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Natale di Roma: Campidoglio, programma per il 2.773° compleanno della Città Eterna

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Oggi 21 aprile, Roma festeggia 2.773 anni di storia. Tante le iniziative in programma per il compleanno della Città Eterna da seguire in tv e sui social tramite internet.

Tanti gli appuntamenti digital de #laculturaincasa promossi da Roma Capitale - Assessorato alla Crescita culturale con le istituzioni culturali cittadine. Su @culturaaroma (Facebook, Instagram, Twitter) tutti gli aggiornamenti in diretta domani dalle 9 alle 23.30 con gli hashtag  #natalediroma2020 #laculturaincasa #iorestoacasa.
Per il 21 aprile in programma lo spettacolo-omaggio alla Città Eterna e agli italiani, realizzato e prodotto dal Campidoglio grazie alla collaborazione gratuita di un gruppo di professionisti, interpretato da Max Giusti e ambientato nella splendida cornice del Campidoglio, nei Musei Capitolini e con lo sfondo dei Fori Imperiali, che andrà in onda sul Rai2 durante la trasmissione Patriae e sarà disponibile dal 22 aprile in versione integrale sul sito e i social di Roma Capitale.
Alle 11 il Maestro Ennio Morricone, Accademico di Santa Cecilia, invierà sui canali web e social dell'Istituzione, il suo saluto seguito da un omaggio in musica degli Archi di Santa Cecilia, diretti da Luigi Piovano con Paolo Pollastri solista. "Roma come non l’hai mai sentita"è il titolo del video girato da Fabio Lovino e che ha come protagonista Antonio Pappano, Direttore Musicale dell’Accademia, che sarà pubblicato alle 15. Il Maestro Pappano, romano d’adozione, in una breve visita di Roma ne esalta lo splendore e sottolinea la "fortuna di chi si sveglia tutte le mattine in mezzo a tanta bellezza". Da Piazza di Spagna a Fontana di Trevi passando per il Colosseo, Pappano arriva all’Auditorium Parco della Musica dove incontra la sua “famiglia”, l’Orchestra e il Coro di Santa Cecilia.  Un altro contributo, alle 19, sarà una registrazione storica di un concerto tenuto dall’Orchestra dell’Accademia il 18 luglio 1956 sotto la direzione dell’allora direttore principale Fernando Previtali. In programma il poema sinfonico Pini di Roma di Ottorino Respighi, composto nel 1924 che fa parte della “Trilogia Romana” con Fontane di Roma e Feste Romane in cui il compositore riporta le sensazioni provate visitando di Roma.
Celebrano questo anniversario anche artisti come Sabrina Ferilli, che commenterà alle 22 in diretta sui canali social di Alice nella Città e @romacityfest con Laura Delli Colli, Presidente della Fondazione Cinema per Roma, e il curatore Mario Sesti le scene più belle e le inquadrature più suggestive tratte da celebri opere del cinema italiano come La grande bellezza di Paolo Sorrentino, che l’ha vista protagonista, La dolce vita di Federico Fellini, Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini, Sacro GRA di Gianfranco Rosi e altri film. Inoltre #Cinemadacasa, il flash mob cinematografico promosso da Alice nella città e la Fondazione Cinema per Roma | CityFest festeggeranno la giornata proiettando, sulle facciate dei palazzi, alcune note sequenze di film girate nella Capitale. Il cinema festeggia Roma anche con Giorgio Gosetti, direttore della Casa del Cinema, che domani sui canali web e social dello spazio di Villa Borghese racconterà dei film su Romolo e Remo: da Romolo e Remo di Sergio Corbucci a Il primo Re di Matteo Rovere. Di quest’ultimo verrà presentato il making of, ricco di approfondimenti e curiosità legate alla realizzazione degli effetti speciali del film, oltre alle foto dal set e un video messaggio del regista Matteo Rovere.
Dedicato alla romanità anche il video inedito del Maestro Ambrogio Sparagna che dalle 11 di oggi sarà online sui canali social della Fondazione Musica per Roma. Il musicista interpreterà per tutti noi uno stornello per voce e organetto improvvisato, portando avanti l’antica tradizione della musica popolare romanesca.
Da non perdere - sui canali web e social dei Musei Civici e della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali - l'occasione unica per visitare da casa la grande mostra a Palazzo Braschi Canova. Eterna bellezza, con una guida di eccezione, la Sovrintendente Capitolina Maria Vittoria Marini Clarelli, che accompagnerà i visitatori in un tour speciale dell'esposizione alla scoperta del'artista, pittore e scultore, e delle sue opere.
 

L'Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza capitolina in collaborazione con il Centro Studi Giuseppe Gioachino Belli, promuove e organizza Le lingue der monno. Parole, paroline, parolacce. Sonetti di Giuseppe Gioachino Belli. Maratona di lettura: una manifestazione dedicata al grande poeta romano che ormai da qualche anno scandisce il compleanno della città con la lettura dei suoi sonetti più celebri. Quest’anno la tradizione proseguirà sul web dove, dalle 14.00, esperti, giornalisti, registi e attori - tra cui Giorgio Tirabassi, Max Paiella, Paola Minaccioni, Francesco Acquaroli, Emanuela e Stefano Fresi, Massimo Wertmüller, Filippo Ceccarelli, Angelo Maggi, Stefano Messina, Maurizio Mosetti, Ariele Vincenti, Guido Marolla - si alterneranno ogni 15 minuti con videoletture di alcuni sonetti che il Belli ha costruito intorno ad alcune parole chiave - colera, indifferenza, editto, governanti, interni domestici, povertà, potere, poverello, fratelli, inferno, guerra, servitori e padroni, solo per citarne alcune - particolarmente significative nel momento storico che attraversiamo. Un clima assai noto al Belli che ha vissuto, come tutti i romani di allora, la terribile epidemia di colera che esplose nell’estate del 1837.
Inoltre, sul blog dei Musei Civici, museiincomuneroma.wordpress.com, da domani verranno diffuse le letture degli attori Alessandro Haber e Marton Csokas di testi scritti dal poeta Gabriele Tinti e ispirati ad alcune opere della Centrale Montemartini, nell'ambito del progetto Rovine: Canti di pietra. Ancora domani prenderà il via il Museo dei Musei, una nuova rubrica che accompagnerà il pubblico attraverso la storia centenaria dei Musei Capitolini, il museo pubblico più antico del mondo.
Dalle ore 16.30 sarà possibile partecipare sulla piattaforma gratuita Zoom alla conferenza in diretta del ciclo I martedì da Traiano. Nel  nuovo appuntamento, dal titolo La memoria sulla pietra, Maria Paola Del Moro parlerà del valore della memoria personale e familiare nella società romana. Attraverso i canali web e social del Museo Pietro Canonica, si potrà seguire il secondo appuntamento di Radio Canonica, il progetto divulgativo con podcast audio, dedicato al racconto della vita dello scultore piemontese e della ricca collezione di sue opere. Continuerà il percorso intrapreso nella prima puntata e si concentrerà sulle prime conoscenze artistiche del giovane Pietro nella puntata La scoperta dell’arte. Non mancheranno le attività dedicate ai più piccoli. Il Museo della Casine delle Civette a Villa Torlonia continuerà, per il quinto appuntamento de La Casine delle Meraviglie, a raccontare la dimora del Principe Giovanni Torlonia attraverso gli animali che sono raffigurati al suo interno, proponendo ai bambini di disegnarli a casa. In questa occasione si parlerà del Salottino dei Satiri e della raffigurazione al suo interno di un animale portafortuna: la chiocciola.
Alle 11 sulla pagina Facebook delle Biblioteche di Roma si ricorderà il Natale della città presentando un puzzle di immagini tratte dall'Album di Roma, progetto online nato dalla collaborazione tra l’Istituzione con Roma Capitale e l’Archivio Capitolino. Strumento unico per approfondire la conoscenza della Capitale, l’Album di Roma raccoglie immagini provenienti da archivi privati, enti e istituzioni, che ricostruiscono la Roma del Novecento: un volto a tratti dimenticato della città, dei suoi territori e delle sue micro comunità. Per i bambini l'istituzione alle 17.00 è in programma, sempre sulla pagina Facebook delle Biblioteche di Roma, la presentazione del libro Roma in rima di Massimiliano Maiucchi, con le illustrazioni di Fabio Magnasciutti, novità editoriale pubblicata da Palombi Editori. La video lettura delle filastrocche su Roma sarà accompagnata da guanti animati, oggetti, pupazzi e volumi pop-up e sarà intervallata da giocolerie, magie comiche, favole e canzoni.
Con #TdROnline, #laculturaincasa e #iorestoacasa domani alle 16 sui canali social del Teatro di Roma verrà trasmesso il primo incontro del ciclo Luce sull’Archeologia per raccontare le origini di Roma, tra mito e storia, attraverso la collaborazione e gli interventi introduttivi dello storico dell’arte Claudio Strinati, del direttore dei giornali Archeo e Medioevo Andreas M. Steiner e del direttore associato dell’Istituto Nazionale di Studi Romani Massimiliano Ghilardi. Carmine Ampolo, professore emerito di Storia Greca alla Scuola Normale Superiore di Pisa, Orietta Rossini, responsabile dell'Archivio Storico Capitolino, già Responsabile del Museo dell'Ara Pacis, e Anna Mura Sommella, già direttrice dei Musei Capitolini di Roma, illustreranno al pubblico i contesti archeologici dell’area centrale di Roma per comprendere la formazione della città, in particolare gli scavi del Foro di Cesare e quelli sul colle Palatino. Inoltre, sono previsti un approfondimento sul Tempio di Giove Capitolino e un racconto delle origini di Roma attraverso sette capolavori ispirati al simbolo della città, la Lupa.
Online sui canali social del Palazzo delle Esposizioni il capitolo della grande mostra Gabriele Basilico. Metropoli, rivolto alla Città eterna. La curatrice Giovanna Calvenzi ci accompagnerà attraverso le opere che il grande artista ha dedicato alla città nella quale ha lavorato a più riprese, sviluppando progetti sempre diversi: dal 1989, anno in cui realizza un’ampia indagine intitolata Vedute di Roma, fino al 2010, in occasione di una stimolante quanto impegnativa messa a confronto tra la Roma contemporanea e le settecentesche incisioni di Giovambattista Piranesi.
Una speciale playlist della serie Mpi - The essential quarantine playlist, per l'occasione interamente dedicata alla città. Questo l'omaggio del MACRO per festeggiare il compleanno di Roma (diffuso domani sul canale Spotify MACRO MUSEUM). Un percorso sonoro che raccoglie figure e autori diversi, per generazione, provenienza e modalità espressive, per evocare attraverso l'ascolto la storia e le atmosfere di Roma, da sempre luogo di ispirazione per gli artisti.
Il Teatro dell'Opera di Roma lancerà per celebrare la città eterna sui suoi profili social il video della serata inaugurale delle celebrazioni per 150 anni di Roma Capitale, presentato lo scorso 3 febbraio al Teatro Costanzi e organizzato da Roma Capitale e Teatro dell'Opera in collaborazione con il Ministero della Difesa e Rai Cultura. Il concerto è stato aperto con l'esecuzione dell'Inno Nazionale. Su palco si sono alternati interventi e musiche eseguite dalla Banda Interforze e dall'Orchestra del Teatro dell'Opera con la partecipazione di Andrea Bocelli, Ezio Bosso, Paolo Mieli, Gigi Proietti, Paola Turci e i talenti di Fabbrica Young Artist Program del Teatro dell'Opera di Roma.
Infine, per inviare un messaggio di solidarietà e speranza alla comunità legata al mondo dello spettacolo, la Fondazione Romaeuropa ha deciso di pubblicare, proprio in occasione del Natale di Roma, alle ore 12 di martedì 21 aprile, il programma della trentacinquesima edizione del Festival sul sito web www.romaeuropa.net e sui relativi canali social.
Su @culturaaroma (Facebook, Instagram, Twitter) tutti gli aggiornamenti in diretta domani dalle 9 alle 23.30 con gli hashtag  #natalediroma2020 #laculturaincasa #iorestoacasa.

Il Festival di Sanremo 2021 si farà solo con la direzione artistica di Burioni e Ricciardi?

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Lo scienziato Roberto Burioni ha scritto un libro che è in commercio dal 10 marzo! si intitola VIRUS . 

Che strana coincidenza.  
Per chi volesse scapicollarsi a comprarlo, conviene che si affretti, perché poi quando usciremo tutti di casa potrebbe essere esaurito! 
Nel frattempo, l’autore gode di una tale promozione televisiva che neppure se avesse scritto il libro che ha fatto la storia e trovato il vaccino anti- Covid avrebbe mai avuto.  Inoltre ha aiutato il marchio GUCCI per la ripartenza. Non mi è chiaro, ma se lo chiamiamo tutti possiamo aprire prima degli altri?
Poi c’è Walter Ricciardi, ex attore con Mario Merola con cui aveva girato L’Ultimo Guappo, oggi consigliere del Ministerodella Sanità durante il Covid. È  finito alla ribalta non tanto per i contenuti super prudenziali dei suoi interventi sul virus, quanto piuttosto per un post su twitter che istiga alla violenza contro Trump, al punto che proprio l’OMS,  in una nota, ha invitato i giornalisti italiani a evitare espressioni che lascino intendere che il Ricciardi lavori per l’OMS! OPS! La rete è andata in tilt.
Dietro, c’è il coro dei virologi, quelli che una volta si vedevano solo a ottobre per il vaccino anti influenzale, ognuno con la sua teoria.
Non mi sorprenderei se alla direzione artistica del Festival di San Remo 2021 ci fossero proprio Burioni e Ricciardi. Gucci c’ha visto lungo e ha già riaperto….siccome tutti gli eventi musicali sono sospesi, ci conviene pensarci seriamente se vogliamo provare a salvare almeno la kermesse.
Paola Palma

Marco Manzella a Fattitaliani: ho sempre avuto bisogno di condividere le emozioni e le esperienze con qualcuno. L'intervista Canzonata

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Disponibile sulle piattaforme digitali e su tutti i digital stores “LE MIE COSE (LaPOP), il nuovo album di MARCO MANZELLA, il primo album solista del cantautore, voce e chitarra del gruppo Il disordine delle cose, anticipato dal singolo “Ostaggio”. «Dopo dieci anni in mezzo a tanto “disordine”, ho scoperto di avere l’archivio delle note vocali dell’iphone pieno di bozze, di strofe e di ritornelli e ho deciso di scegliere le 8 tracce più significative e di racchiuderle in un primo disco solista dal titolo “Le Mie Cose”» racconta l’autore stesso a proposito del suo nuovo album «Sono 8 semplici brani arrangiati con cura e passione da Carlotta Sillano (in arte Carlot-ta) ed Enrico Caruso, con la partecipazione di musicisti eccezionali e di ospiti speciali come Cecilia, Daniele Bovo, Christopher Ghidoni, Daniele Celona ed Eugenio Cesaro». Fattitaliani lo ha intervistato con i titoli della tracklist dell'album per L'intervista Canzonata.

Più emozionato o intimorito per "Le mie cose" primo album da solista? che sensazioni stanno accompagnandone l’uscita?
Una domanda così profonda come prima domanda, devo ammettere che mi ha spiazzato. Ho pensato che avrei dovuto scavare per trovare la risposta giusta, poi però ho dovuto ammettere a me stesso che la risposta è abbastanza chiara e che quello che avrei dovuto trovare, fosse solo la consapevolezza di quel timore che mi ha sempre accompagnato nel fare le cose da solo. Purtroppo o per fortuna, dipende dai punti di vista, ho sempre avuto bisogno di condividere le emozioni e le esperienze con qualcuno, altrimenti non riesco a provarle fino in fondo e questo è il motivo per cui questo disco è uscito con tanto ritardo rispetto alla scrittura dei brani.
“Non mi sembra vero” è quello che si è detto una volta che l'operazione ha preso forma e sostanza?
In realtà no, però adesso riascoltandola, la sensazione che mi lascia è anche quella…
Secondo Lei, la musica è "Ostaggio" di qualcosa, di qualcuno, di un sistema o può esprimersi in maniera completamente libera?
Sicuramente in passato, soprattutto in Italia, la musica è stata in ostaggio di un sistema di business che controllava ogni nota. Ovviamente oggi le cose sono cambiate perché i sistemi di fruizione sono molto più liberi e aperti a tutti, però paghiamo ancora un certo tradizionalismo legato a vecchi criteri di ascesa alla notorietà che facciamo fatica a lasciarci alle spalle.
Suppongo ci abbia messo “Almeno un po'” di tempo per selezionare le tracce e le bozze che già aveva... quale criterio ha seguito?
Sinceramente avevo nelle note vocali del cellulare almeno una cinquantina di bozze. Ho scelto prima le più complete, purtroppo devo ammettere per questioni di tempo, mentre poi ho dovuto e voluto condividere il progetto con Carlotta Sillano per poter selezionare le 8 tracce migliori.
L'esperienza da solista era una cosa che “Prima o poi” già pensava di fare? 
No. Ho sempre minacciato quasi scherzando i ragazzi della band (il Disordine delle Cose) ma ho sempre pensato che per me sarebbe stato impossibile… Poi magicamente mi sono deciso, complice anche un lungo silenzio e un periodo di difficoltà compositiva e organizzativa del gruppo che fortunatamente ora sembra essere passato e, finita questa emergenza, ci vedrà impegnati nel chiudere le registrazioni del quarto disco.
“Ti dovrei parlare di me” è dedicata a una persona precisa o a chi l'ascolterà? che cosa fa scoprire della sua persona? 
È dedicata a me stesso principalmente e a tutte quelle persone che fanno fatica a rivelare agli altri le parti più profonde di sé stessi. Per farlo, non riuscendo a pianificare, abbiamo bisogno di un evento scatenante che ci faccia vomitare la verità.
Facile comunicare oggi i sentimenti “Senza abbreviazioni” o al contrario inutili lungaggini?
Per chi è capace, penso sia molto più facile comunicare i sentimenti senza inutili lungaggini, però dipende cosa si vuole costruire e che tipo di sentimento si vuole comunicare, perché a volte sono più i fatti a dare credibilità. Quel che è certo, secondo me, è che per costruire qualcosa che possa durare nel tempo, ci vuole tempo.
C'è chi pensa che dall'esperienza del confinamento anche gli artisti usciranno cambiati: qual è “La tua tesi”?
Penso che la parola magica in questo periodo sia “Credibilità”. Soprattutto gli artisti che vivono sicuramente un periodo di difficoltà come tutti, hanno la possibilità di crescere la propria base sociale e di sviluppare la propria credibilità verso i propri followers. Questo porterà ad una crescita in tutti i sensi. Almeno spero…
“Al di là delle parole” e della musica, a livello emozionale che cosa rende una canzone un classico?
Le corde delle emozioni che riesce a toccare. Se riesce a toccare un sentimento nascosto ma molto comune, allora diventa un grande classico. La Verità di Brunori, la prima volta che l’ho ascoltata ero in macchina e mi sono dovuto fermare. Andando indietro mi vengono in mente le più belle canzoni italiane di tutti i tempi: Vedrai vedrai di Tenco, La Donna Cannone di De Gregori e Ritornerai di Bruno Lauzi, solo per citarne alcune molto emozionanti. Giovanni Zambito.

Biografia
Marco Manzella è un autore di canzoni e un musicista nato a Novara. Esordisce nel 2004 come cantante nel tributo ufficiale italiano ai Pearl Jam, grazie al quale ha la possibilità di condividere palchi importanti con diversi artisti della scena grunge di Seattle, ma fin da subito capisce che la sua vera strada nel mondo della musica è quella del cantautorato e della musica indipendente italiana, che si impegna a supportare e promuovere anche fondando il circuito KeepOn LIVE. Dopo le prime esperienze rock con Maznada e Sugar Mountains, nel 2009 esce il primo disco omonimo de il Disordine delle Cose, al quale seguiranno poi “La Giostra” nel 2012 registrato negli studi dei Sigur Ros in Islanda e “Nel Posto Giusto” , registrato al Cava Sound di Glasgow in Scozia e pubblicato nel 2014. Tre dischi che caratterizzeranno il percorso artistico dell’autore e lo vedranno collaborare con artisti italiani come Syria, Paolo Benvegnù, Perturbazione e Marta sui Tubi e artisti internazionali del calibro di Amiina e Belle and Sebastian. Nel 2015 entra a far parte anche del progetto acustico Marcilo Agro Football Club che arriva fino alla homepage del The Guardian in UK. Dopo dieci anni in mezzo a tanto Disordine, scopre di avere l’archivio delle note vocali dell’iphone pieno di bozze, di strofe e di ritornelli e decide di scegliere le 8 tracce più significative e di racchiuderle in un primo disco solista dal titolo “Le Mie Cose”. Sono 8 semplici brani arrangiati con cura e passione da Carlotta Sillano (in arte Carlot-ta) ed Enrico Caruso, con la partecipazione di musicisti eccezionali e di ospiti speciali come Cecilia, Daniele Bovo, Christopher Ghidoni, Daniele Celona ed Eugenio Cesaro. Il singolo “Ostaggio”, estratto dal nuovo album, sarà disponibile sulle piattaforme digitali e in rotazione radiofonica dal prossimo 13 marzo. L’intero album “Le Mie Cose” (LaPOP) sarà pubblicato in digitale il prossimo 17 aprile.
 

Simone Fiorito e la sua Via Veneto

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Nel giorno del compleanno della Città Eterna, l’intervista “Se Fossi” è per Simone Fiorito, giovane scrittore, che ha dedicato un libro ad una delle strade della dolce vita per eccellenza “ Via Veneto”

Se fossi un libro
L'Italia della dolce vita, Oriana Fallaci
Da questo libro è partito lo studio per il mio romanzo di prossima uscita Via Veneto.
Tutte quelle interviste alle dive, ai cineasti dell'epocasono state  di grande ispirazione per alcuni dialoghi, ma sopratutto, mi hanno  aiutato a descrivere un periodo preciso, quello che gli storici di  cinema chiamano       la vera dolce vita, cioé tra il 1959 e il 1963.
Se fossi una città
Roma, la città in cui ho scelto di vivere.
Io sono nato e cresciuto a Bologna dove dal punto di vista della qualità della vita non manca nulla, anzi.
Ma oltre a cinecittà, agli uffici, alle feste del cinema e della letteratura, Roma, nella sua quotidianità, mi offriva una cosa molto  utile a scrivere, la fatica.
Chi esce alla mattina per andare a lavorare o ha dei figli sa bene  cosa significhi e io avevo bisogno di stare lì, in mezzo al circo che,  in un certo senso, é la vita vera; e il circo di Roma si sa, é uno dei  piú belli del mondo.
Se fossi un attore
Marcello Mastroianni.
È il divo che nel momento d'oro del nostro cinema ha saputo essere  sia internazionale che davvero nostrano, ha saputo far ridere e  piangere.
È stato il feticcio di Fellini, uno degli attori che piú ha assorbito i suoi sogni e le sue idee.
Prenderei i panni di Mastroianni per tornare indietro nel tempo e andare con Fellini a mangiare una sera in una bettola de na vorta.
Se fossi una strada
Posso solo rispondere Via Veneto
Il luogo in cui ho deciso di ambientare il mio prossimo romanzo, il  simbolo di un glamour dello star system che non c'é più.
I paparazzi rincorrevano i vip e i vip non erano paparazzi di sé stessi con i social.
In quella strada, dopo che l'Italia si era finalmente ripresa dalla guerra, per un attimo, c'era stato qualcosa di magico.

“Buon Compleanno Roma“ Francesco Cardamone

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Oggi la città eterna festeggia i suoi 2773 anni, e sono tanti i romani a rendergli omaggio sui social.

Anche Francesco Cardamone 15enne, conosciuto dal pubblico grazie alla sua partecipazione al collegio il programma di Rai Due. 
Su Instagram rende omaggio alla capitale con una foto del Colosseo con le note di Ultimo Poesia per Roma “ Te pare poco ? Di te pare poco essere immortale  ? Quando te spegni e vie al tramonto che bellezza che rimane”.
Auguri di Roma 

Pensieri lunatici in tempo di pandemia: Qui base lunare Alpha

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“Diario di bordo: Qui base lunare Alpha, situazione generale a 2230 giorni dall’abbandono della Terra. Registrazione della dottoressa Helen Russell.
Due giorni fa abbiamo preso contatto con un pianeta di tipo terrestre nel nostro quadrato occidentale. I primi rapporti indicano possibilità di insediamento. La nostra unità di rilevazione sta conducendo un severo controllo prima di dare il via all’insediamento. Fino a quando non saranno completati tutti i test, il Capitano Koenig ha imposto una quarantena sul cibo, l’acqua e i minerali. Il pianeta sembra disabitato, sebbene l’unità di rilevazione abbia scoperta una misteriosa …. “.
Ogni puntata della serie televisiva “Spazio 1999”, iniziava con la registrazione del diario di bordo, da parte del comandante o di altro ufficiale della base lunare Alpha. Quanto scritto prima fa parte di un episodio della seconda stagione (https://www.youtube.com/watch?v=xwganUZioA8). 
La serie fu creata da Gerry e Sylvia Anderson. La prima puntata fu mandata in onda in Gran Bretagna nel 1975 ed un anno dopo in Italia. Sono state 48 le puntate, l’ultima trasmessa dal secondo canale RAI il 9 gennaio 1977. 
All’interno di un cratere lunare viene realizzata una base scientifica a cui viene messo a capo il comandante John Robert Koenig (Martin Landau), un astrofisico americano che prende il posto del sovietico Gorski, il precedente comandante, ritenuto inaffidabile. 
All’inizio degli anni settanta, quando è stata programmata la serie televisiva, l’idea di una storia ambientata su una base lunare nel 1999 (un anno prima del 2000) appariva credibile, dato che la Nasa aveva mandato diversi astronauti sul nostro satellite naturale dal luglio 1969 al dicembre 1972. 
Il comandante sta preparando una spedizione spaziale quando il deposito di scorie nucleari, situato sulla superficie lunare a distanza dalla base, genera una gigantesca esplosione il 13 settembre 1999. 
Un’esplosione talmente potente da sbalzare fuori la Luna dalla sua orbita intorno alla Terra! 
I circa trecento membri della base lunare si ritrovano così a vagabondare nello spazio. 
Nei vari episodi i terrestri incontrano diversi alieni e affrontano avventure su pianeti sconosciuti o all’interno della loro stessa base. Non tutti gli alieni e le bizzarre creature che incontrano sono ostili: a volte danno loro una mano, ma più spesso sono pericolosi e creano non pochi problemi. (https://www.giornalepop.it/la-prima-serie-di-spazio-1999/). 
Nel 1999 fu girato un piccolo episodio conclusivo della durata di poco più di 6 minuti, nel quale l’ultimo Capitano, di nome Sandra, si congedava prima di abbandonare definitivamente la base. Nel suo messaggio ricorda che “Siamo tutti alieni” e termina con “a voi abitanti della Terra noi diciamo addio. Vi chiediamo soltanto una cosa: non dimenticateci!”. L’episodio è stato realizzato come extra per la collezione in DVD. 
“Spazio 1999” era un telefilm profondamente umano e chi come me è nato negli anni 60, aspettava con ansia “settimanale”, il nuovo episodio. La dottoressa Russell (interpretata da Barbara Rain) dirigeva il centro medico della Base. Da lei e dal dottor Robert Mathias (Anthon Phillips) dipendevano la salute e la forma degli alphani. Figlia del medico che inventò la cura per il cancro, conservava nel suo studio una copia del microscopio di Marie Curie. 
Fra i personaggi da me preferiti, probabilmente anche per l’omonimia, c’era il comandante dei piloti delle “Aquile”, di nome Alan Carter (l’attore Nick Tate). Le Aquile erano le navicelle che gli alphani utilizzavano per scendere sui pianeti e per difendere la base lunare.
Nel piccolo episodio del 1999 l’attrice si emoziona e non direi per pura posa cinematografica. Sembra quasi che voglia salutare gli attori e quindi i personaggi che non c’erano più. 
Il mio pensiero da dodicenne viveva quel futuro divenuto “presente”. Si mescolavano le epoche. Avevo assistito in diretta a quel “piccolo passo per l’uomo ed a quel grande balzo per l’umanità” (https://www.youtube.com/watch?v=VvMJMCvU8Ps). I miei mi avevano fatto restare alzato dopo Carosello, per vedere il LEM (modulo di escursione lunare), allunare nel Mare della Tranquillità, al’incirca alle ore 22.16 del 20 luglio 1967. Ricordo la diretta televisiva di Tito Stagno, che oltretutto mio padre mi aveva presentato una domenica in spiaggia a Fregene. Rammento che Stagno camminando sulla battigia, ogni tanto faceva una capriola per aria poi riprendeva il suo percorso: un vero eroe, anche ginnico, per un bambino come me. Dalla base americana di Houston si ascoltavano le testimonianze del corrispondente Ruggero Orlando, splendida presenza del giornalismo di quel tempo. Ebbi la fortuna in seguito di incontrare anche lui nella sede del mensile “Shalom”, dove fui praticamente costretto ad imitarlo, salutandolo con la mano come faceva lui in televisione, ed esclamando “qui Nuova York, vi parla Ruggero Orlando” con forte erre moscia (https://www.youtube.com/watch?v=KAe9DklGhgc). 
Parlavo ieri con mio zio Roberto, che a fine maggio compirà 90 anni e che è l’ultimo rappresentante consanguineo delle generazioni antecedenti la mia. “Quando finì la seconda guerra mondiale – mi ha detto – dovemmo ricominciare tutti da capo. Al nostro arrivo a Roma, vivevamo tua madre, tua nonna ed io, in una piccola stanza in affitto … “. La bella telefonata mi ha confermato i timori quotidiani per la “ripresa” dopo il Coronavirus: la cosiddetta “fase 2”. 
Molti della mia generazione, me compreso, hanno avuto la fortuna di nascere nell’epoca nella quale chi era sopravvissuto – i nostri genitori – era riuscito rimboccandosi seriamente le maniche, a ricrearsi la vita ed addirittura a riuscire a mettere da parte il frutto del faticoso impegno. Ci hanno permesso di studiare e di amare quel che loro ci hanno dato ed il mondo che avevano aiutato a ripristinare. Siamo cresciuti in quella che sembrava un’era nuova, post bellica, apparentemente lontana dalle sofferenze. Ci hanno insegnato ad amare la vita e ad alcuni è stato anche trasmesso il rispetto per il prossimo e per la natura. Abbiamo avuto in dono la fantasia e lo sviluppo scientifico, intellettuale, culturale e di un’informazione veloce. Siamo riusciti a seguire i veloci passi dell’evoluzione tecnologica.
Parte dei nostri figli ed i nostri nipoti, specialmente chi è nato a ridosso del cambio di millennio e negli anni successivi, fanno invece parte di una generazione che definirei prefabbricata. Agiscono in gruppo, quasi come degli ovini e solo pochi di loro riescono ad estrarsi ed astrarsi dalla moltitudine. Si tratta di una grossa fetta della popolazione (minore in Italia perché paese con esigui incentivi alla natalità) appiccicata all’informatica. Chi non vive di cellularizzazione sembra un nuovo Robinson Crusoe (ai giovani consiglio di guardare su Internet questo personaggio letterario). Si campa in contatto costante con l’apparecchio che è diventato purtroppo la mente opaca di molti. La fantasia sembra essersi assopita e ci si incontra per “scriversi a quattr’occhi”. Belli i tempi lontani nei quali si andava da amici per trascorrere delle ore felici, magari assieme a qualcuno provvisto di chitarra od altro strumento, per intonare tutti assieme un brano della hit di allora. 
Non è certamente mia intenzione deridere o giudicare l’intera galassia dei giovanissimi né i loro genitori che solo in pochi casi sono riusciti abilmente ad intervenire, impedendoli il contagio da una società malata. 
Ben altra cosa questo Coronavirus. I giorni passano tutto sommato con disinvoltura, fra telegiornali e trasmissioni monotematiche o residui mediocri riproposti da quasi tutte le emittenti. Questa guerra per ora contro l’ignoto, questa interminabile battaglia anche contro le persone care per paura di contaminazione, rischia di trascinarci in una sorta di non ritorno. Fa breccia nei pensieri il fattore economico: chi ha uno stipendio rischia ben poco, ma chi lavora autonomamente dovrà riprendere da dove ha interrotto, con le consegne in arrivo che giungeranno senza che quelle in uscita ripartano come prima. I liberi professionisti forse avranno un sussidio statale per il tempo passato a casa, mentre coloro che vivono di ritenuta d’acconto dovranno recuperare da ben prima il blocco imposto, dovendo ritrovare le persone con le quali avevano intrapreso degli accordi, cercando di sfruttare i propositi venuti in mente durante l’isolamento. 
Un futuro quanto incerto aspetta gran parte di noi che dovremo, forse finalmente, renderci conto di quanto avevamo causato negli ultimi decenni, approfittando solo dei beni che questa balorda epoca ci aveva “suggerito” di acquisire: per lo più agiatezze non necessarie ma alle quali ci eravamo abituati, creando enormi, anzi infinite carovane di spazzatura, dai materiali in plastica, all’uso indiscriminato di agenti inquinanti. 
Non potremo più lamentarci per il colore dei fiumi, per l’estinzione di molte specie animali, per l’affiorare di un’isolotto di terra in Antartide, per lo scioglimento dei ghiacciai, per i violenti cambiamenti di clima. Abbiamo sacrificato le mezze stagioni, abbiamo distrutto parte dell’apparato respiratorio terrestre quali l’Amazzonia, abbiamo fatto sì che bruciasse l’Australia. Le nostre estati sono caldissime, mentre altrove piove come mai. I tifoni sono più frequenti e la loro forza incommensurabile, mentre alcuni terremoti devastanti spaccano il pianeta. 
“Spazio 1999” sembrava un futuro da vivere solo nei telefilm. Non immaginavo certo che a 35 anni avrei visto la Luna iniziare un pellegrinaggio al di fuori da quella normale orbita che da sempre affascina l’essere umano, crea le maree ed i sogni di molti di noi. Ora quell’anno è stato superato da infinite lune piene e da cieli notturni illuminati esclusivamente dall’uomo. Per la negativa velocità del nostro “andare avanti”, abbiamo varcato a ritroso fior di parassiti, il colera di Napoli, la Spagnola d’inizio secolo scorso, le calamità racchiuse nei libri di storia. 
Trascorriamo le giornate riflettendo e sperando, non soltanto di superare questo contagio, ma di riuscire a guadagnare nuovamente l’onore di poter lavorare, guadagnare la propria indipendenza, il non dover approfittare da assistenza esterna. Tentiamo di utilizzare la nuova tecnologia per i fini del quotidiano, insegnando ed imparando on-line, trasmettendo le nostre verità. Molti si lasciano inghiottire da questa informazione e vivono alla ricerca di una presa elettrica per “ricaricarsi”, per non rimanere un solo attimo al di fuori da questa epoca che è diventata brutalmente e storicamente la nostra. “Quando il gatto non c’è i topi ballano” e molti animali stanno tornando ad impadronirsi delle nostre città, ossia dei loro antichi luoghi, come fossero quelle presenze aliene sparse nell’universo nella serie televisiva degli anni 70. Riusciamo perfino a sorprenderci quando un anatra si adagia sulle acque di una fontana nel pieno centro della Capitale. La polizia scorta un istrice, i porti si riempiono di delfini, mamma volpe porta i suoi piccoli a visitare Milano.
Noi dove accompagneremo i nostri figli? Ad una fiera informatica o a comprare qualcosa di superfluo ed inutilmente di marca? Auguriamoci che quando vorranno comunicare dei sentimenti on-line, riusciranno a scriverlo in modo comprensibile ed esaustivo e che i loro sguardi sappiano distrarsi da un apparecchio, per vedere che fuori c’è un mondo, si vecchio milioni di anni, ma ancora capace di stupire. Auguriamoci che loro sappiano ancora cosa sono i sentimenti. Noi tutti dobbiamo imparare nuovamente ad essere felici e continuare a desiderare quel che abbiamo, ma soprattutto riuscire a capire come salvaguardarlo. 
Abitanti della Terra: non dimenticatela più e rispettatela, altrimenti per quale motivo noi che abitiamo sulla luna, vorremmo tornare ad abitarla? 
Alan Davìd Baumann

Berlino84, "Amore in quarantena" dedicato a chi sogna e si emoziona

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Questo brano è dedicato a tutti coloro che ancora “sognano”, che ancora si “emozionano” davanti ad un sorriso, davanti ad un tramonto, davanti alla “VITA”.

Io credo che questo particolare periodo storico ci ha fatto capire che molte cose che davamo “fottutamente” x scontate, messe insieme formano la nostra più grande “RICCHEZZA” !
Questo brano va agli innamorati che non si vedono da più di un mese, questo brano va a quei bimbi che vogliono tornare a giocare all’aperto, questo brano va alle nonne, agli amanti, agli infermieri, ai dottori, a tutti quelli che non posso abbracciare i loro cari perché lavorano in un’ altra regione, va a tutti quelli che in questi giorni sono andati al lavoro! Questo brano va a tutti quelli che sono convinti che “NON FINIRÀ COSÌ” !!!

ARTISTA
Berlino84
TITOLO
Amore in quarantena
ETICHETTA
MeltinaRecords
PRODUTTORE FONOGRAFICO
Alessandro Cecconi

“L’Amore al tempo del Covid-19”, Seconda puntata edited by Roberta Cannata

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Rubrica a cura di Roberta Cannata e Andrea Giostra 

#iorestoacasa #andratuttobene #aiutiamochiesolo …
Voce, interpretazione e testo di Roberta Cannata | “L’Amore al tempo del Covid-19” | Seconda puntata |

Roma, marzo 2020, un giorno di ordinaria quarantena.
Il cielo è azzurro, il sole comincia ad essere caldo e sogna la sua primavera, il profumo di Amuchina nell’aria mi ricorda i tempi lontani quando al “primo decreto” emozionata ho comprato la preziosa bottiglietta su Amazon, una lacrima scende sul mio viso… (faccina con mascherina).
Nella scorsa puntata vi ho lasciato Tutti sul mio terrazzo in attesa di sentire la storia piccante che la Milva, la mia vicina di casa ex modella adesso lady agè, mi stava raccontando con enfasi alla Barbara D’Urso. Ebbene, parlavamo di Due Innamorati che si baciavano per le vie della città.
Gossip? Leggenda? Insomma, al Tempo del Covid-19 un Bacio in pubblico equivale a sfidare il generale cupo di Guerre Stellari “Dart Fener” con un manico di scopa!
Milva mi guarda fissa negli occhi (mi chiedo come sia possibile alla sua età portare le lenti a contatto bicolore, una verde e l’altra azzurra…mah!) le sorrido.
Lei: «Roby giurami che non lo dirai a nessuno?»
Io: «No Milva, figurati, lo sa solo mezzo quartiere».
Lei: «Siediti e Sogna» (stavolta enfasi alla Rossella O’Hara).
Io ero già in modalità La La Land!!!

Domenica 29 marzo. La città è deserta (preludio al bacio).
Di umani se ne vedono pochi in giro e per lo più sono i ritardatari dei supermercati, “uomini e donne ombra”che camminano a passo svelto con guanti e mascherina evitandosi impauriti sui marciapiedi (faccina a ghostbuster).
Lisa si è svegliata presto questa mattina, beve silenziosa la sua tazza di caffè doppio, mangia la sua brioche e pensa ai suoi pensieri. Lisa è bella come il sole perché il sole ce l’ha dentro, i suoi capelli biondi e mossi le accarezzano appena le spalle, la bocca ridente, gli occhi nocciola e lo sguardo sensuale, pensa e ripensa a come andrà la giornata… eh sì, perché è un giorno importante quello.
Da lontano sente le note ovattate delle percussioni suonate dal musicista del palazzo di fronte, sembrano “tamburi lontani” citando una canzone del nostro Claudio Baglioni nazionale, le infondono calma come un effetto zen.
Guarda speranzosa l’orologio ma è ancora presto, entra in doccia e stacca i pensieri.
Dall’altra parte della città Stefano è ancora nel letto, lui adora dormire, sembra tranquillo questa mattina ma dentro è travolto da 50 sfumature di emozioni (faccina alla christian grey, cit. del famoso libro). La sera prima ha fatto tardi, Netflix in quarantena è come una droga legalizzata e lui non ne può fare a meno. Si prepara il caffè, accende la radio, pensa, poi ancora colazione, alza il volume ed entra in doccia… lei nella sua testa, sospira e Lei è ancora lì.
È bello, Stefano è bello, e la sua simpatia lo rende ancora più affascinante, le donne si chiedono: “come fa ad essere ancora single”!? (tante faccine sposami subito).

Ma facciamo un passo spazio/tempo indietro.
Lisa e Stefano si conoscono da sempre ma si sono ritrovati da poco su Faccialibro (Facebook nostrano), anche se non hanno più un età tanto social, poi sono subito passati al livello successivo, insomma il gesto che davvero ti fa capire che gli interessi: “chattare su WhatsApp”e poi hanno fatto il grande passo: “La telefonata” e al quel punto è that’s amore! (emoticon cuore rosso che batte). Lisa non ha mai pensato neanche per un attimo che Stefano poteva essere il suo tipo, non chiedetele il perché ma il 14 febbraio prese il telefono e lo chiamò, l’idea era quella di salutare un vecchio amico ma forse in realtà nel suo sub ma molto sub inconscio voleva assolutamente una data da ricordare, insomma, anche lei voleva il suo “Serendipity”e se chiami qualcuno il giorno di San Valentino te lo ricorderai per sempre!
Dopo 1 squillo esatto Stefano risponde: «Ma non ci posso credere che sei Tu»
Lisa pensa: «neanche io posso credere di averti chiamato…».
Pochi giorni dopo si danno appuntamento per l’aperitivo, due amici degli anni ‘90 che vanno a bere una cosa, tutto qui (il Covid-19 era ancora nascosto… quel bastardo!).
Ma poche ore prima dello SpritzStefano le dà buca, imprevisto sul lavoro, cose che capitano pensa Lei. Qualche giorno dopo Lisa rilancia con un tè domenicale ma anche stavolta salta nervosamente l’incontro e quell’episodio segnò tra i due un silenzio stampa che durò una lunga e funesta settimana. Come nelle migliori tradizioni del destino il detto dice “non c’è due senza tre”. Attesa. Dopo la settimana sabatica un bip su WhatsApp del cell. di Lisa (licenza giovanile per abbreviazioni tecnologiche alla “scialla”).
Stefano scrive: «Ma non mi dire che ti sei arrabbiata veramente?»
Lisa pensa: «Puoi rimanere lì sul mio display fino al prossimo aggiornamento software!»
Stefano scrive: «Oi, ci sei?»
Lisa scrive: «Si, no, cioè si ci sono, si ero arrabbiata, ma no tranquillo non mi interessa!»
Da lì al “chattiamo h24 come se non ci fosse un domani” il passo è stato breve.
Si raccontano le loro vite, le loro emozioni, le risate, gli scherzi, i doppi sensi, le note vocali a pioggia, si mandano video, si mandano meme, si mandano affa… eh no, scusate, quello ancora no…
Comunque, come solo il potere delle parole sa fare, quel mix tra il bisogno di avere qualcuno a cui scrivere e la voglia di essere corteggiati, leggere un complimento (in chat: lui bianco lei verde) e affermare il proprio ego con sé stessi, sognare che quella sarà la storia giusta, ma in realtà sabbiamo bene che è soltanto un desiderio passeggero di sentirsi Vivi! Punto.
E non convincetemi del contrario!

Martedì 17 marzo, il primo incontro.
Nell’aria aleggia lo spettro dell’ordinanza fresca di una settimana ma nessuno “c’ha capito na’mazza”(slang romano che traduce lo stato di frustrazione) quindi in giro una metà dei bipedi indossa le prime mascherine, i guanti in lattice e cominciano con la campagna promozionale #iofacciolefilealsupermercato mentre l’altra metà bipede nulla ancora di tutto il suddetto elenco.
L’appuntamento era fissato alle 12 in una piazzetta di fronte ad una scuola ovviamente chiusa. Stefano arriva puntuale, parcheggia la macchina ed è un po’ agitato. Lisa arriva di corsa con qualche minuto di ritardo. Nel tragitto pensa: “no, ma che sto facendo, se poi non mi piace, non lo vedo da quando i dinosauri si sono estinti, ok niente panico niente panico come dice la mia amica Rebecca Bloomwood, vado-saluto e non ci vedremo mai più”.
Poi, alla fine del viale in prossimità della scuola, i lori sguardi si incrociano da lontano…
Avete presente quando si percepisce nell’aria il “Magnetismo Cosmico”? Ecco era quel giorno!
Arrivano una di fronte l’altro, 2 mt di distanza ordinaria, ridono, dicono cose, sorridono, sono agitati, mi sa che si piacciono i due. Dopo pochi minuti di esitazione Stefano prende coraggio e si avvicina a Lisa a meno di 1 mt (allarme rosso).
Titolo di quello che sta accadendo: “L’Abbraccio che vale più di mille parole”. La stringe forte, poi la seconda presa e la stringe ancora più forte, quella sensazione che fa battere il cuore quando dopo che ti abbracciano ti tirano ancora di più a sé come a dire “sei mia, sei mio”.
Lisa è travolta da irrimediabili emozioni. Ma consapevoli di essere in un luogo pubblico con ordinanze, annessi e connessi, si respingono ridendo, come a voler sdrammatizzare quello che era appena accaduto. Ma ormai è Accaduto. Non si torna indietro.
Guardano l’ora, è tardi, quando vivi al tempo del Covid-19 dopo 5 minuti che incontri qualcuno devi andare, non puoi trattenerti, sei perseguibile, fai assembramento.
Si promettono di scriversi più tardi. Lisa va via di spalle, non si volta, e accenna con la mano destra  “un alt” (quella posizione delle dita che vuol dire fermati qui, cosa sta succedendo?! e poi si trasforma in un saluto sfuggente).
Lui la saluta ad alta voce con “un ciao Lisy”, i passanti si voltano. I Due hanno rischiato il linciaggio in pubblica piazza. Ma anche questo è“L’Amore al tempo del Covid-19”.

…appuntamento alla prossima puntata su questo stesso canale…

Roberta Cannata

Andrea Giostra



Coronavirus, 5 millennial su 10 preoccupati dal post epidemia: vademecum per non perdere la positività

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L’emergenza Coronavirus ha costretto milioni di persone in tutto il mondo alla quarantena forzata, trasformando in maniera radicale abitudini e stili di vita, e causando numerosi problemi psicologici.
Ad essere più colpiti, secondo una ricerca americana pubblicata dall’ American Psychiatric Association (APA) su CNBC, sono i millennial: oltre il 47% ha affermato di avere paura delle possibili conseguenze del post epidemia e dimostra difficoltà nell’adattarsi a un graduale ritorno alla normalità. Timore di perdere il lavoro e di non poter tornare a viaggiare come un tempo sono tra i sentimenti più comuni. Uno scenario negativo che si ripercuote anche sulle ricerche online legate al virus, le prime a causare stress e ansia: basti pensare che secondo un’indagine pubblicata sul New York Times sono aumentate del 250% nelle ultime due settimane e l’hashtag #Coronavirus su Instagram conta oltre 16 milioni di post. Ma quali sono, dunque, i consigli degli esperti per non lasciarsi governare dalla paura e affrontare con positività questi momenti difficili? Sfruttare la quarantena per riflettere sul proprio stato d’animo, informarsi in maniera responsabile evitando di cadere nel baratro delle fake news, ritrovare quel senso di umanità e calore dimenticati e dedicarsi a forme di meditazione e interiorizzazione.

“La pandemia di cui siamo protagonisti diretti è un qualcosa di mai visto prima, ma come ogni momento di crisi può rappresentare una porta socchiusa su qualcosa di individuale e sociale che, nell’ordinarietà, è più difficile da cogliere – ha spiegato Andrea Di Terlizzi, studioso, maestro di Scienze Interiori e autore del testFuturo Proximo assieme a Antonella Spotti – Cosa possiamo fare per trarre il massimo vantaggio da un evento che, guardato nel suo aspetto materiale, non ha nulla di positivo? Possiamo innanzitutto sfruttare il momento per ritrovare un’umanità, un calore, un senso di fratellanza e sorellanza troppo spesso accantonati. Fermiamoci a riflettere su come vogliamo vivere e cambiare questo mondo in un luogo migliore, non facendoci sopraffare dalla paura perché tale sentimento non può coesistere con l’amore. Dovremmo provare a sederci a terra respirando e rimanendo in silenzio, sgombrando la nostra mente da pensieri negativi. Soltanto in questo modo possiamo essere pronti ad affrontare con positività il post epidemia perché quando la crisi cesserà, e avverrà quel momento, sarà il caso di avere gli occhi ben aperti e decidere se vogliamo continuare a farci trasportare dai poteri che decidono per noi quale vita vivere”.

I benefici della connessione sociale, anche se a distanza forzata, sono evidenziati da una ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista americana Lancet, che sottolinea come la solitudine possa essere più nociva per il nostro sistema immunitario di 15 sigarette al giorno. Una condizione negativa che può colpire i giovani, i più avvezzi alla socializzazione e ai viaggi internazionali, e che dunque potrebbero soffrire maggiormente da questa forma di isolamento: basti pensare che secondo un’indagine pubblicata su Fox News il 70% dei ragazzi compresi tra 18 e 35 anni ha visitato paesi stranieri nel 2019. E ancora, un valido aiuto per combattere la solitudine arriva dalla meditazione: secondo una ricerca della National Health Association e pubblicata su Psychology Today, le tecniche di meditazione e interiorizzazione alleviano i livelli di cortisolo presenti nel sangue, aumenta la produzione di dopamina, il neurotrasmettitore che regola il tono dell’umore, e favorisce il rafforzamento delle sinapsi in diversi punti del sistema nervoso.

Ecco infine il vademecum per affrontare la quarantena forzata e prepararsi al post epidemia con positività:

  1. Prendersi del tempo per riflettere sul proprio stato d’animo: il distanziamento sociale risulta un’esperienza stressante, soprattutto per i giovani, ma permette di fermarsi a concentrarsi su se stessi.
  2. Non lasciarsi sopraffare dalla paura: assumere un atteggiamento costruttivo è fondamentale per non perdere la capacità di governare la paura e rimanere in balia di chiunque generi in noi questo sentimento nefasto.
  3. Essere uniti anche nella distanza: sfruttare questo momento di crisi per aiutare chi è in difficoltà, sorridere al prossimo, utilizzare i social in maniera genuina, ritrovando così quel senso di umanità e calore molto spesso dimenticati.
  4. Leggere e informarsi, senza assorbire le notizie in modo passivo: non dimenticare la dignità che contraddistingue il nostro essere umani. Accertarsi di fonti certe e riflettere sul contenuto è importante per non cadere nel baratro delle fake news.
  5. Dedicarsi alla meditazione o a qualsiasi altra forma di interiorizzazione: usare la respirazione per ritrovare una condizione di equilibrio e calma, focalizzare la mente per generare un’onda stabile, calma e lucida in voi e attorno a voi.
  6. Non sottovalutare la forza della gratitudine e dell’amore: è fondamentale non dimenticarsi di essere grati per quello che si possiede e ringraziare chi combatte ogni giorno questa difficile battaglia, mettendo a serio rischio la propria incolumità.
  7. Dare un esempio dal punto di vista umano e non solo organizzativo: sfruttare questo momento per cercare di portare alla luce la parte migliore di ciascuno, riducendo la provinciale abitudine di trasmettere soltanto negatività.
  8. Riscoprire le proprie risorse e non smettere di imparare: la quarantena rappresenta il momento ideale per leggere, imparare una nuova lingua, investire sulla propria formazione professionale ed essere pronti al ritorno operativo post crisi.
  9. Riorganizzare le proprie abitudini quotidiane: essere chiusi in casa non equivale a lasciarsi andare. Bisognerebbe programmare le proprie giornate scaglionando i momenti di lavoro e quelli dedicati alla propria cura personale, sul lato fisico e mentale.
  10. Imparare a saper gestire i movimenti: il nostro organismo disperde molta energia attraverso le tensioni muscolari, a loro volta connesse alle tensioni emotive. Bisognerebbe controllare il corpo e rilassare le parti contratte, sia in movimento, sia da seduti.

Lettera aperta a Papa Francesco

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Caro Santo Padre, mi rivolgo a Lei come se scrivessi ad un mio parente, perché credo fermamente che ciascuno di noi La consideri tale.

Sto pensando che una positività di questo tragico momento è proprio scriverLe, avere avvertito questo bisogno e aver trovato il coraggio di soddisfarlo.
Molte volte, nella normalità della vita, ci viene rubato il tempo di osare, di soffermarci a pensare, di guardarci attorno, adesso invece quel tempo c’è e, da credente, voglio essere la voce di tutti quei milioni di persone i cui occhi, come i miei, sono rimasti sulla sua umile e maestosa immagine che ha reso Piazza San Pietro la Casa di ognuno di noi, il CRISTO che abbiamo sempre accanto ma che dovevamo vedere tra le Sue mani, per ritrovarlo come Fratello.
Santità ci avvicinano Lei La sua espressione intensa, il suo raccoglimento, il suo passo talvolta incerto perché consapevole di dover rappresentare a Dio il nostro bisogno di LUI, talvolta inconfessato e le nostre intemperanze.
Da questo dramma nascono non solo la paura e le angosce ma anche le riflessioni, la convinzione che è la vittoria del potere sull’amore a fomentare le guerre, la violenza e la prevaricazione dei più deboli.
Grazie per avercelo ricordato, per avere in certi momenti, con i suoi espressivi silenzi, indossato le nostre debolezze, i nostri mancati giuramenti e le promesse non mantenute, la vanagloria con cui talvolta sfidiamo DIO dimenticando l’estremo suo sacrificio per redimerci.
Soltanto Lei, che LO rappresenta in terra, Ci fa sentire e vivere il nostro mancato incontro con Lui, l’immensa Sua bontà nel chiamarci laddove è anche rifiutato e ancora perseguitato. 
Santità, Lei è venuto da lontano per guidare il Gregge di Dio, è Uomo e conosce quanto sia fragile la nostra FEDE, per questo ci sorregge con le parole semplici, comprensibili a tutti.
Il suo non negarsi mai ci incita in questa prova a non sentirci puniti ma a considerarla come occasione di rinascita, a riscoprire il valore della solidarietà che annulla le distanze e riscalda i cuori.
Siamo fiori tra i sassi, facciamo fatica a nascere a ancor più a crescere, il vento tenta di sradicarci, la pioggia degli eventi ci colpisce senza sosta ma poi un raggio di sole basta a farci rivivere.
Ci auguriamo che nessuno si sottragga alla bontà dei suoi messaggi, vogliamo fidarci e affidarci alla Sua paterna protezione, con la convinzione che la Sua mediazione sia privilegiata agli occhi di Dio.
Grazie Santo Padre per essersi fatto carico, in questi che per l’umanità sono i giorni della prova, delle nostre debolezze ed averci fatto comprendere che DIO c’è e ci deve bastare, che tutti siamo figli della stessa umanità, che non esiste il Regno dei morti e quello dei vivi ma il Regno di DIO. 
Preghiamo per Lei e considereremo un abbraccio consolatore la Sua Paterna risposta e Benedizione.
Caterina Guttadauro La Brasca

25 APRILE: L’ALTRA FACCIA DELLA RESISTENZA - La Resistenza umanitaria in Abruzzo

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di Mario SettaLa Resistenza umanitaria

Un aspetto della Resistenza, rimasto per decenni in ombra o assolutamente ignorato dalla storiografia e dalla memorialistica, è quello dell’aiuto ai prigionieri di guerra alleati in fuga dai campi di concentramento in Italia, dopo l’8 settembre. Un fenomeno che solo negli ultimi tempi è stato evidenziato, attraverso la pubblicazione delle memorie e degli studi di storici inglesi e italiani. Una Resistenza definita da alcuni storici “umanitaria” (De Rosa, Pavone, Pepe, Felice, ecc.), perché fondata sul principio della solidarietà e del rispetto per la dignità della Persona Umana. Un aspetto della Resistenza in cui le donne hanno svolto un ruolo determinante, un aspetto importante di “Resistenza al Femminile”.
Lo storico inglese Eric Hobsbawm, il celebre autore de “Il secolo breve”, ha scritto: “Ho sentito tanti racconti dell’Italia, dai prigionieri di guerra… gente la cui vita era stata spesso salvata dall’aiuto del tutto disinteressato di famiglie di contadini, che non avevano nessuna particolare ragione per soccorrerli se non quella della solidarietà umana”.

Da una ricerca ultra-ventennale, promossa e proseguita da docenti e studenti, presso il Liceo Scientifico Statale “Fermi” di Sulmona, è nata una collana di memorialistica sul fenomeno dell’aiuto ai POWs (Prisoners Of War), durante la seconda guerra mondiale. Roger Absalom, autore d’una accurata indagine dal titolo A Strange Alliance. Aspects of escape and survival in Italy 1943-1945 (Olschki, Firenze 1991), trad. it. L’alleanza inattesa: mondo contadino e prigionieri alleati in fuga in Italia (1943-1945), Uguccione Ranieri di Sorbello Foundation, ed. Pendragon, Bologna 2011, presentando l’edizione italiana del libro di William Simpson, A Vatican Lifeline. Allied Fugitives aided by the Italian Resistance, (Cooper, London 1995), tradotto e pubblicato con il titolo La guerra in casa 1943-1944. La resistenza umanitaria dall’Abruzzo al Vaticano, scrive: «Il fenomeno dell’assistenza spontanea era generalizzato in tutta la Regione Abruzzese, con punte più alte nelle Province di L’Aquila, Chieti e Pescara. Sulla base di statistiche desumibili dai documenti conservati negli archivi nazionali di Washington, si può calcolare un coinvolgimento di decine di migliaia di persone nell’assistenza, sempre rischiosa, agli ex prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento, dopo l’8 settembre. In rapporto alla popolazione globale delle zone di montagna e di collina, censita nel 1936, la partecipazione si aggirerebbe intorno al 4-5%, cifra tutt’altro che trascurabile, se si pensa che i fuggiaschi alleati di passaggio e di stanza in Abruzzo non erano probabilmente più di 10.000. Altri elementi non quantitativi fanno pensare che la disponibilità a prestare tale assistenza fosse ancora più diffusa». Secondo i dati, rilevati da Absalom, al momento dell’armistizio dell’8 settembre 1943, in Italia vi erano circa 80.000 prigionieri di guerra. L’art. 3 dell’armistizio (short term) recitava testualmente: “Tutti i prigionieri e gli internati delle Nazioni Unite dovranno essere consegnati immediatamente al Comandante in Capo alleato e nessuno di essi potrà ora o in qualsiasi momento essere trasferito in Germania”.

Una mappa della Croce Rossa inglese, (The Red Cross and St. John War Organisation, September 1943), evidenziava in Abruzzo la presenza dei seguenti campi: il n.102 a L'Aquila, il n.91 ad Avezzano, il n.78 a Sulmona, il n. 21 a Chieti. Dopo l’8 settembre 1943, si verificò la fuga di migliaia di prigionieri, anche perché il vice-comandante del Campo 78, Rocco Santacroce, favorì l’apertura dei cancelli. Secondo i dati dell’Asc (Allied Screening Commission), sulla base dei documenti rilasciati dagli stessi prigionieri, a Sulmona, nascosti nelle famiglie della città, in particolare al Borgo Pacentrano, furono circa 473. Ma, un dato perlomeno curioso e particolarmente interessante, è rappresentato dalle numerose testimonianze, dirette o indirette, lasciate dagli ex-prigionieri in Abruzzo: Uys Krige, John Esmond Fox, Donald Jones, Jack Goody, John Furman, William Simpson, John Verney, Sam Derry, J P. Gallagher, Dan Kurzman, John Broad, Hans Catz, Tony Davies, Ronald Mann, Guy Weymouth, Joseph Frelinghuysen, John Miller, Martin Schou, Stan Skinner, Gladys Smith. Per questo, il fenomeno dell’aiuto ai prigionieri di guerra è stato definito “epopea”. Una pagina di storia, piena di episodi drammatici e toccanti, comici e romantici: ci furono ex-prigionieri nascosti per mesi nelle grotte, nelle cantine, travestiti da donne, fatti passare per sordomuti e quelli che, dopo la liberazione, contrassero il matrimonio con le figlie dei loro benefattori.

Non è facile restare impassibili di fronte all’avventura di Denys Simmons, raccontata nel documentario 1943 - A Kind of Holiday di Franco Taviani o a quella di William Pusey, le cui figlie sono tornate in Abruzzo, a Castelvecchio Subequo, per spargere le ceneri del padre sulle montagne del Sirente, dove aveva vissuto “il più bel periodo della vita e incontrato l’amore”, come raccontiamo più dettagliatamente alla conclusione. Ma ci furono anche italiani imprigionati, condannati a morte, fucilati per aver dato loro da mangiare e ospitalità. Una forma di resistenza, in cui le donne hanno rivestito un ruolo fondamentale. Valga, per tutte, la storia di Iride Imperoli Colaprete, la staffetta che accompagnava i fuggiaschi da Sulmona a Roma, catturata e imprigionata prima in via Tasso e poi a Civitaquana, con decine di uomini e donne sulmonesi. Una sarta, Annina Santomarrone, di Roio Piano, processata per aver dato ospitalità agli alleati, deportata in Germania e morta in un lager, aveva detto: “Non li ho aiutati perché erano inglesi, ma perché sono una cristiana e anche loro sono cristiani”. Un comportamento, questo, evidenziato anche da un altro fatto tragico: la fucilazione di Michele Del Greco, pastore di Anversa degli Abruzzi, condannato a morte per aver dato da mangiare a numerosi ex-prigionieri, di passaggio. Dalla lettera alla moglie e dalla testimonianza del parroco, don Vittorio D’Orazio, che lo aveva confessato prima della fucilazione, nel carcere di Badia di Sulmona, emerge la stessa motivazione: “Sa perché mi ritrovo in questa situazione? Perché ho fatto quello che mi avete insegnato: dar da mangiare agli affamati”. Era stato arrestato il 22 novembre 1943, processato e condannato il 27 novembre, fucilato il 22 dicembre. Una figlia, Raffaella Del Greco, ne ha raccontato la storia nel libro Quei lunghi trenta giorni (Japadre, 2004).

La gentilezza e la solidarietà degli abruzzesi, al di là della retorica o d’un abusato cliché, emergono dalle innumerevoli testimonianze degli ex-prigionieri che hanno posto in rilievo l’aiuto disinteressato, ricevuto dalla gente. Jack Goody, antropologo di fama mondiale, docente a Cambridge, allora fuggiasco sulle montagne della Valle del Sagittario, ha scritto: “C’era il pane, qualche volta era il pane di campagna fatto di farina e qualche altra era una specie di torta piatta di mais, con in mezzo il grasso di prosciutto” (Oltre i muri. La mia prigionia in Italia, Roma 1997). In una conferenza a Teramo, nel 2002, Jack Goody ha ricordato il suo breve periodo di fuga sulle montagne abruzzesi: «Non ho passato molto tempo in Abruzzo, ma il tempo che vi ho passato è stato molto intenso e mi ha segnato per sempre». Ma, forse, le parole letterariamente più squisite e commoventi sono quelle di Alba De Céspedes, nascosta a Torricella Peligna, in attesa di oltrepassare la linea Gustav, raggiungendo Bari e diventando la voce di Clorinda a Radio-Bari: «Entravamo nelle vostre case timidamente: un fuggiasco, un partigiano, è un oggetto ingombrante, un carico di rischi e di compromissioni. Ma voi neppure accennavate a timore o prudenza: subito le vostre donne asciugavano i nostri panni al fuoco, ci avvolgevano nelle loro coperte, rammendavano le nostre calze logore, gettavano un’altra manata di polenta nel paiolo. […] Del resto attorno al vostro fuoco già parecchie persone sedevano e alcune stavano lì da molti giorni. Erano italiani, per lo più: ma non c’era bisogno di passaporto per entrare in casa vostra, né valevano le leggi per la nazionalità e la razza. C’erano inglesi, romeni, sloveni, polacchi, voi non intendevate il loro linguaggio ma ciò non era necessario; che avessero bisogno di aiuto lo capivate lo stesso. Che cosa non vi dobbiamo, cara gente d’Abruzzo? Ci cedevate i vostri letti migliori, le vesti, gratis, se non avevamo denaro.» (AA.VV., Alba de Céspedes, Mondadori, Milano 2005).

Uys Krige, scrittore sudafricano, prigioniero al Campo 78 di Sulmona, dopo la fuga verso il Sud Italia e il ricongiungimento con gli Alleati, stabilisce rapporti di amicizia con Ignazio Silone, tanto che quest’ultimo, nelle pagine introduttive de L’avventura d’un povero cristiano racconta:  « Prima di lasciare Roma e tornarsene nel Sud Africa, nel 1945, Uys Krige mi prese a testimone di due suoi voti: avrebbe scritto un libro su questa contrada che egli chiamava “terra amica e prediletta”, e appena possibile sarebbe tornato portando con sé sua figlia, nella convinzione che avrebbe giovato all’educazione della ragazza conoscere quei posti e quella gente.» L’originale inglese del libro di Krige The way out, tradotto in italiano con il titolo Libertà sulla Maiella (Vallecchi, Firenze 1965) è dedicato ad un contadino di Bagnaturo di Pratola Peligna, Vincenzo Petrella, “to whom I owe my Freedom” (“cui devo la mia Libertà”). La storia delle traversate, dal nord al sud, e in particolare da Sulmona a Casoli, attraverso il Guado di Coccia, rappresenta un momento decisivo nella vita dei fuggiaschi. Era la via più conosciuta e più comune. Ma richiedeva l’assistenza di guide locali. E molte furono le guide sulmonesi che si misero a disposizione per questo compito. Compito rischioso, perché i tedeschi controllavano i valichi di montagna. John Esmond Fox, nel libro Spaghetti and Barbed Wire ( “Spaghetti e filo spinato”, Qualevita 202),  ricostruisce con la tecnica del flash-back la sua avventura di prigioniero di guerra prima e poi di fuggitivo tornando perfino da uomo libero  in visita al Campo 78 di Fonte D'Amore, nel giugno del 1966. Fox apparteneva al IV reggimento Royal Horse Artillery e viene catturato in Africa dai tedeschi. Trasportato a Napoli con una nave-ospedale, rimane per qualche mese ricoverato nell'ospedale della città. Successivamente viene trasferito a Sulmona e rinchiuso nel campo di concentramento. I suoi vari tentativi di fuga falliscono miseramente, ma dopo il bombardamento alla stazione di Sulmona, il 27 agosto 1943, con due amici, Barrel e Frank, riesce a fuggire. Ospitati da varie famiglie in luoghi sempre diversi, ribattezzati con i nomi in italiano di Paolo Pastore, Francesco Re e Giacomo Volpe, si inseriscono nel piccolo ambiente vicino alla città. 
Il 13 gennaio 1944, accompagnati dalla guida Domenico Silvestri, insieme ad un centinaio di fuggitivi, affrontano la traversata della Maiella, arrivando a Palena e poi, dopo trentasei ore di marcia, sono finalmente salvi. Nel Post-Scriptum, Fox scrive: «Del gruppo di cento uomini che si erano messi in marcia, alle quattro di pomeriggio del 13 gennaio, arrivarono a Casoli alle 11 del mattino del 15 gennaio, dopo un cammino di 36 ore, 47 uomini e 22 di essi furono ricoverati in ospedale per congelamento o per spossatezza. Non sono mai stato in grado di sapere che cosa accadde agli altri». Un mese dopo, il 14 febbraio 1944 Fox saluta Domenico e parte per l'Inghilterra. John Verney non ha scritto un libro. Ha scritto una lettera d’amore per i contadini che li avevano sfamati, aiutati, amati. Tre ex prigionieri inglesi. Il titolo del libro, “A Dinner of Herbs” (“Un pranzo di erbe”, Qualevita 2014) desunto da un versetto biblico dei Proverbi (15.17): "Un piatto di erbe con amore è meglio di un bue grasso con odio", che l'autore pone come epigrafe del libro. La dedica: To Sinibaldo Amatangelo, Antonio Crugnale and their kind (A Sinibaldo Amatangelo, Antonio Crugnale e ai loro familiari) che li avevano aiutati, nascondendoli nelle grotte. Non ha confessato solo i suoi sentimenti, ma ha dimostrato che amare significa conoscere la storia, rivivere l’ambiente, condividere fatiche e speranze. Ha espresso profonda gratitudine per aver imparato, in quei mesi di fame e di rischi, tra grotte di montagna e nascondigli nelle case, che vivere e aiutare gli altri a vivere è l’unico scopo che valga la pena di raggiungere. Una testimonianza straordinaria, quella di Verney. Forse la più coinvolgente e la più bella delle opere scritte dagli ex-prigionieri di guerra in Abruzzo. Artistica nella forma e profonda di contenuto. Solo un innamorato poteva esprimere parole indimenticabili. Verney era ed è rimasto un artista, anche dopo la tragedia della guerra. Quando, più volte, è tornato in Abruzzo, vi è tornato con la voglia di conservare e ravvivare quello spirito di innocenza o, come la chiama, nostalgie de la boue (nostalgia della genuinità), che l’affascinava. «Almost everything in my life that has really mattered goes back somehow to the war. I was about to ad: Goes back to the Abruzzi (Quasi tutto quello che è stato importante per la mia vita lo devo alla guerra. Stavo per aggiungere: all’Abruzzo».
Le donne ebbero un posto di rilievo nella vicenda dell'aiuto ai prigionieri alleati. Purtroppo, subito dopo la guerra, al momento dell'assegnazione dei meriti e delle colpe, il ruolo della donna, che non poteva essere negato, fu minimizzato con l'arma del ridicolo, svilito con insinuazioni offensive. Il maschilismo di cui era fortemente impregnata la società dell'epoca assegnava alla donna due ruoli antitetici: santa o peccatrice. Ruoli, però, sempre secondari e comunque funzionali a quello primario assegnato all'uomo. Questo modello interpretativo ha fatto sì che molte donne, pur impegnate straordinariamente nell'azione umanitaria di soccorso dei prigionieri, temendo di non essere considerate sante, negarono o sminuirono la loro attiva partecipazione. Altre donne, invece, più battagliere e ribelli, che cercarono di far valere i loro giusti meriti, diventarono oggetto di campagne diffamatorie, dalle quali solo pochissime uscirono indenni. L'aiuto che fu dato ai prigionieri non si risolse soltanto nel dare il pane che non c'era, ma si manifestò concretamente e moralmente grazie a quella solidarietà tipica delle famiglie povere di mezzi ma ricche di affetti. È nel calore della famiglia, tra le mura domestiche che si opera la ricostruzione di personalità distrutte da anni di guerra e di prigionia. Trattati nuovamente da esseri umani in una nuova famiglia, i prigionieri rinascono a nuova vita. Ricominciano a sperare e a credere nel loro futuro.

Lo stesso John Furman, nella sua autobiografia Be not Fearful (“Non aver paura”, Garzanti, 1962) pone in rilievo la dedizione, il sacrificio, l'affetto, dimostrati dalle donne sulmonesi: Esterina (vedova Carabia), con il figlio Paolo, che abitava a Sulmona in via Mondello; Maria (Santilli, soprannominata Trippe de Lupe), il cui marito era Cesidio Valeri e il figlio Vincenzo, residenti  in vico Breve; Marietta (Petrilli, soprannominata Papung), Ada, Ida, Concetta, Ione, Filomena, Anna, Teresina, ecc. Per tutte, basta l'esempio di Maria (Santilli), che dedica le sue migliori attenzioni ad un malato di eczema, Gilbert Smith. «Ma se mai - scrive Furman - di qualcuno al mondo, si sono potuti travisare la vera indole e il carattere, ingannati dall'aspetto esteriore e dagli atteggiamenti, certo questo avveniva con Maria. In realtà, Maria era un angelo che avrebbe diviso la sua ultima crosta di pane con un cane affamato; assisteva Gil, uno straniero a lei completamente estraneo, in condizioni tali che avrebbero costretto anche molte madri, vinte dal raccapriccio, a distogliere loro malgrado lo sguardo dai figli pur teneramente amati, e gli dedicava tutte le sue cure con una destrezza e un'affettuosità da ispirare un senso profondo di consolante fiducia».

Lola Carabia-Spagnoli, cognata di Gino Ranalli, ricorda ancora quel tempo in cui viveva con la famiglia al Borgo Pacentrano. Nella loro casa era nascosto Albert Duquate, un prigioniero americano, definito da Furman "impulsivo, sempre pronto ad inventar facezie, ex radioannunciatore". Lola aveva allora venti anni, essendo nata il 16.10.1923. Con la sorella Ivana, che diventerà poi la moglie di Gino, ed altre amiche rischiavano la vita per aiutare i prigionieri. «Un giorno - racconta - sono andata al Comune, dal segretario Ferri, per ritirare una carta di identità falsa per Henri Payonne e l'ho riportata alla famiglia Vecchiarelli, a vico Breve, perché fosse consegnata all'interessato. Dopo qualche tempo venni a sapere dallo stesso Ferri il grave rischio che avevo corso, perché i tedeschi volevano sapere se mi conosceva e lui aveva risposto negativamente, altrimenti mi avrebbero arrestata».  Henri Payonne, francese, esponente del movimento di De Gaulle “France Libre” era stato aiutato ad uscire dal campo di concentramento dal barbiere del campo, Vincenzo Pistilli, e nascosto in casa di Roberto Cicerone, soprannominato “Pazzone”, uno dei personaggi più attivi, insieme a Mario Scocco nell’organizzazione per l’ospitalità e l’aiuto ai prigionieri fuggiaschi. Ma anche una simile struttura, assolutamente informale, aveva bisogno di persone che tenevano collegamenti, distribuivano incarichi, realizzavano progetti. Una cerchia di persone direttamente impegnate nello svolgimento di compiti spesso altamente rischiosi. Viene organizzata la fuga di decine di prigionieri ricoverati in ospedale e fatti calare di notte attraverso le finestre, mediante una corda formata da lenzuola annodate. Furono accumulate provviste di generi alimentari, vestiario ed altro materiale da mettere a disposizione dei fuggitivi. Ci furono anche azioni di sabotaggio nei confronti dei tedeschi.

Si stabilirono rapporti affettivi tra ospiti e ospitanti, tra prigionieri stranieri e gente del luogo. Nascondere o "tenere in casa", come allora si diceva, uno o più prigionieri significava stabilire un dialogo parlato o gestuale. La convivenza nella stessa casa offriva naturalmente l'occasione di conoscersi, allacciare legami di amicizia e di affetto. Furman sottolinea il fattore affettivo esistente in questa condizione di "complicità". La cortesia e la bontà della gente erano tali che spesso i coniugi cedevano il loro letto matrimoniale per far riposare più comodamente i prigionieri, che venivano rifocillati, rivestiti, aiutati in ogni modo. Gli episodi in merito sono così numerosi che è impossibile enumerarli tutti. Contestualmente all'aiuto dato ai prigionieri, nasce spesso un sentimento più forte, più coinvolgente. È il sentimento dell’amore. E non c'è da meravigliarsi se tra prigionieri, giovani e spesso piacenti, e donne semplici e affettuose sia nato l’amore. Il motto della propaganda fascista Dio stramaledica gli inglesi non sembrava aver sortito nessun effetto. La gente aveva continuato a vedere nell'altro, se disarmato e bisognoso, povero e oppresso, vittima e perseguitato, un possibile amico e non un nemico da eliminare.

Roger Absalom, nella presentazione accurata e approfondita al libro di Simpson in italiano, scrive: «La forma più completa di identificazione tra prigioniero e ospitante avveniva quando l’ex prigioniero si immergeva totalmente nella grande famiglia contadina fino al punto di diventare una specie di parente adottivo. Questo fenomeno si produceva solo nelle condizioni di accoglienza e di rapporti familiari particolarmente idonei, ma non dipendeva necessariamente dalle condizioni materiali propizie: anche dove la cultura contadina era meno omogenea, si riscontrano casi di identificazione in cui la “personalità militare” del prigioniero veniva pressoché dissolta. In tali casi la “pressione psicologica” si spingeva oltre la generica simpatia e il garbato sfruttamento di essa: il prigioniero diventava figlio, fratello, fidanzato “fittizio”, facendo scaturire un processo reciproco di assorbimento e di assimilazione. Dalle fotografie scattate allora e rimaste come patetiche testimonianze nei fascicoli dell’archivio dell’ASC, si vede il prigioniero in mezzo a tutta la famiglia, abbracciato spesso alla “madre”, alla “fidanzata” o al “fratellino”, vestito come gli altri, in un’atmosfera di caldo affetto (sempre dignitoso, però) “famigliare”. A guerra finita, il prigioniero “assimilato” continuava per anni a soffrire un’intensa nostalgia della “famiglia” abbandonata e trovava grigio e insoddisfacente l’ambiente in cui era tornato a vivere. Rievocava in patetiche lettere “i bei tempi... della guerra”, costellati da semplici affetti, innocenti avventure (quasi da boyscout), godimenti materiali intensi, perché effimeri e rubati alla sorte, segnati soprattutto dal sorriso e dal riso, caratteristiche della civiltà contadina, pastorale e carbonara dell’alto Appennino (civiltà della veglia, della novella, del cantastorie, della beffa al potente e allo sciocco) e giustamente indicata da Braudel come incrollabile sostegno della ragione umana in un mondo impazzito. “Rido, dunque sono”: forse è questa la frase braudeliana che contiene l’essenziale spirito della pur pericolosa sopravvivenza, vissuta insieme da contadini e prigionieri».

Iride Imperoli-Colaprete
"Donna vibrante di vita e appassionatamente attratta da ogni forma di piacere che l'esistenza poteva offrirle" la descrive John Furman. Nasce a Valmontone, in provincia di Frosinone, il 23.4.1918 da Carlo Imperoli e da Paolina Masciangioli. Il padre muore quando Iride ha pochi mesi. La madre, originaria di Sulmona, sposa in seconde nozze un vedovo con 6 figli, Stefano Marcantonio, dal quale avrà un'altra figlia, Maria. Iride risiede a Sulmona e frequenta la scuola elementare fino alla quinta. Le sarebbe piaciuto continuare gli studi, imparare la musica o studiare canto. Trascorre la sua giovinezza tra Roma e Sulmona. Consegue il diploma di sarta, imparando     l'arte alla scuola di Teresa Taglieri-Davini. Va ad insegnare a Rivisondoli. Nel periodo della guerra, abita a Sulmona in via del Borghetto. Finita la guerra, sposerà Ettore Colaprete. Un pomeriggio del settembre '43, incontra a passeggio nella villa comunale di Sulmona un ufficiale italiano, interprete per conto degli ufficiali inglesi. È presente anche un Generale inglese prigioniero a Villa Orsini che, felicemente sorpreso del fatto che Iride possa andare periodicamente a Roma, le propone di portare un biglietto all'ambasciata inglese presso la Santa Sede. Iride accetta e dopo qualche giorno riceve il biglietto da parte del Generale.
 «Voleva addirittura darmi anche l'anello d'oro che portava al dito, ma io rifiutai», aggiunge. A Roma, Iride si reca da Mons. O'Flaherty e gli consegna il biglietto, che aveva prudentemente nascosto in mezzo ad un gomitolo di lana. Le propongono di mettersi a servizio dell'ambasciata per mantenere i contatti con i prigionieri di Sulmona. Iride accetta. Si apre, quindi, un'altra via di fuga, oltre a quella dell'attraversamento delle montagne per raggiungere le linee alleate. Varie volte, tre o quattro, ma tutte rischiose e drammatiche, Iride Imperoli riuscirà ad accompagnare in treno da Sulmona a Roma, a piccoli gruppi, gli ex prigionieri del Campo 78, muniti di documenti falsi, rilasciati dal personale del Comune di Sulmona. 

J.P. Gallagher, nel libro La primula rossa del Vaticano, (Mursia, Milano 1967), scrive: «Iride aveva svolto un lavoro magnifico per i fuggiaschi… sembrava capace di riuscire in tutto quel che decideva di fare…».  E William Simpson: «Iride si stava comportandosi magnificamente nei nostri confronti e le eravamo profondamente grati.» (La guerra in casa 1943-1944, La resistenza umanitaria dall’Abruzzo al Vaticano, Qualevita, 2004). Absalom ne tenta un profilo psicologico: «Un altro fuggiasco (...) era il capitano William Simpson, uno scozzese che sarebbe diventato l'altro principale agente di Derry nella Rome Organization, e infine il primo capo dell’Asc (Allied Screening Commission). Sia Furman che Simpson presero il primo contatto con Derry tramite Iride, una ragazza di Sulmona la cui personalità e la cui fortunosa carriera a servizio dei fuggiaschi e delle organizzazioni a loro favore si prestano bene ad illustrare l'attrattiva che il coinvolgimento in un tale lavoro aveva per i membri “marginali” della società, abituati ad assumersi dei rischi e generalmente poco rispettosi delle autorità costituite, ma spesso vulnerabili da un punto di vista psicologico: essi cercavano, dal loro improvviso e imprevisto contatto con la guerra clandestina, materiale per le loro fantasie di personale realizzazione, di avanzamento sociale e perfino di redenzione».

Queste, le deduzioni che lo storico Roger Absalom trae dal suo lavoro di ricerca. Al contrario, dall'analisi dell'ambiente, dalla biografia dei personaggi, dal contatto diretto con i protagonisti sopravvissuti, ci sembra di poter desumere che non si è trattato di particolare "attrattiva", ma di senso di responsabilità, di orgoglio dei poveri che hanno dimostrato, in un particolare momento, la loro dignità. Spesso, invece, non pochi inglesi fecero pesare la loro superiorità. La stessa Iride ricorda che John Furman conservava sempre una certa alterigia da gentleman, dimostrando diffidenza verso gli italiani che trattava spesso con aria di sufficienza. Al di là di una diversità di valutazione, i fatti e le persone che ne furono coinvolte restano fatti e persone reali. L'analisi di un fenomeno così diffuso e comunque collocato entro confini geograficamente ristretti può condurre a due forme estreme di giudizio: l'esaltazione retorica o la riduzione sprezzante. Entrambe da evitarsi. Ed è possibile solo nella misura in cui ci si attiene scrupolosamente alla nuda verità. Nel 2004, a Sulmona, in occasione della presentazione, del libro di William Simpson, in traduzione italiana, lo storico Roger Absalom ha avuto modo di incontrare Iride Imperoli Colaprete e di chiarire molti aspetti di quelle vicende. Un incontro amichevole e commovente tra il grande storico e la straordinaria protagonista. Iride è scomparsa il 9 agosto 2006. Resta, in molte testimonianze di ex-prigionieri, la memoria delle sue gesta.

Maria Di Marzio
Nata a Campo di Giove il 6.12.1906, era una donna di paese, una di quelle donne del passato, che dovevano lavorare come gli uomini per “mandare avanti la casa”, perché i mariti stavano in guerra. Il marito di Maria, Matteo Di Marzio, era stato infatti richiamato. Avevano 4 figli, un maschio e tre femmine. Maria doveva lavorare la campagna, pascolare le pecore, eseguire le incombenze domestiche. Nell'autunno del 1943 incontra i prigionieri fuggiaschi. Racconta: «Venivano dalla montagna e arrivavano alla mia casa, perché si trovava fuori dal paese, in cima al colle. Una volta vennero in sette. Dovetti trovare sette vestiti e dar da mangiare a sette bocche affamate. Li feci sistemare nella soffitta, dove c'era una terrazzina da cui potevano affacciarsi. Gli zaini che portavano li abbiamo nascosti sotto terra. Al mattino portavo loro il latte e si facevano la zuppetta. Stettero a casa quaranta giorni. Eravamo, a volte, una ventina a mangiare, perché arrivarono anche altre persone, che però volevano essere servite e riverite. Mi dicevano di mandar via i prigionieri, ma io rispondevo: “questi non li posso proprio cacciare”. Fu così che una di queste persone va a Sulmona e fa la spia. Il podestà, don Ciccio Puglielli, mi fa dire di allontanare i prigionieri. Mio figlio però li accompagna in una capanna, vicino a Fonte Romana e portavamo loro da mangiare. Arrivano i tedeschi e mi chiedono dove sono i prigionieri. Io rispondo che non so niente. Mi danno tre giorni di tempo per consegnarli. Vengono di nuovo e questa volta mi puntano in petto il fucile dicendomi di parlare e di dire dove sono i prigionieri. Mi dicono che bruceranno la casa e che mi ammazzeranno. Mentre mi tengono ancora il fucile puntato sul petto, rispondo: “ammazzatemi pure, ma io non ho visto nessuno”. La gente che stava vicino si era impaurita. Ma io continuavo a dire di non conoscere nessun prigioniero. Alla fine i tedeschi non spararono e mi lasciarono, andandosene via. Finita la guerra mi hanno dato un premio di quattromila lire. Non so se fosse quella la somma che mi spettava. D'altra parte io non so molte cose. I' sacce fa' sole la firme pe' jì 'ngalere (io so fare solo la firma per andare in galera)». Maria Di Marzio ha ricevuto un attestato di benemerenza «perché fiera figlia della generosa terra d'Abruzzo durante l'occupazione nazista 1943-1944 con rischio della incolumità personale aiutò, incoraggiò e difese dal tedesco invasore sette ufficiali alleati evasi dal campo di concentramento di Fonte D'Amore». Le è stata inoltre conferita la médaille de la Reconnaissance Française, perché gran parte dei prigionieri salvati erano di nazionalità francese. Alcuni prigionieri sono tornati a rivederla.

La guerra non uccide l’amore
Nell’immediato dopoguerra, si ebbero numerosi matrimoni tra italiane ed ex-prigionieri anglo-americani, aiutati dalle famiglie abruzzesi. Ne riportiamo un caso. Famiglia Salutari, Forca Caruso – Castelvecchio Subequo. Elisabetta Salutarinata il 21.12.1933, racconta: «Nel mese di settembre 1943, mio fratello Giovanni, che era pastore e si trovava a pascolare le pecore, incontra sul monte Ventrino un prigioniero inglese che girovagava da quelle parti. L'inglese gli rivolge la parola e gli fa capire con i gesti che ha fame e vorrebbe un po' di pane. Mio fratello non aveva niente con sé ma gli dice di venire da noi, suoi parenti, che stavamo in un campo vicino a seminare. La mia famiglia era composta da mio padre Antonio, mia madre e sei figli: cinque femmine e un maschio. Arriva infatti dove stavamo lavorando e lo accogliamo. Mio padre gli fa capire che può restare da noi. Finito il lavoro andiamo a casa, che era una delle Casette di Forca Caruso, dove allora abitavano circa 70-80 persone. Mia madre aveva cucinato le “taccozze”, una specie di tagliatelle senza uova e ci mettiamo tutti a tavola. Il prigioniero mangia e dopo mio padre lo ospita in casa facendolo dormire nel pagliaio. Si chiamava William Pusey. Lo chiamavamo Guglielmo. Dopo qualche giorno che sta con noi, ci dice che ha un amico rimasto nascosto sul monte Ventrino e chiede se può andare a chiamarlo e far venire anche lui. Esce e dopo un po' di tempo torna a casa accompagnato da un altro prigioniero. Si chiamava L. Jagger. Rimasero parecchi mesi presso di noi. Sapevamo che era proibito tenere in casa gli inglesi. Era pericoloso. Tanto più che i tedeschi passavano spesso sulla strada che congiunge la Marsica con la Valle Subequana e si fermavano a Forca Caruso. Anche tutta la gente delle Casette sapeva che noi aiutavamo gli inglesi, ma nessuno ci ha fatto la spia, svelando ai tedeschi o ad altri italiani che i prigionieri si nascondevano a casa nostra. Jagger era sposato. Rimase con noi fino al mese di marzo del 1944. Poi attraversò le linee e si ricongiunse con l'esercito anglo-americano. William stava con noi e s'era innamorato di mia sorella Iolanda che aveva 17 anni. Era nata il 24.10.1926. La gente un po' malignava, ma noi ne eravamo contenti. Finita la guerra in Abruzzo e partiti i tedeschi, nel mese di giugno 1944, William, che aveva imparato a parlare italiano, si mise su un balcone e annunciò alla gente di Castelvecchio che era innamorato di Iolanda e che presto l'avrebbe sposata. Infatti il 25 giugno 1944 fu celebrato il matrimonio in chiesa, avendo anche accettato di convertirsi al Cattolicesimo».

Nella parrocchia dei SS. Battista ed Evangelista di Castelvecchio Subequo, sul Registro dei Matrimoni, è conservato l'Atto di Matrimonio, celebrato dal parroco Sac. Paolo De Crescentiis, che conferma quanto narrato da Elisabetta Salutari e che cioè Guglielmo Giorgio Pusey, nato a Hythe Southampton il 10.3.1912, di professione ufficiale dell'esercito britannico, e Iolanda Salutari, figlia di Antonio e Maria Musti, contrassero il matrimonio secondo le disposizioni della Santa Romana Chiesa il 25 giugno 1944. Le pubblicazioni ecclesiastiche erano state eseguite dal 18 al 24 giugno, mentre per quelle civili era stata applicata la norma dell'art. 13 della Istruzione 78 della Sacra Congregazione dei Sacramenti circa l'esecuzione dell'art. 34 del Concordato stipulato l'11 febbraio 1929 tra la S. Sede e il Regno d' Italia, relativo alla celebrazione del matrimonio agli effetti civili.

«Purtroppo, dopo qualche giorno - continua Elisabetta Salutari nella sua esposizione - William dovette andare a Napoli con altri soldati inglesi. Mia sorella Iolanda dovette restare a casa. La gente le diceva che l'inglese non sarebbe più tornato, ma mia sorella era sicura del contrario. Infatti, dopo qualche mese William torna a Forca Caruso e riparte portando con sé la moglie in Inghilterra. Si sistemarono a Southampton, dove sono vissuti, dando alla luce tre figlie. William era militare di carriera. Una volta fu ospite della regina Elisabetta II. Mia sorella Iolanda è deceduta in Inghilterra nel 1972, dove si trova la sua tomba. Successivamente anche mio cognato William muore, nel 1983.  Ma prima di morire esprime quali ultime volontà che il suo corpo sarebbe stato cremato e le ceneri divise: una parte deposte accanto alla tomba della moglie Iolanda, in Inghilterra, e l'altra sparsa nei luoghi di Forca Caruso, dove aveva trovato l'Amore e trascorso il più bel periodo della sua vita.» Le figlie, venute in Italia dopo la morte del padre, hanno esaudito le sue volontà.

Cfr. “Terra di Libertà, storie di uomini e donne nell’Abruzzo della seconda guerra mondiale”, a cura di Maria Rosaria La Morgia e Mario Setta, ed. Tracce, Fondazione Pescarabruzzo)

Simona Mastrangeli la giovane anestesista che spera sempre in un lieto fine

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Simona Mastrangeli una giovane anestesista, in prima linea contro il Covid, in un libro uscito il 12 aprile, racconta la vita in corsia. Qui Simona si racconta in una maniera diversa nell'intervista di Se fossi.

Se fossi una favola
Sarei Alice nel paese delle meraviglie, persa nel mio mondo di fantasia, nella perenne fuga dalla regina di cuori, a inseguire il bianconiglio e a sperimentare nuove pozioni
Mi vedo ancora una bambina alle volte, la bambina che spera in un lieto fine e viaggia più che può con la sua fantasia
Se fossi un personaggio Disney
Vorrei essere la forte Mulan, coraggiosa e avventuriera, con un grande senso di ciò che significa veramente una famiglia Pronta a tutto pur di difendere i suoi cari, capace di mettersi in gioco e vincere i suoi limiti Dimostrando che nulla è precluso con l'impegno Ed è così che affronto gli ostacoli della mia vita: medicina, test di specializzazione, pubblicazione di un libro....spesso sentendo proprio la canzone "farò di te un uomo"
Un colore: 
rosso. Lo adoro, mi fa sentire viva, forte, passionale. È anche il colore del sangue...insomma decisamente il mio colore!
Una città:
mi identificherò sempre con Roma, anche se ora sono lontana. La Roma bella del grande impero, la Roma dei vicoli, la Roma degli abbracci, delle urla, della mia vita. Ma metà del mio cuore l'ho lasciato a Trondheim, in Norvegia, dove ho studiato per 6 mesi. Lì ho vissuto come avrei voluto per tutta la mia vita: a contatto con la natura Ho capito che l'uomo può far a meno di centri commerciali, di ciò che è superfluo...ma mai della natura e i suoi scenari

Alessia Vegro e il suo cane Fly: 4 anni vissuti amorosamente

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La scrittrice e sceneggiatrice Alessia Vegro, di cui recentemente è uscito il romanzo "Elephant" (intervista), ha pubblicato un post molto toccante sul rapporto con il suo cane Fly. Lo riportiamo qui per la rubrica Fatti Animali.
Son 4 anni che non riesco a farmi una foto senza che arrivi tu. 4 anni che ti vengono momenti di sbaciucchiamento compulsivo ogni volta che sto facendo una telefonata. 4 anni che posso scordarmi videochiamate senza che tu mi porti una pallina e inizi a reclamare tutta la mia attenzione.
Mi hai vista con i capelli corti e poi lunghi e poi di nuovo corti e ricci e (molto sporadicamente) lisci.
Mi hai vista cadere, rialzarmi, combattere, raggiungere obiettivi, piangere, ridere e festeggiare.
Mi hai vista preparare zaini e borsoni e valigie e scatoloni, partire e tornare.
Sei stato al mare, in montagna, al parco e alla scoperta dei comuni limitrofi.
Mi hai dormito accanto sul letto, in divano e sotto la scrivania, purché restassi vicina.
Hai decimato i miei peluche e i fiori in giardino.
Hai stordito frotte di omini delle consegne e postini e passanti innocenti.
E soprattutto, mi hai inondato il cuore di gioia ad ogni sguardo.
Prima o poi ci libereranno da questa quarantena e ricominceremo con i giri in auto e ricominceremo a giocare con gli amici e continueremo ad amarci come il primo giorno. 4 anni che sei con noi... 4 anni che sono pazza di te💙
ALESSIA VEGRO, SCRITTRICE E SCENEGGIATRICE, PRESENTA “ELEPHANT” IL SUO 1° ROMANZO

Fattitaliani intervista Laura Avalle, un vulcano di idee e di energia

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di Laura GoriniAndrea G. Pinketts è un genio assoluto e immortale, per questo parlo di lui al presente, anche se fisicamente non è più con noi

È una giornata molto speciale oggi, soprattutto per gli amanti della buona lettura, visto che è la Giornata Mondiale del Libro. Quale migliore occasione dunque per scambiare nuovamente quattro chiacchiere con la giornalista e scrittrice Laura Avalle? Tanti progetti e un sentito ricordo di un caro amico e collega.
Laura oggi è la Giornata Mondiale del Libroe sarai coinvolta in una lunga diretta Facebook della Morellini Editore, a proposito dell’iniziativa “Fai volare una fiaba” di cui sei ideatrice e promotrice. Di che cosa si tratta?
Tutto è nato quando, per spiegare la quarantena a mia figlia di tre anni, ho scritto per lei “Storia del mostro dagli occhi rossi”, diventato poi un podcast prodotto da Raflesia Group per Storylands e distribuito gratuitamente sulle piattaforme di Spotify (https://open.spotify.com/episode/2otBuFOVXbz8jnC7nLU5xh), Spreaker (https://www.spreaker.com/user/storylands), Podcast Addict (https://podplayer.net/?podId=2774885) e Deezer (https://www.deezer.com/show/1007122). L’idea è piaciuta a Mauro Morellini della Morellini Editore, che ha lanciato l’iniziativa “Fai volare una fiaba,” aperta a tutti quelli che vogliono partecipare scrivendo e mandando una favola sul Coronavirus all’indirizzo email: info@morellinieditore.it(c’è tempo fino al 30 aprile). Ne nascerà un ebook.
Una scrittura poliedrica la tua, che adesso sei in libreria con “La dieta della Camminata” (Tecniche Nuove), scritto con la nutrizionista Sara Cordara...
Sono giornalista, ho diretto per tanti anni riviste specializzate in salute e benessere e continuo a fare divulgazione scientifica perché prendersi cura di sé e delle persone a cui vogliamo bene è importante. A tal proposito, sempre per Tecniche Nuove, ho appena finito di scrivere un secondo saggio insieme a Bernard e Martin Dematteis, campioni europei di corsa in montagna, che vedrà presto la luce. Un libro per metà manuale: è la nuova guida dei sentieri di montagna e per metà il racconto emozionato di chi queste montagne ha imparato a conoscerle e ad amarle fin da bambino. Nel mezzo, dal fisiatra alla nutrizionista, tanti consigli medici su come approcciare la corsa e la camminata in quota.
Dai giornali ai libri il passo è stato breve, ma se andiamo a scavare indietro è con la narrativa che ti sei fatta sconoscere al grande pubblico. Nel 2015 il tuo esordio con “Le altre me” (La Lepre Edizioni). Hai mai pensato a un secondo romanzo?
Uscirà in libreria a giugno per Armando Curcio Editore. Si intitola “Il mito dell’eterna giovinezza” e racconta la storia tormentata, di amore e di sesso, tra una donna matura e un ragazzino che potrebbe essere suo figlio. Erotico, a tratti crudo, ma profondamente reale, dove i protagonisti sono divisi da un tempo che non fa sconti a nessuno.
Un amore per questo genere letterario che nasce forse dal tuo incontro con il
grande scrittore Andrea G. Pinketts, per il quale sei stata la sua musa ispiratrice?
Andrea è un genio assoluto e immortale, per questo parlo di lui al presente, anche se fisicamente non è più con noi. Gli devo molto, a cominciare dai seminari di giallo e noir che teneva la sera insieme ad Andrea Carlo Cappi. Un appuntamento settimanale gratuito e aperto a tutti dove si respirava una Milano diversa da quella raccontata sulle riviste di moda, lontana anni luce anche da quella Milano da bere che conosciamo. La Milano di Pinketts, chi conosce i suoi libri lo sa (e chi non li conosce è pregato di rimediare subito a questa lacuna), è una Milano noir surreale e strampalata raccontata con una verve unica e uno stile inconfondibile (che in molti hanno provato a imitare, ma nessuno c’è riuscito). Le sue storie sono una mescolanza di generi e linguaggi che prendono la forma della favola nera, del giallo, della commedia dell’horror e del pulp e sì, in uno dei suoi libri (Nonostante Clizia, ndr.) ci sono anch’io, sotto il nome d’arte di Laura Downvalley. Ho sempre amato scrivere e lui mi ha sempre spronata e incoraggiata a farlo. Da qui il nostro “E l’allodola disse al gufo: «Io sono sveglia, e tu?»” (Europa Edizioni), scritto a 4 mani e pubblicato nel 2012.
E poi è arrivato Gigi Marzullo e da qualche anno sei critica letteraria nel suo programma Milleeunlibro su Rai Uno...
Un onore per me. Stimo moltissimo Marzullo e il suo impegno culturale per una Tv di qualità e di alto livello e gli sarò sempre grata per la fiducia professionale che ha dimostrato nei miei confronti, scegliendomi a fianco di nomi importanti del panorama giornalistico e letterario italiano.



EMANUELA DEL ZOMPO, PER IL MIO 50° COMPLEANNO VI PRESENTO KAIRA, LA GUERRIERA CHE È IN OGNUNA DI NOI!

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Nata dalla estro creativo di Emanuela Del Zompo, Kaira rappresenta non solo l'alter ego dell'autrice ma lo spirito di ogni donna indipendente.
Il fumetto fantasy diviso in diversi episodi è stato realizzato sia in lingua italiana che inglese per una distribuzione internazionale dell'opera.
La leggenda di Kaira è al momento in fase di pubblicazione e sarà presentata dopo il periodo di pandemia. La storia, nata da una sceneggiatura firmata da Emanuela Del Zompo ( che ha creato i personaggi, lo storyboard e realizzato la regia) per una puntata pilota tv e costretta al momento a trasformarsi solo in opera letteraria, si ripromette di appassionare lettori di varie generazioni.
"È un progetto ambizioso a cui lavoro da circa 1 anno e che spero si trasformi presto in un prodotto audiovisivo, dice l'autrice. Purtroppo a causa del Covid 19 ho dovuto frenare questo lavoro come le riprese di 'Per un pugno di Pupe', cortometraggio sulla diversità, ma spero di poter tornare attiva quanto prima. Non è da me stare troppo tempo ferma. In questo periodo bisogna diversificare le attività ed io come tanti altri colleghi ci siamo adattati a lavorare in maniera diversa alle nostre opere. In lavorazione il trailer book del fumetto che sarà narrato dalla voce di un attore internazionale. Dopo Grunda arriva un altra Supereroina pronta a difendere i diritti dei più deboli!
(disegni coperti da copyright concessi solo per la pubblicazione dell'articolo)

Messaggio del regista Enzo De Camillis

EMANUELA e l'angelo GRUNDA
Ho conosciuto Emanuela Del Zompo, durante un incontro presso il sindacato giornalisti FNSI. Una bella faccia sveglia e simpatica, un bel sorriso con grandi occhi che sono sempre alla ricerca di nuove scoperte. Emanuela è attrice, cantante e giornalista, è molto impegnata con la sua creazione “Grunda, l’angelo dalle ali rotte”, un fumetto particolare che tratta il tema del femminicidio
Ho letto i suoi lavori apprezzando questo connubio tra il fumetto e il quadro cinematografico, sottolineando la ricchezza di questo connubio che si nota con il fumetto e i dialoghi. Un fumetto particolare che tratta il tema importante; il femminicidio. 
Le prime esperienze al Teatro Bellini di Napoli e parallelamente le attività su set importanti; come: “La Carbonara”, “I Poliziotti”, “Senso 45”, “Al momento giusto”, “Commedia sexy” e “L’ultimo bacio”. Per la televisione ha lavorato con Maurizio Costanzo, con la Premiata Ditta e con Luca Manfredi. Ha scritto un libro su Grace Kelly ed ora, grazie alle sue esperienze cinematografiche e artistiche ha ideato ed interpretato un fumetto “Grunda, l’angelo dalle ali rotte”. 
Il legame che intercorre tra il cinema e il fumetto è fortissimo. Basti pensare alle parole inquadratura esceneggiatura che le due arti usano in comune, per capire come i due linguaggi, per quanto diversi tra loro, hanno dei punti di contatto che rendono impossibile all'una non subire il fascino della seconda.
Il mondo del Cinema e quello dei Fumetti condividono una nutrita serie di punti in comune a cominciare dall’epoca in cui entrambe le forme d’arte ottengono la definitiva affermazione presso il grande pubblico. Gli anni ’30 ricordiamoci i famosi supereroi: SupermanBatmanCapitan America. Contemporaneamente, sempre negli anni ’30, il cinematografo, in seguito all’affermazione dello studio-system hollywoodiano, come grande prodotto industriale, il Cinema fumetto condividono un destino comune: nascono entrambi come forme popolari di intrattenimento al trasformarsi, rispettivamente, nella “settima arte” e in una forma di produzione culturale.
E’ lo stesso cinema ad attingere spesso alla fonte fumettistica in fase di realizzazione attraverso l’uso degli story-board, i quali non sono altro che una sorta di fumetto utilizzato dal regista per avere un idea più precisa di quello che dovrà girare.
Il tema: “il femminicidio”: può sembrare una scelta fragile, di fronte alla crudeltà e alla materialità del gesto dell'uomo violento. Ma per sconfiggere la violenza si è scelto di  raccontarla correttamente, di ragionare sulle sue radici, sulla cultura della sopraffazione che la produce per saperla riconoscere e vincere. E un fumetto può arrivare lì dove altri linguaggi non riescono ad arrivare, sperando di maturare nelle relazioni di amicizia e di amore il rispetto dell'altro, della sua libertà e della sua differenza. Questa pubblicazione è la prova della straordinaria risposta che si riceve dai giovani, per liberare l'amore da ogni forma di possesso. Questo ci dà fiducia per il futuro e ci spinge a fare ancora di più. 
Quindi, un grazie a Emanuela Zompo che ha uno strumento essenziale per non andare incontro al futuro passivo e ceco.

La mascherina fashion di Hanna Moore Milano per essere di “tendenza”

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Sia la tradizione orientale che quella occidentale considerano l’organo della vista la base e l’origine di ogni conoscenza. L’occhio è il centro dell’uomo. Ed è proprio dal primo impatto, in un incontro, che nascono in maniera immediata le nostre sensazioni, simpatie, attrazione, antipatia, diffidenza, le sfumature emotive più intime. Dal prossimo 4 maggio sarà obbligatorio l’uso della mascherina per strada (in presenza di assembramenti in cui è possibile che non sia rispettato il distanziamento consigliato) nei luoghi chiusi aperti al pubblico.
Ma può diventare, perché no, uno strumento diseduzione. ... Pergli esperti distile la mascherinaè già un accessorio cult, per i brand una sfida creativa. Per Hanna Moore Milano è anche il vero made in Italy, il “fatto a mano”, il racconto di quanto lavoro e sacrificio ci sia dietro questo mondo del fashion, tante storie di lavoro di artigiani, mani sicure e pratiche di sarte, scuole frequentate, corsi di formazione, apprendistato per carpire e capire le tecniche.
Hanna Moore Milano come eleganza, stile, bellezza, la parola chiave come punto di partenza, la consapevolezza di un valore che fa parte della nostra cultura, tecnologie, sperimentazione e etica ambientale, con dettagli preziosi e materiali che si fondono – con fantasia e creatività - in una armonia originale che ha radici nella storia di una eleganza silenziosa, la dimostrazione che lo stile è una condizione del pensiero.
Caratteristica del Brand un total look, con accessori moda, borse e calzature - manifattura rigorosamente “fatta a mano” made in Italy e impreziosita dal know how di artigiani maestri d’arte - e una linea di fragranza, Le Desir by Hanna Moore Milano, l’espressione di profumi che vengono da lontano,  familiari, che ci fanno sorridere perché ci trasportano nella nostra infanzia, facendoci rivivere le emozioni profondamente impresse in noi legate ai momenti felici delle feste, alla sicurezza della casa e della famiglia, fragranze della natura che rimangono associate per sempre nella nostra memoria olfattiva.

www.hannamooremilano.it

LEONE: venerdì 24 aprile esce il nuovo singolo “NON FATEMI SMETTERE DI SOGNARE”

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Da venerdì 24 aprile  in radio e digitale “NON FATEMI SMETTERE DI SOGNARE”, il nuovo singolo di LEONE, anticipato lo scorso 20 febbraio dal videoclip che ha superato quota 166 mila visualizzazioni su YouTube.

«Il brano, che vuole lanciare un messaggio di speranza, mostra piccoli frammenti della mia vita, parla di sensazioni forti che hanno influenzato il mio percorso e il mio modo di essere. Il traguardo ad occhi chiusi. La mia storia neanche poi così speciale dove però secondo me ci si possono ritrovare in tanti. La canzone mette a nudo le mie insicurezze passate, i momenti di confusione e di difficoltà», commenta il cantautore.

Il video per la regia di Errico D'Andrea, DOP Silverio Desantis e al drone Lorenzo Colombo, è stato girato a Valle San Bartolomeo in provincia di Alessandria e vede la partecipazione di Chiara Savino, Lorenzo Manfrinati, Alberto Bonagurio e Leonardo Bonagurio.

«Il percorso della vita tra ostacoli e aspirazioni. Si può riassumere così il videoclip di “Non fatemi smettere di sognare”, il brano di lancio di Leone, girato non a caso proprio nei luoghi dove il cantautore è cresciuto. – afferma il regista - Dal compleanno di un bambino fino alla scoperta dell'amore con le sue mille sfumature. Pochi semplici istanti che culminano in un messaggio di ottimismo cantato dall'alto di una collina con una vista strepitosa. Un messaggio di speranza che tocca tutti da molto vicino».

Leone, nome d’arte di Daniele Manfrinati, nasce il 10 agosto del 1990 ad Alessandria.
Nel 2018 decide di approfondire gli studi di canto e chitarra. Nel 2019 inizia a suonare nei principali locali di Alessandria e partecipa al Tour Music Fest come interprete, portando un brano di James Arthur. Dopo aver passato le audizioni di Genova, partecipa al week-end formativo al Centro Europeo Toscolano di Mogol. Dopo questa esperienza decide di credere in Leone e nei sei mesi successivi scrive le prime 30 canzoni e inizia a lavorarci insieme al Maestro Andrea Negruzzo del Laboratorio della Musica di Alessandria. Di queste 30, 7 faranno parte del suo primo disco di prossima uscita. “Non fatemi smettere di sognare” è il primo singolo anticipato dal videoclip che in meno di due mesi ha superato le 160000 visualizzazioni su YouTube.




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Quarantena, come affrontare l'isolamento? i consigli dei sommergibilisti della Marina Militare

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Il passaggio da una vita dinamica, prima, ad una molto più “limitata”, ora, sta causando qualche problema per una larga fascia della popolazione italiana. Una realtà non affatto nuova per alcune professioni, come per esempio quella del sommergibilista o dell’astronauta, che si svolgono in condizioni di isolamento. La componente subacquea contribuisce, inoltre, al tentativo che sta compiendo la Marina Italiana nei confronti dei connazionali. Ecco, quindi, i consigli dei sommergibilisti per aiutare ad adattarsi alle situazioni che stiamo vivendo tutti noi, restando a casa.


È quanto riporta, in un focus, In a Bottle (www.inabottle.it).

sottomarini sono uno degli ambienti di lavoro più affascinanti, ma anche più duri di tutto il mondo militare. La sicurezza del mezzo, e la sua efficacia, non sono tuttavia il frutto della sola tecnologia, ma dipendono dal rendimento di ogni membro dell’equipaggio e dalla squadra in toto. È infatti necessario che ognuno contribuisca a creare e a mantenere un ambiente sereno e costruttivo, indispensabile per evitare “problemi” legati alla vita sotto il livello del mare.

L’isolamento e l’adattamento a spazi confinati, quindi, sono due situazioni simili, che provano sia i sommergibilisti che tutti gli italiani durante questo momento. Questa consapevolezza, sottolinea la Marina Italiana, deve spingere ognuno di noi a percepire il nuovo “stile di vita” come una missione e non come un’imposizione. Rispettando tutto ciò, si riuscirà a fare un primo passo verso un percorso di veloce adattamento. Ogni sommergibilista, inoltre, affronta i lunghi periodi in mare con la motivazione e la consapevolezza che il proprio “sacrificio” sia ben speso ed utile, prima che a sé stesso, agli altri.

La tipica missione di un sottomarino dura, all’incirca, un mese, periodo in cui si interrompono le numerose “distrazioni” della vita moderna. La disconnessione dai social network, per esempio, permette ai sommergibilisti di dedicarsi alle proprie passioni. Cucina, pittura, scrittura, fai-da-te: i sottomarini, durante le missioni, sono pieni di “artisti improvvisati”. Ed ecco perché, adattarsi a questo nuovo stile di vita, potrebbe essere un’occasione preziosa per riappropriarsi dei nostri “spazi interiori”.

Questo nuovo percorso di vita non può iniziare senza la ricerca di una nuova ed efficace routine che permetta di normalizzare ciò che normale non è. La vita su un sottomarino è scandita da orari ferrei e continue attività addestrative e manutentive. Ogni momento trascorso sotto il livello del mare ha una sua logica: si lavora, si mangia, si dorme, si fa sport e ci si addestra. Per le famiglie, magari con dei bambini, è fondamentale creare una nuova routine che coinvolga tutti, come se fossero dei sommergibilisti in missione.

Piccoli incarichi per tutti. Da una seduta di allenamento in casa al giardinaggio (se si dovesse avere un balcone o uno spazio verde), ma anche elevati standard in cucina e nelle pulizie di casa. Maggiori saranno gli impegni (e gli obiettivi stabiliti), minore sarà la sensazione di noia o di oppressione.

ECCO I 10 CONSIGLI DEI SOMMERGIBILISTI DELLA MARINA MILITARE
1. Fai dell’isolamento un’opportunità, il tempo è prezioso e non torna indietro;
2. Dedica del tempo a te stesso e coltiva le tue passioni;
3. Stabilisci la tua routine e coinvolgi tutta la famiglia;
4. Mantieniti in forma, bastano 30 minuti al giorno;
5. Pianifica la spesa e il menù per mangiare in modo sano ed equilibrato;
6. Dedica parte del tuo tempo alla cura dei tuoi spazi. Ti aiuterà a gestire tutto il resto;
7. Ogni tanto spezza la routine quotidiana, servirà a ricominciare con più motivazione;
8. Mantieni attiva la tua rete di relazioni sociali e affettive;
9. Affronta la giornata con un "sorriso": è una medicina efficacissima;
10. Pensa a cosa farai nel tuo futuro, è l’unica cosa che puoi davvero cambiare in meglio.

EMERGENZA COVID-19 E PET: CA’ ZAMPA ATTIVA IL SERVIZIO GRATUITO DI TRASPORTO A DOMICILIO

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Dopo settimane di lockdown nazionale reso necessario dall’emergenza sanitaria Covid-19, stanno tornando gradualmente operativiin questa prima fase di sblocco anche i servizi veterinari che, visto il proseguimento della delicata situazione, lanciano nuove formule.
Dopo la sperimentazione della consulenza veterinaria a distanza, arriva il trasporto a domicilio del pet, per dare un aiuto concreto a coloro che non possono uscire di casa ma che hanno necessità di visite in clinica per i propri animali domestici. A renderlo possibile è Ca’ Zampa, il primo Gruppo italiano di Centri per il benessere dei pet con delle cliniche veterinarie a Brugherio – alle porte di Milano -, Udine, Mestre e presto anche a Cremona. Un servizio utile che risponde ad una priorità per tutti i possessori di pet: non rinunciare alla salute del proprio animale, malgrado le momentanee restrizioni a muoversi. Così come anche per gli ambienti delle cliniche riaperte in questi giorni, il trasporto è stato messo completamente in sicurezza per tenere sotto controllo il rischio di contagio Covid-19.  
“Il trasporto a domicilio del pet – spiega Giovanna Salza, Presidente Ca’ Zampa– è un servizio che è sempre stato attivo in alcune delle nostre Cliniche. Ora, considerata la situazione di emergenza nazionale, abbiamo pensato di estenderlo su tutti i territori e di potenziarne l’utilizzo. Un aiuto concreto che è in linea con la nostra filosofia di vicinanza alle famiglie e possessori di pet, soprattutto con un occhio di riguardo verso le persone più anziane, nei confronti delle quali sappiamo quanto sia importante ridurre il più possibili le uscite fuori casa. Il servizio è stato messo in completa sicurezza: a partire dalla sanificazione del mezzo di trasporto utilizzato, sin dalla vestizione dei tecnici veterinari ed attraverso un preciso percorso di presa e consegna dell’animale che, salvo casi particolari, vanno effettuate fuori dall’abitazione privata”.
In ottemperanza a quanto disposto nel Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 10 aprile e delle ulteriori disposizioni, il pet dovrà essere prelevato, e consegnato al termine della visita, evitando ogni contatto fisico. 
È possibile prenotare il trasporto a domicilio:
             chiamando direttamente il numero di telefono della Clinica Ca’ Zampa di riferimento;
             Compilando il form online https://www.cazampa.it/contatti
             Inviando una mail agli indirizzi delle cliniche: brugherio@cazampa.it, mestre@cazampa.it e udine@cazampa.it.
Il sevizio è gratuito nel raggio di 10 km dalle cliniche Ca’ Zampa.
L’urgenza di questa stagione è la protezione dai parassiti, sia interni che esterni: filaria, leishmaniosi oltre a pulci e zecche. Gli esperti consigliano la prevenzione e proprio per questo Ca Zampa  si adegua al periodo e propone un check up dermatologico completo comprensivo di profilassi standard e test cutanei: un controllo che permette al veterinario di raccogliere le informazioni più importanti per proteggere il pet, evitando o riducendo gli effetti dell’insorgenza delle malattie legate ad ospiti indesiderati. In quest’occasione viene eseguito un rapido test alla pelle e al pelo per raccogliere informazioni sullo stato di salute del pazientea quattro zampe.
Per chi viene in clinica
Al fine di garantire la massima sicurezza, all’interno delle Cliniche veterinarie Ca’ Zampa sono reperibili tutti i dispositivi di protezione individuale, per garantire al meglio la sicurezza di ogni proprietario: ingresso attraverso un Check in Salute dove indossare mascherine, guanti monouso oltre che camicie monouso e calzari se il proprietario, solo in casi particolari, deve entrare in ambulatorio.  Per evitare assemblamenti, gli appuntamenti sono agendati, affinché sia presente un solo cliente alla volta all’interno dell’area accettazione e per le prestazioni urgenti legate alla salute del pet.

Il “Gruppo Patrioti della Maiella”

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di Nicola F. Pomponio - Il 19 ottobre 1943 in un piccolo paesino dell’Appennino abruzzese arrivarono le SS. Arrivarono in forze sui camion, saltarono da quei camion “come grilli” e si misero a razziare uomini e cose.
Una piccola bimba di 9 anni osservava con sgomento la scena mentre, insieme alla madre e alla sorella, fuggiva verso i campi. La guerra era arrivata, brutalmente, a Torricella Peligna, in provincia di Chieti e mentre quella bimba (mia madre) fuggiva, fuggivano anche gli uomini, il vero obbiettivo delle razzie. Tra questi un distinto signore di quarantacinque anni, socialista, ex collaboratore di Giacomo Matteotti a Roma e di Filippo Turati a Milano: l’avvocato Ettore Troilo.

Sfuggendo ai tedeschi lui e altri si diressero verso un paese già sotto il controllo alleato non lontano da Torricella: Casoli. In questo paese successero due cose che segnarono la nascita della formazione partigiana. Ettore Troilo dopo uno scontro verbale molto acceso con le autorità inglesi (forte, naturalmente, era la diffidenza anti-italiana) ottenne di poter impegnare dei volontari in operazioni antitedesche con materiale bellico fornito dagli Alleati. Poi a Casoli s’incontrarono Ettore e Domenico Troilo; i due non erano parenti ma il secondo, sottotenente della Regia Aeronautica fuggito da Venaria Reale (Torino) all’armistizio e rocambolescamente rifugiatosi nel suo paese d’origine in Abruzzo, Gessopalena (dove vide sua madre assassinata dai tedeschi in una delle tante stragi, quella di Sant’Agata di Gessopalena), aveva le conoscenze necessarie per organizzare una formazione militare.

Si venne così a creare il nucleo di quindici volontari che, approssimativamente equipaggiati, iniziarono a operare con azioni di ricognizione in un territorio da loro perfettamente conosciuto. Da parte inglese crebbe il riconoscimento verso questi uomini e un lungimirante ufficiale inglese, il maggiore Lionel Wigram (Sheffield, 1907 – Pizzoferrato, 3 febbraio 1944), s’impegnò in prima persona, fino a combattere e morire con loro, per lo sviluppo della “banda”. La storia della formazione è stata ottimamente ricostruita da vari testi. Mi preme sottolineare però alcune particolarità. La “Brigata Maiella” fu del tutto atipica nel panorama resistenziale.

Vestita con uniformi inglesi, portavano le mostrine e la bandiera tricolore (senza lo scudo sabaudo!), autonoma da un punto di vista operativo, era inquadrata nel II Corpo d’armata polacco del generale Anders; erano e si ritenevano dei militari (erano forniti di regolare tesserino di riconoscimento bilingue, quello di mio nonno di cui porto orgogliosamente il nome è il n. 852) però con una disciplina alquanto particolare dove il massimo della pena era l’allontanamento dalla possibilità di operare sul campo (cosa che non successe mai); vi si entrava e vi si usciva (anche questo non successe mai) liberamente, non c’erano commissari politici, la formazione era antifascista e repubblicana, ma anche i monarchici potevano aderirvi.

L’operatività militare, delegata a Domenico Troiloin virtù della sua esperienza, si dispiegò in una grande epopea che vide i “lupi della Maiella” (come li soprannominarono, con rispetto, i tedeschi) partire dalle montagne d’Abruzzo e risalire la penisola attraverso le Marche(combattendo a Cingoli, Pesaro, Montecarotto), la Toscana(scontrandosi con i tedeschi a Laterina) e l’Emilia-Romagna (battaglia di Brisighella),  entrare (sostengono gli storici) per primi a Bologna e continuare verso Nord fino a congiungersi il 1° maggio 1945, superando le unità americane, con altre formazioni partigiane ad Asiago!

In tal modo la “Brigata Maiella” ha stabilito vari primati: unica formazione partigiana a combattere fuori dal proprio territorio d’origine, unica formazione partigiana inquadrata in un esercito regolare, mai nessun abbandono, prima formazione partigiana a cantare “Bella Ciao”. Partiti da Casoli in 15 (tra cui un gigante russo di origine siberiana) alla cerimonia di scioglimento a Brisighella (Bologna), il 15 luglio 1945 la formazione contava ben 1326 uomini con 55 morti, 19 prigionieri (di cui 3 uccisi), 151 feriti di cui 36 mutilati. La metà dei caduti erano contadini, gli altri studenti, commercianti, operai, ex militari, artigiani. Ma l’epopea “maiellina” non finì quel giorno a Brisighella. Ettore Troilo fu l’ultimo prefetto nominato a Milanodal CLN e rimosso, nonostante la strenua difesa che di lui fece Gian Carlo Pajetta, dal ministro degli Interni Scelba il 4 dicembre 1947.

E fu proprio Pajetta ad accostare nel 1990 la Brigata Maiella ai Mille di Garibaldiche tornavano ripercorrendone la strada ma dal sud a nord. Però Ettore Troilo aveva un altro dono particolarmente diffuso in Abruzzo: la testardaggine. Terminata la vicenda resistenziale si adoperò per venti anni a far ottenere ai suoi uomini quanto Umberto di Savoia, a cui nessuno dei suoi giurò fedeltà, sebbene non richiesto, aveva promesso: la Medaglia d’oro al valor militare. Si dovette attendere il 2 maggio 1965 quando l’allora ministro della Difesa, Giulio Andreotti, finalmente conferì l’onorificenza rendendo il “Gruppo Patrioti della Maiella”, l’unica formazione partigiana a fregiarsi di questo riconoscimento, per tacere delle onorificenze polacche “Virtuti militari” assegnate a singoli. Oggi due lapidi segnano idealmente la storia della formazione: una a Torricella Peligna ricorda il rastrellamento da cui ebbe origine il tutto, l’altra a Brisighella ricorda il giorno dello scioglimento; in mezzo, idealmente, vi è il sacrario dei caduti a Taranta Peligna (Chieti) visitato nel 2001 da quello che era stato un giovane ufficiale in fuga verso le linee britanniche e passato da Casoli, Carlo Azeglio Ciampi.

Un’ultima annotazione, ma fondamentale. I “maiellini” possedevano una visione dello scontro diametralmente opposta a quella nazista; la guerra non era fatta con odio, non si doveva odiare il nemico, lo si combatteva, strenuamente, ma non lo si odiava. C’è un episodio significativo. Si svolge sul torrente Sintria, vicino a Brisighella. C’è uno scontro con i tedeschi, un loro sottufficiale resta ferito e i suoi camerati non lo soccorrono perché nella terra di nessuno. Quattro partigiani lo vanno a salvare e uno di loro viene ucciso dai tedeschi. Penso che questo episodio renda ragione del modo di combattere della Brigata Maiella. Questo combattere senza odio ritorna nelle parole di Domenico Troilo (la cui madre, ricordo, era stata uccisa con una sventagliata di mitra in faccia). Allo storico che lo intervistava per scrivere un libro sulla formazione disse: “Che non sia una cosa eroica, perché noi non eravamo eroi” e in tempi in cui la parola eroe è talmente usata da diventare insignificante, questa ritrosia, orgoglio, assenza di retorica è una boccata d’aria pura come l’aria che si respira su quei monti dove tutto ebbe inizio.


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