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Tamara de Lempicka a 40 anni dalla morte

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di Riccardo Bramante - Agli inizi degli anni ’20 (quelli che saranno poi chiamati gli anni della “belle epoque”) fa la sua apparizione a Parigi una strana coppia: lui è un oscuro avvocato polacco, Tadeusz Lempicki, fuggito dalla Russia per evitare le persecuzioni del regime comunista da poco instauratosi, ma chi occupa presto la scena mondana e non solo è lei, la moglie Tamara di cui nulla si sa per l’alone di mistero che lei stessa alimenta intorno a sé.
Diceva di essere nata a Varsavia nel 1902 ma alcuni documenti ufficiali riportano Mosca 1898, affermava che il padre aveva abbandonato la famiglia dopo il divorzio ma probabilmente si suicidò, diceva di aver studiato pittura ma era autodidatta; di certo c’era solo che si era sposata, appena diciottenne, a San Pietroburgo con il marito conosciuto ad una festa di carnevale dove, per attirare l’attenzione, si era presentata vestita da contadina con al seguito un gruppo di oche.
Certamente per la coppia di emigrati i primi tempi a Parigi sono duri e le difficoltà economiche non permettono a Tamara di fare la vita lussuosa a cui ambirebbe; decide, perciò, di tornare alla sua prima passione, la pittura, e inizia a prendere lezioni da Maurice Denis e André Lothe che erano i pittori in voga in quel momento nella vita bohème di Montparnasse ma sul versante dei “ricchi” ad Auteuil.
È la svolta tanto agognata, i suoi quadri iniziano ad essere conosciuti tra l’alta borghesia fino ad avere la definitiva consacrazione con la famosa “Exposition Internationale des Arts Decoratifs et Industriels Modernes” del 1925, in cui il suo stile pittorico fatto di un cubismo rivisto e addolcito rispetto a quello originario di Braque o Picasso meglio si adatta al gusto borghese dell’epoca.
Sono di questo periodo alcune delle sue opere più note: “Gruppo di quattro nudi femminili”, “Ritratto della duchessa de la Salle”, “Ritratto del Principe Eristoff”, tutti del 1925 e “Ritratto di S.A.I. il Granduca Gabriel Kostantinovic” del 1927. E’ tutto un mondo fatto di figure possenti e muscolose, di eroi ed eroine, ultimi rappresentanti di un mondo decadente che sente la prossimità della fine.
Ma ormai Tamara ha raggiunto il suo obiettivo, entrare nel mondo dell’ alta società (del jet-set, diremmo oggi), tutti vogliono essere ritratti da lei non solo in Francia ma perfino in Italia se anche Gabriele d’Annunzio la invita nella sua fastosa dimora sul Lago di Garda per farsi fare il ritratto e magari ottenere qualcos’altro (per la verità senza successo dato che lei lo trova “un vecchio nano informe”).
Nella sua tumultuosa vita sociale non trova più posto nemmeno il marito Tadeusz, da cui ha avuto nel frattempo una figlia; i due divorziano nel 1928 e, per sottolinearne la rottura, Tamara non porta nemmeno più a termine un ritratto da tempo iniziato. Ora le manca soltanto un titolo nobiliare e lo ottiene sposando, nel 1933, il ricchissimo barone austro-ungarico Raoul Kuffner , raggiungendo finalmente la posizione sociale di rango a cui aveva sempre aspirato.
Ma ancora una volta la storia è contro di lei: l’ormai prossimo scoppio della Seconda Guerra Mondiale spinge la coppia a trasferirsi negli Stati Uniti dapprima a Los Angeles e poi a New York, dove tiene diverse mostre con relativo successo.  
Ormai l’immagine della pittrice ruggente degli anni ’20 impallidisce  nonostante i tentativi di mutare il suo stile pittorico che la portano a cimentarsi anche nell’arte astratta, in quella metafisica e in soggetti religiosi; i suoi quadri non convincono più nessuno e quando nel 1962 vengono esposti alla Galleria Iolas di New York suscitano solo indifferenza e sono economicamente un insuccesso come pure la retrospettiva tenuta presso la Galerie du Luxembourg” a Parigi nel 1973. 
È la sua ultima mostra e Tamara, disillusa e quasi dimenticata, si ritira a Cuenavaca, in Messico, dove muore nel marzo del 1980 in un modo che non le sarebbe certamente piaciuto, nel sonno e con la sola figlia accanto la quale, conformemente al desiderio da lei espresso nel testamento, ne fa spargere le ceneri sul cratere del vulcano Popocatepetl in una scenografia con tanto di elicottero decisamente più consona alla personalità che aveva esibito per tutta la vita.

FABRIZIO NITTI: in anteprima su spotify il nuovo singolo "RESTO A CASA"

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Da giovedì 9 aprile in anteprima su Spotify “RESTO A CASA”, il nuovo singolo di FABRIZIO NITTI (FNM record), accompagnato dal videoclip.

“RESTO A CASA” è una canzone per far volare la speranza, nutrita dalla certezza che tutto passerà e si ritornerà a vivere al meglio senza limitazioni.

«In questi giorni non ho potuto fare a meno di scrivere una canzone sull’emergenza sanitaria che in Italia e nel mondo stiamo vivendo. - commenta Fabrizio Nitti - Mi è nata dal cuore ed è un brano che vuole essere un ponte dalle grandi braccia che avvolgendo tutti, invita a riflettere, resistere, vuole dare speranza e stimolare donazioni agli Ospedali della città di Genova (Ospedale Villa Scassi-Ospedale Galliera-Ospedale San Martino-Ospedale Evangelico Internazionale) per contribuire all’acquisto di DPI e materiale sanitario necessario per curare, prevenire il contagio e aiutare anche la ricerca contro il coronavirus».

Il brano è stato realizzato in smart working, anche il videoclip che è stato girato in casa forzatamente utilizzando uno smartphone. Vista l’impossibilità di uscire, si è cercato di rappresentare attimi preziosi di quotidianità, pensieri, tenerezza, voglia di cercarsi e comunicare con chi è vicino ma anche con chi è lontano. Le riprese sono fatte da Fabrizio Nitti con Mercedes Sebastià e le foto e i video di Genova sono di Stefania Gaviglio. Il montaggio è di Valerio Parodi per Paraproduction.

Il Comune di Genova ha concesso la firma “Genova More Than This” per il valore sociale e culturale della iniziativa.

Si ringrazia tutto il personale sanitario degli Ospedali Villa Scassi e Evangelico Internazionale per aver fornito e concesso l’utilizzo delle foto e dei video.
Tutti gli incassi maturati dalle vendite saranno devoluti agli Ospedali di Genova.

Qui le indicazioni su come fare le donazioni:

Ospedale di Sampierdarena Villa Scassi
Bonifico Bancario: ASL 3 IBAN: IT61Z0617501406000002379490
Causale “Donazione Genova per Asl 3 Emergenza Coronavirus”

Ospedale San Martino
Bonifico Bancario a IRCCS Ospedale Policlinico San Martino
IBAN: IT02Y0617501594000002390480 Causale: Erogazione liberale Emergenza Covid 19 Codice SWIFT per donazioni dall’estero: CRGEITGG
Ospedale Galliera
Bonifico bancario a E.O. Ospedali Galliera Genova emergenza Covid 19
IBAN: IT75V0617501590000000671280
Causale: Erogazione liberale Emergenza Covid 19
Codice BIC/SWIFT per donazioni dall’estero: CRGE IT GG 099
c/c bancario n. 6712/80 Banca Carige Agenzia n.59 - tesoriere dell'Ente
On-line: aderisci alle raccolte spontanee a sostegno E.O. Ospedali Galliera sulla piattaforma GoFundMe
Ospedale Evangelico Internazionale
Bonifico Bancario a Emergenza Covid 19 - Per erogazioni liberali a favore dell'Ente
IBAN: IT49 L061 7501 4060 0000 2362 790









comunicazione e promozione

ColliGo, per mettere in comunicazione clienti e botteghe alimentari di quartiere. Fattitaliani intervista il prof. Andrea Vitaletti

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"ColliGo è un servizio per mettere in comunicazione clienti e botteghe alimentari di quartiere in modo da facilitare e rendere più sicuri gli acquisti". Ne parla  nell'intervista rilasciata a Fattitaliani  Andrea Vitaletti, professore associato dell'Università di Roma La Sapienza 
"I piccoli negozi, -continua- sono da  tempo sotto pressione per i nostri mutati stili di vita come consumatori e per l'inevitabile competizione con la Grande Distribuzione Organizzata e l'online. Con loro vanno  in sofferenza i piccoli produttori locali, che non riescono a sostenere i ritmi e le capacità distributive imposti dalla grande distribuzione. Vorrei sottolineare che non abbiamo nulla contro la grande distribuzione, semplicemente vogliamo aiutare i piccoli negozianti, naturali presidi di ascolto sul territorio e motore della vita dei quartieri, che in molti casi non hanno le risorse o il background per un'offerta online strutturata. Per chi fosse interessato, i  principi che ci hanno guidato sono distillati nel nostro manifesto https://www.colligo.shop/chi-siamo". 
Ci descriva come funziona ColliGo praticamente: quali sono i passaggi che deve fare il cliente per usarla?
Molto semplice, deve accedere alla nostra mappa su https://www.colligo.shop/mappa: trovare il negozio che gli interessa usando le chiavi di ricerca proposte (locazione, categoria etc) ed infine segnarsi i canali di contatto (whatsapp, telefono, telegram, facebook etc) attraverso i quali contattare il negoziante per concludere la transazione in piena libertà ed autonomia.
Quali sono i passaggi che deve fare il negoziante?
Altrettanto semplice direi.  Colligo si rivolge a tutti i negozianti, anche quelli che non hanno molta esperienza nell'uso delle app, l'unico requisito è avere un cellulare.
I negozianti si devono registrare su https://www.colligo.shop/registrati fornendo poche semplici informazioni sul negozio tra cui il canale di contatto (whatsapp, telefono, telegram, facebook etc) , cioè il canale su cui vogliono essere contattati dai clienti.
ColliGo ha costi per il negoziante e per il cliente?
No, nella maniera più assoluta, ColliGo è e sarà sempre gratuito sia per i negozianti che per i clienti.
ColliGo tutela la privacy di cliente e negoziante? 
Per noi il rapporto tra cliente e commerciante è un fatto privato. Questo è uno dei principi fondamentali su cui abbiamo costruito ColliGo e che ci caratterizza. Cliente e negoziante comunicano sul canale senza che ColliGo abbia alcun ruolo nella comunicazione. Quindi tutte le informazioni che riguardano le transazioni tra cliente e negoziante, per esempio quale merce, a che prezzo, con quale modalità di consegna, sono assolutamente private.
Se il negoziante ci ripensa dopo essersi iscritto, può cancellarsi facilmente da ColliGo?  
In questo momento, nell'urgenza di realizzare la soluzione, non abbiamo una funzionalità accessibile dal sito, ma ovviamente se il negoziante vuole cancellarsi è sufficiente inviare una mail su colligo.shop@gmail.com esprimendo questo desiderio. Nella prossima release del servizio cercheremo di struttuare meglio il processo di cancellazione. Mi permetta di osservare però che questa mancanza è anche frutto della nostra politica minimale di richiesta di informazioni; i negozianti non hanno un account su ColliGo, proprio perché noi non trattiamo informazioni ad eccezione di quelle fornite in fase di registrazione.
ColliGo funziona in tutta Italia?
Il servizio è disponibile in tutta Italia. L'offerta chiaramente dipende dai negozianti che si registreranno.
ColliGo adesso è un sito: quando arriva un'app per lo smartphone?
Siamo in attesa dell'approvazione dagli store Android e Apple. Ci sono dei tempi tecnici che non dipendono da noi e che purtroppo nelle attuali circostanze dovute al Covid-19 si sono allungati, ma il processo di approvazione è già stato avviato. Siamo in attesa.
Pensate di estendere ColliGo all'Europa prima e al resto del mondo poi?
Perché no, il principio è talmente semplice che se dovesse funzionare in Italia potrebbe essere adottato ovunque. Per facilitarne la diffusione, ColliGo è concepito come progetto open-source. Significa che chiunque può vedere come è fatto e può proporre miglioramenti.
Con lei hanno collaborato accademici ma anche ex studenti della Sapienza e avete realizzato il tutto in un tempo brevissimo... Vero?
Beh, in realtà io sono l'unico "accademico", ma è vero che il team è fatto di studenti, ex-studenti e professionisti che hanno realizzato il tutto in circa due settimane. Mi permetta un moto d'orgoglio. Per me è stato un orgoglio ed  una gioia poter lavorare alla pari con delle persone che ho contribuito e sto contribuendo a formare. Sono delle persone davvero in gamba che vorrei nominare uno ad uno e a cui auguro in futuro di realizzare una start-up, ne hanno le capacità e a noi serve: Alessio Cesaretti, Andrea Aurizi, Andrea Misuraca, Angelo Catalani, Arianna Fusilli, Arianna Mauro, Daniele Iacomini, Danilo Lato, Davide Gimondo, Francesco Colasante, Lorenzo Scollo, Luca Ferrera, Luca Tomei, Marco Zecchini, Mariolina Pepe, Matteo Brandi, Mattia Righetti, Michela Ciommo, Michele Anselmi, Riccardo Bianchini, Simone Cargiani, Simone Silvestri, Simone Staffa, Stefano Latini, Valerio Coretti, Valerio Ferrari

Carlotta Proietti, attrice e cantautrice romana: si ricorre all’arte quando si ha bisogno di stimoli. L'intervista

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«Ci sono molti attori e attrici che stimo ma credo nessuno da cui traggo ispirazione diretta. Di certo osservando molto mi capita di “rubare”, ma più dalle persone che incontro tutti i giorni che da chi fa il mio stesso lavoro!» - di Andrea Giostra.

Ciao Carlotta, benvenuta e grazie per la tua disponibilità e per aver accettato il nostro invito. Se volessi presentarti ai nostri lettori cosa racconteresti di te quale artista? 
Che domanda difficile! Direi che sono un’attrice e cantante di Roma. Che amo questo lavoro e amo il teatro. 
Chi è Carlotta donna e chi Carlotta attrice e cantautrice? 
Credo siano la stessa persona... e che come tutti ha avuto le sue evoluzioni e crescite. Ho iniziato come cantautrice e il canto mi ha fatto scoprire che volevo imparare di più di me. Proprio questa curiosità e la voglia di migliorarmi mi hanno portata a recitare. 
Qual è stato il percorso artistico/professionale che hai seguito e che ti ha condotta dove sei ora? 
Ho fatto un percorso piuttosto anomalo: ho iniziato cantando perlopiù covere standard jazz e blues in alcuni locali romani. Contemporaneamente scrivevo canzoni, testi e musiche, scrivevo tanto. I brani originali hanno cominciato a far parte del mio repertorio finché non hanno preso il sopravvento su tutto il resto. Al contempo però mi hanno chiamata a lavorare in teatro. Ma sempre solo come cantante (alla recitazione non ci pensavo minimamente). Così, rendendomi conto che avevo bisogno di maggiori nozioni tecniche per stare su un palcoscenico, ho deciso di frequentare una scuola di teatro. Così ho scoperto il mondo della recitazione, mi sono messa in gioco e da allora non mi sono fermata. 
Ci parli della tua carriera di cantautrice e delle opere che hai prodotto? Come sono nate, cosa le ha ispirate e quali i messaggi che vuoi arrivino a chi le ascolta? 
Scrivere per me è sempre stato un bisogno, un istinto naturale. Così sono nate storie, canzoni, poesie, racconti... alcune di queste composizioni sono diventate musica, altre no. Il contenuto è soprattutto intorno al sentimento, all’amore, a quello che rimane di un incontro. In alcuni casi mi è piaciuto giocare coi suoni delle parole e creare più dei “divertissement” che non dei brani di cantautorato “puro”, per così dire... ho sempre seguito l’istinto e non le mode, le idee che avevo in testa e non degli schemi imposti. Volevo arrivasse semplicemente qualcosa di gradito, non ho mai avuto la pretesa di lasciare un messaggio specifico. 
Sei anche attrice. Chi sono e chi sono stati i tuoi maestri d’arte, se vogliamo usare questo termine? Qual è stato il tuo percorso formativo ed esperienziale nel mondo della recitazione? 
Ho studiato al “Cantiere Teatrale” di Paola Tiziana Cruciani. Ero andata lì per migliorarmi, “sciogliermi” fisicamente, soprattutto l’obiettivo era questo, e volto solo al canto. Non a diventare un’attrice. Però mettendomi alla prova ho scoperto che mi divertivo un mondo. Ho imparato cos’è un gruppo, il lavoro di squadra che poi equivale a stare in una compagnia, a sapersi rimbalzare sulla scena con dei compagni di lavoro. E mi è piaciuto! Sicuramente nella figura di mio padre trovo costantemente una guida e un esempio, nell’approccio al lavoro, nella serietà e nel gioco. 
Come definiresti il tuo stile recitativo? C’è qualche attore o attrice ai quali ti ispiri? 
Non saprei rispondere. Mi piacciono molti generi e di conseguenza molti attori, artisti, cantanti, musicisti, danzatori... Può darsi che l’ispirazione, lo spunto venga da tutt’altra forma arte per quel che facciamo, e il bello è proprio questo. Sono una persona curiosa, mi è sempre piaciuto osservare le persone e fare tante domande. Sapere come si dice una cosa in un’altra lingua e conoscere i dialetti diversi dal mio. Tutto questo mi porta a cercare sempre stimoli nuovi per ogni personaggio che mi capita di interpretare; che sia Shakespeare, tragedia greca o sia una donna in una commedia contemporanea. Per cui ci sono molti attori e attrici che stimo ma credo nessuno da cui traggo ispirazione diretta. Di certo osservando molto mi capita di “rubare”, ma più dalle persone che incontro tutti i giorni che da chi fa il mio stesso lavoro! 
In Sicilia, e precisamente a Catania, per arricchire la tua formazione, hai anche lavorato con una nostra conterranea, l’attrice e Voice Coach catanese Emanuela Trovato, al momento l’unica artista siciliana ad essere certificata come insegnate del famoso metodo Linklater, una tecnica utilizzata in tutto il mondo sia da attori professionisti e non, che permette, una volta appreso, di liberare la voce naturale. Ci racconti questa tua esperienza siciliana e in particolare con la nostra Emanuela? 
Ho conosciuto Emanuela mentre frequentavo il Cantiere Teatrale. Allora insegnava dizione. Mi colpì subito la sua solarità e sincerità nello sguardo. È una persona limpida ed empatica. E simpatica, il che non guasta! Col tempo ho imparato (e questo corso lo dimostra) che è come me una donna curiosa e intraprendente, professionale e sicura dei suoi mezzi. Ho voluto seguire questo corso per approfondire il Linklater che avevo appena “assaggiato” anni fa e mi aveva incuriosita. Si tratta di un metodo che se non trattato in maniera adeguata può spiazzare, perché porta lontano da ogni altra tecnica vocale. O meglio parte da altri presupposti. È stato davvero interessante poter riavvicinare Linklater a Catania e con persone che non conoscevo. Come non mi stancherò mai di ripetere, amo studiare il genere umano, e mettersi in gioco, studiare, quando già si fa questo lavoro è fonte di scoperte sempre nuove. Mi ha dato modo di valutare come sono cambiata e cresciuta negli ultimi anni e quante e quali cose ancora devo scoprire e studiare. Insomma un’esperienza decisamente positiva! 
Charles Bukowski, grandissimo poeta e scrittore del Novecento, artista tanto geniale quanto dissacratore, in una bella intervista del 1967 disse… «A cosa serve l’Arte se non ad aiutare gli uomini a vivere?» (Intervista a Michael Perkins, Charles Bukowski: the Angry Poet, “In New York”, New York, vol 1, n. 17, 1967, pp. 15-18). Tu cosa ne pensi in proposito. Secondo te a cosa serve l’Arte, e l’arte della recitazione e del teatro in particolare? 
Si ricorre all’arte quando si ha bisogno di stimoli. Andare in un luogo dedicato alla fruizione di arte, dal museo alla sala concerti al teatro è sempre un’esperienza, e le esperienze arricchiscono, aprono la mente, ridimensionano il mondo in cui viviamo. L’arte per sua natura non separa ma integra. Anche quando non capiamo profondamente quel che stiamo guardando o non lo apprezziamo, stiamo comunque dialogando con l’oggetto e con noi stessi, stiamo interagendo; chi come me ha la fortuna di vivere spesso l’esperienza sia dal palcoscenico che dalla sala come spettatrice, si rende conto di quanto forte sia lo scambio tra attori e pubblico, di quanto sia essenziale la presenza delle persone in sala, di quanto ogni replica sia diversa dalla sera prima. Gli stimoli, che lo vogliamo o meno, producono una risposta. Ecco perché l’arte serve, perché è sempre e comunque un’opportunità per riflettere su noi stessi e sul mondo che ci circonda. 
Nel gigantesco frontale del Teatro Massimo di Palermo c’è una grande scritta, voluta dall’allora potente Ministro di Grazia e Giustizia Camillo Finocchiaro Aprile del Regno di Vittorio Emanuele II di Savoia, che recita così: «L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire». Tu cosa ne pensi di questa frase? Davvero l’arte e la bellezza servono a qualcosa in questa nostra società contemporanea tecnologica e social? E se sì, a cosa serve oggi l’arte secondo te?
Picasso diceva che “L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni”. L’arte e la bellezza servono sempre. Oggi come ieri, solo con delle differenze nella comunicazione e nei mezzi. Io non sono tra quelli che demonizzano le nuove tecnologie e i social network. Penso anzi che alcuni mezzi innovativi possono essere estremamente interessanti e rappresentare dei nuovi stimoli. Ma di una cosa sono certa: siamo sommersi di informazioni, come in sovraccarico di sollecitazioni da ricevere e processare, digerire e comprendere. L’arte oggi, forse può insegnarci a scegliere, a selezionare quello che ci serve a crescere e a migliorarci.
«Ho sempre detto che i due registi che meritano di essere studiati son Charlie Chaplin e Orson Welles che rappresentano i due approcci più diversi di regia. Charlie Chaplin in modo grezzo e semplice, probabilmente non aveva il minimo interesse per la cinematografia. Si limita a schiaffare l’immagine sullo schermo, e basta: è il contenuto dell’inquadratura che importa. Invece Welles, al proprio meglio, è uno degli stilisti più barocchi nello stile tradizionale del racconto filmico.» (Conversazione con Stanley Kubrick su 2001 di Maurice Rapf, 1969). Tu cosa ne pensi in proposito? Come deve esser il cinema secondo te? Cosa deve privilegiare, le immagini o il racconto, volendo rimanere alle parole di Kubrick? 
Kubrick che paragona Welles e Chaplin mi mette in difficoltà!! Io amo il cinema, adoro vedere e anche ri-vedere i film. Amo notare lo stile riconoscibile di un regista, la sua firma poetica. Il difetto, però, di chi fa il mio lavoro, è di essere ipercritici; quando mi capita di vedere un film dove tutto è ben fatto, dalla recitazione alla fotografia, dai ritmi al montaggio ai costumi, sono felice. È quanto di più godurioso si possa provare. Come guardare un’opera d’arte, un dipinto di Raffaello o una scultura di Michelangelo. Mi è capitato di recente guardando “Storia di un matrimonio” diretto da Noah Baumbach. Questo è come deve essere il cinema per me: mentre guardo un film devo dimenticare che c’è una regia, che è tutto finto, che quelli sono attori, che tra una frase e l’altra c’è uno “Stop!” gridato dal regista. Deve colpire a segno l’espressione poetica di chi racconta, sceneggiatore, regista e attori, voglio essere sommersa da sentimenti che in quel momento per me valgono come reali. Cerco lo stupore, la commozione. 
Se dovessi consigliare ai nostri lettori tre spettacoli teatrali, tre film da vedere e tre libri da leggere, quali consiglieresti e perché? 
Un detto inglese dice, non importa cosa leggi, basta che leggi. Non c’è detto che mi trovi più d’accordo. Come lettrice posso dire di essere assolutamente istintiva, amo Shakespeare ma non disdegno una rivista, mi appassiono con i thriller, ma ultimamente ho letto “Quando” di Veltronie l’ho adorato. Poi ho letto un vecchio copione: un testo francese di Hennequin e Veber, per poi rileggere Queneau con “Esercizi di stile”. La fattoria degli animali di Orwell va letto per forza prima o poi… insomma non sono brava a consigliare libri perché come penso a un titolo me ne viene in mente un altro. Ed è una scoperta continua. Per gli spettacoli teatrali, i primi tre che mi saltano in mente e che negli ultimi anni mi hanno colpito di più sono Odyssey di Bob Wilson, L’Arlecchinodiretto da Valerio Binasco, e The Dubliners diretto da Giancarlo Sepe. Naturalmente nel mio cuore ci sono gli spettacoli in cui ho lavorato io ma sarei troppo di parte citandoli. Ma il consiglio più prezioso che posso dare è quello di andare sempre e tanto a teatro. In particolare al Silvano Toti Globe Theatre di Roma a seguire la nostra stagione estiva colma di bellissimi testi shakespeariani! Film… ne scelgo tre tra i mille che vorrei consigliare: Il Settimo sigillo di Bergman, La finestra sul cortile di Hitchcock e The Truman Showdi Weir. 
I tuoi prossimi progetti? Cosa ti aspetta nel tuo futuro professionale che vuoi raccontarci? 
Sto lavorando su progetti nuovi che vedranno la luce nel 2021, non vedo l’ora di poterne parlare ma purtroppo è ancora prematuro. Nel marzo 2021 inoltre riprenderemo “The Prudes” che è stato anche a Catania proprio quest’anno. Torneremo a Roma al Teatro La Cometa e speriamo di poter tornare anche in Sicilia! 
Dove potranno seguirti i nostri lettori? 
Instagram: carlotta.proietti
Facebook: lottapage
www.carlottaproietti.it


Carlotta Proietti

Andrea Giostra

TARANTO PRIVATA DAL CORONAVIRUS DELLE TRADIZIONI DELL’ADDOLORATA E DEI MISTERI

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di Franco PresicciTARANTO - Per colpa del coronavirus, quest’anno le processioni tradizionali di Taranto, dell’Addolorata e dei Misteri, sono andate anche loro in quarantena. E naturalmente la gente, non soltanto quella locale, è rimasta delusa, pur rendendosi conto dello stato di necessità.
Nella città bimare Pasqua non è Pasqua se le strade del capoluogo jonico il Giovedì e il Venerdì Santi non sono attraversate da quei cortei che si svolgono da secoli e che richiamano spettatori da mezzo mondo. Sono manifestazioni solenni che emozionano un po’ tutti. Non so se per l’occasione nelle case si confezionano ancora i taralli con il pepe o il finocchietto o il peperoncino, e le “scarcedde”: due uova incastonate in una piattaforma di pasta e imprigionate con due strisce a croce, sempre di pasta. Una volta, quando ero un marmocchio, li faceva la nonna e noi rampolli le portavamo al forno, che spandeva profumi nella via parallela alla nostra.  E poi tutti, la sera, a vedere i Misteri, che da piazza del Carmine, dall’omonima chiesa, si svolgeva fino alla chiesa di San Francesco, dalla quale tornava indietro. Quest’anno, solo preghiere recitate dall’arcivescovo e trasmesse in “streaming” ai fedeli.

   Quel grande fotografo, che è Cataldo Albano, amareggiato a sua volta, ha ripescato nel suo archivio una serie di immagini spettacolari, come sono sempre le sue, e ne ha fatto un video, che dagli appassionati è stato subito accolto con entusiasmo. Un amico mi ha telefonato per dirmi che lo ha visto tre volte, commuovendosi. Non si possono far sfilare questi scatti sul computer senza sentirsi presenti nelle vie della città cara ad Orazio, a Virgilio e a tanti altri poeti e ad artisti del pennello; immersi in quelle fitte ali di folla che assistono al passaggio dei simulacri, accompagnati da “perdùne (confratelli con il volto coperto e i piedi nudi), ”troccolanti”, “mazzieri”, “poste”, monsignori, carabinieri in alta uniforme, cavalieri, esploratori, vigili urbani…
  
   Il video di Albanoè un’opera d’arte. Giorni prima le avevo rivissute nella memoria, quelle due processioni, pensando al giornalista e scrupoloso storico di Taranto Nicola Caputo, che ne “L’Anima Incappucciata” le ha raccontate in tutti i loro aspetti, soffermandosi su quella del Venerdì Santo del 1881; accennando a “’u salamelicche”, un saluto “che ogni iscritto alle confraternite è tenuto ad osservare…”; alle leggende create attorno a i Misteri; e alle contese fra le stesse confraternite (“E’ dal 1777 che quella del Carmine vanta il diritto della precedenza nei confronti delle altre; un diritto che oggi è diventato esclusivo, se si considera che a svolgere il pellegrinaggio ai Sepolcri durante la Settimana Santa sono rimasti solo gli incappucciati del Carmine”). Ma questa è storia, che si fa bene leggere, soprattutto come la ricorda Caputo, e io per riguardo ne accenno; ma le immagini di Cataldo Albano i “Misteri” te li portano quasi in casa, a dispetto di quel franco tiratore che sta facendo strage dappertutto.
  
   Un plauso sincero, affettuoso, dal cuore, a Cataldo, che precisa: “Queste foto risalgono a dieci anni fa e le dedico a mio padre”. Michele Annese, già direttore della biblioteca di Crispiano, località in provincia di Taranto, e oggi pilota del giornale “Minerva news”, visto il video, lo ha proiettato in famiglia e lo ha suggerito agli amici. Immagini meravigliose, toccanti: Cristo all’orto, la Colonna, Ecce Homo, la Cascata, il Crocifisso, la Sacra Sindone… Particolarmente struggente Cristo morto. E poi l’Addolorata, che a quel punto ha ritrovato il figlio. S’intuisce la passione con cui Cataldo ha fatto questi scatti. La processione dell’Addolorata, che parte dalla chiesa di San Domenico, nella città vecchia, la sera prima, con al seguito “pesàre”, crociferi, “trono”..., è anch’essa carica d’anni. Secondo alcune testimonianze, si chiama in verità “pellegrinaggio”. “Il termine processione - annota Caputo – appare trascritto per la prima volta sul rendiconto della ‘gara’ tenutasi la sera della domenica delle Palme del 1852”.

   Notizie storiche a parte, anche questo corteo suscita un interesse struggente. Al passaggio della Madonna c’è gente che piange o prega o invoca una grazia, supplica, le si affida… E c’è chi fa un passo avanti per offrirsi all’obiettivo fotografico. Albano cattura gli elementi che lo attraggono maggiormente: la cupola, le navate, le tele, gli archi della chiesa del Carmine e le statue, i personaggi che le portano sulle spalle vincendo la stanchezza. Tutto ciò che può rendere l’atmosfera della grande manifestazione. Chi osserva questo video, ripeto, ha l’impressione di trovarsi lì, in piazza del Carmine, in via D’Aquino, in via Anfiteatro, come ha realmente fatto negli anni trascorsi e negli anni più lontani, con i nonni, i genitori e poi con le moglie, i figli, i nipoti.

   L’Addolorata e i Misteri sono nel cuore della città. Lo scrittore Giacinto Peluso ha riempito pagine, per raccontarle. E così ha fatto Cesare Giulio Viola. E altri. E le hanno decantate i poeti del passato prossimo e del passato remoto. E in questo video le esalta Albano, che ama Tarantoe le sue tradizioni come pochi. Questo è un video da conservare per chi verrà dopo di noi, perché l’autore è un artista vero, un maestro: le sue foto non solo testimoniano la realtà, la fanno vivere, la interpretano, la incarnano. Cataldo Albanoè un poeta che si esprime con immagini superlative, straordinarie. Lo ha dimostrato nelle sue mostre al Castello Aragonese di Taranto, su Matera e i suoi sassi, sulla stessa città dei due mari, il Piccolo e il Grande, legati tra loro dal canale navigabile. Questa è una Pasqua particolare, che invita alla meditazione nella sofferenza, nella paura. Questo video tra l’altro ci accomuna nella preghiera e nella speranza che l’anno prossimo, sconfitto il cecchino, tornino le processioni, oltre alla serenità.  


Franco Presicci, giornalista e scrittore, è nato nel 1933 a Taranto. Milanese d’adozione, ha lavorato per un’intera carriera come cronista di nera al quotidiano “Il Giorno” di Milano. Giornalista professionista, Presicci è un’istituzione tra i cronisti della cronaca nera milanese. Ha attraversato tutte le stagioni della criminalità, dai tempi dei sequestri e delle bische, fino al terrorismo e alla mafia. Tra gli altri riconoscimenti, nel 2016 gli è stato tributato il Premio alla carriera dal Gruppo cronisti lombardi “per una vita al servizio dell’informazione e del giornalismo”.


“L’Amore al tempo del Covid-19”, Rubrica a cura di Roberta Cannata e Andrea Giostra

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#iorestoacasa #andratuttobene #aiutiamochiesolo … Prima puntata - edited by Roberta Cannata 

Voce, interpretazione e testo di Roberta Cannata | “L’Amore al tempo del Covid-19” |
25 febbraio 2020, Covid-19 ha cambiato il corso della nostra Vita e segnato un nuovo modo di guardare il tempo. La Parola d’ordine per entrare nello stargatedel “nuovo mondo” è #iorestoacasa #andratuttobene, se non hai questa pozione magica sei fregato!
Dopo l’ilarità dei primi giorni, simile ad isteria collettiva misto tra felicità di stare a casa e paura di quello che sta accadendo fuori, come Tutti anche Io, ops…scusate mi presento… mi chiamo Roberta Cannata inviata e conduttrice, sì lavoro nello spettacolo, ho passato i 40’ e faccio del mio sorriso uno stile di vita, ma… dove eravamo rimasti?
Ah sì anche io come Voi sono intrappolata nel “mondo parallelo” tra le mura di casa in attesa di ricominciare la mia Vita. Che bella parola “Vita”, pensate che vivere è il verbo più gettonato del momento è talmente citato in tutte le sue declinazioni che dobbiamo sperare non ci voglia l’Autocertificazione per utilizzarlo ancora.

Comunque, fino a ieri detestavo il caos della mia città… abito a Roma, la capitale, pensate che inneggiavo alla dittatura per sconfiggere il traffico, ogni volta che salivo in macchina facevo un ripasso veloce delle parolacce da utilizzare in caso di gincane tra un incrocio e l’altro, adesso quando penso al “Raccordo Anulare” (60 km di sensuale cemento che avvolgono la città) mi brillano gli occhi, mi manca… mi mancano i clacson, mi mancano le 2 ore di fila per arrivare all’uscita 31, mi manca il Tir che mi supera e fa i lampeggianti quasi a volermi speronare dalla corsia, insomma mi manca tutto, anche la multa nelle strisce blu quando dimentico di rinnovare il tagliandino, che bei tempi!

Poi un bel giorno travolta dai notiziari e dai bollettini di guerra, tra paure e speranze ricevo una chiamata: “il mio amico Andrea Giostra”… contenta rispondo e tra saluti e feste come fosse Natale ascolto la sua proposta:
A: Ciao Roby, come stai?
R: Ciao Andrea! chiusa in appartamento per il bene della nazione e per la salute universale, diciamo che sto bene grazie. Sai che ho scoperto gli Apertivi online con le amiche? Skype è il nostro locale preferito!
A: (risata) Una bella idea direi, da provare! Certo che scambiare due chiacchiere e bere un bicchiere di vino con gli amici sembra che sia passato un secolo... Ti faccio una proposta, scriviamo a 4 mani? Facciamo conoscere le storie del nuovo mondo ai nostri Lettori, come stanno cambiando le amicizie, gli amori, le passioni, la vita e….
R: E quindi possiamo scrivere dei sentimenti al “Tempo del Covid 19”!

                                                                                                               
Attacco la cornetta virtuale del mio smartphone e saltello beata sul divano del salotto (che goduria saltarci sopra) e penso: “Si ricomincia, a me la penna”!
Ma dopo tanta felicità mi chiedo “ma come faccio a trovare storie se non posso uscire a fare il mio lavoro?” (faccina triste). Mi verso un bianco con le bollicine guardo la luna, esprimo un desiderio e vado a dormire.

Buongiorno Nuovo Mondo! colazione, social network, tg, preghiera, doccia.
Ancora con l’asciugamano arrotolato in testa esco in terrazza a prendere i primi raggi di sole, abito in un piccolo attico con vista mozzafiato, il pino secolare davanti alla mia finestra è la casa dei pappagallini verdi (ce ne sono a decine in questo periodo ) finalmente con gli umani in gabbia cinguettano felici.
Saluto le mie due vicine, saranno sveglie dalle 5, meravigliose signore agè dal fascino retrò. Rose (100 anni portati bene) lucida come una 20enne, e poi Milva (lei è uno spasso e da ragazza faceva la modella) pensate che riesce a far crescere i pomodori nel vaso meglio dell’uomo del monte che aveva detto si, ehm ma questa è un’altra storia!

Comunque mi avvicino alla ringhiera della Milva, mantenendo la distanza di sicurezza con le nostre mascherine da passeggio e cominciamo a parluzzare.
Me lo sentivo, da lì a poco avrei avuto il mio “pezzo” da scrivere. Ero avida di parole da battere sulla tastiera del pc e in un attimo sul mio viso si materializza il ghigno del giornalista che vuole sapere come se non ci fosse un domani!
La Milva inizia a parlare ma appena pronuncia la prima sillaba veniamo travolte da 100 decibel di amore “bau bau bau” e poi ancora “bau bau bau”, eccolo è arrivato (faccina occhi a cuore). Vi presento Gimmi, piccolo, soffice, arguto spitz tedesco impossessato dallo spirito di Fiorello, esatto avete capito bene proprio lui lo showman!
Carezza, bacino e faccio segno a Milva di continuare il discorso.

Ebbene all’improvviso il dramma di queste giornate, lente e pesanti che a volte sembrano in modalità rewind, è stato alleggerito da una storia meravigliosa che ha il sapore di un romanzo del ‘800 e i colori di un quadro di Van Gogh.
Sono stata rapita dal racconto della mia vicina che a sua volta lo ha saputo dal portiere, il quale non ha prove certe, ma la gattara del quartiere lo è venuta a sapere dalla parrucchiera che ha giurato di averli visti mentre buttava la spazzatura… Chi, vi starete chiedendo Voi!?
Due innamorati che si baciavano per le vie della città: “L’Amore al tempo del Covid-19”.

…appuntamento alla prossima puntata su questo stesso canale…


Roberta Cannata

Andrea Giostra

Cincilla a Fattitaliani: con le canzoni racconto la mia vita e quello che ho dentro. L'intervista

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Disponibile su tutte le piattaforme digitali e sui digital stores, "Sakè" (Spotify) il nuovo singolo di Pietro Milella, in arte Cincilla, invita a vivere il mondo come si vuole, senza perdersi dietro alle congetture degli altri e vivendo ogni momento per quello che è.

«“Sakè” rappresenta per me tante cose - racconta Cincilla - l’ho scritta in un momento in cui facevo fatica a capire fino in fondo quello che mi circondava e ne ero infastidito. Ho iniziato a comprendere il mondo rinunciando a molte risposte e a vedere le cose dalla prospettiva che mi andava di più, allegra o triste che fosse. Il testo di Sakè riassume tutto questo». Il videoclip di “Sakè” è interamente ambientato a Venezia e riprende i luoghi dove è nato e cresciuto l’artista. La sequenza di immagini accompagna le parole della canzone: la prima parte mostra volti annoiati e luoghi malinconici; la seconda cattura quegli stessi scorci e quelle stesse facce in chiave ironica. L'intervista di Fattitaliani.
Quando intuisci il momento esatto in cui puoi tradurre in musica e parole ciò che provi dentro? 
In realtà non lo intuisco quasi mai; la maggior parte delle volte le canzoni nascono all’improvviso. Non mi capita quasi mai di pensare a priori qualcosa da tradurre in musica; non ci ho mai pensato in realtà, diciamo che quando un pensiero, un sentimento o un’immagine si radicano e mi rimangono in testa per un po' di tempo ad un certo punto sento l’esigenza di farne un pezzo, quasi come se dovessi raccontare in pochi minuti quello che mi è passato per la mente per giorni.
Quali sensazioni ti accompagnano in questo momento come artista e persona nel vedere la tua splendida Venezia vuota e silenziosa? 
In realtà non la vedo perché vivo a Bologna. I miei amici però mi raccontano com’è. Io credo che il problema, a prescindere da Venezia, sia comune in tutto il mondo: ci mancano i contatti umani, gli amici. Venezia è piccola, ci conosciamo tutti, torno spesso e là ci vive la maggior parte delle persone alle quali voglio più bene. Pensare ad una Venezia senza rapporti umani è straniante, ma ripeto, immagino sia lo stesso per le altre città. È un problema comune che penso ci cambierà una volta che tutto questo sarà finito.
Come ti presenteresti ai nostri lettori? 
Spero che ascoltando le mie canzoni possano ritrovarsi. Quando scrivo tendo a raccontare la mia vita e quello che ho dentro; poi in realtà per me le canzoni hanno un significato preciso ma una volta buttate fuori possono essere lette e interpretate in tanti modi. L’idea mi piace.
Ci sono state delle esperienze che ti hanno particolarmente reso la persona che sei adesso? 
Onestamente non penso che una particolare esperienza abbia influito sulla mia personalità. Conosciamo persone nuove, abbiamo i nostri amici di sempre, viviamo momenti felici, altre volte siamo tristi, ascoltiamo bella musica, ci divertiamo la sera, possiamo contare sulle persone che ci vogliono bene, impariamo a non fidarci di altre. Sbagliamo spesso ma poi impariamo. 
Preferisco pensare alla vita come un percorso. Poi se penso a dei flash mi vengono in mente la prima volta in cui ho ascoltato una canzone degli Oasis, alla prima canzone che ho scritto, a quando ho letto per la prima volta Funeral Blues di W.H.Auden, alle giornate in montagna quando ero piccolo e quando ho visto Sakè per la prima volta su Spotify (ce ne sarebbero altri ma preferisco tenerli per me).
E a livello artistico, chi o che cosa ha più influito sul tuo percorso? 
Pablo Davilla, che oggi è un mio amico, prima che produttore e collaboratore. Ha curato la produzione dei pezzi. Quando ha sentito le mie demo, quasi per caso, mi ha chiesto se mi avrebbe fatto piacere andare in studio da lui e lavorare sul progetto.
"Sakè" prelude a un disco con altre tracce?
Sakè ha anticipato l’uscita di “Sogni In Saldo”, un EP di cinque pezzi che uscirà ad inizio maggio. È un EP-presentazione, ciascuna traccia rispecchia una mia caratteristica, sia dal punto di vista del testo che del sound. Quando ho scelto la tracklist ho voluto selezionare i brani seguendo questa logica: chi lo ascolterà potrà farsi un’idea chiara di chi sono, di quello che scrivo e della musica che faccio.  Giovanni Zambito.
Biografia

Pietro Milella, in arte Cincilla, è un musicista di Venezia. Suona e compone per anni pezzi che solo il suo pianoforte ha ascoltato. Nel 2019 conosce Pablo Davilla che ascolta alcune sue demo e lo porta in studio di registrazione. Il risultato della collaborazione tra i due è l’uscita del primo singolo di Cincilla, “Sakè, che sarà in rotazione radiofonica dal prossimo 27 marzo e già disponibile in digitale dallo scorso 9 marzo. A questo primo singolo seguirà un EP di cinque brani dal titolo “Sogni In Saldo”.

Decreto Liquidità ed Europa, parla il prof. Giovanni Farese

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Decreto Liquidità ed Europa: quale via di uscita dalla crisi e quali soluzioni per rimettere in moto il sistema produttivo? Il Prof. Giovanni Farese, ordinario di Storia dell’economia e dell'impresa presso l'Università Europea di Roma, risponde a Fattitaliani.

"Il decreto va nella giusta direzione. In questa fase la liquidità è essenziale alle imprese per navigare attraverso la crisi. Ma attenzione quando si parla di "liquidità". Gli interventi messi in campo fino a oggi dal governo riguardano, per una parte, "denaro fresco" per il sostegno ai redditi e per un'altra "garanzie" alle banche. Con il Decreto Liquidità parliamo, appunto, di garanzie. In estrema sintesi, lo Stato garantisce il 100 per cento dei nuovi prestiti fino a 25 mila euro e il 90 per cento di quelli fino a 800 mila euro. Due le criticità: la garanzia avrebbe potuto essere del 100 per cento, almeno fino a 1 milione di euro; i tempi dei rimborsi si potevano fissare in 10-15 anni, invece che 6 anni. Ma ripeto: la direzione è quella giusta. Tenere in vita le imprese è essenziale anche per la tenuta dei livelli di occupazione. Ovviamente, l'Italia sconta una condizione di finanza pubblica più fragile rispetto ad altri paesi e ciò ne limita, e non di poco, la "capacità di fuoco". Quanto all'Europa: sono state assunte decisioni importanti, la più importante delle quali riguarda i programmi di acquisto di titoli da parte della Banca Centrale Europea e la revisione dei criteri attraverso i quali gli acquisti sono effettuati. Ma per quanto riguarda le altre istituzioni europee la dimensione degli interventi ipotizzati e i tempi di maturazione delle decisioni risultano, ad oggi, rispettivamente insufficienti e lenti, specie se confrontati con quelli di altre aree del mondo (Cina, Stati Uniti: ma i contesti politico-istituzionali sono diversi). La soluzione ideale resta una qualche forma di eurobond (titoli di debito comune), ma è difficile che ci si arrivi in pochi giorni. Occorrerà quindi una combinazione di più istituzioni e strumenti, europei e nazionali: dalla Banca Europea per gli Investimenti al Piano di Ricostruzione Europea di cui si parla in questi giorni. Ma dovremo anche aiutarci da soli, perché il crollo del PIL sarà dell'ordine di 10-12 punti quest'anno. Ora, è vero che l'Italia ha un elevato debito pubblico; ma è anche vero che il Paese gode di un elevato risparmio privato (oltre 4 mila miliardi solo di attività finanziarie delle famiglie, contro 926 miliardi di passività). Il risparmio può essere mobilitato con un prestito (non forzoso) di ricostruzione, garantito dai beni dello Stato. Darebbe un segnale, anche di fiducia nel Paese, importante"

Don Cosimo Schena, il poeta dell’amore con le sue poesie fa impazzire il web

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Don Cosimo Schena, il poeta dell’Amore, attraverso la poesia e la preghiera infonde coraggio sui social, dove in questi giorni la paura e l’ansia per il Coronavirus hanno preso il sopravvento.
In pochissimo tempo la sua pagina Facebook è arrivata a più di 50.000 followers, grazie ai messaggi di speranza e alle sue poesie-preghiere, che ogni giorno danno forza agli italiani, in questo tempo, in cui tutta la nazione è ferma, e le persone sono chiuse in casa per cercare di arrestare l’epidemia.

Don Cosimo è un sacerdote di Brindisi, salito alla ribalta dopo il clamoroso successo registrato dalle sue composizioni poetiche interpretate con la sua stessa voce. Le sue poesie musicate sono ascoltatissime in rete e su Spotify conta più di 3 milioni di streams.

Scrittore impegnato tra poesia filosofiaDon Cosimo ha iniziato poco più di un anno fa a pubblicare le sue composizioni in formato audio, decidendo di interpretarle personalmente. Un’idea che ha avuto sin da subito un inaspettato successo.

Il popolo del web, giovani e non solo, ha iniziato a seguirlo e ad apprezzarlo sulle diverse piattaforme musicali in particolare su Spotify, e i media hanno cominciato a seguirlo con attenzione.

È nato così “Il Poeta dell’Amore”.

Le sue parole arrivano dritte al cuore e si intrecciano con le bellissime musiche che accompagnano la sua interpretazione.

Per seguire le ultime novità sul prete poeta basta recarsi sulla sua pagina Facebook al link www.facebook.com/cosimoschenapoetadellamore.

TEGAME DI SCRITTORE NON ANCORA BOLLITO (Manuale di cucina di padre in figlio)

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Forse non tutti sanno che Niky Marcelli, giornalista e regista della Rai, che ha iniziato a farsi conoscere al grande pubblico come scrittore con il  romanzo “La Contessa Rossa” (Teke Editore - 2015), oltre che al computer (lui preferirebbe dire “alla macchina da scrivere”, ma non la usa più da anni) se la cava anche ai fornelli.
Quando è in vena creativa e, contestualmente, deve occuparsi del pranzo o della cena, infatti, si diverte a creare piatti originali, spesso - come l’antica tradizione culinaria prevede e soprattutto se ha dimenticato di fare la spesa! -assemblando le cose che si ritrova in dispensa in quel momento.

Al tempo del Covid ci delizia, con ottimi piatti tutti i giorni sui Fb e Instagram, anche gli scrittori si rinventano.

Del resto, sia la passione per la scrittura che quella per la cucina, le ha ereditate da suo padre Augusto Marcelli(1921-1991) che è stato, oltre ad un grandissimo giornalista era anche un più che dignitoso gourmet.

Inventa oggi, rivisita domani, si è ritrovato in archivio un discreto numero di ricette piuttosto rimarchevoli che ha deciso di unire a quelle, parimenti interessanti, lasciategli in eredità dal genitore.

Lui stesso, nell’introduzione, avverte: “Qui dentro troverete ricette originali create da me, o da mio padre Augusto che mi ha trasmesso – oltre alla passione per la scrittura – anche quella per la cucina. E troverete anche ricette tradizionali o loro più o meno libere reinterpretazioni, sia di cucina regionale, che nazionale, che internazionale”. 

Ne è venuta fuori un’interessantissima, originale e gustosa fricassea, un pot-pourri, un – per usare un anglicismo – medley (o, ancor più appropriatamente, un melting pot) di piatti inventati di sana pianta, rielaborati da ricette tradizionali, o imparati-copiati in giro per l’Italia e per il mondo.

Non resta che augurare buon appetito! E vi aspetto sui miei canali Social dove vi delizio il palato con ottimi piatti..

I Disco Zodiac a Fattitaliani presentano il nuovo singolo "Supereroi". L'intervista

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In radio e disponibile in digitale “SUPEREROI” (Rumore di zona / The Orchard), il nuovo singolo dei DISCO ZODIACregistrato allo StudioNero di Roma e prodotto da Marta Venturini. «Abbiamo scritto questo pezzo -raccontano- perché avevamo voglia di sfogarci, di fare Pop, gridando e ballando come piace a noi». Il brano riprende le atmosfere tipiche della band “retro pop”, ma stavolta ci travolge con maggiore entusiasmo e con una verve non indifferente, “senza farci male”. Un ritornello tanto semplice quanto esplosivo e un concentrato di energia, di chitarre e di synth per farci ballare e cantare a squarciagola.
 Ad accompagnare la canzone, un divertente videoclipin bianco e nero che ci mostra una lunga serie di spericolate acrobazie sciistiche che non sempre vanno a buon fine, una metafora forte e chiara.Fattitaliani li ha intervistati.

Che tipo di sfogo viene fuori dal brano "Supereroi"? per chi o contro chi?È una canzone che mette in discussione le nostre scelte, la nostra routine...lascia lo spazio per immaginare cosa succederebbe se per un momento cambiassimo qualcosa di fondamentale nella nostra vita.
Ci dite qualcosa sull'idea e la realizzazione del video?
Volevamo fare un video che fosse divertente e che abbracciasse il concetto di supereroi, così ci è venuto in mente di basarci sugli sport invernali dove la gente si mette quelle tute aderenti per spiccare il volo.
Quanto vi assomiglia questa canzone? è sulla stessa lunghezza d'onda di altre incisioni?
Di solito andiamo molto più a sentimento con quello che ci viene in sala, stavolta è stato diverso, ci eravamo focalizzati da subito su una canzone molto POP.
Roma deserta e silenziosa vi sta ispirando nuove canzoni, sebbene a distanza l'uno dagli altri?
In realtà no, finché sei dentro a una situazione è difficile guardarla con distacco e lasciarsi ispirare... quando tutto questo sarà finito probabilmente riusciremo a raccontarlo meglio.
Quali esperienze comuni sono state essenziali per lo spirito del gruppo?
Suoniamo insieme da tanti anni ormai, tante delusioni e lavoro buttato ci hanno portato a credere veramente in quello che facciamo ora...
Come vedete il prossimo futuro della musica e della discografia?
Speriamo ci sia più voglia di musica dal vivo, di canzoni nuove e magari diverse da quello che andava prima di questo blocco. Giovanni Zambito.
Biografia
Disco Zodiac si formano ufficialmente a Roma all’inizio del 2012. La band è composta da: Alessio Modica (voce e chitarra), Lorenzo Lambusta (chitarra), Marco Pula (batteria), Jacopo Pisu (basso), Michele Tortora (tastiere).
Nati come cover band degli Arctic Monkeys, in breve tempo iniziano a lavorare ai propri brani inediti e a conquistarsi l’interesse del litorale romano.Il primo singolo “Astratte deduzioni” (2014) rimane in vetta alle classifiche della categoria “indie” di ReverbNation per più di 4 settimane e, nell’estate dello stesso anno, partecipano al contest Postepay Rock in Roma Factory aggiudicandosi il premio della giuria che gli consente di salire sul palco di Rock in Roma l’anno successivo come unica band d’apertura per il concerto degli Alt-J. Dopo numerosi concerti in tutti i principali Live Club della capitale i Disco Zodiac hanno pubblicato nell’estate 2018 il singolo “Della Città” e stanno lavorando al loro primo progetto discografico, in uscita nel 2020, con la produzione artistica di Marta Venturini. Sarà un disco carico di elementi distintivi della generazione dei ventenni di oggi. Confusi, inconsciamente nostalgici e con l’irrequietezza e il disagio di un futuro incerto nato dall’esigenza di un gruppo di ragazzi della periferia romana di unire le loro diversità e creare con la musica una miscela unica, ricca di elementi del passato ma con un sapore contemporaneo. Il sound trova la sua dimensione in quello che si potrebbe definire “retrò-pop” con sonorità un po’ vintage che spaziano dagli anni ‘60 ai ‘90 con fluidità e naturalezza, ma che strizzano l’occhio al nuovo indie pop di matrice tutta italiana. Il 4 ottobre 2019 esce in radio e sulle piattaforme digitali il singolo “Vino”, seguito dai brani “Platino” (13 dicembre) e “Supereroi” (20 marzo 2020).

Racconti in quarantena: LA PASQUA DI POMPEO

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di Mario Narducci - A Pasqua Pompeo appariva emaciato come un anacoreta della Tebaide. Una canna nel deserto come Giovanni Battista, anche se non vestiva di pelli mai conciate. Un Simone Stilita consumato da penitenze e digiuni sopra una colonna del deserto, dove trascorse gli ultimi anni di vita, standosene solitario al cospetto di Dio.

Quando sopraggiungeva la Quaresima, Pompeo abbandonava ogni cosa che gli si era appiccicata addosso e che gli era entrata nel cuore tutto il resto dell’anno, e si poneva in piena nudità dell’anima al cospetto del suo Signore, come un bambino vivace che dopo i giochi di strada ritorna a casa e si abbandona tra le braccia della madre che lo rimette a nuovo.

Era un bell’uomo, Pompeo. Alto, portamento nobile, capelli neri alla mascagna tenuti incollati da una mano generosa di brillantina, parola affabile e faconda, con tonalità accortamente variate tra il suadente e il brillante, tanto quanto bastava ad assicurargli l’ammirazione di una vasta platea femminile. Del resto lui non era insensibile al loro fascino, che usò nella prima giovinezza, per godere di una vita che, per altri versi, non sempre gli si era mostrata generosa.

Era diventato una sorta di gigolò. Erano sue le sale da ballo più in voga e i tabarin, dove si concedeva nelle danze del momento alle signore-bene. Ampi giri di valzer, tanghi appassionati, sognanti swing, frenetici charleston. Luci sparate, penombre, séparée, sassofoni vibranti di passione. Anche da adulto, pur se diventato altro da quel che era stato, Pompeo si apriva a un lieve, passeggero sorriso, mentre i piedi tentavano inconsciamente gli antichi ritmi che lo avevano reso famoso.

Ma accadde che quel mondo non gli bastasse più. Avvertì il bisogno di altra aria, di altre avventure. Sentiva che il suo cuore non era fatto per una vita ordinaria, forse anche brillante, ma cadenzata da una noiosa ripetitività. Volle mutarla allora radicalmente e si ritrovò tra le fila della Legione Straniera in un Forte d’Africa, compagno di ergastolani e gente della peggiore specie che aveva scelto, spesso costretta, l’avventura pur di sfuggire a precarietà e condanne maggiori.

L’entusiasmo degli inizi se lo portò dietro per tutta la vita, tatuato su un polso: due mani che si stringono e la linea del sole con tanto di raggi, per sfondo. Un marchio che gli ricordava quel che era stato e quel che voleva essere, dopo una fuga rocambolesca che tra mille pericoli e con il pensiero alla madre in pena, lo riportò a Urbino, capoluogo del Montefeltro, dove tutto parlava di Raffaello e del Duca Federico e poi di Carlo Bo e della sua Università, e dove trovò finalmente quiete e lavoro come bidello in una scuola media.

Non disse mai come gli accadde di ritrovarsi in ginocchio, un giorno, nel confessionale di Padre Pio, a San Giovanni Rotondo. Disse però che quando si alzò, il gigolò e il legionario d’Africa erano spariti per sempre, per lasciare il posto all’uomo pietoso e di fede, che prese a frequentare gli ospedali per aiutare i bisognosi, e la Chiesa dove si recava ogni giorno per le pratiche di pietà, prolungate a casa in una stanzetta adibita a cappella, con tanto di inginocchiatoio (che un affezionato nipote mi regalò e che tengo come reliquia) e quadri devoti dipinti egregiamente da lui stesso. Non per questo aveva perduto amicizie e carattere allegro, che sovente lo portavano in allegria davanti a una tavola imbandita, arricchita da copiose bevute che lui non disdegnava.

Di quelle tavole presi a far parte anch’io, che di Pompeo avevo più di vent’anni in meno e che lo seguivo nelle opere in favore degli anziani dell’ospizio, organizzate dalla “Società del Soldo”. Pompeo era diventato un uomo dalla fede solida. Quando pregava diventava estraneo al resto del mondo. Mi scopro anche a sorridere se penso che qualche volta facesse anche miracoli piccoli piccoli, come quell’estate che ce ne andammo due giorni nel convento dei Cappuccini di Urbania, quando passeggiando lungo il viale che conduceva all’edicola della Madonna, zittì uno sciame d’api che ci ronzava intorno e che come d’incanto sparì.

Al sopraggiungere della Quaresima egli sembrava ritirarsi in un suo personale deserto. Si obbligava a un digiuno di quaranta giorni e non toccava più né carne né vino. Era inflessibile. Ritirato in casa vestiva il saio bigio di terziario conventuale che si era fatto confezionare su misura, con tanto di cappuccio e cordiglio ai fianchi. Una volta che mi invitò, si mostrò con quell’abito, e sembrava solenne come un predicatore antico in atto di pronunciare quaresimali dal pulpito.

Era un Venerdì Santo quando, scarnito dal digiuno, passò per Valbonadavanti alla cantina privata di mio suocero che travasava il vino in bottiglie. Si offerse di aiutarlo. Era primo pomeriggio. Urbino respirava primavera in un cielo tepido e senza nuvole. Respinse per tutto il tempo ogni invito a gustarne almeno un goccio, non fosse altro per darne un giudizio. E quando al tramonto ebbero terminato il travaso, mi confessò che quella era stata la sua vera Quaresima, perché mai gli era costato così tanto stare così vicino al vino, farselo scorrere tra le mani, avvertirne l’aroma, senza toccarlo.

Ero tornato all’Aquila con la famiglia, quando un giorno mi giunse l’addolorante notizia della sua scomparsa. Mi dissero che s’era fatto seppellire vestito di bigello, come il Beato Pelingotto nell’urna di una Cappella a San Francesco. E mi pare di vederlo, ogni volta che vado a Urbino e mi soffermo davanti al Beato. E mi rivedo, terminata la Quaresima, a mangiare con lui e la mia famiglia una “crescia sfoglia” o “sal formag” a un tavolo d’osteria, con tanto di vino e gassosa per i bambini, che ancora oggi, diventati adulti, ad ogni Quaresima mi chiedono sorridendo: “papà, ti ricordi Pompeo”?

Rossana Campo, su you tube il Video Libro de "La gemella buona e la gemella cattiva"

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È Pasqua ma non si può uscire? Momo decide di non lasciare soli i suoi piccoli lettori e le sue piccole lettrici e di fare loro un regalo.

La gemella Buona e la Gemella Cattiva diventa un video libro ed è disponibile gratuitamente su YouTube
Si tratta di un prodotto unico nel suo genere in cui le parole di Rossana Campo e le illustrazioni di Emanuele Olives prendono vita sullo schermo. Come in una magia. Un’esperienza visiva dedicata a tutti i bambini e le bambine e a chi si prende cura di loro durante la quarantena.
Voce narrante Gianmarco Mecozzi
Realizzazione video Giampaolo Bisegna
IL LIBRO
Una gemella buona e una gemella cattiva... Ma cosa significa essere buoni, e cosa significa essere cattivi?
La Gemella buona e La Gemella cattiva è una storia semplice e diretta.
C’è una bambina - Ada - che è buona e dolce. Le piace tutto quello che deve piacere a una bambina felice.
E poi c’è sua sorella gemella - Peppa - che non le piace niente di quello che le dovrebbe piacere. E soprattutto si arrabbia sempre.
Una storia di formazione, divertente, educativa, per i bambini buoni e dolci e per quelli che fanno casino, che si arrabbiano sempre.
Una storia ribelle, e femminista.

ROSSANA CAMPO
Nata a Genova nel 1963. È una delle voci più originali della nostra letteratura.
Nel 2016 ha vinto il Premio Strega giovani con Dove troverete un altro padre come il mio. Del 2017 è La figlia del re Drago.

EMANUELE OLIVES 
Nato a Roma nel 1993. Illustratore e autodidatta.
Nel 2015 ha pubblicato Storie di una balena. Nel 2017 - insieme ad altri artisti - fonda il collettivo Helter Skelter.

Silvia Specchio e "Sleep over me" il 1° singolo autoprodotto "una sfida e una necessità". L'intervista di Fattitaliani

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Il forzato e necessario confinamento ci porta a riflettere sui noi stessi, riorganizzarci nei ritmi e nei pensieri, a pianificare il dopo-emergenza e comunque continuare a lavorare -laddove possibile- adottando inedite strategie, sprigionando nuove fantasie e talvolta scovando dentro di noi energie e competenze finora sopite. È il caso per esempio della cantante Silvia Specchio che ha appena terminato l'incisione del brano "Sleep over me", il suo primo singolo autoprodotto, disponibile su tutte le piattaforme digitali dal 15 aprile: la première del video sarà su youtube dalle 12:00. Fattitaliani lo ha ascoltato in anteprima e ha intervistato l'artista.

Autoprodursi un singolo: più una sfida o uno stato di necessità?
È una sfida perché occorre spogliarsi dei panni dell’artista e diventare manager di se stessi, in modo indipendente, bypassando le case discografiche, e quindi imparando a fare un altro mestiere, con tutte le difficoltà che comporta. Ma è anche una necessità in quanto è l’unico modo per mettersi all’attenzione delle etichette o delle major e di far conoscere al mondo la propria musica e il proprio messaggio. 
Questo brano è stato concepito durante la quarantena: ci racconti un po' come è andata?
Era in gestazione da tanto tempo, ne avevo fatte varie versioni, poi ho trovato degli ottimi collaboratori: Daniele Perticaroli, producer, e il batterista Matteo Massitti che mi hanno aiutato a trovare il giusto sound. Il brano è stato prodotto e arrangiato in un piccolo studio di Roma. Avevamo realizzato la versione definitiva proprio durante i primi giorni dell’allarme coronavirus, quando ancora non eravamo costretti a casa. Poi, però, mi sono trovata a finire il lavoro di distribuzione, tutta la strategia e gli steps che seguono, in piena quarantena. Avevo appuntamento con il fotografo per realizzare la copertina, ma ovviamente, ciò non è stato più possibile. Quindi mi sono arrangiata da sola: ho realizzato da me trucco e parrucco; trasformato la mia camera da letto in set fotografico; piazzato le luci e scattato dei “Selfieritratti”. Un’operazione lunga e laboriosa, però devo dire che sono soddisfatta del lavoro e del risultato: era quello che avevo in mente. 
Si legge e si dice che ne usciremo un po' tutti cambiati. A parte la dimensione personale di ognuno, mi interesserebbe capire se dal punto di vista artistico -in questo caso musicale- sotto quale punto di vista è cambiata la visione del lavoro?
In questo periodo ho intensificato il mio lavoro come artista più che mai, dandomi delle regole: pianifico la mia giornata dalla mattina al tardo pomeriggio; tengo un diario in cui colleziono tutte le mie emozioni e miei pensieri, le mie paure e le mie speranze; faccio la lezione di yoga; lavoro sui social e soprattutto sono attiva più che mai sul mio canale YouTube, postando cover di brani di altri artisti realizzati qui nel mio home studio, in attesa della pubblicazione del mio inedito “Sleep Over Me”. Abbiamo il vantaggio della tecnologia che ci aiuta a restare in contatto e che ci fornisce tutti i mezzi per realizzare le nostre idee. La rete resta un grande palcoscenico. Se ora non ne abbiamo uno reale, ce lo possiamo creare da soli, in attesa che si possa tornare alla normalità. L’unica cosa che possiamo fare in questo momento è non perdere la fiducia e continuare a coltivare le nostre passioni, restare vigili, curare il nostro umore con l’ottimismo e infonderlo. D’altra parte, mai come adesso il compito degli artisti è proprio questo! Stiamo imparando a conoscere meglio noi stessi. Questa è una dura prova, ne usciremo cambiati, sì! Ma in meglio. Ci vorremo tutti un po’ più di bene e apprezzeremo di più la bellezza delle piccole cose. 
Nel brano la tua voce viene fuori più possente e calda che mai: è solo un'impressione o c'è un coinvolgimento sentimentale ed emozionale più intenso da parte tua?
Avevo scritto questo brano in un periodo molto intenso della mia vita: stavo passando attraverso dei grandi cambiamenti; stavo uscendo dalla mia “comfort zone” e quindi affrontando delle prove piuttosto ardue. Stavo vivendo un amore molto intenso ma anche fortemente combattuto, in cui la paura della perdita sovrastava come un’ombra. Credo che quando si racconti in musica qualcosa che ci riguarda profondamente, il risultato sia proprio un estremo coinvolgimento. Non potrei mai non essere onesta e sincera con il pubblico. 
Che cosa ti auguri che l'ascoltatore possa percepire e ricevere dal brano?
Spero che possa arrivare tutta l’emozionalità e il mio temperamento: ci sono passaggi in cui sussurro e altri in cui arrivo a toccare l’estremità della mia voce. In questa occasione ho cercato di seguire il mio istinto più che la tecnica, o comunque ho messo la tecnica al servizio dell’emozione. Il brano è in inglese, punto ad un pubblico internazionale, ma credo che il messaggio rimanga facilmente traducibile e comprensibile per tutti. 
Prima cosa che farai dopo il 3 maggio?
La prima cosa che farò: guiderò fino al mare, che amo e che mi manca profondamente, e se ci saranno almeno 15 nodi di vento, indosserò la mia muta e mi concederò finalmente la prima uscita della bella stagione, in kitesurf! Giovanni Zambito.

Il "miracolo" di Codogno: Gianna, una storia di fede e resilienza

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In una delle lettere inviate a Papa Francesco in questi giorni, la vicenda di Gianna, 86 anni. Un ricovero “normale” all’ospedale della prima zona rossa, il contagio, la solitudine e la paura dei familiari, le telefonate per sostenerla tra risate, lacrime e preghiere e poi la guarigione. Una storia di fede e resilienza.

Il testo integrale della lettera indirizzata a Papa Francesco:

"Casalpusterlengo, 29 Marzo 2020
Carissimo Papa Francesco buongiorno,

sono un cittadino della zona rossa di Casalpusterlengo e Codogno.

Le scrivo questo messaggio, come gesto di speranza da inviare a tutte quelle famiglie che stanno TANTO soffrendo per il triste, quanto tragico momento.

La mia mamma, dopo sette lunghissime settimane di ricovero in ospedale, è stata dimessa il giorno 24 marzo.

È riuscita a combattere il covid-19, un piccolo miracolo, in “quell’ospedale” di Codogno dove era stato ricoverato il paziente 1, dove tutto aveva avuto inizio.

L’ ospedale di Codogno “ingiustamente criticato” all’inizio dei fatti, ma … soprassediamo questo aspetto, medici e tutto il personale sanitario rappresentano degli eroi, gente che non si ferma dinnanzi alla paura della morte, per aiutare il prossimo, questa è la vera carità! Non solo parole.

Ieri una carissima amica infermiera di nome Anna, mi scriveva: “Massimo credimi, vado a lavorare in corsia, MA ho paura, tanta paura!!! La mia missione/professione mi spinge a farlo, lasciando i figli a casa alla mattina, quando inizio il turno, per poi rientrare alla sera, a fine turno, con il rischio di portare a casa con me questa maledetta malattia”.

Gianna, la mia cara mamma, è stata ricoverata il 07 febbraio per la sua patologia cardiologica, un “regolare” ricovero. Da prima al pronto soccorso di Codogno.

Dopo tre giorni di accampamento in un angolo del pronto soccorso (sempre seguita e curata egregiamente dal personale medico e sanitario), si libera un posto letto all’ ospedale di Casalpusterlengo, 1° trasferimento.



Il 21 di Febbraio, Gianna è pronta per le dimissioni dall’ ospedale di Casalpusterlengo, però accade “il tutto, l’incontrollabile”, pazienti bloccati nei reparti, visite dei parenti bloccati.

Inizia il calvario, Gianna ha 86 anni, tutta sola, sotto il profilo psicologico è devastante, limitata nella sua stanza, alla vicinanza della compagna di camera che sta peggio di lei, non è facile, quanti anziani hanno “lasciato”, non hanno più avuto la forza di lottare per vita divina perché presi da una forma di depressione da solitudine: “perché i miei parenti non vengono più a trasmettermi il loro calore, il loro amore? Perché mi lasciano sola?”.

Un frate di Bergamo in questi giorni raccontava la tragedia di questa situazione, di morire soli senza un caro al suo fianco, con un funerale non degno a un cristiano, e non solo.

03 Marzo, La paura, l’inesorabile esito del tampone covid-19: Positivo! Noooo!!! E adesso? Gianna, contatta me e la cugina per parlare di morte.

Papà Carlo a casa piange, disperato, convinto di non rivedere mai più la sua compagna di viaggio!

Tutte le sere mi recavo regolarmente a casa di mio papà (io ho una famiglia e vivo a 2 km da casa sua), con il rischio di portagli in casa la tragedia, il virus, ma non potevo fare diversamente! Anche lui sotto il profilo psicologico era disastrato, era veramente una situazione tragica.

Da quel momento, ancor di più, io e la nipote Francesca intensifichiamo la “terapia psicologica/telefonica” a distanza, terapia già corrisposta da quel dannato 21 febbraio.

Insieme alla preghiera e la forza di Dio, Francesca ed io non molliamo, 5-6 telefonate al giorno, per parlare di tutto di più, per darle conforto, per dire delle stupidate, per sorride alla vita, per pregare insieme.

Gianna non molla!! Giorno dopo giorno, si lamenta, ma grazie al supporto divino, alla fede, al suo amato Carlo, alla famiglia, non molla! Grande Gianna.

12 Marzo, ospedale di Casale, il reparto di medicina è al collasso, deve essere sanificato, si decide di trasferire nuovamente Gianna e tutti gli altri pazienti all’ ospedale di Codogno… Ancora! 2° trasferimento.

Mamma Gianna cade nel baratro, il trasloco l’ha distrutta psicologicamente, è come ripartire da zero!

Mio Padre anch’esso anziano (83 anni) è distrutto! Sempre più convinto che è finita per la sua amata Gianna.

No. MAI mollare, la vita è troppo importante!

13 Marzo, la mattina seguente, con grande intuito il medico, Dott. Bramini, capisce che è il momento di rischiare con una perizia medica ufficiosa, solitamente l’etica professionale di un medico non lo concede! Il dottor Bramini rompe le regole e capisce che è il momento di infrangere queste benedette, quanto corrette regole.

Al mattino, Il dottore durante la consueta visita ai pazienti, dice a Gianna: “Brava Gianna! Hai sconfitto il virus!!! Sei stata brava!”.

Da quel momento, il clima cambia, le preghiere non mancano, Dio è sempre stato vicino a noi!

Ultime curve, ultimi giorni. Inizia il calvario dell’attesa al doppio tampone, la verità ufficiale!!

Iniziano a scarseggiare negli ospedali i tamponi covid-19 in quella settimana… è proprio una never ending story.

19 Marzo, Il 1° tampone viene fatto! esito il giorno seguente: negativo!!!

Si programma il 2° tampone per il lunedì seguente, il 23.

Week end da paura, la tensione dell’ultimo metro … prima di arrivare al benedetto traguardo! Preghiere, paure, brutti pensieri … speranze, di tutto di più!

24 Martedì, alle 13,00 arriva l’esito finale! Esito tampone: negativo!

Primo pensiero rivolto a Dio e alla famiglia, incredibile, è veramente finita!

Ore 15,30 Gianna arriva alla porta di uscita, dopo 7 lunghe, quanto infinite settimane.

L’infermiera che esplode di gioia incontenibile, grida al miracolo, io e la nipote Francesca felicissimi.

Io non voglio scrivere i consueti messaggini personali su Facebook, Instagram… Non è una mia vittoria.

Sicuramente rappresenta una bella storia da raccontare, per donare energia, speranza a tutte quelle persone coinvolte in questa tragica situazione.

Con questa lettera, desidero ringraziare tutto il personale medico e infermieristico, tutta la catena logistica a loro collegata! Desidero ringraziare Dio per averci aiutato e supportato in tutto questo percorso.

Chiedo a Lei, mio caro Papa Francesco, di aiutarci a inviare a tutti questa bella storia, sperando sia di supporto a tante persone.

Con tanto affetto, Massimiliano, un semplice cittadino".

Radio Vatican News, 11 aprile 2020.
Foto: Medici assistono un malato di Covid-19  (ANSA)

MOTOR TREND “CORTESIE PER L’AUTO”, dal 13 aprile nuova produzione originale del canale 59

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Da lunedì 13 aprile alle 22:15Cortesie per l’auto vedrà impegnati 3 autorevoli protagonisti del mondo delle quattro ruote che dovranno valutare, grazie alla propria expertise, due proprietari in base al modo in cui conoscono, curano e guidano la propria auto. Ogni puntata avrà un tema specifico (auto sportive, di lusso, utilitarie... ), ma ad essere giudicate non saranno le auto, bensì i loro proprietari. I tre giudici sono Marcello Mereu, il car detailerEmanuele Sabatino, il meccanico, e la pilota Vicky Piria che alla fine di ogni sfida decreteranno chi è il migliore nella gestione e nella cura della vettura, omaggiandolo dell’ambito portachiavi di Cortesie per l’auto. Scopriamoli da vicino.
Marcello è come un guro dell’estetica per l’auto. Dopo un lungo percorso nella moda è tornato alla sua passione di bambino, le auto, creando un nuovo approccio al car-detailing, fatto di innovazione e tecniche manuali inedite. Si occupa di lucidatura per concorsi e privati, di tutto ciò che serve per preparare una macchina al meglio per un palco o il garage del collezionista. Dopo un trattamento di car detailing di Marcello, le vetture raggiungono livelli estetici altissimi. Grazie alle luci a led, nessuna imperfezione può sfuggirgli e può analizzare nei minimi particolari l’estetica e lo stato di manutenzione. Per lui ogni buon proprietario lava la sua auto rigorosamente a mano, perchè rulli e spazzole non sono sufficientemente delicati.
Emanuele, chiamatelo Ema, meccanico che da oltre 30 anni segue le riparazioni e le preparazioni delle auto. Se il motore è il cuore della macchina, allora lui è il “cardiologo”. La prima cosa che nota in un motore è la pulizia, anche in termini di tubature. Per lui un vero appassionato è chi si confeziona la macchina a proprio uso e piacimento. Per conquistarlo, occorre prima di tutto dimostrare di conoscere bene il motore della propria auto.
Vicky, pilota ma soprattutto “una donna al volante”. Corre in macchina da quando ha 15 anni, attualmente è l’unica pilota italiana nella W Series. La sua passione è nata per gioco. Quando aveva 8 anni suo padre ha comprato un gokart al fratello e lei ha deciso di provare. Così la guida è diventata una passione e poi un vero lavoro. La velocità la fa stare bene e per lei una macchina deve soprattutto essere divertente da guidare. Nel giudicare una persona, Vicky parte da come si siede in macchina, che posizione assume, come allinea gli specchietti... Senza tralasciare la partenza e la posizione delle mani durante la guida.
Cortesie per l’auto (9 episodi x 60’) è prodotto da NonPanic Banijay per Discovery Italia. La serie sarà disponibile in anteprima su Dplay Plus dal 6 aprile e successviamente su Dplay (sul sito dplay.com – o su App Store o Google Play). MOTOR TREND è visibile al Canale 59 del Digitale Terrestre, su Sky Canale 418 e Tivùsat Canale 59.

Francesco Wolf ne "Il paradiso delle signore": la cultura aiuta a calarsi nei personaggi. L'intervista

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È un anno fortunato per Francesco Wolf, attore con esperienze in Teatro, al cinema e in televisione. Volto de Il Paradiso delle Signore, per via del personaggio di Franco Cecchi, l’uomo ha anche una società di produzione che porta anche in scena degli spettacoli dall’interesse culturale e sociale. Gli amanti delle soap lo ricorderanno senz’altro anche per il ruolo di Dario De Martini, lo psicopatico serial killer di Un Posto al Sole. L'abbiamo intervistato.
Ciao Francesco, com’è stata la tua esperienza a Il Paradiso delle Signore?
“Bellissima. Mi hanno accolto tutti nel migliore dei modi, anche perché si chiedevano che volto avesse Franco Cecchi, il personaggio che ho interpretato. La moglie Paola, interpretata da Elisa Cheli, lo nominava da due anni, ma nessuno l’aveva mai visto, tant’è che si chiedevano addirittura se esistesse. Ho instaurato un buon rapporto con tutti, il primo giorno di set era come essere all’interno di una grande festa. Lì ho ritrovato anche Marta Richeldi, che a Il Paradisoè Silvia Cattaneo. Stavamo facendo una tour teatrale insieme, dove lei prestava il volto alla mia fidanzata, prima che venisse presa nella soap. Ci siamo rincontrati ed è stato un piacere”.
C’è qualcosa che ti affascina dell’epoca in cui è ambientata la produzione di Rai Uno?
“Sicuramente gli anni ’60, da sempre portatori di un’eleganza innata, che a me piace tantissimo. Sono affascinato anche dal modo di comportarsi differente che aveva la gente dell’epoca. La sobrietà che li contraddistingueva, esattamente come le storie del Paradiso”.
Quando hai deciso di fare l’attore?
“La passione è nata in me nel periodo delle superiori; quando mi sono iscritto all’Università, esattamente a Scienze della Comunicazione, ho frequentato in contemporanea anche il Teatro Stabile del Veneto. Ho seguito questo doppio percorso. Per me era importante definire anche un mio percorso umano, e non soltanto quello dell’artista. Credo che la cultura, la conoscenza, ti aiuti anche a calarti meglio nei vari personaggi che un attore deve interpretare”.
So che sei fidanzato, giusto? Oltre a lei, quali sono le altre tue “passioni”?
Sì, sono fidanzato. Per quanto riguarda le mie passioni, posso dirti che mi piace molto la fotografia. È un amore che ho ereditato da mio padre. Per un periodo sono anche stato indeciso; non sapevo insomma se fare l’attore o il fotografo, attività per cui ho frequentato anche dei corsi. Per il resto, mi piace sicuramente fare sport: dallo scii al tennis, passando per il basket, di cui sono addirittura un tifoso. Poi c’è la Milk, la mia società di produzione che ho fondato con gli amici Alberto Rossetto e Mario Struglia. Ci dedichiamo principalmente alla produzione audio, ma trattiamo anche spettacoli teatrali. L’ultimo è stato dedicato alla vita di Liliana Segre”.
Veniamo ai tuoi precedenti lavori… quali ricordi maggiormente?
“Sicuramente il serial killer Dario De Martino di Un Posto al Sole. Un nerd, a tratti inquietante, che ha affascinato molto il pubblico. In tanti, mi chiedono quando verrà liberato, visto che il personaggio non è morto, ma in galera. Di recente ho fatto anche parte del cast del film 18 regali, con protagonisti Edoardo Leo, Vittoria Puccini e Benedetta Porcarioli. Interpretavo la parte dello psicologo della Puccini. Storia molto bella, dove la donna - una volta scoperto di dover morire - ha deciso di fare regali alla figlia dal 1° al 18° anno di età, per farle sentire sempre la sua presenza. Ho anche un piccolo rimpianto: ero stato scritturato per un film con Pierce Brosnan, ma per problemi vari non è stato più girato. Da poco c’è stato anche un piccolo ruolo nella prima puntata di DOC – Nelle tue Mani, la fiction con Luca Argentero”.
Speri di trattenerti molto nel cast del Paradiso?
“Beh, perché no? Adesso non so dare una risposta, magari ci sarà la volontà di sviluppare il personaggio di Franco Cecchi, un uomo buono ma estremamente geloso della moglie Paola, di cui è innamoratissimo. Le produzioni adesso sono un po’ tutte un “work in progress” per via della situazione Coronavirus. Tutto dipenderà anche da quello. Anche io ho dovuto momentaneamente mettere da parte alcuni miei progetti. Speriamo che tutto si risolva, per il meglio, molto presto”.

Racconti in quarantena: Bettina

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di Mario Narducci - Fosse stata ancora tra noi e se la Cattedrale fosse già stata ricostruita dopo il terremoto del 2009 che distrusse L'Aquila; e se la pandemia non ci avesse costretti tutti in casa, anche al termine di questa Quaresima fatta di città deserte e restrizioni, Bettina l’avremmo incontrata di sicuro là, alle cerimonie in Duomo della Settimana Santa che sfocia nel giubilo pasquale, magari a cantare l’exultet con la corale di Sant’Antonio di cui faceva parte.
L’avremmo allora vista in prima fila, piccola e rotondetta, fasciata per l’occasione in un completino nero, i capelli a caschetto, la voce inconfondibile anche nella coralità dei fiati.

Bettina era come il prezzemolo, l’avresti della onnipresente, ma solo un po’ meno del Padreterno che è in cielo, in terra e in ogni luogo, mentre Bettina era in ogni luogo soltanto. Se glielo facevi notare si schermiva con il suo perenne sorriso, mai pieno perché si portava addosso le pene di una vita che con lei non era stata benigna. In qualunque Chiesa capitassi per una liturgia particolare, lei era là. Partecipavi ad un evento istituzionale e la incontravi. Il calendario invitava da qualche parte a un appuntamento culturale, e la vedevi apparire con la sua aria che stava al mezzo tra il soddisfatto e lo scusate tanto.

Lei era come quei fiori dei tigli che stanno nei viali e che a tempo giusto ti raggiungono con il profumo intenso e gli sbuffi di ovatta che penetrano in ogni dove, per le narici e fin dentro i vestiti. La gente la chiamava per nome come una persona di casa, non lesinando attenzioni e confidenze, anche se lei non aveva mai imparato a scrivere, pur avendo appreso dalla vita a far di conto. Aveva infatti, la saggezza delle stagioni, e il candore di chi mai si è prestato, anche se inconsciamente, ai marchingegni astrusi della malizia. Non sapeva quale fosse e dove fosse il male. Tutto ciò che la circondava e la toccava era pulito per lei: “omnia munda mundi” (tutte le cose sono pure per il puro), anche se non sapeva di latino.

L’autobus gran turismo viaggiava quell’anno, verso la Spagnaper una gita organizzata che ci avrebbe condotto dalla Catalogna all’Andalusia. Il rollio del bus fu sovrastato da una voce alta e appena arrochita che si trascinò dietro il coro dei gitanti in un’allegra canzone popolare a doppio senso: “...era lì che voleva volare, l’uccellino della comare”. Non vedevo a chi appartenesse quella voce, che sparse allegria a piene mani, come semente rara. Fino a che apparve lei, che per tutti gli anni che è stata tra noi, sempre dopo la voce giungeva: la voce che era stata il grande dono della sua vita.

Bettina per anni e anni si era portato dietro un grande dolore, del quale le rimase ombra per sempre: abbandonata dai genitori appena nata, non seppe mai chi furono anche se non smise mai di pensarli, cercarli no, che era cosa assai più grande di lei. Cresciuta in un istituto, se ne affrancò appena possibile, quando trovò occupazione come lavorante nell’ospedale cittadino. La ricordano ancora, laboriosa, attenta, servizievole, allegra. Nonostante un aspetto fisico che non le rendeva giustizia.

“Per anni e anni, confidò un giorno a mia moglie, mi sono chiesta perché: perché i miei genitori mi abbiano abbandonato, perché sono così piccola, sgraziata, perché sono sola, poi ho pensato alle sofferenze di Gesù, e me ne sono fatta una ragione. Mi voglio anche bene come sono, perché mi vedo amata dagli altri per quello che sono”. Un anno prese posto nel mio scompartimento, sul treno bianco che ci portava a Lourdes. Lei andava come volontaria dell’Unitalsi e le maggiori attenzioni le prestava ad altri svantaggiati ospiti di case famiglia, con i quali era pienamente in sintonia perché della stessa innocenza. Quando pregava, davanti alla Grotta di Massabielle, sembrava parlasse davvero con la Vergine apparsa a Bernadette.

A tavola ritornava l’allegra ragazza che era, attenta agli altri e curata nella persona. Vestiva come una bambola, abitini lindi con trine e ricami alle bluse e agli immancabili jeans, se c’era il sole un cappello di paglia, perfino le scarpe, sovente da tennis e dai colori pastello, “sbrilluccicavano” di perline che lei stessa applicava. Procedeva a piccoli passi, con l’andatura a saltelli dei minimi. Profumava di lavanda e di fiori, come la casetta piccola piccola che le era stata assegnata dopo il terremoto e alla quale un giorno l’accompagnai in auto. Viveva da sola. La casa era il suo rifugio, ma la sua vita era fuori, dovunque la portassero gli eventi, tra la gente che l’amava, le gite, nel coro dove a voce spiegata proclamava la sua libertà.

Una brutta caduta la condusse in ospedale e se la portò via il giorno di Natale, senza darle il tempo di fare in casa il piccolo presepe e di baciare il Bambino in Chiesa nella notte Santa. I giornali scrissero che aveva ottant’anni. Ma era soltanto Bettina
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Coronavirus, Luis Navarro e la sua melodia di speranza per il mondo

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Novità in vista per Luis Navarro. Negli scorsi giorni, il cantante ha infatti pubblicato su tutti i suoi social network la canzone “Mare Mia”, che ha cantato con il maestro Carlo Feola, che l’ha accompagnato al pianoforte. Scritto e interpretato da Diana Navarro, un’artista che Luis apprezza particolarmente, il brano è un’Ave Maria in castigliano che ha come obiettivo quello di rincuorare gli italiani, gli spagnoli e tutti i paesi del mondo che, in questo momento storico, stanno lottando contro l’emergenza legata al Coronavirus.
Cosciente del fatto che si può essere vicini anche stando lontani, Navarro spera che tutti quanti scelgano di restare a casa per prendersi cura di se stessi e degli altri. Un mezzo per “riunirsi” può quindi essere la musica, un grande strumento capace di scalare le montagne e di attraversare mari per arrivare al cuore di tutti.
Nato a Caserta, Luis Navarro ha vissuto la sua adolescenza a Marcianise. Ha cominciato a suonare il pianoforte a soli 6 anni. Il suo esordio televisivo è avvenuto nel 2002 a Domenica In, condotta in quell’edizione da Mara Venier e Carlo Conti. In seguito, ha partecipato ad Amici, anche se nel suo curriculum di cantante ci sono anche l’Accademia di Sanremo e il Girofestival. Assolto il compito Direttore artistico del Music Festival di Capua, Navarro è poi diventato il Direttore artistico del Marcianise Festival Pop. Nel 2016 ha presieduto persino il Festival di Bacoli. Il tutto. Ha gestito un’etichetta discografica a Marcianise a nome Key Music. Il suo stile musicale prevalente è senz’altro il Latin-Pop, che ha potuto approfondire in un’esperienza in Spagna che ha eseguito nel 2011. Il suo primo album è stato pubblicato nel 2010, intitolato Otra Vez Besame e pubblicato dall’etichetta Sangre90 Music. Su Instagram, dove è molto seguito, ha circa 9.500 follower

Io Comunque sono Paola, all'autobiografia di Paola De Nisco il Premio Città di Cattolica

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Un libro autobiografico di Paola De Nisco "Io Comunque sono Paola" ha vinto il Premio di merito città di Cattolica 2020 Pegasus  Literary Awards.

Una grande manifestazione conosciuta a livello internazionale conosciuta a livello internazionale per la qualità dei contenuti, una kermesse che si occupa di rilanciare la cultura letteraria stimolando la creatività dei giovani e dei meno giovani.
L’esperienza di Paola (o comunque della protagonista) viene descritta a trecentosessanta gradi: la parabola dell’amore, un amore intenso, sofferto, spregiudicato, incurante delle regole e dei condizionamenti esterni, sembra essere un po’ il cuore della trama. La figura contrastata e contrastante di Carlo, quella tragica e penosa di Alessandro, i compromessi sentimentali, i tradimenti si alternano al racconto dell’impegno politico e sociale della protagonista, che imbocca non di rado il tunnel dell’incomprensione e della disillusione, come nel passaggio dalla prima alla seconda repubblica che si rivela tutto sommato abbastanza deludente rispetto alle aspettative. Resta alla fine il caparbio desiderio di rivendicare il diritto di scegliere, che comunque è un’arte che si impara Con il tempo e con le esperienze, soprattutto quelle negative.

E ancora la volontà irrefrenabile di dimostrare, a se stessi più che agli altri, che si è in grado di fare grandi cose, combattendo con tenacia la tentazione di cedere a una “tranquilla disperazione”. Ma ecco che nella parabola della narrazione si ritorna alle radici e allora le persone, i genitori, i nonni, le cui figure erano state tratteggiate dalla nostra Paola all’inizio, ritornano in primo piano assumendo contorni ben precisi e gettando luce anche sulla vita della protagonista. In particolare, la figura della madre, vittima di una profonda depressione che costringe tra l’altro la stessa figlia a vagare per ritrovare una sistemazione esteriore e un equilibrio interiore, tocca il punto forse più patetico del libro.

Ed anche quella della nonna, il cui tenero ricordo si materializza nell’ “orologio magico” lasciato in eredità alla nipote. Non meno interessanti le figure degli uomini che la protagonista ha amato e delle amiche con le quali ha condiviso pensieri, esperienze, tradimenti. Una curiosa notazione personale, che l’autrice spero mi consentirà: leggendo queste pagine mi andavo a mano a mano accorgendo di essere un po’ l’esatto contrario della protagonista: lei, libera in tutte le sue espressioni, io legato a mille condizionamenti e conformismi in tutti i campi; lei, ribelle dal profondo soprattutto contro le ingiustizie e le discriminazioni; io, remissivo e tollerante fino all’esasperazione; lei, ostile ai compromessi politici e al moderatismo perbenista; io convinto democristiano (ancora oggi); lei, circondata da una famiglia numerosa e abituata a cercarsi da sola un briciolo d’amore; io, figlio unico viziato ed esonerato da ogni e qualsiasi responsabilità.

Un libro scritto con tanto cuore.
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