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Libri, "L'accoglienza delle persone migranti. Modelli di incontro e socializzazione". La recensione

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AA.VV. (a cura di Tiziana Grassi), One Group Edizioni, L’Aquila, 2019 - Recensione di Nicola F. Pomponio

TORINO - Il corposo volume che si presenta ci appare come una grande, importante scommessa. In un duplice senso. Innanzi tutto in senso editoriale. Pubblicare un testo così complesso e sfaccettato è una fatica e un impegno senz'altro notevole per la casa editrice che l'ha curato (One Group Edizioni, una piccola casa editrice dell’Aquila ma con ottimi libri pubblicati). Ma la scommessa è ancor più importante dal punto di vista culturale e metaculturale. Il volume vede la luce in un periodo caratterizzato da contrapposizioni e lacerazioni importanti all'interno della società italiana sulla questione dell'immigrazione.

In questo contesto il bel libro prende posizione in modo netto e con dovizia di argomentazioni fin dal titolo. Non ci appare assolutamente casuale che in esso non si parli solo di migranti ma si utilizzi l'espressione "persone migranti"; quel "persone" apre immediatamente prospettive che i luoghi comuni e le aberrazioni xenofobe vogliono negare: i migranti sono persone esattamente come chi in questo momento sta scrivendo questa recensione (o chi la sta leggendo), sono persone come tutte le persone che quotidianamente s'incontrano, con i loro sogni, speranze, sconfitte e vittorie.

Sono persone da trattare come soggetti, non come oggetti, e trattare un uomo come soggetto significa "riconoscere che non lo si può definire, classificare, che è inesauribile, colmo di speranze e che, egli solo, può disporre delle sue speranze" (Mounier "Il personalismo"). Altrettanto importante il sottotitolo: la questione delle migrazioni è affrontata nella prospettiva dell'incontro (non dello scontro) e della socializzazione, della integrazione. Questi sono i due fili rossi, cioè i migranti come persone inserite in un processo di integrazione, che scandiscono tutti i numerosi interventi del volume. Il testo, con la prefazione del Presidente del Parlamento Europeo On. David Sassoli, è diviso in tre sezioni che affrontano la situazione attuale, le buone pratiche dell'integrazione e la questione del rapporto tra le migrazioni e le descrizioni nei mezzi di comunicazione.

Sono quasi cento interventi che restituiscono un'immagine incredibilmente ricca, densa, sfaccettata di questo fenomeno e che aiutano a comprendere sia le difficoltà sia le enormi potenzialità che l'arrivo dei migranti porta con sé nella nostra società. Giustamente il libro sviluppa una tesi espressa a chiare lettere dalla curatrice Tiziana Grassi: "non ha senso...interpretare e gestire le migrazioni in corso come evento straordinario o eccezionale congiuntura del momento" (pag.19). E se questa impostazione è corretta, come siamo profondamente convinti, diventa ancor più meschino e inconcludente, se non per chi mesta nel torbido, derubricare le migrazioni sotto il titolo della cosiddetta "sicurezza".

Questa semplificazione non può comprendere né i drammi personali degli attori coinvolti né tantomeno la dimensione planetaria del fenomeno; si pensi all'esplosione demografica dell'Africa o ai nessi tra migrazioni e guerre o al rapporto tra crisi economiche (talvolta indotte proprio dall'Occidente) e migrazioni, per tacere della relazione con i cambiamenti climatici o dello sfruttamento che le nostre mafie (anche in combutta con malavitosi anch’essi migranti) fanno del lavoro di persone ridotte in schiavitù. Il quadro si complica immediatamente. Ridurre l'immigrazione a problema di sicurezza appare così non solo fuorviante ma, in ultima analisi, profondamente errato.

Il libro ha il pregio di raccogliere tante voci senza mai tacere le difficoltà che l'integrazione incontra nella nostra realtà; difficoltà concrete e difficoltà di comprensione quando ci s'imbatte in culture e visioni del mondo talvolta molto diverse dalla nostra. L'incontro con uno straniero, soprattutto in questi casi, non è mai facile ma, al contempo, può essere qualcosa di estremamente arricchente per l'intera società. Diventano così di notevole interesse le annotazioni su chi "ce l'ha fatta" scoprendo in tal modo altri aspetti dei fenomeni migratori in cui l'immigrato è liberato dal luogo comune del barcone alla deriva (troppo spesso nella narrazione giornalistica questa è l'unica rappresentazione data dell'immigrazione) e non solo si integra ma contribuisce attivamente, in prima persona al progresso materiale e spirituale della società.

Una società, quella italiana, sempre più anziana, con sempre meno figli e sempre più dipendente proprio dai fenomeni migratori che qualcuno invece vuole presentare come la fonte di ogni male, disconoscendo il lavoro prezioso che questi uomini e donne fanno quotidianamente contribuendo alla creazione della ricchezza nazionale. Diventa così importante il tema di come il fenomeno della migrazione venga narrato nei media.

La terza parte del libro è tutta dedicata a questo aspetto e la sua lettura risulta molto proficua per la quantità di nessi che vengono evidenziati. Non solo c'è stata in Italia una rapidissima evoluzione dell'atteggiamento dell'opinione pubblica nei confronti dei migranti (iniziata all'inizio degli anni '90 con l'immigrazione albanese) ma lo spazio dedicato dai media al fenomeno, in termini talvolta ripetitivamente ossequiosi verso le posizioni più intolleranti, è, stando alle statistiche riportate, assolutamente sproporzionato.

Queste annotazioni dovrebbero far riflettere gli operatori dell'informazione e dovrebbero portare a chiederci fino a che punto conosciamo veramente il problema e fino a che punto pensiamo la questione in modo corretto utilizzando le informazioni fornite dai mass-media. In conclusione non si può non restare colpiti e ammirare un lavoro così notevole e così importante come questo. Una lettura mai noiosa bensì arricchente, stimolante e che aiuta a comprendere i tempi in cui viviamo.


CAMBIO AI VERTICI DI CONFINDUSTRIA ROMANIA: Giulio Bertola la nuova guida degli industriali italiani

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Giulio Bertola, noto imprenditore italiano, presente in Romania da più di vent’anni, con interessi in svariati settori, ha preso le redini di Confindustria Romania per il triennio 2020-2022.
Il suo nome è legato alle principali internazionalizzazioni di importanti multinazionali italiane in Romania degli ultimi 15 anni, nei settori: energia, trasporti e Industria. L’Italia è da oltre 10 anni è il principale Paese investitore in Romania per numero di aziende registrate. Alla fine dello scorso anno, risultava di gran lunga il principale Paese estero per numdi investitori in Romania, con 40.549 imprese (oltre 16.000 quelle attive), era seconda per interscambio commerciale (circa 12,5 miliardi di euro, in crescita del 6,5% rispetto al 2013) e si collocava al settimo posto - con 1,54 miliardi di dollari - nella graduatoria del capitale totale sottoscritto. Bertola sostituisce Giovanni Villabruna (Ansaldo Nucleare), che dopo due anni di mandato lascia il suo incarico. La scalata alla massima carica di Confindustria Romania è stata per Bertola un’azione scontata e assicurata godendo dell’appoggio della maggioranza delle PMI iscritte, più del 80% dell’intera base associati, oltre anche al non scontato sostegno delle GrandiIndustrie che, fino a ieri, sembravano poco interessate al Progetto associativo di Confindustria Romania mentre invece questa volta, è arrivato massiccio e puntuale. Per la prima volta in 16 anni di storia, in Romania, gli Associati di Confindustria, sia PMI che grandi Gruppi industriali, hanno trovato una convergenza straordinaria su un unico nominativo. In aggiunta, tutti sanno, che Giulio Bertola è molto apprezzato e stimato anche da storici esponenti di rilievo di Confindustria in Italia, che sicuramente non hanno certo esitato a rinforzare la sua Candidatura come unico candidato interno da parte dell’associazione. La nuova Presidenza è stata ufficializzata con il 98,7% di consensi sulla base degli aventi diritto al voto. Nella Parte Pubblica il neoeletto Presidente ha esposto la sua Relazione Programmatica di fronte ad una numerosissima platea di Presidenti di Patronati e  Associazioni, oltre che ai Rappresentanti del Governo, ai rappresentati del Ministero dell’Economia, Deputati del Parlamento romeno  e Camere di Commercio, tra questi l’Unione degli industriali della Romania, UGIR, la Federazione Patronale dei Costruttori Edili, l’ANEIR - Associazione Nazionale degli importatori e degli Esportatori, la Federazione  dei Patronati dell'Industria leggera, l’Associazione degli Uomini di Affari Turchi, AOAR -  l’Associazione degli uomini di Affari Romeni, Il Patronato CONPIROM, l’Associazione dei produttori del mobile in Romania, ARACO - l’Associazione romena degli imprenditori edili, il Patronato Concordia, il Consiglio degli Investitori stranieri, la Camera di Commercio e Industria della Romania, la Camera di Commercio e Industria di Prahova e la Confederazione Nazionale dei Sindacati “Cartel Alfa”, la più rappresentativa per numero di lavoratori del Paese (l’equivalente della FIOM italiana). Anche il Sistema Italia presente al completo, con l’Ambasciatore d’Italia Marco Giungi, Il presidente della Camera di Commercio Italiana per la Romania,  Roberto Musneci e il Direttore dell’Istituto Commercio Estero, FilippoPetz. I Cinque temi chiave che sono le linee guida del suo triennale Mandato: Allargamento delle Alleanze Patronali,  Soluzioni per la Mancanza di manodopera, Sanità integrativa privata, no profit, a supporto della sanità pubblica, Economia Circolare e Interazione con le Università romene. "Dobbiamo cercare di costruire una progettualità unica tra, Governo, Patronati, Associazioni e Sindacati, per contrastare a piu’ livelli il problema dellamancanza di manodopera. La Romania è a rischio di spopolamento. Le singole proposte non saranno mia attrattive per i romeni all’estero perché saranno sempre delle soluzioni parziali, provvedimenti tampone, che lasciano insolutiaspetti importanti per la famiglia che prende una decisione così radicale, come il rientro in Patria. La best pratices italiana di questo innovativo Sistema di assistenza sanitaria integrativa, proposta dalle Mutue italiane, come Mutua Basis Assistance, secondo la cultura della reciproca solidarietà, sarà elemento fondamentale per il rientro delle famiglie romene in Patria. Bisogna che il Governo approfondisca le modalità di attivazione ed erogazione dei servizi mutualistici in Italia, per capire bene la grande opportunità che rappresenterebbero anche per la Romania, non solo come strumento utile per attrarre manodopera dall’estero ma anche come sostegno alla sanità pubblica romena”, sostiene Giulio Bertola. Per la prima volta, un investitore straniero in Romania, in rappresentanza peraltro dei maggiori investimenti industriali italiani in questo Paese, tramite la Presidenza di Confindustria Romania, si pone come interlocutore neutro tra tutte le forze del Paese, chiedendo coesione e unica progettualità, cercando di superare le consuete logiche politiche, patronali e sindacali, per risolvere, tutti insieme, un problema di carattere nazionale come la mancanza di risorse qualificate.

CIAO ITALIA! 101 STORIE DI CERVELLI IN FUGA: DAL 6 FEBBRAIO IN LIBRERIA

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Nel libro di Enzo Riboni per Mind Edizioni uno scenario inedito sullo stato dei cosiddetti “cervelli in fuga

Dal 6 febbraio in tutte le librerie sbarca “Ciao Italia! 101 storie di cervelli in fuga” di Enzo Riboni per Mind Edizioni.
Le storie raccolte in questo libro – che vanta la prefazione di Paolo Iacci - raccontano i movimenti nel mondo di giovani che si sono sentiti limitati dal “local” e hanno scelto il “global” come teatro per i loro studi e per il loro lavoro. Storie di talenti quasi sempre laureati, spesso con master o dottorati nelle più prestigiose università del mondo, che sono andati all’estero per libera scelta, per curiosità intellettuale, spinti da un “nomadismo postmoderno”. Ogni storia fotografa due istanti temporali: “Ieri”, con la data della pubblicazione sul Corriere della Sera nella rubrica di Riboni “Giovani all’estero”, e “Oggi”, con gli aggiornamenti a fine 2019.
Ne scaturiscono così fotogrammi in movimento, filmati che descrivono l’evoluzione di ciascuna vicenda personale e che, nel loro complesso, tratteggiano uno scenario inedito dello stato dei cosiddetti “cervelli in fuga” e dei trend che caratterizzano il fenomeno.
Dal 2008 a oggi sono più di 900mila gli italiani che hanno lasciato il Paese per cercare lavoro all’estero. Centoventimila negli ultimi tre anni. Il 56% degli espatriati ha tra i 18 e i 44 anni, mentre nel 19% dei casi si tratta di minorenni: un dato che indica come siano interi nuclei familiari a espatriare. Un fenomeno senza preferenza di genere, visto che le storie raccontate al femminile sono quasi lo stesso numero di quelle al maschile: 50 contro 51. La componente femminile, però, sembra mostrare una maggiore propensione avventurosa o, quanto meno, di “lunga gittata”.
“Non possiamo non sentire vicine a noi le storie dei ragazzi che vengono presentate in questo libro” scrive nella prefazione Paolo Iacci, che aggiunge: “Si tratta di giovani che hanno deciso di lasciare le loro case ed emigrare, per vedere mondi nuovi e nuove prospettive, per abbracciare lo stesso desiderio di vita che, nel mito, animava Ulisse. Non li ha spinti la necessità economica, ma il desiderio di futuro. Sana ambizione, voglia di imparare e di crescere, vivacità, coraggio e operosità sono le caratteristiche che deve avere un giovane per decidere di lasciare il comfort di una vita tranquilla in Patria e di affrontare il mare aperto di un Paese nuovo e per lo più sconosciuto.”
“Ciao Italia! 101 storie di cervelli in fuga” non offre uno spaccato sulle tendenze e lo stato attuale dei cervelli in fuga ma, per i giovani lettori e le loro famiglie, una preziosa fonte di ispirazione, una guida di fatto ai percorsi di studio e lavoro internazionali.

ENZO RIBONI, laureato in Matematica, ha collaborato a Il Manifesto, Il Mondo, Capital, Gente Money.  Dal 1988 scrive sul Corriere della Sera, per il quale, nel 2005, ha ideato le pagine “Economia & Carriere” (ora “Trovolavoro”), pagine in cui, dal 2008 al 2019, ha curato la rubrica “Giovani all’estero”.

Enzo Riboni

CIAO ITALIA!

101 storie di cervelli in fuga

Mind Edizioni

Uscita 6 Febbraio 2019

Pagine 176, € 15,00, brossura con risvolti

www.mindedizioni.com

Joker di Todd Phillips: il racconto di una società malata di individualismo, di corruzione e violenza

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di Riccardo Bramante

“Joker” il film di Todd Phillips, recente vincitore del Leone d’Oro a Venezia, ha raccolto ben 11 nomination per la 92° edizione dell’Oscar 2020 in programma il 9 febbraio prossimo a Los Angeles; tra queste quella per il miglior film, la migliore regia, il miglior attore protagonista, Joaquin Phoenix, e per la sceneggiatura non originale. Certamente ha influito il record di incassi finora fatto registrare (oltre un miliardo di dollari) nonostante le accuse di eccessiva violenza che si respira durante tutta la storia che descrive il travagliato percorso di un uomo con gravi problemi mentali che cerca di costruirsi una propria identità virtuale, quella, appunto, di un clown (lo Joker) che si scontra con Batman, il personaggio buono dell’omonimo film di Tim Burton.
Evidentemente ciò che ha colpito il pubblico e la critica è stato, al di là della storia in sè, il racconto di una società malata di individualismo, di corruzione e violenza di cui Gotham City, il luogo in cui è ambientato il film, è la esatta metafora.
E’ in questo clima di disperazione, di solitudine e di crescita di “vite da scarto”, come direbbe Bauman, che nasce l’antieroe Joker che fin da piccolo sogna di diventare un clown travestendosi da pagliaccio sempre sorridente anche nelle situazioni più difficili ma intimamente frustrato dall’ambiente degradato che vede intorno a lui fino a reagire con la violenza e a gioire persino della sua efferatezza divenendo l’idolo degli “ultimi” e apparendo alla fine lui quasi una vittima per la caccia spietata di cui diviene oggetto da parte della polizia.
A dare una straordinaria consistenza ad un personaggio così psicologicamente complesso come Joker è senz’altro l’interpretazione di Joaquin Phoenix, che per meglio renderne il carattere e, in particolare, la sua risata, simile al verso di un animale ferito ma nello stesso tempo commovente, ha svolto uno studio approfondito su persone affette dalla cosiddetta “sindrome pseudobulbare”, una malattia di origine neurologica che causa risate incontrollabili.
In definitiva il senso del film vuole mostrarci, attraverso i due personaggi di Joker e Batman all’apparenza così distanti, che c’è una linea molto sottile nell’unicità di giudizio perchè la realtà trascende spesso la drastica divisione tra bene e male in quanto Joker e Batman sono entrambi dentro ciascuno di noi.

Attività acquatiche a scuola per migliorare l'apprendimento degli studenti

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Nella rubrica "Empedocle" di oggi dedicata all'acqua spazio al programma della British School Jakarta è stato chiamato “Splash and Play”.

La scuola indonesiana British School Jakarta ha recentemente presentato “Splash and Play”, un programma ludico-interattivo, rivolto ai piccoli studenti della scuola materna, che ha l’obiettivo di stimolare e migliorare l’apprendimento attraverso delle sessioni basate sull’acqua. Pensato per essere proposto con cadenza settimanale, il progetto permette ai bambini di giocare ed esplorare, all’interno dell’istituto, le interattive aree di giochi in acqua.
È quanto riporta In a Bottle (www.inabottle.it) in un focus legato alle nuove metodologie di apprendimento scolastico.
Il programma di divertimento ed apprendimento pensato dalla British School Jakarta è fissato dalle 13:45 alle 14:45 di ogni mercoledì e, durante l’ora, i bambini sono protagonisti con una varietà di attività “acquatiche” che possono essere scelte in base ai rispettivi interessi. Queste possono comprendere giochi in acqua con determinate attrezzature, aree di gioco più “soft”, ma anche qualcosa di artigianale basato sempre sulla preziosa risorsa. La British School Jakarta ha una reputazione che la precede, in quanto, nel corso degli anni, ha formato studenti che hanno frequentato più rinomate università del mondo. Inoltre, l’istituto, fondato nel 1974, ha educato una comunità di ben 50 nazionalità diverse in Indonesia.

“Questo progetto – ha commentato Shane NathanHead of Primary della British School Jakarta – permetterà agli studenti di focalizzarsi su diverse materie ed aree: dalle scienze, alla matematica, passando per la coordinazione fisica e le scoperte in campo sociale ed emozionale. Il divertimento, unito all’interazione con i giochi d’acqua, consentirà agli alunni di non perdere l’interesse per questa tematica e continuare, con il passare degli anni scolastici, ad approfondire questo tipo di esperienza”.

Bombshell con Theron, Kidman e Robbie apre l'11° Bifest di Bari

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Sarà BOMBSHELL la voce dello scandalo, il film con Charlize Theron, Nicole Kidman e Margot Robbie ad aprire, il 21 marzo, l’undicesima edizione del Bif&st. Il festival, quest’anno dedicato a Mario Monicelli, si svolgerà a Bari dal 21 al 28 marzo e ospiterà l’anteprima italiana del film di Jay Roach al Teatro Petruzzelli, nella sezione Anteprime Internazionali.

Basato su fatti realmente accaduti, BOMBSHELL la voce dello scandalo racconta l’incredibile storia delle donne che hanno spodestato l’uomo che ha contribuito a creare il più potente e controverso impero dei media di tutti i tempi, Fox News. Uno straordinario ritratto delle scelte coraggiose di tre donne, molto differenti tra loro, che decidono di lottare contro un sistema di potere e di abusi, che vigeva indisturbato.
Protagonisti del film sono il premio Oscar® Charlize Theron, il premio Oscar® Nicole Kidman, il candidato Oscar® John Lithgow e la candidata Oscar® Margot Robbie. È diretto dal vincitore del premio Emmy® Jay Roach ed è sceneggiato dal premio Oscar® Charles Randolph.
BOMBSHELL la voce dello scandalo è un’esclusiva per l’Italia Leone Film Group in collaborazione con Rai Cinema, e sarà in sala dal 26 marzo con 01 Distribution. È una produzione Lionsgate in associazione con Creative Wealth Media e Annapurna Pictures, una produzione Bron Studios / Denver And Delilah / Gramsci / Lighthouse Management & Media.

Don Carlos a Liegi, un Verdi integro e intenso. La recensione di Fattitaliani

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I teatri dell'opera preparano le stagioni con molto anticipo e la selezione degli spettacoli si effettuta secondo più criteri e tenendo conto di svariati fattori.
La visione di Don Carlos a Liegi -qui rappresentata per la prima volta- dà proprio l'impressione che la sua messa in scena abbia avuto una lunga gestazione. Lo dicono chiaramente le scelte del regista e direttore del teatro Stefano Mazzonis di Pralafera.
Ogni cosa è al suo posto e tanto studio sarà stato necessario per scegliere gli artisti, concepire l'apparato scenografico, creare i costumi (bravo Fernand Ruiz), posizionare il coro, dirigere le luci. Il tutto per arrivare a un insieme di ottima fattura che la stessa Opéra Royal de Wallonie-Liège ha allestito e prodotto.
La direzione musicale del M° Paolo Arrivabeni emoziona, trascina, penetra.
Tanti i momenti della rappresentazione in cui si manifesta la riuscita di questa versione dell'opera verdiana e la grande prestazione degli artisti (cast).
L'incontro fra Elisabeth de Valois (Yolanda Auyanet) e l’infante Don Carlos (Gregory Kunde) al momento del reciproco rinoscimento.
Quando l'araldo (Maxime Melnik) le annuncia che il re l'ha scelta come sposa.
Il coro che la esorta ad accettare per amore della pace e qui -come in altre occasioni- la musica raggiunge l'apice costituendo un tutt'uno indissolubile e naturale con quanto si vede e si sente sul palco con tanto di fiati che sanciscono il bellissimo pathos della scena.
Rodrigo (Lionel Lhote) e Carlos rappresentano appieno "les cœurs de deux frères" che si ritrovano uniti dall'ideale della pace e dall'autentico desiderio di mettere a rischio la propria vita per raggiungerla.
Come anche la principessa Eboli (Kate Aldrich) è realmente costernata e mortificata per aver tradito la sua amata regina; magnifico il re (Ildebrando D'Arcangelo) nella scena all'Escoriale: una voce profonda, sicura, autoritaria. Dall'artista si evince la capacità di nascondersi dietro al personaggio mettendosi a sua completa disposizione, per farlo emergere in toto. Lo stesso principio che adotta Carlos quando alla fine rinnega di essergli figlio.
La scenografia di Gary Mc Ann si mostra imponente e adeguata, anche i disegni in prospettiva riescono a suggerire perfettamente le ambientazioni: vedi anche l'arrivo del Grande Inquisitore (Roberto Scandiuzzi).
La lentezza e la solennità della direzione di Mazzonis di Pralafera qui costituiscono un pregio: Don Carlos è un'opera che ha bisogno di respirare. Una volta che lo spettatore ha ammirato gli elementi scenografici, le arie hanno bisogno di spazio, non necessitano di alcuno elemento esterno che le contenga perché esse stesse sono una storia a sé.
Un'opera lunga da vivere con sentimento e coinvolgimento perché trattasi di un Verdi cosí come deve essere, restituito nella sua integrità, senza orpelli inutili che distraggono dal puro godimento. Giovanni Zambito.
Foto: © Opéra Royal de Wallonie-Liège

Anna Novikova, giornalista e scrittrice russa, ci presenta la sua ultima opera, “Marito Seriale” | INTERVISTA

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di Andrea Giostra

Ciao Anna, benvenuta e grazie per avere accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori?
Ciao a te Andrea e ai tuoi lettori. È un onore essere invitata. Se dovessi trovare una definizione di me stessa, direi che sono semplicemente una persona appassionata di tutto e particolarmente interessata alle persone e le loro vite, le loro storie. Che, come diceva Susan Sontag, è la definizione dello scrittore.

Come nasce la tua passione per la scrittura? Ci racconti come hai iniziato e quando hai capito che amavi scrivere?
Penso che sia inutile dire che ho sempre amato leggere e che questa è, secondo me, l'unica formazione professionale necessaria per qualsiasi aspirante scrittore. Tuttavia, non è stata solo la mia passione per la lettura a indurmi a scrivere. In realtà non lo avrei fatto se avessi avuto un'infanzia felice e spensierata e senza conflitti, se i miei genitori non avessero trasformato il loro matrimonio in un vero e proprio campo di battaglia. Come ogni bambino sensibile che affronta quella che sembra una realtà insopportabile, sentivo il bisogno di "scappare" da essa e di "inventare" la mia, quella che mi potesse andare bene. È così che è iniziato il mio percorso. Non avendo un posto fisico dove nascondermi, spesso scappavo nello spazio immaginario creato nella mia testa. Continuavo a dare l’impressione di essere una bambina introversa e obbediente, paralizzata dalla sofferenza che mi circondava, mentre dentro di me nascevano mondi nuovi e sconfinati in cui sentivo di poter respirare a pieni polmoni ed essere completamente libera. Dopo tutto, i nostri pensieri appartengono solo a noi e siamo noi le uniche persone a poterli controllare.

So che prima di dedicarti alla scrittura, hai lavorato come giornalista. Ci racconti perché questo cambio radicale e qual è la tua formazione professionale e artistica?
Non è del tutto insolito per un giornalista sentire la necessità di creare qualcosa che non sia destinato ad essere gettato il giorno dopo, qualcosa che possa avere valore oltre ogni arco temporale. In effetti, è successo a molti altri autori, come, per esempio, George Bernard Shaw, che ha seguito anche le sue passioni giornalistiche prima di diventare famoso per le sue opere teatrali. Quindi, immagino che il mio desiderio di fare giornalismo abbia a che fare con questa "tradizione”. Ma il mio percorso non è stato così lineare. Dopo diversi anni trascorsi a scrivere articoli, è diventato chiaro che il mio impulso di affinare ogni parola e dare ritmo a ogni linea mi implorava di avere una forma espressiva maggiormente estetica: la narrativa. Il mio background accademico, invece, mi ha insegnato ad essere molto organizzata e metodica. Ora, prima di mettere le mie mani su un romanzo, una sceneggiatura o persino un racconto, faccio una ricerca approfondita che mi permette di rappresentare esattamente ciò che vedo.

Ambientato a Napoli, dove io ho vissuto per diversi anni, “Il Marito Seriale”è la storia di un Don Giovanni - un fotografo di mezz’età, di nome Vittorio Vatturello - che nonostante abbia sposato e, di conseguenza, divorziato ben cinque volte, non è disposto ad abbandonare la speranza di trovare il suo vero amore. Dopo il suo ultimo sfortunato divorzio, Vittorio torna a vivere con sua madre, l’esuberante e a volte impossibile Donna Francesca (un personaggio che sono sicura tutti noi abbiamo incontrato almeno una volta nella vita). Ed è forse il mio personaggio preferito di tutta la commedia. Una volta tornato da lei Vittorio si pone nuovamente il problema di dover scappare da lei più in fretta che può (e l’unico modo per farlo è, naturalmente, risposarsi!) Cosi si innamora ancora una volta di una bella e giovane ingannatrice, per colpa della quale finisce prima in prigione insieme al suo amico apprendista, Peppino, per poi affrontare tutti i suoi ex amori che si riuniscono a casa di Donna Francesca. Naturalmente, i miei lettori potrebbero dire che non è la sua ingenuità a spingerlo a risposarsi continuamente, ma una specie di infantilismo emotivo proprio di un uomo che in tanti considereranno un fallito. Infatti, in un dialogo con Peppino, Vittorio confessa di aver raggiunto i cinquanta senza aver veramente realizzato né i suoi sogni, né la sua vita. Questa sua onestà insieme alla sua innata bontà ci fanno intenerire, portandoci a pensare che questo suo continuo innamoramento (che magari potremmo persino definire come il suo unico vero lavoro full-time) non è altro che una via di scampo non solo dalla madre (come confessa allo stesso Peppino), ma anche dalla sua freddezza emotiva, che non può dargli conforto.

Ci sono pochissime donne ad avere i protagonisti uomini, soprattutto quando si tratta di un vero e proprio Don Giovanni. Cosa ti spinge a curiosare dentro il mondo maschile?
So scrivere da uomo e mi affascina l’idea di poter penetrare la mente maschile e di comprendere quel modo di pensare. Poiché’ sono cresciuta con due fratelli più grandi di me, non ho mai avuto quella resistenza ad assumere un punto di vista radicalmente opposto rispetto al mio: il che solitamente diventa un problema di comunicazione fra uomo e donna. Del resto, anche il personaggio principale del mio precedente romanzo, intitolato "The Lost Life" - in seguito trasformato in una sceneggiatura cinematografica - è un uomo.

Cosa devono aspettarsi i lettori e quale il messaggio che vuoi lanciare loro con questa tua commedia?
Stavo attraversando un periodo estremamente difficile quando lavoravo su questa commedia e credo che in un certo senso stavo cercando una via di fuga da tutta la pesantezza che mi circondava. Avvertivo il bisogno fisico di sentirmi più leggera e di sorridere a tutti i drammi della mia vita. Ed è stato il lavoro sul Marito Seriale che mi ha salvato da quel luogo oscuro e mi ha ridato la speranza. Alcuni mesi fa quando ero di passaggio nella mia città natale (Yaroslavl), ho deciso di far leggere la sceneggiatura a una delle persone più care alla mia famiglia, un'importante attrice russa e la prima del primo teatro drammatico russo (il Teatro Volkov), che all'epoca combatteva con una malattia grave ed era a malapena in grado di camminare. Non potendo nemmeno promettere di leggere il testo a causa del suo evidente stato di profondo malessere, prese la sceneggiatura in mano e mi disse “bene” con un tono assai debole. Dopo circa due ore ho ricevuto una sua chiamata. Inutile dire che è stata del tutto inaspettata. Non riuscivo a credere a quello che avevo sentito. Il suo tono di voce era miracolosamente trasformato: era passato da fragile e senza speranza a energico e pieno di gioia. "Non riesco a smettere di ridere", ha detto, "mi hai letteralmente riportato in vita". I miei occhi si sono inumiditi. Ancora oggi, nonostante gli apprezzamenti che ho ricevuto, non potrei chiedere un elogio più grande o un riconoscimento più profondo. In quel momento mi sono resa conto che se potevo aiutare le persone distogliendo la loro attenzione dai loro problemi, allora stavo facendo la cosa giusta. Ora sono assolutamente convinta che il sorriso sia la migliore cura possibile contro ogni male.

Una domanda difficile Anna, perché i nostri lettori dovrebbero acquistare “Marito seriale”?
Proprio per questo motivo. Perché li farà sorridere, li farà ridere e, come ogni libro ben scritto, li indurrà a riflettere su alcuni argomenti molto importanti, come l'amore e se quell’amore che tutti noi siamo cercando dipende dal denaro, dalla posizione sociale o dalla nostra storia personale. Uso la parola “riflettere” perché’ il libro non svelta alcuna verità preconfezionata, ma induce chi lo legge a pensare, a dialogare con il testo stesso. Il lettore, inoltre, verrà immediatamente attratto dal mondo dei personaggi, caratteristici e vividamente ritratti.

Il 21 dicembre 2019 a Roma hai Presentato il Tuo libro, “Marito seriale”, con la partecipazione di due grandissimi Attori di teatro, Vincenzo Bocciarelli e Natalia Simonova, che hai coinvolto per rappresentare al pubblico alcune scene della commedia. Ci racconti come è andato e qual è lo stato del riscontro emozionale che hai avuto nel sentire interpretare e recitare alcuni stralci del tuo libro da due grandi interpreti?
Eccitazione assoluta! Conosco Natalia da alcuni mesi ormai, ma posso dire che è una persona di enorme energia creativa e potenziale e, infine, un'attrice davvero dotata, capace di interpretare qualsiasi personaggio. È grazie a lei che ho conosciuto Vincenzo Bocciarelli, un attore di grande talento e standing internazionale: quando lo vedi recitare Vittorio, ti dà l'impressione che Il Marito Seriale sia stata semplicemente scritto per lui. Insieme a Natalia formano una bellissima coppia di protagonisti, oltre ad essere molto professionali hanno anche una grande sintonia. Questo magico incontro con Vincenzo è solo un esempio dello straordinario lavoro svolto con Natalia nella formazione di una squadra di attori, perfettamente tagliata per interpretare i personaggi del Marito Seriale. Nel giro di poche settimane abbiamo già riunito un gruppo di persone il cui entusiasmo ha contribuito notevolmente a dare vita all’opera sulla scena. Alla nostra squadra si è aggiunta anche la bravissima e talentuosa scenografa, Tiziana Gagliardi, che ha subito capito come impostare le scene e farle funzionare nel modo migliore. Adesso direi che l’unica cosa che ci manca è la produzione!

Ci parli delle tue precedenti opere e pubblicazioni? Quali sono, qual è stata l'ispirazione che li ha generati, quale il messaggio che vuoi lanciare a chi li leggerà?
Anche se "Il Marito Seriale"è la mia prima esperienza come drammaturgo, non è la mia prima esperienza di scrittura. Avendo pubblicato due libri di carattere scientifico sul settore petrolifero e del gas come parte della mia esperienza academica, solo dopo ho iniziato a lavorare sul mio primo romanzo, intitolato "The Lost Life", al quale sopra facevo cenno. Una volta scritto il romanzo, ne stavo parlando con un amico avvocato e mi sono resa conto (non senza il suo aiuto, naturalmente) che la storia era così “visuale”, che semplicemente mi chiedeva di diventare un film. Fu così che - due anni e mezzo fa - ho iniziato a lavorare sull'adattamento per il grande schermo, cosa che non avevo mai fatto prima nella vita, ma che mi entusiasmava molto. Mi piacciono le sfide e mi pongo sempre nuovi obiettivi. Ho dovuto studiare molto per imparare a scrivere le sceneggiature. Ricordo di aver dedicato tutto il mio tempo libero a quel lavoro e alla fine ne sono rimasta molto contenta perché’, contro ogni aspettativa, il risultato ha superato persino la mia immagine iniziale di quella storia. Quando infine la sceneggiatura è stata completata, ero così emotivamente svuotata e depressa che sapevo che l'unica cosa che poteva sollevare il mio umore sarebbe stata scrivere una commedia. Una nuova sfida!

L'arte è vita. Non saprei come separare le due. L'arte non è e non dovrebbe essere limitata a ciò che vediamo nei musei o ascoltiamo nei teatri. La vita, se vuoi, è ciò che genera arte in tutte le sue espressioni artistiche. Quello a cui stiamo assistendo oggi non è colpa della rivoluzione tecnologica (cui viene spesso addebitato di averci allontanati dalle espressioni artistiche). L’uomo è distinto da un animale perché’ ha la capacita di esprimere le proprie emozioni attraverso le varie forme d’arte come la musica, la poesia, la pittura, che non sono molto diverse tra loro: in fondo raccontano sempre le emozioni che vive ognuno di noi. Finché l’uomo esiste, ci sarà anche il suo bisogno di raccontare le proprie emozioni e quindi ci sarà anche un modo per fargliele esprimere come la narrativa. Le storie che noi raccontiamo o leggiamo ci danno la possibilità di vivere completamente e di capire noi stessi. 

Se guardi attentamente, la bellezza la puoi trovare praticamente ovunque. A tal fine non è nemmeno necessario andare nei teatri o nei musei. La bellezza è semplice ed è sempre presente. La puoi vedere nel modo in cui qualcuno parla, tiene un bicchiere o sorseggia da esso. C'è bellezza nel modo in cui le persone lavorano, quando amano veramente quello che fanno. C'è bellezza nel riconoscere l'importanza degli altri, nel dire "grazie" e nel sorridere. La verità è che la bellezza sta sempre negli occhi di chi guarda e non l'oggetto stesso. Quindi, credo che noi dobbiamo educare noi stessi e i nostri figli a vederla ovunque.

Charles Bukowski, grandissimo poeta e scrittore del Novecento, artista tanto geniale quanto dissacratore, a proposito dell'arte dello scrivere diceva: «Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono dovuti: o funziona o non funziona. Non sono preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.» (Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”, 31-6 ottobre 1975, pp. 14-16.). Secondo te perché un romanzo, un libro, una raccolta di poesie abbia successo è più importante della storia o quello è scritto (il linguaggio usato più o meno originale e accattivante per chi legge), volendo rimanere nel concetto di Bukowski?
Sono assolutamente d'accordo con il suo punto di vista. Il fatto è che ogni scrittore dirà la stessa cosa: non sai mai veramente cosa stai scrivendo, fino a quando non ti siedi e ne scrivi. Per quanto riguarda la forma, immagino che arrivi istintivamente. Direi persino la forma la definisce la storia stessa. Il lavoro di uno scrittore si riduce a sedersi pazientemente e ad elaborare le parole che gli arrivano da lassù.

«Quando la lettura è per noi l'iniziatrice le cui chiavi magiche ci aprono al fondo di noi stessi quelle porte che noi non avremmo mai saputo aprire, allora la sua funzione nella nostra vita è salutare. Ma diventa pericolosa quando, invece di risvegliarci alla vita individuale dello spirito, la lettura tende a sostituirsi ad essa, così che la verità non ci appare più come un ideale che deve realizzare solo con il progresso interiore del nostro pensiero e con lo sforzo del nostro cuore, ma come qualcosa di materiale, raccolto nelle pagine dei libri come un miele già preparato dagli altri e che noi non dobbiamo fare altro che attirare e degustare poi passivamente, in un perfetto riposo del corpo e dello spirito. » (Marcel Proust, in " Sur la lecture", pubblicato su "La Renaissance Latine", 15 giugno 1905). Qual è la riflessione che ti porta a fare questa frase di Marcel Proust sul mondo della lettura e sull'arte dello scrivere?

Non penso che le considerazioni di Proust abbiano un fondamento reale oggi. Dubito fortemente che nella società moderna la lettura possa sostituire la vita. Al contrario, esiste il rischio che la lettura lasci il posto alla tecnologia. È triste dirlo ma conosco pochissime persone che si dedicano veramente alla lettura. Soprattutto, le giovani generazioni. Nella maggior parte dei casi, la tecnologia possiede i nostri pensieri e talvolta addirittura sostituisce la realtà. Leggere, d'altra parte, invece che rubare la nostra vita togliendoci il tempo (la cosa più preziosa che abbiamo), ci fa il regalo più grande di tutti - ci dà tempo, ci fa vivere non una ma centinaia, migliaia di vite.

Chi sono i tuoi modelli, i tuoi autori preferiti, gli scrittori che hai amato leggi e che leggi ancora oggi?
È una domanda molto difficile, perché la vita è in continua evoluzione e ogni autore ha sempre qualcosa da insegnarmi e non sarebbe onesto se dicessi che ne preferisco uno ad altri. Detto ciò, devo confessare che ho sempre avuto la netta sensazione che Fyodor Dostoevskij, in modo inspiegabile, sia sempre riuscito a dirmi esattamente chi sono e cosa penso. Ci sono ovviamente altri nomi a cui ritorno di tanto in tanto (e quella lista è molto lunga - a partire da maestri italiani, come Umberto Eco ed Eduardo de Filippo ai russi come Anton Chechov, Nikolai Gogol, Boris Pasternak e gli irlandesi come George Bernard Shaw, Oscar Wilde e Samuel Beckett, ai miei tedeschi preferiti, Remarque e Rilke, agli inglesi, Shakespeare e Ray Cooney, ai francesi, Didier Van Cauwelaert, all'austriaco, Stefan Zweig e al mio americano preferito, F.S. Fitzgerald). Tutti questi autori (e molti altri) hanno plasmato me e le mie opinioni. Ma una cosa rimane invariata: Fyodor Dostoevskij è l’unico che conosce la mia anima.

Gli autori e i libri che secondo te andrebbero letti assolutamente quali sono? Consiglia ai nostri lettori almeno tre libri e tre autori da leggere nei prossimi mesi dicendoci il motivo della scelta.
Sono molto intuitiva e credo che la scelta di un libro da leggere debba essere sempre intuitiva e personale. Alcune persone credono che Tolstoj sia il più grande scrittore di tutti i tempi, ma in qualche modo ogni volta che io leggo Tolstoj finisco per "litigare" con lui e le sue idee perché non "funziona" per me. Non è il "mio" autore. Beh, almeno non in questo momento della mia vita. Ecco perché, scegliendo un libro da leggere, è una questione personale, quasi sacra. Sono sempre stata fermamente convinta che sia errato pensare che scegliamo i libri. È sempre il libro che ci sceglie. Quando dobbiamo leggerlo. Quindi, suppongo che, invece di dare un "elenco da leggere", consiglierò ai nostri lettori di andare in una biblioteca o in una libreria e lasciare che sia il loro intuito a scegliere quello che gli “parla".

Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti che vuoi condividere con i nostri lettori?
Sto scrivendo una nuova commedia e mi sto impegnando a mettere in scena Il Marito Seriale, per il quale sto pensando anche ad una realizzazione cinematografica. Per quanto riguarda i miei prossimi appuntamenti, seguitemi su Twitter e Facebook!

Anna Novikova

Marito seriale

Andrea Giostra



Giuseppe Mincuzzi, scrittore, poeta e sceneggiatore | INTERVISTA

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di Andrea Giostra



Ciao Giuseppe, benvenuto e grazie per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori? Chi è Giuseppe artista-scrittore e Giuseppe uomo?
Sono semplicemente un uomo innamorato della vita e di tutto quello che la circonda. Artista? Forse. Scrittore? Può darsi. Quello che è certo è che ho avuto la fortuna di riuscire a tradurre su carta, nelle foto o sul palco, quello che mi detta l’anima. Se non lo facessi imploderei. Mi piace pensare che le mie poesie siano di tutti: tutti siamo poeti. Non tutti, però, riescono a scrivere e allora si ritrovano nelle mie emozioni, emozionandosi.

Recentemente, fine 2019, hai pubblicato il libro di poesie “Selfie? No! Autoscatto!”, con “Lulu.com”, un portale statunitense molto noto in tutto il mondo del self-publishing. Ci parli di questa raccolta di poesie? Come nascono e quale il messaggio che vuoi arrivi al lettore?
Non voglio dettare regole, ma mi piace sentirmi il paladino della lingua più bella e complicata che esiste: l’italiano. Ormai siamo assuefatti da inglesismi o francesismi. Prendo i mezzi tutti i giorni e a volte dal labiale o dai gesti riesco a comprendere più uno “srilankese”al telefono, piuttosto che un gruppo di adolescenti che parlano tra di loro. Il libro non è solo questo, è una raccolta di poesie che mette a nudo la mia anima evidenziando quelli che sono i miei aspetti rabbiosi, ironici e romantici. Parto dalle origini di ragazzo di borgata nato e cresciuto in un quartiere difficilissimo da famiglia proletaria, fino ad oggi che, all’età di 56 anni, non smette di emozionarsi ed essere attento a quello che accade ogni giorno intorno a me come anche a livello internazionale. Questo viene raccontato anche in romano, per rafforzare a volte l’enfasi del contenuto. Romano, no, dialetto romanesco, altrimenti non verrei compreso da tutti. Anche a Bergamo mi leggono e mi comprendono, ecco il perché della scelta del parlare “come magno”!

Perché hai scelto di pubblicare il tuo libro con “Lulu.com”? Un portale famosissimo, ideato e fondato da Bob Young, una sorta di mito dell’informatica internazionale.
Purtroppo l’editoria è un po’ in crisi per non parlare del settore della poesia. Giustamente le piccole case editrici che mi avvicinano, hanno paura di investire sui poeti. Con l’emozione non si mangia purtroppo e quindi i contratti che mi vengono proposti sono condizionati all’acquisto di numerose copie. La diffusione poi avviene tramite web e allora che ho scoperto Lulu. In modo facile si riesce a creare un libro da zero e non sei costretto a stamparlo. In modo gratuito puoi pubblicare e pubblicizzare il tuo libro su internet. Chiaramente Lulunon è un associazione benefica, ad ogni libro acquistato su internet si prende una percentuale. È davvero tutto molto facile, lo consiglio a tutti, anche a chi non ha dimestichezza con il computer.

Ci parli delle tue precedenti opere e pubblicazioni? Quali sono, qual è stata l’ispirazione che li ha generati, quali i messaggio che vuoi lanciare a chi li leggerà?
Ho pubblicato altri due libri ma mi piace soffermarmi su un’opera in particolare dal titolo “Non si muova”. Una storia autobiografica, una poesia che parla della storia di mia sorella scomparsa troppo prematuramente per un osteosarcoma. Questa poesia è stata premiata molte volte ed è diventata una canzone rap ed anche un videoclip che ha vinto il terzo premio internazionale “Città di Latina”. È un modo di sentire mia sorella vicino, di ricordarla, di far arrivare il suo grido di sofferenza.  

Come e quando nasce al tua passione per la scrittura?
Nasce circa vent’anni fa. Persi il lavoro e mi ritrovai con il “sedere” per terra. Lo stipendio di mia moglie era sufficiente per provvedere ai bisogni primari, ma non ci pagavo le bollette e soprattutto il mutuo. Invece di buttarmi giù, mi uscì una forza innaturale ed insieme a quella la vena poetica. Iniziai a scrivere notte e giorno, solo in romano, e tutte poesie molto dure. Raccontai dei problemi adolescenziali e di tutto il marcio che mi aveva circondato dai 12 anni fino ai 20. Mi accomodai all’ultimo banco per dare voce agli ultimi. Temi come droga, sessismo, disoccupazione, inquinamento ed emarginazione, pulivano la mia anima dalla rabbia aiutandomi a non cadere ma a reagire.

Qual è il percorso formativo ed esperienziale che hai maturato e che ti ha portare a realizzare le tue opere?
Non mi vergogno a dirlo, sono un autodidatta. Molto probabilmente, anzi sicuramente, i miei versi, i miei scritti, i mie copioni, non sono perfetti ma a detta di molti arrivano dritti addosso come un treno, perché veri, di pancia. Certo se avessi studiato forse la mia carriera, soprattutto quella di attore, avrebbe avuto più successo. Però meglio tardi che mai, considerato il fatto che il mio maestro è stato Remo Remotti che si è esibito fino a 90 anni.

«Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono due: o funzionano o non funzionano. Non sono preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.»(Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.). Cosa ne pensi delle parole di Bukowski? Secondo te è più importante quello che viene narrato (la storia) o come è scritta (il linguaggio utilizzato)?

Bukowskilo amo! Sono sempre stato attratto dalle sue opere, dalle sue interviste, dal suo stile di vita. Condivido quasi tutto, ma non le frasi sulle donne. Forse ci sono verità nelle frasi del tipo Non aspettare la donna giusta. Non esiste. Ci sono donne che riescono a farti provare qualcosa di più col loro corpo o con la loro anima, ma sono esattamente le stesse che ti accoltelleranno proprio sotto gli occhi della folla”, ma non per come la penso io. Sarà stata fortuna, un caso o inesperienza, posso parlare per me, per l’unica donna della mia vita, Marina. Lei mi ha reso felice, sereno, considerato. Sono passati 42 anni, ne abbiamo passate di tutti i colori, gioie, dolori ... ma siamo ancora qui, più innamorati che mai, perché? Se ci fosse una riposta a questa domanda si parlerebbe di matematica, raziocinio, mentre il nostro è un incontro dettato dal destino. Non potevamo non incontrarci, prima ho sempre sognato di incontrare una come lei, poi la gioia del sogno avverato, oggi la fortuna che quel sogno stia continuando. Quando sto lontano da lei, anche solo per un'ora, riesco a sentire sempre la sua voce, il suo odore, la sua presenza.

«Il ruolo del poeta è pressoché nullo … tristemente nullo … il poeta, per definizione, è un mezzo uomo – un mollaccione, non è una persona reale, e non ha la forza di guidare uomini veri in questioni di sangue e coraggio.»(Intervista ad Arnold Kaye, Charles Bukowski Speaks Out, “Literary Times”, Chicaco, vol 2, n. 4, March 1963, pp. 1-7). Tu sei scrittore e poeta, cosa ne pensi delle parole di Buk sui poeti suoi contemporanei, e forse anche sui poeti di questo secolo? Qual è secondo te oggi il ruolo del poeta nella nostra società contemporanea dell’Homo technologicus?

In questa frase, paradossalmente, intravedo debolezza e contraddizione. Probabilmente il poeta è un mollaccione, ma i capi non sarebbero veri capi, se non consapevoli delle debolezze e della sensibilità degli uomini. Io, forse perché mi ritengo un poeta “metropolitano” sono tutt’altro che mollaccione, ma ribelle e “incazzato”. Riflessivo e romantico, ma “sveglio” e pungente. Il ruolo del poeta nella società contemporanea? Lavorare sull’uomo tecnologico, cercare di stimolargli continuamente quella parte di cervello non reale, razionale, per permettergli ancora di sognare … per non morire.

Chi sono i tuoi modelli, i tuoi autori preferiti, gli scrittori e i poeti che hai amato leggere e che leggi ancora oggi?
Il mio maestro, l’ho detto, è stato e rimarrà Remo Remotti, un vero poeta metropolitano, un artista completo. Poeta, attore, pittore. Uno che nonostante originario di una famiglia alto borghese e di aver in gioventù frequentato gli intellettuali di una certa levatura e ambienti altolocati, scelse di fare il barbone, vivere per strada e conoscere “l’odore” dell’asfalto per percepirne gioie e dolori. Io “fortunatamente” le origini le ho proletarie e la strada l’ho vissuta senza doverla scegliere come “palcoscenico” della vita. Mi ha insegnato tanto e la sua storia mi è servita per migliorarmi. Ai miei figli la racconto sempre …

Se dovessi consigliare ai nostri lettori tre libri e tre autori da leggere, chi consiglieresti e perché proprio questi?
“Un Uomo” (1979) di Oriana Fallaci; “Underground: a pugno chiuso!” (1973) di Andrea Valcarenghi; “Prima che vi uccidano” (1976) di Giuseppe Fava. Perché proprio questi? Serve una spiegazione?


Tre film che rispecchiano la mia personalità, romantica, ribelle e ironica. Capolavori della fotografia, o della colonna sonora o della sceneggiatura: “I ponti di Madison County” (1995), “Il Padrino” (1972), “Perfetti sconosciuti” (2016).

Una domanda difficile Giuseppe: perché i nostri lettori dovrebbero comprare i tuoi libri? Prova a incuriosirli perché vadano in libreria o nei portali online per comprarne alcuni.
Scusa se ti rispondo in modo un po’ asettico, non voglio convincere nessuno, non amo convincere la gente. Io scrivo per passione e per me, ripeto, altrimenti implodo. Io mi emoziono continuamente e vorrei che lo facesse il pubblico leggendomi. Vorrei che fosse per caso o per sentito parlare e che l’incontro fosse casuale. Il mio primo libro lo abbandonai ad una fermata della metropolitana a Roma. Venne raccolto letto e riabbandonato. Questo libro è tornato da me dopo essere arrivato fino in Francia … piansi.

Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti di cui ci vuoi parlare?
Con l’avvento di internet, sono stati introdotti nuovi format di intrattenimento, uno di questi format è stata la comedy web-series. Amante da sempre di cinema con il sogno nel cassetto mai avverato di fare l’attore per professione, ho inventato e pubblicato una serie dal titolo “I sotterranei”, dove curo la regia, la sceneggiatura, la fotografia, il montaggio, la musica e dove recito. Con Cristian Giallini, l’altro attore che contribuisce con me nella riuscita di questa serie, ci siamo rinchiusi dentro un sotterraneo almeno da un anno, portandoci cibo e bevande per altri anni, perché stufi di un mondo marcio, corrotto e con tutte le brutture che devi subire e che ormai la società offre con poche alternative. Nascono divertenti gag comiche dove si affrontano e si raccontano episodi che ci hanno convinto a richiuderci.

Come vuoi chiudere questa chiacchierata e cosa vuoi dire ai nostri lettori?
Se state leggendo questa intervista, significa che navigate sui portali di cultura, che evidentemente leggete, che andate al cinema oltre a fare cose banali. La cultura è civiltà … la cultura può salvare questo mondo che va verso “la rovina”, “l’abbrutimento” e “l’abbrutire delle persone” … ma parola di POETA METROPOLITANO: questo mondo si salverà!

Giuseppe Mincuzzi

Come acquistare il libro:

Andrea Giostra



Milano, il 9 febbraio convegno "Maratea: patrimonio di storia e cultura, un set di cinema ed eventi"

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Maratea: terra di colori, profumi, turismo e… ciak.
Grazie al suo paesaggio estremamente variegato - mare, montagna, terme, paesaggi lunari e paesi fantasma –dal punto di vista cinematografico Maratea in questi ultimi anni è cresciuta molto, tanto che può definirsi un set cinematografico a cielo aperto: sono sempre più numerosi, infatti, i registi italiani e internazionali che scelgono questa regione come location per ambientare le loro opere.

Domenica 9 febbraio 2020, alle ore 15:30, nell’ambito del BIT – Borsa Internazionale del Turismo (Location YELLOW 3) si terrà un interessante convegno - organizzato dal Comune di Maratea insieme all'Associazione Cinema Mediterraneo con il Consorzio degli albergatori e la Pro Loco - dal titolo “Maratea: patrimonio di storia e cultura, un set di cinema ed eventi” in cui si proporranno diversi spunti di discussione sulle prospettive nazionali e internazionali del cineturismo e sul rapporto virtuoso tra Maratea, la Basilicata e il cinema.

Nel corso dell’incontro – che sarà moderato dalla conduttrice Carolina Rey e che vedrà come relatori Vito Bardi (Presidente Regione Basilicata), Daniele Stoppelli (Sindaco di Maratea), Valentina Trotta (Assessore al turismo e spettacolo del Comune di Maratea), Biagio Salerno (Presidente Consorzio Turistico Maratea), Pierfranco De Marco (Presidente Pro Loco di Maratea La Perla), Antonella Caramia (Presidente Associazione Cinema Mediterranea), Antonio Nicoletti (Direttore APT Basilicata) e Michela Scolari (Produttrice) – interverranno gli attori Paolo Ruffini e Sandra Milo.

Nel corso dell’incontro saranno annunciate importanti novità relative alla prossima edizione delle Giornate del Cinema Lucano a Maratea - Premio Internazionale Basilicata 2020.

Libri, “Viera - Un’italiana del ’23” di Paola Mattioli. La recensione

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“Viera - Un’italiana del ’23”. Fra le righe di questo racconto si respira un’Italia che non c’è più, quella della solidarietà e dei legami familiari forti.
Vi si descrive anche la società agricola romagnola, fra i due conflitti mondiali, con i suoi ritmi e le sue occupazioni. Fra le pagine di questa storia familiare, ricche di un’umanità vivace, all’improvviso irrompe, spietata, la guerra, con il suo carico di povertà, paura, tristezza e morte. Il coprifuoco, i bombardamenti, gli sfollamenti, la fame. La protagonista, Viera, emerge dalla narrazione come personaggio dotato di temperamento e grande coraggio, anche se nell’ultima parte della sua esistenza si piegherà sotto il peso di disgrazie familiari alle quali farà fatica a reagire. “Non c’è al mondo una cosa certa”, “La felicità non è di questo mondo” sono considerazioni nelle quali ci si imbatte fra le righe di questo racconto, specchio dell’umano passaggio sulla Terra: della sua imprevedibilità, dei suoi colpi di scena, della sua lotta eternamente giocata fra bene e male. “Ci vogliono tanta pazienza, coraggio, umiltà e fede” per affrontare la vita, scrive di suo pugno in un quadernino contenente la storia della sua infanzia e giovinezza, Viera, che del sentimento religioso fa il suo faro e la sua forza.
All’autrice, Paola Mattioli, va il merito di aver integrato il diario materno con interviste su quel periodo storico, trasformandolo in un vero e proprio racconto corredato di foto d’epoca dei membri della sua famiglia. Oltre alla figura della compianta madre, combattiva, determinata e altruista, spicca nella narrazione quella del nonno materno, Silvestro Bruni, uomo ricco di inventiva, architetto, imprenditore, padre e nonno amorevole. Non manca, infine, un’appendice, nella quale la poetessa e scrittrice parla della generosità dei romagnoli (Viera era oriunda di Alfonsine, in provincia di Ravenna) e narra aneddoti su sua madre descrivendola con parole che colpiscono il lettore facendolo riflettere. 
Scrivendo e pubblicando questo racconto Paola ha mantenuto una promessa fatta alla sua adorata mamma, perpetuandone il ricordo. “Viera. Un’italiana del ‘23”, oltre a essere scrigno delle memorie familiari di Paola Mattioli, ha anche una valenza storica. Offre al lettore uno spaccato dell’Italia pre e post bellica, con i suoi usi, i suoi costumi e i suoi valori, ormai scomparsi.
Daisy Raisi

Istanbul, le 4 scuole italiane

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L’Italiano ha sempre avuto un ruolo importante nella vita commerciale, politica e culturale sia nell’impero ottomano che nella Repubblica di Turchia (Karakartal, 2002, 2003, Ortaylı, 2007, Zuccolo, 2011).
Il prestigio di cui godeva questa lingua potrebbe essere una delle ragioni che ha contributo al mantenimento dell’identità in questa comunità piccola e frammentata che risiede in Anatolia da oltre 900 anni (Misir di Lusignano, 1990).

L’istruzione formale della comunità Italiana a Istanbul inizia a partire dalla scuola fondata nel 1864 dalla Società Operaia nel 1864 (Iacobellis 2007, Pannuti 2006, 2007) e segue le sorti demografiche della comunità stessa, aprendo e chiudendo scuole pubbliche e private, fino al trattato di Losanna nel 1923 che segna una svolta per tutte le scuole delle minoranze in Turchia...
Al momento ad Istanbul ci sono 4 scuole italiane che rispondono ai bisogni della comunità. 
1. La “Marco Polo” è una scuola elementare fondata nel 2011 dentro il territorio consolare ed amministrata da un’associazione dei genitori. La scuola raccoglie l’eredita della scuola elementare fondata nel 1870 dalle suore di Ivrea che ha chiuso nel 2010 per mancanza di studenti. La scuola accoglie circa 60 bambini ma non riesce a soddisfare tutte le richieste pervenute.
2. Gli “Istituti Medi Italiani” (IMI) sono una scuola italiana (medie inferiori e Liceo Scientifico) fondata durante il Regno di Italia nel 1888, le scuole medie sono all’interno delle mura consolari e in questo modo possono essere frequentate anche dai cittadini italiani che hanno anche la cittadinanza turca. Il liceo italiano viene frequentato dagli studenti turchi che hanno ottenuto un punteggio sufficiente nell’esame nazionale per il passaggio dal ciclo obbligatorio al liceo (TEOG), dagli alunni provenienti dalla scuola media italiana dagli studenti che abbiano una certificazione che attesti la loro competenza almeno B1 in italiano. 
3. La scuola elementare e media Evrim, è stata fondata nel 1909 dai padri salesiani come scuola elementare maschile ed è poi divenuta una scuola a curriculum turco dove l’italiano viene insegnato in maniera intensiva (molti degli alunni provengono da famiglie di origine levantina). Gli studenti che ottengono una certificazione B1 in italiano possono proseguire i loro studi in uno dei licei italiani presenti ad Istanbul senza dover superare l’esame nazionale per l’ammissione ai licei (TEOG).
4. Il liceo italiano Galileo Galilei è stato fondato nel 2000/2001 sulle ceneri di quella che era stata la scuola elementare e media delle suore di Ivrea, la scuola elementare e media, infatti, dopo i cambiamenti sulla legge sull’istruzione a cui abbiamo accennato prima, non poteva più accogliere studenti turchi e dunque sostentarsi.  
Anna Lia ERGUN
Estratto dagli atti 
1° Convegno Internazionale di Linguistica e
Glottodidattica Italiana 

Roberto Cerè sbarca a “Casa Sanremo”, durante il Festival, nella rassegna “Writers”

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È uno dei mental-coach più seguiti a livello mondiale ed è anche uno scrittore best-seller. Roberto Cerè, per la prima volta, sbarca a “Casa Sanremo”, come uno dei fiori all’occhiello della rassegna Writers.

Mercoledì 5 febbraio, alle 18.30 presso la sala “Teatro Ivan Graziani” del PalaFiori, presenterà i tre volumi di aforismi “Amore”, “Salute” e “Business” della Mind Edizioni e, in esclusiva, si racconterà a 360 gradi al pubblico e agli addetti ai lavori, dispensando preziosi consigli ai protagonisti della kermesse.
"Ebbene sì, si tratta della mia prima volta al Festival. Anche se vivo a Montecarlo, a 20 minuti di distanza dalla Città dei fiori, è la prima volta che entro nel mondo della kermesse più amata al mondo" ha raccontato Cerè a CasaSanremo.it, aggiungendo: "Sanremo rappresenta le Olimpiadi di un cantante. Un appuntamento che può discriminare la carriera e le sorti di un artista. Questa tensione la percepisce anche il pubblico in sala e da casa. Ed è proprio nella gestione di questa tensione che lavorerei con gli artisti, paragonandoli a degli atleti Olimpionici. Trasformando la preoccupazione in emozione esplosiva. Ci sono degli esercizi specifici che si fanno con gli atleti in preparazione di grandi eventi. Induzioni mentali profonde, nate per fare focalizzare l’atleta solo su due cose: il momento in cui vince e la sensazione che sente/prova nel vincere. Queste due cose: l’atto finale della vittoria e l’emozione intensa, guidano il focus dell’atleta/artista a non soffermarsi sulla preoccupazione di cosa potrebbe andare storto, quanto invece sull’emozione della vittoria". Per poi concludere: "Un altro aspetto importante durante Sanremo credo sia il rapporto con la stampa. Molto spesso l’artista non è “preparato” ad affrontare la stampa, le domande, le punzecchiature. In quei momenti si giocano le simpatie e antipatie oltre che la loro immagine con il proprio pubblico".
L'appuntamento con Roberto Cerè è per mercoledì 5 febbraio, alle ore 18.15, al PalaFiori di Sanremo.

La magia dei “Carboncini” di Patrizia Tocci, con sguardi e parole. Fascino del bianco e nero. Quando una foto diventa racconto...

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di Domenico Logozzo*

PESCARA - Foto che raccontano. E ci riportano indietro nel lontano passato. Il fascino e la magia del bianco e nero. E’ così che da una immagine prendono vita tante sensazioni ed emozioni, che fanno riflettere, grazie alla bella penna della scrittrice Patrizia Tocci. Lo scrittore Giovanni D’Alessandro, a giusta ragione, definisce “una maga”, la “talentuosa romanziera, poetessa, giornalista, fotografa, docente e animatrice di eventi”. E lo fa nella presentazione del libro “Carboncini- Sguardi e parole”, edito da Tabula Fati. “Per averne conferma - spiega D’Alessandro -, basta scorrere i 99 Carboncini i quali, nella varietà dei temi trattati, presentano una caratteristica comune: sono percorsi dal sacro fuoco dell’ispirazione e dall’esigenza di riversare su pagina - all’istante, senza filtri - il pensiero, la riflessione, il ricordo, il momento di commozione. E’ questo che fa muovere la maga nel suo antro, dove è intenta, in modo insonne, a distillare inattese alchimie e a sperimentare formule di evocazione di realtà parallele”.

Dopo aver letto il libro non posso che condividere pienamente il pensiero di D’Alessandro sul valore e sul significato dei “Carboncini”, pubblicati per più anni e con cadenza settimanale, sul quotidiano abruzzese “il Centro”: una specie di diario a cuore aperto molto atteso dai lettori”. Anche io sono stato sempre un attento lettore. E con ansia aspettavo ogni domenica di leggere la rubrica settimanale dell’autrice di “Nero è il cuore del papavero”, il suo primo romanzo, con la presentazione di Paolo Rumiz, dedicato al padre, dove rivive “la cultura contadina, l’infanzia e la memoria”.

Una bella sorpresa Patrizia Toccime l’ha fatta domenica 14 ottobre 2018, quando ha dedicato il “carboncino” ad una mia foto in bianco e nero fatta nel mio bel paese calabrese, Gioiosa Jonica, nei primi Anni Settanta. L’avevo pubblicata su facebook. Grande e graditissima sorpresa. Dalla sorpresa all’emozione e poi, confesso, tanta ma tanta commozione e occhi lucidi. La “maga” aveva fatto diventare quella foto un racconto storico, culturale e sociale.

Il “carboncino” iniziava con una opportuna riflessione, interrogandosi e interrogandoci “se i social ci abbiano cambiato la vita in bene o in peggio” lasciando la risposta ad una corretta valutazione futura: “lo sapremo solo tra qualche tempo: mescolano perle e spazzatura in una orgia infinita”. E poi diceva dell’origine del “carboncino” di quella domenica. “In un post c’era una bellissima foto del giornalista Domenico Logozzo. Era così bella che avevo pensato di scriverci una storia”. E si soffermava nel descriverla. “Un vecchio borgo di un paese qualsiasi, una piazzetta su cui si affacciavano porte e vicoli; in alto una torre antica e in basso tre figurine scure di età differenti: tre bimbe con trecce, gonnella e calzettoni bianchi; scattata a Gioiosa Jonica, paese natale di Domenico Logozzo: un fermo immagine di quella memoria condivisa che richiama echi nemmeno troppo lontani”.

La “magia” attribuita da D’Alessandro alla Tocci eccola venir fuori. “Avrei aggiunto a quella foto gli odori dei cibi cucinati, il fresco dell’ombra nei vicoli, la lama di luce del sole alto nel cielo, il canto di qualche voce da una finestra semiaperta, un geranio in fiore, o una pianta grassa su quei piccoli balconcini che avevano appena l’ardire di affacciarsi sulla strada, con la ferrata panciuta”.

E’ così l’idea di scrivere il “carboncino”, pubblicato anche sul libro con il titolo “BIANCO E NERO”, si concretizzava dopo non molto tempo. “Ritrovo, qualche giorno dopo, la stessa foto; sotto è un fiorire di commenti. Mi sembra quasi di sentire voci: di sorpresa, di meraviglia, di nostalgia. Scrivono dalla Calabria ma rispondono da Buenos Aires, dall’Australia, dal Canada. L’Italia degli emigrati e degli emigranti, sparsa per il mondo. Rispondono ore dopo, ma rispondono. Ricostruiscono insieme i nomi delle vie, le posizioni delle case, i dirimpettai, i negozi del vicolo. Ognuno porta un tassello nella topografia della memoria. E’ un fiorire di volti, nomi e cognomi sottratti all’oblio, “la casa dove sono nata”, “zia Bettina”, “il nome del sindaco”; si ricostruisce una classe del 1940, si snocciolano i nomi dei professori. L’ultimo commento: “Buongiorno, Tita, sono Mario, mi ricordo di te piccola, in braccio a tua madre”.

Sono fili nostalgici e tenaci, tesi da un oceano all’altro. Abbiamo tutti bisogno di essere riconosciuti”. Ho scritto a Patrizia Tocci: “Commosso, onorato, grato per il meraviglioso racconto che fai della mia foto. Cara Patrizia non so come ringraziarti. Non ho parole. Scritto divinamente. Hai una grande cultura ed una grande dote naturale: scrivi e fai vedere e fai parlare una foto di quasi mezzo secolo fa!”

Patrizia Tocci ha dato “magicamente” voce, sì anche voce, alla foto. Così come si “sentono” le voci dei messaggi degli emigranti sparsi nel mondo. Nostalgia e ricordi da conservare. E mi ritornano alla mente alcuni pensieri di Corrado Alvaro, grande narratore del Novecento, calabrese di San Luca, borgo aspromontano della provincia di Reggio.

Alvaro amava molto la Calabria. “Ho sentito dire a molti stranieri che è una delle regioni più belle d'Italia. Io non lo so perché l'amo. Ma so che si fugge e si rimpiange con la sua pena; si torna e si vuole fuggire: come con la casa paterna dove il pane non basta”, scriveva nel 1948 sulla Stampa. Cultura della memoria. Da non cancellare: “E' una civiltà che scompare, sulla quale non v’è da piangere, ma di cui bisognerebbe trarre il maggior numero di documenti per memoria”. E infatti Alvaro ci teneva a non far scomparire completamente le tradizioni.

Cento anni fa, amaramente constatava: “L'Italia meridionale, e specialmente le regioni meno a contatto coi traffici, come la Calabria, sta vivendo i suoi ultimi anni di vita tradizionale e antica. Quando le generazioni nate nella prima metà del secolo scorso saranno scomparse, di molte tradizioni e modi di vita non rimarranno che labili tracce; alla prossima generazione saranno cancellate del tutto”. E purtroppo è andata come Alvaro aveva previsto. Le pochissime tradizioni che, a fatica e miracolosamente, ancora oggi sopravvivono bisogna cercare di non farle sparire per sempre. Senza memoria non c’è futuro.

Il libro “Carboncini” di Patrizia Tocci (Ed. Tabula Fati) è stato presentato all’Aurum di Pescaravenerdì 31 gennaio alle 17:30. Con l’autrice c’erano lo scrittore Giovanni D’Alessandro e Dante Marianacci, poeta narratore e saggista.

*già Caporedattore TGR Rai

GreatPixel, con IULM e Gamba Bruno, lavorano a un innovativo progetto destinato al segmento retail/restaurant

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La piattaforma sarà composta da una serie di funzionalità avanzate volte a migliorare la User Experience sia del cliente finale che dello stesso esercente in termini di prestazioni di vendita

Il Centro di Ricerca per la Comunicazione Strategica dello IULM, assieme a GreatPixel e a Gamba Bruno S.p.A., hanno messo in cantiere un nuovo progetto destinato al mercato italiano del retail/ristorazione. L’idea è quella di creare una suite di prodotti “smart” che, rispettando sia le esigenze di mobilità che quelle fisico/esperienziali, puntino al miglioramento dell’esperienza di ristorazione sfruttando device mobile e kiosk. Un prodotto modulare e scalabile composto da un intero sistema con diverse App dedicate, studiate con una User Experience ottimizzata per garantire la miglior fruizione e l’efficacia dei servizi in modo da soddisfare sia le esigenze del cliente finale che quello dello stesso esercente in termini di prestazioni di vendita. A tal fine, i tre soggetti coinvolti, hanno dato vita a un gruppo di lavoro congiunto, per condividere il notevole bagaglio di competenze specialistiche e di esperienze significative maturate su progetti complessi e di grandi dimensioni. “Questo lavoro ci consentirà di valorizzare le potenzialità della ricerca scientifica applicata alla comunicazione strategica, che è il cuore dell’attività svolta dal Centro”, afferma la professoressa Stefania Romenti, Direttore del Centro di ricerca sulla comunicazione strategica dello Iulm.  

Da parte sua il Centro di ricerca dello IULM metterà a disposizione le attività di valutazione e progettazione della customer experience svolte attraverso alcuni test che hanno coinvolto anche gli studenti, mentre GreatPixel, come agenzia specializzata in design dei servizi e User Experience (quest’ultima basata su tecniche avanzate di computational design e Neuromarketing), farà leva sull’expertise maturata sul terreno del digital food con l’articolato progetto portato a termine per la catena di ristorazione Soulgreen, realizzato in collaborazione proprio con Gamba Bruno, una delle società leader in Italia per quanto riguarda gli strumenti di gestione per il retail, un’azienda estremamente avanzata sia per i software che per i processi che implementa e che, tra le altre cose, collabora con la grande multinazionale del software NCR.   

Il progetto, che vedrà la luce nei prossimi mesi, si inserisce all’interno di uno dei principali trend a livello internazionale e nazionale: quello della digital transformation coniugata al food, un fenomeno che sta ridisegnando l’intera filiera del settore, cambiando profondamente il volto della ristorazione, ma anche quello dei ristoranti indipendenti perché menù digitali, app e chioschi interattivi sono strumenti competitivi che consentono ai consumatori di farsi una visione più completa dell’ampiezza dell’offerta, garantiscono un maggior tasso di fidelizzazione e rendono più fluida e coinvolgente l’esperienza di consumo; mentre, sul versante dell’offerta, il progetto si configura come una leva strategica per ottimizzare i processi di lavoro, aumentare il numero di clienti, e quindi le entrate. “Vogliamo progettare un ecosistema composto da funzionalità avanzate – spiega Giovanni Pola, founder e Ceo di GretPixel - come GreatPixel il nostro contributo specifico sarà sul versante del design dell’esperienza utente sul media Kiosk, già ampiamente utilizzato dalle grandi catene americane e portato in Italia proprio per la facilità e la semplicità di navigazione del menù e delle operazioni di acquisto da parte del cliente finale”. Aggiunge Alfredo Fabbri, general manager di Gamba Bruno: “Questo gruppo di lavoro farà tesoro della profonda competenza di Gamba Bruno nel mercato retail e della ristorazione. L’obiettivo è valorizzare il viaggio emozionale del cliente tenendosi ancorati ad una visione centralizzata del dato relativo al prodotto e al cliente. Con questo progetto mettiamo le basi per riempire un vuoto di mercato con una tecnologia che sia per ristoratori e clienti un’esperienza davvero innovativa e di facile fruizione”.  


Teatro, Francesco Bonomo a Fattitaliani: "difficile adattare una letteratura che non sia grande letteratura". L'intervista

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Sarà in scena dal 7 al 9 febbraio al Teatro Le Sedie di Roma lo spettacolo tratto dal racconto di Federico De Roberto “La Paura”, uno dei grandi capolavori della narrativa italiana del '900. Un monologo che vede protagonista Daniel Dwerryhouse, diretto da Francesco Bonomo, che ha curato anche l’adattamento del testo, che è il racconto, vero e toccante, di chi ha vissuto sulla propria pelle la Grande Guerra. Fattitaliani ha intervistato Francesco Bonomo.

Che cosa rende un testo letterario adatto a divenire un testo teatrale?
Non saprei rispondere in maniera esaustiva ed univoca alla domanda.
Posso citare “il Maestro e Margherita” a cui ho recentemente preso parte come interprete, quale fulgido esempio di un testo che sembra impossibile da portare in teatro, per i molteplici personaggi, le linee narrative, le scene mirabolanti di cui è composto ed invece, non solo si mette spesso in scena, ma in questa ultima edizione anche con grande successo. Sappiamo che l’autore (Bulgakov) scrisse anche testi teatrali, lavorò per il Teatro d’Arte di Mosca, ma non credo siano elementi sufficienti a dare al testo la patente di adattabilità per la scena. Forse è la capacità dell'autore di immaginare dei personaggi tanto vivi nelle pagine scritte da poter essere personificati da attori?
Mi viene in mente Dostoevskij, maestro nella creazione di personaggi, del quale abbiamo visto innumerevoli rappresentazioni, da “Le notti bianche”, passando per “I fratelli Karamazov”, “Delitto e castigo”, “I demoni” per arrivare a racconti come “La mite” o “Il sogno di un uomo ridicolo”. Potrei citare altri illustri esempi di adattamenti che negli anni hanno segnato i palcoscenici italiani come “Moby Dick" o “Memorie di Adriano”, ma non riuscirei a trovare un minimo comune denominatore.
Mi sento di poter dire che sia difficile adattare una letteratura che non sia grande letteratura. Come per gli autori teatrali che resistono al tempo e che possiamo annoverare nei classici, una letteratura che non parli all’uomo, che non riesca a passare indenne tra le generazioni, difficilmente troverà spazio sulle tavole di un palcoscenico.
Foto di Pino Le Pera
"La paura" per esempio: aveva un elemento di per sé teatrale?
Innanzi tutto dobbiamo prendere atto della grandezza dell'autore, troppo spesso dimenticato e invece massimo esponente insieme a Verga della poetica naturalistica e verista.
Un elemento da sottolineare è la natura stessa del brano letterario: un racconto.
Per quanto possa sembrare evidente è importante ricordare che la brevità di questa narrazione rende la materia estremamente incisiva, affilata, direi quasi una foto in movimento, non a caso Ermanno Olmi ne ha fatto un film (“Torneranno i prati”).
Il racconto ha in sé il principio aristotelico di unità di tempo-luogo-azione.
La vicenda che De Roberto ci racconta ha un andamento circolare: l'azione dei soldati che a turno sono mandati alla vedetta crea una sorta di tormentone drammatico, per mezzo del quale il lettore/spettatore si immedesima facilmente nei personaggi.
Nei dialoghi tra i diversi personaggi, De Roberto utilizza magistralmente molti dialetti, questo elemento mi ha dato la possibilità di tratteggiare con chiarezza i molteplici stati d’animo che attraversano il cuore e la mente di uomini mandati a morte certa. La scelta di far interpretare ad un solo attore tutti i ruoli è stata possibile proprio grazie a questo linguaggio, oserei dire, polifonico.
Non da ultimo proprio i dialoghi sono la forza teatrale di questo racconto.
Nella prefazione ai Processi verbali De Roberto afferma: “L'impersonalità assoluta non può conseguirsi che nel puro dialogo, e l'ideale della rappresentazione obiettiva consiste nella scena come si scrive per il teatro”.
Foto di Andrea Boccalini G
Come adattare un testo senza tradirne l’essenza?
Gli adattamenti, le traduzioni per loro natura sono già un tradimento, l’interpretazione stessa di un attore che fa sue le parole di un testo scritto lo sono.
Ma il tradimento è anche un trasportare, un portare a noi, rendere vivo qualche cosa che è solo sulla carta. Se si assiste alla rappresentazione di un testo letterario, dovremmo sempre mettere in conto di vedere una porzione di esso, un punto di vista. Ma è proprio questo che rende un'opera degna di essere rappresentata, il fatto che nella sua essenza, ci siano degli elementi che ci parlano ancora, che raccontano qualcosa di quello che siamo.
In questo senso il tradimento diventa tradizione che resiste alle epoche e ai mezzi di rappresentazione.
In cosa "La paura"è un classico, una storia senza tempo, tuttora valida?
Il racconto di fantasia vuole dipingere lo specifico dei tormenti dei soldati italiani sul fronte alpino della Prima Guerra Mondiale. Sembrerebbe a prima vista qualcosa a noi ormai lontana, in un passato degno di essere ricordato, ma che non ci appartiene. Invece con maestria e semplicità, De Roberto ci parla della paura dell'uomo di fronte alla morte. Giovanni Zambito.
LO SPETTACOLO
Protagonista è il Tenente Alfani che, al ritorno dalle trincee, incapace ormai di ritornare nella realtà e di vivere la sua vita, narra allo spettatore le lacerazioni dell’animo umano di fronte ad uno dei momenti più strazianti per ogni soldato: ubbidire ad un ordine sbagliato!
In alta montagna, in un ambiente inadeguato ad una guerra di trincea, i soldati del plotone al comando del Tenente Alfani sono dislocati sul Forte del Corbin, prossimi allaporta dell’Inferno. Il Tenente Alfani gestisce la turnazione degli uomini che devono raggiungere la postazione avanzata. Il suo ruolo di ufficiale gli impone di rispettare e dare l’ordine che condurrà i suoi ragazzi ad una morte ingloriosa e inutile: chiunque di loro si avvia a percorrere quella ‘cinquantina di metri’ viene inesorabilmente ucciso da un’implacabile cecchino nemico. 
Ma il meccanismo della turnazione, così apparentemente indolore e scevro da responsabilità, genera dubbi nella mente del Tenente sulla giustezza degli ordini impartiti fin ora, nel momento in cui alla piazzola avanzata deve andare il soldato Morana. Quel soldato “fregiato da un nastrino azzurro per una medaglia di bronzo guadagnatasi in Libia” e soprannominato l’eroe, risponde: “Signor tenente, io non ci vado!”. 
Il Tenente è incolpevole ma si sente tuttavia responsabile, ossessionato dalla colpa di aver mandato a morte i suoi uomini e consapevole dell’ordine di fucilazione che dovrà dare se Morana insistesse nella sua disobbedienza. 
Alfani allora imbraccia lui stesso un fucile e fa per andare verso la piazzola: vuole redimere Morana sostituendosi a lui. Ma il capoposto glielo impedisce, ricordandogli che il rispetto della gerarchia non tollera simili gesti. 
Il soldato Morana imbraccia improvvisamente il moschetto, se lo punta al mento e... 
La paura di cui ci parla De Roberto nel suo racconto del 1921 è una delle tante paure che tessono la memoria del primo conflitto mondiale. I personaggi e la trama de La Paura non sono univoci: la tesi dell’autore resta una delle tante possibili, e l’interpretazione della guerra resta distinta dall’esperienza della guerra. 
La paura 
di Federico De Roberto 
Con Daniel Dwerryhouse 
Adattamento e Regia di Francesco Bonomo 
Aiuto regia di Giorgia Salari
Consulenza letteraria di Franco Marzocchi 
Costumi di Andrea Viotti
Video e grafica di Alessandro Gianvenuti – Studio Lord Z
Sonorizzazione di Massimiliano Bonomo
Disegno luci di Giuseppe Filipponio
Produzione Sardegna Teatro in collaborazione con Goldenart Production, La casa delle storie e Rialto Sant'Ambrogio 
Dal 7 al 9 febbraio 2020
Venerdì e sabato ore 21 – domenica ore 18
Biglietti Intero 12.00€ + 2.00€; Ridotto 10.00€ + 2.00€

Teatro Le Sedie
Via Veietana Vetere 51 – Roma
Tel. 06/5898111 – mail info@teatrolesedie.it
www.teatrolesedie.it

DONNA, l’altra altra metà del cielo. Fattitaliani intervista Maria Laura Annibali

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di Caterina Guttadauro La Brasca. Maria Laura Annibali nasce a Roma nel 1944. Laureata in Scienze Politiche all’Università “La Sapienza” di Roma, entra nel mondo del lavoro negli anni Settanta con un incarico al Ministero delle Finanze; l’evolversi della sua carriera la porta a diventare funzionaria direttiva, ruolo che ricoprirà sino alla pensione. L'intervista di Fattitaliani.

Il suo passato, ormai lontano, è stato per lei molto ferente. Tutto ciò che era bellezza ed Arte l’affascinava, quindi scavare, ritrovare, restaurare, ci accenna di questa sua vena conservatrice? 
Sono molto amante della storia e fin da piccola mi facevo comperare, ben 2 riviste concentrate solo su fatti storici, mi ricordo che si chiamavano una Historia e l’altra Storia illustrata. Ovviamente sono sempre stata prima in questa materia in tutte le scuole. Questa passione non poteva non portarmi a iscrivermi ad un importante gruppo archeologico a cui ho partecipato e addirittura sono stata vicina nella buca alla compagna, che invece di trovare piccoli referti, trovò il pettorale di un'evidente importante donna di rara, finissima fattura, con bellissime pietre dure.    
Per molti la pensione è la fine di ogni attività, per altri come lei e chi le parla è, invece, l’inizio di una vita mai esplosa. Com’è andata? 
Sono andata in pensione a 55 anni e riconosco che da allora mi sento assolutamente realizzata e felice di questi intrepidi e meravigliosi ultimi 20 anni. Tutto quello che avrei voluto fare da giovane, cioè, cinema, teatro, politica, sono riuscita a farlo.
Lei ha vissuto per anni con un dualismo inaffrontabile a quei tempi soffrendone per ben 23 anni. Quanta forza e coraggio c’è voluto e dove ha attinto entrambi? 
Sono credente, mi dichiaro Cristiana con ascendenza Buddista, frequentando e studiando i libri del Cerchio Firenze 77 (scuola spirituale e esoterica). Convinta quindi che quello che sono non poteva essere che così, perché era il mio Karma.
L’Amore ha tante facce? 
Ne sono convintissima, io che ho amato un uomo e che ora amo da 18 anni mia moglie Lidia.
Ha imparato che essere se stessi ha un costo battendosi per anni per la causa dei diritti LGBT. Ha trovato porte chiuse, pregiudizi come e con chi li ha affrontati? 
Li ho affrontati con le mie compagne e compagni della comunità LGBTQ e chiaramente sempre vicino a me mia moglie. Li ho affrontati con lotte sotto il Senato, tante manifestazioni e portando i miei docufilm nelle scuole, nelle carceri, nei centri anziani, nelle università e in tutte le Associazioni che mi hanno chiamato. Ovviamente anche in tutti i festival LGBTQ.
Cos’è DONNA: L’altra metà del cielo
Gentilissima, l’altra metà del cielo sono le donne, invece io filmo l’altra metà del cielo che sono donne che amano altre donne. Infatti i miei tre documentari hanno la stessa radice: L’altra metà del cielo, L’altra altra metà del cielo… continua ed infine l’altra altra metà del cielo donne”
Tanta strada è stata fatta ma non ci si deve fermare. Oggi Lei è Presidente dell’Associazione DI’GAY Projet, succedendo a Imma Battaglia. Quali muri pensa di dover scavalcare e chi rappresenta, a chi dà voce? 
Il promo muro da scavalcare è l’ignoranza, non meno grave è la “ POLITICA” il popolo avrebbe già accettato il matrimonio egualitario, le giuste richieste delle famiglie ARCOBALENO e per ultima, ma non per importanza, la legge contro l’omofobia. Mi onoro di rappresentare insieme ad altri compagni di lotta, tutti i discriminati e finalmente dar loro voce. 
La discriminazione ha distrutto la vita di molte persone che erano imbrigliate in una società che non li sosteneva, facendo credere loro di essere”sbagliati.” Ognuno di noi è responsabile di questo, di tanto silenzio e dolore. Come ci si può rivolgere ai giovani per non farli cadere negli errori dei loro padri? 
Andando nelle scuole, dalle elementari alle classi superiori, con modi diversi secondo l’età dei ricettori e facendo tanta formazione sia ai genitori, docenti e a tutti gli apparati che fin da piccoli possiamo incontrare.
Lei ha sposato questi progetti con una sua passione: quella di essere appassionata di film-maker. Cosa ha generato questo connubio? 
Un felice matrimonio fra arte e politica, ma soprattutto il mio senso di giustizia che credo sia nel mio DNA.
Cara Maria Laura da quanto ci siamo detti è chiaro che la vita è frutto di scelte ed ognuno ha il diritto di viverla secondo i suoi dettami e le sue pulsioni. 
Dobbiamo essere tutti consapevoli che non esiste il”GIUSTO O SBAGLIATO” e che è compito di tutti, in un paese civile, accettare chi è diverso da noi. Bisogna conoscere e non giudicare, la conoscenza ci permette di abbattere barriere che feriscono ed umiliano qualsiasi forma di umanità. Grazie per aver raccontato se stessa a Fattitaliani e “ad maiora”.
Grazie a Voi per l’interessamento verso di me e la mia Comunità.
Caterina Guttadauro La Brasca 

Barbara Cavaleri a Fattitaliani: nelle canzoni metto sempre del “mio”. L'intervista canzonata

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Distribuito da Beatrising.com, con la produzione artistica è di Fabio Mecuri e Simone Pirovan, è da poco uscito “Come una Stella-Novastar” (LoopMusic) l’album di inediti della cantautrice Barbara Cavaleri, disponibile sulle piattaforme streaming e in digital download. Il disco rappresenta uno scenario futuristico in cui vive un prototipo di Donna in un mondo futuristico chiamato Novastar, visto dagli occhi della protagonista. L'artista è ospite de L'intervista canzonata di Fattitaliani: le domande sono state formulate con i brani di "Come una Stella-Novastar" e del suo primo album “Ad un passo dal sogno”.

   Partiamo dalla canzone che dà il titolo all'album: a tuo avviso, quando una cantante arriva a brillare "Come una stella”?
Quando riesce a raggiungere un equilibrio tra desiderio e realizzazione. Spesso si canta di sogni, desideri, visioni, immagini. Quando almeno parte di questi desideri si concretizzano ci si può sentire “brillare”.
Ci sono artisti che "Come una stella" vivono di luce propria e altri che come pianeti vivono di luce riflessa. Come costruire il proprio percorso affinché l'obiettivo da raggiungere sia alla fine duraturo?
Beh, non saprei, mi sento ancora abbastanza giovane per risponderti con certezza. Di solito questa domanda me la faccio io. Posso dirti che credo che tutto dipenda da come noi ci rapportiamo al mondo che ci circonda.
Nel brano "In lattina" hai guardato e cantato le azioni della vita quotidiana: il contenitore potrebbe rappresentare qualcosa di rassicurante o al contrario limitante?
Sicuramente è un filtro tra la protagonista della canzone e la realtà che lei immagina di vivere. Allo stesso tempo lei si protegge rimanendo “dentro”, perché fuori sente che tutto potrebbe corrompere la sua “integrità”.
E a proposito, com'è la tua vita quotidiana?
Una vita normalissima. Fatta di corse, scadenze, lavoro, impegno. Lavoro molto ogni giorno per arrivare agli obiettivi che mi prefiggo. Ho una famiglia e devo seguire ogni aspetto in prima linea, come molte donne.
La canzone "Body not soul"è una presa di coscienza di quello che si vede oggi in giro, nella realtà e nei social, o che?
A Novatsar, città immaginaria in cui il disco è ambientato, esistono dei veri e propri “supermercati del bello”. Cliniche in cui si sceglie come essere, nello stesso modo in cui si ordina il sushi online. Una possibile proiezione del futuro?
Nelle tue canzoni canti più quello che sei stata, "Quello che sei" o quello che vorresti essere e diventare?
In questo disco parlo esclusivamente dei sentimenti di una Donna proiettata in un mondo futuristico che non ha riguardo per l’aspetto umano del sé. Ci sono momenti in cui percepisco il mondo che mi circonda come tale, anche se ritrovo sempre una buona dose di ottimismo in me stessa e negli altri. In generale, nelle canzoni, metto sempre del “mio”, ma mi focalizzo sulla storia che sto raccontando. L’interpretazione e lo studio di ciò che racconto sono una fase ben diversa dalla scrittura.
Cos'è la “Bomba 6170”?
Una delle armi usate a Novastar per accedere al conflitto armato, usato sui “ribelli” o su chi non si allinea alla politica di progresso estremo. Una proiezione molto immaginaria, di un conflitto acceso su chi già non dispone di mezzi sufficienti per difendersi, oltre all’ingiustizia, subisce anche l’attacco. Un racconto attraverso una canzone, quasi reading, di una parentesi armata, subito celata dal silenzio del tempo che passa e dimentica.
Mi dici un oggetto, un personaggio, un ideale "Contemporaneo" che nel bene o nel male ci rappresenta come esseri umani?
Mi piace pensare all’immagine dell’albero. Elemento naturale, spero, eterno, più che contemporaneo. Siamo radicati, abbiamo una forte presenza, ma siamo anche fragili e possiamo distaccarci da noi stessi con un soffio di vento, come una foglia, se non ricordiamo l’importanza delle nostre radici. Chi è bene radicato difficilmente si perderà anche se immerso in un’epoca in cui tutto è veloce, tutto deve essere immediato e efficace.
"Le parole" di una canzone a volte potrebbero avere maggiore peso di quelle dette in un dialogo o scritte in una mail o in un libro?
No, penso che le parole abbiano peso, ovunque le si ponga, anche su un post-it sul frigorifero, se l’intenzione che vi è dietro è onesta e reale. La musica alle parole, in una canzone, può donare una maggiore risonanza e una maggiore “mobilità”, ma la profondità di un testo rimane invariata nonostante la differenza del supporto che la ospita.
Quando è stata l'ultima volta che sei rimasta a "Ballare fino al mattino"? ti piace il mondo della discoteca?
Sono rimasta a ballare fino al mattino diversi anni fa, durante una delle feste più belle che ricordo di aver organizzato con le mie amiche per la nostra convivenza insieme. In generale preferisco ballare su una spiaggia, o in mezzo alla folla di un concerto. La discoteca non è mai stata una dimensione mia. Ho ballato molto nei club hip-hop, soprattutto quando cantavo all’estero con altri artisti e dopo concerto ci si divertiva insieme. Amo ballare, in generale.
In riferimento al tuo primo album, è importante (re)stare sempre “Ad un passo dal sogno” o prenderlo in mano una volta per tutte?
Direi che oggi mi proietto più nella seconda condizione che descrivi.
Credi nella divisione ultraterrena "Paradiso e Inferno" oppure pensi che tutto si realizzi qui, sulla Terra?
Credo nell’Universo che ci circonda e in come noi ci poniamo nei suoi confronti, perché siamo di passaggio, e la vita va vissuta qui ed ora. Non sai mai cosa potrebbe accadere un momento dopo. La storia ci insegna questo.
Ti fornisce più ispirazione entrare dentro "Nelle cose" reali o di fantasia?
Per questo disco ho sicuramente attinto molto alla mia fantasia. In generale, cerco di capire a fondo ciò con cui mi confronto, in ogni ambito di vita.
In che occasione, in quale momento della tua vita hai sentito forte il bisogno di cambiare “Aria"?
Nel 2008, quando ho lasciato tutto e sono andata a vivere a Londra, per quasi 4 anni, da sola. Lo rifarei mille volte. Giovanni Zambito.
Foto: Federico Cadenazzi
Barbara Cavaleri comincia il suo percorso studiando e cantando in diversi ambiti (classica, pop, gospel, soul, jazz, performing arts). Come interprete, pubblica il suo primo album “Ad un passo dal sogno” nel 2007 (Lagash-Edel- Bollettino Edizioni). Finito il tour promozionale, scrive per Ray The Project e collabora con Ugo de Crescenzo e Marcello Testa; l'album “Someone’ Speaking” viene pubblicato in Europa e Giappone e promosso in UK (Casaluna Records, Emi Edizioni 2008). Dal 2008 al 2011 si stabilisce a Londra dove continua a collaborare con realtà folk locali, si esibisce su diversi palchi della città, studia alla Goldsmiths University e scrive il suo nuovo lavoro. Nel 2014 pubblica “So Rare”, suo disco da cantautrice, prodotto da Leziero Rescigno (La Crus, Amor Fou, Mauro Ermanno Giovanardi). Barbara è la voce e l’autrice del progetto elettronico “Gentle Eyes In The Gloom” (2019, Prismopaco Records). Collabora al progetto di Alex Cremonesi, “La prosecuzione della poesia con altri mezzi” (Riff Records, 2019). Lavora come autrice di testi e melodie in ambito cinematografico e nell’ambito del VoiceOver. La voce rimane il suo primo strumento creativo, messo a disposizione anche nell’ambito dell’insegnamento della produzione vocale, e di musica e canto presso diversi istituti e accademie nazionali.

LOREDANA ERRORE: il ritorno sulla scena musicale della cantante agrigentina

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Nella giornata di ieri, domenica 2 febbraio, Loredana Errore ha postato su Facebook una notizia che annuncia il suo ritorno.

«E dopo avervi mostrato che ero a Verona vi annuncio ufficialmente di aver firmato con Azzurra Music. Marco Rossi mi ha aperto le porte della sua etichetta e io sono pronta per tornare. Ora al lavoro in studio, la nuova musica sta per arrivare. Sarà davvero una grande emozione tornare da voi», dichiara Loredana Errore.

Marco Rossi CEO di Azzurra Music dichiara:«Siamo contenti e soddisfatti di aver firmato con Loredana Errore per nuova musica, con la sua grinta il suo talento la sua voce avremo delle belle sorprese. La comunicazione e promozione sarà curata da Filippo Broglia per RECmedia».







comunicazione e promozione

Fattitaliani intervista Giuliano Taviani sulla colonna sonora del film "Figli"

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Le musiche originali composte e orchestrate da Giuliano Taviani e Carmelo Travia, eseguite da  “Roma Film Orchestra” dirette da Alessandro Molinari costituiscono la Colonna sonora originale di Figli un film di Mattia Torre. Regia Giuseppe Bonito. Con Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi. L'intervista a Giuliano Taviani.

Parlaci del nuovo album. Che impronta hai voluto dargli?
Si tratta della colonna sonora originale del Film Figli di Mattia Torre per la regia di Giuseppe Bonito con Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi.
Io e Carmelo Travia abbiamo voluto dare un’impronta popolare, avvicinandoci a ritmi jazz rock.
Quali sono i tuoi musicisti di riferimento? 
Ne potrei citare almeno cento... tra i primi della lista: Šostakovič, Tom Waits, Clash, Mozart, Bowie, Brion, Can, Parker, Weill, Verdi, Velvet Underground...
Qual è l’esperienza lavorativa che più ti ha segnato fino ad ora?
Scrivere la colonna sonora per il film Cesare deve morire, film vincitore Orso d’oro a Berlino racconta la messa in scena dello spettacolo  Giulio Cesare di Shakespeare da parte di un gruppo di carcerati all’interno di un carcere di massima sicurezza.
Invece quella mai fatta e che ti piacerebbe fare?
Un musical.
Progetti futuri? 
Tra poco uscirà in chiaro su Canale 5 una fiction  “Made in Italy” sulla moda italiana. E la musica per la nuova fiction per Raidue di G. Ciarrapico e L. Vendruscolo.
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