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Samantha Casella, regista e sceneggiatrice "affascinata dal lato oscuro delle persone". L'intervista

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«Credo che il vero talento sia essere persone di talento con chi ci sta vicino, con chi amiamo, ancor più che dietro a una macchina da presa» - diAndrea Giostra.

Ciao Samantha, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori? Chi è Samantha artista-della settima arte e Samantha donna?
Ciao Andrea, grazie. Si inizia subito con una domanda difficile… Penso esista un solco profondo tra il mio approccio al cinema e il mio modo di essere, di pormi. Tendo a trasferire la mia parte emozionale più profonda in ciò che realizzo, mentre cerco di affrontare il mio quotidiano con estremo equilibrio. 
Tu vivi a Los Angeles, dove recentemente hai realizzato un cortometraggio dal titolo “I Am Banksy”, che a Hollywood ha avuto diversi riconoscimenti. Ci parli di questo film? Come nasce e qual è il messaggio che vuoi arrivi al lettore? 
Dunque. In realtà, solo “To A God Unknown”, il mio nuovo lavoro, può essere considerato un cortometraggio made in USA, dato che “I Am Banksy” tornai a girarlo in Italia. Si tratta di una storia semplice che ruota intorno all’ostinazione di un giornalista arrivista, interpretato da Marco Iannitello, deciso a scoprire l’identità di questo misterioso artista. Il corto prese vita in una serata come tante, insieme ad amici, con qualcuno che prende la parola e chiede ad alta voce: «Secondo voi chi è Banksy?». Mi colpì la risposta di un’amica che disse: «Forse Banksy non esiste. Oppure siamo tutti Banksy». Il messaggio è semplice, ossia che ciò che viene smerciato per “puro” può comunque nascondere lati oscuri… Però ci mancherebbe, è solo una storia. 
Quali sono i premi e i riconoscimenti che questo corto ha ricevuto negli Stati Uniti?
“I Am Banksy” ha vinto un totale di tredici premi… Oltre a tre premi alla regia, i più importanti sono stati Best International Shortal Golden State Film Festival, al Los Angeles Theatrical Release Competition & Award e al Marina Del Rey Film Festival; Best Mystery Short al Olympus Film Festival e Best Foreign Short al Los Angeles Independent Film Festival Award. Non meno di peso credo sia stata la distribuzione nelle sale di Los Angeles.
Ci parli delle tue precedenti opere? Quali sono, qual è stata l’ispirazione che li ha generati, quali i messaggio che vuoi lanciare allo spettatore o a chi leggerà le tue sceneggiature?
Se si escludono giusto un paio di cortometraggi, quasi tutti i miei piccoli lavori non hanno mai proposto un genere narrativo quindi il messaggio non è mai sociale, bensì intimista, o meglio, credo sarebbe presuntuoso da parte mia anche solo sostenere che esista un messaggio portante, perché ognuno eventualmente sente ciò che gli suggerisce il proprio percorso di vita. Non è da escludere l’eventualità che tante persone non vedano proprio nulla nei miei cortometraggi, che li ritengano pretenziosi. Sono critiche comprensibili e che vanno accettate. Io non parlerei mai di ispirazione, non so, penso sia più un ripiegarmi dentro me stessa, cedere al fascino di un’immagine, non so nemmeno spiegarlo con esattezza. In parallelo ho un percorso documentaristico che considero un’esperienza meravigliosa. Ho realizzato diversi video per artisti, poi presentati nell’arco di diverse edizioni della Biennale. Ormai dieci anni fa ho inoltre documentato i vari processi lavorativi della Via Crucis realizzata dallo scultore Federico Severino e collocata nel Pantheon di Roma. Mi scuote pensare che quando tutte le persone che abbiamo lavorato a questo progetto non ci saremo più, la Via Crucis sarà (spero) ancora esposta in un luogo tanto visitato… 
Come e quando nasce la tua passione per la settima arte? 
Da bambina rimasi impressionata da un dialogo su Dio tra un prete e una donna. In seguito avrei scoperto che si trattava di un film di Ingmar Bergman, “Luci d’inverno”. La mia passione per il cinema nasce dal mescolarsi con il mio amore per l’arte e la letteratura. 
Qual è il percorso formativo ed esperienziale che hai maturato e che ti ha portare a realizzare le tue opere? 
Sono affascinata dal lato oscuro che prolifera nel cuore e nella mente delle persone, dal mistero che si nasconde dietro agli eventi, siano essi conseguenza del caso o determinati dal destino, dall’impotenza di noi esseri umani al cospetto di quello “sguardo superiore” che grava sulle nostre vite.
«La lettura di buoni libri è una conversazione con i migliori uomini dei secoli passati che ne sono stati gli autori, anzi come una conversazione meditata, nella quale essi ci rivelano i loro pensieri migliori» (René Descartes in “Il discorso del metodo”, Leida, 1637). È proprio così secondo te? Cosa significa oggi leggere un buon libro, un buon romanzo? Quali orizzonti apre, se secondo te oggi, nell’era dell’Homo Technologicus, effettivamente la lettura di buoni libri apre orizzonti nuovi? 
Io non so quali siano i “buoni libri”. Ho letto tutto Dostoevskij e buona parte di Steinbeck che ero ancora una ragazzina, eppure questo non ha fatto di me una grande regista. Certo, è scontato che esiste una letteratura alta e una inferiore. Ma ciò vale per tutto. Siamo diversi, viviamo esperienze diverse, momenti di vita diversi. Ora come ora sento la letteratura russa molto lontana da me, mentre mi sta facendo sognare “The familiars” un libro consigliatomi dalla veterinaria della mia gatta. Quindi io credo che nuovi orizzonti li possa aprire leggere in generale ed entrando nello specifico qualsiasi cosa si legge, in chi la legge, può lasciare qualcosa e da questa elaborazione possono aprirsi nuovi orizzonti, i quali però resteranno sempre personali. 
«Per scrivere bisogna avere immaginazione. L’immaginazione non si impara a scuola, te la regala mamma quando ti concepisce. Non ho fatto nessuna scuola per imparare a scrivere. Ho visto tanti film e letto tanti libri.» (Luciano Vincenzoni (Treviso 1926), intervista di Virginia Zullo, 12 aprile 2013, YouTube, https://www.youtube.com/channel/UCDiENZIA6YUcSdmSOC7JAtg) Tu cosa ne pensi in proposito? Cosa serve per scrivere bene, per scrivere sceneggiature originali e di successo come quelle di Luciano Vincenzoni, uno dei più grandi sceneggiatori italiani del Novecento? 
Non saprei, anche qui si apre un bivio, per una buona sceneggiatura di successo si intende un film Marvel con grandi incassi, o un film che vince la Palma d’oro a Cannes ma che ha un incasso infinitesimale a confronto? L’immaginazione, il talento, sono sicuramente due componente fondamentali. Poi, però, per arrivare al pubblico devi scendere spesso a compromessi, devi capire “il tuo tempo storico”, ciò che ama vedere la gente… Io credo in due categorie di film, in “film onesti” e in “film disonesti”. La verità è alla base di tutto. Si può scrivere anche la storia più dozzinale, ma se la si racconta con verità ne uscirà un buon film.
«Tutti i film che ho realizzato sono partiti dalla lettura di un libro. I libri che ho trasformato in film avevano quasi sempre un aspetto che a una prima lettura mi portava a domandarmi: “È una storia fantastica; ma se ne potrà fare un film?” Ho sempre dei sospetti quando un libro sembra prestarsi troppo bene alla trasposizione cinematografica. Di solito significa che è troppo simile ad altre storie già raccontate e la mente salta troppo presto alle conclusioni, capendo subito come lo si potrebbe trasformare in film. La cosa più difficile per me è trovare la storia. È molto più difficile che trovare i finanziamenti, scrivere il copione, girare il film, montarlo e così via. Mi ci sono voluti cinque anni per ciascuno degli ultimi tre film perché è difficilissimo trovare qualcosa che secondo me valga la pena di realizzare. (…) Le buone storie adatte a essere trasformate in un film sono talmente rare che l’argomento è secondario. Mi sono semplicemente messo a leggere di tutto. Quando cerco una storia leggo per una media di cinque ore al giorno, basandomi sulle segnalazioni delle riviste e anche su lettura casuali.»(tratto da “Candidamente Kubrick”, di Gene Siskel, pubblicato sul Chicago Tribune, 21 giugno 1987). Cosa ne pensi delle parole di Kubrick? Tu come fai a trovare belle e interessanti storie da trasformare in sceneggiature che possano interessare un produttore, un regista?
Certo, penso che nel momento in cui si entra nel meccanismo produttivo, trovare la storia giusta sia essenziale. Ora come ora, credo di non fare testo… Sto scrivendo la mia opera prima ed è una storia che voglio produrre a livello indipendente. Se andrà bene, che già di per sé è un punto interrogativo enorme, in quel caso cercherò di conciliare la scelta mirata di una storia con le esigenze dei produttori… 
«Ho sempre detto che i due registi che meritano di essere studiati son Charlie Chaplin e Orson Welles che rappresentano i due approcci più diversi di regia. Charlie Chaplin in modo grezzo e semplice, probabilmente non aveva il minimo interesse per la cinematografia. Si limita a schiaffare l’immagine sullo schermo, e basta: è il contenuto dell’inquadratura che importa. Invece Welles, al proprio meglio, è uno degli stilisti più barocchi nello stile tradizionale del racconto filmico.» (Conversazione con Stanley Kubrick su 2001 di Maurice Rapf, 1969). Tu cosa apprezzi di più di un film, l’immagine o il racconto, l’inquadratura o i dialoghi? Oppure, per te, cosa è importante in un film, per rimanere nelle parole di Kubrick? 
Sono ossessionata dalla pulizia delle inquadrature… Per me sono un dramma gli interruttori della luce, i termosifoni, o qualsiasi cosa che potrebbe “sporcare” un’immagine in modo non funzionale… Poi certo, apprezzo altri aspetti, i dialoghi ad esempio. 
«Il cinema lo chiamerei semplicemente vita. Non credo di aver mai avuto una vita al di fuori del cinema; e in qualche modo è stato, lo riconosco, una limitazione.» Bernardo Bertolucci (1941-2018). Qual è la tua posizione da addetto ai lavori, di chi il cinema lo vive come professione ma anche come passione, rispetto a quello che disse Bertolucci? Oltre ad essere un’arte, cos’è il cinema per te? 
Il cinema, se sei o vuoi provare a diventare un regista, penso sia un qualcosa che inevitabilmente ti porti dietro durante le giornate. Per dire, io non sono certo Bertolucci, ma mi rendo conto che in alcuni momenti della giornata, mentre sono in compagnia, non sono totalmente presente, ascolto quello che mi si dice, ma non fino in fondo. Dopo ripensandoci mi sento in colpa, ma le storie che sto scrivendo, le immagini che mi evocano alcuni punti, si mescola con le mie giornate. Il cinema per me diventa un dialogo interiore, una solitudine che condivido con i personaggi di cui sto scrivendo. Resta il fatto che non prendo troppo sul serio certe cose, potrei pure diventare una buona regista, ma eviterei di parlarne troppo perché credo non sia un aspetto di cui andare così fieri. Il cinema non è tutta sta cosa, credo che il vero talento sia essere persone di talento con chi ci sta vicino, con chi amiamo, ancor più che dietro a una macchina da presa. 
Chi sono i tuoi modelli, i tuoi registi preferiti, quelli con cui ti piacerebbe lavorare? 
Nel cinema amo i registi che riescono a produrre bellezza visiva… Adoro Malick, Bergman, Kieslowski, Tarantino, Kubrick, Lynch, P.T Anderson, Scorsese, Visconti, la prima Campion, diversi film di von Trier e Tarkovskij. Con chi mi piacerebbe fare una co-regia? Sinceramente è un aspetto a cui non ho mai pensato… 
Se dovessi consigliare ai nostri lettori tre libri e tre autori da leggere, quali consiglieresti e perché proprio questi? 
Tre libri è veramente poco ed è difficile dare consigli perché leggere è una disciplina e tre titoli giusti per me non è detto lo siano anche per altri… Comunque direi “La Signora Dalloway” di Virginia Woolf, “Assalonne, Assolonne!” di William Faulkner e la saga di Harry Potter. Trasudano di emozioni e sentimenti forti: sono libri formativi, carichi di passione, di tragedia, di amore, di speranza, di disperazione. 
“The Tree of Life”perché credo sia un’opera al limite del definitivo per il cinema. “The Hours” perché è poesia e perché vi recitano le due attrici viventi che trovo le migliori in assoluto: Nicole Kidman e Julianne Moore. “Welcome to the Rileys”, non perché sia tra i miei film preferiti, non è nemmeno in top 50, ma perché James Gandolfini offre una interpretazione stupenda e perché troppe persone ancora sminuiscono Kristen Stewart, mentre è l’attrice di maggior talento della sua generazione. 
Una domanda difficile Samantha: perché i nostri lettori dovrebbero vedere i tuoi film? Prova a incuriosirli perché li cerchino e li vedano nei canali online dove sono disponibili. 
A questa domanda non so proprio rispondere perché credo sia un processo che deve avvenire in modo fluido. Sarei felice se facessero qualche ricerca, che provassero a vedere qualcosa, poi se interrompono la visione dopo due minuti, può succedere.  
Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti di cui ci vuoi parlare? 
Il 26 febbraio al Chinese Theatre, in occasione del Golden State Film Festival, verrà presentato il mio nuovo cortometraggio “To A God Unknown”. Ho già avuto notizia di tre premi vinti come miglior corto sperimentale, regia femminile e fotografia al Independent Shorts Awards; un Festival che si terrà a marzo ai Raleigh Studios di Hollywood. Sto poi scrivendo la sceneggiatura di quello che spero sarà il mio primo lungometraggio… In realtà ho tre film che sto un po’ valutando… 
Dove potranno seguirti i nostri lettori e i tuoi fan?
Cerco di aggiornare i miei spazi social, da Facebook, a Instagram a Twitter… Su Instagram cerco di pubblicare anche qualcosa dei luoghi e delle cose che più amo. C’è poi un blog, in cui ho scritto diversi articoli biografici su personaggi per cui ho un debole, anche del mondo dello sport. 
Come vuoi chiudere questa chiacchierata e cosa vuoi dire ai nostri lettori? 
Beh, ringrazio chiunque sia arrivato alla fine di questa intervista. Ovviamente mi farebbe piacere se qualcuno seguisse un po’ il mio percorso, soprattutto in previsione del mio primo film. Il vero motore trainante del cinema rimane il gradimento del pubblico, a qualsiasi livello.

Samantha Casella

Andrea Giostra

A FATTITALIANI LA BELLEZZA E IL TALENTO DI GISELLA DONADONI. L'INTERVISTA

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Gisella Donadoniè nata a Bergamo il 3 marzo del 1976 ed è una conduttrice televisiva, attrice e giornalistaitaliana che ha svolto 20 anni di carriera giornalistica, che l’ha vista spaziare dalla carta stampata, all’emittenza televisiva privata regionale a quella nazionale con ruoli di redattrice, inviata, coordinatrice redazionale, autore, conduttrice di trasmissioni e news. L'intervista di Caterina Guttadauro La Brasca per Fattitaliani.

Il suo esordio da cosa è stato motivato? 


È stato un esordio del tutto casuale, se non fosse stato per mia sorella Daniela probabilmente avrei continuato a perseguire unicamente il mio sogno da bambina: scrivere, diventare giornalista. E invece, accompagnandola ad una trasmissione televisiva, mi sono ritrovata con un microfono in mano e la richiesta, da parte degli autori, di introdurre il presentatore. Nonostante la mia profonda timidezza l’ho fatto con naturalezza e da li Gianna Tani, la mitica talent scout di Mediaset, ha cominciato a propormi ruoli in trasmissioni di diverso genere, e quello che all’inizio vivevo come un gioco divertente, esperienza dopo esperienza, è diventato qualcosa che amo davvero, il lavoro giusto per me. In fondo ho realizzato anche il mio  sogno, con la differenza che non ho scritto per la carta stampata ma per la tv.
Quanto conta la bellezza per avere successo? 
La bellezza è sicuramente un ottimo biglietto da visita, ma un bel packaging resta semplicemente tale se non custodisce al suo interno qualcosa di prezioso, ecco perché il successo, in qualsiasi campo, non può prescindere da un innato talento coltivato attraverso un’adeguata preparazione, fatta di studio, impegno, disciplina, fatica. Un aspetto gradevole può portarti ad avere più opportunità di dimostrare quanto vali e di ritagliarti il tuo posto nel mondo, ma per prendertelo devi dimostrare di meritartelo, e non basta certo un  bel sorriso.
Viviamo in un mondo altamente tecnologizzato ma si muore ancora di solitudine; il femminicidio è storia di tutti i giorni ormai, c’è un grande degrado morale che ci porta indietro di tanti anni. Il suo pensiero al riguardo? 
La ringrazio per questa domanda che mi dà la possibilità di parlare di un tema che mi sta molto a cuore e che ho trattato, proprio pochi giorni fa, nell’ambito di un Convegno a Palazzo Marino inerente i crimini relazionali. La donna oggi si è radicalmente allontanata dallo stereotipo devozionale che tanto gratifica l’uomo e rivendica con forza la sua autonomia, libertà, dignità, parità dei diritti.
Di fronte a questa nuova donna volitiva alcuni uomini restano disorientati, si sentono indeboliti, pervasi da una logica del possesso che è il contrario dell’amore, uomini che non accettano la libertà delle proprie compagne, che non tollerano la fine di un rapporto, che confondono la passione con la persecuzione. Uomini che non sono in grado di fare i conti con la ferita narcisistica che deriva da un rifiuto, da un abbandono, e che trasformano quel “Non posso vivere senza di te” in un “Non hai il diritto di vivere senza di me”. Ogni donna ha il diritto e il dovere di non tollerare, da parte dell’uomo che ama, alcun atto seppur minimo, che possa andare in quella direzione. Mi auguro che presto le scuole, di ogni ordine e grado, arricchiscano i loro programmi con corsi dedicati all’educazione sentimentale e alla parità di genere, che possano educare all’empatia, al rispetto dell’autonomia dell’altra persona, che possano insegnare ad attraversare le esperienze della solitudine e dell’abbandono senza farne un motivo di distruzione della vita propria o altrui.
Poter lavorare quanto ha contribuito, secondo lei, a creare un’autostima nelle donne? 
Sicuramente molto; noi donne negli ultimi decenni abbiamo fatto un cammino straordinario in questo senso, purtroppo però sono ancora parecchi i passi da compiere se consideriamo che solitamente dobbiamo impegnarci il doppio degli uomini per ottenere uguali risultati. E’ come se ci muovessimo in una sorta di limbo delimitato da un soffitto di vetro creato da una società ancora troppo maschilista ed un pavimento reso vischioso da remore che noi stesse a volte tendiamo a portare avanti, da credenze autolimitanti, dalla difficoltà di dover conciliare lavoro e famiglia.
Esiste, secondo lei, un tipo di uomo che non fa, necessariamente, la scansione di seno e sedere, prima di relazionarsi con una donna? 
Certo che sì, e non credo che uomini così siano una minoranza.
L’aspetto fisico è ciò che di una persona ci colpisce di primo acchito, uomo o donna che sia, ma subito dopo i primi secondi comincia la vera scoperta dell’altro e a quel punto anche gli occhi cominciano a vedere l’invisibile, vanno oltre. Ecco allora che la bellissima donna che ha colpito la fantasia di un uomo magari perde fascino ed interesse rivelandosi povera di contenuti, mentre quella che al momento non aveva brillato per aspetto fisico appare improvvisamente bella e piena di fascino grazie ad una personalità brillante, ad una simpatia irresistibile o per l’intelligenza delle sue parole. Sono pienamente convinta che non esista potere seduttivo più forte di un gran bel cervello, e questo vale per entrambi i sessi. 
Se un personaggio del passato volesse portarla a cena, lei chi preferirebbe? 
Accetterei volentieri un invito da parte di Sigmund Freud, il padre della psicanalisi, avrei tante domande da porgli, a cominciare da cosa o chi lo ha spinto ad indagare in maniera così profonda l’enorme complessità dell’animo umano, come è arrivato a scoprire le possibilità d’inganno o d’autoinganno della coscienza, e… chissà, magari a fine serata potrei anche scoprire qualcosa di più su me stessa. 
Come vive, se c’è, la competizione con i suoi colleghi?
Grazie al tipo di educazione ricevuta da due genitori stupendi non sono mai stata assalita da sentimenti di gelosia o competizione sfrenata.
Sin dai tempi della scuola ho sempre studiato con diligenza, non certo per il desiderio di essere la prima della classe ma semplicemente perché ritenevo fosse mio preciso dovere non sperperare i doni ricevuti.
Con lo stesso spirito ho sempre affrontato il mio lavoro cercando di fare del mio meglio per non deludere il pubblico, per ripagare la fiducia accordatami, guardando sempre il mio, senza mettermi in competizione con altri se non con i miei limiti.
E non lo dico ritenendolo un merito, bensì una benedizione, credo che vivere in perenne competizione sia una vera tortura, al mondo ci sarà sempre qualcuno più bravo, più bello, più interessante, più intelligente di noi, ma con impegno e dedizione possiamo decidere di essere la miglior versione possibile di noi stessi. 
Quanto conta per lei la Famiglia?
La famiglia per me è tutto, la mia vera ricchezza: i miei valori, il mio carattere, il mio modo di essere, la mia educazione sono tutti doni preziosi di una famiglia meravigliosa che mi ha sempre sostenuta, appoggiata e amata ed è sempre stata un porto sicuro in quel mare in tempesta che è a volte la vita. 
Gode di buona salute oggi il cinema e lo spettacolo in genere? 
Non molto, e lo dico con grande dispiacere. I  budget sono sempre più scarni, tanto cinema di casa nostra si affida ancora a circuiti d’elite, come le sale d’essai, e questo non giova alla loro visibilità. Le poche visualizzazioni impediscono che si crei consenso anche intorno ai film più belli e questo porta il grande pubblico a preferire quelli esteri, che arrivano per lo più dagli USA, ed è un vero peccato per i tanti piccoli film italiani che sono dei veri e propri gioielli, mi auguro si possa presto invertire la rotta. 
L’ultimo libro che ha letto? 
‘Factfulness’ di Hans Rosling, medico, statistico e accademico svedese che ha vissuto 20 anni in Congo per studiare e combattere il konzo, una malattia epidemica paralizzante. Una lettura interessante che consiglio a tutti, un antidoto all’angoscia dei nostri giorni. L’autore, attraverso dati e fatti reali, dimostra come le cose nel mondo vadano meglio di come pensiamo, per capirlo però dobbiamo imparare a guardare ai fatti con curiosità, a metterli in prospettiva e a saperci stupire. 
Lei ama di più sorprendere o essere sorpresa?
Adoro sorprendere, credo sia un modo bellissimo per dimostrare quanto teniamo alle persone che amiamo. Non servono gesti eclatanti, a volte bastano piccole cose che facciano però capire all’altro quanto siamo attenti ai suoi bisogni, ai suoi desideri.
Mi è capitato di stupire la mia famiglia realizzando un libro fotografico che ne ripercorre i momenti salienti, impiegando mesi a scovare e raccogliere materiale inedito. L’ho fatto preparando una cena speciale, creando un’atmosfera particolare in un giorno qualunque, per dire ‘ti amo’ alla persona che ho accanto. Purtroppo la consuetudine tende a sminuire anche le cose belle, e allora non adagiamoci, non cadiamo nella trappola del dare tutto per scontato, in amore e nella vita in generale non stanchiamoci di sorprendere! 
Come fa a mantenersi così bella e in forma?
La ringrazio per il complimento immeritato. Non ho grandi segreti. Cerco di fare una vita sana praticando un po’ di sport, penso sia per tutti un vero e proprio toccasana, non solo per il fisico ma anche per la mente. Sono troppo golosa per rinunciare ai dolci ma  scelgo con attenzione i prodotti da portare in tavola e, come ogni donna, amo prendermi cura della mia pelle con creme e sieri rigorosamente eco-friendly. Cerco poi di nutrire anche l’interiorità con coccole per l’anima, quando lo stare bene nasce da dentro si riflette anche all’esterno creando un’aura di fascino che non è data da ‘come’ si è esteriormente ma da ‘cosa’ si è nel profondo.   
Qual è il suo rapporto con il tempo che passa? 
Ho sempre pensato che crescere, invecchiare, non sia un dramma ma un’evoluzione naturale, un privilegio che ci permette di coltivare, giorno dopo giorno, il potenziale che abbiamo dentro di noi, di arricchire la nostra identità e acquisire maggior consapevolezza. E se per affrontare questo bellissimo viaggio dobbiamo sacrificare un po’ di tonicità del corpo, freschezza del viso ed accettare qualche acciacco e ruga in più… pazienza, direi che ne vale assolutamente la pena. Come scrive Kahlil Gibran “Se dovete nella vostra mente scandire il tempo in stagioni, lasciate che ogni stagione cinga tutte le altre, e che l’oggi abbracci il passato col ricordo ed il futuro col desiderio”. Credo proprio sia questo il segreto per vivere al meglio ogni nostro domani.
Progetti in cantiere? 
C’è un progetto imprenditoriale a cui mi sto dedicando anima e corpo visto che si tratta di qualcosa di inedito rispetto a ciò che ho fatto fino ad ora, un’idea nata dal desiderio di fare qualcosa per la salute del pianeta e favorire un consumo più consapevole. E’ ancora prematuro parlarne, posso però dirle che il tutto è nato da un’esigenza personale, il desiderio di poter avere a disposizione prodotti di qualità che tengano conto non solo del nostro benessere, ma anche di quello della nostra amata e fragile terra. 

Una carriera conquistata gradino per gradino quella di Gisella Donadoni in un mondo come quello dello spettacolo, in cui non ci si deve mai sentire “arrivati” anzi ripartire ogni giorno con determinazione e umiltà.
FATTITALIANI ringrazia questa bella persona, le cui risposte evidenziano che a determinare il successo sono tanti fattori, pur essendo riconoscente alla sua immagine di Donna bella in maniera discreta ed elegante. 
Caterina Guttadauro La Brasca

Gisella Donadoni

Dopo gli studi in Scienze Politiche a indirizzo in discipline di economia politica e politica economica, e un lungo periodo come giornalista di cronaca, ha esordito in televisione come giornalista e speaker del Tg “Bergamo Notizie” e lavorando in redazione di prestigiose testate tra cui Rete 4.

Gisella Donadoni realizza per anni numerosi servizi giornalistici per programmi di Rete 4, coautrice e immagine di Talk show economico finanziari, tra cui "Money" e "Soldi", diviene poi capo autrice e conduttrice di "A casa loro", programma economico a cui prendono parte alcuni dei maggiori imprenditori italiani, per poi passare a condurre programmi di attualità e intrattenimento come Unomania in onda su Italia 1 con Federica Panicucci.
Partecipa alla conduzione di programmi RAI e Mediaset in Prima serata, tra i quali “Azzurro” (Rai 2, Italia 1), “Festivalbar” (RAI, Canale 5, Italia 1), “La sai l'ultima?” (Canale 5), "Ma mi faccia il piacere" (Italia 1), “Le Iene (programma televisivo)” (Italia 1). E' attrice nelle sitcom “Nonno Felice” (Canale 5) e “Casa Vianello” (Canale 5) e nella soap “Vivere” (Canale 5).
Nel 2015 fa il suo esordio sul grande schermo nella commedia “Matrimonio al Sud” con Massimo Boldi e Biagio Izzo, diventa poi coprotagonista della black comedy “Un nemico che ti vuole bene” a fianco di Diego Abatantuono e Massimo Ghini e di “Bene ma non benissimo” pellicola incentrata sul tema del bullismo. Dal 2016 Gisella Donadoni è nominata madrina e testimonial del Festival Internazionale del Cinema Nuovo di cui è Presidente onorario Pupi Avati. 

CORONAVIRUS, LE RACCOMANDAZIONI IGIENICHE PER CANI E GATTI

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A stilarlo sono gli esperti di Ca’ Zampa, che hanno tracciato le linee guide con cui minimizzare le contaminazioni negli animali domestici di virus e batteri attraverso una corretta pulizia del pelo e igiene della cute

La delicata situazione sanitaria di questi giorni, dettata dal diffondersi del Coronavirus, ha reso maggiormente necessario seguire delle scrupolose regole di pulizia personale e degli ambienti. Attenzione e scrupolo che vanno declinati anche per glianimali domestici, presenti in più di 1 famiglia italiana su 3. A dirlo sono gli esperti di Ca’ Zampa, il primo Gruppo italiano di Centri pensati per il benessere dei pet presenti a Brugherio, (alle porte di Milano), Mestre e Udine, dove trovare servizi di veterinaria, toelettatura, educazione, fisioterapia e degenza. Sebbene al momento non esistono prove che dimostrino che animali come cani o gatti possano essere infettati dal SARS-CoV-2, né che possano essere una fonte di infezione per l’uomo" gli esperti suggeriscono alcune semplice norme igieniche da adottare .
Secondo i veterinari, è sufficiente seguire delle semplici ma utili regole di igiene della cute e pulizia del pelo, in modo da disinfettare la cute da microrganismi nocivi e combattere i virus, batteri e funghi.
 “La pulizia del pelo e l’igiene  della cute - spiega Massimo Beccati, medico veterinario Direttore Sanitario del Centro Ca’ Zampa di Brugherio  - sono due aspetti che non vanno mai sottovalutati. Fare il bagno al cane e al gatto deve essere parte della routine di un pet-owner. Soprattutto in questo momento è opportuno fare ancora più attenzione, attraverso dei bagni a base di clorexidina, un efficace agente antimicrobico con cui difenderli dai microrganismi nocivi. Per         questa ragione, nei nostri Centri stiamo diffondendo una maggiore conoscenza dell’importanza dei bagni igienizzanti e l’utilizzo di salviette, come si fa abitualmente per l’uomo. Piccoli gesti che possono fare la differenza, nell’ottica di far stare bene l’animale domestico attuando una corretta prevenzione fin nella quotidianità”.
La prevenzione migliora la sua vita: la cura del pet parte da semplici ma utili attenzioni che aiutano a prevenire, senza aspettare che ci sia qualcosa che non vada. Un pelo pulito e una cute sana sono i fattori principali che rendono meno facile il formarsi di una patologia dermatologica.
Ecco 5 semplici regole da seguire
1.       Spazzolare, spazzolare, spazzolare
È la priorità numero uno: sia per il cane sia per il gatto, la spazzolatura permette di eliminare il pelo in eccesso e consente di tenere sotto controllo l'eventuale comparsa di parassiti esterni, come pulci o zecche.
2.       Bagno ogni 2 settimane per un’azione antisettica forte,
Si suggerisce un bagno ogni 15 giorni qualora si volesse ottenere un’azione antisettica forte. Il bagno periodico serve anche a lavare il cane, ridurre l’odore del suo manto e a eliminare il pelo in più, presente per i continui ricambi. Nel lungo periodo, ad influire sulla frequenza del lavaggio sono anche la razza del cane, l'ambiente in cui vive e la lunghezza del pelo.
3.       Clorexidina, l’alleata numero uno contro virus e batteri
È un efficace agente antimicrobico capace di uccidere virus e batteri. Si consiglia l’utilizzo di shampoo contenente una quantità pari al 4%.
4.       Attenzione all’igiene quotidiana di pelo e zampette
È fondamentale igienizzare frequentemente, senza sciacquare, una o più volte al giorno e soprattutto al rientro da una passeggiata, con idonee salviette umidificate a base di  clorexidina, le aree cutanee più soggette a sporcizia (zampette ed area genito anale).
1.       Il premio preferito? Le coccole
Così come per i bambini più piccoli, il bagnetto non è sempre un "gioco" gradito; ecco perché è bene premiare il pet con una buona dose di coccole o qualche bocconcino.
Nella foto Lucky

Coronavirus, chiude la Scuola Europea di Monaco per 14 giorni

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Dopo Bruxelles III, anche Monaco chiude le porte della Scuola Europea: nella home page del sito istituzionale si legge COVID-19 cases: School closed 09.-20.03.2020.

Segue un comunicato ufficiale firmato dal direttore Anton Hrovath che dice: "Oggi la scuola è stata informata che due studenti della scuola secondaria sono stati testati positivamente su COVID-19. Di conseguenza, il dipartimento sanitario di Monaco ci ha ordinato di sospendere le attività scolastiche in entrambi i siti per 14 giorni. Ciò significa che l'intera scuola (KG / GS / HS) rimarrà chiusa per 14 giorni a partire da lunedì 9.3.2020 in poi. Tutti gli eventi / viaggi durante questo periodo devono essere annullati. Ciò vale anche per il MEC (modello di Consiglio europeo)."

AMLETO CATALDI, LO SCULTORE DI ROMA… UMILIATO

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Amleto Cataldi (1882-1930) alla sua epoca considerato uno dei punti di riferimento di eccellenza del Novecento Europeo, è lo scultore di Roma: infatti nessun artista è rappresentato nella Città Eterna da tante opere quanto Cataldi, sia nelle due Gallerie d’arte Nazionale e Comunale, sia nei palazzi istituzionali, sia in giro per la città.
Nella scultura europea del primo Novecento già ai suoi tempi lo scultore ciociaro  veniva collocato in posizione apicale e preminente. Ma avviene anche per Cataldi quanto avviene per altri personaggi: non sono profeti in patria, non li si capisce, quindi li si accantonano. Per esempio al Palazzo del Quirinale si trova  una sua opera di altissima qualità, donata dai partigiani al Presidente Saragat nel 1966 per i suoi meriti nella Resistenza Italiana: si sarebbe ritenuto normale che il visitatore del Quirinale la incontrasse nel suo percorso di visita, invece l’Arciere, questo è il nome dell’opera, alta crca 190 m, in bronzo, non si incontra: in  alcune riprese televisive si è visto che questa prestigiosa opera d’arte è sistemata attualmente in una rientranza  dello scalone che porta alla cucina, visibile dunque solamente, è già una consolazione, ai camerieri e ai cuochi dei fortunati  inquilini del palazzo.
Tre o quattro anni fa il Comune di Roma Capitale, dietro iniziativa dello scrivente, si avvide del   torto arrecato al grande artista avendolo  totalmente ignorato  nel proprio stradario cosicché,  recepita la doglianza,   Roma Capitale quasi  quale ammenda intestò  a ‘Largo Amleto Cataldi’ lo spazio più pittoresco e più spettacolare della Città Eterna:  il Pincio a Villa Borghese, a pochi metri dalla Casina Valadier, a qualche diecina di  metri da Palazzo Medici! Infatti qui si leva una delle sue opere più ammirate: la Fontana della Ciociara, fino ad oggi erroneamente nota come l’Anfora. Ora è successo che, così dicono, ‘un colpo di vento’ abbia infranto la tabella di marmo sulla  palina di sostegno, mandando  la targa  in frantumi! E’ passato più di un anno e le autorità cittadine fino ad oggi sono state ignave al riguardo e il nome è rimasto solo nello stradario cittadino. In realtà a mio avviso, deve essersi trattato di un ‘vento’ alquanto bizzarro e malizioso perché delle decine di targhe segnaletiche nelle vicinanze ha infuriato solamente sulla targa  di Cataldi! Le autorità responsabili come pure  i carabinieri con una denuncia, sono stati da tempo investiti del fatto. 
A Via dei Delfini, in Ghetto, sotto il balcone della palazzina dove abitava il poeta celebre di Roma Giggi Zanazzo, Amleto  Cataldi realizzò una edicola  con il volto del poeta e affianco due putti, uno con la lira simbolo della poesia e della musica e l’altro…senza nulla! Anche qui qualche specie di  ‘vento’ deve avergli tolto dalla mano il simbolo artistico che inizialmente lo individuava. E lo stato di fatto perdura tale da  anni!
Il ‘Monumento agli studenti della Sapienza caduti in guerra’ realizzato da Amleto Cataldi, che si leva a pochi metri dalla scala di accesso alla Facoltà di Giurisprudenza, fu inaugurato nel 1920 dal re in persona e dal presidente del Consiglio dell’epoca Salandra e dalle autorità accademiche della Sapienza: un fatto dunque del massimo significato oltre che prestigioso riconoscimento del valore artistico dell’opera: oggi si presenta allo sguardo dell’osservatore ricoperto di ossidazione e con la scritta del basamento illeggibile: cioè da allora fino ad oggi mai curato e mai ripulito! Gli avvocati, e il loro Ordine, così sensibili  e attenti… quale occasione ancora persa, per un atto di munificenza e di mecenatismo, da pochissimi soldi in verità, tra l’altro! Per ridare splendore al monumento e onore a loro stessi…
Alla Galleria Nazionale a Valle Giulia di opere del Cataldi ve ne sono cinque: nelle sale non se ne vede nessuna, da anni! sicuramente giacciono nel deposito, per far posto, si perdoni la polemica, alle…vacche impiccate! 
E’ visibile solo la ‘Portatrice d’Acqua’ ma fuori del Museo, sotto il finestrone  del Caffè della Galleria.
Michele Santulli

Netflix, “Spenser confidential” di Peter Berg. La recensione

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Netflix: I film che ho visto e che consiglio di vederediAndrea Giostra

Su Netflix“Spenser confidential” (2020) di Peter Berg. Divertente… divertente... divertente… ops! … l’ho scritto tre volte! Allora è davvero divertente! In effetti è un action-thriller leggero ma dinamico, che ti appiccica al video. Ci sono i buoni e i cattivi, i belli e i brutti, gli onesti e i corrotti, le donne rompipalle (forse meglio dire con personalità!) e gli uomini “vittime”, ma non troppo, e certamente superficiali (forse meglio dire un po’ stronzi!). Poi ci sono i poliziotti e gli spacciatori, l’FBI e gli infiltrati, gli agenti onesti e quelli disonesti… e via dicendo… quello che è certo è che Peter Berg - firma eccellente di Hollywood quale autore, sceneggiatore e regista, che quale protagonista delle sue produzioni preferisce quasi sempre Mark Wahlberg - ancora una volta dirige un film che piace… e che in un finale pirotecnico, degno dei migliori action movie, lascia una spiraglio aperto… certamente per un sequel o per una serie Netflix… chissà, lo vedremo prossimamente… alla fine della narrazione, il film è da vedere... Buona visione a chi lo vedrà…

Sinossi Coming Soon:
«Spenser Confidential, film diretto da Peter Berg, è la storia di un ex poliziotto di Boston di nome Spenser (Mark Wahlberg) da poco uscito di prigione. L'uomo è deciso a lasciare la città dopo aver passato gli ultimi anni in carcere, ma Herny (Alan Arkin), il suo vecchio allenatore di boxe e suo mentore, gli chiede di restare per aiutare un promettente dilettante. Il giovane di cui l'ex poliziotto deve occuparsi è Hawk (Winston Duke), un combattente di MMA dal carattere arrogante e convinto di essere più duro e valido di Spenser stesso. Quando due ex colleghi di Spenser vengono uccisi, l'uomo è determinato a indagare sulle due morti sospette e a stanare i colpevoli. In aiuto chiamerà sia la sua nuova leva Hawk che la sua ex fidanzata Cissy (Iliza Shlesinger). Lo strano caso di omicidio lo porterà sulle tracce di un'intricata cospirazione fino alla discesa negli inferi della criminalità di Boston, nei quali scoprirà come lo spaccio di droga sia legato a un gruppo di poliziotti corrotti.»
Netflix:
Scheda IMDb:
Andrea Giostra FILM:

Miss Progress International, un video contro gli abusi sulle donne

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(video) In occasione della giornata internazionale della donna, l'associazione culturale tarantina ha realizzato un filmato che esorta al rispetto
TARANTO - Un video di un minuto che esorta a una presa di coscienza e al rispetto da parte di quegli uomini che si macchiano di abusi sulle donne.
L'iniziativa è firmata Miss Progress International, che ha scelto l’8 marzo per rendere pubblico il progetto realizzato con le concorrenti che hanno partecipato alla settima edizione dell’evento, svoltasi lo scorso autunno in Puglia. 

Giusy Nobile, presidente dell’associazione culturale In Progress, il sodalizio no-profit che organizza l’evento e Giuseppe Borrillo, direttore del concorso, hanno voluto realizzare uno spot accolto con entusiasmo anche dalla portavoce di Amnesty International Matera, Anna Elena Viggiano.

Le statistiche parlano chiaro: ovunque, nel mondo, gli abusi e le violenze nei confronti delle donne sono un male comune a tutte le latitudini. Una donna su tre, nel corso della sua vita, subisce almeno una violenza, fisica o sessuale, spesso perpetrata dal proprio partner.
Nel video, ognuna delle Ambasciatrici del Progresso, con indosso un costume tipico delle tradizioni culturali del suo Paese di provenienza ha pronunciato, nella propria lingua, una frase breve, chiara e diretta: “no, significa no”.
Il regista, Carlo Barbalucca, ha consentito loro di scegliere se mostrare all’obiettivo rabbia, paura, sdegno o rassegnazione. Il risultato finale è un messaggio intenso, rivolto a chi si macchia di un crimine così infimo e grave. La direzione della fotografia è stata curata da Antonio Zanata, che ha anche realizzato le foto utilizzate al posto di alcune sequenze video, girate dall’operatore Davide Preite con attrezzature fornite da Massimo Cerbera per Illusia Film Studio.

Coronavirus, cani e gatti non si infettano e non lo trasmettono agli esseri umani

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Anche l’Ordine dei Medici Veterinari di Roma e provincia precisa che gli animali non rappresentano fonte di rischio. 

Cani e gatti non si infettano con il virus “2019nCoV” e non lo trasmettono agli esseri umani. Anche l’Ordine dei Medici Veterinari di Roma e provincia precisa che gli animali non rappresentano fonte di rischio in alcun modo per le persone e invitano, anzi, a non prendere atto delle numerose fake news che girano sui social o notizie non precise. 
A tal proposito condividono una nota diffusa dalla Wsava. “Come posso proteggere me stesso e il personale della mia clinica veterinaria?” I consigli della WSAVA che aggiorna le faq e conferma: pets non ricettivi. 
L'Associazione mondiale dei veterinari per animali da compagnia (WSAVA) ha aggiornato le faq sul nuovo Coronavirus. I consigli dell' Advisory Document riguardano anche la protezione dei Medici Veterinari. 
Per questi ultimi, la WSAVA rimanda alla guida per healthcare professionals del Centro di prevenzione degli Stati Uniti ( CDC). I consigli sono in linea con quelli della WVA, l'Associazione Mondiale dei Veterinari, e dell'OMS. Si applicano ai professionisti, agli ambienti sanitari e al personale. 
I Medici Veterinari sono incoraggiati a tenersi informati sull'evoluzione epidemiologica, facendo riferimento alle fonti sanitarie ufficiali del loro Paese. Per eventuali restrizioni alle attività professionali, i Medici Veterinari e i loro staff devono attenersi alle disposizioni governative e locali. 
E' consigliato valutare costantemente il proprio rischio di esposizione al contagio, evitando la vicinanza con persone malate e restando a casa dal lavoro se ammalati a propria volta. 
Per prevenire il nuovo coronavirus- ribattezzato SARS Cov2- sono raccomandati gli ordinari comportamenti di prevenzione e di igiene personale indicati dall'OMS, pulire e disinfettare oggetti e superfici frequentemente toccati. Al di fuori degli utilizzi professionali, le mascherine anti Covid-19 sono raccomandate solo se si è ammalati o a contatto con persone ammalate. 
Nei confronti degli animali in cura i Medici Veterinari devono continuare ad applicare principi e protocolli di biosicurezza e le ordinarie precauzioni di manipolazione degli animali. Gli animali domestici, pets inclusi, non sono ricettivi al virus Covid-19. Il caso del cane Pomerania, in via di accertamento ad Hong Kong, non ha modificato le evidenze scientifiche ad oggi disponibili.
Nella foto Mimì

CHADIA RODRIGUEZ, 8 MARZO:UN VIDEO CONTRO CYBER BULLISMO E BODY SHAMING

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In occasione della Festa della Donna, Chadia Rodriguez pubblica sul suo profilo Instagram un video in cui raccoglie alcuni dei commenti più violenti che le sono stati rivolti proprio sui social. 

Una presa di posizione contro cyber bullismo e body shaming, intenzionalmente senza censure. Con lo scopo di far riflettere sul peso delle parole che vengono dette o digitate. 

Torna L'Albero Azzurro da lunedì 9 marzo su Rai 2 e Rai Yoyo

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Da lunedì 9 marzo su Rai 2 e Rai Yoyo torna “L’Albero Azzurro”.
Una nuova edizione per lo storico programma della Rai, che quest’anno festeggia 30 anni. In occasione dell’apertura su Rai 2 della fascia mattutina dedicata ai bambini, che in questi giorni sono a casa in seguito alla chiusura delle scuole per l’emergenza sanitaria, la trasmissione andrà in onda alle ore 7:30 su Rai 2 e alle ore 16:20 su Rai Yoyo. Le puntate saranno disponibili anche su RaiPlay e l’App RaiPlay Yoyo.
Ritroveremo in onda Dodò, che con Laura Carusino e Andrea Beltramo darà vita ad avventure ideate per affrontare con gioia e leggerezza, ma anche con grande chiarezza e verità, le piccole e grandi conquiste di ogni giorno.
Pensato per offrire a un target di bambini compreso tra i 4 e 7 anni una grande varietà di stimoli, proposte, suggerimenti e spunti, L’Albero Azzurro propone ogni giorno un appuntamento in cui Dodò va alla conquista di nuovi apprendimenti che provengono dal confronto con il mondo. Al suo fianco ci sono Andrea e Laura, i due conduttori che proteggono, sostengono, invitano all’autonomia e quando serve forniscono l’aiuto necessario a superare piccoli ostacoli o stati d’animo depotenzianti, richiamando rassicuranti ruoli genitoriali. Completano il quadro, gli irresistibili amici di Dodò: Zarina è la zanzarina saputella che con i suoi appuntiti interventi sfida Dodò a mettersi alla prova. Ruggero è un cucciolo di leone che si sente già uno spavaldo avventuriero. Pur non avendo ancora una criniera degna di questo nome, l’acerbo re della foresta sogna di lanciarsi in imprese più grandi di lui e porta scompiglio e divertimento nel mondo dell’Albero.
L'Albero Azzurro aveva debuttato il 21 maggio del 1990 su Rai 1, e ha sempre visto come protagonista il pupazzo Dodò, un piccolo uccello bianco (forse ispirato al dodo, specie ormai estinta nella realtà) che vive all'interno di un grande albero azzurro con tanti altri personaggi che gli ruotano attorno. L'Albero Azzurro segue una formula di “intrattenimento educativo”, che racchiude sia spazi dedicati alla creazione e al gioco, sia momenti di svago attraverso racconti e scenette. Nel 1994 è avvenuto il primo cambiamento nel format. Dal 15 gennaio 2007 L'Albero Azzurro è passato su Rai 2. Le prime edizioni del programma sono state realizzate presso gli studi Rai di Torino a cui è seguito un trasferimento della produzione a Milano per poi tornare a realizzare il programma negli studi di via Verdi dove si trova tuttora. Dal 2013 il programma è trasmesso su Rai Yoyo.
Dallo spazio rassicurante dell’Albero, si parte per vivere tante nuove avventure in un limbo bianco dove prendono vita situazioni e personaggi che sembrano nati dalla fantasia stessa dei bambini. Oggetti simbolici ricorrenti, ambientazioni, grafica e musiche armonizzano e legano tra loro i tanti elementi che insieme creano ogni giorno una nuova storia, semplice ed essenziale ma profonda e curata in ogni dettaglio. A ogni puntata i più piccoli, seguendo il cammino di Dodò, entrano in contatto con la rappresentazione delle loro emozioni, elaborano competenze e conoscenze utili a superare le paure, apprezzare il valore della solidarietà e dell’amicizia, scoprire la ricchezza che risiede nella diversità e nell’accettazione. E dopo ogni avventura, si fa ritorno all’Albero, con tanti nuovi spunti per giocare e fare esperienza, e con un carico di filastrocche e canzoni allegre da cantare insieme ad amici, insegnanti, genitori.
Lo sguardo è attento anche al mondo digital, sul sui social network di Rai YoYo e sull’APP RaiPlay Yoyo dove si potranno trovare spunti e contenuti extra, per una più forte interazione con il pubblico dei più piccoli.

LAVIAMOCI LE MANI E LAVIAMOCENE LE MANI

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L’ho scritto due giorni fa che gli italiani sono orfani e quello che è accaduto questa notte conferma purtroppo la nostra condizione.

Avevo già scritto di un uomo solo al comando che può fermare un paese, e questa notte, sempre quell’uomo ha continuato indisturbato nella sua “mission”.
Fino a ieri circolavano i video delle nostre istituzioni: hashtag #Milano non si ferma, #Venite in  Italia, stiamo tutti bene, e le raccomandazioni continuate a vivere normalmente con prudenza e “state buoni se potete” (come il film).
Tant’è che non era ancora chiaro se la cosa fosse seria, semiseria o serissima, e intanto laviamoci le mani, o meglio laviamocene le mani. Risultato, gli infetti sono aumentati esponenzialmente e gli ospedali del nord sono al collasso.
Chi, come me, lavora spostandosi da un posto all’altro o vive in più regioni, si sarà reso conto tuttavia di una realtà alquanto schizofrenica perché a seconda della regione veniva proiettato un film diverso.
In Emilia solo venerdì sera era tutto apparentemente normale. Certo, meno gente in giro, ma nessun metro di distanza nei bar o nei ristoranti.
In Lombardia altro scenario. Ma ancora ieri sera i navigli erano pieni di gente  e nessuno stava ad un metro di distanza l’uno dall’altro.
In autostrada però molti autogrill erano già chiusi.
In Piemonte, dal 2 di marzo sono stati riaperti i cinema, quindi  noi italiani orfani ci siamo nel frattempo comportati da creativi quali siamo. Ieri sera alle 20.30, molti milanesi sono andati a cena e al cinema in Piemonte e nelle zone limitrofe, alcuni  di loro che hanno le seconde case fuori Milano si sono spostati già da 10 giorni con i bambini e hanno continuato ad uscire e a circolare liberamente, addirittura alcuni della zona rossa sono andati a sciare!
Poi nella prima serata di ieri è iniziata a circolare la voce che la Lombardia stesse per essere dichiarata Zona Rossa… ma nessuna ufficialità, poi ecco la bozza scritta col piede sinistro in cui si leggono contraddizioni e concetti confusi. 
I social vanno in tilt, il panico si diffonde: i genitori vanno a recuperare con l’auto i proprio figli sparsi sul territorio per riportarli a casa , fino all’assalto ai treni in Stazione Centrale di Milano per lasciare la regione, come fossimo in guerra.
I governatori del Piemonte e della Lombardia intanto sono risultati positivi al Corona Virus mentre i sindaci delle città e delle province dichiarate zona rossa non erano stati informati del contenuto del nuovo decreto e hanno appreso la notizia come tutti gli altri
Già qualche giorno fa i sindaci delle zone rosse (che adesso sono zona rossa nella zona rossa) denunciavano l’insufficienza di informazioni chiare e indicazioni.
Eh sì, perché l’uomo solo al comando evidentemente ci ha preso gusto in questa pantomima e non lo ferma neanche il Coronavirus, ma continua a lavarsi le mani… prima  e dopo.
I giornali internazionali analizzano il decreto e scrivono Italy Locked down, ma non è proprio vero, non siamo blindati anche se dovremmo esserlo, ma chi si prende la responsabilità di scrivere DIVIETO ASSOLUTO DI USCIRE DI CASA?…  qualche giornalista ieri sera ha persino tirato in ballo la democrazia ed io l’ho interpretata come siamo in un paese libero, libero di ammalarsi perché ognuno si lava le mani come meglio sa fare.
A questo punto non resta che applicare le uniche serie norme dettate dal senso di responsabilità che i nostri nonni avrebbero applicato già settimane fa anche senza comitati scientifici. In caso di malattia gli animali si isolano e noi dovremmo fare altrettanto e questo vale anche per le altre regioni d’Italia non dichiarate zona rossa:, perché domani potrebbe toccare a voi, a tutti gli altri, visto che nell’ultima settimana i treni hanno continuato a circolare e siamo andati ovunque. 
Stiamo a casa, leggiamoci un libro, abbandoniamo i nostri ritmi impensabili tanto sbandierati nel video, che ci hanno fatto ammalare tutti quanti  di una patologia ben più seria del Coronavirus e approfittiamo per riordinare le idee, così forseusciremo da questo incubo prima del previsto per affrontare una recessione senza precedenti.
Personalmente avrei preferito che un mese fa ci dicessero chiaramente “non muovetevi”, anziché leggere ancora adesso un decreto che non vieta nulla, ma che se interpreti meglio, forse intende un’altra cosa.
E intanto laviamoci le mani….e laviamocene le mani, tenendo saldamente a mente che quando ci sono le mani di mezzo… la situazione è molto seria visto com’è andata per mani pulite.
Paola Palma

Acqua e donne: dal generare la vita ad un perfetto alleato di bellezza, la storia di un legame indissolubile

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L’acqua e la donna: entrambi i sostantivi sono femminili e, a parte questo, esiste un profondo legame che li lega, sin dalla notte dei tempi. La donna, infatti, viene vista come colei che crea la vita e la stessa cosa si può dire per l’acqua, che è fonte generativa di ogni essere.
 
È quanto riporta In a Bottle (www.inabottle.it) in un focus sul rapporto tra acqua e benessere femminile in occasione della Festa della Donna.

L’acqua, dalla sorgente sino al mare, è in grado di cambiare la propria forma e di adattarsi ad ogni tipo di situazione. Questo percorso è molto simile a quello che intraprende una donna in fase di gravidanza: affronta i diversi “ostacoli” che incontra lungo i fatidici 9 mesi e muta il proprio aspetto mano a mano che la pancia cresce, fin quando, partorendo, dà vita ad una piccola creatura. È per questo motivo che potremmo dire che “l’acqua è donna”.

L’acqua non porta benefici solo alla mamma ed al suo bambino, ma può essere considerata anche un’ottima risorsa per rimanere in forma. A questo proposito esistono delle acque minerali contenenti diversi sali minerali importanti per l’organismo, come per esempio quelle contenenti calcio, potassio o magnesio, che favoriscono il benessere

Una corretta idratazione, comunque, è sempre da seguire: secondo quanto riporta un focus, realizzato dalla Mayo Clinic, le donne dovrebbero bere all’incirca 2 litri di acqua al giorno. Per tutti coloro che volessero invece avere dei dati più specifici, inoltre, si può tenere presente la seguente equazione:

30 ml x chilogrammi del peso corporeo

Il risultato, in millimetri, definirà nel dettaglio quanta acqua si deve bere durante una giornata, anche se bisognerà tener conto del tipo di lavoro svolto e se si è fatta, o no, dell’attività fisica. In caso di risposta positiva, a seguito del dispendio di energie, il quantitativo sarà più alto.

Eleonora Bordonaro, "Moviti ferma": il nuovo album della cantautrice di Paternò racconta la creatività di una terra che resiste

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Annullato, in seguito al decreto sull'emergenza Coronavirus, il concerto di presentazione del nuovo album a Catania al Cine Teatro Odeon, Eleonora Bordonaro non si ferma. Ha ugualmente presentato il suo MOVITI FERMA insieme ai suoi musicisti, con un live in studio trasmesso dai social, il 6 marzo
La cantautrice di Paternò è stata accompagnata da Puccio Castrogiovanni (marranzano, plettri, fisarmonica e percussioni); Marco Corbino (chitarra); Michele Musarra (basso), Salvo Farruggio (batteria), Denis Marino (chitarra) e Pierpaolo Latina (tastiere). Le riprese e il montaggio del concerto sono di Stefano Buda.
MOVITI FERMA, prodotto da Puccio Castrogiovanni, è un album dedicato proprio a Catania, fortemente percussivo. Intimo e dirompente. Senza retorica, né desiderio di compiacere. Nervoso ed elettrico nel senso di pieno di linfa, “gioiosamente arrabbiato, con i piedi radicati al suolo, gli occhi al cielo e il coltello in mano”.È un disco che non parla di donne ma fa parlare le donne. Sul coraggio, la parità di trattamento, sulla maternità.
Il titolo si riferisce ad un modo di dire tipico di Paternò, dove “muvirisi” non significa muoversi, ma restare. “Un ossimoro, della lingua e del pensiero - spiega la Bordonaro - che svela l’atavico dualismo tra evolversi o resistere, tra partire e restare. Tra il desiderio di andare e la condanna all’immobilità. Per fortuna. Di questo e di corpo e di desiderio parla Moviti ferma”.
Nato in Sicilia, Moviti Ferma racconta la creatività di una terra che resiste, non si adagia sulle brutture di questi tempi incerti, ma pulsa di vita attraverso la musica: “È un disco corale, la cui ispirazione è condivisa. Generato dalla necessità si sentirsi parte di un mondo affettuoso. È un racconto individuale reso possibile dal sostegno di una collettività, che ne rappresenta forza e paesaggio. È un pensiero alla mia generazione che è andata via credendo di essere libera di scegliere il proprio mondo. Si è ritrovata spezzata per sempre. Perché chi è libero lo è anche di tornare”.
Per questo Moviti Ferma ha voluto raccogliere e accogliere le migliori energie delle ultime generazioni per condividere un pezzo di percorso. Musicisti, poeti, autori, attori e scrittori.
Cesare Basile, che più di tutti ha raccontato gli ultimi incrociando il blues, la musica africana e il cantautorato in un siciliano vero e raffinatissimo, ha arrangiato Tridici maneri ri farisi munnu un dolce inno alla vita e al mondo del poeta Biagio Guerrera; Marinella Fiume, couatrice di Sprajammu di la luna, un inno femminista naif e sgangherato, eccessivo e festoso con la tromba vulcanica e femminile dell’unica forestiera tra i musicisti, la lucana Marina Latorraca; Agostino Tilotta anima degli Uzeda storica noise band catanese, che ha accompagnato con la sua chitarra il racconto sognante dell’attore e drammaturgo Gaspare Balsamo che ha immaginato una processione di donne all’alba, e poi due orchestre mescolate insieme per I Dijevu di Vurchean . L’orchestra Sambazita Jacaranda Piccola Orchestra dell’Etna fanno festa suonando s una melodia della tradizione del samba della comunità nera di Bahia con un testo in gallo italico di San Fratello; Fabrizio Puglisi che ha accarezzato e strapazzato il suo pianoforte dando vita, insieme al contrabbasso di Giovanni Arena a A Merca, una piccola storia biografica sul diverso modo di uomini e donne di intendere le sfide; I Lautari storico gruppo che da trent’anni rinnova la tradizione siciliana con inventiva, ironia e virtuosismo hanno cullato Omu a Mari di Gaspare Balsamo ispirato al romanzo Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo e all’incontro di un marinaio, un uomo semplice con la seduzione delle femminote; Carmelo Chiaramonte cuciniere errante. Chef inventivo, antropologo del gusto, conoscitore dell’animo umano attraverso i sapori, che ha scritto Picchio Pacchio che è una ricetta per le melenzane che sottende una gustosa allusione sessuale e Giovanni Calcagno coautore di Moviti ferma che si avvale del groove di Michele Musarra.

Cioccomimosa, per la Festa della Donna omaggio dalla Scuola del Cioccolato. La ricetta

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L’8 marzo si festeggia la Donna e le sue conquiste in tutti i campi.
Per celebrare questa ricorrenza, il Maestro Cioccolatiere della Scuola del Cioccolato Perugina Alberto Farinelli, ha deciso di reinventare la Torta Mimosa per dare vita ad un dolce in cui la vista e il gusto si perdono in un abbraccio avvolgente che sa di cioccolato. Nella “Cioccomimosa” il classico “effetto mimosa” creato dal pan di spagna bianco è sostituito da un profumato pan di spagna al cacao. Il ripieno morbido e soffice è reso protagonista da una ricercata e golosa crema chantilly al cioccolato extra fondente.

Ma perché la mimosa? La mimosa ha la particolarità di sbocciare nei primi giorni di marzo, è un fiore leggero e che cresce spontaneamente nei campi, rendendosi immediatamente accessibile. L’8 marzo del 1946 in Italia venne organizzata una giornata dedicate alle donne nelle zone liberate dall’egemonia fascista e per l’occasione furono lanciate e distribuite le mimose scelte come simbolo da tre donne partigiane.

Da quel giorno sono passati oltre 70 anni e Alberto Farinelli, in onore di questa ricorrenza ha deciso di reinterpretare un dolce anch’esso simbolo della festa. Per preparare la “Cioccomimosa” il Maestro ha realizzato due tortiere di pan di spagna utilizzando l’insostituibile Perugina Cacao Amaro. Anche la crema chantilly è al cioccolato. Alberto Farinelli ha utilizzato Perugina GranBlocco Fondente Extra 50% ma per chi amasse un gusto ancora più intenso consiglia di usare Perugina GranBlocco al 70%. Un pan di spagna servirà per la decorazione, da sbriciolare, e l’altro per creare i due dischi che compongono la torta. A differenza del classico liquore per la bagna infine, il Maestro consiglia un succo alla pesca che ben si sposa col sapore avvolgente del cioccolato.

“CIOCCOMIMOSA”
LA RICETTA
Ingredienti

PER PAN DI SPAGNA AL CIOCCOLATO

10 uova

300 g zucchero

150 g farina

50 g fecola di patate

100 g Perugina cacao amaro

Un pizzico di sale

½  bacca di vaniglia

PER CREMA CHANTILLY AL CIOCCOLATO

500 g latte intero

100 g zucchero

60 g amido di riso

150 g Perugina GranBlocco Fondente Extra 50%

40 g Perugina Cacao amaro

6 tuorli

½ bacca vaniglia

300 g panna fresca per dolci

PER BAGNA PER TORTA
250 g succo alla pesca
Procedimento
Preparazione pan di Spagna
Separate i tuorli dall’albume, montate i tuorli con metà dello zucchero e la vaniglia fino ad ottenere una consistenza ben areata, montate a neve gli albumi con il restante zucchero e un pizzico di sale.
Unite poi i due composti.
Setacciate insieme la farina, la fecola e il Perugina cacao amaro, versatele nel composto e mescolate delicatamente con una spatola dal basso verso l’alto, cercando di non smontare.
Versate il composto in due tortiere da 22 cm di diametro, precedentemente imburrate e livellate con una spatola.
Infornate in forno già caldo a 180° per circa 25 minuti.
Fate la prova stecchino prima di sfornare.


Preparazione crema

Mettete a bollire il latte con vaniglia. In una pentola capiente versate i tuorli con lo zucchero, l’amido di riso e il Perugina® cacao amaro setacciati insieme, mescolate bene, stemperate il composto aggiungendo qualche cucchiaio di latte bollente.
Aggiungete tutto il latte bollente e rimettere a cuocere a fuoco dolce mescolando fino a far addensare la crema.
Appena pronta e bollente, versateci dentro il Perugina GranBlocco Fondente Extra 50% precedentemente spezzettato, mescolate bene fino a completo scioglimento del cioccolato.
Lasciate raffreddare la crema al cioccolato in frigorifero coprendo con la pellicola.
Quando la crema è ben fredda, montate la panna e aggiungetela mescolando delicatamente con una spatola.


Preparazione finale torta

Con un coltello eliminate la parte inferiore del pan di Spagna.
Tagliate il primo pan di Spagna a metà per ottenere due dischi.
Il secondo pan di Spagna servirà per la decorazione.
Tagliate una parte del pan di Spagna, sbriciolatelo con le mani o passatelo in un colino a maglie grandi, fino ad ottenere una grana fine che metterete da parte.
Prendete un disco di cartone leggermente più grande del pan di Spagna, appoggiateci sopra il primo disco e bagnatelo leggermente con il succo alla pesca, versate uno strato di crema al cioccolato, e con una spatola ricoprite tutta la base, ricoprite con il secondo strato di pan di Spagna, bagnate di nuovo, ricoprite con la crema tutta la superfice della torta lati compresi. Infine, fate aderire la grana fine di pan di Spagna, precedentemente preparata.

Consigli del maestro
1.    Fate raffreddare molto bene la panna prima di montarla, potete metterla per qualche minuto in congelatore insieme alla vasca e alle fruste con cui sarà montata.
2.    Per un gusto di cioccolato ancora più intenso, potete usare il Perugina GranBlocco Fondente Extra 70%.
Se volete una decorazione a cubetti, dividete il pan di Spagna in tre dischi, poi a strisce ed infine a dadini e arrotondateli con le mani, otterrete così tanti cubetti per poter ricoprire la superficie della torta.

RAPSODIA INDIANA, Emozioni e sensazioni di un recente viaggio in India

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di Nicola F. Pomponio. TORINO - Sono stato in Indiaper la prima volta, non molto tempo fa.
È stato un viaggio particolare, organizzato in proprio, con amici stranieri con cui comunicavo in inglese o tedesco e con un percorso ottimamente alternativo alle “rotte” commerciali del turismo di massa. E’ stata un’esperienza, sotto tutti i punti di vista, entusiasmante. L’India è sempre un po’ un mondo lontano e affascinante e per me, appassionato di storia e culture, questo continente mi ha colpito con la forza del tuono e la potenza del fulmine.

Non credo abbia senso ripercorrere tutte le tappe di un viaggio durato tre settimane e che si è snodato nel nord di questo continente tra Rajastan, Punjab e Himalaya; così tanti sono i luoghi, le persone, le situazioni con cui mi sono confrontato. C’è un elemento che credo riassuma tutto: lo straripante. L’India straripa, deborda dappertutto. E’ un turbinìo continuo di colori, suoni, sapori, odori, volti, espressioni. Nulla è semplice, tutto è composito, iper-decorato, sovrabbondante. Anche là dove la semplicità dovrebbe regnare, il “genius loci” afferra il tutto e lo ripropone con colori accesi, smaglianti, quasi violenti.

La frustra espressione secondo cui l’Indiaè un luogo dalle “forti contraddizioni” svela così il suo momento di verità: donne in sari coloratissimi e affascinanti, razzolano tra la spazzatura in compagnia di mucche, templi induisti rigurgitano di dei, dee, offerte, pellegrini e …… denaro, così come quegli strani (per me!) dei e dee con tante braccia e tante teste.

L’India appare come il luogo della sovrabbondanza, direi quasi, utilizzando un termine forse troppo occidentale, del barocco. Cammelli addobbati quasi come spose camminano lenti e costanti lungo strade polverose, elefanti con abbellimenti coloratissimi risalgono strette viuzze apparentemente senza nemmeno essere guidati, solo un uomo, in groppa, vicino alla testa, si muove, quasi delicatamente, per indirizzarli sulla via, matrimoni (vi ho partecipato in ben due occasioni) in cui bellissime donne (quasi completamente coperte di preziosi) dai volti di sogno e uomini dall’espressione al contempo virile e amichevole, vestiti in abiti da “Mille e una notte”, danzano al ritmo di musiche strane e penetranti.

L’India sommerge, sbalordisce, spiazza. Vi è sempre qualcosa di eccessivo, come la sua ottima cucina sempre speziata, come la sua religiosità sempre presente. La cerimonia delle abluzioni nel Gangeè qualcosa di spettacolare sia per la profondità della fede che qui si manifesta, sia per il brulicare di persone e atteggiamenti: coppie con i piedi in acqua si fanno fotografare in pose esprimenti “pietas” e fervore religioso, giovani, vicini a un santone, meditano a lungo e poi, all’improvviso s’immergono nella corrente tumultuosa aggrappandosi a delle catene e poi tanti, tantissimi oranti affidano alle acque dei piccoli cesti contenenti petali di fiori con bastoncini accesi.

E così, mentre si assiste a uno spettacolo multicolore e caleidoscopico, improvvisamente delle scimmie (onnipresenti) si parano davanti e con calma “camminano” sul bordo di un ponte o uomini con gravi malformazioni o vere e proprie mutilazioni si avvicinano “camminando” su braccia e moncherini di gambe con movimenti che ricordano al contempo sia quelli delle scimmie sia quelli dei ragni: l’eccesso, il perturbante, quel che l’occidente (nel bene e nel male) ha saputo risolvere o, talvolta, solo nascondere, qui si mostra con una crudezza a cui non si è abituati.

Così come la prossimità tra uomini e animali. Tutti sappiamo della sacralità dei bovini, ma vederli camminare tranquillamente sulle “autostrade” o nei vicoli fangosi delle città è una vera e propria esperienza. Sono diversi dai nostri bovini, hanno come una gobba sul dorso, così come i tantissimi maiali, neri, irsuti, con qualcosa che assomiglia ad una cresta anche loro sul dorso e poi le scimmie, dappertutto, i pachidermi, i cammelli nel traffico delle grandi città.

E’ tutto un bizzarro giardino zoologico e un affascinante quanto ricco mondo vegetale che si squaderna alla vista di un occidentale abituato alla rigida separazione degli ambiti. E questa vicinanza la si ritrova nell’induismo con i suoi dèi teriomorfi, le sue divinità in cui il confine tra umano e animale è valicato. I sontuosi, meravigliosi palazzi visitati utilizzano così figure, per noi, bizzarre e le divinità si appropriano delle caratteristiche animalesche in un processo che mi riporta alla mente (in modo superficiale, ovviamente) le divinità egizie o le figure mesopotamiche dove dèi barbuti hanno il corpo di leone o altri animali.

C’è qualcosa di proteiforme, di eternamente cangiante, ma anche eternamente stabile nel lussureggiante pantheon induista e questa ricchissima collezione di divinità, è quasi il contraltare del rigido monoteismo islamico (i cui capolavori artistici sono commoventi) o del pensiero Sikhcon i suoi guru e il suo stupendo Tempio d'oro dove migliaia di pellegrini ogni giorno sono gratuitamente sfamati (anch’io ho mangiato con loro), o della semplicità buddista che però non rifugge anch’essa dai colori accesi e dalla moltiplicazione dei bodhisattva o, infine, dal demonico del buddismo tibetano.

Ma, imponente e affascinante, si manifesta il tempio baha’i di Delhi, l’ultima in ordine cronologico delle tante religioni che s’incontrano in India. E nel silenzio della grande area interna di questa costruzione in cui la foglia di loto è l’elemento architettonico principale, nella totale mancanza di simboli religiosi perché tutte le religioni devono essere presenti, nel Nulla che viene evocato e che tanto mi ha ricordato la mistica sia cristiana, sia islamica, sia buddista, il contraltare definitivo alla spumeggiante, vitale, esuberante vita indiana si presenta in modo al contempo plastico e discreto.

Un ultimo elemento (ma quanti altri ancora potrebbero essere evocati!) mi preme sottolineare: i volti dei bambini. Volti curiosi, desiderosi di contatto umano e di conoscenza, aperti al mondo, furbi di un candore disarmante. Abbiamo visitato una scuola: centinaia di bimbi in divise dai colori diversi secondo le classi ci hanno accolto con l’espressione di chi vuole sapere, conoscere. Volti non ancora contratti nei ghigni prodotti dai giochi elettronici, ma aperti al futuro, desiderosi di sapere. Una realtà antichissima e una nazione giovane, con enormi problemi (primo fra tutti il tentativo di imporre il concetto unificante di Stato-Nazione a situazioni dalle infinite sfaccettature, donde gli scontri tra diverse comunità e i soldati armati fino ai denti) ma dal ricchissimo fascino che spero di aver, anche solo in parte, evocato.

L’ULTIMO SALUTO DELL’AQUILA AL PROF. SERAFINO PATRIZIO

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L’insigne matematico, scomparso a 94 anni, figura esemplare anche in campo politico e sociale. di Goffredo Palmerini
 
L’AQUILA - Grande emozione ha destato a L’Aquila, e non solo, la notizia della scomparsa del prof. Serafino Patrizio, deceduto ieri sera nella sua abitazione. Fino ad un mese fa lo si incontrava regolarmente in città, insieme alla moglie Pasqualina, alle iniziative dell’Università per la Terza Età, agli incontri culturali o semplicemente a fare qualche acquisto. Altrimenti era impegnatissimo come Presidente provinciale dell’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (ANFE), egli figura rilevante - anche a livello nazionale - nell’Ente morale fondato nel 1947 dall’aquilana Maria Agamben Federici, Madre Costituente e poi Parlamentare nella prima Legislatura repubblicana.

Serafino Patrizio era nato il 6 novembre 1925 a San Benedetto in Perillis (L’Aquila). Una volontà ferrea e una determinazione senza pari, sebbene senza mai allontanarsi dalla “civiltà” contadina nella quale si era formato, Serafino poté affrontare gli studi molto tardi, in seguito alla prematura perdita del padre ed alla necessità di occuparsi della sua famiglia. Si preparò privatamente per prendere la licenza media, imparando il latino da un sacerdote che era parroco di San Benedetto, le altre materie da un conoscente di famiglia. Dette l’esame per l’intero triennio. Aveva quasi 20 anni quando s’iscrisse al Liceo scientifico “Andrea Bafile”, essendone poi allievo modello. Dopo la maturità andò a frequentare l’Università a Pisa, sostenuto negli studi dalla amata sorella Anna e dai proventi del suo lavoro, precettore in un Convitto a Pontedera.

Laureatosi brillantemente in Matematica, aveva messo in mostra uno straordinario talento per il mondo dei numeri e della scienza. Il prof.Alessandro Faedo, all’epoca titolare della cattedra di analisi nell’ateneo pisano, avrebbe voluto che il tenace aquilano restasse con lui a Pisa a fargli da assistente. Ma Serafino si sottrasse garbatamente al pressante invito per rientrare all’Aquila dove, dagli anni Cinquanta fino al 1995, ha insegnato ad intere generazioni di aquilani, e non solo. Lo ricordano tuttora con grande affetto e ammirazione diverse migliaia di studenti dell’Istituto Tecnico Industriale e del Liceo Scientifico, poi dagli anni Settanta del secolo scorso gli studenti di Matematica, Ingegneria e Scienze dell’Università dell’Aquila, dove ebbe la docenza. Finanche dopo la pensione egli continuò ad insegnare, per quasi quattro anni, nel corso di Statistica medica della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’ateneo aquilano.

Finissimo matematico, una grande saggezza di vita fortemente intrisa di sottile ironia, una rarissima capacità di spiegare la scienza matematica anche ai discenti più refrattari, il prof. Patrizioè stato davvero un punto di riferimento per i suoi allievi, che lo hanno continuato a contattare e consultare anche quando erano diventati affermati professionisti, docenti o alti funzionari pubblici. Serafino Patrizio alla grande padronanza della scienza matematica associava una cospicua competenza in fisica terrestre, in astronomia, in geografia e nelle discipline scientifiche in generale. Ha scritto importanti comunicazioni su riviste scientifiche e pubblicato una decina di testi di analisi matematica, geometria, geografia generale, adottati dall’ateneo aquilano e da altre università.

Ha avuto dunque un ruolo significativo nel mondo della formazione. Non solo come docente di straordinario valore, ma anche come esperto, membro per conto del Ministero della Pubblica Istruzione nelle Giurie di concorsi nazionali a cattedra o in Commissioni di studio nazionali in tema di discipline matematiche e fisiche. A tanto s’aggiunga poi una consistente assistenza formativa che continuava a casa sua verso chiunque gli chiedesse un sostegno d’apprendimento, negli studi o nella preparazione di un esame o di un concorso. Della sua “scienza il prof. Patrizio è stato sempre un generoso elargitore.

Serafino Patrizio non è stato solo un insigne matematico, ma anche un saggio amministratore pubblico e un politico nelle file della Democrazia Cristiana. Storico primo cittadino di San Benedetto in Perillis, sindaco del suo paese natale per dieci anni, il prof. Patrizio fu poi eletto primo Presidente dell’appena costituita Comunità Montana di Campo Imperatore e Piana di Navelli, avviando il nuovo Ente all’approvazione dello Statuto e alle scelte programmatiche che ne avrebbero segnato per molti anni l’attività progettuale e amministrativa. Presidente per due mandati, guidò pure l’Azienda per il Diritto allo Studio universitario dell’Aquila e, per alcuni anni, fu anche componente del Consiglio di Amministrazione dell’IRRSAE.

Notevole il suo impegno in campo culturale e sociale. Particolarmente attento al fenomeno migratorio italiano, che lo aveva toccato da vicino in famiglia e nel paese natale, alla fine degli anni Sessanta, stimolato dell’on. Alberto Aiardi - allora vicepresidente nazionale dell’ANFE - il prof. Patrizio raccolse l’invito caloroso rivoltogli da Maria Federici, fondatrice e Presidente nazionale dell’associazione, ad assumere la Presidenza provinciale ANFE, che ha conservato fino ad oggi.  Della prestigiosa associazione degli emigrati e delle loro famiglie il prof. Patrizio è stato un caposaldo in Abruzzo e a livello centrale, ricoprendo incarichi di responsabilità e di assoluto prestigio, come la Presidenza del Collegio nazionale dei Probiviri che tuttora ricopriva.

Con l’ANFE dell’Aquila il presidente Patrizio ha organizzato decine di corsi di formazione e di aggiornamento per insegnanti, per immigrati, per persone diversamente abili, anche grazie alla preziosa collaborazione della moglie, prof. Pasqualina Di Giacomoe di prestigiosi docenti. Numerose le attività di sostegno alle famiglie degli emigrati, le iniziative culturali, i convegni organizzati. Rilevanti poi le collaborazioni che ANFE ha prestato verso la Regione e il CRAM, in assistenza allo svolgimento di programmi formativi in Italia per studenti latinoamericani con il progetto internazionale “America Latinissima”. Come pure in collaborazione con la Nipissing University del Canada per le Summer School organizzate in Italia dalla prof. Maria Cantalini, docente di quella università. Infine l’assidua e feconda collaborazione con le Scuole canadesi del Distretto del Niagara, dov’era direttore generale Angelo Di Ianni, per l’organizzazione dei numerosi soggiorni formativi estivi svoltosi per molti anni in Abruzzo e ancora con i corsi di lingua e cultura italiana organizzati per studenti canadesi dalla Dante Alighieri di Hamilton, presieduta dallo stesso Di Ianni, esponente di spicco nel mondo dell’emigrazione italiana in Canada e già per diversi mandati componente del CRAM.

Non va infine trascurato il ruolo che il prof. Patrizio ha svolto quale presidente provinciale ANFE, dopo il terremoto del 6 aprile 2009, per favorire la ricostruzione della Memoria collettiva degli aquilani, grazie ai progetti “L’Aquila 3D” e “Noi, L’Aquila”, ideati dall’architetto inglese Barnaby Gunning- genero del prof. Patrizio - e realizzati in collaborazione Google Italia, Università e Comune dell’Aquila. I due progetti hanno portato infatti il primo alla realizzazione d’una completa ricostruzione fotografica tridimensionale della città grazie a 80mila foto scattate dopo il terremoto, il secondo ha invece raccolto una corposa dote di testimonianze storiche e sociali, memorie, ricordi, immagini e video dell’Aquila. Per i due progetti ANFE è stata responsabile della piattaforma, sulla quale dal 2011 hanno operato sia l’arch. Gunning che sua moglie Lucia Patrizio, con un impegno volontario e gratuito per oltre cinque anni. ANFE ha provveduto ad assicurare anche il servizio Infobox in piazza Duomo, assumendone le spese, fornendo un potente e libero Wi Fi e sei postazioni internet gratuite con tutoring, a disposizione di studenti, degli aquilani e dei visitatori della città.

Tanto ancora sarebbe da dire sul “servizio” generosamente reso alla nostra città dal prof. Patrizio. Mi permetto solo d’aggiungere qualche annotazione personale. Per il significato che ha avuto per me, e per la mia formazione, la consuetudine degli anni passati con lui nell’ANFE: in Abruzzo, in Italia e nel mondo. La mia conoscenza del prof. Patrizio risale agli anni dell’adolescenza, quando giovane studente all’uscita da scuola facevo qualche “vasca” sotto i Portici. Da allora mi restò impressa la figura d’un signore curato nel vestire, portamento singolare con cappello a larghe tese e sigaro toscano tra le labbra, che a quell’ora faceva il suo struscio con l’amico interlocutore del giorno. Molti anni dopo, condividendo la vita politica nello stesso partito, lo conobbi come Serafino Patrizio. A differenza d’una larghissima schiera di aquilani, però, sono tra i pochi che non l’ha avuto come professore. Da un quarto di secolo ho tuttavia condiviso con lui l’esperienza in ANFE, dove entrai raccogliendo il suo invito. L’ho conosciuto bene il prof. Patrizio, molto da vicino. Una bella, straordinaria Persona. Ricca di valori veri, di autenticità, di abissale lontananza dalle forme. Quanto invece di prossimità e saldezza nei princìpi di solidarietà umana (e cristiana), di attenzione verso gli ultimi, di rispetto della dignità umana. Un rispetto ancorato alle radici popolari e alle origini contadine, delle quali Serafino Patrizio è andato sempre fortemente orgoglioso. Egli impareggiabile testimone che volontà, impegno ed amore per la conoscenza, vissuti con l’esercizio del duro sacrificio quotidiano, possono far raggiungere traguardi di assoluto rilievo. Come è stato per lui, uomo fattosi da sé, self made man.

Anche da lui, dalle storie di tanti emigrati che mi raccontava, è nata la mia passione per la Storia dell’emigrazione, la sensibilità verso il fenomeno migratorio italiano. Perché Serafino - nei cui confronti scompariva ogni differenza di età, egli eterno giovanotto - aveva una rarissima capacità di raccontare, con dovizia di dettagli e riferimenti, la storia della sua generazione, le storie delle tante esperienze vissute, le storie della gente dei nostri paesi, fatte di fatica e sacrifici, le storie della nostra bella città, L’Aquila: una memoria eccezionale la sua. Lo faceva con un acume particolare, con rigore, con un’attenta analisi critica, ma senza sussiego. Lo faceva con la semplicità e l’estrema chiarezza del “contadino”, ma anche con la profondità del filosofo. Lo faceva con un grande rispetto verso gli altri, senza mai scadere nel pettegolezzo e nel giudizio, anche quando i fatti e le persone non erano commendevoli. Era il suo modo di raccontare la vita, che sempre ammaestra, nel bene e nel male. Ed egli, anche verso le situazioni più “complicate”, con la sua bonomia sapeva dare esempio di tolleranza e di “misericordia”, abituato a non puntare mai l’indice giudicante. Perché tutti possiamo sbagliare, tutti abbiamo bisogno di perdono. In fondo, per i valori morali e spirituali che ha vissuto nell’autenticità, Serafino è stato piuttosto un “celestino”. Un uomo di pace e di armonia. Nella scala aquilana delle benemerenze questo gli dovrebbe garantire di certo la postazione più alta della considerazione. Fosse ancora in vita tra noi, la sua umiltà lo farebbe invece ritrarre. Ma è proprio questa la considerazione che egli merita, la più alta, nel ricordo e nell’affetto di tutti gli Aquilani.

Alla moglie Pasqualina, alle figlie Giovanna (che vive a Milano) con il marito Antonio Agnifili, Valeria con Ugo Marinucci, e Lucia (che vive a Londra) con Barnaby Gunning, ai nipoti tutti, le nostre affettuose condoglianze.





Laura Carusino e Andrea Beltramo, dal teatro all'Albero Azzurro: comunicare con i bambini è un privilegio. L'intervista di Fattitaliani

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Da stamattina è tornata su Raidue e da pomeriggio su Rai Yoyo "L'Albero azzurro" la trasmissione pensata, sviluppata, parlata, raccontata per i più piccoli attraverso un linguaggio semplice, efficace, educativo. Alla guida ci sono Dodò (cui dà voce l'attore Paolo Carenzo) e Laura Carusino e Andrea Beltramo, intervistati da Fattitaliani.

Vi presentate un po' ai nostri lettori? come vi siete formati, come avete iniziato?
Andrea Beltramo: Io ho cominciato frequentando una scuola di teatro a Torino e ho subito avuto la fortuna di recitare i classici, dal teatro greco alla commedia di Feydeau. Quando L’albero azzurroè arrivato negli studi di via Verdi, da quelli di Milano, dove era nato, sono andato a fare il provino perché cercavano un conduttore. Ho avuto la fortuna di essere scelto e così è cominciata la mia avventura in questo fantastico programma.
Laura Carusino: Ho iniziato dal teatro, il musical. È stato il mio primo lavoro, precisamente Grease… e poi sono arrivate altre produzioni: Joseph, jesus Christ SuperStar, Scooby Doo… e poi sono approdata alla tv ragazzi 10 anni fa e la favola continua. Eh sì, perché l’Albero Azzurro è una favola, in tutti i sensi!
Che cosa rappresenta per voi l'opportunità di condurre "L'albero azzurro"?
Andrea Beltramo: Rappresenta un motivo di orgoglio, perché comunicare con i bambini, giocare con loro e farli divertire, l’ho sempre considerato un privilegio.
Laura Carusino: Da sempre è un privilegio poter intrattenere il pubblico dei più piccoli. È una grande gioia ma anche una grande responsabilità. È una comunicazione delicata. Albero Azzurro, e questo lo possiamo dire ancor di più oggi che compie 30 anni, è un programma il cui successo è senza tempo e questo perché da sempre riesce ad incuriosire i bambini e stimolare la loro fantasia. Riuscire a farlo mi rende molto felice e orgogliosa.
La tv ha accompagnato la vostra infanzia? come? con quali trasmissioni?
Andrea Beltramo: Guardavo i programmi per bambini come Solletico per esempio e tanti cartoni animati , c’era meno scelta, ma la qualità e la genuinità era sempre molto alta. 
Laura Carusino: Sicuramente sono legata a tanti cartoni animati… tra i tanti L’Incantevole Creamy, Mila e Shiro, Magica Emi, Holly e Benji. ma sono davvero tanti! E poi Bim bum bam! Che bei ricordi!
C'è un beniamino (o un programma) televisivo che amate sin da bambini? perché?
Andrea Beltramo: Nel citerò due: l’ape Maia, divertente e educativa( appuntamento imperdibile, la guardavo con mia mamma e mia sorella) e il cartone animato di Sherlock Holmes, perché è un personaggio che ho sempre amato, infatti ho letto tutti i libri di Conan Doyle.
Laura Carusino: Ti posso dire che da sempre amo Sandra Mondaini. Sbirulino, ma non solo. Una grande donna e grande artista. Un’ispirazione da sempre e per sempre. Ho avuto l’onore di lavorare con lei ed è stato meraviglioso poterla conoscere.
L'esperienza televisiva che vi piacerebbe realizzare più di ogni altra cosa?
Andrea Beltramo: Mi piacerebbe condurre un’edizione dello Zecchino d’oro oppure un format nuovo per bambini e ragazzi. 
Laura Carusino: In questo momento mi piacerebbe un programma sui libri per bambini… Raccontarli e consigliarli. Lo sto già facendo sui miei canali social e sarebbe bello farlo anche in tv. 
Com'è il vostro rapporto con "Dodò"? chi fra i tre è più paziente e accondiscendente verso gli altri due?
Andrea Beltramo: Il mio personaggio è giocoso, allegro, ottimista. A volte si lascia prendere dall’entusiasmo e combina qualche pasticcio. Ma nonostante ciò, sa sempre quando intervenire per aiutare Dodò, sostenerlo e proteggerlo.
Laura Carusino: Con Dodò da 10 anni sono un po’ amica e quindi complice e un po' mamma e quindi attenta, protettiva e mooooolto paziente! quindi sì, sono io la più paziente! (ride).
Qual è secondo voi l'elemento che rende "L'albero azzurro" un programma speciale ed educativo?
Andrea Beltramo: A mio parere la forza del programma sta nella sua semplicità. I bimbi, guardando il programma si divertono, ballano e cantano e hanno l’occasione di imparare crescendo.
Laura Carusino: È lo stupore la chiave del successo di Albero Azzurro. E la sua missione quella di intrattenere stuzzicando le antenne della fantasia con delicatezza, cosa doverosa nei confronti dei bambini.
Più in là avremo modo di vedervi in qualche altro progetto?
Andrea Beltramo: Mi piace sempre molto recitare in teatro e sono anche un doppiatore e quindi sono sempre anche impegnato molto in queste attività, ma abbiamo ancora da registrare tante puntate di questa nuova fantastica edizione del programma. 
Laura Carusino: Più che vedermi… leggermi in un nuovo progetto editoriale per bambini che non vedo l’ora di dire! Giovanni Zambito.

Il Pulp di Bukowski: elogio della cattiva scrittura e degli insignificanti scrittori di successo

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L’incipit dell’ultimo romanzo di Charles Bukowski potrebbe essere racchiuso in queste parole: «Nei tempi andati la vita degli scrittori era più interessante di quello che scrivevano. Al giorno d’oggi né le loro vite né quello che scrivono è interessante» (p. 52). 
Chi le pronuncia nel romanzo è Céline, uno dei personaggi del racconto, che nella realtà è Louis-Ferdinand Céline (1894-1961), pseudonimo di Louis Ferdinand Auguste Destouches, grande e influente scrittore, saggista e medico francese del Novecento. 
Céline
Lo pseudonimo con cui lo scrittore francese firmò tutte le sue opere era il nome della nonna materna Céline Guillou ed è questo il motivo per il quale Bukowski nel suo romanzo lo chiama allo stesso modo. Il protagonista di Pulp, l’investigatore Nick Belane - che rappresenta lo stesso Bukowski – ha avuto l’incarico da una certaSignora Morte di rintracciare questo Céline, che a detta della sua bellissima, irresistibile ed eccitante cliente, è proprio Louis Ferdinand Destouches nato a Courbevoie nel 1894 e che, nonostante risulti morto il 1° luglio 1961, non si è ancora presentato al cospetto della splendida signora! «Controllai Céline sul Webster. 1891-1961. Era il 1993. Se era ancora vivo doveva avere centodue anni. Sfido che la Signora Morte lo stava cercando» (p.4). Così dice a sé stesso Belane quando nella libreria di Red di Los Angeles incontra un tizio molto somigliante al Céline della foto che Signora Morte poco prima gli aveva dato per trovare il fuggitivo. Céline rappresenta anche il suo interlocutore privilegiato per parlare di letteratura e di scrittura. Poco dopo il loro primo incontro, davanti all’edicola vicino alla libreria di Red, i due si scambiano un paio di battute sui giornalisti e sugli scrittori di allora: «C’è solo un problema» dice Céline a Belane sfogliando il “The New Yorker” «Non sanno proprio scrivere. Nessuno di loro» (p.24). Questi dialoghi di Pulp fanno il paio con quello che davvero pensava e aveva pubblicamente detto nel 1974 Bukowski a proposito degli scrittori e dei poeti del suo tempo. «Direi che sono disgustato, o ancor meglio nauseato … C’è in giro un sacco di poesia accademica. Mi arrivano libri o riviste da studenti che hanno pochissima energia … non hanno fuoco o pazzia. La gente affabile non crea molto bene. Questo non si applica soltanto ai giovani. Il poeta, più di tutti, deve forgiarsi tra le fiamme degli stenti. Troppo latte materno non va bene. Se il tipo di poesia è buona, io non ne ho vista. La teoria degli stenti e delle privazioni può essere vecchia, ma è diventata vecchia perché era buona … Il mio contributo è stato quello di rendere la poesia più libera e più semplificata, l’ho resa più umana. L’ho resa più facile da seguire per gli altri. Ho insegnato loro che si può scrivere una poesia allo stesso modo in cui si può scrivere una lettera, che una poesia può perfino intrattenere, e che non ci deve essere per forza qualcosa di sacro in essa.»(Intervista di William Childress, Charles Bukowski, “Poetry Now, vol. 1, n.6, 1974, pp. 1, 19, 21). Oppure, in un’altra intervista del 1967: «No, a me l’intero panorama poetico sembra dominato da somari banali, senz’anima, ridicoli e solitari. Da gruppi universitari da un lato fino alla banda dei beat dall’altro, includendo anche tutti quelli né carne né pesce che stanno in mezzo. Quello che mi stupisce è che non ho sentito nessuno dire questa cosa nel modo in cui te la sto dicendo io adesso». (Intervista a Michael Perkins, Charles Bukowski: the Angry Poet, “In New York”, New York, vol. 1, n. 17, 1967, pp. 15-18). Per poi ricordarci, nel 1975, che è la scrittura il vero cuore pulsante della narrazione… non la storia, perché se la scrittura funziona, allora quella narrata è una storia che penetra il lettore e gli regala emozioni, se la scrittura non funziona, anche una bella storia diventa piatta, insignificante, banale, scontata, mediocre come chi l’ha scritta… così diceva Bukowski a proposito della sua di scrittura: «Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono due: o funzionano o non funzionano. Non sono preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.» (Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16). “O funzionano o non funzionano”: non c’è altro da aggiungere in merito!
La narrazione di Pulpè strutturata intorno a Nick Belane, l’investigatore cinquantacinquenne squattrinato, perseguitato dalla sfiga e ossessionato dall’alcool e dalle scommesse alle corse di cavalli, che vende i suoi servigi per sei dollari l’ora ad alcuni strani personaggi extraterrestri e di fantasia. Investigatore privato che volutamente richiama, facendosene gioco, Philip Marlowe, il celebre detective nato nel 1934 dai noir del famoso scrittore Raymond Chandler. Il racconto Pulp, per certi versi “alieno” e grottesco, rappresenta da un lato una sarcastica metafora dei suoi tempi, ma al contempo la rappresentazione dei desideri, dei timori, delle speranze, delle delusioni della vita del nostro scrittore. Una narrazione in cui Belane-Bukowski incontra la morte (imminente nella vita reale) che appare bellissima, seducente, eccitante, con una voce molto sexy: «Quella voce incredibilmente sexy cominciava a mandarmi su di giri, sul serio … “Mi racconti qualcosa di più – dice Belane al telefono a Signora Morte che lo aveva appena ingaggiato come investigatore privato - Mi parli, signora: Continui a parlare…” … “Chiudi la cerniera” gli replicò imperiosa dalla cornetta Signora Morte … Guardai in basso … “Come faceva a saperlo” le rispose Belane…». E così poco dopo, quando gli appare improvvisamente spuntata dal nulla nel suo squallido e disordinato ufficio, ne rimane rapito e disorientato: «In un certo senso mi persi, cominciai a fissarla su per le gambe. Ero semplicemente stato il classico tipo “da gambe”. Erano la prima cosa che avevo visto quando ero nato. Ma allora stavo cercando di uscire. Da quel momento in poi avevo sempre cercato di darmi da fare nella direzione opposta, con scarsi risultati» (p. 17). L’ironia insieme al sarcasmo non mancano mai nella sua scrittura e nella sua narrazione, soprattutto nelle tragicità degli eventi, come in questo caso la morte!
Pulp fu completato nel 1993, ma fu pubblicato dopo la morte di Bukowski, nel 1994. È un romanzo col quale lo scrittore losangelino si diverte a narrare accadimenti improbabili con una scrittura diretta, sporca, semplice, penetrante, proprio per far capire al lettore che in fondo più che le storie conta come sono scritte. La sua scrittura è quella di strada, popolare, colta e folk insieme, ma soprattutto è una scrittura che sa emozionare attraverso l’ironia e il sarcasmo che mai mancano anche nei fatti terribili quali la malattia, la sofferenza, la morte, il dolore, la miseria, la povertà… sarcasmo che emerge dirompente anche quando si diverte a prendere per il “culo” i divi hollywoodiani: «Guardate i divi del cinema, prendono la pelle del culo e se la fanno mettere in faccia. La pelle del culo è l’ultima a ringrinzirsi. Passano gli anni ad andarsene in giro con facce da culo»(p. 25).

Sicuramente quello che accomuna tutti gli scritti di Bukowski, sia nelle poesie che nei romanzi, sono gli elementi umani ed emozionali dei suoi personaggi di bassofondo, che vivono in tuguri, che passano ore in luridi bar di periferia dove il whisky e l’alcool scorrono a fiumi in gole secche e assetate di avventori di tutte le razze metropolitane: spacciatori, killer, mafiosi, delinquenti, rapinatori, usurai, puttane, donne di facili costumi, vedove, divorziate, fedifraghe, etc.… Le emozioni forti e i dolori umani sono componenti narrative che il nostro autore conosce molto bene perché li ha vissuti sulla sua pellaccia dura e resistente allo sconforto della quotidianità della grande metropoli dell’arte e del cinema statunitense quale la Los Angeles del Novecento. Li ha conosciuti bene queste emozioni e sentimenti, non perché - come oggi invece avviene per la stragrande maggioranza di quelli che vengono definiti con torto imbarazzante grandi scrittori solo perché pompati dai grandi editori e dai mass media di parte - li ha mediati leggendo libri e articoli di giornali e riviste, ma perché hanno segnato la sua vita sin dall’infanzia vissuta in una famiglia “multi-problematica”, come direbbero oggi gli assistenti sociali che onestamente si occupano di tutela dei minori e gli psicologi dell’età evolutiva che nei circuiti penali e di devianza minorile delle città metropolitane hanno reale esperienza professionale con migliaia di casi irrisolti come quelli del nostro scrittore quand’era un infante-adolescente! Una vita infantile e adolescenziale, quella di Bukowski, fatta di privazioni, di violenze fisiche e psicologiche intrafamiliari, di solitudine, di paure, di una innata speranza che mai lo ha abbandonato in tutta la sua tormentata e dissoluta vita. Da adulto - operaio, scaricatore di porto, puliziere, postino, fattorino, lavavetri, ma anche poeta e scrittore sconosciuto e bistrattato dalle grandi case editrici e dai famosi e “competenti” critici letterari di allora - sono invece le sbronze, le scopate seriali da ubriaco con prostitute e donne di strada, la vita immonda e senza mai un dollaro in tasca vissuta tra lavoro e alloggi in catapecchie che come arredo essenziale hanno la sua macchina da scrivere Olympia SG e un comodo letto sempre disfatto per dormire e per scopare.
Pulpfu scritto da Bukowski col fiato sul collo di Signora Morte, come la chiama quale personaggio del suo romanzo. Sapeva bene infatti che da lì a poco sarebbe morto per la sua grave malattia. Pulp lo scrive con la stessa frenesia con cui Fëdor Michajlovič Dostoevskij scrisse il suo romanzo breve “Il giocatore” (1866). Il primo inseguito da Signora Morte, il secondo inseguito dai suoi strozzini ai quali se non avesse restituito da lì a trenta giorni i prestiti che aveva utilizzato per perderli alla roulette, l’avrebbero certamente ucciso. Dissoluti entrambi: dall’alcool, dalle femmine e dalle scommesse alle corse di cavalli Bukowski, dal gioco d’azzardo dei casinò Dostoevskij. La dissolutezza, la precarietà, l’approssimarsi della “fine”, le lacrime, il pianto, il dolore… sembrano essere i necessari ingredienti dei più grandi scrittori di tutti i tempi. Lo furono essenziali per Dostoevskij nell’Ottocento, lo furono essenziali per Bukowski nel Novecento, non lo sono più per i cosiddetti grandi scrittori del Ventunesimo secolo! 
Queste poche righe di riflessione ad alta voce condivise con voi che state leggendo fino alle fine queste righe su uno dei più grandi scrittori del Novecento, non posso che chiuderle con quanto disse in una intervista del 1970 lo stesso Bukowski, per rimanere all’interno della cornice che ci siamo dati – gli scrittori contemporanei e i loro scritti – perché da un lato condivido pienamente le parole di Bukowski e perché dall’altro non credo che a questo proposito saprei trovarne di migliori e più efficaci per far capire il concetto del quale abbiamo discusso… «Be’, nella maggior parte dei casi devo dire che gli scrittori non sono brave persone. Preferisco parlare con un meccanico di un’autofficina che sta mangiando un panino al salame per pranzo. In effetti, potrei imparare più cose da lui. È più umano. Gli scrittori sono una brutta razza. Cerco di stare alla larga da loro.» (Intervista a William J. Robson and Josette Bryson, Looking for the Giants: An Interview with charles Bukowski, “Southern California Literary Scene”, Los Angeles, vol. 1, n. 1, December 1970, pp. 30-46). 
Detto questo, non posso che consigliarvi di leggere Charles Bukowski, di leggere Pulp e di leggere tutto il resto… di divorare i suoi scritti, di gustarli, di capirli e magari di studiarli con attenzione e curiosità… poi, terminato questo “esercizio”, confrontate i suoi racconti e la sua scrittura con quelli degli scrittori contemporanei (definiti!) di successo convinti di essere i nuovi Pirandello o i redivivi Hemingway che – come abbiamo già scritto – vengono pompati come geniali narratori del Ventunesimo secolo dai loro sponsoreditoriali e massmediatici, e capirete facilmente, senza l’aiuto di nessuno, che da un lato avete letto un vero grande scrittore, dall’altro lato riconoscerete finalmente dei ridicoli e mediocri scribacchini da strapazzo convinti di essere i Dostoevskij dei giorni nostri!

Charles Bukowski, “Pulp”, Giangiacomo Feltrinelli ed., 1994, Milano
Sinossi, tratta da “la Feltrinelli”:
«Depresso, appesantito da una pancia ingombrante, il conto in rosso, i creditori sempre alle porte, tre matrimoni alle spalle, Nick Belane è un detective, "il più dritto detective di Los Angeles". Bukowski gioca con un vecchio stereotipo e vi aggiunge la sua filosofia di lucido beone, il suo esistenzialismo da taverna e un pizzico di cupa, autentica disperazione. I bar, le episodiche considerazioni sul destino, il cinismo, l'ormai sbiadito demone del sesso, il fallimento professionale ed esistenziale, insieme alle mere invenzioni narrative, diventano il "pulp" del titolo. Lontano dalle atmosfere tenebrose delle ordinarie follie, il testamento spirituale di uno scrittore che non ha mai esitato a immergersi nel degrado della società contemporanea.»

Andrea Giostra


“Iris” di Jalil Lespert, thriller franco-belga visto su Netflix. La recensione

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Netflix: I film che ho visto e che consiglio di vedere - di Andrea Giostra
Su Netflix, “Iris” (2016) di Jalil Lespert, thriller franco-belga, molto ben fatto e che tiene in tensione dall’inizio alla fine, entrando lentamente nella vita intima e inconfessabile dei protagonisti, dei desideri sessuali e delle pratiche interdette da censori bacchettoni, fino ad arrivare ad un epilogo forse scontato e banale che rovina un po’ la bella sceneggiatura. Buona visione a chi lo vedrà…

Sinossi Coming Soon:
«Una femme fatale che sembra uscita da un film di Brian De Palma, bellissima, longilinea e con gli occhi da cerbiatta. Un’altra donna, più fragile e più dolente, che incredibilmente le somiglia. Un eroe del "popolo" che ricorda il migliore Jean Gabin (anche se ha il volto dello "Spaccacuori" Romain Duris) e un banchiere a cui improvvisamente rapiscono la moglie. Due poliziotti, infine, che casualmente si amano e che forse non hanno gli strumenti per sbrogliare la matassa e acciuffare il cattivo. Sono questi i personaggi del secondo titolo francese del concorso del Noir in Festival, thriller hitchockiano di Jalil Lespertintitolato Iris e basato su una sceneggiatura che si rifà al poco conosciuto Chaos del giapponese Hideo Nakata. Formalmente elegante e narrativamente coerente, il film è certamente la storia di una manipolazione a tre che passa per il sadomaso, ma più di ogni altra cosa si impone come una riflessione sui i corti circuiti della coppia, che entra in crisi non per mancanza d’amore, ma per desideri diversi, legami altri, vite pratiche ingombranti.»
Scheda IMDb:
Andrea Giostra FILM:

Pietruccio Montalbetti, "Enigmatica bicicletta" nuovo libro del fondatore e leader storico dei Dik Dik

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"Qualche anno dopo la Seconda Guerra Mondiale si crea a Milano un Corpo Speciale di ex partigiani dediti alla cattura di criminali di guerra mai processati. E la bicicletta accantonata alla staccionata di un parco del centro-città sempre lì parcheggiata, a volte girata a destra altre a sinistra, che ci fa? Fantasia o realtà?"

Attraversando abitualmente un parco nel quartiere vicino casa, Luca Righi (uno degli agenti e il protagonista), viene attratto da una bicicletta accantonata a una staccionata. Sempre lì parcheggiata, a volte girata verso destra altre a sinistra, Il graduato trova il fatto insolito po’ sospetto quando una serie di strani eventi non possono che accomunarsi al velocipede. 
È con tale intrigante premessa che prende il via  ENIGMATICA BICICLETTA, il noir di Pietruccio Montalbetti che sfiora tematiche forti e struggenti legate a vittime di abusi e violenze da fascisti e nazisti, tra atroci crimini seguitati persino a fine-guerra, ma anche gesti positivi offerti dai partigiani agli italiani. 
L'obiettivo dell’autore è dunque quello di mettere in rilievo terribili eventi storici, che hanno in quel periodo sancito la perdita della coscienza umana marchiandola a fuoco, affinché episodi così oscuri non si ripetano.
Il chitarrista leader dei DIK DIK, da anni prestato alla narrativa, riporta quindi a tratti alla memoria paragoni di alcuni illustri autori del passato quali Primo Levi, Cesare Pavese, Beppe Fenoglio. Comunque, invitato dai genitori per le feste natalizie, il protagonista incontra dei cuginetti che, sapendolo partigiano, insistono affinché illustri la propria “professione”, in realtà segreta. 

Note d’autore
Pietruccio Montalbetti, fondatore e leader storico dei Dik Dik, famoso gruppo musicale italiano degli anni Sessanta, si misura ormai da anni anche nella narrativa.
Libri pubblicati: I ragazzi della via Stendhal (2010, Aerostella), Sognando la California (2011, Aerostella), Io e Lucio Battisti (2013, Salani Editore), Settanta a Settemila (2014, Ultra), Amazzonia. Io mi fermo qui (2018, Zona Music Books), Enigmatica Bicicletta (2020, Iris 4 Edizioni).
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