stabilito William Ritter, compie diversi viaggi a Parigi e lì con Max Du Bois progetta le case prefabbricate in cemento armato modello Dom-Ino. In seguito incontrerà a Lione Tony Garnier e qualche mese dopo, nel gennaio 1917, si stabilisce a Parigi per aprire il suo primo atelier d’architettura.
Charles-Édouard Jeanneret sull’Acropoli, vicino a una colonna rovesciata del Partenone, settembre 1911 | fotografia Copyright ©FLC/ADAGP

DANIÈLE PAULY 
Danièle Pauly è una storica dell'arte, ha conseguito il dottorato all’Université des Sciences Humaines de Strasbourg ed è professoressa onoraria presso l’Ecole nationale supérieure d'Architecture di Paris-val-de-Seine. Negli anni ha concentrato la sua ricerca in particolare sul lavoro di Le Corbusier, sulla scenografia per il teatro e sull'architettura messicana. Dopo le prime pubblicazioni, tra cui Ronchamp, lecture d'une architecture (Pu de Strasbourg, 1980), la curatela di mostre come Le Corbusier et la Méditerranée (Centre de la Vieille Charité, Marsiglia, 1987) e la sezione sull'opera artistica di L'aventure Le Corbusier (Centre Pompidou, Parigi, 1987), Danièle Pauly si è dedicata negli ultimi anni alla ricerca sull’opera grafica dell'architetto svizzero, con le esposizioni Le Corbusier, le dessin comme outil (Nancy, 2006-2007), Le Corbusier. Le jeu du dessin (Antibes-Münster, 2015-2016) e Le Corbusier. The Paths to Creation (Seoul, 2016-2017), pubblicando vari saggi tra cui: Le Corbusier. Albums d’Afrique du Nord nel 2013, Ce labeur secret, Le Corbusier et le dessin nel 2015 e nel 2018 Le Corbusier. Drawing as Process, pubblicato dalla Yale University Press.

È autrice del Catalogue raisonné des dessins de Le Corbusier, di cui il primo volume è stato pubblicato alla fine del fine 2019.
Teatro dell’architettura Mendrisio, Università della Svizzera italiana, Architetto: Mario Botta, fotografia © Enrico Cano

INFORMAZIONI
“I disegni giovanili di Le Corbusier. 1902-1916”
19 settembre 2020 – 24 gennaio 2021
A cura di Danièle Pauly

Mostra promossa da Fondazione Teatro dell’architettura con la collaborazione dell’Accademia di architettura - Università della Svizzera italiana

Teatro dell’architettura Mendrisio
Via Turconi 25 - 6850 Mendrisio, Svizzera

Preview stampa: giovedì 17 settembre 2020 ore 10.30
Inaugurazione mostra su invito: giovedì 17 settembre 2020 ore 19.00

Calendario e orari di apertura:
Mostra “I disegni giovanili di Le Corbusier. 1902-1916”
19 settembre 2020 – 24 gennaio 2021

·          martedì / mercoledì / giovedì / venerdì: 14.00-18.00
·          sabato / domenica: 10.00-18.00
·          per informazioni su aperture e chiusure speciali: http://www.arc.usi.ch/tam

Contatti e informazioni
Tel.: +41 58 666 5867   -   E-mail: info.tam@usi.ch

Ingressi mostra “I disegni giovanili di Le Corbusier. 1902-1916”
·          Intero: CHF/Euro 10.-
·          Ridotto: CHF/Euro 7.- (Studenti con tessera, FAI Italia, FAI Swiss, OTIA, AVS/AI, gruppi)
·         Ingresso gratuito: Studenti, collaboratori e docenti USI-SUPSI, Amici dell’Accademia di architettura,             tutti sotto i 18 anni e tutti gli studenti delle scuole del Cantone Ticino.

“Living Le Corbusier”
19 settembre 2020 – 24 gennaio 2021
Rassegna organizzata dall’Accademia di architettura in collaborazione con Milano Design Film Festival.

Teatro dell’architettura Mendrisio
Via Turconi 25
6850 Mendrisio, Svizzera

Calendario e orari di apertura:
Mostra “Living Le Corbusier”
19 settembre 2020 – 24 gennaio 2021

·          martedì / mercoledì / giovedì / venerdì: 14.00-18.00
·          sabato / domenica: 10.00-18.00
·          per informazioni su aperture e chiusure speciali: http://www.arc.usi.ch/tam
·          seguirà programma dettagliato delle proiezioni sul sito web
·          Ingresso gratuito

Contatti e informazioni
Tel.: +41 58 666 5867   -   E-mail: info.tam@usi.ch

Copertina: “Scultura su legno del museo di Cluny”, 1909, mina e matita su carta, datato "30 juin 1909", coll. privata, Svizzera, fotografia © Éric Gachet

Brasil, la travolgente voce di Pamela D'Amico su Radio Rai2 dall'8 agosto

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Grande novità nei palinsesti estivi radiofonici. A partire dall'8 agosto, su Radio RAI2, accanto a Max De Tomassi, arriva la travolgente voce di Pamela D'Amico all'interno del programma "Brasil”.

Affermata cantante e conduttrice, nel programma in onda ogni week-end a partire dalle 23, Pamela si misurerà con un ruolo a lei congeniale: un ponte tra i due Paesi, Italia e Brasile, dal punto di vista musicale e culturale. "Sono molto onorata e grata di avere questa opportunità a Radio RAI2, che ho sempre seguito e amato" racconta entusiasta la D'Amico, che aggiunge: "Oggi, ritrovarmi ai microfoni di 'Brasil', mi regala una grandissima emozione, che ho il desiderio di trasmettere a tutti gli ascoltatori attraverso la mia voce, in musica e parole...
Ringrazio mamma RAI per avermi scelta per raccontare e cantare l'unione tra i due paesi, l'Italia e il Brasile, che sono nel mio cuore... è un sogno che si avvera! Ringrazio per l'accoglienza il mio compagno di viaggio, Max De Tomassi, storico conduttore di 'Brasil' e massimo esperto di musica e cultura brasiliana in Italia. Ora che sono sbarcata a Radio Rai, questo importante debutto radiofonico é per me un momento di grande soddisfazione che celebra il mio amore per il Brasile e la mia passione e dedizione per la musica. Innamoriamoci insieme e sempre di più di Brasil".

BIOGRAFIA
Pamela D'Amico è un'artista italobrasiliana, con le radici a metà tra l'Abruzzo e la colorata Salvador de Bahia. Le melodie e i ritmi, per lei, rappresentano il mezzo perfetto per esprimersi e poter attraversare, creandone un'originale connessione, l'Italia e il Sud America. Gli strumenti come il pianoforte, la chitarra e le percussioni sono i mezzi attraverso i quali esprime l’arte della vibrazione. Il suo amore per la musica parte da lontano, infatti subito dopo la laurea e il diploma in canto, si esibisce sulle navi da crociera con l'obiettivo di conoscere il mondo ed approfondire le lingue dei popoli. Mossa dal desiderio di scoprire le sue radici, si trasferisce poi a Salvador de Bahia dove studia gli strumenti caratteristici e le tradizioni antiche. Dal Brasile, poi, si trasferisce in Germania, a Berlino, per poi prendere parte a svariate tournée in giro per il mondo, cantando in otto lingue tra cui l'armeno e il russo. Per questo, nel 2018 viene scelta dalla Federazione Russa per rappresentare la musica italiana a Mosca, capitale europea del teatro, esibendosi in vari concerti ed eventi. Oltre alla musica, la sua grande passione per la conduzione la spinge a proporre e realizzare varie puntate di un programma sudamericano "Sentir Latino" in lingua italiana e spagnola, in onda sulla piattaforma Sky e sul digitale terrestre, per la divulgazione della musica e della cultura che rappresenta l'incontro tra l'Italia e l’America Latina. All’Isola del Cinema di Roma, ha ideato e condotto il format “Talenti italiani", kermesse di cortometraggi legati a importanti premi nazionali ed internazionali, compresi i corti vincitori del Festival Internazionale Tulipani Di Seta Nera. Nel suo curriculum non manca il cinema: ha prestato la sua voce per alcune colonne sonore di film come “Lasciami per sempre” di Simona Izzo. Come autrice, con il maestro Paolo Vivaldi, compositore di colonne sonore per il cinema italiano, ha firmato il testo " Kinema/io volo alto " per la colonna sonora del film “Non essere cattivo” di Claudio Caligari, divenuta poi una canzone, e "Lacrime e Nuvole" per “La freccia del sud” di Ricky Tognazzi. Per il film “Brutti e Cattivi” con Claudio Santamaria ho composto e cantato il brano “A vida vai rolar", uscito in tutte le sale italiane. È autrice, inoltre, dei testi e cantante del disco di Tony Esposito, “Sun Sun Dance” che diventa la colonna sonora ufficiale della Valtur. Avendo una conoscenza approfondita della lingua portoghese, adatta vari brani italiani adattati in questa lingua. Collabora con il compositore Maurizio Fabrizio (autore di  brani del calibro di “Almeno tu nell’universo” e “ I Migliori anni della nostra vita"), e con il compositore Louis Siciliano. Nel 2018 è ospite della meravigliosa isola di Ischia in omaggio al celebre regista Luchino Visconti, presso la sua storica residenza La Colombaia divenuta adesso museo, in un Festival patrocinato dal Parlamento Europeo. Nello stesso anno, durante la Milano Fashion Week 2018, in concerto live e la Canonica dei Fiori di Anna Fendi. È la vincitrice del bando Europeo della prestigiosa scuola di alta formazione artistica Officina delle Arti di Roma intitolata a Pier Paolo Pasolini. In televisione è ospite in studio nel programma "l'Italia con voi" su Rai Italia con Monica Marangoni, cantando dal vivo "Estate" di Bruno Martino, in doppia lingua, italiano e portoghese, con un adattamento inedito del testo. Il 24 Novembre 2018, in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, si esibisce presso il Conservatorio Licinio Refice di Frosinone, con l’orchestra al completo diretta dal maestro Gianluigi Zampieri , nell'ambito di un evento promosso dal Sovrano Ordine di Malta e con Maria Grazia Cucinotta come madrina. A teatro, a Roma, allo storico PUFF di Lando Fiorini a Trastevere con Antonio Giuliani, comico e attore romano, si esibisce nelle vesti di cantante ed attrice interpretando il monologo da lei scritto denominato “Il Dramma della Cantante“. Tra gli ultimi workshop a cui ha partecipato , inerenti la recitazione, spicca quello sulla tecnica di Ivana Chubbuck, la famosa acting coach di Los Angeles.

AltraScena Piombino Festival. Dal 5 all'11 agosto. Direzione artistica Montanari/Bardani

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L’arte e la cultura sono le grandi protagoniste della prima edizione dell’Altra Scena Piombino Festival.
Dal 5 all'11 agosto il Porticciolo di Marina sarà la cornice d’eccezione di un festival multidisciplinare patrocinato e finanziato dall’Amministrazione Comunale di Piombino, ideato, progettato e realizzato da Altra Scena con la direzione artistica di Francesco Montanari e Alessandro Bardani.
Non arrendersi, ma ripartire e progettare nuove sfide, anche in un momento difficile come quello attuale: è in questa direzione che si è concretizzata la volontà di Giancarlo Nicoletti e Rocchina Ceglia, fondatori e anime di Altra Scena,realtà di produzione riconosciuta dal Mibact con all’attivo numerose produzioni nazionali e oltre 250 date di spettacolo annuali nell’ultimo biennio. Una ripartenza in grande stile e senza paura per una realtà giovane ma riconosciuta fra le protagoniste della scena contemporanea, dopo il difficile stop alle attività imposto recentemente e che ha messo in seria difficoltà tutto il comparto.
Grande l'entusiasmo e la disponibilità del Sindaco Francesco Ferrari e del Vicesindaco e Assessore alla Cultura del Comune di Piombino che hanno accolto con grande entusiasmo la proposta di organizzare la Prima Edizione di un Festival dello spettacolo dal vivo di ampio respiro e di rilevanza nazionale. Un’edizione di debutto che vuole essere la prima di tante, nella volontà di portare Piombino al centro della scena italiana, stimolando il territorio, contaminandolo e creando occasioni di aggregazione, sviluppo culturale e rilancio dell’area, urbana e turistica. 
La direzione artistica è stata affidata a Francesco Montanari e Alessandro Bardani, partners e compagni d’avventura di lungo corso di Altra Scena e recentemente protagonisti della produzione “Montanari e Bardani Live Show”.
Un cartellone di 7 eventi con alcune delle proposte più interessanti della scena contemporanea e con protagonisti alcuni fra i migliori artisti nazionali, il cui cuore pulsante risiede nella cultura, nella varietà dell’offerta e nell’intrattenimento. Queste le linee tracciate dall’organizzazione – curata da Altra Scena, importante realtà di produzione e organizzazione riconosciuta dal Mibact – e soprattutto dalla direzione artistica, affidata a Francesco Montanari e Alessandro Bardani. Montanari è uno dei più apprezzati attori italiani, premio come miglior interprete maschile all'edizione 2018 del Cannes International Series Festival e reduce da importanti esperienze come protagonista nelle serie “Romanzo Criminale”, “Il Cacciatore” e “I Medici”. Alessandro Bardani è un attore che ha mosso i primi passi, come Montanari, in “Romanzo Criminale” e si è distinto come sceneggiatore nella commedia con Christian De Sica “Amici come prima” e nel film di Fausto Brizzi “La mia banda suona il pop”.
E saranno proprio Montanari e Bardani, con l’omonimo “Montanari e Bardani Live Show”, i protagonisti della prima alzata di sipario di Mercoledì 5 Agosto. Lo spettacolo rappresenta il lato più leggero e dissacrante della scrittura del duo: i protagonisti si ritrovano a scambiarsi opinioni sul mondo che li circonda, a esprimere e condividere ansie del tempo attuale, parlando apertamente a ruota libera. Nella convinzione che “Dobbiamo sistemare le cose... Ma domani però, tanto c’è tempo...”, l’atmosfera mischia sacro e profano, fra battute fulminanti, sarcastiche, ironiche e frizzanti. 
Il 6 Agosto, dopo oltre cinquecento repliche e dieci anni di applausi e apprezzamenti dalla critica nazionale, è di scena “Mumble Mumble - Confessioni di un orfano d'arte”. Emanuele Salce, accompagnato da Paolo Giommarelli, è il protagonista di un racconto ironico, dissacrante, intimo e coraggioso che narra – impudicamente - le vicende di due funerali e mezzo: quello del padre Luciano, quello del marito di sua madre, Vittorio Gassman, e infine, metaforicamente, il suo. 
Venerdì 7 Agosto è la volta di una grande protagonista del teatro e cinema italiani, l’attrice Vanessa Scalera, recentemente interprete del sostituto procuratore Imma Tataranni nell’omonima serie Rai di enorme successo dello scorso autunno. L’attrice pugliese si cimenterà in un originale omaggio a Shakespeare “La storia di Re Lear”, un testo di Melania Mazzucco con la sonorizzazione e il live electronics di Antonello Aprea e la regia di Francesco Frangipane. Lo spettacolo è una novità dell’estate 2020 in esclusiva per il festival di Piombino. 
David di Donatello come migliore attore non protagonista per il pluripremiato DogmanEdoardo Pesce porta in scena, Sabato 8 Agosto, il suo “Kitarrevvòce”. Uno spettacolo di teatro/canzone in cui l’attore alterna dei suoi brani inediti scritti in chiave Blues a monologhi esilaranti. Edoardo Pesce, attore di cinema e tv, si cimenta magistralmente in questo one man show portando con sé tutta l’esperienza dell’Orchestraccia, famoso gruppo musicale di cui fa parte. Tra monologhi, battute e canzoni inedite, brani della tradizione romana riarrangiati, Pesce si racconta attraverso la musica, affrontando con ironia svariati temi, dallo sfruttamento del lavoro nero alla vita di periferia fino all’amore. 
Le melodie più famose di Giacomo Puccini e Giuseppe Verdi sono pronte a irradiare di magia il Porticciolo di Marina con l’Opera Gran Gala di Domenica 10 Agosto, un evento unico dedicato alla grande tradizione operistica italiana. Il Maestro Pier Giorgio Dionisi dirige l’orchestra “L’anello musicale” e sei cantanti solisti provenienti dal Conservatorio di Santa Cecilia: Silvia Susan Rosato Franchini, Giorgia Costantino, Alessandro Fiocchetti, Gustavo Oliva, Matteo Nardinocchi e Ivan Caminiti, sotto la sapiente direzione vocale del grande soprano Amelia Felle. 
L’11 Agosto è ancora la musica a farla da protagonista, con il live di uno special guest d’eccezione in esclusiva per il Festival di Piombino: Francesco Sarcina, frontman de Le Vibrazioni, una fra le più longeve band del panorama musicale Italiano, con 6 album all'attivo e protagonista da sempre delle classifiche Italiane. Sarcina ha anche pubblicato due album da solista: “Io”, nel quale sono presenti i due brani che ha portato in gara al Festival di Sanremo 2014 e “Femmina”. È stato professore di canto ad Amici 2015 e ha partecipato a Pechino Express nel 2016. Nel 2020, reduce dall’acclamata partecipazione al Festival di Sanremo con Le Vibrazioni, ha pubblicato “Milano” con Irama, un singolo dedicato a Milano, nel periodo dell’emergenza sanitaria. Il nuovo singolo con Le Vibrazioni è "Per fare l'amore", brano che si candida a diventare la nuova hit estiva con il suo ritmo travolgente e la sua positività. 
“Una ripartenza che ci fa ben sperare nel futuro: un’occasione di crescita per il territorio di Piombino e per la nostra realtà produttivo-organizzativa. Confidiamo che questa prima edizione sia la prova generale di un nuovo appuntamento estivo che possa acquistare sempre maggior rilievo nel panorama nazionale dei Festival e acquisire, col tempo e la cessazione delle restrizioni per artisti e pubblico, un’identità e una missione culturale sempre più specifiche. Questa prima edizione sarà una festa e un augurio, per il pubblico e per gli artisti, a lasciare indietro, prima possibile, un periodo difficile e particolarmente buio”.
Ingresso gratuito per tutte le serate fino a esaurimento posti; è fortemente consigliata la prenotazione sul sito eventipiombino.it per garantire la sicurezza degli eventi e il rispetto delle normative vigenti. 

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