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Annotazioni sul film "Il traditore" di Marco Bellocchio

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di Marilena Ranieri - Il film "Il traditore", drammaticamente imponente, racconta l'ultimo ventennio italiano del `900 attraverso l'epopea di Tommaso Buscetta (Palermo 1928 - New York 2000) storico pentito di mafia, chiamato anche "Don Masino" o "boss dei due mondi"; un pentito che cambierà, in modo significativo, i rapporti tra Stato e criminalità organizzata con le sue rivelazioni e la collaborazione con la giustizia.
La scena iniziale si apre con la festa di S. Rosalia (1980) dove, con una pace apparente e formale tra Palermitani e Corleonesi, si fa baldoria in un contesto vivace di canti, balli e fuochi d'artifici. Palermo, in quegli anni, era la capitale mondiale dell'eroina con i suoi traffici illeciti di denaro, sangue e morte. La storia è molto articolata, ricca di vicende, colpi di scena, personaggi, confronti e codazzi giudiziari nei tribunali; il film non segue un andamento lineare, si concentra sulle principali vicende drammatiche anni '80 e '90, dallo scoppio della seconda guerra di mafia al maxi - processo di Palermo.

Pierfrancesco Favino dà un'ottima performance recitativa e grazie alla sua convincente interpretazione tra il suo controverso personaggio e lo spettatore. Negli anni '80 vige una rivalità tra cosche: i Palermitani e i Corleonesi, capitanati gli ultimi da Totò Riina. Alla base dei loro interessi c'è il predominio sul narcotraffico. Il "tradimento" di Buscetta suscitò la violenta reazione e vendetta di Corleonesi che portò all'uccisione dei suoi parenti tra cui i figli (Antonio e Benedetto). Buscetta aveva deciso di partire in Brasile lasciando a Palermo i due figli avuti da un precedente matrimonio, sotto la protezione di Pippo Calò, diventato in seguito suo acerrimo nemico. In seguito venne estradato in Italia dove inizierà a collaborare con il giudice Giovanni Falcone contro la mafia e da qui ne deriverà il più grande processo di "Cosa nostra". La conseguente guerra di mafia sarà una resa dei conti infinita tra Riína, Buscetta e gli affiliati Di Stefano Bontate.

Il film non rende l'idea e di trasparenza sul piano psicologico ed emotivo sulla personalità del protagonista e sulle intricatissime vicende che lo legano ad altri personaggi. La storia viene scremata ad elementi drammatici ed essenziali; anche gli incontri tra Buscetta ed il giudice Falcone e quello fortuito con Andreotti senza braghe, hanno un approccio, sobrio, pallido, non carico di enfasi ed emotività. Lo scopo, nella frammentarietà del linguaggio narrativo, è quello di non svelare mai gli equilibri interni, molto delicati e le dinamiche di un protagonista controverso e contraddittorio, cui sembrerebbe che "Cosa nostra" non gli fosse mai appartenuta, a prescindere dai crimini di cui si è macchiato. Il regista trasforma le azioni in parole, attraverso effetti di re-enactment, con un contorno ricco di didascalie, cifre e date.

Al centro del progetto risaltano le sequenze del maxi-processo di Palermo, dove l'aula-bunker di un tribunale si trasforma in un palcoscenico teatrale, in un caotico confronto tra Buscetta e i suoi avversari, tra "imputati e impostori". Non mancano episodi cruenti e masochisti, carichi di una violenza verbale inaudita fatta di urla, strepiti e isteria collettiva, tanto da sembrare uno scenario infernale da bolgia dantesca. Lo stesso giudice del Tribunale è in capace di mantenere il controllo di una situazione degenerante. Buscetta non rappresenta né l'eroe negativo, l'eroe positivo; il suo "tradimento" non passa come un'infamia ma come un atto di ribellione a chi ha veramente tradito i principi di "Cosa nostra".

Emerge il parallelismo con l'altro film "Buongiorno notte" che tratta la triste vicenda dell'omicidio di Aldo Moro. In entrambi i film c'è la storia di due personaggi realmente esistiti, di due drammatiche storie di stampo shakespeariano, dove si ha la trasposizione cinematografica dalla realtà all'immaginazione all'imprevedibile, ad una storia con fine romanzesco. Il film segue un copione da tragedia classica, dove il susseguirsi delle vicende è strutturato con un linguaggio quasi giornalistico, gli unici intervalli sono le immagini oniriche della morte immaginata del protagonista, in uno scenario drammatico dove si riversano tutte le paure, le ansie e le angosce dell'uomo Buscetta. Lo spettatore si lega a lui attraverso un filo di empatia condizionata sul piano umano, senza condannarlo, né scagionarlo dalle sue colpe. La sua vita diventa una via di fuga con un futuro imprevedibile ed un muro che divide da un lato la sua voglia di libertà ed indipendenza, dall'altro la consapevolezza di una realtà che diventa teatro di potere delle parti e dove entrano in gioco posizioni ed accuse che si contrappongono di continuo. Tutto viene declinato in uno sfondo romanzesco dove la voglia di libertà e l'orgoglio si contrappongono ai ricordi, alla paura, alla squallida e crudele resa dei conti con il duro passato.

Favino, attraverso la sua performance carismatica ma accattivante, mette in luce le ambiguità del personaggio. E’ difficile stabilire un confine tra l’uomo e il boss ma Bellocchio è abile nel creare un filo conduttore sospeso tra il suo Buscetta e lo spettatore tale da lasciare dubbi e interrogativi sulla personalità di un uomo di mafia che pur essendo tale, è narcisista e amante delle donne e quindi “rompe le regole” del prototipo uomo di “cosa nostra”. Don Masino si è scrollato di dosso l’educazione criminale; il suo non è un siciliano stretto ma è intriso di portoghese, canticchiava brani spagnoli come un “chansonnier”, veste abiti eleganti e su misura. Lui era il boss elegante, goliardico e da ……. di due mondi. Anche nella sua collaborazione con lo stato e nel rapporto con Giovanni Falcone c’è uno scambio di relazione e di consapevolezza che uno dei due morirà, ma senza capire chi per primo.

Ma il vero gioco delle parti emerge nell’aula bunker del maxi-processo: ognuno finge di aver incontrato il pentito e di vederlo per la prima volta, in una sorta di palco teatrale dove si consumano bugie e finte moine. Totuccio Contorno reagisce con fervore alle provocazioni dei mafiosi ed esibisce uno spiccato e colorito accento siciliano tanto da rendersi incomprensibile a tutti. La protagonista femminile (Maria Fernanda Candido) viene “esibita” come oggetto sessuale alle dipendenze del marito. Secondo una visione di assoluto maschilismo, promossa nei circoli e nella cultura di “cosa nostra”, i personaggi femminili vengono catalogati come “oggetti” di sesso, subordinati alla volontà dei coniugi. La drammatica colonna sonora degli strumenti a corda firmata da Nicola Piovani conferisce un effetto lirico alle scene dei confronti tra Buscetta e gli altri imputati. Bellissime le scene dell’alba sullo sfondo di una maestosa ed imponente Rio de Janeiro e le sue scene più violente ed aggressive del ricatto ai danni di Buscetta, con tanto di tortura e moglie sospesa dall’elicottero, dopo il suo arresto per droga.

Il regista traspare come un uomo senza scrupoli e manifesta nel film il suo stile senza mezze misure. La scenografia non è mai banale o lasciata al caso; le scene sono prevedibili ma mai scontate, pesate accuratamente anche nei dialoghi, nelle pause, nelle battute. Da un lato c’è la volontà bellocchiana di suscitare nello spettatore la curiosità, la riflessione, il senso critico nel giudizio; dall’altro prevale il senso morale di non svelare le motivazioni, le cause dietro ai fatti e alle dinamiche. Lo scopo è riportare a galla una realtà che brucia, il senso della verità, gli impulsi ed il tormento di un uomo legato al suo passato, dilaniato dalla paura e dai rimorsi. Il suo è un esempio di mafia borghese, raccontata attraverso un personaggio distinto ed elegante, con lo stile di un romanzo popolare. Buscetta è in aperto contrasto con Totò Riina, uomo dalla personalità psicopatica e moralista. Nel confronto aperto, i due boss diventano le figure emblematiche di due poteri provocatoriamente contrapposti e speculari; l’imprenditore moderno che crede nei principi del codice d’onore di Cosa nostra ed il boss tradizionale, bieco e cinico che non si risparmia di uccidere donne e bambini.

Dopo “Buongiorno notte”, “Vincere” e “Bella Addormentata” il “Traditore” è un altro tassello del cinema d’autore nel panorama italiano e internazionale. La sceneggiatura parte prima in modo disordinato, veloce e violento con l’arresto di Don Masino in Brasile, poi si avvicina, soprattutto nel rapporto con Falcone, ad uno stile più pacato ed essenziale per poi approdare nell’ironia tragica e teatrale dell’aula – bunker, dove la giustizia ed il gioco delle parti di potere sono protagonisti. In seguito, a cambiare registro, sono le scene dei sensi di colpa di un uomo e padre che piange i suoi figli, che fa trasparire il suo tormento ed il suo desiderio di vendetta. Durante la sua latitanza, canta “Historia de un amor”, nell’ultima fase della sua vita, la più buia e crepuscolare.

Emerge in tutta la sua filmografia, l’etica dei grandi temi di Bellocchio legati al nostro paese. La vera protagonista del film è la mafia borghese che emerge anche dalle fotografie di Vladom Radovic, il tutto avvolto in un grigiore burocratico e in gioco di potere. Si coglie, nel complesso del film, un vivido legame alle vicende storico – morali de “Il Padrino” data la ricorrenza ed i riferimenti ai Corleonesi di Totò Riina. Secondo me, attraverso l’enigmatico protagonista di Tommaso Buscetta, il merito del regista è quello di aver messo allo specchio uno stato criminalmente assente.      


Bea Makk, "Fermo Immagine" 2° singolo della giovane cantautrice comasca

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Esce il 5 luglio per Auditoria Records "Fermo Immagine" il nuovo singolo di Bea Makk. In tutti i Digital Store e suYouTube.

Ha solo 15 anni ma è già alla sua seconda pubblicazione.
Bea Makk, una giovanissima e promettente cantautrice comasca, si avvicina al mondo della musica studiando canto. Partecipa a diversi concorsi e si fa notare al pubblico collaborando con YoungFara per il brano "Note d'amore". Tanto attiva sui social, ha anche un canale YouTube molto seguito dove pubblica diversi brani cover interpretati con stile. 
Il 14 giugno ha pubblicato il suo primo singolo "Fermo Immagine" prodotto da Antonio Aki Chindamo noto produttore e co-fondatore di Auditoria Records.

Nicoletta Pedrini, uscito 1° singolo "Vivi in me"

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Un brano che ha in sé tutta la carica della giovane cantautrice. Mette Nicoletta fin da subito a fuoco come artista dalle molte sfaccettature, portatrice di un messaggio di speranza ed energia vitale.

Esplosiva, grintosa, vera. Nicoletta Pedrini segna il ritorno ad un cantautorato che si lascia ispirare dalla vita, nelle sue gioie e nelle sue difficoltà, senza nascondersi dietro a costrizioni di genere e tentativi di imitazione. Nicoletta è genuina, una forza della natura. Scrive e canta con il cuore, per sé stessa e per tutti coloro che non possono dare una voce al loro io interiore. 
Recente vincitrice del concorso internazionale di Arlekin Festival, in Bulgaria, Nicoletta arriva da un anno di continue conferme all’interno di manifestazioni di tutto il nord Italia. Il suo primo singolo anticipa l’uscita di un album completo, interamente scritto dall’artista.  


Crediti singolo
Testo: Nicoletta Pedrini e Alberto Valseriati
Musica: Nicoletta Pedrini
Arrangiamento e produzione: Elya Zamborin e Roberto Visentin

Crediti video:
- Regia e montaggio: Maurizio Ghiotti
- Hair and makeup: Roberto Poggi Group

Etichetta

Distribuzione
Believe digital

Libri, Nadia Terranova e il valore curativo del romanzo "Addio fantasmi". La recensione

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Nadia Terranova, “Addio fantasmi”, Einaudi Ed, Torino, 2019 - RECENSIONE di Paola Milicia

A coloro che folgorati dalle promettenti aspettative del titolo - una garanzia, o forse più una speranza, che le paure, le delusioni, la solitudine, i dolori di cui tutti siamo afflitti, possano definitivamente congedarsi - va l’ammonimento di diffidare della semplicità con cui liquidiamo le escrescenze della vita. Sì, perché il libro, scritto con una voce scavante capace di suscitare un effetto ipnotico nel lettore, compie una ricostruzione dolorosa e minuta di quell’apparato VITA, a volte scivoloso e intangibile, di cui siamo prigionieri o rifugiati, perché ancorati più alla infelicità che non alla felicità, più alle forme statiche e rassicuranti di certi modelli di vita che non alla trasformazione di cui siamo pure capaci. Con essa, alla liquidazione, appunto, di certe esperienze che trattiamo come fossero le Sacre Scritture. Il commiato col passato, che si svela nelle ultimissime battute, dopo che il personaggio ha attraversato la dura prova della maturazione, è ritardato da una sequenza descrittiva, e quasi animata, di ricordi. L’umanizzazione collettiva degli oggetti (anche gli oggetti hanno una vita, un destino preciso nella storia di Ida), ai quali si conferisce una presenza parlante e rivelatrice, invece di esorcizzare i fantasmi, sembra volerli portare in vita con una precisione maniacale che ci viene in soccorso con la stessa amarezza di una medicina. Tutto si anima fino a comporre una memoria del dolore eterna e palpabile: le solitudini sono “abitate”, le voci fanno “esistere tutti, compresi il portaombrelli e l’inginocchiatoio in noce”, le ore hanno un colore, le cose hanno un volume e un peso specifico. È qui, in questa risalita che si svela il valore curativo del romanzo: nelle pagine che pure abbondano di riflessioni sull’incomunicabilità, sull’ineluttabilità del tempo, sull’inafferrabilità degli altri c’è anche la vita, quella vera e forse quella più bella. Se fosse un bugiardino: lasciare fuori la portata dei bambini.

Link:

Paola Milicia

GLI AIRONI NERI di NEKLAZ E MASKINO FEAT. LUCA ANCESCHI, rivisitazione trap di un brano dei Nomadi

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Da oggi, venerdì 5 luglio, è in rotazione radiofonica e disponibile su tutte le piattaforme digitali “GLI AIRONI NERI” (I Nomadi Srl), il nuovo singolo di NEKLAZ E MASKINO FEAT. LUCA ANCESCHI, una rivisitazione trap di un brano dei Nomadi del 1991 scritto da Augusto Daolio, Beppe Carletti e Odoardo Veroli.

Per la prima volta un brano dei Nomadi viene concesso per una rivisitazione trap e il risultato è la conferma che la buona musica non ha tempo. Qui un intelligente innesto di parole “nuove” si abbracciano al testo originale conservando il carattere di speranza per un futuro insieme sottolineandone l’importanza: “Vivi come sti versi”.
Grun e Samuele hanno conosciuto Luca in occasione di una trasmissione televisiva. Grazie a Luca l’incontro con Beppe Carletti e l’idea di questo progetto sul brano “Gli aironi neri” motivo per il quale NEKLAZ E MASKINO FEAT. LUCA ANCESCHI dal 2018 stanno aprendo vari concerti dei Nomadi.
Dal 2008 Luca Anceschi è Ambasciatore dei Diritti Umani per l'”Associazione Diritti Umani e Tolleranza Onlus” e sostiene i progetti della Onlus volti alla divulgazione e all’applicazione dei diritti umani nel mondo. Ora più che mai, insieme a Neklaz e Maskino, si sta facendo portavoce fra i giovani del messaggio di tolleranza e rispetto per i diritti umani di tutti.

Mr. Neklaz rapper cittadino nato a Rio De Janeiro e cresciuto a New York dove ha coltivato la passione per l’Hip Hop e maturato la padronanza della lingua inglese. Diverse le collaborazioni con realtà musicali all’estero e in Italia che hanno rafforzato la sua identità musicale. È in uscita il suo nuovo lavoro discografico.
Maskino, musicista reggiano vive in prima persona la realtà di “quartiere” che trasmette nella sua identità rapper. La passione per la musica dei Nomadi gli è stata trasmessa dal padre. Le sue produzioni sono caratterizzate da questa identità profondamente incastrata nella vita di rione.
Luca Anceschi nasce a Correggio (RE). Inizia giovanissimo a cantare con numerose band, toccando vari generi musicali, dal Metal, all'Hard Rock, al Rock Americano creandosi così un ricco background artistico. Nel suo curriculum numerose collaborazioni e produzioni importanti nel panorama musicale italiano.
NEKLAZ E MASKINO FEAT LUCA ANCESCHI è un nuovo progetto artistico, i tre musicisti vivono a Reggio Emilia e si sono incontrati nel 2018.



oZZo, “Choices RMX” nuovo singolo e video del DJ e producer milanese

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Da oggi, venerdì 5 luglio, è disponibile “Choices RMX”il video del nuovo singolo del DJ e produttore milanese oZZo.
Il brano, già disponibile in digital download, in streaming e in rotazione radiofonica, arriva ad un anno di distanza dalla pubblicazione dell’EP “#Pastislost” ed è il remix di “Choices”, quarta traccia del disco. Il video, diretto dalla regista Helena Gudkova nella location milanese Kspacemilano e con protagonista la modella Helga Bagaeva, racconta il backstage di un servizio fotografico, a sottolineare la poliedricità della musica di oZZo.

I feel the distance
You set betweenus
Youleft me burning
under the sun


“Choices RMX” è caratterizzato da un sound vicino alla future house e alle hit estive, nel quale prevale l’uso di pad e synth, a differenza delle precedenti produzioni di oZZo, dove le chitarre erano in prima linea. Il testo malinconico, che racconta la distanza tra due persone amate, si posiziona in modo volutamente contrapposto alle sonorità romantiche e spensierate della traccia.

«Quando remixo un mio pezzo parto sempre dalle sensazioni che voglio riprodurre in musica e chiudo semplicemente gli occhi per immaginarmele. - racconta oZZo - In “Choices RMX” sono seduto da solo su una spiaggia al tramonto mentre sorseggio qualcosa e ripenso a quello che ho fatto, forse la sera prima, forse un momento prima forse una vita fa. Se dovessi immaginarmi questo pezzo su una dancefloor, beh sarebbe sul mare o in piscina a inizio serata per scaldare gli animi; insomma un pezzo intimo ed estivo.»

“Choices RMX” è stata registrata e mixata da Ivano oZZo Tomba e Jacopo Festa (Studio-J) e prodotta da oZZo. Mastering a cura di Carl Fath. La voce è di Alessio Corrado.


“oZZo non è un progetto solista, ma neanche una band. E’ un concetto, una storia fatta di sentimenti, musica e passione”. È così che si presenta oZZo, nome d’arte di Ivano Tomba, musicista, DJ ed art director milanese con alle spalle un curriculum di indubbio valore. La sua storia inizia alla metà degli anni ‘90 quando con la sua chitarra iniziò a calcare palchi italiani ed esteri con PHPAudrey e Mellowtoy, mostrando la sua versatilità spaziando su più generi legati al rock, in particolare dall’hardcore-melodico al metalcore. oZZo però è artista a 360°, e come tale è curioso, e non avendo la necessità o il bisogno di porsi dei limiti, e particolarmente stimolato da diverse influenze musicali, realizza l’EP “#Pastislost”. Il disco rappresenta perfettamente ciò che è oZZo: il concetto citato prima, formato da due anime, una rock e una electro, anime che difficilmente riescono a trovar sintonia, ma che invece trovano comodo rifugio nella vena artistica di oZZo. In questo lavoro, tra l’altro, è presente “As Fast You Can”, singolo dell’EP e accompagnato da un videoclip girato e prodotto dallo stesso artista, presente anche nelle vesti di attore, ma soprattutto scelto anche come colonna sonora dello spot Edison Smart Living per Edison Energia e protagonista del Radio Italia Tour 2017 come soundtrack del main sponsor. “#Pastislost” fa solo da apripista per il  nuovo percorso artistico di oZZo; stimolato dalla sua curiosità verso nuovo orizzonti sonori e dalla costante voglia di sperimentare, abbraccia anche l’esperienza da DJ ed in particolare da producer; Il primo frutto di questa nuova direzione da DJ/Producer è “Crazy”, già presente nell’EP come traccia live (cover del cantante Seal), resa in una traccia dal sound a tinte electro-house, con la voce di Alessio Corrado (Jellygoat) che da ampio respiro ai passaggi melodici per poi sviluppare armonicamente un drop di sicuro effetto. Il 12 aprile 2019, a pochi mesi dall’esordio nel mondo dance/electro esce “Change RMX”, remix di un suo stesso brano in chiave elettro dubstep, al quale segue “Choices RMX”, disponibile dal 12 giugno.




Roma, salvati altri gatti dalla serial killer di Piazza Re di Roma

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Le Guardie Zoofile N.O.G.E.Z. coordinate da Roberto Attili e Pietro Fusco, con la consulenza tecnico-giuridica di Antonio Colonna (già autore anche delle 3 perquisizioni precedenti), hanno perquisito nuovamente l’abitazione della cosiddetta “serial killer dei gatti di Piazza Re di Roma”, su mandato del Magistrato titolare delle indagini avviate ormai dal 2017. 

Alla Polizia Giudiziaria delegata e ai volontari che hanno partecipato all’attività, tra cui Veronica Innominati e Luca De Bei, da sempre promotori di questa vicenda gattopardiana, si è presentato uno spettacolo - purtroppo - già tristemente noto: la casa era ancora strapiena di materiale di ogni tipo e, oltre alla situazione igienica drammatica, 4 gatti sono stati rinvenuti in situazione di salute critica. 
“La gravissima situazione della signora, ormai nota come “la serial killer dei gatti di Piazza Re di Roma”, è ben lontana dall’essere risolta definitivamente, anzi, è ancora invariata rispetto all'ultimo accesso forzato del dicembre 2017” – dichiarano Veronica Innominati e Luca De Bei – “Siamo sconcertati: nonostante tutti gli sforzi fatti, ancora animali finiscono in quella casa!”. 
Una vicenda che va avanti da più di 20 anni e che, nonostante una determina dirigenziale di sgombero del 2009 e una ordinanza sindacale di sgombero del 2014, non si è mai risolta e, ad oggi, la donna continua ad accumulare animali e rifiuti. 
“Tutto questo è causato anche dal disinteresse dimostrato da importanti enti animalisti che prediligono inseguire casi più semplici e mediatici laddove, verosimilmente, il tornaconto economico è più a portata di mano! – dichiara Antonio Colonna – “Fu il condominio a dover pagare, due anni fa, lo sgombero dell’appartamento in occasione della terza perquisizione, quando furono rinvenuti 4 gatti mummificati nascosti sotto 16 tonnellate di oggetti e immondizia". Una vicenda italiana laddove la pubblica amministrazione, ancora oggi, omette di applicare le leggi, forse perché il caso è troppo oneroso, un caso come migliaia del fenomeno definito “animal hoarders”, in cui persone, incapaci di prendersi cura di se stessi non meritano l’attenzione dei servizi sociali che spesso ci vogliono far credere che queste siano persone capaci gestire la propria vita! E’ normale che questa persona sia abbandonata a se stessa e, con lei, gli animali che nevroticamente da anni cerca e prende con sé tramite annunci on line o trafugandoli dalla strada? E’ normale che il Comune di Roma - che in tema di tutela animale sembrerebbe fare acqua su più fronti - non abbia mai operato uno sgombero? 
E’ normale che, nonostante una perizia che non lascia dubbi circa la psiche della donna, e disposta dal PM (unica Autorità che ha dimostrato sensibilità verso la vicenda), gli Enti preposti, in primis il Dipartimento di Salute Mentale e i Servizi Sociali, non effettuino accertamenti sanitari rispetto la realtà accertata che da oltre due decenni si ripete? E’ normale che un condominio e un quartiere debbano essere alla mercé di una donna affetta da disagio psichico, non curata adeguatamente e debbano confidare unicamente nella tenacia dei volontari amanti degli animali e della legalità, ma anch’essi inascoltati dagli Organi preposti e pagati da noi cittadini? Allo stato attuale, la donna è stata denunciata ed è indagata per i delitti di maltrattamento e uccisione di animali; l’appartamento è attualmente sotto sequestro. 
Speriamo che questo eviti per un po’ che quella casa continui ad essere il luogo dove altri animali possano essere accumulati e fatti morire di stenti e incuria. Le attività di denuncia da parte dei promotori di questa vicenda andranno avanti, al fine di far valutare eventuali responsabilità omissive all'Autorità Giudiziaria. “Di certo, se questa volta non si va fino in fondo – dichiarano Innominati, De Bei e Colonna - ci ritroveremo nella stessa situazione a breve, vittime a nostra volta di uno Stato che troppo spesso demanda al volontario le proprie competenze: in questo caso non solo in tema di tutela animale, ma anche in quello di servizi sociali e igiene pubblica. E la cronaca, anche attuale, purtroppo, ce lo conferma”. 
Veronica Innominati e Luca De Bei per il “Coordinamento Gatti Via Lavinio” 

Marco Morandi e il "pregiudizio" del raccomandato. L'intervista di Fattitaliani

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Il 6 luglio al PARCO AVVENTURA di Fregene nella Rassegna E… STATE AL WOOD “NEL NOME DEL PADRE Storia di un figlio di…” con Marco Morandi. Scritto da Augusto Fornari, Toni Fornari e Marco Morandi. Regia di Toni Fornari. Con la celestiale partecipazione di Gianni Morandi.   

Mi fa piacere - dichiara Marco Morandi a Fattitaliani - portarlo a Fregene e soprattutto in questa Rassegna organizzata da Claudia Campagnola, un’attrice ma anche un’amica con la quale ho lavorato in altri spettacoli.  Nel nome del padre è nato già qualche anno fa, aveva debuttato a Roma poi non l’avevo più rifatto. Tanta gente che non lo aveva ancora visto, mi chiedeva spesso quando l’avrei riportato in scena. È uno spettacolo che mi appartiene molto, parla di me e della mia famiglia. Sento una certa responsabilità.
È difficile parlarne?
Beh, io lo faccio anche un po’ per esorcizzare questo fatto di essere “figlio di”! L’immagine di mio padre è sempre molto presente e quindi un po’ per rispondere a tutti contemporaneamente sulle solite domande che mi vengono fatte, ho deciso di fare questo spettacolo in maniera molto ironica nel quale prendo in giro sia me che tutta la mia famiglia e ci scherzo sopra.
Il tuo papà cosa ne ha pensato, quando per la prima volta l’hai portato in scena?
Beh, innanzitutto c’è anche lui che interviene con dei contributi audio e video. L’ho coinvolto in tutto e per tutto nello spettacolo. Fino a quando ci ha dato il suo contributo non sapeva dove volessi andare a parare ma quando lo ha visto si è divertito molto e devo dire che anche lui ha apprezzato lo spirito ironico e questo prenderci in giro a vicenda, io prendo in giro lui e lui prende in giro me. Si è molto divertito e ha già visto più volte lo spettacolo.
È stata una sorta di liberazione?
In qualche modo sì, sai io da quando sono nato mi fanno sempre più o meno le stesse domande. Ho sempre questo “pregiudizio” del raccomandato, di quello che è stato aiutato e agevolato in una serie di cose e quindi io ne parlo nello spettacolo e spiego come sono andate veramente le cose e rispondo a tutte le domande contemporaneamente senza dover far ripartire il discorso.
Sei accompagnato da tre fantastici musicisti, qual è il repertorio?
C’è Giorgio Amendolara, Daniele Formica e Menotti Minervini un paio dei quali suonano con me nei Rinominati questa band con la quale porto avanti il discorso di Rino Gaetano. In questo spettacolo c’è anche un po’ di Rino Gaetano, perché racconto della mia famiglia e la musica con la quale sono cresciuto e che in qualche modo mi ha segnato artisticamente. Oltre a Rino Gaetano anche Dalla, De Gregori…
La regia è di Tony Fornari...
La regia è di Fornari. Con i fratelli Fornari ho collaborato un bel po’ negli ultimi anni. Questo spettacolo è frutto di un lavoro a sei mani, devo dire che li ringrazio perché mi hanno aiutato a tirare fuori tante cose.
Elisabetta Ruffolo


Convegno a L'Aquila "Ricostruzione, Recupero e Resilienze delle Città Storiche e delle loro Società"

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L'AQUILA - Dal 10 al 12 Luglio il Dipartimento di Science umane dell'Università degli Studi dell'Aquila ospiterà il III Convegno Internazionale ‘Silk Cities’ sui temi di ‘Ricostruzione, Recupero e Resilienze delle Città Storiche e delle loro Società’.
Questo evento di rilevanza internazionale è co-sponsorizzato da University College London e dall'Università degli Studi dell'Aquila e coinvolgerà esperti di beni culturali, urbanistica, economia, psicologia, architettura, storia, informatica, gestione del rischio, e ricostruzione per favorire uno scambio di conoscenze e per discutere questioni comuni a città storiche in tutto il mondo.
Al convegno interverranno accademici e professionisti dall'Australia, Canada, Cile, Giappone, Gran Bretagna, India, Iran, Messico, Norvegia, Pakistan, Peru, Polonia, Spagna, Stati Uniti e Uganda, nonché specialisti da tutta Italia e studenti del Sud del mondo che hanno vinto una borsa di studio per presentare i risultati delle loro ricerche. Il convegno offre ai partecipanti l'opportunità di confrontarsi sui risultati e la ricerca della realtà aquilana a dieci anni dal terremoto del 6 aprile 2009, fornendo contemporaneamente risultati e prospettive di ricerca su altre esperienze nazionali ed internazionali.
Il convegno è stato proposto e co-organizzato dalla dottoressa Fatemeh Farnaz Arefian di Silk Cities, dalla dottoressa Lucia Patrizio Gunning della University College London e dalla Professoressa Paola Rizzi dell'Università degli Studi dell'Aquila. La dottoressa Arefian spiega che “Silk Cities è un’iniziativa indipendente, accademica e professionale che promuove lo scambio di conoscenze, pratiche e ricerca. Sin dall'inizio Silk Cities si è preoccupata di porre in evidenza i problemi delle città del Medio Oriente e dell’Asia Centrale che si trovano lungo le rotte della Via della Seta. Come queste città, L'Aquila è stato un importante centro urbano di rilevanza monumentale e storica è quindi sembrato naturale portare in questa Città la terza edizione del nostro convegno.”
Secondo la dottoressa Patrizio Gunning, “C’è un filo invisibile che lega L'Aquila alle Città della Seta: pensando in particolare alle reti commerciali della lana e dello zafferano e al ricco patrimonio culturale e storico che condividono. Immediatamente dopo il terremoto la Città de L'Aquila ed i suoi abitanti hanno mostrato un'incredibile desiderio di rinascita con una forza ed un orgoglio civico che non sapevamo di avere. In questa fase di rinascita della Città, è un' emozione mostrare i risultati della ricostruzione fisica e sociale in atto durante il terzo convegno Silk Cities”
La professoressa Paola Rizzi specifica che “il Convegno Silk Cities offre un’opportunità unica per confrontarsi e riflettere da diversi punti di vista e da diversi contesti sulla resilienza e la capacità di mantenere efficienti le attività essenziali di un sistema urbano colpito da disastro. Il futuro delle città storiche dipende dalla nostra capacità di considerare la ricostruzione come vera opportunità per rimodellarle."
Durante i tre giorni del Convegno ci saranno sessioni dedicate ai molteplici aspetti della ricostruzione fisica, sociale, economica e culturale. Il ruolo dei beni culturali nella ricostruzione dell’identità civica rappresenta un ulteriore campo di approfondimento, così come il ruolo della scuola alla quale verrà dedicata una sessione speciale con una tavola rotonda. Portando il Convegno nel centro della Città dell'Aquila, si vuole mostrare come la Città, dopo dieci lunghi anni di incertezza, riprende vita contribuendo al contempo a far emergere ad un livello internazionale la bellezza del suo patrimonio storico. L'evento si svolgerà presso la sede del Dipartimento di Scienze umane in Viale Nizza 14, L'Aquila e presso la sede dell'Università degli Studi dell'Aquila di Palazzo Camponeschi in Piazza Santa Margherita 2, L'Aquila.
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From 10 - 12 July, the department of Human Sciences of the University of L’Aquila is hosting the 3rd International Silk Cities Conference on the themes of “Reconstruction, Recovery and Resilience in Historic Cities and Societies”.
This important meeting, co-sponsored by University College London and the University of L’Aquila brings together experts in cultural heritage, urban planning, disaster studies, economics, psychology, architecture, history, information technology, risk management and reconstruction to exchange knowledge and discuss the issues particular to historic cities at risk throughout the world. 
Participants in the conference include academics and professionals from Australia, Canada, Chile, India, Iran, Japan, Mexico, Norway, Pakistan, Peru, Poland, Spain, Uganda, the UK and the USA as well as many specialists from all over Italy and sponsored students from the Global South. The conference offers an opportunity to learn from the experiences of L’Aquila and Central Italy over the last decade as well as to provide insights into the experiences of other cities and cultures.
The conference has been convened by Dr Fatemeh Farnaz Arefian of Silk Cities with the L’Aquila-born Dr Lucia Patrizio Gunning of University College London and Prof. Paola Rizzi of the University of L’Aquila.

Dr. Arefian explains that “Silk Cities is an independent academic and professional initiative which promotes contextual knowledge exchange, research and advocacy. Whilst the initial focus of Silk Cities has been the disaster-hit cities of the Middle East and Central Asia which lie on the historic silk routes, L’Aquila like many of these cities, enjoyed a rich history of urban life and it made sense to bring the 3rd Silk Cities International conference here.”

According to Dr Patrizio Gunning, “there is a natural thread connecting L’Aquila with the Silk Cities; from the medieval web of trade in silk, wool and saffron, to the dense historic urban fabric that they all share. L’Aquila displayed fortitude and resilience in the aftermath of disaster and this is slowly transforming into a renaissance of civic pride. As this beautiful city re-emerges, it seems fitting that it should host the 2019 Silk Cities conference addressing the themes particular to historic cities at risk." 

Prof. Paola Rizzi notes that “the Silk Cities Conference is a unique opportunity to embrace different points of view rooted in different contexts as well as to reflect on resilience, the capability to keep essential urban activities operational. The future of historic cities will depend on whether we’ll be able to consider reconstruction as a real opportunity to reshape them.” 
Over the three days of the conference, focussed sessions will investigate the many aspects of the conference themes. The role of cultural heritage in building civic identity, as a stimulus for recovery, a focus for tourism and as a means to building resilience forms one thread. A second strand of sessions looks at information technology in smarter reconstruction, preparedness and civic resilience and its use as a tool for public engagement and participation. Interwoven with this, the conference will examine human factors; the narratives of approach to disaster and recovery, the social and psychological aspects of recovery and how to engage the next generation of citizens.
A special round table on schools, resilience and recovery in L’Aquila has been convened to look at the important role that educational institutions have to play both in ensuring safety of their pupils and in reconnecting children with their city.
In bringing this conference to the centre of L’Aquila this year, the convenors were keen to show how the city, after a decade of uncertainty and struggle, is finally coming back to life and to bring the beauty of its historic heritage to an international audience.
Leaflet and Programme
Venue: Department of Human Studies Viale Nizza 14, 67100 L'Aquila, University of L'Aquila Palazzo Camponeschi, piazza Santa Margherita 2, 67100 L'Aquila

In libreria “Senza pietre” omaggio in versi di undici poeti a Carlo Levi

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Disponibile in libreria “Senza pietre” un originale lavoro editoriale di Progetto Cultura, curato da Michela Zanarella, nato per ricordare uno tra i più significativi narratori del novecento: Carlo Levi.
Undici autori si sono uniti per rendergli un omaggio corale: Simone Carunchio, Davide Cortese, Flaminia Cruciani, Letizia Leone, Serena Maffia, Marina Marchesiello, Roberto Piperno, Luciana Raggi, Anna Santoliquido, Fabio Strinati, e la stessa Michela Zanarella. Vittorio Pavoncello, ideatore e promotore dell’iniziativa letteraria e teatrale, nell’introduzione al volume scrive: “Se le parole sono pietre come afferma Carlo Levi in una splendida metafora rimasta famosa nella cultura italiana, dobbiamo pensare alle parole con metodologie e categorie proprie della geologia”.
Michela Zanarella nel suo intervento mette in evidenza il lavoro collettivo degli autori, che con un proprio stile hanno voluto celebrare l’autore del noto romanzo storico “Cristo si è fermato ad Eboli”, artista eclettico e attento osservatore dell’umanità. Molto particolare e interessante l’analisi critica di Lorenzo Spurio che ci proietta a comprendere la metafora dell’uomo-formica e la prigionia in Lucania descritta nelle poesie dell’autore. 
Questo libro non è quindi soltanto un’antologia di poesie, ma diventa il simbolo di una continuità espressiva ed emozionale in cui la poesia è la pietra sulla quale edificare bellezza per il futuro. L’11 ottobre il volume sarà presentato alla Fondazione Carlo Levi di Roma.

Leo Gassman, nuovo singolo “Dimmi Dove Sei” dedicato a chi fugge

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Leo Gassmann torna con un nuovo singolo dal titolo “Dimmi Dove Sei”, uscito il 28 giugno e distribuito da Universal Music Italia. Dal 5 luglio 2019, è disponibile anche il video del brano, per la regia di Riccardo Cesaretti.

“Dimmi Dove Sei” è scritto da Leo Gassmann e prodotto da Matteo Costanzo, che ha collaborato con Leo anche alla produzione del precedente singolo, “Cosa Sarà Di Noi?”.

Questo nuovo brano si tinge di note folk, che rimandano ad atmosfere limpide ed estive, senza dimenticare l'attitudine e l'ispirazione alla canzone d'autore.
Con quello che sembra un gioco di parole, lo stesso Leo Gassmann descrive “Dimmi Dove Sei” come “un brano dedicato a tutte le persone che fuggono e che fuggendo si ritrovano. Un brano che cerca di portare speranza nei cuori degli amanti dell'amore complicato, dell'amore condiviso, dell'amore universale”.


Leo Gassmann è nato a Roma nel 1998.
Appassionato fin da bambino alla musica, ha iniziato a studiare canto all’età di 14 anni fino a portare a termine i suoi studi all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma.
Ha partecipato all’edizione del 2018 di X Factor nel team degli under uomini di Mara Maionchi ottenendo un forte riscontro dal pubblico arrivando alle semi finali del talent show.
Figlio di Alessandro Gassmann e Sabrina Knaflitz, oltre a dedicarsi alla musica, Leo studia Affari Esteri all’Università Americana di Roma.
La scorsa primavera ha pubblicato il singolo “Cosa Sarà Di Noi?”, da lui scritto e distribuito da Universal Music Italia.

IL FESTIVAL DELLA MODA E "MISS MODA & TALENTO" FANNO TAPPA A NEMI

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Sabato 13 luglio in piazza Umberto I alle 21.00 appuntamento con la moda e la bellezza per eleggere "Miss Nemi" 2019

Riparte il tour estivo del "Festival della Moda" e del contest di bellezza "Miss Moda & Talento", sotto la direzione di Sabina Prati e Stefano Raucci.
L'appuntamento è per sabato 13 luglio alle 21,00 in piazza Umberto I a Nemi, in uno dei borghi più belli d'Italia, una vera e propria "perla" della nostra Regione.
L'organizzazione è a cura dell'agente di moda Sabina Prati, titolare dell'Agenzia Sabina Prati Eventi Moda, e del conduttore di Radio Radio Stefano Raucci, che è anche il presentatore ufficiale.
Diverse saranno le componenti dello spettacolo, che avrà il patrocinio della locale amministrazione comunale.
Le ragazze protagoniste della serata, provenienti da ogni parte della regione Lazio, saranno in lizza anche per il Contest "Miss Moda & Talento" e per conquistare la fascia di Miss Nemi 2019. Una apposita giuria le valuterà per stabilire chi tra loro andrà avanti in un cammino che si completerà con la Finale nazionale di settembre 2019 a Roma.
Nella tappa di Nemi gli organizzatori si avvarranno anche della collaborazione di Erno Rossi e William Vittori,della Azienda di Wedding & Event Eds WP Eventi, professionisti del settore moda e spettacolo che daranno il loro importantissimo contributo dall'alto di una esperienza consolidata anche nelle vesti di giudici, coach e formatori.
La moda sarà protagonista della serata. Sfileranno in passerella gli abiti del giovane e talentuoso stilista Thomas Di Donato, che proprio con il "Festival della Moda" ha riscosso consensi unanimi qualche mese fa all'Arancera di San Sisto di Roma. Il pubblico potrà ammirare anche i favolosi abiti da sposa di MLR. e le creazioni fashion di pregevole fattura di Adele Del Duca. Le ragazze indosseranno costumi della Aqua Beach Wear, in omaggio alla calda stagione estiva.
Sarà uno show come sempre vario e coinvolgente quello che gli organizzatori Stefano Raucci e Sabina Prati offriranno al pubblico nella meravigliosa cornice di Piazza Umberto I a Nemi, location bellissima e ideale per un evento che coniuga eleganza e bellezza.

L'artista e pittrice Chiara Polizzi, l’approccio con l’arte è molto soggettivo e intimo. L'intervista

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Chiara Polizzi, artista e pittrice siciliana … «l’approccio con l’arte è molto soggettivo e intimo, si basa sulla sensibilità di ognuno e sull’esperienza che ognuno ha del mondo» Intervista di Andrea Giostra.

Ciao Chiara, benvenuta e grazie per la tua disponibilità. Ai nostri lettori che volessero conoscerti quale artista di arti visive, cosa racconteresti di te?
Ciao Andrea, grazie per esserti interessata al mio lavoro. Raccontarsi non è semplice ma raccontare delle proprie passioni può dire molto di una persona. Tutto mi porta sempre verso un'unica via, il mio lavoro legato all’arte.
Come definiresti il tuo linguaggio pittorico? C’è qualche artista al quale t’ispiri? 
Le definizioni sono lontane dal mio modo di pensare e di agire, data anche la moltitudine di passaggi e materiali che utilizzo per la realizzazione di ogni pezzo, non c’è, in effetti, una definizione univoca per il linguaggio usato. Posso dire che parto da una pittura figurativa, la quale viene poi “cancellata”, ricoperta da uno strato di pastelli a olio, realizzati da me con scarti di cere, candele e pigmenti in polvere. L’esigenza di lavorare su una superficie, come carta, tele e legno non si esaurisce ancora quindi continuo a graffiare lo strato di pastelli con gli strumenti usati in calcografia o qualsiasi utensile appuntito che mi dà possibilità di segnare la superficie per rimuovere parte del pastello, così da far riemergere l’immagine sottostante. Per quanto riguarda invece all’artista di riferimento, posso ricordare la mia formazione accademica di “stampo” seicentesco, molto presente e tra i doversi linguaggi la pittura fino ad ora è il medium che prediligo. Pensavo di non potermi concedere il permesso di raccontarmi diversamente o simultaneamente con più linguaggi, poi solo dopo aver conosciuto da vicino Francesco Lauretta, artista straordinario che usa la pittura come suo linguaggio espressivo ma che liberamente spazia e si esprime con i linguaggi più diversi, ho captato l’importanza di ascoltarsi e far fluire le idee che si concretizzano poi in un quadro, in un suono, in un istallazione, in piena libertà espressiva.
Qual è secondo te lo stato di salute dell’arte moderna e contemporanea in Italia? A cosa servono eventi internazionali, come per esempio Manifesta12 che si è tenuta a Palermo nel 2018 e che ha avuto un buon successo di pubblico ma anche di artisti?
A mio avviso l’arte gode di ottima salute soprattutto ad altissimi livelli, c’è molto interesse nella promozione organizzazione di eventi anche da parte di collezionisti e fondazioni, interesse da parte di galleristi nella ricerca di artisti emergenti, c’è fervore anche in Sicilia, molte personalità valide tra artisti e curatori lavorano duramente perché credono nell’arte nella sua diffusione e nello scambio culturale con altri paesi, questo però non sempre coincide con la possibilità, soprattutto per gli artisti emergenti, di avere un flusso continuo di remunerazione e lavoro che va sempre rincorso, a mio avviso.  Eventi come Maniesta12sono serviti a dare una boccata d’aria alla città di Palermo, sia per quanto riguarda il turismo sia per quanto riguarda la possibilità di conoscere i diversi approcci e linguaggi che utilizza l’arte contemporanea, compresi tutti i difetti di organizzazione e le diverse critiche mosse sulla scelta degli artisti ecc.., ma l’utilità starebbe nel lanciare la possibilità di un vero flusso continuo si scambio di eventi nazionali e internazionali, continuare a nutrire l’amore per la città, penso che i palermitani tutti, non si possono accontentare di un mega effetto Luna Park che lascia solo coriandoli e edifici storici chiusi. Alla luce di questo, dobbiamo ringraziare e sostenere le diverse associazioni, team e figure professionali locali che lavorano ogni giorno, le gallerie palermitane, che mantengono vivido questo amore verso la nostra città e la cura di ciò che siamo stati e quello che potremmo essere e diventare.
«Le arti visive, la pittura, la scultura, l’architettura, sono linguaggi immobili, muti e materiali. Quindi il rapporto degli altri linguaggi con questo è difficile perché sono linguaggi molto diversi tra loro. Per cui c’è questa tendenza… non si capisce… si può capire il motivo perché probabilmente vogliono un po’ sentirsi tutti artisti, pittori, non si sa perché… L’arte visiva è vivente… l’oggetto d’arte visiva. Per cui paradossalmente non avrebbe bisogno neanche di essere visto. Mentre gli altri linguaggi devono essere visti, o sentiti, o ascoltati per esistere. Un’altra cosa nell’arte visiva caratteristica è che non si rivolge in particolare a nessuno spettatore, non c’è una gerarchia di spettatori, ma sono tutti alla stessa distanza dall’opera. Non ci sono gli esperti.
Un giudizio di un bambino vale quello di un cosiddetto esperto, per l’artista. Non c’è nessun particolare… Anche perché non esistono gli esperti d’arte. Gli unici esperti, veramente, sono gli artisti. Gli altri percepiscono l’arte, ma non possono essere degli esperti altrimenti la farebbero, la saprebbero fare.»(Gino De Dominicis, Intervista a Canale 5 del 1994-95). Cosa ne pensi di queste parole di Gino De Dominicis? Qual è la tua posizione in merito?
I linguaggi dell’arte sono sicuramente diversi e disuguali, tutti producono un prodotto, un evento, un’esperienza artistica che va vissuta, guardata per essere attivata, abbattendo il concetto di gerarchia sia di linguaggi sia di spettatori, perché l’approccio con l’arte è molto soggettivo e intimo, si basa sulla sensibilità di ognuno e sull’esperienza che ognuno ha del mondo, questo riguarda sia gli addetti ai lavori sia pubblico. 
Quali sono secondo te le qualità, i talenti, le abilità che deve possedere un artista per essere definito tale? Chi è “Artista” oggi secondo te? 
Non c’è una formula esatta, non ci sono regole da seguire, si tratta di persone che studiano, leggono, viaggiano, perenni curiosi e inquieti con una buona sensibilità nel cogliere gli aspetti del mondo e usano l’arte per comunicare il loro sentire a prescindere dal linguaggio usato. Un aspetto importante però è essere sé stessi, trasparenti, senza sovrastrutture. 
Come è nata la tua passione per la pittura e per l’arte? Quale il tuo percorso artistico?
Nasco e cresco in una comune famiglia di commercianti, che ha sempre nutrito l’amore per le arti, come la musica, il teatro, il restauro e infine ma non per importanza per la fotografia, professione tramandata da mio nonno a mio padre. Quindi si è creato l’ambiente ideale e stimolante in cui crescere, di conseguenza è stata assecondata e incoraggiata la mia passione per il disegno e per l’arte. Ho frequentato l’Istituto d’Arte di Palermoe l’Accademia di Belle Arti di Palermo in arte Sacra contemporanea con indirizzo Pittura, poi il biennio specialistico in pittura. Già a partire dal periodo accademico ho partecipato a mostre e contest e cosi via fino alla collaborazione con la Galleria La Piana arte contemporanea di Palermo, di Massimo La Piana, gallerista che ha creduto e crede nel mio lavoro. 
Charles Bukowski, grandissimo poeta e scrittore del Novecento, artista tanto geniale quanto dissacratore, in una bella intervista del 1967 disse… «A cosa serve l’Arte se non ad aiutare gli uomini a vivere?»(Intervista a Michael Perkins, Charles Bukowski: the Angry Poet, “In New York”, New York, vol 1, n. 17, 1967, pp. 15-18). Tu cosa ne pensi in proposito? Da questa prospettiva, a cosa serve la tua arte, ovvero, le arti visive in genere?
Sono d’accordo con questa citazione, può aiutare gli uomini a vivere. Ho imparato ad ascoltarmi è posso affermare che ciò che faccio salva prima me e spero che serva anche agli altri. 
Cosa consiglieresti a giovani donne che volessero cimentarsi nella tua professione? Quali i tre consigli più importanti che ti senti di dare?
Be’, sono delle frasi che mi ripeto sempre, lavorare a ciò ti fa stare bene a prescindere dal linguaggio scelto con una buona dose di curiosità; mantenere davanti a sé l’obiettivo da raggiungere, anche se ci saranno molti ostacoli; ascoltare sempre i consigli di tutti ma seguire in fondo cosa ti dice la tua pancia. 
Ci parli dei tuoi ultimi lavori e dei lavori in corso di realizzazione? A cosa stai lavorando in questo momento?
I lavori attuali sono sempre frutto dell’estenuante ricerca sull’identità, sulla capacità dell’individuo di emergere dal caos e il suo ritorno nell’oblio, come un flusso ciclico. Per me questo capitolo ancora non è chiuso, anche se sta cambiando forma ho questa necessità di non lasciarlo andare.
Dove potranno seguirti le persone che vogliono vedere il tuo lavoro?
Possono seguirmi sui social come instagram e facebook (vedi i link sotto), naturalmente anche nel mio sito personale per conoscere i miei lavori e le ultime mostre.

Chiara Polizzi

Andrea Giostra


Banda Osiris, il nostro pubblico è aperto alle contaminazioni e all’accoppiata di generi diversi. Fattitaliani intervista Gian Luigi Carlone

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Al via da oggi la 53ma edizione del Festival Teatrale di Borgio Verezzi che si protrarrà fino a 20 agosto. Ad inaugurare la Kermesse sarà la Banda Osiris composta da Alessandro Berti, Gian Luigi Carlone, Roberto Carlone e Carlo Macrì.  Regia e Produzione di Banda Osiris. In Anteprima al Festival con lo spettacolo Banda 4.0


La Banda Osiris tra un po’ festeggerà il suo 40° compleanno. Com’è nata? 
Da un progetto di animazione teatrale che cercava di unire Comicità e Movimento del Corpo, rifacendosi al mondo delle bande musicali che tornavano in auge negli anni 80 nelle varie città come a Vercelli dove sono nato. Era la banda più piccola del mondo e non abbiamo fatto altro che mischiare vari generi dal vaudeville al varietà. 

Avete cavalcato due secoli, come siete sopravvissuti? 

All’inizio è stato difficilissimo, non si riusciva ad accedere nei Teatri e quindi era più che altro un Teatro in strada, all’aperto e si andava a cappella. Non avevamo limiti e facevamo le cose per farci conoscere. Adesso è tutto molto più complesso vista la situazione economica e sociale in cui viviamo e abbiamo iniziato a porci dei limiti.

Il nome com’è nato? 

In quegli anni era ancora molto conosciuta la Wanda e volevamo ispirarci al mondo del Varietà. Wanda Osiris era un’icona del varietà e un’artista completa perché era Cantante, soubrette…

Un Varietà che poi nessuno è riuscito a far riemergere almeno dal punto di vista televisivo… 

Sono dei generi legati a dei repertori e a dei periodi storici in cui nascono. Riproporli non è facile perché sarebbero rifatti con dei toni nostalgici e non sarebbero uguali.

Forse delle brutte copie… Mi spiega come nel vostro repertorio convivono Mozart e Buscaglione? 

È proprio quello che cerchiamo di fare… la convivenza tra mondi diversi. Noi abbiamo fatto studi diversi, abbiamo ascoltato tanta musica e crediamo di esserci riusciti perché la gente si diverte ed apprezza anche un genere musicale che non conosce. C’è un continuo scambio di cultura e di informazioni. 

Dagli anni di piombo al liberismo social, cosa è cambiato? 

Prima c’erano più soldi e si riuscivano a fare più progetti facilmente e senza pensarci troppo. Adesso è quasi impossibile! La fascia media è sparita non solo tra gli artisti ma un po’ in tutti i campi. 

Qual è il vostro pubblico? 

È aperto alle contaminazioni e all’accoppiata di generi diversi. Loro si divertono e anche noi troviamo riscontro perché se il pubblico è curioso, lo spettacolo rende di più. 

Ha parlato di contaminazioni, immagino abbiate anche un pubblico giovane… Abbiamo gente che ci segue dall’inizio della carriera e portano i figli che la prima volta vengono mal volentieri, poi si divertono e scoprono un modo diverso  di abbracciarsi alla musica. Per loro non è facile conoscere ciò che non sta in Rete.

Elisabetta Ruffolo

lvca, "mandarino"è il nuovo singolo tra ermetismo urbano, Pascoli e decostruzione dei brand

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mandarino è il nuovo singolo di lvca, fuori per Giada Mesi e disponibile da oggi 5 luglio su tutte le piattaforme di streaming e digital stores. Il singolo rinnova la linea tracciata dai singoli precedenti, che hanno portato il sodalizio artistico tra lvca e il producer Ilovenikobrens a essere tra le nuove proposte più apprezzate del graffiti pop italiano.
Un frutto per raccontare il suo personalissimo sguardo sul mondo: mandarino è lvca. Attraverso un continuo intreccio tra metafore, flashback e scene di vita futura lvca dà vita a un racconto che avvicina Pascoli all’America, Louis Vuitton al Sistema Solare. Nel brano la sensazione di sentirsi come un mandarino d’estate affianca il tema del rapporto tra provincia e città, il tutto attraverso un ermetismo urbano originale e unico. Da una finestra di Bassano del Grappa lvca si allontana dagli stereotipi del rap e dai suoi feticci contemporanei, decostruendo brand e altri punti cardinali del genere. 
 
Un anti-rapper che cita Pascoli, anelli nel bicchiere e Winnie The Pooh: o forse semplicemente un mandarino d’estate.

lvca è in tour, in collaborazione con Magic Bean. Queste le sue prossime date:
6.07 - Bologna, Oltre Festival
31.07 - Porto S. Elpidio, Marche - RESET@ Lido Bagni Pazzi
20.08 - Sona (VR), Mag Festival

 
BIO
Luca Rebellato in arte lvca, nato a Bassano del Grappa nel 1997, inizia ad avvicinarsi al mondo della musica sin da piccolo, finchè all’età di 15 anni fonda con un caro amico la crew hiphop “LoopiClick. Un anno dopo inizia a lavorare al suo primo Ep “Dentro e Fuori dall’Acqua” da Endi Primo. A distanza di qualche mese entra a far parte della label indipendente Ak47 con cui registra il suo primo street album “Helsinki” che riscuote un discreto successo e arrivano i primi live. Nel 2016 incontra il talentuoso beatmaker Nicola (ilovenikobrens) e decide di lasciare la label per intraprendere un nuovo percorso con lui. I due iniziano a registrare numerose tracce da cui nasce il disco “Donnarumma”. Nel 2017 ha vita il progetto lvca che li porta a registrare quattro singoli disponibili su Spotify.
 
Nicola Cerantola in arte Ilovenikobrens, nato a Bassano del Grappa nel 1999, eredita la passione della musica dal padre, suona la chitarra e il basso. I primi beat inizia a crearli nel 2016 con una tastiera e FL Studio. Si avvicina al mondo dell’hiphop grazie all’amicizia stretta con Luca e nel 2017 inizia con lui il un solido percorso musicale: lvca. Percorso che li porta alla firma con Giada Mesi.
 
 

65° Taormina Film Fest, premiati "Show Me What You Got", gli attori di "Ellen", Minhal Baig

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Si conclude la 65a edizione del Taormina Film Fest, che, con 78 film in programma in rappresentanza di 24 differenti Paesi, ha riscosso un grande successo di pubblico e critica. Un Festival vincente anche sui social, con 400mila visualizzazioni che riguardano solo la settimana della kermesse fino alla serata di venerdì.

La sessantacinquesima edizione del Taormina Film Fest, che ha visto la presenza di star internazionali del calibro di Nicole Kidman, Octavia Spencer, Julia Ormond, Oliver Stone, Peter Greenaway, Phillip Noyce e Richard Dreyfuss, è prodotta e organizzata da Videobank, con la direzione artistica di Silvia Bizio e Gianvito Casadonte. Al festival la Apple ha annunciato il proprio ingresso ufficiale in un festival internazionale, presentando la sua nuova serie drammatica Truth Be Told, creata da Nichelle Tramble e ispirata dal romanzo di Kathleen Barber e ha presentato il documentario “The Elephant Queen”, diretto da Mark Deeble e Victoria Stone e il film “Hala”, diretto da Minhal Baig per la produzione esecutiva di Jada Pinkett Smith.

La giuria lungometraggi, composta da Oliver Stone, André Aciman, Carlo Siliotto, Paolo Genovese, Elisa Bonora, Carolina Crescentini e Julia Ormond ha decretato come vincitori: 
PREMIO CARIDDI D'ORO per il MIGLIOR FILM: Show Me What You Got, di Svetlana Cvetko
PREMIO CARIDDI D'ARGENTO per la MIGLIOR REGIA: Minhal Baig per Hala
PREMIO CARIDDI D'ARGENTO per la MIGLIOR SCENEGGIATURA: Picciridda, scritto da Paolo Licata con la collaborazione di Ugo Chiti e basato sul romanzo di Catena Fiorello.
PREMIO MASCHERA DI POLIFEMO per il MIGLIOR ATTORE: Jarrid Geduld per il film Ellen: die storie van Ellen Pakkies
PREMIO MASCHERA DI POLIFEMO per la MIGLIOR ATTRICE: Jill Levenberg per il film Ellen: die storie van Ellen Pakkies

MENZIONI SPECIALI: “Nello spirito delle giovani donne viste in Hala, Show me what you got, Picciridda, This Teacher, Vai, In the life of Music e Azali vorremmo onorare le interpretazioni di Marta Castiglia e Lucia Sardo nel film Picciridda”.

La giuria documentari composta da: Donatella Finocchiaro, Bedonna Smith, Andrea Pallaoro e Patrizia Chen assegna il Premio Cariddi

PREMIO MIGLIOR DOCUMENTARIO a One Child Nation diretto da Nanfu Wang e Jialing Zhang. Sottolinea la giuria “un film che ci ha commosso profondamente per la sua onestà e per il suo impegno a dare luce su un momento buio nella storia che continua ad avere impatto sulla vita di miliardi di persone intorno al mondo oggi”.

MENZIONI SPECIALI a Patma Tungpuchayakul per Ghost Fleet e a Andrea Crosta per Sea of Shadows. La motivazione della giuria recita: "due personaggi che abbiamo incontrato nei film che abbiamo visto e che hanno toccato i nostri cuori come eroi, avendo messo la loro vita in pericolo e rischiando tutto per difendere l’umanità e il futuro del pianeta".

Gli altri premi:
PREMIO VIDEOBANK a Guja Jelo
PREMIO VIDEOBANK a Mario Incudine
PREMIO ANGELO D'ARRIGO a Oliver Stone
PREMIO DEL FESTIVAL a Luca Josi, Executive Vice President, Brand Strategy, Media & Multimedia Entertainment di TIM VISION “per il significativo contributo che ha dato al cinema in Italia con le sue pubblicità collegate all'immaginario filmico”.
PREMIO WELLA a Maria Grazia Cucinotta
MENZIONE SPECIALE TAORMINA FILM FEST al corto IL GIORNO PIU' BELLO, scritto e diretto da Valter d’Errico e prodotto da Jo Champa "per essere vicino a tutte le persone vittime di violenza e per aver veicolato il messaggio che la denuncia e’ fondamentale. Denunciate!"

PREMIO CENTER STAGE COMPETITION per il MIGLIOR FILM della giuria di studenti delle università di Catania e Messina, coadiuvato da studenti internazionali a Spiral Farm, di Alec Tibaldi, con Piper De Palma
PREMIO CENTER STAGE COMPETITION MIGLIOR REGIA a Julia Butler per Slipaway
PREMIO SPECIAL AIR ITALY per un giovane emergente siciliano a Marta Castiglia per la sua interpretazione in Picciridda

Nel corso di questi giorni hanno ricevuto il Taormina Arte Award: Bruce Beresford, Nicole Kidman, Phillip Noyce, Fulvio Lucisano, Peter Greenaway e Octavia Spencer, oltre a Martha Coolidge, Julia Ormond e Alessandro Haber e Dominique Sanda che lo hanno ricevuto nel corso della cerimonia finale.

Il Festival, che quest’anno ha visto come madrina l’attrice e modella spagnola Rocío Muñoz Morales è stato presentato, nelle serate al Teatro Antico, dalla conduttrice e attrice Carolina Di Domenico, prodotto e organizzato per il secondo anno consecutivo da Videobank, in collaborazione con la Fondazione Taormina Arte (sostenuta dall’Assessorato regionale al Turismo e dal Comune di Taormina), con la direzione artistica di Silvia Bizio e Gianvito Casadonte.

 SkyTg24, Radio Monte Carlo, Raimovie, Società Editrice Sud, F e MyMovies sono media partner dell’evento. I premi sono firmati dall'orafo Michele Affidato.

Per maggiori informazioni:
www.taorminafilmfest.it

Romanzi da leggere a puntate online. 29^ puntata, “Il sosia” di Fëdor Michajlovič Dostoevskij

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La 29^ puntata dei Romanzi da leggere online è dedicata al settimo capitolo de “Il sosia” di Fëdor Michajlovič Dostoevskij. In copertina: Karel Appel (Amsterdam 1921 - Zurigo 2006) “Nu”, 1962, olio su tela.

IL SOSIA | Poema pietroburghese

Capitolo 7°.

Si riprese un po' quando si trovò sulla scala, nell'entrare nel suo appartamento. "Ah, che testa di montone!" si insultò mentalmente, "dove diavolo lo porto? Vado a impiccarmi da solo...
Cosa penserà mai Petruska nel vederci insieme? Che cosa avrà ora l'audacia di gabolare, quel mascalzone? e lui è un tipo sospettoso..." Ma ormai era troppo tardi per pentirsi; Goljadkin bussò, la porta si aprì e subito Petruska cominciò a togliere il cappotto all'ospite e al padrone. Goljadkin diede un'occhiata di sbieco a Petruska, gli lanciò appena uno sguardo rapido, cercando, attraverso l'espressione del viso, di scoprirne i pensieri. Ma, con suo enorme stupore, vide che il suo domestico era mille miglia lontano dal mostrarsi meravigliato: sembrava
addirittura che si aspettasse qualcosa di simile. Naturalmente ora guardava in cagnesco, di traverso e sembrava pronto a divorare chi sa chi.
"Sta a vedere che qualcuno oggi li ha stregati tutti!" pensava il nostro eroe, "che qualche demonio abbia fatto il giro? Senza dubbio oggi c'è in tutti qualcosa di particolare. Che il diavolo mi porti, è un bel tormento!" Ecco che, continuando a rimuginare in tal modo, Goljadkin portò l'ospite nella sua stanza e lo pregò umilmente di accomodarsi.
L'ospite, era chiaro, era in grandissimo imbarazzo e, intimidito, seguiva umilmente tutti i movimenti del padrone di casa, si attaccava a ogni suo sguardo e sembrava che cercasse di indovinarne i pensieri. In tutti i suoi gesti c'era qualcosa di avvilito, di abbattuto, di spaventato, tanto che, se potrà valere il paragone, assomigliava in quel momento a un uomo che, non avendo un abito suo, indossasse quello di un altro: le maniche gli salgono in alto, la vita arriva quasi alla nuca e lui, ora non fa che aggiustarsi il panciotto troppo corto, ora dà di fianco e si sposta da una parte, ora studia il momento giusto per rintanarsi in qualche angoletto, ora fissa gli occhi su tutti e tende l'orecchio se mai qualcuno non accenni alla sua condizione, non rida alle sue spalle e non si vergogni di lui... e quest'uomo si sente avvampare, quest'uomo si smarrisce, e il suo orgoglio ne soffre... Goljadkin posò il cappello sulla finestra; per un movimento brusco il cappello cadde sul pavimento. L'ospite si precipitò a raccoglierlo, lo ripulì dalla polvere, lo rimise con attenzione al posto di prima e il suo lo posò sul pavimento, vicino alla sedia, sul cui bordo lui stesso si era timidamente messo a sedere. Questa circostanza, apparentemente insignificante, aprì in parte gli occhi a Goljadkin; comprese che c'era un gran bisogno di lui e perciò non indugiò più a lambiccarsi il cervello sul modo di attaccare discorso col suo visitatore, lasciando che lui stesso, come si conveniva, si prendesse questa briga. L'ospite però, da parte sua, non cominciava nemmeno lui, sia per timidezza sia per un leggero senso di vergogna, sia perché, per educazione, aspettava l'iniziativa del padrone di casa. Chi lo sa? era difflcile capirci qualcosa. In questo momento entrò Petruska, si fermò sulla soglia e fissò lo sguardo sulla parte perfettamente opposta a quella in cui si trovavano l'ospite e il suo padrone.
"Mi ordinate di prendere il pranzo per due?" disse con indifferenza e con voce leggermente rauca.
"Io... io non so... voi... Sì, caro, sì, prendine per due." Petruska uscì. Goljadkin guardò l'ospite. Era diventato rosso fino alle orecchie. Goljadkin era un brav'uomo e perciò, per bontà d'animo, improvvisò subito una teoria:
"Poveraccio" pensava, "ha il posto solo da un giorno; a suo tempo avrà certamente sofferto: forse, l'unica sua proprietà è un vestituccio decente, e non avrà di che mangiare. Ma guarda un po' com'è abbattuto! No, non fa niente; da un certo punto, anzi, è meglio...""Scusatemi, se io..." cominciò Goljadkin "ma, a proposito, permettete che vi chieda come vi devo chiamare...""Io... Io... Jakòv Petrovic'" mormorò appena percettibilmente l'ospite, come mortificato e quasi vergognandosi e chiedendo scusa di chiamarsi anche lui Jakòv Petrovic'.
"Jakòv Petrovic'!" ripeté il nostro eroe, incapace di nascondere il suo turbamento.
"Sì, signore, proprio così... Sono un vostro omonimo" rispose pieno di umiltà il visitatore, osando sorridere e dire qualcosa in tono scherzoso. Ma subito si ammosciò e assunse un aspetto serio e un po' anche turbato, essendosi accorto che il padrone di casa aveva proprio altro per la testa che gli scherzi.
"Voi... permettetemi che vi chieda per quale motivo ho l'onore...""Conoscendo la vostra magnanimità e le vostre virtù," lo interruppe l'ospite rapidamente, ma in tono timido, alzandosi un po' dalla sedia "ho osato rivolgermi a voi e sollecitare la vostra... conoscenza e la vostra protezione" concluse l'ospite, evidentemente faticando a trovare le espressioni, scegliendo parole non troppo servili e adulatrici, per non compromettersi dal punto di vista dell'amor proprio, ma nemmeno troppo audaci, che avrebbero richiamato al pensiero una sconveniente parità. In genere bisogna dire che l'ospite di Goljadkin si comportava come un accattone di buona famiglia, in un frac tutto rammendi e con un passaporto in tasca intestato a un nobile, non ancora familiarizzatosi col modo di tendere la mano come si conviene.
"Voi mi sconcertate" rispose Goljadkin, guardando se stesso, e le pareti, e l'ospite; "in che cosa potrei io... cioè, voglio dire, sotto quale punto di vista posso esattamente esservi utile in qualche cosa?""Io, Jakòv Petrovic', mi sono sentito attratto da voi fin dal primo sguardo e, siate generoso e perdonatemi, ho riposto in voi le mie speranze, ho osato sperare, Jakòv Petrovic'. Io... io sono qui un uomo sperduto, Jakòv Petrovic', sono povero, ho sofferto molto, Jakòv Petrovic', e qui sono ancora nuovo. Avendo saputo che voi, oltre le comuni, innate virtù della vostra anima eletta, avete anche il mio cognome..." Goljadkin aggrottò il viso.
"... il mio cognome e siamo nativi delle stesse parti, ho deciso di rivolgermi a voi e di esporvi la difficile condizione in cui mi trovo.""Bene, bene... Veramente non so proprio che cosa dirvi" rispose con voce turbata Goljadkin; "ecco, dopo pranzo, ne parleremo..." L'ospite fece un inchino; fu portato il pranzo. Petruska apparecchiò tavola e l'ospite e il padrone si accinsero a sfamarsi. Il pranzo non durò molto perché tutti e due avevano fretta. Il padrone perché non si sentiva a suo agio e perché si vergognava di quel pranzo così cattivo; in parte perché avrebbe voluto far mangiare bene l'ospite, e in parte perché gli sarebbe piaciuto mostrare che non viveva da poveraccio. Dal canto suo, l'ospite era molto turbato e confuso al massimo. Dopo aver preso una volta il pane e aver mangiato la sua fetta, non aveva il coraggio di allungare la mano verso una seconda fetta, si tratteneva dal prendere i bocconi migliori e assicurava continuamente di non avere fame, che il pranzo era stato eccellente e che, per conto suo, era soddisfattissimo e non l'avrebbe dimenticato fino alla morte. Quando ebbero finito di mangiare, Goljadkin accese la pipa, e ne offrì all'ospite un'altra che teneva da parte per gli amici; si misero a sedere uno di fronte all'altro e l'ospite cominciò a raccontare le sue avventure.
Il racconto del signor Goljadkin numero due continuò per tre o quattro ore. La sua storia, del resto, era costituita dalle più banali e squallide, se così si può dire, circostanze. Si trattava di un impiego in un ufficio del distretto, di non so quali procuratori e presidenti, di certi intrighi di cancelleria, della dissolutezza di uno dei capufficio, di un ispettore, di un improvviso cambiamento dei superiori, del fatto che il signor Goljadkin numero due aveva sofferto, pur essendo del tutto innocente; di una vecchissima zia Pelagheja Semjònovna; di come lui, per le varie manovre di certi suoi nemici, avesse perso il posto e fosse venuto a piedi a Pietroburgo; e come avesse stentato e sofferto lì a Pietroburgo, come avesse a lungo cercato inutilmente un posto e avesse speso tutto, fosse vissuto quasi per la strada, mangiando pane secco e dissetandosi con le sue proprie lacrime e dormendo sul nudo pavimento, e, infine, di come qualche anima pietosa avesse preso a darsi da fare per lui, a raccomandarlo di qua e di là e gli avesse generosamente trovato quel nuovo impiego. L'ospite del signor Goljadkin, mentre raccontava, piangeva e si asciugava le lacrime con un fazzoletto azzurro a quadri, molto simile a un'incerata. Concluse poi dichiarando che si era completamente confidato col signor Goljadkin e confessò che, non solo non aveva i mezzi per vivere e sistemarsi dignitosamente, ma nemmeno per farsi un po' di corredo come si deve; che, ecco, aggiunse, non era riuscito nemmeno a racimolare il denaro necessario per un paio di stivaletti e che la divisa per l'ufficio aveva dovuto noleggiarla da qualcuno per un po' di tempo.
Goljadkin era intenerito, era veramente commosso. Del resto, e nonostante la storia del suo ospite fosse delle più banali, ogni sua parola si era posata sul suo cuore come una manna celeste. Il fatto è che Goljadkin stava dimenticando i suoi ultimi dubbi, aveva sciolto il suo animo alla libertà e alla gioia e, in cuor suo, si dava dell'imbecille! Era tutto così naturale! C'era proprio di che prendersela tanto e di essere così agitato? Be'... a dire il vero c'era una questione piuttosto delicata, ma via! non era poi una disgrazia: quella non poteva disonorare un uomo, macchiarne l'amor proprio e rovinare la sua carriera, se quest'uomo non aveva nessuna colpa, se la natura stessa vi aveva contribuito. E, inoltre, l'ospite chiedeva protezione, l'ospite piangeva, l'ospite accusava il destino, era un uomo così semplice, senza malizia e senza scaltrezza, era un uomo meschino, insignificante, e sembrava che lui stesso si facesse scrupolo, sia pure sotto un altro punto di vista, della così strana somiglianza con il padrone di casa. Si comportava in modo estremamente rassicurante e stava attento a compiacere il suo ospite e aveva lo sguardo dell'uomo che, straziato dai rimorsi di coscienza, si sente colpevole di fronte a un altro uomo. Se il discorso andava, per esempio, su qualche cosa un po' ambigua, l'ospite immediatamente approvava l'opinione di Goljadkin. Se invece, chissà come, lui, con la sua opinione, andava per sbaglio contro Goljadkin e si accorgeva di essersi messo fuori strada, immediatamente si riprendeva, dava spiegazioni e faceva subito capire che la vedeva in tutto e per tutto come il padrone di casa, la pensava allo stesso modo e considerava ogni cosa dal suo stesso punto di vista. In una parola, l'ospite non risparmiava nessuno sforzo per cercare di "trovarsi" all'unisono con Goljadkin, tanto che, alla fine, Goljadkin concluse che doveva essere un'amabilissima persona, proprio sotto ogni profilo. Tra l'altro fu servito il tè, erano già suonate le nove. Goljadkin si sentiva di umore eccellente, era diventato allegro, scherzoso, a poco a poco si era abbandonato all'ilarità e alla fine si era gettato nella più vivace e interessante delle conversazioni col suo ospite. Goljadkin, sotto l'influsso dell'allegria, si compiaceva a volte di raccontare qualche cosa di interessante. Così anche adesso: raccontò all'ospite molte cose sulla capitale, sui suoi divertimenti e le sue bellezze, sui teatri, sui circoli, sul quadro di Brjulòv ("Gli ultimi giorni di Pompei"); parlò di due inglesi venuti espressamente dall'Italia a Pietroburgo per vedere la cancellata del Giardino d'Estate e immediatamente ripartiti; parlò dell'ufficio, di Olsufij Ivànovic' e di Andréj Filìppovic'; del fatto che la Russia da un'ora all'altra avanza a gran passi verso la perfezione e che qui l'arte letteraria è oggi in fiore; ricordò un piccolo aneddoto, letto poco tempo prima su "L'ape del Nord", disse che in India vive un serpente dotato di forza straordinaria; infine parlò del barone Brambeus eccetera eccetera.
In conclusione, Goljadkin era soddisfattissimo, prima di tutto perché si sentiva completamente tranquillo, e poi perché non solo non aveva più alcuna paura dei suoi nemici, ma era anche pronto, adesso, a sfidarli tutti alla lotta più decisiva; e infine perché lui stesso in persona accordava la sua protezione e compiva, alla fine dei conti, una buona azione. Riconosceva però in fondo al cuore, che in quel momento non era ancora completamente felice, che dentro di lui si nascondeva ancora un tarlo, piccolissimo però, che anche in quel preciso momento gli rodeva il cuore. Lo tormentava oltre ogni limite il ricordo della serata in casa di Olsufij Ivànovic'. Avrebbe dato ora chissà che cosa perché niente ci fosse stato di quanto era accaduto la sera prima. "Del resto, è cosa da niente!" concluse, alla fine, il nostro eroe, e in cuor suo decise fermamente di comportarsi da ora in poi bene e di non commettere più simili errori. Poiché Goljadkin si era adesso completamente rianimato e si sentiva quasi completamente felice, gli venne perfino in mente di godersi un po' la vita. Fu portato da Petruska il rum e fu portato un ponce. L'ospite e il padrone di casa ne bevvero un bicchierino per uno e poi fecero il bis.
L'ospite si dimostrò sempre più amabile e da parte sua offrì più di una prova della sua rettitudine e del suo carattere gioioso; partecipava vivamente alla contentezza di Goljadkin e sembrava che si rallegrasse soltanto della sua gioia e lo guardava come il vero e unico suo benefattore. Prese la penna e un foglietto di carta, pregò Goljadkin di non guardare quello che stava per scrivere e poi, quando ebbe finito, fu lui stesso a far vedere al padrone di casa ciò che aveva scritto. Era una quartina, scritta con notevole sentimento, del resto, e con bello stile e bella calligrafia e, come sembrava evidente, creata dello stesso amabile ospite:
"Se tu mi scorderai giammai ti scorderò; nella vita può tutto accadere, ma tu non scordarti di me!"
Con le lacrime agli occhi Goljadkin abbracciò il suo ospite e, commosso fino in fondo all'anima, cominciò a iniziarlo in alcuni suoi misteriosi segreti, mentre il discorso batteva sempre sullo stesso tasto: Andréj Filìppovic' e Klara Olsùfevna. "Noi due," diceva il nostro eroe al suo ospite "noi due, Jakòv Petrovic', vivremo come l'acqua e il pesce, come veri fratelli; noi, mio buon amico, giocheremo d'astuzia, la useremo di comune accordo, da parte nostra intrigheremo per far loro dispetto, intrigheremo....
Ma non fidarti di quella gente! Io ormai ti conosco, Jakòv Petrovic', e capisco il tuo carattere: tu, senza pensarci, spiffererai tutto... sei un'anima così sincera! Tu, fratello, stai lontano da tutti loro!" L'ospite, assolutamente d'accordo, ringraziò Goljadkin; e anche lui, alla fine, versò qualche lacrimuccia. "Sai, Jascja" continuò Goljadkin con voce tremante e debole, "tu, Jascja, ti sistemerai qui da me per un po' di tempo o anche per sempre. Ci metteremo d'accordo. Che te ne pare, eh, fratello? Ma tu non turbarti e non mormorare perché c'è oggi tra noi una così strana circostanza: mormorare, fratello mio, è peccato; è opera della natura, questa! E madre natura è generosa, ecco, fratello, Jascja! Questo ti dico perché ti voglio bene, ti voglio bene come un fratello. E noi due, Jascja, giocheremo d'astuzia, gli scaveremo il terreno sotto i piedi e gli faremo abbassare la cresta." Si arrivò, finalmente al terzo e quarto bicchierino di ponce a testa e allora Goljadkin cominciò a provare due sensazioni: la prima, di una straordinaria felicità, e la seconda, di non potere più star dritto sulle gambe. L'ospite, si capisce, fu invitato a pernottare. Su due sedie accostate fu sistemato alla meglio un giaciglio. Il signor Goljadkin numero due dichiarò che sotto un tetto amico era dolce dormire anche sul nudo pavimento; che, per conto suo, avrebbe preso sonno ovunque fosse capitato, con umiltà e riconoscenza; che ora si sentiva in paradiso e, infine, che aveva in vita sua sopportato disgrazie e dolori, che ne aveva viste di tutti i colori, aveva sopportato di tutto e - chi può conoscere il futuro? - avrebbe dovuto, forse, penare ancora molto. Il signor Goljadkin numero uno protestava e si metteva a dimostrare che bisogna affidare ogni speranza a Dio.
A questo punto Goljadkin prima osservò che i turchi, sotto un certo punto di vista, avevano ragione invocando il nome di Dio anche nel sonno. Poi, discordando, d'altronde, con alcuni saggi su certe calunnie lanciate al profeta turco Maometto e riconoscendo che nel suo genere era un grande politico, Goljadkin, passò all'interessantissima descrizione di una bottega da barbiere algerina, di cui aveva letto in non so quale antologia. L'ospite e il padrone di casa risero molto sulla semplicità d'animo dei turchi; non potevano però negare la dovuta ammirazione per il loro fanatismo, eccitato dall'oppio... L'ospite, finalmente, cominciò a svestirsi, e Goljadkin si ritirò dietro il tramezzo, vuoi per bontà d'animo, perché poteva anche darsi che quello non avesse neanche una camicia decente e non era il caso di confondere un uomo che, anche senza quello, aveva già abbastanza sofferto; vuoi per assicurarsi su Petruska, tastare il terreno, rallegrarlo se fosse stato possibile e anche dimostrargli un po' di affetto affinché fossero ormai tutti felici e non rimanesse sulla tavola del sale sparso. Non bisogna dimenticare che Petruska continuava ancora a preoccupare un po' Goliadkin.
"Tu, Pjotr, vattene a dormire, adesso" gli disse amorevolmente, entrando nel reparto del suo domestico. "Va' a dormire e svegliami domattina alle otto. Capito, Petruska?" Goljadkin parlò in modo insolitamente affettuoso e
dolce. Ma Petruska taceva. Stava, in quel momento, dandosi da fare intorno al suo letto e non si girò nemmeno verso il padrone, cosa che, non fosse altro che per un senso di rispetto verso di lui, avrebbe dovuto fare.
"Ehi, Pjotr, hai sentito quello che ti ho detto?" proseguì Goljadkin. "Ora vattene a letto e domani svegliami alle otto.
Capito?""Ma sì, capisco, che diavolo c'è di strano?" borbottò tra i denti Petruska.
"Va bene, va bene, Petruska: ti dico questo solo perché sia anche tu tranquillo e felice. Noi, ora, siamo tutti felici, e perciò siilo anche tu! E ora ti auguro la buona notte. Dormi, Petruska, dormi... dobbiamo tutti tirare la carretta... E tu, fratello, non pensare a chissà che cosa, sai..." Goljadkin aveva cominciato a dire non so che cosa, ma si fermò.
"Non sarà troppo" pensò, "non avrò poi detto troppo? Sempre così, io: vado sempre troppo oltre." Il nostro eroe uscì dal reparto di Petruska scontentissimo di sé. Inoltre la ruvidezza e la freddezza di Petruska l'avevano un po' mortificato. "Con quel briccone si scherza, a quel briccone il padrone rende onore e lui resta impassibile" pensò Goljádkin. "Del resto, è sempre questa l'infame tendenza di questa razza di gente!" Leggermente barcollando, tornò in camera e, visto che il suo ospite era già coricato, si mise a sedere un momento vicino al suo letto. "Confessa, Jascja" cominciò a dire in un bisbiglio e abbassando la testa, "confessa, furfante, che sei pur colpevole di fronte a me! Tu, mio caro omonimo, sai che..." continuò, scherzando in modo abbastanza familiare con l'ospite. Finalmente, dopo un amichevole saluto, Goljadkin andò a dormire. L'ospite, intanto, già russava. Goljadkin da parte sua cominciò a sdraiarsi nel letto e intanto, ridacchiando tra sé e sé, mormorava: "Il fatto è che oggi, colombello mio, sei ubriaco, Jakòv Petrovic', mascalzone che sei... tu, Goljadkin... con questo tuo cognome! Ma suvvia perché ti sei tanto rallegrato? Domani, vedrai, ci sarà di che piangere, piagnucolone che sei... che devo fare di te?" A questo punto una sensazione abbastanza strana si impadronì di Goljadkin fin nel profondo, una sensazione simile al dubbio o al pentimento. "Mi sono un po' troppo lasciato andare" pensava, "e adesso sento un frastuono nella testa, e sono ubriaco; non hai saputo resistere, imbecille che non sei altro! hai detto stupidaggini a tutt'andare e ti preparavi anche a fare il furbo, mascalzone! Si sa che il perdono e l'oblio delle offese costituiscono una virtù nobilissima, ma, con tutto ciò, è una cosa che non va! È proprio così!" A questo punto Goljadkin si alzò prese una candela e, in punta di piedi, andò a dare un'occhiata all'ospite addormentato. Rimase a lungo davanti a lui, immerso in profonda meditazione. "Che quadro antipatico! Una buffonata, un'autentica buffonata, fatta e finita!" Infine Goljadkin si distese nel letto. La sua testa era piena di rumori, di crepitii, di suoni. Cominciò ad addormentarsi, ad addormentarsi... si sforzava di tener fisso un pensiero, di ricordare qualcosa di molto interessante, di risolvere un certo importante problema, una certa delicata questione... ma non ci riusciva. Il sonno arrivò di colpo sulla sua malcapitata testa e sprofondò nel sonno in cui sono solite sprofondare le persone che, non abituate a bere, hanno ingoiato di colpo cinque bicchieri di ponce in una seratina tra amici.

NOTE:
Pseudonimo di Senkonskij, critico e letterato, fondatore del giornale "Biblioteca di letture".

Per leggere le puntate precedenti, clicca qui:

Fëdor Michajlovič Dostoevskij

Andrea Giostra

LA GOCCIA E IL MARE, SUCCESSO PER IL CORTO CON RICCARDO POLIZZY CARBONELLI, REGIA DI DANIELE FALLERI

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Pioggia di premi e riconoscimenti per La Goccia e Il mare, interpretato da Riccardo Polizzy Carbonelli per la regia di Daniele Falleri.
L'intero cast, formato poi da Valeria Graci, Francesco Stella, Ilaria De Rosa, Gianclaudio Caretta, è premiato durante la prima edizione di Italian Black Movie Awars, presso la casa del cinema il 13 luglio proprio per il miglior cast multietnico, e migliore colonna sonora e musica. Il premio conta il sostegno della Roma Lazio Film Commission, Rima Africa Film Festival, associazione Centri Alti StudiAveroè, ACMID donna Onlud, e intende dare un meritato riconoscimento ad attori e professionisti dello spettacolo, d'origine afro discendente in italia, e a registi, produttori che hanno sviluppato progetti a favore dell'integrazione culturale positiva e costruttiva. Falleri è regista e sceneggiatore di numerose fiction di grande successo. Polizzy Carbonelli è un volto noto del teatro, del cinema e della tv con Un posto al sole. LA GOCCIA E IL MARE racconta la storia di Enzo e Giulia, padre e figlia, in panne con l'auto e lui in procinto di mettere a punto una truffa facendosi rinnovare i contributi previdenziali di invalidità, anche se cammina benissimo. Un furgone con due ragazzi si ferma e dà loro un passaggio. Durante il viaggio Enzo sfoga tutta la sua credine verso un mondo che va a rotoli per regole, immigrati, omosessuali, ma all'arrivo lo attenderà un'amara sorpresa...

MISS EUROPE CONTINENTAL 2019, LA SETTIMA EDIZIONE PRONTA A CONQUISTARE NAPOLI

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Si scaldano i motori per la settima edizione di Miss Europe Continental 2019. Il patron Alberto Cerqua conferma Napoli per il terzo anno come sede della finalissima. E fissata la data: il prossimo 23 novembre.
Ma le novità saranno tantissime. “Quest’anno lo show sarà ancora più bello, un grande spettacolo per la grande bellezza delle finaliste. Ma ho voluto grossi cambiamenti per movimentare tutto, e rendere ancora migliore la finalissima” annuncia il patron napoletano. Ed in effetti, le novità non mancano: la conduzione sarà unica, un solo microfono che presenterà le miss finaliste provenienti da tutta Europa, in corsa per la corona di vincitrice. Ma la kermesse si avvarrà di un inviato nel parterre, e non solo. Anche sul red carpet – che si preannuncia ancora più scintillante e pieno di vip – ci saranno inviati e volti d’eccezione ad animare l’attesa per la grande finale. La giuria avrà come sempre un tocco internazionale, e nei prossimi mesi saranno annunciati gli attesi nomi. E le prime file saranno piene di volti noti dello spettacolo e personalità di spicco. “Un nuovo grande sforzo per crescere insieme ai nostri partner, essenziali e preziosi” sottolinea Cerqua. E infatti Miss Europe Continental 2019 vede come sponsor Mission Beauty, Legea, Alviero Rodriguez , Giovanna Ercolano couture e Beesy 24 per garantire uno show che si preannuncia sfavillante, ogni anno di più.

Ornella Giusto, Premio “La Gorgone d’Oro" all'eclettica attrice siciliana

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Un momento d'oro per l'attrice siciliana Ornella Giusto, tra premi, ottimi riscontri e riconoscimenti prestigiosi e oggettivi.
"Un personaggio che ammalia e affascina il pubblico calcando la scena sul grande e piccolo schermo, con elegante eclettismo. Attrice di duttili e versatili doti interpretative, Ornella Giusto è dotata di un forte talento scenico di cui ha dato prova sia al cinema che a teatro.
Tra i numerosi ruoli che ha interpretati, ci piace ricordare Ornella Giusto in Rosalia ne “Il Paradiso delle Signore 3”in onda in questi giorni su Rai 1. Una carriera emergente che, approdando a prestigioso traguardi, attraversa generi e successi che il Premio “La Gorgone d’Oro per il Teatro" Le vuole riconoscere.”  cita la motivazione per La Gorgone d'Oro.
Fra teatro cinema e TV, la Giusto , dopo tanta gavetta , dimostra doti e bravura e si gode la popolarità anche con Il paradiso delle Signore in replica su Rai 1 e presto con i nuovi episodi in onda in autunno nel ruolo della signora Caffarelli, la fidata amica di Agnese Amato interpretata dalla magistrale Antonella Attili.
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