Il flusso della vita, la mescolanza e la sovrapposizione parallela di più esistenze e colori. Il significato della trilogia mozartiana in scena alla Monnaie di Bruxelles (è una coproduzione col Teatro Massimo di Palermo) andrebbe ricercato e pensato in questa prospettiva come punto di partenza sia per la sua comprensione che per il tentativo di goderne profondità, bellezza e idea.
Narrativamente, non c'è alcun reale collegamento fra "Le nozze di Figaro", "Così fan tutte" e "Don Giovanni": eppure le scelte dei registi JEAN-PHILIPPE CLARAC e OLIVIER DELOEUIL (ideatori anche dei costumi) ne fanno un ensemble che alla fine nella sua molteplicità risulta coerente, ben strutturato, solido, piacevole.
È la dimostrazione del semplice fatto che la vita nei dettagli e nei dati che la connotano non è affatto catalogabile, non è facile da racchiudere fra quattro pareti, in compartimenti stagni. Ogni storia comincia da un'altra, la interseca, la influenza e questo al di là della cronologia (qui tutto è raccontato nell'arco di una giornata brussellese del 2020) e delle vicende personali.
In fin dei conti, le donne e gli uomini sono sempre gli stessi, si ripetono, si rifanno gli uni alle altre, ricommettono gli stessi errori, intraprendono il medesimo cammino di chi li ha preceduti e di coloro che verranno appresso.
Non per niente, si fa sovente ricorso ai "tipi" umani che attraversano le varie epoche, si fa capo a storie di ogni famiglia e consorzio umano, a prescindere dalla specifica collocazione spaziale e temporale, geografica e storica.
Tale idea di base costituisce anche l'organizzazione scenica (complimenti allo scenografo RICK MARTIN e al curatore delle luci CHRISTOPHE PITOISET) e l'intreccio delle tre opere. Un edificio composto di tanti spazi interconnessi fra loro da porte o da scale, dodici artisti su tredici interpretano due ruoli, costituendo così un puzzle che ognuno contribuisce a completare: ed è alla fine, nella sua interezza, che lo spettatore ha il quadro completo e le diverse singole intuizioni percepite lungo le tre distinte serate si ricompongono in un unicum di cui si capiscono intenzioni e finalità.
Lo sguardo d'insieme dà respiro ai singoli dettagli che si affacciano man mano lungo la narrazione, racchiusi e raccolti in un ciclo vitale che ha il suo inizio nel cadavere del Commendatore e la sua fine nella morte di Don Giovanni. I video realizzati da JEAN-BAPTISTE BEÏS e TIMOTHÉE BUISSON continuamente proiettati sullo sfondo hanno questo scopo e palesano l'intento drammaturgico di LUC BOURROUSSE.
La Trilogia andrebbe vista più volte per coglierne appieno le sfumature che contiene: importa però che lo spettatore -sia esperto che occasionale- potrà tornare a casa con un adeguato livello di comprensione e godimento, che -come l'impianto scenico- è concepito in modo stratificato, dosato, secondo più gradini di fruizione.
Ottima l'idea di un Don Giovanni cieco: il suo stile di vita in effetti non lo rendeva insensibile agli altri, irrispettoso verso le donne, incosciente? Inoltre, l'appoggio e il sostegno di Leporello diventano ancor più necessari.
Spiazzante ma ben congegnata la figura e l'azione del Commendatore nella scena finale.
Bellissimi i colori che si alternano nella predominanza in base all'opera rappresentata, rispettivamente blu, giallo e rosso: e notare i dettagli di suppellettili, mobili, capi d'abbigliamento è un ulteriore piacere.
Gli artisti? Tutti, tutti di prim'ordine: un'escalation di bravura, disinvoltura, naturale presenza scenica, padronanza del personaggio. Sarebbero da elencare tutti, a cominciare da ALESSIO ARDUINI, che, chiamato a sostenere i ruoli di Figaro e Leporello all'ultimo momento, è entrato perfettamente nel meccanismo fantasioso del racconto.
Poliedrico e inappuntabile RICCARDO NOVARO nei ruoli di Don Alfonso e Antonio, così come eccezionale la sua mimica quando presta il volto al Commendatore.
Il baritono tedesco BJÖRN BÜRGER canta e si muove con agio nei panni di Don Giovanni e del Conte Almaviva: una dizione perfetta, una voce che accompagna i tanti movimenti cui la trama lo costringe.
L'ucraino IURII SAMOILOV restituisce perfettamente i ruoli di Guglielmo e Masetto.
E le cantanti? Artiste eccezionali, a servizio di una giostra scenica che ne valorizza la sensibilità e la bravura. Da brividi le arie che ognuna di loro ha interpretato negli assoli: LENNEKE RUITENè Donna Elvira -drammatica, intensa, viscerale- e Fiordiligi; la soprano slovacca SIMONA ŠATUROVÁ interpreta Donna Anna e una Contessa di Almaviva rivelandone appieno psiche e modernità; la mezzo-soprano americana, di origine siciliana, GINGER COSTA‑JACKSONè una disinvolta Dorabella e un eccellente Cherubino che ipnotizza e incanta; la soprano americana SOPHIA BURGOS magnetizza il pubblico con le sue Zerlina e Susanna; la soprano italiana CATERINA DI TONNOè completamente dentro Barbarina e Despina, i personaggi cui dà voce.
Una parola per il M° ANTONELLO MANACORDA: fondamentale il suo contributo. Non ha solo magistralmente diretto l'Orchestra: è come se il movimento delle sue mani accompagnasse il canto e anche i movimenti degli artisti sulla scena, costituendo un perfetto trait d'union tra fossa, palco e platea in un continuo e mutuale riflusso di onde. Giovanni Zambito.
Foto: Forster.
Narrativamente, non c'è alcun reale collegamento fra "Le nozze di Figaro", "Così fan tutte" e "Don Giovanni": eppure le scelte dei registi JEAN-PHILIPPE CLARAC e OLIVIER DELOEUIL (ideatori anche dei costumi) ne fanno un ensemble che alla fine nella sua molteplicità risulta coerente, ben strutturato, solido, piacevole.
È la dimostrazione del semplice fatto che la vita nei dettagli e nei dati che la connotano non è affatto catalogabile, non è facile da racchiudere fra quattro pareti, in compartimenti stagni. Ogni storia comincia da un'altra, la interseca, la influenza e questo al di là della cronologia (qui tutto è raccontato nell'arco di una giornata brussellese del 2020) e delle vicende personali.
In fin dei conti, le donne e gli uomini sono sempre gli stessi, si ripetono, si rifanno gli uni alle altre, ricommettono gli stessi errori, intraprendono il medesimo cammino di chi li ha preceduti e di coloro che verranno appresso.
Non per niente, si fa sovente ricorso ai "tipi" umani che attraversano le varie epoche, si fa capo a storie di ogni famiglia e consorzio umano, a prescindere dalla specifica collocazione spaziale e temporale, geografica e storica.
Tale idea di base costituisce anche l'organizzazione scenica (complimenti allo scenografo RICK MARTIN e al curatore delle luci CHRISTOPHE PITOISET) e l'intreccio delle tre opere. Un edificio composto di tanti spazi interconnessi fra loro da porte o da scale, dodici artisti su tredici interpretano due ruoli, costituendo così un puzzle che ognuno contribuisce a completare: ed è alla fine, nella sua interezza, che lo spettatore ha il quadro completo e le diverse singole intuizioni percepite lungo le tre distinte serate si ricompongono in un unicum di cui si capiscono intenzioni e finalità.
Lo sguardo d'insieme dà respiro ai singoli dettagli che si affacciano man mano lungo la narrazione, racchiusi e raccolti in un ciclo vitale che ha il suo inizio nel cadavere del Commendatore e la sua fine nella morte di Don Giovanni. I video realizzati da JEAN-BAPTISTE BEÏS e TIMOTHÉE BUISSON continuamente proiettati sullo sfondo hanno questo scopo e palesano l'intento drammaturgico di LUC BOURROUSSE.
La Trilogia andrebbe vista più volte per coglierne appieno le sfumature che contiene: importa però che lo spettatore -sia esperto che occasionale- potrà tornare a casa con un adeguato livello di comprensione e godimento, che -come l'impianto scenico- è concepito in modo stratificato, dosato, secondo più gradini di fruizione.
Ottima l'idea di un Don Giovanni cieco: il suo stile di vita in effetti non lo rendeva insensibile agli altri, irrispettoso verso le donne, incosciente? Inoltre, l'appoggio e il sostegno di Leporello diventano ancor più necessari.
Spiazzante ma ben congegnata la figura e l'azione del Commendatore nella scena finale.
Bellissimi i colori che si alternano nella predominanza in base all'opera rappresentata, rispettivamente blu, giallo e rosso: e notare i dettagli di suppellettili, mobili, capi d'abbigliamento è un ulteriore piacere.
Gli artisti? Tutti, tutti di prim'ordine: un'escalation di bravura, disinvoltura, naturale presenza scenica, padronanza del personaggio. Sarebbero da elencare tutti, a cominciare da ALESSIO ARDUINI, che, chiamato a sostenere i ruoli di Figaro e Leporello all'ultimo momento, è entrato perfettamente nel meccanismo fantasioso del racconto.
Poliedrico e inappuntabile RICCARDO NOVARO nei ruoli di Don Alfonso e Antonio, così come eccezionale la sua mimica quando presta il volto al Commendatore.
Il baritono tedesco BJÖRN BÜRGER canta e si muove con agio nei panni di Don Giovanni e del Conte Almaviva: una dizione perfetta, una voce che accompagna i tanti movimenti cui la trama lo costringe.
L'ucraino IURII SAMOILOV restituisce perfettamente i ruoli di Guglielmo e Masetto.
E le cantanti? Artiste eccezionali, a servizio di una giostra scenica che ne valorizza la sensibilità e la bravura. Da brividi le arie che ognuna di loro ha interpretato negli assoli: LENNEKE RUITENè Donna Elvira -drammatica, intensa, viscerale- e Fiordiligi; la soprano slovacca SIMONA ŠATUROVÁ interpreta Donna Anna e una Contessa di Almaviva rivelandone appieno psiche e modernità; la mezzo-soprano americana, di origine siciliana, GINGER COSTA‑JACKSONè una disinvolta Dorabella e un eccellente Cherubino che ipnotizza e incanta; la soprano americana SOPHIA BURGOS magnetizza il pubblico con le sue Zerlina e Susanna; la soprano italiana CATERINA DI TONNOè completamente dentro Barbarina e Despina, i personaggi cui dà voce.
Una parola per il M° ANTONELLO MANACORDA: fondamentale il suo contributo. Non ha solo magistralmente diretto l'Orchestra: è come se il movimento delle sue mani accompagnasse il canto e anche i movimenti degli artisti sulla scena, costituendo un perfetto trait d'union tra fossa, palco e platea in un continuo e mutuale riflusso di onde. Giovanni Zambito.
Foto: Forster.