Quantcast
Channel: Fattitaliani.it
Viewing all 37191 articles
Browse latest View live

Cammina davanti all’Ombra, la dolorosa storia di Gianni Lovera

$
0
0
Ci sono storie che restano per anni chiuse nei cassetti della memoria, inaccessibili, nascoste. Sono storie che vengono sigillate nell'inconscio per difenderci dal dolore. La storia di Gianni Loveraè una di queste; dolorosa al limite della sopportazione, è rimasta sepolta per anni sotto sconfitte, amarezze e delusioni.
Finché il suo vecchio amico Gian Maria Aliberti Gerbotto ha intuito l'importanza di questa vicenda e l'ha portata alla luce. Cammina davanti all'ombra: Gianni è solo un ragazzo quando se ne va di casa per la prima volta, lasciando la famiglia e la sicurezza di una vita agiata, insofferente alla severità di sua madre e alle troppe assenze di suo padre. Sono i suoi genitori adottivi, e lui lo sa, è stato informato fin da subito, con amore e tenerezza. L'adolescenza, però, è l'età della ribellione e Gianni non riesce vedere l'amore nei gesti severi e autoritari dei suoi genitori, soltanto il controllo. Per questo fugge, si rifugia in un modo di barboni, di sbandati, per cercare libertà e indipendenza. Quello che non sa è che questa fuga sarà soltanto uno degli innumerevoli inizi, una delle infinite prove e delusioni che la vita gli riserverà. Il suo percorso per conquistare la serenità sarà disseminato di ostacoli, sempre più duri e insidiosi, che lo porteranno a un passo dall'arrendersi. Saranno una trasmissione televisiva e l'incontro con un personaggio tanto conosciuto quanto sensibile a condurlo verso la verità del passato, perché possa finalmente costruirsi un futuro. Una storia vera. Un'autobiografia a quattro mani, che si legge come un romanzo.



Su RAI1 “Assassinio sull’Orient Express” mercoledì 18 marzo. La recensione

$
0
0

di Andrea Giostra 

“Murdered on the Orient Express” (2017) di Kenneth Branagh su Rai 1 mercoledì 18 marzo 2020 alle 21:25 su Rai 1. Con questo bellissimo film, trasmesso in chiaro dalla Rai, Kenneth Branagh si rivela il vero grande talentuoso mattatore di questa ennesima, ma assolutamente interessante, rivisitazione cinematografica del best seller di Agatha ChristieMurdered on the Orient Express” pubblicato in Inghilterra il 1° gennaio del 1934da quella che fu un’importantissima casa editrice britannica specializzata in novelle e racconti di crimini, in particolare “new crime books”, ovvero la “Collins Crime Club”.
Sono passati 86 anni, e la narrazione, seppur con una sceneggiatura rivisitata e resa aderente ai giorni nostri, rimane catturante e ipnotizzante come un vero giallo deve essere. Il film è da vedere, su questo non ci sono dubbi. Gli attori sono tutte delle star strepitose ed arcinote nel modo della settima arte, e ognuna di loro interpreta la relativa parte con un’efficacia recitativa da standing ovation. Tenere insieme un’intera squadra di fuoriclasse per vincere la Champions, non è impresa facile per nessuno. Qui il risultato è eccellente, e anche di questo il merito non può che andare a Branagh. La fotografia è veramente bellissima e i paesaggi risultano molto aderenti ad una narrazione “gelida” e intelligente. La colonna sonora è poderosa e sintonica con il susseguirsi delle scene e con i ripetuti ed incalzanti flashback, e si conclude con il bellissimo “Never Forget” cantata da Michelle Pfeiffer in onore di Kenneth Branagh. Ed anche per questo il film è da vedere.
Dicevamo di Kenneth Branagh, grandissimo attore teatrale shakespeariano di eccellente talento, che nel film riveste i tre ruoli più importanti: produttore, sceneggiatore, regista. E questo basta per comprendere il peso nel film di questa vera grande star cinematografica e teatrale. Un film che per certi versi appare allo spettatore come una rappresentazione teatrale proiettata in una sala cinematografica. E anche questo ci sta, considerata la formazione culturale e artistica di Branagh.

Sinossi:
Dopo un incarico a Gerusalemme portato a termine con grande successo, Hercule Poirot (Kenneth Branagh) decide di riposare un po’ concedendosi una breve vacanza. Quale migliore occasione che chiedere al suo amico e ammiratore Bouc (Tom Bateman), direttore dell’Oriente Express, di prenotargli un posto sul famosissimo treno? Durante il viaggio viene commesso un omicidio. Lo stesso Bouc prega Poirot di risolvere il caso prima che intervenga la polizia locale e possa incolpare uno qualunque dei passeggeri, magari mosso da pregiudizi razziali. Subito dopo l’assassinio, il treno rimane bloccato in un altissimo ponte in legno sospeso in una scarpata impressionate. Il nostro detective avrà tutto il tempo per trovare l’assassino, prima che arrivino i soccorsi per liberare il treno dalla neve. L’indagine è incalzante, avvincente, intrigante, perspicace, come in tutte le storie di Agatha Christie. Ma questa è un’altra storia da vedere nelle sale cinematografiche perché il finale, come in tutti i romanzi gialli, è sorprendente, anche per il lettore che avrà già letto il romanzo originale, anche per lo spettatore che avrà visto una precedente produzione cinematografica.

Rai1
Scheda IMDb:
Andrea Giostra FILM:

ANIM, "RADICI" PUBBLICA LE STORIE E LE BIOGRAFIE DEGLI ITALIANI NEL MONDO

$
0
0
L'Associazione Nazionale Italiani nel Mondo-ANIMwww.associazioneitaianinelmondo.it, che mi onoro di presiedere, intende realizzare una mia vecchia aspirazione: conoscere come vivono gli italiani nel mondo. Un doveroso riconoscimento a tanti italiani, che attualmente vivono all'estero, di ogni età e condizione sociale ed economica. "Radici", la testata dell'ANIM, pubblicherà le storie d'emigrazione e le biografie degli italiani nel mondo che saranno recapitate in redazione.

Per gli oltre 5 milioni di connazionali residenti all’estero sono raccolte in questa sezione le informazioni relative alle attività che il MAECI e la rete diplomatico-consolare svolge in favore delle collettività italiane nel mondo. Sono, inoltre, riportati in queste pagine le informazioni relative ai servizi consolari cui possono accedere, in particolare, gli italiani che si trovano o risiedono all'estero.
Sono oltre cinque milioni di connazionali iscritti all'Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero (AIRE), molti di più sono i nostri connazionali, soprattutto giovani, che da meno di dieci anni vivono in un Paese diverso dall'Italia. Alcuni si iscrivono alle liste dei vari comuni di residenza, ma di fatto, confrontando i dati, i conti non tornano mai. Non esistono cifre né stime attendibili che ci possano dire quanti sono gli italiani residenti a tempo determinato o indeterminato fuori dai confini nazionali. I giovani che tutti gli anni abbandonano a migliaia il Belpaese sono un fenomeno sconosciuto e incontrollabile, anche per lo stesso Ministero degli Esteri. 
E’ noto che gli uffici AIRE dei Comuni italiani non sono aggiornati, in quanto chi parte non dichiara di partire e quando giunge a destinazione non si reca alla sede consolare per dichiarare di essere arrivato. Le stime attuali dicono che oltre 5 milioni sono ancora in possesso di passaporto italiano e residenti all’estero e pertanto con diritto di voto dunque sono a tutti gli effetti ‘ elettori’. Ho sempre avuto a cuore il problema degli italiani nel mondo ed era da molto tempo che volevo lanciare questa iniziativa per chi da anni o da pochi mesi non vive più in Italia. Desidero conoscere le vostre storie: come emigrato, ex  emigrato, che lavoro fai, cosa studi, le tue aspirazioni, i tuoi successi e le tue delusioni.
Chiedo a voi ‘italiani nel mondo’, se fate parte di questa comunità in costante aumento, o avete intenzione di farlo, scriveteci i vostri dati e raccontateci la vostra storia, i motivi che vi hanno spinto all’espatrio, i luoghi in cui avete vissuto e le ragioni per cui avete deciso di rimanere o le motivazioni grazie alle quali fareste possibilmente ritorno in patria.
Sarei molto felice di pubblicare le vostre storie, che siate siciliani, pugliesi, abruzzesi, laziali, liguri, friulani, trentini, bellunesi, lombardi ecc., tutti avranno spazio per le loro storie. Le vostre storie saranno pubblicate sul nostro giornale RADICI, www.progetto-radici.it e sul sito www.associazioneitalianinelmondo.it
Antonio Peragine
direttore RADICI
Inviate la vostra storia a RADICI: ufficiostampa@progetto-radici.it

Dario La Rosa, il 9 aprile esce "Cous cous blues", primo vero lavoro editoriale del giornalista palermitano

$
0
0
La Sicilia come non l’avete mai letta. Un giornalista di Palermo che appassiona fin dal suo esordio.
Esce il 9 aprile nelle librerie italiane Cous cous blues, primo vero lavoro editoriale del giornalista palermitano Dario La Rosa. Scritto interamente al cellulare e ricco di profumi, scorci e sapori che solo la Sicilia sa donare, il libro è un concentrato di ironia e leggerezza in stile “giallo”.
E il suo personaggio, Iachìno Bavetta, è già pronto a farsi amare per la sua sincerità e la voglia di creare uno spirito di “famiglia”. Iachìno Bavetta è un giornalista di satira. Ha appena fondato la rivista Ulapino, quando una morte improvvisa colpisce proprio il proprietario del mezzo a tre ruote avuto in prestito per lanciare la pubblicazione. Con il compare Gerlando, Iachìno si trova quindi invischiato in un intrigo da risolvere. In mezzo ci sono i profumi di Palermo, dei vicoli e del mare, uniti alle gustose ricette che ama preparare alla sua donna, Carmela, e ai suoi due figli. Dalle strade di Palermo alle limpide acque di Favignana per una pasta coi ricci e un nuovo caso da risolvere il passo è breve, sino ad arrivare a un borgo di montagna in cui volano i grifoni e si produce una salsiccia al pepe rosa. Con il suo fidato bassotto Arturo, un pizzico di fortuna e tanta ironia Iachìno cerca di far luce su omicidi e stranezze di cui la Sicilia è ricca. Dario la rosa ci racconta la sua Sicilia ricca di profumi, misteri e tanto buon cibo. Attraverso i tre racconti, che vedono lo stesso protagonista al centro dei tre misteri, l’autore ci porta con lui alla scoperta dei vicoli di Palermo a bordo del folkloristico lapino, dei fondali del mare che circonda Favignana e la famosissima Cala rossa, dei boschi dei Nebrodi e della loro popolazione di Grifoni. 
L’autore: 
Dario La Rosa, nato nel 1980 a Palermo, è giornalista. Ha pubblicato per diletto racconti e altri scritti. Cous Cous Blues è il suo primo vero lavoro editoriale. Con lopseudonimo Pablo Dilet si occupa di comunicazione per l’ambiente e tematiche sociali con il linguaggio dell’arte contemporanea. È già al lavoro per tornare a far vivere sui libri il personaggio di Iachìno Bavetta. 
Titolo: Cous cous blues 
Autore: Dario La Rosa  
Editore: bookabook - Prezzo: 14,00€ 
Disponibile in e-book Pubblicazione: 9 aprile 2020 
Link social: 
https://www.instagram.com/dariolarosa0/ / https://www.instagram.com/bookabook_it/

Fattitaliani intervista Mara Dimetto, consulente d'immagine con una marcia in più

$
0
0

di Laura GoriniIl corpo parla e dobbiamo imparare ad ascoltarlo.
Durante questo periodo di quarantena è bene prendersi cura di noi stessi e di capire i veri valori della vita. Staccare la spina, cercare quando e qualora possibile, di rilassarsi, di fare qualcosa che a causa delle vita frenetica delle scorse settimane non riuscivamo a fare, o ancora dedicarsi alla lettura, alla visione di film e - perché no - al nostro aspetto esteriore con piccoli, ma assai efficaci, rimedi casalinghi. A parlarcene è la consulente d'immagine, residente a Sirmione (BS), con studio sito però a Lonato Del Garda (BS), Mara Dimetto, che attualmente collabora con la testata nazionale Così, parlando di Bellezzain toto.
Mara, a causa dell'epidemia del Coronavirus e dello stato di emergenza che anche il nostro Paese sta vivendo, non possiamo usufruire di parrucchieri, estetisti o consulenti d'immagine, andando nei loro negozi. Come possiamo comunque prenderci cura della nostra persona per il Bene anche psicologico della nostra mente?
Il momento è impegnativo, difficile. Occorre assolutamente essere responsabili. È nostro dovere, per noi, per le persone che amiamo, per chi non conosciamo e non ci conosce, restare a casa. Come possiamo gestire il nostro tempo? Credo che in questa particolare esperienza che stiamo vivendo, occuparci un po’ di noi stesse sia un’occasione unica da non perdere. Il tempo per noi manca un po' troppo spesso; siamo sempre di corsa tra il lavoro, una lavatrice, la cena, i compiti dei figli, e così arriviamo a sera che non vediamo l’ora di andare a letto! Quindi, perché non approfittare del momento? Come fare? È questione di organizzazione! Siamo tutti a casa, quindi lasciamo i bimbi al papà e prendiamoci un’ora tutta per noi! Restare un po’ soli con noi stessi credo ci faccia solo del bene.
Come possiamo, con pochi gesti, “mantenere in forma” anche la nostra mente? Qualche suggerimento al riguardo?
Imparare a restare calmi e a non preoccuparci non per tutti è facile, soprattutto a causa dei Media che ci informano continuamente del pericolo. Potrei suggerire di spegnere la TV, mettere della musica rilassante e fermarsi ogni tanto a respirare con occhi chiusi. Immaginare di essere in un luogo che amiamo: in montagna, sul lago, o in un parco ed entrare in quell’immagine; quindi respirare e “restare lì per un po’”. La meditazione può aiutare ad alleggerire la mente. Ci sono varie applicazioni o video che ci aiutano in questo. Approfittiamone anche per imparare qualcosa che non avremmo mai fatto in altri momenti!
Ma è vero - secondo te - che se mentalmente non “stiamo bene” e, come si dive in gergo, “ci buttiamo giù”, il nostro aspetto esteriore ne risente? Quali sono i primi segnali in tale direzione da cercare di non sottovalutare?
Verissimo! I primi segnali possono essere dei giramenti di testa, stanchezza, ansia o una postura che si piega su sé stessa, ma è solo la paura che prende il sopravvento. Questo ci rende più seriosi, il viso risulta “tirato”, le rughe sulla fronte si mettono in evidenza e la schiena si tende in avanti. Il corpo parla e dobbiamo imparare ad ascoltarlo!
Certamente per via della preoccupazione la pelle del nostro viso ne risente. Qualche consiglio casalingo per renderla “luminosa”?
Un consiglio semplicissimo: iniziamo da uno scrub leggero, da effettuare però solo una volta la settimana. Per realizzarlo utilizziamo un cucchiaino di bicarbonato mescolato a una tazzina di latte. Il bicarbonato ha un effetto astringente, purificante, sbiancante, elimina i punti neri e riequilibria le pelle. A questo punto massaggiate delicatamente il viso, quindi sciacquate e applicate una maschera fai da te creata con 2 cucchiai di yogurt, un cucchiaino di succo d’arancia e un pezzettino di banana. Lasciate in posa 15 minuti ed ecco fatto! Pelle pulita e luminosa assolutamente garantita!
E per la pelle invece del nostro corpo, che cosa ci consigli di fare? La cellulite come si può contrastare anche a casa nostra?
In questi giorni approfittiamo della situazione per prenderci cura di noi! Cellulite vieni a me! Che ne dite di un caffè? Il classico rimedio della nonna! Utilizziamo il caffè macinato, non i fondi, perché ormai hanno perso le loro proprietà. Mescoliamolo a 2 cucchiai di miele e a un po’ di olio d’oliva, ed ecco fatto: esfoliante da massaggiare e da lasciare in posa avvolgendovi nella pellicola! (vostro marito dirà “Al cartoccio, pronta da infornare!”). Il caffè ha, in effetti, proprietà antiossidanti, drenanti e combatte i radicali liberi. La caffeina contenuta nel caffè aiuta a dilatare i vasi sanguigni, migliorando la circolazione venosa, mentre l’azione del massaggio esfoliante aiuta l’eliminazione di cellule morte, migliorando così l’aspetto del tessuto. Inoltre un miglior flusso di sangue è d’aiuto nel drenaggio dei liquidi in eccesso.
Mani e piedi: sono ancora validi i consigli della nonna come l'olio d'oliva per rendere/renderli morbidi?
Sì, a patto che sia olio extra vergine di oliva dalle proprietà idratanti ed emollienti. Per avere ottimi risultati, un impacco prima di andare a dormire, o magari mentre si guarda un film, comodamente coccolate sul divano, avvolgendo le mani e i piedi nella pellicola e poi in un guanto di cotone in modo che l’olio abbia tutto il tempo di agire in profondità.
Qualche dritta per una manicure/pedicure casalinga perfetta?
Il limone per avere pelle luminosa e priva di macchie. Passare sulle mani un cucchiaino di bicarbonato mescolato a mezzo limone: otterremo un effetto sbiancante e riequilibrante. Per chi è abituata a fare lo smalto semipermanente o il gel, consiglio di tenere frequentemente le unghie accorciate con una lima di cartone e di non tagliarle, in modo che non si rischi una rottura dell’unghia, che sarebbe abbastanza dolorosa, quindi procedete ad applicare uno smalto trasparente o del colore del gel per permettere ad esso di non sollevarsi col passare dei giorni. Inoltre è bene nutrire ogni giorno il contorno delle unghie alla matrice per mantenerle morbide: del resto, più si evita la secchezza e più si mantengono in ordine.
Un rigenerante scrub per i piedi con sale marino da cucina mescolato ad un po’ di olio d’oliva e poi via in ammollo in un bel pediluvio sempre la sera stando sedute sul divano. Trascorsi venti minuti, tamponateli e passate una pietra pomice o una callima per migliorare l’effetto levigante. E poi un piacevole massaggio ai piedi con un po’ di burro di Karitè, lo vogliamo chiedere al nostro compagno? Una coccola in più ci sta in questi giorni!
Tuttavia a preoccupare le donne sono anche i capelli, perché la piega settimanale dal è proprio parrucchiere è quasi per tutte un appuntamento praticamente fisso. Qualche consiglio per non rovinare le proprie chiome con lavaggi e pieghe casalinghe?
Non possiamo uscire a comprare quella maschera nutriente che abbiamo terminato? Nessun problema! Bastano qualche cucchiaio di olio d'oliva o mandorla, un uovo (o la polpa di ½ avocado), quindi mescolare il tutto con un cucchiaino di miele e lasciare in posa per 15 minuti dopo aver lavato i capelli. Risciacquare e... Magia! Capelli morbidi e lucidi senza uscire di casa!
Infine, con quale augurio vuoi salutare i nostri lettori e, in particolare, le nostre lettrici?
Con un augurio di mantenere la serenità. In questo momento è necessario restare fuori dal mondo ma entrare in se stessi. Ognuno di noi ha un compito: prendersi cura di se stesso! La calma rafforza le difese immunitarie. È solo un periodo, passa in fretta e andrà tutto bene. E se voi iniziate a pensare che va già tutto bene, vi sentirete meglio. Un abbraccio a tutti!



Intervista a Irene Losito, scrittrice, lifestyle blogger, social media manager

$
0
0

«La scrittura deve arrivare al cuore del lettore. Essere in grado di emozionarlo, di farlo riflettere, di dargli stimoli necessari ad approfondire e migliorare le concezioni personali.» diAndreaGiostra.

Ciao Irene, benvenuta e grazie per avere accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori? 
Ciao Andrea, sono io a ringraziarvi, di vero cuore. Come presentarmi? Sono essenzialmente un operatore olistico a cui la Mindfulness ha salvato la vita. Meditare e portare consapevolezza nella quotidianità mi permette di vivere in armonia, serenamente. Amo condividere tutto ciò con altre persone. Di sicuro non potrei rinunciare alla scrittura, non riuscirei a farne a meno. Scrivere è per me un’esigenza interiore oltre che un’esperienza catartica che mi ha permesso di superare i momenti esistenziali più difficili. Sono anche appassionata di fisica quantistica. 
Chi è Irene nella sua professione artistica quale scrittrice, lifestyle blogger, social media manager? Ci spieghi questa tua triplice identità creativa? Come nasce e quale la tua mission? 
Dopo esser stata vittima di stalking per due anni, ho deciso di dar vita ad un blog attraverso il quale poter entrare in contatto con altre donne. Avevo bisogno di condividere i miei pensieri, inizialmente. Poi il nuovo stile di vita che andavo ricostruendo. Perché le esperienze di violenza ti cambiano, inevitabilmente. Lasciandoti segni addosso. E poi devi ricominciare da zero. A riunire con gentilezza ed amore tutti i tasselli sopravvissuti al disastro. Successivamente è nata la pagina Facebook. I social network sono una vetrina importante. Offrono la possibilità di raggiungere tantissime persone. Quindi ho deciso di muovermi su entrambi i fronti. Attualmente attorno a “Metamorfosi di una farfalla” ruota una community attiva di oltre 7100 followers. Con loro condividiamo pensieri e riflessioni ma anche percorsi pratici e strategie di sopravvivenza utili a rendere più consapevole e felice la rinascita. Mentre affrontavo il processo a porte chiuse, in quegli anni interminabili, pensavo alle tante donne più fragili di me che avrebbero dovuto faticare il doppio per affrontare un calvario simile. Non ho mai voluto essere accompagnata alle udienze. Ho affrontato tutto da sola perché la mia sensibilità mi diceva che quei momenti tremendi non sarebbero stati facilmente sopportabili dalle persone che mi vogliono bene ed ho tentato in ogni modo di tenerle quanto più possibile fuori. Mentre aspettavo l’inizio di un’udienza ho scritto la poesia “Stalker”che apre l’omonimo romanzo inedito. E ho giurato a me stessa che avrei fatto il possibile perché nessuna donna si sentisse più sola mentre affronta il percorso di rinascita. In questi giorni di quarantena siamo in contatto h24. Abbiamo fatto il pane insieme, stiamo organizzando momenti di meditazione di gruppo. Tra le mie follower ci sono donne sole che stanno vivendo questo isolamento forzato senza nessun tipo di affetto su cui poter contare. Ecco… sapere che entrano nella community e trovano l’augurio di una buona giornata, momenti di confronto e condivisione delle rispettive quotidianità, che se le piomba addosso un momento di profonda tristezza sanno di poter trovare qui il sostegno amorevole necessario, per me è una gioia indescrivibile. 
Chi è invece Irene Donna? Cosa puoi raccontarci di te, della tua quotidianità e delle tue passioni al di là dell’arte? 
Irene è una donna sensibile, dolce e fortemente empatica. Fragile quando le si toccano le cicatrici, testarda ed intollerante alle ingiustizie. Sono mamma di Rita, una splendida ragazza di quasi 17 anni. Mi occupo di imprenditoria digitale e nel tempo libero auto-produco più che posso. L’alimentazione naturale è alla base del benessere di ciascuno di noi. Bevo solo acqua, tisane, infusi e tè. Amo fare in casa il pane, dolci e biscotti per la colazione, la focaccia, i dadi per il brodo e tutto ciò che più mi ricorda le atmosfere genuine dell’infanzia, quando mia nonna con le sue mani esperte faceva miracoli. Adoro leggere, andare al cinema e a teatro. E trascorrere il tempo libero con le persone che amo. 
Ci parli delle tue opere e pubblicazioni? Quali sono, qual è stata l’ispirazione che li ha generati, quale è il messaggio che vuoi lanciare a chi li leggerà? 
Sono presente in numerose antologie di autori vari collegate ai premi letterari nazionali ed internazionali che ho vinto. E ho all’attivo una silloge“Piovimi dolcemente tempesta” edita da Montedit, (pubblicazione premio per essermi classificata prima al “Giro d’Italia delle poesie in cornice”) in cui ho raccolto le poesie nate nei miei anni più bui, quelli in cui l’amore potevo solo sognarlo. A breve uscirà il mio e-book: “Casi umani? No, grazie!”You Can Print Editore. È nato da un’idea scherzosa con le ragazze che mi seguono. Molte di loro, come me, devono fare i conti con la violenza che indubbiamente nasce dal NON amore. Credo che non potremo debellare la piaga devastante del femminicidiose non sapremo educare all'amore. Cos'è poi l'amore? In quanti lo sanno? Scambiamo altro per l'amore. Ecco che scherzando con le mie ragazze è nata l'idea dell'e-book. "Era l'amore mio!" Mi dicevano raccontandomi le loro storie finite male. "No, era un caso umano!"Replicavo ironizzando. L'ho scritto con l'intenzione di scherzare con loro, come ti dicevo, ma al tempo stesso di aiutarle ad aprire gli occhi. A chi lo leggerà garantisco tempo spensierato allietato da una sana ironia e generosi semi fecondi da far germogliare in pensieri e riflessioni secondo la sensibilità personale. 
Qual è la tua formazione accademica e professionale? Come hai maturato l’arte di scrivere racconti, storie, poesie, saggi…? 
La mia formazione scolastica è tutt’altro che umanistica. Mi son diplomata col massimo dei voti “Ragioniere e perito commerciale”. L’insegnante di italiano, professoressa Anna Grasso, però, ci formava come fossimo al liceo. Le devo tanto. È stata lei a spalancarmi le porte di quel mondo che poi sarebbe diventato la mia vita. Dopo il diploma ho conseguito diverse specializzazioni. Ho perfezionato le mie competenze digitali con Google e Iab Europe.Son diventata Organizzatore d’eventi con Event Media Education e Facilitatore in Mindfulness con Mindfulness Educators, riconosciuto dall’International Practitioners of Holistic Medicine (IPHM). Come ho detto prima, la scrittura è da sempre per me un’esigenza interiore. Maturata per legittima difesa, lasciamelo dire. 
Quali sono secondo te le caratteristiche, le qualità, il talento, che deve possedere chi scrive per essere definito un vero scrittore, un poeta? E perché proprio quelle? 
La scrittura deve arrivare al cuore del lettore. Essere in grado di emozionarlo, di farlo riflettere, di dargli stimoli necessari ad approfondire e migliorare le concezioni personali. Per essere un vero scrittore non basta certo avere all’attivo una pubblicazione. Così come per essere poeta non basta mettere in rima le parole. Si deve essere capaci di affidare un messaggio al lettore, di emozionarlo. Da cuore a cuore. Credo sia questo a fare la differenza. 
Perché secondo te oggi è importante scrivere, raccontare con la scrittura? 
È importante perché permette la condivisione con altri di una realtà personale che offre inevitabilmente modo di allargare o confermare le proprie vedute. In ogni caso consente di aprire la mente. Offre opportunità di crescita personale. E mai come adesso abbiamo bisogno di elevarci... 
Chi sono i tuoi modelli, i tuoi autori preferiti, gli scrittori che hai amato leggere e che leggi ancora oggi? 
Ti citerei innanzitutto Luigi Pirandello ed Alda Merini i cui libri ho divorato ai tempi della scuola. Pirandello mi ha fatto riflettere tantissimo. Alda Merini invece ha una poetica viva, intensa e profonda che ti scuote dentro. È stato un onore per me, lo scorso anno, classificarmi seconda ex aequo al premio letterario a lei dedicato. Tra gli scrittori contemporanei invece amo in particolar modo Massimo Bisotti che ho avuto l’onore e la fortuna di conoscere personalmente. Ha un’interiorità stupenda che traspare nei suoi libri. Leggendoli dimentichi tutto, arrivando a catapultare il cuore in una dimensione surreale. Attraverso le sue parole prendi coscienza di stati d’animo, emozioni e riflessioni che scopri ti appartenevano da sempre. “La luna blu”è tra i miei preferiti in assoluto. 
«Quando la lettura è per noi l’iniziatrice le cui magiche chiavi ci aprono al fondo di noi stessi quelle porte che noi non avremmo mai saputo aprire, allora la sua funzione nella nostra vita è salutare. Ma diventa pericolosa quando, invece di risvegliarci alla vita individuale dello spirito, la lettura tende a sostituirsi ad essa, così che la verità non ci appare più come un ideale che possiamo realizzare solo con il progresso interiore del nostro pensiero e con lo sforzo del nostro cuore, ma come qualcosa di materiale, raccolto infra le pagine dei libri come un miele già preparato dagli altri e che noi non dobbiamo fare altro che attingere e degustare poi passivamente, in un perfetto riposo del corpo e dello spirito.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905). Qual è la riflessione che ti porta a fare questa frase di Marcel Proust sul mondo della lettura e sull’arte dello scrivere? 
Bellissima riflessione. Ho sempre pensato che se le persone leggessero di più vivremmo in un mondo sicuramente migliore. Perché la lettura ti offre la possibilità di allargare gli orizzonti e guardare alle cose di sempre con rinnovata consapevolezza ed entusiasmo. Questo logicamente accade solo se fai buon uso della lettura. Ovvero se trasformi i libri in un trampolino utile ad elevarti. Il salto spetta a te, come è giusto che sia. Eh sì, scrivere è un’arte che si affina col tempo. Più sei pronto a metterti a nudo, più sei capace di intingere la penna nell’inchiostro del cuore, più riesci spontaneamente a donarti al lettore, senza barriere e senza maschere di sorta e più potrai esser certo di riuscire ad emozionare chi ti leggerà. Ecco, credo non ci sia successo più grande di questo scambio emozionale. 
Charles Bukowski a proposito dei corsi di scrittura diceva … «Per quanto riguarda i corsi di scrittura io li chiamo Club per cuori solitari. Perlopiù sono gruppetti di scrittori scadenti che si riuniscono e … emerge sempre un leader, che si autopropone, in genere, e leggono la loro roba tra loro e di solito si autoincensano l’un l’altro, e la cosa è più distruttiva che altro, perché la loro roba gli rimbalza addosso quando la spediscono da qualche parte e dicono: “Oh, mio dio, quando l’ho letto l’altra sera al gruppo hanno detto tutti che era un lavoro geniale”» (Intervista a William J. Robson and Josette Bryson, Looking for the Giants: An Interview with charles Bukowski, “Southern California Literary Scene”, Los Angeles, vol. 1, n. 1, December 1970, pp. 30-46). Cosa pensi dei corsi di scrittura assai alla moda in questi ultimi anni? Pensi che servano davvero per imparare a scrivere? 
No. Non li amo, sinceramente. Non ne ho mai seguiti perché credo che ognuno di noi abbia uno stile tutto suo che va sempre e comunque incoraggiato perché identifica in modo speciale la sua capacità di comunicare e trasmettere emozioni. La scrittura è un’arte che ti sgorga da dentro. Non ammette forzature e non può essere insegnata, a mio modestissimo parere. Anni fa ho organizzato dei laboratori di scrittura, tutti gratuiti, mi preme precisarlo. Uno per le donne vittime di violenza della mia città. Volevo che ne sperimentassero la forza catartica. Proponevo loro, di volta in volta, di cimentarsi con vari tipi di scrittura: la lettera, la pagina del diario… Non avevo assolutamente niente da insegnare loro, mi premeva far scoprire quanto bene potessero ricavare, togliendosi pesi dal cuore e affidandoli al foglio bianco. È stata un’esperienza bellissima, indimenticabile. Successivamente ne ho organizzati altri per gli adolescenti. La finalità era la stessa. Far sentire la loro voce. I ragazzi hanno un’interiorità stupenda. A volte non ne sono consapevoli perché frastornati dalla confusione di questo tempo balordo che viaggia in rete alla velocità della luce. Altre volte fanno fatica ad esprimerla. Timidi boccioli, hanno bisogno del calore di un sole gentile per potersi aprire alla vita. Ecco che la scrittura fa miracoli. Ricordo un pomeriggio, eravamo al termine di questo percorso, chiesi loro di scrivere un messaggio ad ogni altro partecipante. Avevano imparato a conoscersi dopo il tempo trascorso insieme a leggere i loro scritti ed ero curiosa di sapere cosa avrebbero avvertito il bisogno di dirsi. Fu un pomeriggio stupendo. Avevano gli occhi lucidi. Si erano parlati col cuore, dicendosi parole di una bellezza incantevole. Si scambiarono i fogli scritti e li portarono via, come ricordo prezioso da custodire gelosamente. Tu pensa, da inguaribile romantica di altri tempi, con quale commozione ho assistito a quel gesto di una profondità disarmante. 
A proposito della poesia contemporanee, ti riporto questa frase di Bukowski: «Direi che sono disgustato, o ancor meglio nauseato … C’è in giro un sacco di poesia accademica. Mi arrivano libri o riviste da studenti che hanno pochissima energia … non hanno fuoco o pazzia. La gente affabile non crea molto bene. Questo non si applica soltanto ai giovani. Il poeta, più di tutti, deve forgiarsi tra le fiamme degli stenti. Troppo latte materno non va bene. Se il tipo di poesia è buona, io non ne ho vista. La teoria degli stenti e delle privazioni può essere vecchia, ma è diventata vecchia perché era buona … Il mio contributo è stato quello di rendere la poesia più libera e più semplificata, l’ho resa più umana. L’ho resa più facile da seguire per gli altri. Ho insegnato loro che si può scrivere una poesia allo stesso modo in cui si può scrivere una lettera, che una poesia può perfino intrattenere, e che non ci deve essere per forza qualcosa di sacro in essa.» (Intervista di William Childress, Charles Bukowski, “Poetry Now, vol. 1, n.6, 1974, pp 1, 19, 21.). Tu cosa ne pensi in proposito? Cos’è oggi, nel Ventunesimo secolo, la poesia? 
Premettendo che trovo irresistibile il realismo di Bukowski c’è da dire che oggi la situazione è parecchio confusa. Dilaga una tuttologiadi fondo che sta creando seri danni. Son tante le persone che mettono in rima due parole, le postano sui social network e si sentono di essere la reincarnazione di D’Annunzio! Ho fatto parte per anni di gruppi di poeti. E ne ho sentite di tutti i colori. L’affermazione che maggiormente mi ha fatto rabbrividire, la sentii un paio di anni fa. Una poetessa mi disse che era solita scegliere un argomento e mettersi a tavolino a comporre. In un giorno pianificato preventivamente in agenda, quando sapeva di essere libera dalle altre incombenze. Ora… per carità… ognuno vive la poesia come crede. Ma io non riuscirei a farlo. Scrivo quando la poesia mi esplode dentro. All’improvviso, a volte anche di notte. Tu pensa che ho sempre sul comodino un bloc notes e una penna. E mi capita di svegliarmi nel cuore della notte con dei versi che mi rimbombano dentro. Li fisso sul foglio in diagonale, col bloc notes a testa in giù, come capita, insomma… E solo dopo posso riprendere sonno. Di tutte le poesie che ho scritto, nessuna è nata a tavolino. Credo che la poesia sia un modo di stare al mondo, una strada alternativa che ti permette di sentire amplificate quelle emozioni che ti chiedono prepotentemente di venire alla luce. La poesia è fatta di immagini e suoni che puoi affidare al foglio bianco quando hai maturato la consapevolezza che risuoneranno nel cuore del lettore ad una frequenza che modulerà il sentire di ciascuno. È un filo invisibile che intreccia il tuo cuore a quello di altri perfetti sconosciuti che riescono a far proprie le tue emozioni più intime e profonde. Una magia che non conosce esorcismi. Non puoi ucciderla. È una realtà eterna. 
L’arte serve sempre. A ricordarci la dimensione più intima e viva che non possiamo e non dobbiamo sacrificare neppure in quest’epoca che tende a robotizzare tutto, persino i sentimenti. L’arte accarezza il cuore, ci risveglia emozioni indescrivibili. Gli artisti sono angeli scesi in terra per ricordare al mondo che al di là di ogni possibile e tangibile realtà concreta esiste molto di più. La bellezza ci scuote l’anima: esiste al mondo un essere umano in grado di rimanere insensibile dinanzi al sorriso di un bambino? Di restare indifferente osservando un tramonto, due innamorati che si baciano, due anziani che passeggiano tenendosi per mano? La bellezza, quella vera, salverà il mondo. L’arte serve a tener viva la nostra umanità. La fotografia, in particolare, a rendere eterni frammenti d’incanto che neppure il tempo potrà sbiadire.
A quella in grado di donarci emozione. Non una bellezza sterile che puoi pure osservare curioso, ma senza che ti trasmetta nulla. La bellezza che cattura l’attenzione e scuote il cuore, quella salverà il mondo. 
Esiste oggi secondo te una disciplina che educa alla bellezza? La cosiddetta estetica della cultura dell'antica Grecia e della filosofia speculativa di fine Ottocento inizi Novecento? 
Temo di no. E la cosa che mi spaventa di più è che ci relazioniamo con le nuove generazioni sempre più adagiate sui canoni della superficialità. Da social media manager ti porto l’esempio di Instagram. Se ti imbatti nei profili degli Influencer cosa vedi? Alcuni propongono immagini davvero bellissime che ti trasmettono qualcosa. Ma tanti altri son stereotipati e lanciano messaggi fuorvianti: sei bella se posti il selfie con la bocca smorfiata o col fondoschiena in primo piano. Non ci rendiamo conto di come questi input possano essere pericolosi soprattutto perché innescano azioni virali che muovono giri esponenziali. I giovani pendono dalle labbra degli Influencer. Quanti ne senti che dinanzi ad un tramonto hanno come unica preoccupazione quella di riuscire a scattarsi una foto identica e precisa a quella vista nelle Stories dell’idolo di turno? Mentre ci sarebbe solo da perdersi dinanzi a quello scenario di grande bellezza in valore assoluto. 
Se dovessi consigliare ai lettori tre film da vedere e tre libri da leggere assolutamente, quali consiglieresti e perché proprio questi? 
Me lo chiedi in un periodo assolutamente particolare. E siccome mi piace sperare che qualcuno, leggendo questa intervista, sia mosso dalla curiosità e voglia approfondire, oriento la mia risposta nella direzione che sento più giusta e adatta al momento attuale: le grandi tematiche della vita. Il primo che consiglierei è “The Secret” di Ronda Byrne, un libro che mi ha letteralmente cambiato la vita. Tutti dovrebbero leggerlo e vederne anche il film. Scoprire le potenzialità della mente, imparare ad orientare i pensieri nella giusta direzione, può davvero fare la differenza. Come secondo libro consigliereiPuoi guarire la tua Vita”di Louise Hay, altra autrice che adoro. Best seller da oltre 50 milioni di copie vendute nel mondo. Quando le fu diagnosticato un cancro e i medici le dissero che le rimanevano solo pochi mesi di vita, Louise non si arrese. Passò in rassegna tutta la sua esistenza: si aprì all’amore e al perdono rivisitando ogni cosa alla luce del pensiero positivo. Guarita completamente, decise di condividere il suo percorso con gli altri. Tutti dobbiamo fare i conti coi traumi del passato. Ma è un errore arrivare a sentirsi compromessi dallo stesso. Bisogna imparare a rielaborare il vissuto, a guardarsi dentro e a guarire la propria vita. Solo così possiamo tornare ad esserne davvero protagoniste. Infine come libro consiglierei “Pensa ed arricchisci te stesso” di Napoleon Hill. Una vera e propria guida all’autorealizzazione personale. Son banale, probabilmente. Ruotano tutti attorno allo stesso perno. Ma io credo che se fossero tante le persone che si confrontassero con queste tematiche, potremmo davvero vivere in un mondo migliore. Chissà che questo isolamento forzato non invogli più di qualcuno a leggerli. Per i film invece consiglierei“L’attimo fuggente” e “The wolf of Wall Street” (non a caso, anche questi fortemente motivazionali). 
Una domanda difficile Irene: perché i lettori di questa intervista dovrebbe comprare e leggere i tuoi libri? Dicci qualcosa che possa convincere i nostri lettori a comprare e leggere qualcuna delle tue opere. 
Chi mi segue lo fa perché in me trova trasparenza ed autenticità. Non condivido nulla che non mi appartenga. Leggere ciò che scrivo equivale a fare un viaggio nella mia interiorità, estremamente variegata! Perché dovrebbero comprare e leggere ciò che scrivo? Perché ritroverebbero nelle mie parole spunti di riflessione che credo appartengano alla vita di tanti. Io amo scavare in tutto ciò che vivo, non mi fermo mai in superficie, all’apparenza. Imbattersi nei miei scritti significa addentrarsi in quest’esperienza con me. Emozionante, non trovi? 
Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti? A cosa stai lavorando in questo momento e dove potranno seguirti i nostri lettori e i tuoi fan? 
In questo momento sta per uscire il mio nuovo e-book, come ti dicevo in apertura. E mi auguro che lo leggano in tante. Che lo regalino alle amiche. Che ne discutano tra loro. In cantiere ho anche un manuale (serio stavolta!) in cui parlo della mia rinascita nei vari ambiti della vita con l’intento di offrire a chi lo leggerà dei consigli pratici per gestire al meglio le difficoltà collegate a questo percorso esistenziale. Chi vorrà onorarmi della propria attenzione, potrà seguire il mio blog ed unirsi alla community attiva che ruota attorno alla mia Pagina Facebook. Sono presente anche su Twitter, Linkedin ed Instagram. Ma molto più attiva su Facebook che è il social che adoro per eccellenza. 
Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire ai nostri lettori? 
Innanzitutto ringraziandoti perché mi hai fatto un dono prezioso. Ai lettori sento di dire questo: la vita non va sempre come vorremmo. Ma quel che ci frega non è il percorso alternativo quanto la paura e lo smarrimento con cui ci relazioniamo a ciò che sfugge al nostro controllo. Dobbiamo imparare a fidarci della Vita e credere che quello che ci sta succedendo è sempre la strada migliore per arrivare esattamente dove dobbiamo andare. Anche il male che subiamo finisce col divenire un dono se impariamo a farne buon uso. Io benedico ogni lacrima versata perché da tutto quel dolore (che non meritavo) è iniziata la mia rinascita. E se oggi sono ciò che sono lo devo anche al cambio di prospettiva che quel calvario mi ha imposto. La vita non va mai temuta, solo compresa.

Irene Losito

Andrea Giostra


È un bollettino di guerra, fermiamoci!

$
0
0
Sono 20.603 le persone attualmente positive in tutta Italia, 2.335 pazienti guariti e 1.809 i morti.
Molti scienziati d’accordo: le restrizioni devono andare oltre il 3 aprile. Intanto Medicina, comune vicino a Bologna, si blinda per evitare il contagio.
Giulio Gallera in diretta comunica i nuovi dati: La crescita più importante riguarda i ricoveri, arrivati a 6171 complessivi. Sono 823 le persone ricoverate in terapia intensiva, con una crescita di 66 rispetto alla giornata di ieri. Il bilancio delle vittime è di 1420, con 202 nuovi decessi.
Allora vanno bene i flashmob, va bene il senso di patriottismo, vanno bene tutti i video e le foto scherzose che intasano le chat in questo periodo, ma io oggi mi sono soffermata a leggere  Mattia Feltri sulla Stampa, è un lazzaretto, il nord è un bollettino di guerra, e sinceramente, non ho molta voglia di cantare, non ho voglia di ridere. Sinceramente penso a quelle persone che non hanno potuto stringere i loro cari, una mia amica mi ha raccontato che loro hanno amici nel bergamasco con 1-2 casi a famiglia.
Quindi se vogliamo essere solidali, finiamola pure, non è carnevale, le mascherine non servono per il ballo del martedì grasso, ma per chi sta salvando le nostre vite.
Continuiamo magari a sentirci solidali, con la musica sui social, con le letture, ecco partecipiamo dal salotto allo stare insieme con garbo e con rispetto di chi non ha voglia di cantare.
Francesca Proietti Cosimi

Musica, Fattitaliani intervista Manuel Moscati "uno che non ha mai smesso di credere in quello che fa"

$
0
0
(video) La tenacia di inseguire i propri sogni, di costruire un percorso che miri a un dato obiettivo, l'emozione di gustarne incontri e tappe: il giovane artista Manuel Moscati si confessa a Fattitaliani in un'intervista che parte dal Coronavirus per arrivare a X Factor, al singolo "Dimentica" (arrivato tra i finalisti alle selezioni di Sanremo Giovani) e passare attraverso domande formulate con alcuni suoi titoli.

Non posso non chiederti come stai vivendo l'isolamento a causa del Coronavirus...
Lo sto vivendo serenamente, con la consapevolezza che è l'unico modo per cercare di arrestare e migliorare la situazione. Stare a casa 24 ore al giorno non è semplice ma è sicuramente un modo per riflettere e stare con la propria famiglia, abitudine che, a causa della routine giornaliera, una persona perde. 
Cosa pensi delle persone che cantano dai balconi? quanto aiuta la musica in questi momenti?
Guarda, non ti nego che sono stato il primo a montare la cassa sulla lavatrice e cantare l'inno di Italia e Azzurro. Lo vedo come un momento di condivisione e unità, seppure a distanza di sicurezza, per sentirsi meno soli e farsi forza a vicenda.
Sei giovane ma già sono parecchie le persone che hai incontrato e con cui hai collaborato: che cosa rimane alla fine a te come persona e come artista?
Ho sempre cercato nella mia vita di prendere il meglio dalle persone con cui ho collaborato, cercando di far in modo di costruire dal punto di vista artistico una mia identità musicale, dal punto di vista umano conoscere così tante persone ha fatto sì che io rimanessi sempre con i piedi per terra senza aspettarmi mai nulla, ma vivendomi il momento. 
Quale grande insegnamento hai tratto da XFactor Albania?
L'insegnamento più grande è stato vivere in un paese lontano dal tuo, quindi conoscere culture, abitudini, usi e costumi diversi dai miei, questo è ciò che mi rimane dell'Albania, che mi ha dato e ancora oggi mi sta dando molto, poi l'avventura ad Xfactor è un'esperienza e rimane tale. 
Parliamo di "Dimentica": in che modo gli autori hanno potuto scrivere qualcosa di personale che ti appartiene?
Dimenticaè un brano che parla di una relazione giunta al termine, dove si invita l'altro a dimenticare ciò che è stato, il tutto attraverso un film, il film del loro amore  con l'augurio e la speranza che un giorno tutto tornerà a splendere. Gli autori, Andrea Gallo e Massimo Tornese, hanno saputo mettere nero su bianco quelle che sono l'emozioni che penso ognuno di noi ha vissuto in passato, con una leggerezza tale che chiunque può rispecchiarsi in questo testo. 
Chi è la bellissima sposa del video?
Si chiama Carol ed è prima di tutto un'amica, poi una bella ragazza ma soprattutto una bravissima attrice. Ho pensato a lei da subito, l'ho cercata, voluta ed ha subito accettato. Ci siamo ritrovati dopo tanti anni ed è stato un momento per condividere un'esperienza bellissima, ha saputo dare un volto a questa canzone, le devo molto. 
Quali sono le emozioni che accompagnano una nuova uscita?
Quando esce una tua nuova canzone ma soprattutto i giorni prima c'è sempre un po' di ansia mista ad emozione, questo perché sai quanto lavoro c'è stato dietro, dalla realizzazione della canzone alla produzione del Video alla cura di ogni minimo dettaglio. Diciamo che adesso sono a mille perché sto vedendo le prime reazioni delle persone e questo mi riempi il cuore di gioia. 
Che cosa terrai "Sempre" presente nella tua carriera?
Terrò sempre presenti i consigli avuti da tutte le persone incontrate nella mia vita, li porterò con me cercando di farne tesoro. 
Quale argomento o discussione ti fa andare "In fiamme"?
Mi infiamma, o meglio mi fa infiammare chi non ci prova, chi pensa di non farcela ancora prima di provarci. Ti parla uno che non ha mai smesso di credere in quello che fa, di conseguenza il consiglio è quello di non arrendersi mai se si vuole raggiungere un obbiettivo, proprio per questo il mio motto è VOLERE È POTERE!
Manuel Moscati "Dimentica" facilmente un torto ricevuto?
Manuel sì ma spero non solo io, Dimenticaè proprio un invito a non portare rancore a dimenticare ed andare avanti perché la vita dà sempre seconde possibilità.
Facile oggi per una persona - con tutto il rumore che ci circonda - arrivare/sondare "Negli abissi dell'anima"?
Facile ma non facilissimo, cercare di entrare nel profondo di una persona è un duro lavoro, si tratta di empatia e molti chiudono la porta e non ti fanno entrare. Penso che per arrivare al cuore devi cercare di sfondare quei muri alcune volte dettati da pregiudizi che spesso impediscono ad un'emozione di mostrarsi così come è. 
Che cosa si augura Manuel Moscati per il prossimo futuro?
Di continuare a fare musica, non chiedo nient'altro che questo. Vorrei proseguire su questa strada e che le persone continuino in qualche modo a rivedersi nelle mie canzoni ed emozionarsi con me. Giovanni Zambito.

Cori al tempo del coronavirus, prima laurea in videoconferenza: è la dottoressa Melanie Varricchio

$
0
0
Un raggio di Sole ai tempi del Coronavirus, Melanie Varricchio, 28 anni di Cori, il giorno 11 marzo 2020 ha discusso la sua tesi di laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali a casa, secondo i nuovi protocolli.
Melanie è diventata così dottoressa nel salotto della propria abitazione, collegata alla piattaforma con l’Università degli studi Link Campus University di Roma, in videoconferenza con i professori e il presidente di commissione pronti ad ascoltare la sua discussione e a proclamarla dottoressa.
“Nonostante la distanza, devo ammettere che è stato molto emozionante. Abbiamo cominciato con un appello virtuale dei laureandi ed essendo io l’unica donna, per galanteria, hanno fatto iniziare me. Nel frattempo, dall’altra parte della stanza, erano seduti i miei parenti. La durata sarà stata di circa 10 minuti, successivamente il verdetto: è ufficialmente dottoressa in Scienze Politiche, specializzazione in Relazioni Internazionali”.
Melanie ci racconta: “Immaginavo questo giorno completamente diverso ed invece mi sono laureata in casa mia, con i parenti seduti sul divano. Ovviamente abbiamo stappato una bottiglia, ma festeggeremo appena finirà questa emergenza.
Adesso è importante stare a casa, ci sarà tempo per gioire insieme”.
Dal 10 al 20 marzo l’Università degli studi Link Campus University di Roma ha deciso di far discutere i suoi laureandi in videoconferenza per la sicurezza di tutti. Melanie Varricchio è la prima dottoressa di Cori a discutere la tesi in videoconferenza.

Obiettivo Economia: un progetto di educazione finanziaria rivolto a tutti, per ridere e commuoversi imparando

$
0
0
In tempi bui, in cui la paura del corona virus e delle sue ricadute economiche blocca entusiasmo e creatività all’ascolto continuo dei tg, viene lanciato in rete un nuovo progetto che già dal primo video riscuote consensi e visualizzazioni!
Gli youtuber Leonardo Bocci (Actual) e  Angelica Massera sono due degli interpreti dei 5 video che parlano in chiave ironica di alcuni argomenti del mondo economico: fondi pensione, assicurazioni, tasse, criteri di sostenibilità (ESG), investimenti e speculazioni. Anche attori come Luis Molteni e Luca di Giovanni e i comici Fabian Grutt e Marco Passiglia hanno sposato l’iniziativa. A loro si aggiungono Alessia Francescangeli dei “Due e mezzo” e Annalisa Favetti e alcuni giovani nuovi talenti come Hamisi Gilberti e Teodoro Graziosi.
Tra risate e qualche lacrima di commozione per tutti sarà possibile comprendere qualcosa in più su temi che condizionano la nostra vita quotidiana, ma di cui troppo spesso non conosciamo i dettagli più importanti come nel caso del primo video “investimenti e speculazioni” in cui due amici (Leonardo Bocci e Luca Di Giovanni) parlano di sogni e di famiglia, di figli e del rischiare il tutto per tutto (video: https://youtu.be/fzof8xURitA)
In materia di educazione finanziaria, l’Italia si colloca al di sotto della media degli altri Paesi, precisamente al 63° posto dietro a Zimbabwe e Togo (Standard and Poor’s/ Banca Mondiale) E’ proprio l’OCSE a lanciare l’allarme: solo l’istruzione può garantire l’uscita da questo gap che il nostro Paese ha rispetto agli altri Stati. Per tale motivo negli ultimi mesi sentiamo sempre più parlare di educazione finanziaria, sia da parte delle istituzioni che delle Università, come pure dai media e dalle Associazioni di categoria. In una società sempre connessa, nell’era dell’evoluzione digitale, è necessario trovare mezzi e linguaggi per parlare a tutti, anche di materie complesse. La regia del progetto è della giornalista Janet De Nardis che è anche autrice dei video insieme al comico e autore Marco Passiglia. I testi sono stati realizzati sotto la supervisione scientifica di Mario La Torre (Università La Sapienza ) e di Marco Spallone ( Università Chieti Pescara, LUISS Guido Carli). Il progetto è stato realizzato con il supporto di Luiss, libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli, con il patrocinio di Unitelma Sapienza, Università degli studi di Roma e con il contributo liberale di Banca D’Italia.
Il risultato finale è una campagna con un linguaggio dinamico e giovane, alla portata di tutti, così da avvicinare ogni tipologia di pubblico a tematiche importanti che fanno parte della nostra vita, ma che non sempre vengono adeguatamente comprese.  I video non sono uno strumento risolutivo per ogni tema ma sono piuttosto video emozionali che spingono a comprendere l'importanza di alcuni temi e la necessità di approfondirli per non rischiare di sperimentare, sulla propria pelle, le conseguenze negative di scelte economiche inconsapevoli.
Restiamo in attesa di vedere i prossimi video!

GLI ANIMALI NON CONTAGIANO CON IL COVID 19, PARTE LA CAMPAGNA DI SENSIBILIZZAZIONE

$
0
0
#NOINONSIAMOCONTAGIOSI.  Parte la Campagna di sensibilizzazione ideata dalla Croce Rossa Italiana, Comitato Area Metropolitana di Roma Capitale e provincia,  e dall’Ordine Medici Veterinari di Roma e provincia: i cani ed  i gatti non infettano gli umani con il Covid -19, quindi, non li abbandonate!  
Promotori dell’iniziativa anche il Pet Carpet Film Festival e alcuni personaggi dello spettacolo, tra i quali Lino Banfi, Giancarlo Magalli, Enzo Salvi, Cinzia Leone, Lillo, Alda D’Eusanio, Carmen Russo, che invitano la popolazione a seguire il loro esempio ed abbracciare ancora più forte il proprio amico a quattrozampe.  
#NOINONSIAMOCONTAGIOSI. È il titolo della campagna di sensibilizzazione ideata dalla Croce Rossa Italiana - Comitato Area Metropolitana di Roma Capitale  che, attraverso le proprie Unità Cinofile,  in collaborazione con  l’Ordine Medici Veterinari di Roma e Provincia, ribadisce, come confermato da tutte le  Autorità Sanitarie mondiali, un concetto importante rivolto a tutti gli amanti degli animali: cani e gatti non contagiano gli umani con il Covid-19 (o Coronavirus). Gli allarmi diffusi sui social con notizie errate e fake news hanno creato una situazione di panico facendo registrare, recentemente, un incremento ingiustificato degli abbandoni. Per questo la Croce Rossa Italiana - Comitato Area Metropolitana di Roma Capitale, in questo momento in prima linea sia in ambito sanitario che sociale, interviene attraverso la sua sezione cinofila per tranquillizzare la popolazione, poiché ad oggi  non ci sono prove scientifiche del fatto che gli animali possano contrarre il Covid-19 o essere loro stessi veicolo di trasmissione per l’uomo.  Mantenere  la calma e adottare sempre i provvedimenti suggeriti dal Governo in termini di norme igieniche è la sola cosa giusta da fare anche dopo essere entrati in contatto con i nostri pet. Messaggio condiviso dall’Ordine dei Medici Veterinari di Roma e Provincia che suggerisce alcune semplici pratiche da osservare: Se la famiglia è sana il cane può essere portato a fare una regolare passeggiata, utile a svolgere anche i suoi bisogni fisiologici, purché questo non diventi motivo di assembramento con altre persone. La gestione di un animale implica un comportamento responsabile anche nel rapporto con il veterinario, che sarà bene contattare prima piuttosto che recarsi direttamente in ambulatorio se non esiste una reale emergenza, che solo il medico potrà valutare dagli elementi riportati telefonicamente. E’ altresì determinante che l'umano non nasconda eventuali sintomi di un sospetto contagio per paura di lasciare solo l'animale, poiché basterà contattare le  Autorità competenti che si preoccuperanno  di gestire il pet.
Promotori dell’iniziativa anche il Pet Carpet Film Festival, rassegna cinematografica dedicata agli animali, e alcuni personaggi dello spettacolo, tra i quali Lino Banfi, Giancarlo Magalli, Enzo Salvi, Cinzia Leone, Lillo, Alda D’Eusanio, Carmen Russo, che hanno lanciato degli appelli per invitare la popolazione a seguire il loro esempio ed abbracciare ancora più forte il proprio amico a quattrozampe. 
 

Crollo della nobiltà: nessuno vuol più essere “inCoronato”

$
0
0

Lavoro e studio dentro casa oramai da anni, interrompendo ogni inizio di monotonia con sporadiche uscite verso bar e supermercati, dove spesso si incontrano conoscenti, si scrutano le persone, si analizzano i diversi comportamenti dettati da questo mondo frenetico.

Questo stramaledetto virus ha accelerato le uscite, divenute episodiche ed inusuali. Si stabilisce la spesa da fare scrivendola sul cellulare, si indossa la maschera, si preparano i guanti, i più fortunati prendono la bottiglietta di disinfestante e si esce. Chi non indossa i guanti tenta di aprire l’ascensore col braccio ed all’interno si preme il pulsante con le proprie chiavi (fossero incolumi); poi una culata alla porta ed il mondo si para davanti. Si attraversa la strada quasi con calma, tanto è deserta, e ci si avventura verso  la meta.
Al contrario dentro casa la vita ha subito un forte rallentamento, ma ovviamente dipende dal coniuge, dai figli, dagli animali e mai da noi. Il contatto umano è diventato onnipresente. Si organizzano giochi, vedute televisive e soprattutto pranzi e cene intercalate da spuntini. Si ripristinano perfino le cenette di mezzanotte. Difficilmente il “nascondino” dura più di pochi minuti. Il mondo entra tramite i social ed i telegiornali monotematici. Per fortuna l’italiano ha ritrovato il gusto autoironico ed arrivano da ogni chat possibile, immagini e filmati, vignette e foto, tanto è che ne ho creato una raccolta su una pagina Facebook https://www.facebook.com/ironivirus.
Sono stati creati degli appuntamenti “stradaioli” pur non uscendo dalla propria abitazione: alle 12 l’applauso per chi ogni giorno mette a rischio la propria incolumità per la popolazione, alle 18 una cantata collettiva dai tetti, finestre e balconi cittadini. Una hit parade che prende tutti, perfino coloro che prima si fingevano sordi. Insomma si ritrova quel vivere comune tramontato verso gli anni ’70 e si riconoscono – pur a debita distanza - persone incontrate per strada miriadi di volte, ma con le quali non c’era stato neanche un cenno di saluto.
“Noi del 34” non significa più del 1934, bensì il numero civico della via.
Credo che il DJ stia girando per la città per offrire ogni giorno qualcosa di inusuale al massimo delle persone e per questo direi di invitare il vicinato alla condivisione di corsi “balconieri”, su un uso adeguato del battipanni, sulla correttezza nello stendere i panni lavati. Potremmo poi passare alle ricette, agli “Speakers’ Corner” veri e propri, come è d’uso a Hyde Park.
Tutto è niente e niente è tutto nel momento in cui lo vivi.

Alan Davìd Baumann

Matilde Piana, attrice ed esperto d’arte catanese "testa tra le nuvole e piedi ben piantati a terra". L'intervista

$
0
0

«Appartengo all’ultima generazione di attori che ha avuto una formazione accademica senza seguire seminari e laboratori vari … le tavole del palcoscenico sono state il nostro “perfezionamento” … oggi per un giovane attore è impensabile non avere nel proprio curriculum almeno una decina di workshop!» - diAndrea Giostra

Ciao Piana, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito. Se volessi presentarti ai nostri lettori cosa racconteresti di te quale attrice e appassionata d’arte nelle sue vari forme espressive? 
Sono io a ringraziarti perché, avendo scelto di non essere presente sui social, ho così modo di presentarmi a chi leggerà queste righe: testa tra le nuvole e piedi ben piantati a terra. 
Chi è Piana donna catanese e chi Piana artista? 
La stessa persona. Catania, dove ho vissuto fino ai miei trent’anni e dove ho iniziato a lavorare, ha determinato il mio essere attrice. Non sarei la stessa persona e non sarei la stessa attrice se fossi nata in un altro luogo. 
Come e quando è nata la tua passione per l’arte e per la recitazione?
Risalire a un momento preciso, aver avuto una sorta d’illuminazione sarebbe divertente da raccontare... Ma non è andata così, più banalmente, galeotte sono state le solite recite scolastiche al liceo: nell’ultimo anno di scuola mi è bastato assistere a teatro a una mediocre (col senno di poi) messinscena per decidere di dedicarmi a questo lavoro. 
Qual è stato il tuo training artistico/professionale/esperienziale che hai seguito nel tempo e che ti ha forgiato per essere l’artista che sei oggi?
C’è qualche tipo di approfondimento nel training attoriale che ritieni fondamentale per la formazione di un giovane attore? 
Ritengo sia utile lavorare su tecniche specifiche, il che ovviamente vale a tutte le età… per esempio, avrei partecipato volentieri a un corso di tecnica vocale con il Metodo Linklater tenuto da una collega che stimo molto, Emanuela Trovato, catanese come me! … un giovane insegnante può mettere in gioco oltre la preparazione, anche l’entusiasmo, fondamentale per comunicare qualcosa. E credo sia proprio il caso di Emanuela. 
Come attrice, chi sono e chi sono stati i tuoi maestri d’arte, se vogliamo usare questo termine? Quelli che vuoi ricordare in questa chiacchierata e perché proprio loro? 
Che bella occasione per parlare di loro… Primo fra tutti Giuseppe Di Martino, storico direttore della scuola di recitazione del Teatro Stabile di Catania: colto, disincantato e fortemente carismatico, ha formato tutti gli attori catanesi della mia generazione. Ci ha insegnato tanto ma soprattutto ci ha inculcato i concetti di rispetto, senso della responsabilità e disciplina. Concetti quasi ovvi per un attore, ma che non ritrovo spesso nei colleghi che hanno avuto un’altra formazione. Altra figura decisiva è stato il giovane Lamberto Puggelli, primo assistente di Strehler, venuto dalle nebbie milanesi a confrontarsi con entusiasmo alle drammaturgie terragne affidategli dal Teatro Stabile di Catania. La prima regia di Puggelli in quel teatro ha coinciso con il mio battesimo teatrale a cui sono seguite tante occasioni di lavorare insieme. Ma, poiché non si finisce mai d’imparare, eccezionale maestro è stato Gabriele Lavia, nei Giganti della montagna, le cui repliche sono appena finite a febbraio di quest’anno. Per quanto riguarda il cinema, i miei maestri sono stati i fratelli Taviani: dal primo Kaos del 1984 a Magnifico Boccaccio del 2015, ho avuto la fortuna di lavorare con loro in altri due film. 
Come definiresti il tuo stile recitativo? C’è qualche attore o attrice ai quali ti ispiri? 
Non lo definisco perché non credo di averne. Se a qualcuno mi ispiro è la inarrivabile Giulia Lazzarini. 
La tua carriera di attrice spazia tra il teatro, il cinema la TV, con grandi e importanti produzioni, lavorando con i più grandi registi e produttori italiani. Se volessi sintetizzare per i nostri lettori questi tre differenti approcci recitativi, cosa segnaleresti per far comprendere quali sono le differenze, i punti di forza e di debolezze di queste tre forme d’arte recitativa e di “messa in scena di narrazioni”? 
Il teatro è la forma espressiva più antica, la madre delle altre… e quella in cui è più difficile ottenere un buon risultato. Direi quasi impossibile. Fare teatro è ricerca e tensione continua. Direi dolorosa, anche perché si è direttamente responsabili del risultato, non ci sono alibi. In cinema è diverso: il risultato è in gran parte nelle mani del regista che deciderà che taglio dare alla scena, come girarla, come montarla. Di contro però se in teatro la parola e il gesto devono coprire la distanza tra te e lo spettatore, la macchina da presa è quel misterioso strumento che ti guarda dentro e riesce a fare emergere quello che é impossibile vedere a occhio nudo. In teatro devi trovare quella magica armonia per amplificare senza sforzo, in cinema sei magicamente amplificato. 
Quali sono le opere alle quali hai partecipato, che ami ricordare e perché proprio queste? 
Voglio citare solo quelle che hanno rappresentato per me le “prime volte”. Pensaci, Giacomino, di Pirandello, in cui mi misuravo in una scena a due col grandissimo Turi Ferro. La professione della signora Warrendi G.B.Shaw, in cui ho ottenuto con un provino un ruolo tanto desiderato e in cui ero a tutti gli effetti coprotagonista. Nzula, di Francesco Randazzo, un personaggio che è stato scritto per me. Giorni felici, di Beckett, la grande sfida con me stessa. Per quanto riguarda i film a cui ho partecipato, ne cito uno, “Italiani” di Maurizio Ponzi, ma solo perché, quando mi capita di rivederlo, eccezionalmente mi dico che ho fatto un buon lavoro! 
«L’essenza della forma drammatica è lasciare che l’idea arrivi allo spettatore senza essere formulata con troppa nettezza. Una cosa detta in modo diretto non ha la stessa forza di ciò che le persone sono costrette a scoprire da sole.» (tratto da “Il più grande azzardo di Kubrick: Barry Lyndon”, di Marta Duffy e Richard Schickel, pubblicato su Time, 15 dicembre 1975). Cosa ne pensi di queste parole di Kubrik? Cosa bisogna fare secondo te in teatro, nel cinema e in TV perché la forza drammatica di un’opera arrivi allo spettatore? Qual è il ruolo dell’attore e quale quello della sceneggiatura e della regia?
Geniale Kubrick. Perché il messaggio e l’emozione arrivino allo spettatore quest’ultimo deve avere una parte attiva: attore, sceneggiatura e regia devono solo suggerire, fornire una chiave, non spiattellare un cibo preconfezionato. Alla seconda domanda che mi fai, accontentati di questa risposta: se un bravo attore può al limite sopperire a una regia e a una sceneggiatura insulse, una buona sceneggiatura non sopperisce a una regia e a un attore insulsi, così come una buona regia non sopperisce a una sceneggiatura e a un attore insulsi.
Charles Bukowski, grandissimo poeta e scrittore del Novecento, artista tanto geniale quanto dissacratore, in una bella intervista del 1967 disse… «A cosa serve l’Arte se non ad aiutare gli uomini a vivere?» (Intervista a Michael Perkins, Charles Bukowski: the Angry Poet, “In New York”, New York, vol 1, n. 17, 1967, pp. 15-18). Tu cosa ne pensi in proposito. Secondo te a cosa serve l’Arte, e l’arte della recitazione e del teatro in particolare? 
Il Teatro dalle sue origini ha collocato e continua a collocare l’uomo fisicamente e metaforicamente di fronte a sé stesso. Cos’è questo se non un mezzo che l’uomo ha per conoscersi e quindi cercare di affrontare più equipaggiato il percorso accidentato della vita? 
Esiste oggi secondo te una disciplina che educa alla bellezza? La cosiddetta estetica della cultura dell'antica Grecia e della filosofia speculativa di fine Ottocento inizi Novecento? 
Oggi, sembra che la disciplina che porti bellezza sia solo quella del chirurgo plastico - a ogni età. 
Se dovessi consigliare ai nostri lettori tre spettacoli teatrali, tre film da vedere e tre libri da leggere, quali consiglieresti e perché? 
Uno spettacolo teatrale vive generalmente non più di due stagioni; dunque sarebbe effimero consigliare questo o quello. Sul cinema, sui film, sarebbe inutile ricordare capolavori come C’era una volta in Americadi Leone o Coppola o altri. Forse meglio suggerire qualcosa di meno conosciuto – come La ballata di Stroszek di Herzog, Risorse Umane di Cantet, e Giorni perduti di Wilder. Sui libri, posso pensare a Le piccole virtù di Natalia Ginzburg, La vita davanti a sé di Roman Gary e Una questione privata di Beppe Fenoglio. 
I tuoi prossimi progetti? Cosa ti aspetta nel tuo futuro artistico che vuoi condividere con i nostri lettori? 
Con alcuni miei colleghi amici, o amici colleghi, stiamo lavorando all’Antigone di Alfieri, per le Dionisiache a Segesta in estate. Più sfida di così? 
Dove potranno seguirti i nostri lettori? 
Nell’immensità dell’infinito o, forse, su Vanity Fair! 
Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire a chi leggerà questa intervista?
Hasta siempre!

Matilde Piana

Andrea Giostra


Un giorno ci rivedremo

$
0
0
Il racconto di Daniela Lelli.

È una splendida giornata di primavera, il cinguettio di due uccellini che saltano da un ramo all’altro richiama la mia attenzione, li osservo divertita e ammiro con orgoglio il mio piccolo giardino: il prato di un verde intenso, il roseto già pieno di boccioli e il pesco in fiore. Ho voglia di uscire, di andare a fare una lunga passeggiata, sento suonare il telefono, vedo l’ora, è sicuramente mia zia che come tutte le mattine, per più di mezz’ora mi racconta sempre le solite cose, non ho voglia di ascoltarla, non stamattina, ho altro da fare. Chiudo casa e mentre scendo le scale, suona il cellulare, mia sorella Sonia, come mai? Ci sentiamo così raramente che mi meraviglio.

«Ciao Sonia come va?»
«Claudia, la mamma sta molto male, sta morendo.»

L’ascolto in silenzio e dopo averla salutata chiudo il telefono, è come se avessi ricevuto un colpo allo stomaco; ho pensato tante volte a questo momento a come avrei reagito. Non sento e non vedo i miei genitori da tanti anni, mi ero convinta che tutto ciò che riguardasse loro non mi sarebbe più interessato. Ma ecco che la notizia mi sconvolge, vorrei rimanere indifferente a tutto, lasciare che gli anni passati rimangano lì, dove ho cercato, dopo tanto dolore, di serrarli, in un angolo remoto della mia mente. Rientro a casa e senza pensarci su tanto, preparo un borsone con l’occorrente per stare fuori qualche giorno, i miei genitori abitano a trecento chilometri di distanza.

Entro in macchina come un automa e lungo il tragitto mi sforzo di non pensare a niente, ma non è possibile, loro hanno fatto parte fondamentale della mia vita, a causa loro, dei loro errori, della loro indifferenza, la mia vita ha cambiato il suo naturale percorso. Ricordo ancora con dolore come non sono mai stata una bambina spensierata, come la continua assenza di mia madre mi pesasse enormemente. Lei ha preferito seguire mio padre in tutto e per tutto, come se fosse stato il suo unico bambino da accudire e proteggere, lasciandoci crescere da una donna dispotica. Spesso la notte, sola nel mio letto, piangevo e invocavo silenziosamente una mamma inesistente.

Negli anni ho imparato a chiudermi in un mondo tutto mio, fatto di sogni, di desideri; il più grande era quello di poter andare via da quella casa. Ho sempre sognato un principe, l’uomo che mi avrebbe portata via, che mi avrebbe amata di un amore assoluto, speciale. Il mio principe lo avevo trovato, ma per il mio solito destino avverso, nel momento che stava per raggiungermi, ha perso la strada. Ci amavamo in modo unico, meraviglioso, ero molto speciale per lui e lui era l’unico a cui avevo permesso di conoscere la vera Claudia, l’unico a cui avevo donato il mio cuore. Questo mi ha impedito di riuscire ad amare un altro uomo. La mia sensibilità, il mio essere speciale, come diceva lui, mi aveva tenuta legata al suo cuore per sempre.

Un turbinio di episodi e pensieri affollano la mia mente, penso a quello che non sarebbe mai dovuto succedere a una bambina di undici anni e a tutto quello che ne è seguito: un grande senso di colpa che vivo ancora oggi, quel senso di colpa che mi ha portato negli anni a vivere continue paure e insicurezze. Finalmente smetto di pensare, sono arrivata all’ospedale di Cosenza, mia sorella mi viene incontro e mi racconta tutto: mia madre era malata da diverso tempo e da ieri era entrata in coma. Sonia non si aspetta che le chieda come mai non mi ha avvisata prima, ci guardiamo in silenzio, lei sa benissimo come la penso in merito ai miei genitori, anzi credo si sia meravigliata nel vedermi qui.

Saliamo in reparto di terapia intensiva, rimango più di cinque minuti ferma dietro la vetrata, osservo mia madre lì, attaccata al respiratore, gli occhi chiusi, un viso cereo. Dopo aver infilato un camice monouso, gambaletti e cappellino, entro nella stanza e mi avvicino al suo letto. Rimango a lungo a osservarla, ha il viso tumefatto, quasi irriconoscibile a causa di mesi e mesi di cortisone, solchi che segnano il suo viso sono la testimonianza degli anni passati, le sue mani inermi, poggiate sul lenzuolo sono invecchiate, rugose. Mi siedo sulla sedia proprio di fronte a lei, la osservo, mi sforzo di ricordare il calore delle sue braccia, ma i ricordi sono così lontani che non riescono a riaffiorare nella mia mente. Dopo averla contemplata a lungo, poggio la mia mano sulla sua e inizio a parlare come se potesse ascoltarmi.

«Vorrei dirti tante cose, vorrei dirti tutto quello che tu sai già, accusarti del fatto che non mi sei stata vicina, del fatto che hai accettato tutto quello che mi è successo con apparente indifferenza, chiederti perché non mi hai difesa. Invece no, non voglio parlare di tutto questo.»

Il suo corpo inerme poggiato sulle bianche lenzuola scatena in me una profonda tenerezza, poggio la testa sulla sua spalla immobile, in questo momento vorrei entrare nel suo mondo e parlare di tutto ciò che non ci siamo mai dette, poter fare con lei tutto ciò che non ho mai fatto, chiudo gli occhi e forse mi addormento, non so, entro in un mondo ovattato. Comincio a camminare, rimango affascinata dai tanti colori che mi circondano. Alla fine del percorso mi ritrovo in un mondo magico, meraviglioso, una luce accecante illumina un immenso prato fiorito, uno scoiattolo mi passa davanti e si ferma a osservarmi per nulla spaventato della mia presenza, il rumore del ruscello, che scorre poco lontano, richiama la mia attenzione.

La vedo là, seduta su di una pietra, la vedo come la ricordavo, con il suo bel viso non ancora segnato dal tempo, mi chiama con una voce dolce, soave, una voce non sua, mi tende le braccia, un gesto che non ricordo. Mi avvicino, mi siedo al suo fianco, mi lascio abbracciare, il suo calore mi riporta indietro negli anni, mi porta a ricordare quei momenti piacevoli che erano stati completamente annullati dalla mia mente perché sopraffatti da quelli spiacevoli, sopraffatti da un dolore indescrivibile.

«Claudia, mi dice, come stai? Come posso aiutarti?»

Quanti anni sono che avrei voluto sentire queste parole? E così mi ritrovo a raccontarle tutto quello che ho passato in questi anni: la mia eterna solitudine, un grande amore finito che mi ha portato a vivere nei ricordi, la mia incapacità di perdonare. Piango, piango disperatamente fra le sue braccia tutto il mio dolore, la mia solitudine.

«Piangi pure tesoro mio, mi dice, sfogati, vedrai che dopo ti sentirai meglio, tu non sarai mai più sola, io sarò sempre al tuo fianco e non disperare, mai dire mai nella vita, smettila di essere così dura e severa con te stessa. Perdonami Claudia, vorrei aver fatto tutto quello che dovevo per te, ma tante cose neanche io sono riuscita ad accettarle, sappi che tu non eri colpevole di niente, eri una bambina indifesa, sono io che avrei dovuto difenderti, proteggerti, ma non l’ho fatto, ne ho avuto paura. Nonostante tutto quello che ti era successo tu continuavi ad essere una bambina dolce ed io, inconsapevolmente, non accettavo il tuo essere, avrei preferito accuse dirette, avrebbero smosso le mie paure, la mia apparente indifferenza. Soffrivo, Claudia, soffrivo soprattutto perché ero incapace di aiutarti, pensavo alla gente e a proteggere un padre che non era mai stato tale per te.»

Le lacrime scendevano silenziose sul mio viso e finalmente l’abbraccio anch’io, la stringo forte e le dico quello che non avrei mai pensato di poterle dire.

«Mamma non ti preoccupare, ora è tutto passato, come hai detto tu, da questo momento in poi saremo sempre vicine, il tuo amore riuscirà a cancellare tutto il dolore che ho dentro.»

Rimaniamo a lungo abbracciate ad osservare l’acqua del torrente che scende da una piccola roccia, suonando una dolce musica come a cullare i nostri pensieri. Un suono acuto mi riporta indietro, mi allontana piano piano da quel mondo magico, apro gli occhi, guardo il monitor, piatto, guardo mia madre, il suo ultimo respiro lo ha fatto tra le mie braccia e stringendola a me le sussurro:

«Stai tranquilla mamma, finalmente ci siamo dette tutto quello che avremmo voluto dirci da tanti anni, finalmente il tuo abbraccio ha riempito il mio cuore.»

Entrano il medico e un’infermiera, non osservo il loro sguardo, so già dov’è andata, finalmente in un posto tranquillo, lontano dai suoi rimpianti, dalle sue paure, dai suoi sensi di colpa, è andata dove con pazienza mi attenderà, attenderà quella figlia che non ha mai vissuto, che non ha mai ammesso a se stessa di amare, ora tutto ciò lo sa, tutto ciò la rasserenerà.

Esco dalla stanza, un abbraccio silenzioso a mia sorella Sonia, uno sguardo a mio padre seguito da un lieve cenno di saluto. In questi momenti il silenzio è l’unico amico, non esistono parole per colmare tutta la confusione che avvolge il tuo essere. Hai bisogno del silenzio per capire. Prima di andare via, un ultimo sguardo attraverso la vetrata, l’espressione di mia madre è serena e sembra mi dica: ho trovato finalmente la mia pace! Io con un sussurro le dico: “tranquilla mamma, ti ho perdonata sai, vedrai prima o poi ci rincontreremo.”

Esco dall’ospedale, alzo lo sguardo in direzione della sua camera, un senso di pace avvolge tutto il mio essere, so che ha smesso finalmente di soffrire, sento che il mio perdono è arrivato al suo cuore. Mi avvicino alla macchina e mentre sto per sedermi, la mia attenzione viene attratta da una figura ferma, immobile sul marciapiede di fronte. La luce del sole mi acceca impedendomi di vederne i lineamenti, riparo gli occhi con le mani riconosco la figura che mi sta osservando, il mio cuore si ferma per un attimo, dalle mie labbra un sussurro, Andrea. Lui si avvicina e con il suo inconfondibile e dolce sorriso mi dice:

«Sapevo che prima o poi saresti tornata, ti aspettavo da tempo. Sei andata via senza darmi il tempo di chiederti perdono. Ti ho cercata, ma inutilmente, e da quel momento ho incominciato ad aspettare, ho incominciato a sperare in un tuo ritorno, ho incominciato a vivere sognando questo momento ed è questo che mi ha dato la forza di andare avanti.»

Mi stringe le mani come a darmi forza e coraggio. Coraggio di credere di nuovo in lui, nelle sue parole. I suoi occhi parlano, come hanno sempre fatto. Rivolgo lo sguardo verso quella finestra chiusa.
  
«Grazie mamma; sai, ho iniziato a perdonare e continuerò a farlo, ho capito che è l’unico modo per riprendere il mio percorso di vita interrotto, è l’unico modo per riprendermi, per restituire l’innocenza a quella piccola e fragile bambina ormai diventata donna.»

Nomade digitale, Gianluca Testa presenta il nuovo album con atmosfere beat, rock psichedelico e brit pop. L'intervista di Fattitaliani

$
0
0
(video) È uscito "Nomade digitale" nuovo album di Gianluca Testa con dodici canzoni, distribuito da Onmusic. L'intervista.
Parlaci del nuovo album. Che impronta hai voluto dargli?
NOMADE DIGITALE è il frutto delle esperienze vissute durante un anno in giro per il mondo, in cui ho scritto trenta canzoni. Da queste sono state estratte dodici tracce per l’album. Con il mio produttore Roberto Cola abbiamo sperimentato creando un disco tutto suonato: atmosfere beat, rock psichedelico e brit pop, ma anche suoni influenzati da colonne sonore, ad esempio gli effetti di chitarra stranianti alla BoJack Horseman. Ce ne siamo fregati di quello che chiede oggi la discografia, seguendo l'ispirazione. Abbiamo raccolto suggestioni dagli anni ’60 e ’70. Quando progettavamo gli arrangiamenti  siamo partiti da riferimenti visivi: la Nouvelle vague e il New american cinema su tutti. Le batterie, diversamente dall’indie di oggi, sono tutte suonate. C'è il farfisa, l'organo hammond che si fonde con gli archi, il sitar, sassofoni sporchi mescolati a chitarre distorte e clarinetti jazz che guizzano funanbolici su sintetizzatori vintage.   La costruzione del suono ha seguito lo spirito visionario della  scrittura, che è libera perché è nata in viaggio: un viaggio fisico fatto col corpo e uno metafisico fatto con la mente. Non ci interessava creare il suono clone di qualcosa che già esistesse solo per accontentare il mercato.  I testi nascono da esperienze crude di vita, la musica da intuizioni inconsce che legano melodie e suoni alle parole. Le esperienze in sé non servono a nulla se non le attraversi con una coscienza amplificata: una profonda attenzione all’impatto che hanno all’interno, oltre che all’esterno. Ad esempio un massaggio ai piedi lo puoi vivere distratto, meccanicamente, oppure renderlo azione cosciente e trasformarlo in un’esperienza psichedelica. Nel secondo caso nascono canzoni come RIFLESSOLOGIA PLANTARE (https://open.spotify.com/track/6auM4Pf8baLQi6etAxxxoO) 
Quali sono i tuoi cantanti di riferimento? 
Te ne cito qualcuno in ordine sparso: Duke Ellington, Ella Fitzgerald, Billie Holiday, Chet Baker, Beatles, Rolling Stones, Jim Morrison, Queen, The Who, Pink Floyd, Velvet Underground, David Bowie, Led Zeppelin, Beck.  Tra gli italiani: Rino Gaetano e dei più recenti mi piace molto Cristina Donà.
Qual è l’esperienza lavorativa che più ti ha segnato fino ad ora?
Si tratta di un lavoro extra musicale: la scrittura di un libro, “Arte e scienza dell’attore”. Parla della nascita di un nuovo metodo di recitazione e crescita personale che si ispira a discipline come la fisica quantistica e le neuroscienze:  l’espressività generativa. E’ il frutto di 15 anni di ricerche in giro per il mondo e sperimentazioni nei laboratori di recitazione EG ACTORS LAB.
Invece quella mai fatta e che ti piacerebbe fare?
Per restare in tema di fisica quantistica, mi piacerebbe tornare indietro nel tempo e fare un tour mondiale con i Guns’N Roses alla fine degli anni ottanta. Sarebbe divertente.
Progetti futuri? Farai un tour? 
Bisogna realizzare gli altri videoclip, dopo il primo che è un road movie girato tra Cambogia, Laos, Malesia e Filippine. Poi sono in trattativa con una Casa di Produzione per realizzare il film scritto insieme all’album. A Marzo sarebbe dovuto partire il Nomade Digitale Tour: uno spettacolo in cui le canzoni sono intervallate da momenti di teatro di narrazione con racconti di viaggi fisici e metafisici. Mi accompagna una band. Al momento (metà Marzo) il progetto del tour è ovviamente congelato a causa della quarantena.  Per tutte le news venitemi a trovare sulle pagine social: 



NOMADE DIGITALE SU SPOTIFY


Da Ed Sheeran a Pierce Brosnan, celebrities che hanno provato a imbarcare armi in aereo

$
0
0

Jetcost ha scovato alcune star che hanno tentato di introdurre una pistola o altri oggetti pericolosi a bordo
I controlli di sicurezza negli aeroporti ormai sono diventati sempre più lunghi e meticolosi. Si fa molta attenzione a qualsiasi oggetto che potrebbe esser usato come “arma” a bordo ed essere un pericolo per i passeggeri e l'equipaggio: dalle forbicine, alle forchette di plastica, alle limette alle bottigliette d’acqua... Ma sembra che questa regola sia sfuggita a certi personaggi famosi che, evidentemente, hanno pensato di essere “giustizieri dell’aria”. Il potente motore di ricerca di voli e hotel www.jetcost.it ha selezionato i casi più eclatanti di star che hanno cercato di imbarcarsi su un aereo armate.

Dwight Howard, il campione spavaldo
Il cestista americano, passato di recente con gli Charlotte Hornets, qualche anno fa ha tentato di salire su un aereo con una pistola. Il giocatore NBA si trovava all'aeroporto di Houston quando uno degli scanner ha rilevato l'arma nel suo bagaglio. Viaggiava con una nove millimetri modello Glock 26, che era stata anche caricata con un proiettile. Howard si è giustificato dicendo di aver semplicemente dimenticato che si trovava in quella borsa, ma è stato fortunato, perché l'incidente si è verificato in Texas dove le leggi sulle armi da fuoco sono più permissive. Non è stato arrestato, la polizia gli ha solo sequestrato la pistola e si è assicurata di portarla lontano dall’aeroporto; poi Howard ha dovuto effettuare nuovamente il controllo di sicurezza ed è stato lasciato passare senza che la polizia sporgesse denuncia contro di lui. 

Pierce Brosnan, un James Bond trasformato in Rambo
Pierce Brosnan, il celebre agente James Bond, una volta ha cercato di passare il controllo di sicurezza aeroportuale di Burlington, Vermont (USA), con un coltello da caccia di 25 centimetri nel bagaglio a mano. L'attore era con il figlio di 14 anni Paris, in partenza per Detroit con un volo della Delta Airlines. Gli agenti della Transportation Security Administration (TSA) degli Stati Uniti hanno trattenuto l'attore, imbarazzato per l’accaduto. L’ex 007 è stato poi graziato da un addetto alla sicurezza che ha minimizzato l'incidente, sostenendo che di continuo vengono intercettati oggetti vietati nei bagagli dei passeggeri e vengono rimossi senza poi comportare denunce o guai di altro tipo per i viaggiatori. Così, l’attore irlandese 64enne ha potuto proseguire il suo viaggio.

Jerry Lewis, un comico troppo distratto
Anche il leggendario comico Jerry Lewis è stato arrestato all'aeroporto di Las Vegas quando ha cercato di portare una pistola calibro 22 su un aereo. L’attore ha provato a giustificarsi dicendo che la pistola trovata nel suo bagaglio al controllo di sicurezza gli era stata regalata tempo prima e si era semplicemente dimenticato di togliere il pacchetto dalla valigia. “Avevo una pistola nel bagaglio a mano, me l’avevano donata a uno degli eventi Telethon per raccogliere fondi per la distrofia muscolare, l’ho messa in valigia e da quel giorno non ho più viaggiato” ha ammesso Lewis, aggiungendo che quando il suo agente gli ha chiesto se avesse davvero una pistola, gli ha risposto se era diventato pazzo. “Io so bene quello che ho messo in valigia Jeff. Poi tutto mi è tornato in mente all'improvviso...", ha detto imbarazzato l’attore che quel giorno doveva andare in Michigan. La pistola gli è stata sequestrata dalla polizia, Lewis è stato trattenuto e multato per aver portato l’arma senza avere la licenza.

Snoop Dogg, il rapper dal manganello facile 
Anche il rapper è stato arrestato, dalla sicurezza del John Wayne Airport di Irvine, 70 chilometri a sudest di Los Angeles, mentre aspettava di imbarcarsi su un volo per New York e aveva un manganello pieghevole da poliziotto nel bagaglio. Un oggetto che si espande da 20 a 53 centimetri e viene classificato come arma pericolosa e il cui semplice possesso è illegale. Al processo Snoop Dogg si è dichiarato non colpevole, ma alla fine ha dovuto pagare la cauzione di 150.000 dollari per uscire dal carcere.

Dennis Farina, un detective senza legge 
L’attore americano Dennis Farina, ex poliziotto che ha spesso interpretato il ruolo del gangster o quello del detective, come nella serie televisiva "Law and Order" in cui è Joe Fontana, è stato arrestato all'aeroporto di Los Angeles quando ha tentato di imbarcarsi su un aereo per Chicago con una pistola calibro 22 nella valigia. L'attore si è scusato con gli agenti e ha spiegato che aveva portato l’arma in un viaggio in auto dall’Arizona a Los Angeles e si era dimenticato, una volta arrivato in aeroporto, che la pistola era ancora nel suo bagaglio. "Farina si è scusato, ma è stato arrestato perché non aveva l'autorizzazione a trasportare l’arma" ha spiegato un portavoce della polizia. Un giudice ha poi fissato per lui una cauzione di 25.000 dollari.

Christian Slater ha fatto davvero “Cose molto cattive”
L'attore Christian Slater ha trascorso qualche ora in carcere per aver provato a portare una pistola su un aereo in partenza dall'aeroporto JFK di New York. Le autorità aeroportuali gli hanno trovato una nove millimetri nel bagaglio a mano mentre passava al metal detector. Gli sono toccati alcuni giorni di lavori socialmente utili, ma solo perché l’episodio è avvenuto prima della tragedia delle Torri Gemelle, altrimenti gli sarebbe andata peggio.

Ed Sheeran, l'Hobbit volante
Stavolta la star non ha cercato di imbarcare un’arma in aereo, ma ha rischiato quasi di uccidere la cantante Taylor Swift che si trovava a bordo. Ed Sheeran, che ha aperto i concerti della famosa popstar bionda, ha rischiato grosso con una riproduzione della spada usata nel film “Lo Hobbit” di Peter Jackson. L’aveva portata per divertirsi sul volo privato in cui i due viaggiavano insieme al resto del gruppo verso Nashville. "L'ho comprata a Omaha e volevo portarla a Nashville, ma Taylor e il suo team erano spaventati e si chiedevano perché l’avessi con me” ha spiegato il cantante. “Quando l'aereo è decollato, la spada che era sul tavolo, ha iniziato a muoversi lentamente, poi quando ci sono state delle turbolenze e il velivolo ha barcollato è arrivata quasi contro Taylor e ho pensato che stesse per trafiggerla! Per fortuna è andato tutto bene”.

Peter Mayhew, un Chewbacca disarmato 
La Transportation Security Administration (TSA) degli Stati Uniti è sempre più scrupolosa nei controlli ai passeggeri prima che si imbarchino sui voli, verifica con attenzione anche i bambini di tre anni sui passeggini. Ma gli è capitato anche di trovarsi davanti a cose assurde, arrivate da “un'altra galassia”. E’ il caso di Peter Mayhew, l'attore che ha interpretato il peloso Chewbacca nella saga di Star Wars, arrestato mentre stava per salire sul volo che doveva riportarlo a casa, in Texas, all'aeroporto di Denver. Il motivo? Portava con sé un'arma... niente di meno che la sua spada laser. L’attore inglese alto 2,21 metri aveva appena partecipato al Comic-Con in Colorado e aveva portato naturalmente la sua leggendaria spada extra-large. L’oggetto in questione ha scatenato un acceso dibattito tra gli addetti alla sicurezza, chiamati a stabilire se poteva essere considerata o meno un pericolo da imbarcare sul volo. Mayhew ha anche cercato di spiegare agli agenti che la spada per lui era fondamentale in quanto a una certa età la usava anche come sostegno mentre camminava. Alla fine il personale della American Airlines, visto che era anche un “frequent flyer”, gli è venuto incontro e ha convinto il personale della TSA che le probabilità che un famoso attore dirottasse un aereo armato di una spada laser o facesse male a qualcuno erano praticamente nulle.

Jonah Falcon e il rigonfiamento sospetto...
Uno degli ultimi casi è il più divertente: riguarda Jonah Falcon, attore Usa, personaggio tv e famoso per essere l'uomo con il pene più grande del mondo, a cui è stato chiesto di spogliarsi in un aeroporto della California perché gli addetti ai controlli pensavano che stesse nascondendo un oggetto pericoloso nei pantaloni. In realtà era tutta “roba sua”, un'arma di 24 centimetri a riposo e 34 in fase d’erezione. Quando gli è stato chiesto se aveva svuotato completamente le tasche, l’attore che ha recitato in "A Beautiful Mind", "Sex and the City" e "I Soprano", ha risposto di sì, ma non è stato preso sul serio e lo hanno fatto spogliare. Facile immaginare la sorpresa degli addetti alla sicurezza nel vedere la sua “arma misteriosa”. Lui però non ne ha mai fatto un vanto e nonostante le numerose proposte per recitare in film porno, ha sempre rifiutato.

Fobie, ipocondria, ansia e stress fanno da padroni in questa delicata situazione. Come se ne esce?

$
0
0

Ne parla lo Psicologo Gabriele Giorgi, esperto delle paure delle malattie, Ordinario di Psicologia Università Europea di Roma

Il coronavirus non è solo un'emergenza sanitaria gravissima ma - metaforicamente - il cigno nero che sta rivoluzionando la vita di tutti: eventi cancellati; perdita o chiusura di posti di lavoro; isolamento relazionale - si può addirittura parlare di reclusione forzata.
Lo sbattere delle ali del cigno è stato talmente forte che ha trovato tutti impreparati. Troppi sono stati i messaggi confusi lanciati da forze politiche e anche professionisti del settore tesi a sottostimare la rischiosità e l’impatto del virus considerato banalmente come una influenza un po’ più forte.
Al di là del coronavirus è emerso fin dall’inizio un altro virus, stavolta prettamente psicologico, che è entrato dentro di noi, in un primo tempo con paure, sia razionali che irrazionali, con un’apologia del panico rispetto alla rischiosità il virus biologico. In un secondo tempo con comunicazioni autorevoli, mezzi di comunicazione ufficiali si è raggiunta una consapevolezza più matura che porta di conseguenza a restrizioni profonde e dolorose al nostro agire quotidiano. 
In un periodo così difficile è comprensibile che fobie ed ipocondria si accompagnino a meccanismi più naturali come l’ansia e lo stress mettendo la salute mentale delle persone a maggior rischio.  E’ importante pertanto, nel limite del possibile, cercare di trovare delle strategie di fronteggiamento (coping) adattive e allontanando quelle maladattive (eccessivo consumo di alcol, fumo, abitudini alimentari scorrette, solo per fare qualche esempio).
Rimuginare troppo o ossessionarsi sulle conseguenze della pericolosità del coronavirus non aiuta l’individuo, anzi tutto ciò può avere ripercussioni negative anche sul sistema immunitario. Dal punto di vista psicologico occorre vaccinarci al momento con le nostre difese naturali: le emozioni positive: espandendo le nostre opzioni cognitive e comportamentali aumentiamo la resilienza e miglioriamo la salute psico-fisica.
E’ importante anche prendersi cura della propria salute mentale contestualizzata al lavoro.https://www.hindawi.com/journals/bmri/si/939484/ Anche in periodi di inattività va mantenuta la motivazione lavorativa, così come in momenti di grande sforzo (sto pensando ai nostri medici e infermieri) sono fondamentali il recovery e la gestione dello stress lavoro correlato.
Tuttavia, è doveroso ricordare che per vincere la partita con il virus ci vorrà il sostegno e l’engagement di tutti noi. E’ importante sensibilizzare non solo l’individuo alla sperimentazione di comportamenti e emozioni intelligenti, ma anche i gruppi, le comunità, le istituzioni e le aziende.
L’intelligenza emotiva delle organizzazioni sarà fondamentale per far risorgere una fenice dalle ceneri capace di spezzare le ali del cigno nero.

Giornata Mondiale sindrome di Down, sondaggio su felicità, lavoro, consapevolezza, diritto al voto

$
0
0
Cosa pensano e cosa vogliono le persone con sindrome di Down? CoorDown ha intervistato oltre 2500 persone, tra i 14 e i 65 anni, grazie ad un’indagine in due fasi, prima in Italia con “Ora Parlo Io” e poi nel mondo con la ricerca internazionale “It’s My Say”. Per il 21 marzo, la Giornata Mondiale sulla sindrome di Down, presenta in anteprima i risultati sui alcuni temi cruciali del sondaggio: felicità, lavoro, consapevolezza, diritto al voto.

La scelta di raccogliere la voce e i desideri delle persone con sindrome di Down è un modo concreto per sostenere l’autodeterminazione e la self advocacy e metterle effettivamente al centro delle decisioni che influenzano le loro vite.

FELICITÀ. Il benessere di una persona dipende dall’inclusione nella società e dalla possibilità di esercitare i propri diritti: una scuola di qualità, l'opportunità di lavorare, il diritto di amare, la possibilità di vivere in autonomia, come chiunque altro. Parlare di felicità significa comprendere e affermare che tutti hanno diritto di essere felici e che la vita delle persone con sindrome di Down è una vita possibile, a volte difficile, ma anche felice e soddisfacente laddove venga riconosciuto per ciascuno il diritto di esserci e contare.
Alla domanda se sono felici e che cosa rende piena la loro vita il 71% afferma che è felice della propria vita. Con diverse risposte multiple a disposizione il campione intervistato rivela che il 91% dichiara che per la sua felicità sono importanti la famiglia e la presenza di amici. Per il 77% essere felice si associa alla possibilità di vivere un amore. Il 53% afferma che sono studio e lavoro i fattori determinanti della sua felicità.

LAVORO. Per le persone con sindrome di Down il lavoro è importante come per ognuno di noi. Significa diventare indipendenti, avere un proprio reddito e decidere come spenderlo, poter organizzare la propria vita adulta, oltre che dimostrare le proprie competenze e costruire relazioni sociali. Assicurare pari diritti e opportunità nel lavoro a tutte le persone con sindrome di Down vuol dire dare loro la possibilità di costruirsi il futuro. Cosa pensano quindi del lavoro?
Tra quelli che lavorano, il 76% afferma che gli piace molto il proprio lavoro, il 64% sta molto bene con i colleghi, ma solo il 17% frequenta i colleghi fuori del lavoro. Tra quanti non lavorano: l’81% dichiara che vorrebbe molto lavorare. Tra le professioni che venivano proposte: il 30% vorrebbe lavorare nello spettacolo, il 28 % in un ristorante/bar, il 16% in un ufficio, il 12% nella moda, il 9% in una fattoria e un altro 9% in un magazzino o negozio.

CONSAPEVOLEZZA. Abbattere stereotipi e pregiudizi e lavorare davvero per una piena inclusione vuol dire prima di tutto dare l’opportunità alle persone con sindrome di Down di prendere coscienza di se stessi, poter conoscere e riconoscere le proprie caratteristiche e specificità. Uno dei luoghi comuni più ricorrenti è che le persone con sindrome di Down non sappiano di avere una disabilità intellettiva, invece il 71,7% degli intervistati è consapevole della sindrome di Down e addirittura il 39,6% sa che è una condizione genetica, il 24,2% la considera una caratteristica e solo il 6,9% pensa sia una malattia. La promozione della cultura della diversità parte dalle famiglie e nella propria comunità: le persone con sindrome di Down sono tanto più serene quanto le persone intorno a loro accettano le loro caratteristiche e ne parlano senza paure e reticenze.

VOTO. Le persone con sindrome di Down possono votare? Sì, le persone con sindrome di Down hanno diritto al voto. Ma averne diritto spesso non significa poterlo esercitare, non lasciare indietro nessuno in questo contesto significa mettere le persone con disabilità intellettiva nelle condizioni di poter votare assicurando che l'informazione, le procedure, le strutture e i materiali elettorali siano appropriati e accessibili affinché possano conoscere i programmi, le procedure e prendere decisioni consapevoli.
L’83% afferma di votare alle elezioni. È un numero decisamente alto, che ci restituisce l’immagine di cittadini consapevoli e responsabili. Un dato che va certamente contestualizzato ai canali attraverso cui è stato diffuso il questionario, le associazioni di categoria, dove si lavora affinché le persone con sindrome di Down siano informate e sostenute affinché sviluppino le loro capacità decisionali.
Un dato che sottolinea altresì che le persone con sindrome di Down vogliono prendere le loro decisioni e essere parte attiva della società, che è proprio il tema di quest’anno della Giornata mondiale.

Antonella Falugiani, Presidente di CoorDown ODV, dichiara«Le opinioni e le aspirazioni delle persone con sindrome di Down ci raccontano una realtà complessa che sfata false credenze e stereotipi. Su 2544 intervistati solo il 6,9% pensa che la sindrome di Down sia una malattia, una delle convinzioni errate che ancora vanno combattute. Come quella che porta a pensare ancora troppi nella nostra società che il lavoro per le persone con sindrome di Down sia un passatempo o un eterno stage, la stragrande maggioranza invece aspira a trovare la propria autonomia e a sperimentarsi in campi creativi e impegnativi. Le persone che hanno partecipato all’indagine fanno parte di percorsi di inclusione messi in campo dalle associazioni in tutto il mondo e dimostrano quanto sia forte l’impatto sociale dei progetti realizzati fin dall’infanzia sul vissuto delle persone con sindrome di Down. Una spinta ulteriore per ricordare nella Giornata mondiale quanto sia importante rendere sempre più protagoniste le persone con sindrome di Down e tenere presenti i loro diritti e le loro esigenze. Soprattutto in questo momento di emergenza, dove i più fragili rischiano di essere lasciati indietro e scontare nuove diseguaglianze».

“Ora Parlo Io” e “IT’S MY SAY”, costituiscono la prima indagine rivolta direttamente alle persone con sindrome di Down lanciata nel 2019 in Italia e nel 2020 a livello internazionale in 6 lingue per raccogliere le esperienze su scuola, lavoro, sport e vita affettiva. Un nuovo strumento di ricerca che ha utilizzato il web, dando alle persone con sindrome di Down la possibilità di raccontarsi direttamente attraverso un linguaggio adeguato e accessibile affinché la loro opinione sia espressa in modo libero, non condizionato e soprattutto non mediato da altri sulla percezione della propria esperienza di vita. L’indagine continuerà ad essere aperta e disponibile fino a settembre 2020 per raccogliere ulteriori dati affinché siano il più rappresentativi possibili dell’opinione delle persone con sindrome di Down.
Al link itsmysay.coordown.it si può partecipare e compilare il sondaggio.

"WE DECIDE il 2020 il tema della giornata mondiale, scelto per promuovere la piena partecipazione al processo decisionale delle persone con sindrome di Down su questioni che riguardano la loro vita. Una partecipazione efficace e significativa è un principio fondamentale dei diritti umani sostenuto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (CRPD).
Nella realtà oggi gli atteggiamenti negativi prevalenti, le basse aspettative, la discriminazione e l'esclusione fanno sì che le persone con sindrome di Down siano lasciate indietro e non abbiano la possibilità di partecipare pienamente al processo decisionale su questioni che riguardano o influenzano la loro vita a tutti i livelli.

Gli hashtag ufficiali della Giornata sono #WeDecide #WorldDownSyndromeDay #WDSD20

The 6th ha realizzato le infografiche del sondaggio. The 6th Creative Studio, fondato da Emanuele Basso ed Elena Carella, si occupa di comunicazione e graphic design, lavorando su progetti di advertising, branding, packaging e illustrazione.

La Giornata Mondiale sulla sindrome di Down (WDSD - World Down Syndrome Day in inglese) è un appuntamento internazionale – voluto da Down Syndrome International e sancito ufficialmente anche da una risoluzione dell’ONU — nato per diffondere una maggiore consapevolezza e conoscenza sulla sindrome di Down, per creare una nuova cultura della diversità e per promuovere il rispetto e l’inclusione nella società di tutte le persone con sindrome di Down. La scelta della data 21/3 non è casuale: la sindrome di Down, detta anche Trisomia 21, è caratterizzata dalla presenza di un cromosoma in più – tre invece di due – nella coppia cromosomica n. 21 all’interno delle cellule.

COORDOWN ODV
Il Coordinamento delle associazioni delle persone con sindrome di Down nasce nel 1987 con lo scopo di promuovere azioni di comunicazione condivise tra le diverse organizzazioni italiane impegnate nella tutela e nella promozione dei diritti delle persone con sindrome di Down ed è oggi l’organismo ufficiale di confronto con tutte le Istituzioni. Ogni seconda domenica di ottobre, CoorDown promuove la Giornata Nazionale delle persone con sindrome di Down e, il 21 marzo di ogni anno, il World Down Syndrome Day, anche attraverso la produzione di campagne internazionali di comunicazione che in questi anni hanno collezionato un totale di ben 20 leoni, di cui 9 d’oro, al Festival Internazionale della Creatività di Cannes.


Caronte, la serie spagnola: protagonista credibile e valido intreccio. La recensione

$
0
0
Stando in casa per ovvie ragioni, si possono scoprire delle serie belle ma forse passate da noi un po' in sordina. È il caso di "Caronte", serie spagnola creata da Verónica Fernández e prodotta da Mediaset España, disponibile su Amazon Prime.

Una bella sorpresa che subito convince per la scelta del personaggio, un ex poliziotto che ha scontato dieci anni in carcere per un omicidio mai commesso, scagionato e nel frattempo diventato avvocato penalista; e per la scelta dell'attore che lo interpreta, Roberto Álamo, così naturale, e per questo spontaneamente affascinante, credibile.
È un uomo giusto, che si batte per i deboli e difende chi viene ingiustamente condannato. Ma anche impulsivo che non mette da parte i propri difetti e ciò lo rende ancora più vicino.
Gli episodi si basano ovviamente sui vari casi che assieme alla sua socia -bravissima Miriam Giovanelli già apprezzata in Velvet- cercano di risolvere, ma accomunati dal suo incessante desiderio di far giustizia contro chi -il commissario Panyagua (Carlos Hipólito)- gli aveva teso una trappola creando prove false che lo incriminarono.
Ad aiutarlo l'amico poliziotto Aurelio (Raúl Tejón).
C'è il tempo nei tredici episodi che compongono la serie di conoscere storie che riguardano la sua sfera sentimentale (la sua compagna e il figlio che attendono, la vicina di casa Irina) e familiare (un'ex moglie col nuovo marito, il figlio adolescente che non smette di causare problemi, la violenza di genere che colpisce la sorella, l'Alzheimer che affligge la madre (Julieta Serrano).
Una serie che si fa seguire con piacere in lingua spagnola. Dialoghi ben costruiti, a volte qualche personaggio sembra un po' forzato ma nell'insieme Caronte gode di una buona tessitura. 

Ave Maria con la musica di I Will Survive, Bee Gees, Moulin Rouge e Village People

Viewing all 37191 articles
Browse latest View live


<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>