Quantcast
Channel: Fattitaliani.it
Viewing all 38137 articles
Browse latest View live

Andrea Giraudo, Chi sarai mai: in radio dal 30 agosto il nuovo singolo del cantautore cuneese

$
0
0
La musica e la parole di Andrea Giraudo sanno catturare e avvolgere lo spettatore nella rete magica dell’emozione.
Il pianoforte rappresenta il punto di partenza per una rete di sentieri che si diramano dal tango argentino al pop melodico, al rock‘n’roll e tocca il suo vertice più elevato con l'amato Blues.

Chi sarai mai è un brano da spiaggia, chitarra intorno a un falò, senso di amicizia, condivisione. L’intento è quello di arrivare a tutti, chiunque nella vita si trova intorno ad un falò con una chitarra.

“Stare bene” è un album che invita gli ascoltatori a lasciarsi andare al suono della musica. La musica, metafora del benessere, viene evocata da Andrea Giraudo come espressione del connubio fra la semplicità delle sette note e la piacevole complessità dell’espressione artistica.

Fotografia, Valentina Tamborra a Fattitaliani: il mio ruolo è quello di essere testimone dando voce a chi non ce l'ha. L'intervista

$
0
0
"Chokorà - Il barattolo che voleva suonare"è la serie di fotografie con cui Valentina Tamborra è presente alla mostra “Il Mondo nell’obiettivo. I fotografi delle Ong” curata da Claudio Pastrone in collaborazione con Giovana Calvenzi e Giuseppe Frangi, in esposizione al CIFA (Via delle Monache 2, Bibbiena) fino al 9 settembre. Fattitaliani l'ha intervistata.

Buongiorno: come ti presenteresti ai lettori di Fattitaliani come persona e come fotografa?
Al centro del mio lavoro pongo sempre le persone. Racconto storie, quelle più vicine e quelle più lontane, ma sempre storie che forse altrimenti avrebbero poca voce. Lavoro sull'identità e sulla memoria, certa che per guardare costruttivamente al futuro si debba conoscere il passato e vivere, fortemenente,il presente. Come persona: sono curiosa e ho uno sfrenato amore per la vita.
Quali elementi hai tenuto costantemente presenti nel tuo percorso umano e professionale?
Le persone, come dicevo prima. Non posso prescindere dal rispetto e dalla considerazione dell'altro. Quando fotografo, è come se mi guardassi allo specchio in un certo senso. Il ritratto è uno scambio - è un dono che il soggetto fa al fotografo e il fotografo deve averne cura, e rispetto, sempre.
Un bambino raccoglie i rifiuti che poi rivenderà per acquistare 
cibo o, purtroppo, della colla da sniffare. La colla viene utilizzata 
come droga per non sentire fame, dolore.
Ci puoi raccontare la storia della foto "Chokorà - Il barattolo che voleva suonare"?
Chokoraè un progetto nato per Amref Healt Africa con il giornalista e scrittore Mario De Santis. Abbiamo raccontato i bambini che vivono e lavorano nella più grande discarica del Kenja, Dandora. Chokora in lingua kiswahili significa proprio "rifiuto" e questa parola si usa per definire i bambini di strada che vivono appunto in discarica. La nostra storia è una storia però di riscatto e speranza: 
grazie ad Amref infatti questi bimbi possono avere una vita normale, tornare alla propria infanzia. E quei rifiuti che raccoglievano per rivenderli e comprarsi del cibo, diventano strumenti musicali.
Bambine che raccolgono i rifiuti nella discarica di 
Dandora
Come vivi le recenti notizie sulle ONG spesso trattate con toni polemici e violenti?
Ho lavorato con molte ONG. In generale, un attacco generalista e generalizzato è sempre sbagliato. Le ONG sono composte da persone, persone che si trovano a affrontare situazioni difficile e spesso inimmaginabili. Fanno del loro meglio, a volte riuscendoci, a volte con qualche difficoltà. Penso dovremmo comunque ringraziare persone che scelgono di dedicare la vita agli altri. Non è da tutti.
Quanto e quando riesci a registrare e immortalare un evento controllando eccessivo coinvolgimento ed emozione?
Sono sempre coinvolta. Sono coinvolta perché mi interessano le storie che raccolgo e che racconto, perchè mi innamoro delle mie storie, delle vite degli altri che poi diventano parte della mia anche se per un breve tratto magari. Sono coinvolta ma non perdo lucidità: il mio ruolo è quello di essere testimone, di raccontare. Per farlo devo lasciarmi coinvolgere, certo, ma rimanendo fedele a ciò che è il mio obiettivo finale: dare voce a chi non ce l'ha o ricordare tradizioni, usanze, mondi antichi che non dovremmo perdere. Spesso solo dopo, a posteriori, mi concedo di elaborare davvero ciò che ho vissuto e non è sempre facile ma fa parte del gioco, e lo accetto. Ogni persona che ho incontrato mi 
ha lasciato qualcosa, e io spero , davvero, di aver lasciato a quella persona un senso profondo di ascolto e rispetto. E se questo ha delle "conseguenze" ben venga - l'empatia è una fra le cose più belle al mondo.
Una vista della discarica di Dandora, in Kenja
Quanto dà in più o di diverso una fotografia rispetto a un articolo, un editoriale, un saggio? 
Fotografia e parola possono essere complementari: io amo mescolare immagine  e narrazione. Quindi per me è un modo per amplificare il messaggio. Non parlerei dunque di "più" o di "meno" ma di un mezzo di comunicazione più articolato e in alcuni casi necessario per raccontare una storia.
Ci sono particolari soggetti che ti interessa fotografare?
Non ho soggetti in particolare, come dicevo il mio lavoro è quello di raccontare storie. Ma posso dire una cosa: in quasi tutte le mie foto, anche quando non presente, l'elemento umano si intuisce.
Sei d'accordo con questa citazione? Non fai solo una fotografia con una macchina fotografica. Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai sentito, e le persone che hai amato. (Ansel Adams)
Questa citazione di Ansel Adams la utilizzo spesso, è un mio mantra. E la propongo ai miei studenti quando tengo corsi o workshop. Non esiste solo la fotografia: c'è un mondo intero da esplolare e conoscere fatto di letteratura, storia, filosofia, pittura, cinema...vita, insomma. Quanto più conosci, tanto più le immagini che produrrai saranno ricche e piene di senso. Giovanni Zambito.

Livorno, 4° festival IL SENSO DEL RIDICOLO su umorismo, comicità e satira dal 27 al 29 settembre

$
0
0
Dal 27 al 29 settembre si terrà a Livorno la quarta edizione del festival IL SENSO DEL RIDICOLO, dedicato all'umorismo, alla comicità e alla satira.
Il festival, diretto da Stefano Bartezzaghi e promosso da Fondazione Livorno, è gestito e organizzato da Fondazione Livorno - Arte e Cultura, con la collaborazione del Comune di Livorno e il patrocinio della Regione Toscana. È partner della manifestazione Aedes Siiq, con il supporto di Pictet e il contributo di SIAE.
In tre giorni di eventi, attori, autori, filosofi, scrittori, giornalisti, radio-star, letterati e, naturalmente, comici si interrogheranno sul significato del riso e sulla straordinaria funzione illuminante dell'umorismo, della comicità e della satira.

Dal guardaroba alla tavola, dagli oggetti da acquistare alle persone da conquistare, dall'etica all'etichetta ogni evenienza (quotidiana o no, materiale o spirituale che sia) ci ammonisce: il ridicolo è in agguato. Il festival livornese intitolato proprio al Senso del Ridicolo torna così per un'edizione, la quarta in cinque anni, curiosa degli angoli in cui si può annidare il ridicolo, nelle peripezie del costume, del potere, dell'animo umano. 


Sono “le vicissitudini tragicomiche del desiderio”, ci dice Massimo Recalcati, uno dei più noti psicoanalisti italiani, nella lectio magistralis che venerdì 27 settembre, alle ore 17.30 in Piazza del Luogo Pio, inaugura il festival

Si oscilla fra il dolore e la farsa e gli umoristi sono coloro che sanno come approfittare dello slancio dato dal polo del tragico per sospingere il pendolo verso il polo del ridicolo. Era quello che sapeva fare forse meglio di tutti Achille Campanile, un inarrivabile campione dell’umorismo italiano del Novecento, di cui, sempre nella serata inaugurale di venerdì 27 settembre, alle ore 21 in Piazza del Luogo Pio, ascolteremo alcune pagine lette con l’ironica maestria di Anna Bonaiuto
Sono pagine dedicate a figure femminili, in particolare a mogli irragionevoli e scorbutiche, secondo uno stereotipo profondamente radicato. E d’altra parte non sono proprio i luoghi comuni, i cliché, gli stereotipi a costituire la base dell’umorismo? 
Scozzesi avari, donnine disponibili, uomini infoiati, tedeschi rigidi, suocere arpie, Pierini insolenti… Per capire come mai per farci ridere occorre fare ricorso a un patrimonio di idee fisse, e spesso sbagliate, abbiamo la fortuna di poterci rivolgere a un attore di comprovata arte verbale che è anche un sagace ricercatore di usi e generi popolari come la fiaba, la canzone, l’aneddoto e ora la barzelletta. 

Ascanio Celestini sta dedicando alle storielle che animano da sempre la nostra convivialità un progetto multimediale, convinto come è che esse possano rivelare a noi stessi il fondo oscuro della nostra mentalità collettiva (domenica 29 settembre, ore 11.30, Piazza del Luogo Pio).
La dimostrazione della potenza dell'oscillazione fra comico e tragico si ha quando si pensa che nell'articolo che scrisse per la morte del suo amico Primo Levi, il grande musicologo Massimo Mila lo definì "un umorista". La critica più recente ha reso giustizia alla figura di Levi come scrittore e non solo testimone della Shoah: il principale esponente e animatore di questa nuova corrente di critica leviana è Marco Belpoliti, che ha scelto per noi pagine ironiche e umoristiche dell'autore di Se questo è un uomo, pagine che verranno lette da una delle voci teatrali più forti e affermate dei nostri anni, quella dell'attrice Federica Fracassi (domenica 29 settembre, ore 15, Bottini dell’Olio).


Un caso forse inverso è quello di Woody AllenIl senso del ridicolo gli dedica una rassegna di film curata come ogni anno da Gabriele Gimmelli: tre capolavori che testimoniano di altrettante stagioni della durevole creatività di Allen, nel tempo in cui un'ingiustificabile censura sociale è riuscita a mettere in ombra (speriamo solo momentaneamente) una stella di tale magnitudo (venerdì 27 – sabato 28 – domenica 29 settembre, ore 21, Teatro Vertigo). A parlare del caso-Allen sarà la scrittrice Nadia Terranova, sensibile ai temi della discriminazione sessista, come a quelli della libertà dal più cieco stigma sociale (sabato 28 settembre, ore 11.15, Bottini dell’Olio).


Ma fra tutti gli stereotipi, comici o drammatici, quello che nella circostanza è forse il più pertinente è il blasone di "maledetti" assegnato - per spirito, espressione, inclinazione al dissenso - ai livornesi. Solo un modo di dire? A provare a rispondere sarà lo scrittore, musicista e cantante Bobo Rondelli, assieme alla giornalista Eva Giovannini, anch'essa livornese (sabato 28 settembre, ore 12.30, Piazza del Luogo Pio). 



Come livornesi saranno le persone che verranno a raccontarci la loro livornesità, sollecitate da un habitué del festival, l'attore, conduttore radiofonico e animatore di narrazioni collettive Matteo Caccia (domenica 29 settembre, ore 18.45, Piazza del Luogo Pio).
Per una popolazione africana, il mondo si divideva in "cose vere" e "cose da ridere". Le "cose vere" erano le storie degli dèi raccontate dai sacerdoti; le "cose da ridere" erano tutte le altre, le vicende della vita di tutti i giorni.

"Cose da ridere" sono allora gli oggetti di design, seri eppure ridicoli, raccolti da Chiara Alessi (sabato 28 settembre, ore 10, Bottini dell’Olio). Sono le stravaganze più esilaranti della moda, selezionate da Sofia Gnoli (domenica 29 settembre, ore 10, Bottini dell’Olio). Sono le nostre infinite attenzioni al cibo, fra la squisitezza e la ghiottoneria, argomento delle sapienti digressioni di Bruno Gambarotta (domenica 29 settembre, ore 17.30, Piazza del Luogo Pio). Sono le stesse regole di bon ton, con i consigli per ben figurare in società e quelli per trovare marito, oggetto di un dialogo fra due collezioniste di manuali di galateo come l'attrice Maria Cassi e la giornalista Irene Soave (sabato 28 settembre, ore 18.30, Piazza del Luogo Pio). 

Per tutto il giorno cerchiamo di evitare di cadere nel ridicolo; per riposarci cerchiamo in tv, al cinema, a teatro, nei libri nuove cose da ridere. Ma chi è poi l'autore comico? Quali sono le sue doti? In cosa consiste il suo "mestiere"? Il festival si interroga su questa figura, accoglie opinioni in merito tramite i social network e, in un incontro in collaborazione con SIAE, ne discutono Stefano Andreoli, autore e animatore del sito Spinoza, Marco Ardemagni, Stefano Bartezzaghi, Sara Chiappori e l'attrice Pilar Fogliati (sabato 28 settembre, ore 17.15, Bottini dell’Olio). Sulla Rete e alla radio quest'ultima è emersa come dotata riproduttrice di accenti e mentalità tipiche delle diverse zone e classi sociali di Roma, e non solo di Roma; un talento appena emerso, con cui parleremo anche di Roma come capitale della comicità italiana, volontaria e no (sabato 28 settembre, ore 15, Bottini dell’Olio). Ancora Pilar Fogliati aiuterà a mettere a confronto la Roma di un tempo e la Roma di oggi, partecipando come lettrice all'incontro con il giornalista e studioso Filippo Ceccarelli (sabato 28 settembre, ore 16, Bottini dell’Olio)

Cronista di decenni di politica italiana, Ceccarelli è un appassionato conoscitore dei sonetti di Giuseppe Gioacchino Belli, che definisce "invincibile maestro di scettico sarcasmo e amara dissacrazione": papi e re d'epoca a confronto con i governanti di oggi, in un romanesco secolare che ha la sonorità di una lingua classica e la freschezza di un idioma che tuttora riecheggia nelle strade.

L'ospite d'onore di quest'anno è un attore che è lecito definire "straordinario", e proprio nel senso letterale dell'aggettivo. Extra-ordinario per la sua capacità di uscire dal consueto, superare la propria stessa espressione e la propria fisicità per liberare le energie di una comicità fatta non tanto di battute quanto di una condizione esistenziale. Silvio Orlando in un'occasione rara e quindi preziosa ha accettato di raccontarsi dal palco del Teatro Goldoni al direttore del festival Stefano Bartezzaghi e alla critica teatrale Sara Chiappori (sabato 28 settembre, ore 21, Teatro Goldoni).

IL SENSO DEL RIDICOLO 
Livorno, 27-29 settembre 2019
www.ilsensodelridicolo.it 

Facebook: Il senso del ridicolo | Twitter: @sensoridicolo | Instagram: @ilsensodelridicolo | hashtag: #sensodelridicolo

IL 29 AGOSTO IL FESTIVAL DELLA MODA FA TAPPA A TERRACINA

$
0
0
Appuntamento nella splendida piazza del Municipio giovedì 29 agosto alle ore 21.00, con ingresso gratuito 

Si svolgerà giovedì 29 agosto alle 21,00 nella splendida cornice di Piazza del Municipio a Terracina una nuova tappa del Festival della Moda, format dedicato alla bellezza e alle nuove tendenze dello star system nazionale e internazionale organizzato da Stefano Raucci, voce e volto di RadioRadio, e Sabina Prati, titolare dell'agenzia Sabina Prati Eventi Moda e presente a luglio nelle più prestigiose passerelle di Alta Roma con le sue modelle. 

L'evento si svolgerà con il patrocinio del comune di Terracina alla presenza di diversi personaggi del mondo della moda e dello spettacolo.

La tappa di giovedì farà seguito a quelle di Nemi, Velletri, Bracciano e Castel San Pietro Romano che hanno avuto consensi unanimi e un’ottima cornice di pubblico. 

Lo show sarà presentato con il consueto ritmo e la nota professionalità da Stefano Raucci e sarà molto vario e coinvolgente: si vedranno sfilare in passerella gli abiti di noti stilisti come l'autorevole e prestigiosa Barbara Galimberti (ideatrice del brand Galimbertissima) e Adele Del Duca, formatrice della celebre Accademia Altieri di Roma. Molto attese sono anche le splendide creazioni di Marina Corazziari, stilista designer di gioielli scultura rinomati in tutto il mondo, e le meravigliose opere di Giovanni Pallotta, maestro orafo di talento sopraffino: quest'ultimo metterà in palio alcune sue creazioni uniche, realizzate appositamente per le vincitrici del concorso di bellezza Miss Moda e Talento abbinato all'evento. In giuria sono attesi diversi addetti ai lavori come il dirigente Rai Lorenzo Mucci, il regista Rai Mauro Massimiliano Calandra, il regista di moda, cinema e TV Giuseppe Racioppi e molti altri. In scaletta ci saranno anche momenti musicali, con la partecipazione delle cantanti Giulia Orlandi e Aurora Taglioni.

A curare il look delle modelle saranno il noto hair stylist Germano Rigoni e la look maker Angie.

"Ringraziamo per il patrocinio l'amministrazione comunale di Terracina - commentano gli organizzatori Stefano Raucci e Sabina Prati -, sarà una serata dedicata alla bellezza e non mancheranno le sorprese". 

L'appuntamento è per tutti a giovedì 29 agosto, con inizio alle ore 21,00 nella splendida Piazza del Municipio: moda, creatività e talento saranno gli ingredienti di una serata da non perdere.

Nelle foto, la locandina della serata

SONIK, ALTEREGO FT. JAY SANTOS, online il videoclip di "Mamy don't Cry"

$
0
0
È online il videoclip di “Mamy don’t Cry”, nuovo singolo nato da una inedita collaborazione artistica tra il produttore e dj torinese Sonik, il cantante internazionale Jay Santos (noto per i successi “Noche de Estrellas” e “Caliente” entrambi disco d’oro e un totale di 60 milioni di visualizzazioni su YouTube) e il duo rap cagliaritano Alterego. Eccolo:

Questo nuovo progetto discografico, firmato Supersonika, Ichnosound, Balà Arena e Team Media Group London, nasce dall’amicizia che Sonik e Jay Santos stringono nel 2018 in Sardegna durante il tour estivo del dj torinese e si completa poco dopo quando a Sonik viene presentato un duo rap cagliaritano, gli Alterego, in cui riconosce da subito un gran talento.

Sonik, all’anagrafe Simone Governali, è dj, produttore e musicista nato a Chivasso il 23 ottobre del 1986. Da sempre coltiva la passione per la musica sotto varie forme e sfumature, dalla musica classica, passando per il rock per arrivare alla future house e alle sonorità elettrolatine. Inizia gli studi musicali all’età di 10 anni per poi entrare al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino nel 2005 presso la cattedra di Percussioni. Produttore del format musicaleSupersonika, contenitore musicale all’ interno del quale coinvolge artisti dance nazionali ed internazionali, comeFargetta, Prezioso, Molella, Provenzano, Fred De Palma, Shade, da Radio 105 Paolino & Martin e Alan Caligiuri,Gabry Ponte ed altri. Il format viene ospitato nei più prestigiosi club e piazze di tutta Europa, oltre 150 date di tour dal 2016 al 2018. Nel 2015 pubblica “Do It Again” , brano inedito nato dalla collaborazione con la cantante Neja. Il 14 luglio 2017 produce in collaborazione con l’etichetta di Gabry Ponte “Dance And Love” ilsingolo “Thru The Night”. Il video viene girato sull’ Isola della Maddalena, patrocinato dal comune, in occasione dei festeggiamenti per i 150 anni dell’isola.

Gli AlterEgo sono un duo pop reggaeton di Cagliari formato dai rapper Sblasta (classe 1989) e Raptus (1990). Nascono ufficialmente nel 2010, e incominciano a farsi conoscere grazie ad aperture di concerti di alcuni tra i rapper italiani più seguiti, come Fedez. Nel 2014 hanno successo con il singolo Cagliarifornia, che a oggi vanta un milione di wievs. Nel 2016 fanno ballare tutta la Sardegna con il loro Singolo Ponerte a Gozar aprono il concerto di Daddy Yankee all’Arena Sant’Elia, e l'anno dopo aprono il concerto di Nicky Jam, in entrambi gli eventi davanti ad un pubblico più di 10.000 mila persone. Da pochi giorni sono usciti con il singolo “Niños De Rua”.

Official social network Sonik:

Scirea, dal 3 settembre "Mi chiamo Gaetano" dell’autore e compositore Giuseppe Fulcheri

$
0
0
Da martedì 3 settembre sarà in radio, disponibile sulle piattaforme streaming e in digital download “MI CHIAMO GAETANO” (Incipit Records/Egea), il brano del compositore, autore e sceneggiatore GIUSEPPE FULCHERI dedicato all’indimenticato campione calcistico GAETANO SCIREA, per la ricorrenza dei trent’anni dalla sua prematura scomparsa.

La metà dei proventi ricavati dalla vendita del brano sarà destinata alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro Onlus per sostenere l'Istituto di Candiolo, centro internazionale di ricerca e cura in ambito oncologico.
Prodotto da Ettore Caretta, con la produzione artistica di Alberto Tafuri, “MI CHIAMO GAETANO” è un omaggio di GIUSEPPE FULCHERI al fuoriclasse e all’uomo GAETANO SCIREA, diventato icona assoluta e leggenda sportiva al di là di ogni fede calcistica.
«Sono juventino dalla nascita e ancor di più dal periodo della Juventus di Scirea e Platini, i miei idoli da bambino e da ragazzo – racconta Giuseppe Fulcheri – Una notte dell’inverno scorso ho sognato Gaetano Scirea. Mi sono svegliato all’improvviso, sereno ed emozionato, mi sono alzato dal letto e sono andato a sedermi al pianoforte. In pochi minuti è nata Mi Chiamo Gaetano. Scirea, per me e per tantissima gente, è stato ed è un esempio di vera eleganza, perché la vera eleganza non è mai gridata né ostentata, ma si esprime sottovoce, senza clamore. Il piacere profondo di aver scritto questa canzone sta nell’aver provato a dimostrargli la riconoscenza che ho per lui e per tutto quello che ha regalato alla mia vita di bambino, di adolescente e di adulto».
Sullo sfondo del tragico incidente stradale, la canzone tratteggia la figura di Gaetano Scirea, il mitico libero bianconero con la maglia numero 6, da sempre contraddistinto in campo e fuori per la classe e la signorilità.
«Quando conobbi Giuseppe a casa mia, previa presentazione di un comune amico, ero abbastanza scettica – dichiara Mariella Scirea, la moglie di Gaetano – ma come iniziai ad ascoltare la registrazione del pezzo musicale, una forte commozione mi strinse la gola: Giuseppe era riuscito a mettere in musica i gesti, i sentimenti insomma tutto quello che rappresentava mio marito Gaetano. Così diventammo amici. Io gli sono grata per il pensiero che so essere sincero ma soprattutto per le emozioni che ha saputo far emergere dopo trent'anni in tutti noi familiari e in coloro che hanno conosciuto ed apprezzato Gaetano Scirea».
«Grazie a questo bellissimo brano dedicato a uno dei campioni più amati del calcio italiano per la sua classe e il suo stile – afferma il Direttore della Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro, Gianmarco Sala – potremo sostenere il talento dei nostri ricercatori che si impegnano quotidianamente nella sfida contro il cancro».

Gaetano Scirea, uno dei più grandi giocatori della storia della Juventus e della Nazionale Italiana (con cui si laureò campione del mondo nel 1982), apprezzato da tutto il mondo sportivo anche per le sue straordinarie doti umane, è morto in un incidente stradale il 3 settembre del 1989. Si trovava in Polonia nella veste di vice-allenatore della Juventus di Dino Zoff, ruolo assunto subito dopo la conclusione della sua carriera agonistica, per studiare da vicino il Górnic Zabrze, squadra che i bianconeri avrebbero dovuto affrontare nella fase iniziale della Coppa UEFA. L’auto sulla quale viaggiava per raggiungere l’aeroporto e rientrare a Torino prese fuoco, dopo un terribile scontro che non gli lasciò scampo.

Giuseppe Fulcheri è un autore, compositore e sceneggiatore italiano. Nato a Bologna il 29 gennaio del 1972, è docente di “Teoria e tecniche di elaborazione poesia per musica” al Conservatorio “D’Annunzio” di Pescara dal 2011. Ha scritto canzoni per artisti del calibro di Mina, Albano, Anna Oxa, Mino Reitano, Sergio Cammariere, Alexia, Neri Per Caso, Gianni Bella e Silvia Mezzanotte. Ha firmato le composizioni e le liriche di molti spettacoli teatrali e musical, e le colonne sonore di diversi film, fiction e trasmissioni televisive tra cui le canzoni dei film “Tutto l’amore che c’è” per la regia di Sergio Rubini e “Scacco pazzo” per la regia di Alessandro Haber, della fiction “Un medico in famiglia”, delle miniserie “La Uno bianca” con Kim Rossi Stuart e “Il testimone” con Raul Bova, e i programmi televisivi condotti da Teo Mammucari “Libero”, prodotta dalla RAI e “Mio fratello è pakistano”, prodotta da Mediaset. Ha sceneggiato, musicato e prodotto in collaborazione con Rai Cinema, il lungometraggio “Vorrei vederti ballare” per il per la regia di Nicola Deorsola con Giulio Forges Davanzati, Chiara Chiti, Giuliana De Sio, Alessandro Haber, Gianmarco Tognazzi e Paola Barale.

La Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro Onlus è stata costituita nel 1986 per offrire un contributo significativo alla sconfitta del cancro attraverso la realizzazione in Piemonte di un centro oncologico, l’Istituto di Candiolo (TO), capace di coniugare la ricerca scientifica con la pratica clinica e di mettere a disposizione dei pazienti oncologici le migliori risorse umane e tecnologiche. La Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro si occupa di reperire le risorse economiche attraverso attività di raccolta fondi e organizza tutte le iniziative e le manifestazioni necessarie per raggiungere questo scopo. L’Istituto di Candiolo è, infatti, l’unico centro di ricerca e cura del cancro italiano realizzato esclusivamente attraverso il sostegno di oltre 300 mila donatori privati che, grazie alla loro generosità, ne hanno fatto un centro di rilievo internazionale. L’Istituto di Candiolo è anche l’unico “Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico” del Piemonte, riconosciuto dal Ministero della Salute, a testimonianza delle importanti scoperte fatte e pubblicate sulle più prestigiose riviste scientifiche internazionali.  A Candiolo lavorano circa 600 persone tra medici, ricercatori italiani e internazionali, infermieri, personale amministrativo e tecnici. La Fondazione ha previsto per i prossimi anni un importante piano di sviluppo che permetterà all'Istituto di crescere ulteriormente, dotandosi così di nuovi spazi da mettere a disposizione di medici, ricercatori e, soprattutto, dei pazienti e delle persone a loro vicine. L'obiettivo è di curare sempre più persone e sempre meglio.

Foto copertina di Salvatore Giglio
www.giuseppefulcheri.com

Proscenio, Andrea Bizzarri a Fattitaliani: Mi piace che i personaggi siano costretti a dialogare fra loro, mettendo in evidenza pregi e difetti. L'intervista

$
0
0

Il 30 agosto nella cornice di Villa Farinacci a Roma ha inizio la rassegna teatrale “Atti O Scene in Luogo Pubblico”. Dodici appuntamenti che si svolgono nel fine settimana dedicate ai grandi e piccini. Ad inaugurare questa nuova manifestazione, voluta dal IV Municipio di Roma Capitale, la commedia scritta da Andrea Bizzarri, Souvenir. In scena, alle ore 21.00, lo stesso autore con Gianni Ferrari e Alida Sacoor (con lui nella foto) diretti da Giancarlo Fares. Andrea Bizzarri ha accettato l'invito a una nostra intervista per la rubrica Proscenio.

Bentrovati a tutti quanti voi, lettori di Fattitaliani.it! Vi ringrazio fin da subito per la disponibilità che avrete nel leggere questa mia intervista, con la speranza che possa incontrare, anche solo un po', il vostro interesse.
"Souvenir" in che cosa si contraddistingue rispetto ad altri suoi testi?
Ha un tono lievemente surreale ed è la prima volta che, in un mio testo, appare questa cifra stilistica. Sono stato sempre attratto da situazioni al limite, paradossali o sorprendenti e devo dire che “Souvenir” ne coglie una che mi ha molto interessato: quella della separazione di due giovani che non riescono a spartirsi un tavolo perché è ancora vivo il ricordo di quando, proprio su quel tavolo, ci fecero l'amore.
Quale linea di continuità, invece, porta avanti ?
Una vera e propria gabbia per i personaggi. Non amo molto gli avvicendamenti narrativi con scene che si interrompono a ripetizione e che danno vita a nuove scene. Mi piace che i personaggi non abbiano via d'uscita, o meglio, che non le preferiscano; che siano costretti a dialogare fra loro, mettendo in evidenza pregi e difetti. Da qui possono nascere cortocircuiti comici così come dramamatici.

Com'è avvenuto il suo primo approccio al teatro? Racconti...
L'ho avuta in eredità dai miei genitori che, per anni, hanno fatto parte di una compagnia di teatro amatoriale. Mi ricordo che da piccolo, sei o sette anni, mi piaceva tantissimo guardare le prove, provare ad interpretare i personaggi quando qualcuno degli attori non era presente alle prove, spiare lo spettacolo da dietro alle quinte, insomma, sentirmi parte di quell'evento che ha sempre avuto qualcosa di attraente.
Quando scrive un testo nuovo può capitare che i volti dei personaggi prendano man mano la fisionomia di attrici e attori precisi?
Sì, può capitare e anche più spesso di quanto si possa immaginare. Fino ad ora, la scrittura dei testi è sempre stata finalizzata alla messa in scena, per cui, orientativamente, ero già a conoscenza di chi avrebbe dovuto interpretare i ruoli. A dire la verità, non mi dispiace. Limita il campo e, proprio per questo, stimola molto la creatività.
Per un autore teatrale qual è il più grande timore quando la regia è firmata da un'altra persona?
Che non traspaia il significato che, in fase di scrittura, l'autore ha attribuito al testo. Se si sceglie una regìa di cui ci si fida, però, questo timore svanisce. Al contrario, la persona che ti dirige ti fa percorrere strade, sia come autore che come attore, che non credevi potessero essere nascoste in quello che avevi scritto. A questo punto, è come se ti trovassi con un “doppio testo”: qualcosa di ancora più interessante di quello che avevi scritto (sperando che lo fosse, interessante!).
Quanto è d'accordo con la seguente citazione e perché: "Teatro è guardare vedendo" di Giorgio Albertazzi?
L'ha detto Albertazzi? Allora moltissimo! Scherzi a parte, sono d'accordo. Vedere qualcosa implica che ci sia anche un coinvolgimento emozionale, quindi è quanto di più auspicabile per chi fa Teatro.
Il suo aforisma preferito sul teatro... o uno suo personale...
Su questo punto sono molto impreparato! Non ho un aforisma, un po' perché non mi piacciono, un po' perché non li ricordo (forse la seconda frase è conseguenza della prima!). Mi viene in mente la risposta di Strelher al perché faccia Teatro: “Io so e non so perché faccio Teatro [...]”; anche l'ultimo discorso a Taormina di Eduardo: “È stata tutta una vita di sacrifici e di gelo; così si fa il Teatro, così ho fatto.” Personaggi che hanno fatto il loro mestiere con professionalità, dedizione e passione.
Assiste sempre alla prima assoluta di un suo lavoro? 
Un po', perché ci devo andare per forza! Spesso sono attore all'interno dello spettacolo e quindi coinvolto pienamente. In alternativa, mi piace molto vedere la realizzazione di quello che è stato fatto durante le prove e paragonarla alla crescita durante le altre repliche. In più, credo che la presenza e il supporto dell'autore siano sempre ben graditi, sopratutto ad un debutto. O forse no!
L'ultimo spettacolo visto a teatro? 
Novecento, al Teatro Eliseo. Allegri è uno strumento vivente. Grande interpretazione.
Degli attori del passato chi vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo? 
Gassman, nei ruoli comici. Totò, nei ruoli drammatici. Per Totò ho un amore sconfinato. Una grandissima maschera, nel vero senso della parola. Quella malinconia celata sotto a ogni espressione lo rendeva, secondo me, un grandissimo attore drammatico, oltre a un insuperabile comico.
Il miglior testo teatrale in assoluto qual è per lei?
Non saprei proprio: anche su questo, impreparato! Mi piacciono molto i testi pirandelliani, ma anche fra gli autori contemporanei nostrani ci sono delle grandi eccellenze. I gusti cambiano e, con certe opere odierne, mi sento molto in sintonia.
La migliore critica che vorrebbe ricevere?
Sul piano autoriale, mi piacerebbe molto che i miei testi si legassero ad aggettivi come insolito, originale, coerente e scomodo.
La peggiore critica che non vorrebbe mai ricevere?
Scialbo.
C'è un passaggio, una scena che potrebbe sintetizzare in sé il significato e la storia di "Souvenir"?
Ad un certo punto Giampaolo, uno dei due contendenti, si sbaglia e utilizza un “noi”, includendo nell'azione che vorrebbe fare anche l'ormai ex moglie Viola. Il notaio Poldo glielo fa notare e Giampaolo ripiega, assistito anche da Viola, verso l'“io”. C'è veramente la volontà, da parte di entrambi, di lasciarsi? Venire per scoprire! Giovanni Zambito.

Parole e Musica a San Martino. Convivio di poeti nel cuore della città di Bojano nel segno della Grande Bellezza

$
0
0

Poesie, parole, musiche, ricordi, emozioni per sottolineare la bellezza dell’animo umano, nell’ambito di Molise Noblesse, il Movimento per la Grande Bellezza ed e-MOVO Mirr or Art, sorto laddove si stendeva l’antica capitale dei Sanniti Pentri.
E’ questo il senso di “Parole e Musica a San Martino”, un convivio che vedrà la partecipazione di poeti da tutto il Molise per una serata tributo in onore del compianto presidente della Pro Loco, Modesto Zaccaro, pilota d’aereo, oltre che scrittore, articolista e punto di riferimento della cultura popolare. A 25 anni dalla prima edizione della manifestazione “Pietrecadute Poesia e Musica”, da lui inaugurata proprio il 30 agosto, del 1994, su iniziativa del Centro Studi Agorà e del quotidiano internazionale Un  Mondo d’Italiani diretto da Mina Cappussi, la diffida poetica, con musica dal vivo, testi classici, in vernacolo, in lingua, contemporanei e di sperimentazione linguistica, nella suggestiva via San Martino, nel cuore del centro storico della città, che si diparte in salita e su gradoni, da corso Umberto I, l’antico tratturo Pescasseroli Candela, conosciuto come il “Vico per Dentro”. Venerdì 30 agosto 2019, a partire dalle 19.30 a Bojano, in via San Martino, la kermesse culturale nel solco di Turismo e Cultura, Patto per lo Sviluppo del Molise. Poesia e non solo, per dare voce alle emozioni più profonde. Con alcune simpatiche novità. “Trica e venga bona”, per esempio,è una espressione dialettale desueta, un augurio che sta a significare “Aspetta pure con fiducia, anche se ritardasse, ti andrà bene!”. Ed è il titolo della commedia scritta da Alessio Spina, che, all’epoca in cui nasceva  l’Università del Molise, era il 14 agosto 1982, ha immaginato le vicende di una famiglia in cui sono ospitati studenti universitari, nel contesto cittadino bojanese. Una scena della commedia, in anteprima assoluta, sarà presentata nella stessa serata, interpretata da Alessio Spina (Luigino), Claudia Patricelli (Cesira), Sabina Iadarola (Carolina), Mina Cappussi (narratore). Ancora in esclusiva la poesia Alle venditrici di origano, sarà presentata da Lucia Buttino in abito tradizionale di Campochiaro. C’è poi la sezione di Sperimentazione linguistica, con Mina Cappussi (Requiem musca) e il giovane Giuseppe Marro (Dolci Demoni). Il programma prevede due parti più propriamente poetiche, la sezione Memoria, dedicata ai versi di poeti che non sono più con noi, quali Mario D’Alessio, Gino Tellaroli, Valentino Nero, interpretati da Elisa e Franca D’Alessio, Antonella Colangelo, Manuela e Samuele Doganiero. Per la sezione Storia Patria, una vera e propria chicca, i versi di Berengario Amorosa, “O Pentro Guerriero” recitati da Alessio Spina, composti e presentati in occasione dell’inaugurazione del Monumento ai Caduti il 24 maggio 1922.
“Un momento, quello, di forte tensione emotiva – spiega Mina Cappussi – poco dopo la fine della Prima Guerra Mondiale che a Bojano aveva fatto registrare 80 giovani vite spezzate. Le emozioni, insomma, percorrono tutto il filo narrativo della serata, che accoglierà poeti di alto spessore, assieme a chi si è dilettato nei versi, ma ha pur sempre sperimentato un linguaggio del cuore. Inoltre, nessuno aveva mai pensato a dedicare un tributo a Modesto Zaccaro, che tanto ha dato alla città di Bojano, tentando di unire le diverse fazioni con il collante della cultura popolare. Ho proposto l’idea alla famiglia, che ne è stata subito entusiasta. Non potevo immaginare che la data fissata ricalcasse esattamente il venticinquennale!”

I versi saranno sottolineati e intercalati da brani musicali a cura di Costantino Pietrangelo (voce), Federica Castrilli (chitarra e voce); Lorenzo SPINA (clarinetto). Dicitori saranno Mariantonietta ROMANO, Alessio SPINA, Salvatore BRUNETTI, mentre il momento conviviale sarà a cura del Comitato di Quartiere San Martino. “Un quartiere virtuoso – aggiunge la Cappussi – che ha recepito con gioia la proposta, esempio di unità e di amicizia di buon vicinato. E’ grazie a Dora Nero, a Franca Romano, Bruno Liberatore, Annamaria, Giuseppe, Liberato, Maria Luia, Mafalda, Anna, Gaetano, Maria Luisa e a tutti gli altri del rione San Martino che la manifestazione si svolgerà in uno degli angoli caratteristici e suggestivi, complice la luce calda dei lampioni e le fiammelle dei lumini che indicheranno la location, dal vicolo di fronte al municipio e dalla strada al lato della Cattedrale. Artisti e poeti verranno da Roma, Napoli, Pozzuoli, Matera, Campodipietra, Campobasso, Isernia, Vinchiaturo, Monteroduni, Montagano, Baranello, Agnone, Mirabello, San Polo, Campochiaro, Colle D’Anchise a ricordarci che la poesia non ha confini e che siamo tutti uniti nella Bellezza”.
E di bellezza parlerà anche don Rocco Di Filippo, parroco dell’Antica Cattedrale, che ha aderito fin da subito, con entusiasmo, al Movimento per la Grande Bellezza nato a Bojano. Presentata da Mina Cappussi e Maurizio Varriano, la manifestazione si aprirà con un ricordo di Modesto Zaccaro a cura di Mina Cappussi, Claudia Patricelli, Costantino Pietrangelo e vedrà la presenza dei poeti:
Gianfranco ROSSODIVITA (Campodipietra); Carmen D’AMICO; Iliana ONESTI (Isernia); Salvatore BRUNETTI (Pozzuoli); MarioD’ANCONA (Vinchiaturo); Pina DI NARDO (Campobasso); GiovanniMAIO (Baranello); Adalgisa DELL’OMO (Bojano);Lucia BUTTINO (Campochiaro); Silvana DE LUCA (Isernia); Antonio GARGANO (Bojano); Giuseppe MARRO (Bojano); Mina CAPPUSSI (Bojano); Maurizio VARRIANO; Linetta COLAVITA (Campobasso),Nicola ROMANO (Bojano); Carmelina Giancola, la figlia di Adelio CANNARSA, Stefania (Vinchiaturo).

Tra le chicche, le canzoni con i testi dei bojanesi Geppino Gentile e Fiore Velardo, i versi di Fernando CATERINA (Montagano) “Ngoppa a lu paese”, quelli di Mario D’Alessio giunto a Bojano, da Mirabello, con il padre, Marco Di Biase, farmacista dei primi anni ’20 del ‘900, che in seconde nozze sposò Ester Spina, dalla quale avrà Mincuccio, Gino (per oltre 20 anni sindaco di Bojano), Letizia e Dario. Filosofo, fotografo, poeta, Mario è stato insignito del titolo onorifico di Accademico Tiberino, lo spettacolo di recitazione e musica ideato da Federica Castrilli sulla vicenda cinquecentesca di Delicata Civerra.

A chiusura consegna degli attestati di partecipazione per poeti, dicitori, presentatori e della targa commemorativa alla famiglia di Modesto Zaccaro, nelle mani della moglie, Mariantonietta Ferri e della figlia, Georgia Zaccaro.

L’evento è organizzato da Centro Studi Agorà – Un Mondo d’Italiani, in collaborazione con partner regionali, nazionali e internazionali: Casa Molise, Il Pentagramma, Matese Mountain Bike, Gruppo AWA, Karibu e Integramondo, AITEF Onlus (Associazione Italiana Tutela Emigrati e Famiglie); ASMEF; AICCRE Puglia; Matese Arcobaleno; ADIFORM; Via Micaelica Molisana; Attraverso il Molise; Servizio Civile Universale, Comune di Macchia d’Isernia, Comune di Fornelli; Comune di Campodipietra; Comune di Cerro al Volturno; Comune di Limosano; Molise Avventura, Borghi d’Eccellenza, Corredor Productivo (ARGENTINA); Molise Club Melburne (AUSTRALIA); Società Bagnolese Vancouver (CANADA); Museo Diocesano Bisceglie, Trani, Barletta; Associazione ‘’Il Tratturo’’ Campodipietra; Pro Loco Cerrese 1982.


Fotografia, Tanino Musso a Fattitaliani: il mio sguardo non è mai rimasto indifferente verso l’Altro. L'intervista

$
0
0
Fino a domenica 8 settembre 2019 al Cifa di Bibbiena è possibile visitare la mostra fotografica “Il Mondo nell’obiettivo. I fotografi delle Ong” curata da Claudio Pastrone in collaborazione con Giovana Calvenzi e Giuseppe Frangi. L'esposizione vede coinvolte più Ong e fotografi tra cui Tanino Musso con il progetto "I create my self: Annitwe Tabitha". Fattitaliani lo ha intervistato.

Tanino, come ti presenteresti ai lettori di Fattitaliani come persona e fotografo?
Ho sempre avuto una grande passione per la fotografia, ho lavorato 40 anni  come inviato al TG della RAI, adesso ho 67 anni, sono in pensione, e metto a disposizione le mie competenze in varie attività sociali. Da diversi anni collaboro con una scuola di italiano per stranieri a Milano, nell’ambito della rete scuole coordinate dall’ufficio per la Pastorale dei Migranti. Questa rete comprende circa un centinaio di scuole, che offrono lezioni di italiano gratuite e occasioni di incontro, solidarietà, Integrazione. Personalmente vi collaboro come insegnante e documentarista fotografico. Negli ultimi 15 anni ho sperimentato il valore del ritratto fotografico, in particolare in quegli ambiti dove le persone vivono una condizione di marginalità e anonimato Nella mia vita professionale ho visto di tutto in giro per il mondo, dalle guerre alle firme per la pace, paesaggi straordinari e altri desolanti, il mio sguardo non è mai rimasto indifferente verso l’Altro.  
Quali elementi hai tenuto costantemente presenti nel tuo percorso umano e professionale?
Pur mantenendomi fedele alla realtà che avevo di fronte, ho scelto  di non indugiare mai sul sangue o sul dolore dei volti delle persone colpite da eventi tragici. Anche laddove sembrava non esserci alcuna possibilità di speranza, ho cercato un elemento capace di dare uno spiraglio alla luce.
Ci puoi raccontare la storia di "I create my self: Annitwe Tabitha"?
Nel 2018 con mia moglie ed una collega della RAI abbiamo realizzato un progetto condiviso con la ONG AVSI, in una scuola situata in una enorme slum nella periferia di Kampala. Progetto dal titolo “I create myself” sviluppato attorno al tema dell’identità attraverso il ritratto fotografico. Il progetto oltre a sviluppare le capacità percettive e creative tramite l’utilizzo di attività manuali e pittoriche, ha introdotto l’uso della fotografia. Obiettivo è stato quello di dare lo spunto ad un lavoro sulla valorizzazione dell’identità, la riflessione sulla propria unicità e irripetibilità partendo dall’immagine di sé.
I bambini hanno mostrato entusiasmo, curiosità, stupore per il fatto di essere protagonisti di quel momento nuovo e dell’intento in esso contenuto. Scopo del progetto è stato quello di avviare lavoro sull’identità che potesse essere proseguito liberamente e creativamente durante l’anno, integrandolo alle consuete attività didattiche.
Il workshop voleva essere un punto di partenza e si è rivelato una concreta conferma dell’intuizione che per i bambini il possedere una proprio foto, la bozza di un “libro” che parla di loro, rappresenta l’opportunità concreta di riflettere sul proprio valore, determinato dal fatto che sono veramente unici e irripetibili.
Annitwe Tabitha (nella prima foto) è il nome di uno dei bambini coinvolti, i bambini di questa scuola dello slum di Kireka, Kampala, riescono a frequentare grazie all’adozione a distanza.
Come vivi le recenti notizie sulle ONG spesso trattate con toni polemici e violenti?
Il clima che è stato creato attorno alle ONG, lo vivo con molto dissenso. Ho visto al lavoro in giro per il mondo  le ONG e i miracoli che fanno per rendere la vita più umana a persone che hanno bisogno o hanno perso tutto per la follia della guerra, delle carestie, dei cambiamenti climatici, delle politiche contro le minoranze.
Quanto e quando riesci a registrare e immortalare un evento controllando eccessivo coinvolgimento ed emozione?
Controllare l’emozione documentando quello che vedi, è un esercizio che richiede esperienza. Anche quando si è imparato a farlo rimane il coinvolgimento umano, perché il coinvolgimento è una questione di cuore. Molti anni fa ho girato uno sterminato campo profughi ai confini della Somalia ed Etiopia, avvolto da una polvere rovente, alcune mamme e bambini avevano delle taniche gialle per l’acqua desolatamente vuote, vorresti aiutarli ma non puoi, quegli sguardi mi sono rimasti impressi per sempre.
Quanto dà in più o di diverso una fotografia rispetto a un articolo, un editoriale, un saggio
Credo per esperienza che anche una sola immagine o una ripresa video si imprime nella memoria molto più qualunque articolo e tuttavia la parola talvolta si rende necessaria.
Ci sono altri soggetti che ami particolarmente ritrarre?
Nelle mie ricerche fotografiche il paesaggio urbano è quello che ha maggiore spazio, le ombre e i contrasti di luce mi hanno sempre coinvolto.
Sei d'accordo con questa citazione? ti piace? "Delle volte arrivo in certi luoghi proprio quando Dio li ha resi pronti affinché qualcuno scatti una foto". (Ansel Adams)
Conosco bene il lavoro di Ansel Adams, condivido pienamente questa riflessione. Vi sono paesaggi di infinita bellezza che ti obbligano a cercare una risposta al di fuori di te. Giovanni Zambito.

Concorso fotografico JOBS. Forme e spazi del lavoro nel tempo della Quarta rivoluzione industriale. Per fotografi Under 35

$
0
0
JOBS. Forme e spazi del lavoro nel tempo della Quarta rivoluzione industriale è il concorso fotografico organizzato dall'associazione Linea di Confine per la Fotografia Contemporanea che si propone di selezionare ed esporre le ricerche autonomamente svolte da autori under 35 in Italia ed in Europa, con la finalità di dare visibilità alla sensibilità e all’interesse che le giovani generazioni mostrano ai temi della trasformazione del lavoro e degli spazi della produzione. 

Con l’economia circolare e la Quarta rivoluzione industriale, caratterizzata da un forte impulso all’automazione, il lavoro ha assunto nuove forme in rapporto alla tecnologia e al territorio, diventato una vera e propria “fabbrica a cielo aperto”. La fotografia contemporanea si è preoccupata, in questi decenni, di sottolineare la scomparsa del lavoro e la dimensione astratta dei processi produttivi, tuttavia, da più parti, si avverte la necessità di una visione più approfondita sui cambiamenti che interessano il lavoro e gli spazi della produzione.

Entro il 12 ottobre, i giovani autori potranno presentare le proprie ricerche che saranno selezionate da una commissione composta da Antonello Frongia (storico della fotografia, Università Roma 3), William Guerrieri (fotografo, curatore Linea di Confine), Guido Guidi(fotografo), Stefano Munarin (urbanista, IUAV) e da Andrea Pertoldeo  (fotografo e coordinatore Master fotografia IUAV).
Le ricerche selezionate saranno esposte all’Ospitale di Rubiera (RE), nel contesto di una giornata di studio e di una mostra di fotografie di autori di rilevanza internazionale a cura di Linea di Confine, che inaugurerà in data 16 novembre 2019.

Modalità di partecipazione

Per partecipare al concorso i canditati dovranno inviare via email, entro e non oltre il 12 ottobre 2019, all'indirizzo dell’associazione (L’Ospitale, Via Fontana 2 42048 Rubiera, REinfo@lineadiconfine.org) un portfolio di un minimo 13 e un massimo di 30 fotografie, in formato digitale, oppure in formato cartaceo, inerente le tematiche del concorso, oltre ai dati anagrafici e fiscali, il curriculum e i propri recapiti postali ed email e una breve presentazione del progetto.
I partecipanti dovranno versare una quota di iscrizione di 20,00 Euro a Linea di Confine, tramite bonifico bancario (IBAN: IT07C0538766470000001031239). Tutti i partecipanti riceveranno una email di conferma del materiale ricevuto. Tutti i progetti pervenuti in regola con le norme concorsuali saranno sottoposti al giudizio della Commissione.
La Commissione selezionerà un minimo di 10 progetti che saranno esposti, con modalità definite da Linea di Confine nelle sale espositive dell’Ospitale di Rubiera, in concomitanza con la giornata di studio e la mostra collaterale di fotografie e documenti che inaugurerà il 16 Novembre 2019. I materiale fotografici, o video o altro, pertinenti ai progetti selezionati saranno prodotti ed inviati a cura dei partecipanti nelle quantità e nelle dimensioni richieste dalla commissione esaminatrice. I materiali inviati dai partecipanti ed esposti nella mostra, rimarranno di proprietà degli autori e saranno rispediti a cura di Linea di Confine ai partecipanti che ne faranno richiesta esplicita, al termine della mostra.

Il bando e maggiori informazioni e materiali di approfondimento sono disponibili sul sito:

Linea di Confine
per la Fotografia Contemporanea
L’Ospitale
Via Fontana 2
42048 Rubiera, RE
info@lineadiconfine.org

Foto: Stephen Shore, Luzzara, 1993. © Stephen Shore. Dalla collezione Linea di Confine

IL GRANDE VECCHIO E FRANCESCO LENOCI, i tour in Italia d’un infaticabile promoter delle eccellenze pugliesi

$
0
0
di Franco Presicci -
MILANO - Il grande vecchio non è un vegliardo dal volto incartapecorito che nei paesi del Sud si sedeva su un muretto o sul basamento di una statua o su una panchina e regalava ai giovani scampoli della sua esperienza.
E’ un ulivo secolare, saraceno, dalla sagoma barocca, superba, maestosa, con il tronco aggrovigliato e l’ampia chioma ad ombrello. Troneggia con altri 800 esemplari nella masseria Brancati di Ostuni, dove il professor Francesco Lenoci il 24 agosto ha tenuto una conferenza sul tema “Olio olio olio”.

Quel parlatore instancabile, che è appunto Lenoci - docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano - che va scoprendo valori veri durante i suoi “tour” da un capo all’altro dello Stivale, così appassionato da trascorrere anche l’estate non al mare o in montagna, bensì saltando da un’architettura rurale a Matera, al Castello Aragonese; a Cellino San Marco, nella tenuta di Al Bano, a parlare di vino, di ceramica, di olio… Pochi giorni fa era nel complesso di via Sparta Cavalluzzo, di Silvia Caramia, a celebrare davanti a un pubblico interessato e attento anche quella sostanza che ogni giorno condisce e delizia i nostri piatti, appunto l’olio di oliva, ricorrendo, a volte, anche alla favola per chiarire un concetto o per dare al discorso un tocco di poesia.


Parla e dialoga con i presenti, fa loro domande, ottiene risposte corali. In una delle sue “lezioni” ha recitato il dialogo tra il giornalista Fabrizio Mangoni e una bottiglia di vetro trasparente su cui è evidenziato un ramo d’olivo: “Signora bottiglia, se le ricorda le olive?”. “Certo che le ricordo bene! Porto ancora nel cuore l’odore della campagna, il sole e il vento che muoveva i rami e ho ben presente mio nonno: l’ulivo forte e rispettato. Non posso dimenticare l’affetto di mia madre: l’oliva. Quante attenzioni per proteggerla, per difenderla fino a settembre, al momento della raccolta. Ricordo le lunghe braccia d’acciaio che scuotono i rami e mani ruvide stranamente delicate. Ho ancora nelle orecchie voci di donne e uomini che sono lì a realizzare speranze…”. Alla fine chiede alla bottiglia di rivelare la definizione che dà di sé il suo olio. “Sono sfuggente e cangiante… viaggio nel cuore degli uomini… raggiungo la loro mente… frequento i pensieri, vivo tra le emozioni. Pensi che di me parlò Omero. Non voglio apparire presuntuoso, ma con gli uomini io ho attraversato la storia”. Era infatti vivo e vegeto ai tempi di Gesù e ancora prima.

Il dialogo e la passione con cui Lenoci lo ha riproposto risvegliando ricordi di frantoi, centrifughe, profumi, il mondo contadino, le sue sofferenze, le sue fatiche, a volte commuove. Spesso si versa l’olio sulla minestra senza pensare al suo percorso fra la pianta e la tavola. Dalla masseria di Ostuni a Matera per lui il passo è stato breve. E nella capitale della cultura 2019 ha tenuto una delle sue conferenze più coinvolgenti sulle bellezze del luogo, sulla sua storia, sulle attività artigianali, sui Sassi, che poi abbiamo ritrovato nelle foto scattate da un maestro dell’obiettivo, un artista dell’immagine: Cataldo Albano, che le espone nella galleria meridionale del Castello Aragonese di Taranto. L’inaugurazione si è svolta il 26 agosto, poche ore dopo la notizia che la città dei due mari a Patrasso era stata scelta come sede dei Giochi del Mediterraneo del 2026.
  
L’appuntamento era per le 20, ma i primi invitati sono arrivati mezz’ora prima, assediando Lenoci con quesiti su questo e quell’argomento. C’era chi lo interrogava sui Giochi e chi gli chiedeva della sua imminente prolusione nella tenuta di Al Bano, il grande cantante pugliese che con la sua voce scatena le platee. Lui riferiva anche su quella del 23 giugno a Materain quel meraviglioso ipogeo che risponde al nome di Lopa, dove ha anche citato quell’attrezzo munito di rampino che serviva a recuperare il secchio caduto nel pozzo (“a Martina ce n’erano tanti, in città e in campagna, e il ‘curcele’, la lopa, il rapino sempre a portata di mano). Non perde occasione per rispolverare anche i suoi ricordi: il pane che faceva in casa sua madre e i sacri riti che accompagnavano l’alimento sulla tavola.

Il ceramista Cosimo Vestita gli ha mostrato in anteprima un gallo in terracotta, un dono per l’ammiraglio Salvatore Vitiello, comandante della Marina Militare per il Sud Italia. Silvia Brambilla, titolare del Bed & Breakfast di via Sparta Cavalluzzo a Martina Franca, accennava ad alcuni amici l’intervento del docente nella sua proprietà il 2 agosto. Mentre Cataldo Albano schizzava di qua e di là per dare gli ultimi ritocchi all’allestimento, i posti si riempivano. “Momento, devo controllare il microfono”, diceva a chi tentava di bloccarlo per sollecitargli un’informazione. Qualcuno sfogliava l’elegante catalogo della mostra collocato su un tavolino e ne elencava le doti.

Ed ecco l’ammiraglio Vitiello nella sua divisa bianca attraversare la sala, avvicinarsi al microfono, salutare i convenuti. Tra lui e Cataldo Albano c’è stato uno scambio di doni (anche il gallo dai colori vivaci), sotto l’occhio magico della televisione. L’alto ufficiale ha preso quindi la parola, spiegando l’attività che si dipana nel maniero, elogiando l’artista e le sue opere. E’ toccato poi ad Albano, che ha descritto i suoi quattro giorni a Matera per riprendere chiese, case-grotta, vicoli, scalinate, scalpellini, mani impegnate in lavori in legno, di cartapesta, nella confezione di fischietti o nella lavorazione del pane, il famoso pane di Matera, al quale ha accennato anche Francesco Lenoci, in questa e in altre occasioni, a Laterza e ad Altamura.

Poi Cosimo Vestita ha esibito un vaso dal quale nell’antica Grecia si beveva il vino, ha elogiato anche lui i “quadri” esposti, che danno emozioni, coinvolgono l’osservatore, fanno vivere la città, la fanno subito amare. Albano ha colto i dettagli, puntato l’obiettivo su un campanile, su un agglomerato di case, su un monumento, su una stradina attraversata da una fanciulla in fiore con passo da modella, e lo ha fatto con grande slancio. Bisognerebbe vederlo al lavoro: esplora il contesto, si acquatta per catturare la luce giusta. Artista pellegrino, riesce a sorprendere ovunque angoli insospettati. E’, come Lenoci, un paladino della bellezza. Anche per lui la bellezza salverà il mondo. E’ soltanto una speranza? Allora organizziamo la speranza, come esorta il docente, che alla Cattolica insegna metodologie e determinazioni quantitative d’azienda nell’innovativo Corso di laurea Blended “Direzione e Consulenza Aziendale DECA, e viene definito “il miglior ambasciatore della Puglia a Milano”. A giudicare dal suo dinamismo, dai suoi viaggi, non soltanto nel capoluogo lombardo.
  
Matera è nel cuore di entrambi. La Matera in cui iniziò la sua carriera di professore di latino e greco Giovanni Pascoli, il 7 ottobre del 1882 e dove, nel vecchio carcere, con un’accusa infondata, dalla quale venne assolto con formula piena, trascorse un periodo di tempo Rocco Scotellaro, scrittore, poeta e uomo politico (si ricordano “L’uva puttanella”, “E’ fatto giorno”, l’inchiesta sui contadini del Sud…). La Matera in cui furono girati tanti film: “La Lupa” di Alberto Lattuada, nel ’53; “La passione di Cristo”, di Mel Gibson, nel 2004; “Il Vangelo secondo Matteo”, di Pier Paolo Pasolini, nel ’64; “Volare come il vento”, di Matteo Rovere, nel 2016; nella vicina Craco, il paese disabitato per una frana, “Cristo si è fermato ad Eboli,” di Francesco Rosi con Gian Maria Volonté… E la Matera dei poeti: per Angela Aniello Materiaè “divina, ridono i Sassi come voci stanche di contadini/ sublime bellezza il malinconico profilo dei sensuali abbracci in un presepe di cuori, vissuti, sentiti…”.
  
Quando è venuto il suo turno Mariella Cuoccio, di Bitonto, in provincia di Bari, ha letto pagine di Carlo Levi, che a Matera scontò il confino e ha citato Guido Piovene che nel suo “Viaggio in Italia” si è soffermato anche su questa splendida città. Ha quindi recitato alcuni suoi versi: “Sola nel mio cuore/ mi interrogo, mi accarezzo/ piango, sorrido/ solo alla fine capisco che ho Matera ‘dentro’”. Peccato che lo spazio c’impedisca di ricordare gli altri poeti che alla città della cultura si sono ispirati.

La serata si è conclusa con un assaggio di Aglianico del Vulture e fette di pane di Matera con gocce d’olio. Il pubblico sembrava non avere voglia di rientrare a casa. Ha dato un altro sguardo alle foto di Cataldo Albano e alla piazza d’armi del Castello. Fuori, la facciata del municipio era tutta illuminata, una fila di gente percorreva la ringhiera affacciata sul Mar Grande, che accoglieva balli di stelle palpitanti. Il dottor Enzo Rocca, vicedirettore del Credito Valtellinese, che prima del “vernissage” aveva fatto un giro per il borgo vecchio, puntando l’obiettivo della sua macchina fotografica sul Mar Piccolo e i pescherecci che lì sono all’ormeggio, ha invitato sulla propria auto Lenoci, già pronto per Verona e Milano, dove quest’evento verrà replicato.  Noi siamo rimasti ad osservare la ringhiera e il bus, i cui fanali sembravano occhi che perforavano il buio. E pensavano alla poesia di Sante Ancona, appena letta da Lenoci: “E’ bello ritornare laddove siamo nati/ … bello portare in patria/ un seme che germogli e si moltiplichi… “. Bella Taranto, “capitale del mare… quelle onde se le cuce addosso”.

Erica Muraca, Regista Trasformazionale: il cinema può plasmare la mente e l’anima delle persone. L'intervista

$
0
0

Intervista di Andrea Giostra. «Tutto quello che creo nasce da un’urgenza, da un bisogno di prendere per mano il pubblico e di trascinarlo con me in un luogo dove le speranze diventano realtà»

Ciao Erica, benvenuta e grazie per la tua disponibilità. Se volessi presentarti ai nostri lettori cosa racconteresti di te quale artista della settima arte?
Grazie a te, Andrea. Inizierei così: il cinema mi ha conquistata cinque anni fa. Io vengo dalla danza prima e dal teatro poi. Credevo che sarei rimasta in questi ambiti per il resto della mia vita fino a quando, nel 2014, mi è stato regalato un viaggio in Californiae a Los Angeles ho cambiato idea. Anzi no, non ho cambiato idea, la mia idea si è espansa. All’epoca mi occupavo già di regia ma solo in ambito teatrale. Quando ho sentito che avevo un messaggio da portare a un pubblico più ampio non ho avuto molta scelta se non l’espansione. Ecco, per me la regia cinematografica è espansione.
Nel tuo sito ufficiale ti definisci una “Registra Trasformazionale”. Vuoi spiegare ai nostri lettori cosa significa esattamente?
Mi definisco Regista Trasformazionaleperché non mi occupo solo dell’arco di trasformazione dei personaggi della storia ma anche e soprattutto di quello del pubblico. Tutto quello che creo ha lo scopo di cambiare il punto di vista degli spettatori sulla realtà circostante e, di conseguenza, il loro approccio alla vita. Il mio obiettivo è di farli uscire dalla sala con la convinzione che anche loro possono cambiare vita e possono farlo da subito. Utilizzo tecniche che appartengono al mondo del life e spiritual coaching(da qui il termine ‘trasformazionale’) nella struttura, nella scrittura e nei contenuti del film. In molte creazioni esplicito anche quali tecniche utilizzo e come e in questo modo le passo direttamente al pubblico. Attraverso quello che creo mostro al pubblico come rompere la quarta parete della vita, quella cioè che divide il possibile dall’impossibile e rendere possibile tutto.
Qual è stato il tuo percorso artistico che ti ha condotto dove sei ora professionalmente?
È stato un percorso artistico molto vario. Tanti anni di danza e coreografia che oggi m’ispirano nel montaggio video, nel gioco con i contrasti immagini-musica, nel creare composizioni a effetto e nel prediligere un girato fatto di movimento, anche azzardato, della camera. Poi il teatro, da attrice prima e da regista poi, con la sua profondità e con il suo bisogno di contatto con il pubblico mi ha insegnato ad avere un rapporto di onestà e di rispetto con lo spettatore: è lui che rende possibile l’esistenza dell’atto scenico, ha pagato un biglietto per salire su un mezzo che possa condurlo a una verità e a te, che stai in scena, spetta di trasportarlo. Poi il teatro sociale, il master in drammaterapiae i percorsi di crescita personale e spirituale hanno reso possibile la mia espansione al mondo del cinema: tutto quello che creo nasce da un’urgenza, da un bisogno di prenderlo per mano quel pubblico e di trascinarlo con me in un luogo dove le speranze diventano realtà, dove il paradiso esiste ed è già qui, dove la vita ti porta esattamente dove vuoi tu. E solo il cinema può rendere visibile questa trasformazione e questo nuovo modo di vivere nel mondo.
Come nasce la tua passione per il cinema?
Sono l’ultima di quattro figli e i miei fratelli sono molto più grandi di me. Sono cresciuta senza cartoni animati, solo film, tutto il tempo. Alternavo serie televisive a film, film a serie televisive. Guardavo lo stesso film, anche tre, quattro volte al giorno, per imparare a memoria le battute e poi le recitavo in giro per casa. A 8 anni avevo le idee molto chiare e ripetevo che un giorno sarei andata a vivere a Hollywood. Così fino alle medie. Ricordo certe estati in cui, con i miei cugini al mare, passavamo i giorni a girare corti tra il paradossale e l’horror. I miei genitori pensavano che tutto si sarebbe ‘risolto’ una volta arrivata alle scuole superiori e invece no: a quattordici anni mi sono iscritta all’Istituto d’Arte di Parma a un corso sperimentale in Discipline dello Spettacoloe ho iniziato ad appassionarmi al cinema espressionista tedesco e al cinema neorealista. Mia madre ha visto con me film muti e in bianco e nero per anni. In casa avevamo VHS ovunque, registravo qualsiasi cosa in TV. A tredici anni ho rubato la videocamera a mio fratello, a diciassette ho comprato la mia prima. Giravo video alle feste con amici, ai concerti, in vacanza. Solo adesso, pensandoci, mi rendo conto da dove nasce una certa passione per i documentari…
Chi sono i tuoi modelli e chi sono stati i tuoi maestri che vuoi ricordare in questa intervista?
In primis, il Fritz Langdi Metropolis. Questo film mi ha segnata e per certi aspetti, sconvolta. Qui ci ho visto, per la prima volta, il genio. Non sto parlando solo della regia o della musica: sto parlando dell’urgenza di narrare un disagio interiore e di riuscire a rifletterlo, come uno specchio, nella realtà circostante. Poi il cinema neorealista con la sua verità e il bisogno di stare con la gente, di raccontare la gente. Lì, ho trovato una dimensione sociale che mi appartiene. Un cinema fatto dalle persone, per le persone. In questo caso è difficile scegliere un regista ma, influenzata da un incontro pubblico tenuto da Martin Scorsese qui a Romaqualche mese fa in cui elencava i suoi autori preferiti, direi che ci sono ottime motivazioni per preferire, su tutti, lui: Pierpaolo Pasolini. Poi Terrence Malick, con il suo stile riflessivo, filosofico e spirituale che appartiene anche ai miei lavori. Le opere di Malick le ho scoperte dopo aver esordito con il mio primo cortometraggio: in quell’occasione mi è stato detto che forse avrei potuto apprezzare l’Albero della Vita, e così è stato. In generale amo molto le storie vere e i biopic. Amo coniugare una certa ‘necessità’ di fare cinema (come se quest’ultimo diventasse, a un certo punto, una protesi dell’anima) e scelte tecniche e stiliste azzardate.
Chi sono secondo te i più bravi registi nel panorama internazionale e nazionale? E con chi di loro ti piacerebbe lavorare e perché?
Tra gli italiani: Matteo Rovereper l’audacia di un cinema che grazie a lui ha alzato l’asticella dello standard anche in questo paese sia a livello narrativo che tecnico; Paolo Virzìper la profondità dei contenuti, per le trame interiori - intricate e per la caratterizzazione dei personaggi; Paolo Genovese per la genuinità mai scontata e mai banale: riesce sempre a farti sentire ‘uno di casa’ in ogni suo film. Tra gli stranieri: Christopher Nolanper l’intelligenza dei contenuti e dello stile dei suoi film; anche se di Damien Chazelleho amato solo Whiplash, ne ammiro l’eclettismo: gli ultimi suoi tre film sembrano girati da tre paia di mani diverse; l’unico di cui davvero non mi stanco mai è Steven Spielberg ma credo che su questo siamo tutti d’accordo. Lavorerei con tutti loro più uno: Martin Scorsese.
«Il cinema deve essere spettacolo, è questo che il pubblico vuole. E per me lo spettacolo più bello è quello del mito. Il cinema è mito». Sergio Leone (1929-1989). Cosa pensi di questa frase detta dal grande maestro Sergio Leone? Cosa deve essere il cinema per chi lo crea e per chi ne gode da spettatore?
Wow’. Non solo rispondo così all’affermazione di Sergio Leone ma rispondo così anche in merito a quello che dovrebbe essere il cinema per chi lo crea e per chi ne fruisce. ‘Wow’ e non sto parlando solo di spettacolo. Sergio Leone parla di mito e il mito ha una componente di epicità fondamentale. L’epicità è quella cosa che tutti ci aspettiamo di vedere al cinema. La vediamo nelle storie raccontate e nel modo in cui vengono raccontate. L’epicità è alla base anche del moto delle emozioni, quelle emozioni che ci tengono incollati alla poltrona della sala. Quando da spettatori esclamiamo ‘Wow’ allora stiamo vedendo il film che fa per noi e non solo: stiamo vedendo un film che potenzialmente potrebbe cambiarci la vita. Mito, epicità e ‘Wow’. Il mito narra storie che ammiriamo, racconti potenti che hanno cambiato la storia di uno o di molti. Attraverso il cinema trasformazionale mi piacerebbe trasmettere al pubblico l’idea che ogni vita, anche la loro, può avere tutte queste caratteristiche. La trasformazione di cui parlo è carica di una forza che plasma la realtà, di un finale che crea valore per se stessi e per gli altri, di un percorso che mostra l’epicità anche nella nostra quotidianità. In questo senso il cinema diventa mito quando si fa mezzo di un modo per riappropriarsi della profondità e della unicità delle nostre esistenze: essere qui per fare la differenza. Anche per questo chi lavora nel mondo del cinema dovrebbe sempre pensare di essere tramite di un effetto ‘Wow’.
«Il cinema lo chiamerei semplicemente vita. Non credo di aver mai avuto una vita al di fuori del cinema; e in qualche modo è stato, lo riconosco, una limitazione.» Bernardo Bertolucci (1941-2018). Qual è la tua posizione da addetto ai lavori, di chi il cinema lo vive come professione ma anche come passione, rispetto a quello che disse Bertolucci? Oltre ad essere un’arte, cos’è il cinema per te?
Un mezzo per una trasformazione. Prima di tutto lo è stato per me, per la mia di vita. Se non avessi visto il cinema, cinque anni fa, nelle mie possibilità future forse avrei smesso di fare ricerca sia a livello artistico che personale. Se non credessi profondamente nelle possibilità che ha il cinema di plasmare la mente e l’anima delle persone, forse oggi mi starei dedicando ad altro. Io vivo di una ricerca costante nel campo della crescita personale e spirituale, il cinema è solo un mezzo per portare al pubblico l’esito di queste ricerche con la presunzione che questo mio ‘andare’ cambi la vita di altre persone e lo faccia per un numero sempre maggiore d’individui e in modo sempre più veloce. Il cinema ha dato una casa alle mie ricerche, alle mie intuizioni, alle mie creazioni.
«Tutti i film che ho realizzato sono partiti dalla lettura di un libro. I libri che ho trasformato in film avevano quasi sempre un aspetto che a una prima lettura mi portava a domandarmi: “È una storia fantastica; ma se ne potrà fare un film?” Ho sempre dei sospetti quando un libro sembra prestarsi troppo bene alla trasposizione cinematografica. Di solito significa che è troppo simile ad altre storie già raccontate e la mente salta troppo presto alle conclusioni, capendo subito come lo si potrebbe trasformare in film. La cosa più difficile per me è trovare la storia. È molto più difficile che trovare i finanziamenti, scrivere il copione, girare il film, montarlo e così via. Mi ci sono voluti cinque anni per ciascuno degli ultimi tre film perché è difficilissimo trovare qualcosa che secondo me valga la pena di realizzare. (…) Le buone storie adatte a essere trasformate in un film sono talmente rare che l’argomento è secondario. Mi sono semplicemente messo a leggere di tutto. Quando cerco una storia leggo per una media di cinque ore al giorno, basandomi sulle segnalazioni delle riviste e anche su lettura casuali.»(tratto da “Candidamente Kubrick”, di Gene Siskel, pubblicato sul Chicago Tribune, 21 giugno 1987). La maggior parte degli scrittori ha un grande sogno: quello che un loro libro, un loro romanzo diventi un film realizzato da un grande regista. Tu a questo proposito cosa pensi delle parole di Kubrick sulle storie raccontate nei libri per farne dei film? Cosa serve secondo te perché un romanzo possa catturare l’interesse di un grande regista cinematografico?
Io credo dipenda soprattutto dall’incontro romanzo/storia-regista. Il momento giusto, la persona giusta, l’ispirazione giusta a volte dissolvono improvvisamente i molti ostacoli e i molti dubbi che normalmente si presentano nel momento in cui pianifichiamo una creazione. Quella sincronicità è qualcosa che non si può controllare. Avviene, punto. Quando avviene, un romanzo che pareva impossibile diventasse un film viene girato. Io posso dire quello che cattura la mia attenzione: la realtà potenziata. Storie che parlano di una vita completamente trasformata, un mondo che si trasforma in un paradiso, la materializzazione di qualcosa che sembrava impossibile. Questo è quello che cerco io nelle storie che ispirano i miei lavori. Ho detto che amo le storie vere e i biopic, mi piacciono le storie che narrano di cose impossibili diventate possibili. Mi piace l’idea di avere dei riferimenti concreti, di portare al pubblico esempi reali, vite vissute, strutture di pensiero e azione che possono replicare. In questi giorni sto ricevendo molte storie di persone che hanno affrontato situazioni tragiche nella loro vita, che si sono rialzate e oggi stanno aiutando altre persone a superare le difficoltà. Sto leggendo due libri diversi che narrano di storie vere e potenzialmente, entrambi, potrebbero diventare un film. Per me non è difficile trovare storie, sono circondata da storie vere che secondo me potrebbero fare la differenza per molte persone e le racconterei tutte. Anzi, in realtà, sto pianificando di raccontarle tutte. Solo negli ultimi mesi ho proposto quattro progetti diversi alla casa di produzione con cui collaboro. Io non so quando avverrà la sincronicità che dissolve ostacoli e dubbi e manda un progetto in produzione ma so che mi devo far trovare pronta e le molte storie che ho in mente e che ricevo mi permettono di esserlo.
«La sceneggiatura è il genere di scrittura meno comunicativo che sia mai stato concepito. È difficile trasmettere l’atmosfera ed è difficile trasmettere le immagini. Si può trasmettere il dialogo; se ci si attiene alle convenzioni di una sceneggiatura, la descrizione deve essere molto breve e telegrafica. Non si può creare un’atmosfera o niente del genere…» (Conversazione con Stanley Kubrick su 2001 di Maurice Rapf, 1969). Cosa ne pensi delle parole di Kubrik sulla sceneggiatura? Quanto è importante la sceneggiatura per la realizzazione di un’opera cinematografica?
Strutturalmente è fondamentale. Perché dico strutturalmente? Perché condivido l’idea che sia difficile trasmettere atmosfera e immagini all’interno della sceneggiatura. La struttura della sceneggiatura è una mappa che ti fa capire se stai andando nella direzione giusta. Come Google Maps nella visualizzazione delle mappe, puoi scegliere tra predefinita, satellite e rilievo ma poi la realtà che vedi dal parabrezza della tua auto è di molto diversa. Se ami improvvisare, la sceneggiatura ti mostra una linea da seguire, una visualizzazione ‘predefinita’ del film e il resto lo scopri mentre giri. Se vuoi avere maggiore chiarezza dall’inizio, una ‘visualizzazione satellitare’ del film ti premette definirne meglio i dettagli. Secondo il ruolo della sceneggiatura in un film dipende molto dal genere di film che giri, dal cast, dal budget, dall’esperienza e dall’intuito del regista. Io giro partendo almeno da una struttura: i corpi dei miei film, senza scheletro, non si muoverebbero… ma esistono registi che non utilizzano nemmeno questa.
Perché secondo te oggi il cinema e il teatro sono importanti?
Sono fondamentali per trasformare la realtà e ridare alle persone quel potere personale che sentono di aver perso.
A cosa stai lavorando in questo momento? Quali i tuoi prossimi appuntamenti di lavoro che vuoi anticiparci?
Sto lavorando al mio primo documentario. Racconto storie di vita di persone che hanno vissuto una grande trasformazione, che hanno fatto esperienza di quell’effetto ‘Wow’ di cui prima. Come dicevo “persone per le persone”. Racconto storie vere che, sono certa, prenderanno per mano il pubblico e lo porteranno in una dimensione in cui la realtà cambia e si potenzia. E quella realtà, quella nuova vita, sarà già possibile.
Immagina una convention all’americana, Erica, tenuta in un teatro italiano, con qualche migliaio di adolescenti appassionati di cinema. Sei invitata ad aprire il simposio con una tua introduzione di quindici minuti. Cosa diresti a tutti quei ragazzi per appassionarli al mondo del teatro e della settima arte? Quali secondo te le tre cose più importanti da raccontare loro sulla tua arte?
Quanti di voi conoscono Iron Man? Io lo adoro. È il mio super eroe preferito. A casa ho una sua riproduzione in miniatura, un modellino che guardo spesso quando mi sento triste e debole. Amo il suo essere così concreto, intelligente e forte. Quanti di voi vorrebbero avere il successo di Tony Stark anche nella loro di vita? E quanti di voi vorrebbero la sua armatura da Iron Man? Io vorrei tutte queste cose più una: il suo equilibrio come persona. Tony è una persona profondamente equilibrata, uno che sa gestire contemporaneamente affari, famiglia e la missione di salvare il mondo. Il suo equilibrio è così profondo che non vacilla nemmeno di fronte alla scelta della morte nel finale di Avengers Endgame. Cosa pensereste se vi dicessi che conosco un modo o più modi per gestire l’equilibrio esattamente come Tony? Forse non v’interesserebbe più di tanto. E se vi dicessi che nelle mie creazioni racconto di storie di vita di persone che hanno avuto successo esattamente come lui? Forse avrebbe il sapore per voi di qualcosa di già visto e sentito. Invece io sono qui a dirvi che nei miei film parlo di come avere e indossare quell’armatura che vi protegge negli scontri più difficili, che dissolve i problemi più ostici, che rivela la parte migliore e più forte di voi in qualsiasi momento. Nei miei film vi parlo di come potete essere un pilastro in mezzo al disastro e salvare la vita delle persone intorno a voi. Questo è quello che mostro con il cinema trasformazionale.”

Erica Muraca
http://ericamuraca.com/
http://heartsfromearth.me/
http://www.youtube.com/c/ericamuraca

Foto di Emanuele Giacomini

Andrea Giostra

Seby Mangiameli in concerto il 31 agosto a Carlentini con “Il Viaggio”, uno dei progetti musicali di maggior valenza dell’attuale cantautorato colto italiano

$
0
0
Seby Mangiameli, apprezzatissimo cantautore italiano, imprescindibilmente legato alla canzone d’autore, è una valenza artistica più che notevole dell’attuale panorama musicale di riferimento, per la raffinata proposta della sua musica etno-folk e jazz ovvero la world music e la sua calda voce.  

La prossima tappa del suo tour 2019 è a Carlentini, nella prestigiosa Piazza Diaz, location pregevolissima e palco su cui tantissimi ed importanti artisti sono passati e non da meno importantissima per il cantautore, essendo la sua città natale e dove egli vive. 
Appuntamento dunque con Seby Mangiameli al 31 agosto per il suo concerto “Il Viaggio” nome che da anche il titolo al suo ultimo CD e al suo ampio progetto musicale. La tappa a Carlentini, il cui evento vede il patrocinio del Comune della città di Carlentini, viene dopo i tanti successi già ottenuti nelle precedenti soste della tournée italiana, in cui Seby Mangiameli ha davvero riscosso un grande successo di pubblico, sempre partecipe ed emozionato, che con l’occasione ha anche potuto ascoltare live i suoi brani tratti dall’ultima opera, il CD “Il Viaggio”, co-prodotto con l’amico Giuseppe Matarazzo.

La musica di Seby Mangiameli si innesta in un clima culturale davvero ricercato e colto che ci riporta a sonorità in cui apprezziamo la sua radice mediterranea, ma anche le influenze argentine e balcaniche che ci conducono ad un cantautorato colto, di cui Mangiameli si è fatto latore tanto da essere da molti considerato un possibile erede di De Andrè. Sembra quasi poterlo collocare in un “sensismo” che ci accompagna verso il criterio della verità e del bene riuscendo a far immergere i suoi ascoltatori in emozioni che possono giungere a creare delle immagini realistiche e quasi tangibili in un dibattito dialogico tra lui ed il pubblico, attraverso il mezzo della musica, davvero molto efficace.

Sono espressi nei suoi testi concetti, anticipazioni, provocazioni, emozioni quasi un riassunto mnemonico delle esperienze che compongono “Il viaggio” percorso, e per primo vissuto da Seby Mangiameli, con l’osservazione del mondo che lo attornia.
Il criterio fondamentale perseguito da Mangiameli sembra essere la ricerca della verità, senza paura di mostrare anche i mali della nostra società, talvolta ridicolizzandoli ma senza dubbio con un anelito verso la speranza ed il riscatto umano, ed anche un’esortazione ad agire. Pura poetica, tradotta nei suoi testi che accompagnati dalle splendide musiche ne moltiplicano la valenza.

L’artista farà vivere al suo pubblico, un viaggio musicale introducendolo in fantastiche atmosfere con un repertorio che spazia da pezzi quali “C’è pace”, brano dedicato al co-fondatore dei Tedranura, Piergiorgio Monaco, scomparso nel luglio del 2018 e al padre del cantautore, “La gente non ride”, “Se scrivessi una canzone d’amore” tra i pezzi più dolci e significativi inclusi nel CD, “il volo della farfalla”, il cui titolo ha preso l’incipit dal libro dell’amica Adriana Faranda, di cui una parte è scritta insieme alla figlia, Alexandra Rosati, “Amami” brano amabile a doppia voce, “La corsa” in cui sarcasticamente si descrive l’attuale società, “Con gli occhi da bambino” quasi un inno all’innocenza dell’infanzia ed un auspicio ad una vita più semplice, “buona” e vera, “Una canzone da ballare” in cui ironicamente, si dice nel testo “non parlerò” delle storture e delle ipocrisie dell’odierna collettività, e “Madri in piazza” brano scritto in ricordo della mamme di Plaza de Mayo in Argentina per i desaparecidos.

Sarà una serata irrinunciabile, quella della tappa di Carlentini, piena di sorprese, con tanti pezzi inediti inclusi nel nuovo CD ma anche con diversi cavalli di battaglia già proposti e collaudati per l’apprezzamento del pubblico. Non mancheranno pezzi con un chiaro riferimento alla sua amata Sicilia ed anch’essi inclusi nel nuovo CD, come “Signora di Nivi” un omaggio all’Etna con il testo scritto in dialetto siciliano, e “Sicilia Omnia est”, brano che è un delizioso romanzo musicato, in cui sono tratteggiate, come da un pittore, innumerevoli scene della magnifica Sicilia, Dalla Valle dei Templi rammentando Sciascia e Guttuso o un rimando a Selinunte o ancora a Taormina in una visione notturna. Magnifico.

Ad accompagnare Seby Mangiameli sul palco una band composta da Rachele Amore voce e chitarra, Salvo Amore alle chitarre, che ha anche collaborato agli splendidi arrangiamenti del CD, Giusy Sipala al violino, Giampaolo Castro al Basso e Alessandro Borgia alle percussioni.
Partnership dell’evento LagoCafè - Media partner E-Art Group.

Gio Evan, nuovo singolo "Scudo" una lettera d’amore gridata a bassa voce

$
0
0
Scudo” è il nuovo singolo di Gio Evan, dal 30 agosto su tutte le piattaforme streaming e i digital store e già disponibile in presave su Spotifyal link https://gioevan.lnk.to/Scudo_Pre

Il brano, insieme ad “Himalaya Cocktail” e “Amazzonia” (1Day/MArteLabel, distribuzione Artist First) che hanno conquistato la playlist Scuola Indie di Spotify (entrambi) e Indie Italia (Himalaya Cocktail), anticipa il doppio album di inediti in uscita in autunno.
Scudo” è una lettera d’amore gridata a bassa voce, ma che nella seconda strofa non riesce a trattenere l’intensità del sentimento, finendo con l’esplodersi addosso. “Scudo” è forse la prima canzone al mondo ad essere registrata sotto lacrime, durante un pianto dell’artista.
Intanto proseguono gli appuntamenti live con la tournée “Capta – tornate Sovrumani” in cui Gio Evan, accompagnato da una super band di 5 elementi, porta sul palco ancora una volta le sue doti di musicista, autore e interprete, che fanno di lui un artista unico nel panorama del nostro paese. Dopo il successo del tour da nord a sud e il sold out a Milano, le prossime date sono in programma il 31 agosto a Venaus – TO (Borgate dal vivo Festival) e il 2 settembre a Padova (Parco della Musica).
“CAPTA – tornate sovrumani” è una produzione Massimo Levantini per Baobab Music & Ethics; per tutte le info e gli aggiornamenti di calendario: www.baobabmusic.it.
Gio Evan, all’anagrafe Giovanni Giancaspro, è un artista poliedrico, scrittore e poeta, filosofo, umorista, performer, cantautore e artista di strada. Con i suoi oltre 700.000 follower è il poeta vivente più seguito in Italia.

Aiello, nuovo singolo “La mia ultima storia”: la storia di tutti, almeno una volta

$
0
0
Da oggi, giovedì 29 agosto, è disponibile in preorder su iTunes e in presave su Spotify “La mia ultima storia” (Sony Music”), il nuovo singolo di AIELLO che sarà in rotazione radiofonica e su tutte le piattaforme digitali da venerdì 6 settembre.

Il nuovo singolo arriva dopo il successo di “Arsenico”, che ha raggiunto quasi 6 milioni di stream su Spotify e il cui videoclip ha ottenuto 3.5 milioni di views, ed anticipa il primo album di Aiello, che ama definire la sua musica un threesome di indie, pop e r’n’b originale e contemporaneo.

«“La mia ultima storia” è la storia di tutti, almeno una volta»

Aiello torna a raccontare l’amore alla sua maniera, con una ballad che non è la solita struggente canzone sui sentimenti. La sua scrittura è originale e contemporanea, i suoni spaziano dal pop al soul con un forte retrogusto indie. Tutto questo rende il giovane cantautore il volto del nuovo pop italiano. Nel testo l’artista si sofferma sui quei ricordi dal sapore dolceamaro impossibili da dimenticare: Parigi, l’ultima neve a Roma, i profondi occhi verdi da cui adesso, con un paio di scarpe nuove, tenta di fuggire. Una canzone intensa e malinconica con cui Aiello non esprime rancore, tristezza o nostalgia per una relazione ormai finita, quanto piuttosto il forte bisogno di correre via e vedere nuova luce.

Biografia
Cosentino di nascita, romano di adozione, AIELLO ha iniziato a studiare pianoforte e violino a 10 anni mostrando da subito interesse per i grandi nomi della scena soul. A 16 anni scrive i primi testi e nel 2011 pubblica la sua prima canzone “Riparo”, alla quale seguono altri due singoli dall’impronta pop-autoriale. Nella primavera 2017 pubblica “Hi-Hello”, il suo primo EP, un progetto indie-pop, elettronico, anticipato dal singolo “Come Stai”. La canzone resterà per diverse settimane al numero uno della classifica Radio Airplay (Rockol), “Absolute Beginners”.
Nel 2019 esce il brano “Arsenico” che, insieme al nuovo singolo “La mia ultima storia”, anticipa il primo album del cantautore, un mix originale di indie, pop e r’n’b.



Foto: @Pasquale Autorino_Siermond

Libri, Fernando Muraca a Fattitaliani: ne "La voce di Anna" le cose che ho capito delle donne. L'intervista

$
0
0
Stasera alle 20.30 a Priverno (Lt) ai Portici comunali "Paolo Di Pietro" avrà luogo la presentazione del romanzo "La voce di Anna" di Fernando Muraca, scrittore e regista di film e fiction: Fattitaliani lo ha intervistato

Com'è nata l'idea del libro? la gestazione è durata a lungo?
La voce di Annaè un libro che racconta una romantica storia d’amore ma non è un libro sentimentale. Dentro ci sono le cose che ho capito delle donne in tutta una vita di relazioni, di amicizie. La protagonista confida all’uomo che incontra sulla sua strada e di cui s’innamora, la sua anima, le sue esperienze più profonde. Il presente e il passato, le sue aspirazioni per il futuro, i progetti. È un libro che viene da lontano e da un amore sconsiderato verso il femminile. Ho riletto molti appunti dei miei diari che sono entrati nel libro rielaborati e digeriti dai personaggi del racconto. Alla fine ci sono dentro anch’io con tutta la mia storia.
Quali sono i punti in comune fra la scrittura cinematografica e quella narrativa?
Scrivere per il cinema significa, fin dai primi momenti, quasi sempre, una relazione con altri che in un certo senso sono lì sempre a fianco a te mentre produci il copione, la sceneggiatura: il produttore, spesso altri sceneggiatori con cui condividi il lavoro, gli attori che magari hai già in mente… Questo ti condiziona, anche positivamente, non è detto che sia un ostacolo, anzi… A me piace lavorare con gli altri ed è meno gravoso affrontare la sfide della narrazione.
Nella letteratura è diverso. Sei solo con i tuoi personaggi. A volte in modo angosciante. Ci sono anche momenti straordinari nei quali viaggi nelle loro vite, ore nelle quali le parole scorrono a creare emozioni magiche. Anche il rapporto con il pubblico che viene dopo rispecchia lo stesso schema. Sono due dimensioni entrambe molto gratificanti. La letteratura offre al narratore una intimità con i suoi personaggi senza pari.
Anna chi è? chi potrebbe essere?
Anna è una pittrice di successo che si nasconde da sempre dietro uno pseudonimo. Questo la rende misteriosa. È una donna di 35 anni che inizia a farsi delle domande importanti. È uscita dal casino ormonale e si appresta ad entrare nelle questioni esistenziali. Lo fa con grande sensibilità, del resto è un'artista, non poteva essere altrimenti.
Mentre la storia andava avanti, la vita di Anna procedeva sempre seguendo le tue iniziali intenzioni o man mano diventava più indipendente e camminava da sé?
Ad Anna, come a tutti i miei personaggi, non ho messo le briglie. Ho soffiato su un cumolo di iniziali idee il mio cuore per renderle vive, per lasciare che prendessero forma. Poi, quando il personaggio è creato cammina. Certo tu lo controlli, lo freni, è inevitabile. Ma ci sono molti modi di farlo. Io sono di quelli che mal sopportano le strutture. Non so mai come andrà a finire la storia. I personaggi sono sempre dominanti, la indirizzano con i loro bisogni e con le loro emozioni.
Quali reazioni dei lettori ti stanno dando soddisfazione?
La reazione delle donne che leggono il libro è molto forte. Si stupiscono di come un uomo possa descrivere così accuratamente i loro processi psicologici ed emotivi. Questa è la reazione più frequente che ho registrato. Ieri sono andato su Amazon a vedere se c’erano commenti nuovi e ho trovato questo: "Ho letto La voce di Anna e non volevo arrivare alla fine, perché il libro, come la vita, ha un termine, al di là che vi sia qualcosa oltre. Allora ho preso tutte le parole e le ho messe nel cuore. Un grazie all'autore per come ha saputo cogliere l'essenza di una donna, per la grazia poetica con cui si è addentrato nell'animo femminile. Consiglio la lettura di questa miniatura d'amore, cesellata con sentimento, intelligenza, istinto e una grande sensibilità."
Chi è la donna della copertina?
Il volto in copertina è di una giovane attrice che ho diretto in film, Veronica Baleani. Come vedi cinema e letteratura si incrociano nella mia vita.
E il cinema? progetti a venire?
Il cinema. Ah il cinema! Spero che il mio produttore riesca a chiudere il budget  (incrociamo le dita). Se così sarà, nel 2020 girerò un film che si chiama Vite in gioco, la sceneggiatura è già scritta da mesi. Il lungometraggio è ambientato in un bar dove ci sono le Slot Machine. Guarda caso la protagonista è una donna e si chiamerà Maddalena. Giovanni Zambito.

Sagra PescaBivona 34° edizione, Cooking show dello chef Peppe Giuffrè

$
0
0

Tra i protagonisti il comico palermitano Giovanni Cangialosi, gli Ottoni Animati e la tribute band di Vasco Rossi, Colpa d’Alfredo. Anche un Concorso del gelato

Dalla tradizionale pesca col vino, consueta a fine pasto nelle tavole dei nonni di una volta, al più sofisticato risotto con pesca e gamberi. Sono tante le ricette a base del tipico frutto estivo, che saranno declinate dall’aperitivo al dolce, durante la 34^ edizione della Sagra PescaBivona che si svolgerà venerdì 30, sabato 31 agosto e domenica 1 settembre. Cooking show, percorso fieristico, salone del gusto, spettacoli, confronti sui valori nutrizionali della Pescabivona IGP e, per la prima volta, il concorso per il miglior gelato, nel programma ideato dalla cooperativa Alessandro Scarlatti, per il Comune di Bivona.

Tra i protagonisti della tre giorni della Sagra PescaBivona 2019, lo chef Peppe Giuffrè che si esibirà in un cooking show, il comico palermitano Giovanni Cangialosi, gli Ottoni Animati e la tribute band di Vasco Rossi, Colpa d’Alfredo. Presenti l’assessore regionale all’agricoltura Edy Bandiera e il sindaco di Bivona Milko Cinà.

Il programma della Sagra PescaBivona di venerdì 30 agosto
La 34^ edizione della Sagra PescaBivona prenderà il via alle ore 17,00 di venerdì 30 agosto in via Federico Picone, con l'inaugurazione del percorso fieristico a cui seguirà una sfilata dei gruppi folkloristici e del gruppo bandistico Giacomo Rossini di Bivona. Alle 18,30, a Palazzo San Domenico, si svolgerà un confronto sulla Pescabivona IGP. Presenti l’assessore regionale all'Agricoltura Edy Bandiera e il sindaco di Bivona Milko Cinà. Seguirà il cooking show dello chef Peppe Giuffrè. Alle 19,00 l'apertura del Salone del gusto, alle 20,30 all'Auditorium Concezione, l'inaugurazione della mostra d’arte “Collettiva bivonese”. La serata prenderà il via alle 21.30, in piazza Guglielmo Marconi, con il defilè di moda RiciclArte a cura dell’associazione Sole sui Sicani e, alle 23.30 lo spettacolo del comico palermitano Giovanni Cangialosi.

Sabato 31 agosto, dal Museo dell’Acqua al Summer Dance Party

Sabato 31 agosto, dalle ore 10,00 la sfilata del gruppo folkloristico Bivona Folk, accompagnerà l’apertura degli stand espositivi della Sagra PescaBivona 2019. Alle 10.30, visita guidata al Museo dell’Acqua e tour della città, dalle 11.30, tra l’atrio San Domenico e la via Federico Pipitone, apertura Salone del gusto e degustazioni della Pescabivona IGP, a cura dell’IISS Pirandello di Bivona, che si ripeteranno nel pomeriggio. Alle ore 17.00, al palazzo municipale, inaugurazione della rappresentazione in 3D della Bivona del primo ‘900, a cura di Paolo Cuccia. La serata prenderà il via alle ore 21.00, in piazza Guglielmo Marconi, con l'esibizione di artisti di strada della Compagnia Joculares, alle 22,00 concerto degli Ottoni Animati a piazza San Giovanni e seguirà il Summer dance party.

Domenica 1 settembre, il primo concorso del Gelato della Sagra PescaBivona

Domenica 1 settembre, la giornata conclusiva della Sagra PescaBivona 2019, con la sfilata dei Sikania Folk, l’apertura degli stand espositivi dalle 10 a mezzanotte in via Federico Picone, e del Salone del gusto nell’Atrio San Domenico, dalle 11.30 alle 15.00 e dalle 19.00 alle 23.00, sarà caratterizzata dal I° Concorso del gelato, con la partecipazione dei maestri pasticceri gelatieri dell’associazione Atrapos. La serata prenderà il via alle 22,00 in piazza Guglielmo Marconi, con l'esibizione di artisti di strada della Compagnia Joculares e alle 23.30, in piazza San Giovanni, la tribute band di Vasco Rossi, Colpa d’Afredo.


Oggi la Chiesa ricorda il martirio di S. Giovanni Battista

$
0
0
Roberta Barbi - Città del Vaticano -“Subito il re mandò una guardia con l'ordine che gli fosse portata la testa. La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro”. (Mc 6, 27-29)

Giovanni il Battista è l’unico Santo di cui, nell’anno liturgico, si celebrano sia la nascita sia la morte, rispettivamente il 24 giugno e il 29 agosto. Una scelta che ne sottolinea la grandezza. "San Giovanni Battista, che hai reso testimonianza al Messia morendo per la verità, prega per noi!", scrive nel suo tweet di oggi il Papa. 

La celebrazione del martirio ha origini antiche

Giovanni è il cugino di Gesù, concepito tardivamente da Zaccaria ed Elisabetta, entrambi discendenti da famiglie sacerdotali: la sua nascita è collocata circa sei mesi prima a quella di Cristo, in coerenza con l’episodio evangelico della Visitazione di Maria a Elisabetta. La data della morte, invece, avvenuta fra il 31 e il 32, si fa risalire alla dedicazione di una piccola basilica risalente al V secolo nel luogo del suo sepolcro, Sebaste di Samaria: in quel giorno, infatti, sembra sia stata ritrovata la sua testa che Papa Innocenzo II fa traslare a Roma nella chiesa di San Silvestro in Capite. La celebrazione del martirio ha origini antiche: è già presente in Francia nel V secolo, a Roma in quello successivo.

Ultimo profeta e primo apostolo

Dopo la giovinezza, Giovanni si ritira a condurre vita ascetica nel deserto. Indossa una veste di pelli di cammello e una cintura sui fianchi; si ciba solo di locuste e miele selvatico. Intorno al 28-29, durante l’impero di Tiberio, iniziano la sua vita pubblica e la sua predicazione. Si sposta, quindi, sulle rive del Giordano, nelle vicinanze di Gerico, e predica la conversione annunciando la vicinanza del regno messianico, invita alla penitenza e inizia a praticare il battesimo con acqua per purificare gli uomini dal peccato. La sua fama si diffonde e in molti arrivano da tutte le parti del regno di Israele per ascoltarlo.

La missione del “Precursore”

Iniziano a chiamarlo il Messia, ma lui li mette in guarda: il Messia è già tra loro e mentre lui, Giovanni, battezza con acqua, Egli battezzerà con Spirito Santo e fuoco. Giovanni, cioè, è solo il Precursore di qualcuno di cui non si ritiene neppure degno di allacciare i calzari. Un giorno è proprio questo qualcuno, Gesù, a presentarsi a lui al Giordano per essere battezzato. Inizialmente Giovanni rifiuta, ma poi obbedisce, perché lui, oltre a essere l’ultimo grande profeta dell’Antico Testamento, è il primo apostolo di Gesù che lo seguirà fino alla morte, prefigurando con le proprie sofferenze e il proprio martirio, proprio la Passione di Gesù.

“Una lampada che arde e risplende”

Giovanni non è tenero nelle parole. Ne ha per tutti. Si scaglia spesso contro i farisei ai quali rinfaccia le loro ipocrisie, inoltre è inviso ai sacerdoti, perché con il suo battesimo perdona i peccati, rendendo inutili i sacrifici espiatori che si fanno a quell’epoca al Tempio. Ovvio, quindi, che critichi anche la condotta del re d’Israele, Erode Antipa, il figlio di quell’Erode il Grande autore della strage degli innocenti, che vive con la moglie del fratello Filippo, Erodiade, pur essendo il loro un matrimonio regolare e fecondo: una pratica contraria alla legge giudaica. Erode, dunque, imprigiona Giovanni nella fortezza di Macheronte, sul Mar Morto, ma non lo odia: parla con lui e quei discorsi lo turbano. E poi teme che ucciderlo, data la sua fama, possa provocare una sommossa. Arriva il compleanno di Erode e durante la festa, la figlia di Erodiade, Salomé, intraprende una danza in onore del re che ne resta ammaliato e le concede di chiedergli qualunque cosa, fosse pure la metà del regno. E lei, consultatasi con la madre, chiede la testa di Giovanni. Erode non vorrebbe, ma non può rifiutare: ormai ha fatto una promessa. Così il Battista muore, da martire. Non un martire della fede - perché non gli viene chiesto di rinnegarla - ma un martire della verità, sia perché non ha mai mancato di difenderla, sia perché per la Verità che è Gesù, lui è vissuto ed è morto. I discepoli di Giovanni, saputo del suo martirio, ne recuperano il corpo per seppellirlo. 
Vatican News 29 agosto 2019.

Stéphane Lissner a Fattitaliani: l'opera deve essere il riflesso del mondo in cui viviamo. L'intervista

$
0
0
A luglio è arrivata la nomina ufficiale di Alexander Neef come nuovo sovrintendente dell'Opera di Parigidall'agosto 2021 al 31 luglio 2027. Per i prossimi due anni affiancherà Stéphane Lissner, che Fattitaliani aveva incontrato e intervistato all'apertura della scorsa stagione della Monnaie di Bruxelles. 
Direttore, il 2019 è un anno importante per l'Opera di Parigi...
Sì, l’Opéra de Paris festeggia nel 2019 350 anni: il re Louis XIV è stato il primo a decidere la creazione de l’Académie Royale de Musique e saranno anche i primi trent’anni dell’Opéra Bastille inaugurata nel 1989. Quindi una stagione particolare con due importanti ricorrenze.
Ci può dire qualcosa sul progetto con Art’è? 
Ogni anno l’Opéra di Parigi ha almeno due-tre produzioni registrate da Art’è: un progetto positivo per l’Europa e sono davvero contento che si possa lavorare insieme. È una cosa per me essenziale che ho ribadito più volte. La cultura deve essere europea, questo è fondamentale. Gli spettacoli e le produzioni devono essere anche il riflesso della società e del mondo, in cui viviamo: anche questo concetto è importantissimo per me.
Direttore, dal suo punto di vista, l’Opera dove si dirige?
Io penso che l’Opera si diriga sempre più verso la scoperta del Novecento: la teatralità è più aperta grazie agli apporti del video, del balletto, della molteplicità delle proposte che non consistono più soltanto in un allestimento con costumi d’epoca e cantanti che stanno davanti al pubblico, tutto questo è finito. I cantanti non vogliono più fare così: alla nuova generazione piace moltissimo anche essere attori, fare teatro, e quindi i nuovi registi hanno ovviamente più possibilità di cercare una realtà e un’emozione più forte perché i personaggi siano più prossimi alla realtà. E poi non c’è più una separazione così netta fra la musica atonale e quella tonale: siamo entrati in un nuovo periodo dove la musica è una. Inoltre, i compositori cercano sempre di più di lavorare con drammaturghi che fanno proposte anche più politiche nel senso più ampio del termine. Giovanni Chiaramonte.

Teatro, Francesca Bianco a Fattitaliani: si deve essere un po' pazzi a voler fare questo mestiere. L'intervista

$
0
0
CALVI DELL’UMBRIA  - “Il mio fantastico divorzio”  ovvero come reinventare la propria vita da donna single a 50 anni. Domani sera al Calvi Festival 2019 una commedia brillante, che farà ridere e commuovere, scritta ed interpretata dall’attrice Francesca Bianco. La pièce, diretta da Carlo Emilio Lerici, andrà in scena venerdì 30 agosto alle ore 21.15 nel teatro del Monastero (ingresso da piazzetta dei Martiri) di Calvi dell’Umbria (Terni). L'intervista di Fattitaliani a Francesca Bianco.

Qual è stato il tuo primo incontro con il teatro?
Ero bambina, e andavo sempre a teatro con mia mamma che era una grande appassionata. Un giorno vidi uno spettacolo con la regia di Aldo Trionfo, il Peer Gynt, di Ibsen, e rimasi come folgorata. Fu lì che decisi che volevo fare quel mestiere. Quando lo comunicai a mia madre le prese un colpo! Sì, certo, le piaceva il teatro, ma non aveva nessun piacere che sua figlia facesse l'attrice.
Quando l'amore per la scena diverrà anche il tuo mestiere?
Dopo il liceo facendo l'università frequentavo un corso di teatro ed ebbi la mia prima scrittura. Ero molto giovane. Per mantenermi insegnavo alle elementari, e ad un certo punto ho dovuto licenziarmi perchè la mia carriera come attrice mi prendeva totalmente e non potevo più fare entrambe le cose, rinunciando ad uno stipendio sicuro che mi avrebbe fatto sicuramente molto comodo. Ogni tanto penso che forse dovevo continuare a fare la maestra. Succede raramente, ma succede!
A quali costanti sfide un'attrice oggi va abitualmente incontro?
È complicatissimo trovare le scritture, e più si va avanti e più è complicato. Ci sono già pochi ruoli femminili in teatro; poi quando non sei più una ragazzina ce ne sono ancora meno. Quindi devi essere un po' pazza a voler fare questo mestiere. Però a me va bene così!!
E al Calvi Festival cosa metti particolarmente in gioco del tuo essere attrice?
Lo spettacolo che porto in scena racconta di un dolore, la separazione. Ma come spesso succede nelle tragedie c'è un lato molto grottesco. Quindi come attrice ti devi mettere in gioco perché devi esprimere tutte queste sfaccettature di un'emozione, senza avere paura di mostrare anche dei lati del tuo carattere e emozioni che a mente fredda ti potrebbero imbarazzare. Invece il bello di questo mestiere è che bisogna superarlo. E ogni tanto riderci sopra.
C'è un autore di cui vorresti interpretare un testo?
In tanti anni che lavoro io non ho mai interpretato un testo di Shakespeare. Lo so, è una grande lacuna per un'attrice. Ho fatto tantissimi classici, ma effettivamente Shakespeare non mi è mai capitato.
E un personaggio storico o di fantasia che ameresti portare in scena?
Nel mio curriculum ho fatto Ipazia, Frida Kahlo, Eleonora D'Arborea, la Didone, Margherita Gautier. Mi piacciono le donne che non hanno paura di essere sé stesse. Per il futuro vorrei continuare a raccontare storie. Ecco, questo è quello che mi piace e voglio continuare a fare: raccontare storie. Giovanni Zambito.

LO SPETTACOLO
Il mio fantastico divorzio, non è un monologo, ma si tratta di una chiacchierata con il pubblico. E’ proprio questa la chiave della commedia - afferma Carlo Emilio Lerici che firma la regia dello spettacolo -.  La protagonista racconta la sua storia interagendo continuamente con la platea e con gli attori che in video dialogano con lei. Una cinquantenne viene lasciata dal marito che le ha preferito una donna più giovane; ne consegue l’inevitabile separazione. Racconta dei momenti dolorosi che riesce a superare e narra quindi  degli anni successivi al divorzio che rappresentano invece la sua ascesa, la sua rinascita. E’ una storia che racchiude comunque  il suo lato grottesco e divertente e non mancherà il colpo di scena finale. E’ un racconto in cui si possono trovare argomenti ed episodi della vita reale poco sereni ma con un forte incoraggiamento a superarli”.

La protagonista,  sarà fisicamente da sola in scena ma sarà affiancata dagli attori  Fabrizio Bordignon, Martina Gatto, Antonio Palumbo, Germano Rubbi e Susy Sergiacomo che in video dialogheranno con lei. 
Carlo Emilio Lerici e Francesca Bianco offrono al pubblico un sodalizio artistico consolidato che dura da circa trent’anni  con un ampio bagaglio di spettacoli di successo. Torna quindi al Calvi Festival il grande teatro d’autore contemporaneo.
Il prossimo appuntamento all’interno del Calvi Festival 2019, sarà con uno degli eventi speciali che rientrano nelle tradizioni dell’estate calvese, la XIX Mostra mercato di florivivaismo, pittura, botanica, artigianato “Tra pomi e fiori” . Si svolgerà dal 31 agosto al 1° settembre nella centrale Piazza Mazzini, dalle ore 10.00 alle 19.00, a cura della Pro Loco.
Sito ufficiale: www.calvifestival.it

Viewing all 38137 articles
Browse latest View live


<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>