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A “Viaggio in Italia. Cantando le nostre radici” degli AdoRiza la Targa Tenco 2019 per il miglior album collettivo

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“Viaggio in Italia. Cantando le nostre radici”, l’album del collettivo AdoRiza, ha vinto la Targa Tenco 2019 per il miglior album a progetto dell’anno. A decretarlo è stata una giuria composta da oltre trecento giornalisti musicali.

“Viaggio in Italia. Cantando le nostre radici”, uscito a giugno per Squilibri Editore, è un itinerario artistico, fatto di note e memoria, con ventiquattro brani che fanno tappa in moltissimi luoghi del Bel Paese e raccolgono i colori, i profumi e le voci della nostra musica popolare. È l’album-progetto di sedici giovani artisti, riuniti per l’occasione in un collettivo chiamato AdoRiza (Ado, in greco ἄδω, che vuol dire cantare, risuonare, celebrare; ρίζα, riza la nostra radice, le nostre origini), con la partecipazione straordinaria di Tosca, nel brano Sotto le stelle, e con la produzione, gli arrangiamenti e la direzione artistica di Piero Fabrizi, chitarrista e compositore che ha collaborato con i più grandi nomi della musica nazionale e internazionale, a partire da Fiorella Mannoia.

L’idea nasce dal ciclo di incontri sulla musica popolare tenuto proprio da Tosca e da Paolo Coletta e Felice Liperi con i giovani artisti della sezione “canzone” – biennio 2016/2017 – del Laboratorio di Alta formazione della Regione Lazio “Officina delle Arti Pierpaolo Pasolini”. Un lungo percorso di studio attraverso voci, memorie e melodie che ha permesso di recuperare riti familiari e feste popolari e che, nel lavoro di rilettura dei curatori, è diventato un concerto. Una impostazione non da studiosi ma da osservatori attenti della tradizione italiana, che ha consentito ai giovani artisti di costruire connessioni fra passato e presente e di portare a nuova vita repertori e modalità di un passato dominato dalle voci di interpreti straordinarie come Giovanna Daffini o Caterina Bueno.

Vincere la Targa Tenco per un progetto nato e cresciuto all’interno di Officina Pasolini Regione Lazio – racconta Tosca – è un grande traguardo e ha un significato che va ben oltre il prestigioso riconoscimento. È l’affermazione della qualità, della costanza e del coraggio di saper andare contro corrente in un mercato musicale sempre meno attento alla ricerca e alla sperimentazione, ma sempre più orientato all’omologazione artistica. ‘Nihil difficile volenti’ e Viaggio in Italia ne è la dimostrazione. Una filosofia di vita che ha sempre accompagnato anche la mia carriera e sono dunque felice che, grazie a questo laboratorio, giovanissimi artisti siano riusciti ad entrare in questo mondo profondamente legato al passato, interpretando e amando una varietà straordinaria di melodie e parole che ci rappresenta come popolo, ma anche come insieme di culture diverse intensamente collegate al paesaggio e alla terra. E alla vita. Per questo credo che il progetto Viaggio in Italia sia qualcosa di unico e raro e per questo ho voluto fortemente che diventasse dapprima uno spettacolo e poi un libro e un disco.

L’album è, infatti, tratto dall’omonimo concerto/spettacolo, che si avvale della prestigiosa regia di Massimo Venturiello, nato proprio a seguito del laboratorio: ha debuttato nel 2017, è stato trasmesso in diretta su Radio3 Rai in occasione del 70° anniversario della Costituzione Italiana e continua ad essere rappresentato con successo dai giovani artisti del collettivo AdoRiza.

Questo prestigioso riconoscimento decretato al collettivo AdoRiza per Viaggio in Italia – sono le parole di Piero Fabrizi – è a mio avviso il miglior segnale che la discografia e la migliore stampa italiana potessero dare, per riavviare un processo virtuoso di cambiamento necessario, volto al recupero qualitativo della forma espressiva. La scelta di premiare con la Targa Tenco 2019 un disco di canzoni popolari riproposte in modo coraggioso da una nuovissima generazione di artisti è un avvenimento importante, uno scatto in avanti ‘vitale’ che crea nuove motivazioni per tutti, me compreso. I loro sguardi accesi, trepidanti e un po’ smarriti del primo giorno di prove sul palco, non li dimenticherò mai. In quegli sguardi vivi, carichi di attesa, si condensava tutto il senso di questo progetto e del nostro lavoro appassionante che si è poi concretizzato in questo magnifico risultato. Sono orgoglioso e fiero di aver potuto lavorare con loro a questo bellissimo album.

Conclude Tosca: In questo particolare momento storico che vede un’Italia sempre più divisa, Viaggio in Italia è l’espressione più evidente di quanto potente possa essere il lavoro collettivo, di quanto profonde possano essere le connessioni umane al di là delle apparenti differenze, di quanti e quali muri possa abbattere la musica e in generale l’arte, restituendoci speranza e fiducia nel futuro. E visto che Viaggio in Italia è stato ed è un meraviglioso percorso d’insieme, è fondamentale per me ringraziare, oltre agli artisti di AdoRiza, tutti coloro che vi hanno partecipato: Piero Fabrizi che ha prodotto il disco, Massimo Venturiello che ha curato la regia dello spettacolo, Felice Liperi, Paolo Coletta, tutto lo staff di Officina Pasolini e, soprattutto, la Regione Lazio, senza la quale nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile, a partire da questa straordinaria casa per giovani artisti che è Officina Pasolini.

“Viaggio in Italia. Cantando le nostre radici” è uscito in formato cd-book con i testi introduttivi di Felice Liperi.

ADORIZA – Chi sono

Francesco Anselmo, classe 1991, palermitano, cantautore, il suo disco d’esordio arriva nella cinquina del Premio Tenco 2018 come miglior opera prima.

Paola Bivona, toscana di Pontedera, interprete, studia al Conservatorio di Santa Cecilia canto jazz.

Matteo Bottini, romano, chitarrista dello spettacolo.

Valerio Buchicchio, nato a Cerignola, cantautore; uno dei suoi brani, Ercole, e il nuovo singolo dell’artista Ermal Meta.

Andrea Caligiuri nasce a Castrovillari nel 1995, cantautore laureato in lingue orientali.

Salvatore Corallo, siciliano, cantautore, interprete, corista, nello spettacolo e affidata a lui la parte della comicità.

Rita Ferraro, calabrese, cantautrice.

Michela Flore nata a Nuoro, interprete, studia canto jazz al Conservatorio di Santa Cecilia.

Sara Franceschini, romana, interprete, studia canto jazz al Conservatorio di Santa Cecilia.

Marta Lucchesini, classe 1995, cantautrice di Monterotondo (RM), polistrumentista, studia musica applicata al Conservatorio di Santa Cecilia.

Giulia Olivari, bolognese, cantautrice.

Giorgia Parmeni, classe 1995, nata a Frosinone, studia canto jazz al Conservatorio Licino Refice di Frosinone.

Fabia Salvucci, classe 1993, nata ad Atina (FR) collabora come interprete con Ambrogio Sparagna e Tosca.

Walter Silvestrelli, nato a Potenza, cantautore bassista.

Eleonora Tosto, romana, interprete attrice laureata in scienze filosofiche, cantante dei Baraonna, presidente degli AdoRiza.

Carlo Valente, cantautore nato a Rieti, il suo disco d’esordio arriva nella cinquina del Tenco 2017, vince il premio Amnesty con la canzone Crociera Maraviglia.

Boro Boro, "Lento" nuovo singolo del rapper torinese

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“Lento” è il nuovo singolo di BORO BORO in collaborazione con MamboLosco e prodotto da Don Joe, disponibile su tutte le principali piattaforme digitali e streaming per GUNA Records.

Boro Boro è un rapper torinese, all’anagrafe Federico Orecchia classe ‘96. Inizia la sua carriera nella musica a 17 anni fondando il collettivo Iskido Gang. Dopo diverso tempo passato a esibirsi nella scena hip hop underground e dopo essersi fatto notare per le sue doti da freestyler, è arrivato a collaborare con artisti del calibro di Shade e Oliver Green.
A dare ulteriore visibilità a Boro Boro è la collaborazione con l’attaccante juventino Moise Kean nel brano “Drop The Money”, il cui teaser pubblicato su YouTube è diventato immediatamente virale https://www.youtube.com/watch?v=40zKreCNrRs

Il brano fa il suo debutto nella Top50 della classifica FIMI saltando in poche settimane dalla posizione 44 alla 27, ed entra subito nella Top10 di Spotify, a testimonianza della continua e crescente attenzione da parte del pubblico. Il brano ha collezionato 5,5 milioni di stream, mentre il video di “Lento” ha totalizzato un milione e mezzo di visualizzazioni in una sola settimana.

Link Ufficiali

https://www.instagram.com/boroboro35/?hl=it

https://www.youtube.com/channel/UCaT1FnG3LX8ZcRRcAL3YbTw

https://www.facebook.com/OfficialBoroBoro/

Moda, dagli USA arriva il fenomeno "fashion renting", noleggio di vestiti e accessori firmati

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Molte donne stenteranno a crederci eppure esiste qualcosa di meglio dello shopping ed è persino meno stressante, più economico, più sostenibile e soprattutto più soddisfacente. Si chiama “fashion renting”, arriva dall’America, spopola in Cina e nel Regno Unito e recentemente sta esplodendo anche in Italia dove promette di rivoluzionare il guardaroba degli abitanti del Bel Paese.
Dopo anni di armadi che si chiudono a stento per i troppi capi, corse pazze in occasione dei saldi e scontrini folli, il mondo del fashion ha scelto un altro binario e lancia il contrordine: è giunto il momento di dire addio ai vestiti inutilizzati appesi ad una gruccia per anni, svuotare il guardaroba e affidarsi al noleggio. A guidare la crescita del fashion renting è soprattutto il noleggio online che secondo Allied Market Research nel 2023 varrà la cifra record di 1,9 miliardi di dollari. Un trend che non solo realizza il sogno di ogni donna di avere a propria disposizione un armadio pressoché infinito e indossare sempre il capo perfetto per ogni occasione, ma che rappresenta un antidoto al “fast fashion”, la tendenza che sta contribuendo a mettere in ginocchio la salute del Pianeta con la produzione eccessiva e indiscriminata di indumenti a basso prezzo “usa e getta”. Come riporta El País, infatti, negli ultimi 15 anni la durata dei capi di abbigliamento è diminuita del 36% e oggi i vestiti hanno una vita media inferiore ai 160 utilizzi, una situazione che genera ogni anno 16 milioni di tonnellate di rifiuti tessili nella sola Unione Europea.
È quanto emerge da uno studio condotto da Espresso Communication per DressYouCan (dressyoucan.com), startup milanese protagonista del fenomeno “fashion renting”, su oltre 30 testate internazionali dedicate a tendenze e attualità con il coinvolgimento di un panel di esperti tra docenti universitari e influencer per indagare sulle nuove abitudini fashion degli italiani. “Con il fashion renting chiunque può realizzare il desiderio d’indossare capi d’alta moda per un’occasione speciale – spiega Caterina Maestro, fondatrice di DressYouCan – o semplicemente risolvere il quotidiano problema dell’outfit da ufficio, affidandosi completamente alle competenze di esperte fashion renter. Il noleggio di abiti rappresenta un asso nella manica per stupire con la propria eleganza nonché una perfetta soluzione per chi sogna un guardaroba illimitato che non alimenti sprechi e inquinamento. L’idea della nostra startup è l’esatto opposto della moda low cost: punta sulla qualità e rende l’abbigliamento di classe alla portata di tutti con prezzi accessibili e con un sistema di noleggio online e offline molto semplice che sta riscuotendo grande successo”.
Tra i principali vantaggi del fashion renting c’è soprattutto quello di evitare lo stress che si genera ogni volta che si apre l’armadio e non si trova il capo perfetto con una conseguente riduzione di sprechi di tempo. Come riportato dal The Telegraph, infatti, le donne spendono in media quasi un anno della loro vita, più precisamente 287 giorni, a rovistare nell’armadio per scegliere il giusto outfit. Una ricerca che lascia spesso insoddisfatti perché, per dirla come la storica giornalista di moda statunitense Mignon McLaughlin “le donne di solito amano quello che comprano, ma odiano i due terzi di ciò che è nei loro armadi”. A questo si aggiunge che anche indossare di nuovo un vestito è per molte fonte di ansia: come racconta la rivista Business of Fashion una donna su 2 prova frustrazione al pensiero di portare uno stesso outfit più volte di fronte ai colleghi. Una situazione alimentata anche dai social che spingono ad apparire sempre perfette come dimostra uno studio della fondazione britannica Hubbub dal quale emerge che una donna su 3 considera un vestito vecchio dopo averlo indossato uno o due volte e che molte ritengono farsi fotografare due volte con lo stesso abito un vero e proprio passo falso. Ma non solo per cerimonie o per stupire followers e colleghi, il fashion renting si dimostra particolarmente utile per vestire i più piccoli o nei momenti di transizione della propria vita come durante la gravidanza, quando il corpo di una donna cambia in fretta e richiede di mese in mese abiti diversi.
Il noleggio di abiti e accessori è un trend la cui crescita è confermata anche dagli esperti accademici come il prof. Giovanni Maria Conti, docente di Storia e Scenari della Moda presso il Politecnico di Milano: “Il fashion renting rappresenta un nuovo modo di consumare soprattutto per Generazione Z e Millennial, i target più attenti alla sostenibilità. Da tre anni a questa parte il concetto di sharing si è allargato e andiamo verso un consumo che non è più originato dal possesso, ma dalla possibilità di poter utilizzare, anche solo per poche ore, un oggetto: probabilmente non è più il tempo di possedere, ma di potersi permettere un’esperienza”.
Noleggiare gli abiti permette anche di essere più felici, come dimostrano gli esperti. Per anni lo shopping è stato considerato infatti quasi una sorta di strumento terapeutico, ma attualmente i consumatori sembrano preferire le esperienze agli acquisti di beni materiali. È iniziata infatti l’era dell’experience economy, come riporta CNBC, nella quale si investe in esperienze come viaggi o concerti anziché in vestiti, gioielli o accessori. Supporta questa filosofia anche la ricerca degli psicologi americani Amit Kumar, Thomas Gilovich e Matthew Killingsworth, la quale dimostra che mentre le persone tendono a sentirsi frustrate prima di un acquisto programmato, quando spendono il loro denaro in un’esperienza si sentono felici. A differenza dell’acquisto di numerosi abiti dopo attese ai camerini e code alla cassa, il noleggio è una vera e propria esperienza: grazie alla preziosa assistenza delle nuove figure professionali delle “fashion renter” è possibile farsi guidare e consigliare nella scelta del capo, adattarlo al proprio corpo con piccole modifiche sartoriali e infine sfoggiare un abito da sogno, sentendosi quasi un’altra persona.
Questo nuovo trend è amato anche dalle influencer come Marie-Loù Pesce (fashioninthemoonlight.com): “Ricevere direttamente a casa o nella location dell'evento il proprio vestito rende tutto più facile perché spesso si parla di abiti di un certo valore oltre che volume e in questo modo non si rischia di sporcare, stropicciare o rovinare il capo. Negli anni con il mio lavoro ho accumulato molti abiti, per questo ho deciso di iniziare a noleggiarli in occasione di grandi eventi così da evitare di aumentare il numero di vestiti indossati solo una volta nella vita appesi nell’armadio”. Concorda anche Pamela Soluri (tr3ndygirl.com): “Grazie al fashion renting l’alta moda non è più un’utopia e noi fashion victim possiamo vivere in qualsiasi momento una magnifica Haute Couture Experience. È anche la nuova frontiera del risparmio e un’intelligente soluzione all'eterno problema femminile del dress code nelle occasioni speciali, dove la gioia iniziale dell'invito all'evento lascia spazio al panico che assale quando non si sa cosa indossare”.
L’ultimo aspetto da analizzare, ma non meno importante, è che il fashion renting permette di ridurre l’inquinamento. Acquistare meno capi d’abbigliamento è oggi fondamentale per salvaguardare il Pianeta dal momento che, avvisa il The Guardian, se nei prossimi anni non ci sarà un cambio di passo di qui al 2050 l’industria del tessile sarà responsabile di un quarto del consumo del carbon budget, causando un aumento della temperatura di ben 2°C. Parola chiave sostenibilità, dunque, che per DressYouCan si traduce anche in una maggiore attenzione nel delivery: le consegne vengono effettuate a Milano in collaborazione con TakeMyThing, un servizio di pony sharing eco friendly che permette di ridurre le emissioni di CO2.

Ma il porto di Tripoli è sicuro

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Tripoli, campo di detenzione migranti.

Centinaia di disgraziati stipati nel caldo e nel sudore, fra le angherie - e peggio -che ormai sappiamo. Haftar lo bombarda: 40 morti, e "solo" 80 feriti. Un rapporto morti/feriti che dice che il campo è stato centrato con precisione e potenza. Alla fine i morti saranno certamente molti di più, perché essere un ferito a Tripoli non è come esserlo a Milano o a Torino.  
Però per fortuna il porto di Tripoli è sicuro. O forse lo è per un miracolo. O forse sicuro lo è solo nella mente di chi della migrazione vuole vedere solo l'ultimo anello - quello che porta in Italia - e solo di quello si occupa cavalcandone gli aspetti che fanno paura. Gente che sa benissimo che il problema si cura a monte, a forze europee congiunte: lavorando su tutta la catena, a cominciare dai paesi d'origine dove proprio i paesi "civili" come il nostro hanno creato, o contribuito a creare, condizioni di invivibilità. Il guaio è che per ottenere veri risultati il nostro paese, che non ha la forza economica per prendere a schiaffoni gli altri come fanno gli Stati Uniti di Trump, ha solo un'arma: la moral suasion. Ma la moral suasion non può esercitarla chiunque: bisogna avere carisma, e quello nasce innanzitutto dall'altezza delle proprie idee e dalla pacatezza nell'esprimerle. Per dire: papa Francesco può esercitare moral suasion. Il nostro governo molto meno. Non certamente un governo in cui un ministro degli "Interniedituttoilresto" dice pubblicamente che è disposto a incontrare Junker, "ma solo dopo prima delle dieci perché dopo è ubriaco".
Estate, tempo di vacanze. Non lontano da Tripoli ci sono i  meravigliosi siti archeologici di Leptis Magna e Sabratha. Chissà se qualcuno dei "portosicuristi" faranno una bella escursione in barca con attracco a Tripoli. Che naturalmente è un porto sicuro. 
Carlo Barbieri

Carlo Barbieri è nato nel 1946 a Palermo. Ha vissuto nel capoluogo siciliano, a Catania, Teheran e Il Cairo, e adesso risiede a Roma. Ha pubblicato Pilipintò-Racconti da bagno per Siciliani e non, e i gialli La pietra al collo, Il morto con la zebiba (ripubblicato nella collana Noir Italia de IlSole24Ore), Il marchio sulle labbra, Assassinio alla Targa Florio e La difesa del bufalo, gli ultimi tre con Dario Flaccovio Editore. Con la stessa casa editrice ha pubblicato anche la raccolta di racconti Uno sì e uno no. Il suo ultimo libro, dedicato ai lettori più giovani, è Dieci piccoli gialli edito da EL/Einaudi Ragazzi. Barbieri è stato premiato, fra l’altro, al Giallo Garda, al Città di Cattolica, al Città di Sassari, all’Efesto-Città di Catania, allo Scerbanenco@Lignano e, per due volte, all’Umberto Domina. Cura una rubrica con Malgradotutto e collabora con diverse testate web fra le quali fattitaliani.it e MetroNews, il quotidiano delle metro di Roma, Milano e Torino. 

Oliver, "Un secondo amore" 1° singolo del giovane artista poliedrico e cosmopolita

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È in radio "Un secondo amore" il primo singolo del giovane artista cosmopolita, su etichetta Zelda Music e distribuzione Believe Digital.

Oliver in questo brano ci parla d’amore, di un amore cercato che non si sa se “sarà davvero” , ma che prende spazio, rompe la tristezza e diventa esaltante .
È quello che accade a tanti ragazzi e ragazze della mia età: vorrebbero vivere storie intense ma anche romantiche, spesso però non lo esprimono perché la società impone altri modelli.
Oliver Alessandro Kaufmann Nalin in arte OLIVER, è un giovane artista poliedrico, dalla formazione musicale classica e pop. Ascolta vari generi musicali (Ed Sheeran, Bruno Mars, Mickael Jackson) per poi passare al trap/hip pop (Drake, J Cole, Notorius B.I.G).
È seguito dal Maestro Vince Tempera con cui sta sviluppando un progetto che abbina musica italiana e stile inglese (lingua di cui Oliver ha un ottima padronanza), il che rispecchia anche il percorso internazionale intrapreso nel campo della sua formazione scolastica e personale. Suona il pianoforte dall'età di 6 anni ed ha partecipato come ospite a numerosi eventi tra cui CASA SANREMO 2019.
”Un secondo d'amore” supportato anche dal videoclip, è il brano che inserisce Oliver nel mondo della discografia, oltre a vederlo anche in veste di autore avendo scritto il testo della canzone insieme a Gabriele Ferrini mentre l'arrangiamento è del M°.Vince Tempera, registrato negli studi di Abbey Road di Londra..attualmente il brano staziona nella classifica Indipendenti e il video in rotazione sulle tv musicali, digitali e indipendenti.


https://olivermusic.it/

Il rettoriano Riki Cellini a Fattitaliani: lo scodinzolio di un cane è un'emozione ineguagliabile e imparagonabile a qualsiasi altra cosa. L'intervista

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Torna l'estate e con la bella stagione anche la triste realtà dell'abbandono di animali, coccolosi e indispensabili fino a primavera, per diventare successivamente fardello di cui sbarazzarsi perché "ingombrante" da portare con sé in vacanza. Per fortuna, c'è chi rema contro questa barbara tendenza e artisti come Riki Cellinidanno il proprio contributo per sensibilizzare sul problema e cercare il più possibile di scongiurarla. Nell'intervista rilasciata a Fattitaliani ci parla del brano realizzato a tal fine (video) e anche della sua grande passione per Rettore

Davvero efficace la tua canzone "With my dog": quando per la prima volta un animale è entrato nella tua vita? Racconta...
Grazie Giovanni sono molto felice che il messaggio della canzone abbia catturato il tuo interesse. Una vita senza un affetto come quello che solo un animale può regalarti è una vita vissuta a metà. Il primo peloso è arrivato quando ancora ero ragazzino: Lara, una collie dolcissima. Da quel momento in poi tutto è cambiato e con il corso degli anni sono arrivati anche Oliver, il mio grande amore, ed infine Yoko. Non riuscirei a immaginare la mia vita senza di loro. Lo scodinzolio di un cane è un'emozione ineguagliabile e imparagonabile a qualsiasi altra cosa. Come ogni storia d’amore ognuno di loro ha avuto e ha un corso speciale con le responsabilità e le dedizioni indispensabili per la costruzione di un amore, di una famiglia.
E il cane di oggi? ce ne parli?
Yoko, una border collie scatenatissima, è un cane speciale. Con lei mi sono avvicinato al mondo dell’agility dog per poter stimolare fisicamente e mentalmente le sue infinite capacità. Infatti in questa disciplina è bravissima… io un pò di meno ma ho sempre un margine di miglioramento. La cosa importante è divertirsi e fare delle attività insieme. Naturalmente quest’estate andremo al mare. È arrivata d’estate Yoko, tre anni fa e la prima vacanza insieme è stata, poco dopo il suo arrivo, nella splendida cornice del Conero dove ritorneremo anche quest’anno. Si diverte come una matta in acqua e io più di lei.
Credi che per abbandonare un animale occorra essere dotati di una particolare insensibilità e stupidità oppure è proprio dell'essere umano?
Io davvero non riesco proprio a comprendere come l’essere umano riesca prima ad adottare e poi ad abbandonare un animale. In “With my dog” canto: “… e poi ci son bestie vere senza razza e rabbiose, se ti prendo io ti lego, sulla strada e sotto il sole così la tua abbronzatura quest’estate non avrà un altro campione di stupidità”. Non dimentichiamoci che abbandonare un animale è un reato punibile con l’arresto ed è nostro diritto e dovere denunciarlo. Le bestie vere, siamo noi. “With my dog” però è anche una canzone che parla del rapporto speciale che si instaura tra un essere umano e un animale… della serie “non c’è musica, non c’è amore senza peli sul maglione”. 
Parliamo dell'album "Rettoriano": Rettore è un'artista molto "coverizzata" (scusa il brutto termine), ma addirittura farci un intero disco... Come è nata questa simpatica follia?
Nasce dalla follia (sorride, ndr) e da un grande affetto nei confronti di questa cantautrice, da sempre con lo sguardo avanti. Con “Rettoriano” ho voluto, a modo mio, far emergere proprio la forza cantautorale di Rettore con una playlist unconventional, portando nel mio mondo le canzoni meno note e più di nicchia della sua discografia. Coverizzare “Splendidio splendente” o “Lamette” era troppo scontato. Le scorciatoie non mi sono mai piaciute.
Sabato 29 giugno hai aperto il suo concerto al Polo Fieristico di Chiuduno: com'è andata? 
Beh, bene. Con Rettore è sempre una grande festa multigenerazionale.
Con lei vi conoscete da molto?
Sono un rettoriano anomalo. La seguo da sempre ma avvicinarla per una parola mi ha sempre creato imbarazzo e soggezione, quindi sono rimasto in disparte finché, dopo l’incisione del disco, è arrivata una telefonata. Yoko è figlia di Orso, uno dei suoi tre suo border collie, quindi potrai facilmente intuire che da quella telefonata in poi è nata un’amicizia disinteressata e speciale coronata dalla nostra passione per i pelosi e la musica.
Gli altri "rettoriani" come hanno reagito e reagiscono al tuo omaggio?
Dai feedback ricevuti direi bene anche se a tutti, per fortuna, non si può piacere. Mi sono tolto delle belle soddisfazioni con questo progetto: dalla classifica alle autorevoli recensioni. Infatti sono state spese belle parole dagli addetti ai lavori, ma anche e non solo dai fan di Donatella e il secondo singolo “#iosonorettoriano”, l’unico inedito dell’album, è entrato inaspettatamente nella classifica più importante d’Italia, la Indie Music Like del MEI.
Secondo te, c'è una canzone che più delle altre La rappresenta in toto?
“Konkiglia”, una canzone inclusa nell’album “Figurine” dei primi anni duemila.
A settembre festeggi 30 anni di attività: qual è il filo rosso che lega fra loro le cose disparate di cui ti occupi?
Indubbiamente la passione. Per me fare musica è come fare una bella nuotata. Mi rilassa, mi diverte, mi fa stare bene. La comunicazione è la professione che ho scelto e per la quale ho studiato e mi sono dedicato. Senza entusiasmo, senza curiosità, senza approfondimenti e umiltà non vai da nessuna parte e il mio è da sempre un viaggio meraviglioso ricco di contaminazioni, scambi e opportunità.
C'è una persona cui ti affidi per consigli e suggerimenti riguardo al look e alle gestione della tua carriera?
Sono un artista indipendente e amo l’indipendenza. Tuttavia certo, ci sono persone alle quali mi affido per dei confronti, indispensabili. Le stesse che fanno parte della mia vita come il creativo Luca Cavenaghi, Attilio Fontana, attore e musicista romano e Valerio Baggio, il mio produttore artistico. Stiamo preparando un nuovo disco che uscirà entro la fine dell’anno, anticipato a settembre dal singolo “La Tigre e il Samurai”, ennesima dimostrazione del nostro connubio artistico all’insegna del pop d’autore. Giovanni Zambito.

Europarlamento, David Sassoli eletto nuovo presidente: "Il nazionalismo ideologico produce virus"

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Il pd David Sassoli, candidato ufficiale dei Socialisti e democratici sostenuto anche dal Ppe, è stato eletto presidente del Parlamento europeo durante la seduta plenaria a Strasburgo con 345 voti.
La sua elezione è stata annunciata a Montecitorio dal deputato dem Emanuele Fiano ed è stata accolta con un lungo applauso dell'Aula.
Solo il Pd, tra i partiti italiani, ha votato Sassoli. Forza Italia si è astenuta. La Lega e Fdi hanno votato per Jan Zahradil (Conservatori Ecr). Il Movimento 5 Stelle ha invece lasciato libertà di coscienza.
Nel suo primo discorso da presidente, Sassoli ha sottolineato la necessità di rivedere gli accordi di Dublino sui flussi migratori: "Signori del Consiglio Europeo, questo Parlamento crede che sia arrivato il momento di discutere la riforma del Regolamento di Dublino che quest'Aula, a stragrande maggioranza, ha proposto nella scorsa legislatura". Ha poi ribadito l'importanza dell'istituzione comunitaria: "L'Unione europea non è un incidente della Storia, siamo i figli e i nipoti di coloro che sono riusciti a trovare l'antidoto a quella degenerazione nazionalista che ha avvelenato la nostra storia". E ha concluso: "Il nazionalismo ideologico produce virus".

Il leader leghista Matteo Salvini ha commentato con disappunto la sua nomina a presidente: "Un parlamentare del Pd, pensate un po', un ex giornalista della Rai, magari con ancora il contratto della Rai, che fa il presidente del parlamento europeo per la sinistra, per il Pd. Bello, rispettoso degli italiani e degli europei che hanno votato. A presiedere il Parlamento uno di sinistra, magari anche coi voti di qualcuno del centrodestra, anzi sicuramente sì, visti i numeri. Ma della Lega no sicuramente".

Esultanza invece del segretario del Pd Nicola Zingaretti su Twitter.

Ennesimo successo di Isabella Ambrosini per il concerto a Città del Messico

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di Ester Campese - La notissima Direttore d’Orchestra Isabella Ambrosini, straordinaria donna dai tanti primati in campo musicale, ha riscosso un ulteriore grandissimo successo anche in occasione del suo recente concerto a Città del Messico.
Acclamata dal pubblico per la sua performance come direttore ospite dell'Orquesta Filarmonica de Querétaro-OFEQ, a 150 chilometri a nord della capitale.
Una sala gremita con tanti illustri ospiti e con la presenza di moltissimi giovani accorsi per questa eccezionale occasione.
Applaudita al termine del concerto come una vera star, molti hanno voluto fare un foto con il Direttore Isabella Ambrosini che emozionata e soddisfatta ha dichiarato di aver ricevuto un’accoglienza calorosissima dal pubblico Messicano, che ha così premiato la scelta della Direzione dell’OFEQ di chiamare un direttore donna, Italiana, per dirigere il concerto in onore di Leonardo Da Vinci.
Straordinaria la performance di tutta l’orchestra e in particolare dei solisti messicani, il soprano Maribel Salazar e il baritono Carlos Sanchez , che hanno dato prova di notevole capacità interpretativa del repertorio operistico italiano, sfoderando un fraseggio degno della nostra migliore tradizione lirica.
Il programma del concerto preparato da Isabella Ambrosini, in questa occasione, si è ispirato alla natura, l'energia, la luce ed il movimento per la ricorrenza dei 500 anni dalla morte del grande inventore fiorentino Leonardo Da Vinci, ed ha compreso opere di Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini, Pietro Mascagni e Ruggero Leoncavallo.
Isabella Ambrosini è un’eccellenza tutta Italiana, una professionista di altissimo valore che ha saputo crearsi un suo spazio in un mondo ancora oggi quasi del tutto prettamente al maschile. Sono pochissimi infatti i Direttori d’Orchestra donne nel mondo, secondo alcune statistiche sono solo il 3% e la Ambrosini è una di queste con un suo proprio stile femminile e molto sobrio.
Diplomatasi in Direzione di Coro, Composizione con E. C. Alandia, perfezionatasi poi in Direzione di Orchestra, con C. Palleschi, B. Aprea e B. Haitink, è laureata in Lettere con indirizzo Storia della Musica. Dal 1999 è Direttore Artistico e Musicale dell’Orchestra Roma Sinfonica e del Coro Roma Tre da lei fondati. Ha tenuto più di 500 concerti in Italia e all’estero in un’intensa attività concertistica. Ha diretto orchestre in tutta Italia ma anche in molti Paesi Europei, Russia, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, e anche in Egitto prima di approdare in America Latina.
Ad oggi è l’unica donna ad aver diretto un concerto nell’Aula di Montecitorio che è stato trasmesso in diretta televisiva su canali Rai, come spesso è accaduto anche per altri suoi concerti andati in onda su emittenti nazionali quali Rai, RaiVaticano, Radio Vaticana e Sky. Ha eseguito diversi concerti alla presenza di S.S. Giovanni Paolo II e del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, ed altri in collaborazione con istituzioni musicali quali l’Accademia di Santa Cecilia, il Teatro dell’Opera di Roma, Fondazione Musica per Roma.
Quella che per Isabella Ambrosini è diventata una vera e propria missione è partita dal suo progetto, ben 4 anni fa, la rassegna "Nuove Voci della Lirica" che vede la collaborazione di importanti Istituzioni con l’intento di portare i giovani ad apprendere questo grande patrimonio Italiano riconosciuto nel mondo che è l’opera lirica e di promuovere uno scambio culturale ed artistico per far conoscere cantanti Italiani all'estero e viceversa dall'estero in Italia.




Leandra Tartaglia performer, attrice, fotografa "attratta da ogni forma d'arte, quasi come una falena è attratta dalla luce"

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Intervista di Andrea Giostra.
Ciao Leandra, benvenuta e grazie per la tua disponibilità. Se volessi presentarti ai nostri lettori cosa racconteresti di te quale attrice di teatro e artista?
Buongiorno, innanzitutto grazie a voi per il vostro invito. Sono sempre stata attratta, sin da giovanissima, da ogni forma d'arte, quasi come una falena è attratta dalla luce, io sono sempre stata ammaliata dalle luci di quel mondo. Consapevole delle insidie e delle difficoltà che avrebbero potuto ostacolare il mio cammino, ho cercato di non pormi limitazioni e di essere versatile in campo artistico. Fu proprio questo che mi spinse a frequentare l'Accademia delle Belle Arti di Brera, dove qui ho studiato prevalentemente pittura. Col tempo ho sentito di dover ampliare i miei orizzonti. Sperimentando la fotografia, seguendo corsi di Burlesque e frequentando scuole di Teatro, sono giunta ad eseguire spettacoli-performance in tutta Italia. Ci tengo a sottolineare, che il soggetto che preferisco, è “me stessa”, riconoscendo di essere una persona alquanto egocentrica, senza pormi mai il problema se questo lato di me possa definirsi un pregio o un difetto, e proprio questa mia caratteristica, mi ha portato ad essere sia al di là di una tela, che aldilà di una macchina fotografica, avendo posato innumerevoli volte per pittori e fotografi, ed essere stata scelta per ricoprire ruoli principali in varie Performance. Forse sarò stata aiutata dalla voglia nel vedermi protagonista, che ad oggi, anche se so che il cammino è ancora molto lungo, sono felice di aver saggiato alcune di quelle forme d'arte che anni fa mi facevano sognare, però, quando senti il calore ed i complimenti del pubblico, oppure artisti che ti definiscono “Musa ispiratrice”, allora capisci che la scelta che hai fatto, è quella giusta.
Recentemente hai lavorato ad uno spettacolo-performance innovativo e particolare dal titolo “Please Don't touch me”. Lo vuoi raccontare ai nostri lettori? Come è nato questo progetto e come è stato realizzato?
Si ho avuto il piacere di essere stata selezionata come prima modella, performer per questo evento artistico assolutamente innovativo. Angelo Orazio Pregoni mi ha ritratta a misure reali, nuda, e coperta con un telo dipinto durante la performance! Mentre Angelo mi cospargeva di essenze e profumi, con dripping e pennellate, io restavo immobile sotto la tela nella posizione del dipinto. Una cosa fantastica! Poi, sollevato il telo, mi sono rivelata, e il pubblico mi è venuto a odorare, come fossi una moulitte umana. Una performance commovente, che ha messo la donna al centro del tutto, e in quel tutto io ero pittura, carne, ossa… e sentimento.
Ci saranno altre repliche? Se sì, dove e quando?
Ci saranno altre repliche, per quanto diverse dalla prima. Pregoni vuole dipingere almeno altre cinque tele con donne nude e bendate come ero io. Mi auspico di continuare a far parte delle prossime performance, questa volta in scena, durante gli avvenimenti che accadono prima dell’azione di Pregoni. Comunque sono felice di essere stata la prima donna al mondo a diventare un opera di “antropoformismo olfattivo”.
Qual è il percorso artistico che ti ha condotto dove sei ora?
Il percorso artistico che ho sempre seguito nasce da curiosità e sensibilità. Fare arte e far parte dell’arte significa anche mettersi in gioco, e lasciarsi condurre da un flusso che spesso a priori e ineffabile e indefinibile.
Come definiresti il tuo stile recitativo? C’è qualche attore o attrice ai quali ti ispiri?
Ritengo di non aver nessun stile recitativo in particolare, né di avere avuto mai alcuna ispirazione da un’attrice o da un attore, penso sia un mio punto di forza, ritenendomi un artista poliedrica, pronta a mettermi in gioco sperimentando esperienze tra le più disparate tra loro, senza nemmeno pormi il problema della riuscita.
Registi teatrali? Chi sono i più importati secondo te e con chi vorresti lavorare?
Importanti ve ne sono tanti, ma Carmelo Benequello che ho maggiormente seguito, ed è sempre stato per me un importante riferimento in ambito professionale, per la caratteristica di distruggere l’IO in scena. Al momento non ho in programma nello specifico di lavorare con un regista teatrale particolare, ma, se mi si ponesse l’opportunità di recitare in una rappresentazione teatrale, ovviamente la prenderei in considerazione, anche se al momento sono concentrata a sviluppare alcuni miei progetti personali. Se proprio dovessi pensare al tipico sogno nel cassetto, dovrei spostarmi dal mondo del teatro, a quello cinematografico, facendo il nome di Pedro Almodovar, che oltre a ritenerlo un regista geniale, dotato di una creatività straordinaria, mi ritrovo perfettamente in molti personaggi decisamente fuori dal comune, da lui diretti.
«L’essenza della forma drammatica è lasciare che l’idea arrivi allo spettatore senza essere formulata con troppa nettezza. Una cosa detta in modo diretto non ha la stessa forza di ciò che le persone sono costrette a scoprire da sole.» (tratto da “Il più grande azzardo di Kubrick: Barry Lyndon”, di Marta Duffy e Richard Schickel, pubblicato su Time, 15 dicembre 1975). Cosa ne pensi di questa frase di Kubrick? Nel teatro secondo te come va innescata la forza della drammaticità di una rappresentazione?
Devo dire che questa domanda mi è abbastanza congeniale, in quanto di questa frase ne ho fatto la mia fonte d’arte mettendo a disposizione tutte le mie potenzialità recitative e talvolta anche solo visive, cercando di celare quello che verrà di seguito, dando pochi punti di riferimento e creando contrasti, quindi secondo il mio pensiero la drammaticità di una rappresentazione è semplicemente non far capire quello che potrebbe succedere nella scena successiva, né far sì che abbia assolutamente nessuna intuizione su un finale.
Charles Bukowski, grandissimo poeta e scrittore del Novecento, artista tanto geniale quanto dissacratore, in una bella intervista del 1967 disse… «A cosa serve l’Arte se non ad aiutare gli uomini a vivere?» (Intervista a Michael Perkins, Charles Bukowski: the Angry Poet, “In New York”, New York, vol 1, n. 17, 1967, pp. 15-18). Tu cosa ne pensi in proposito. Secondo te a cosa serve l’Arte della recitazione, l’arte teatrale?
Ovviamente, visto che io mi sono sempre interessata ad ogni forma d’arte, mi viene difficile soffermarmi esclusivamente su quella relativa alla recitazione, ogni forma d’arte segue innumerevoli stili ,detto questo, se una persona cresce con l’arte oppure si appassiona sin dalla giovane età, è abituata a tutto ciò, ed ogni risposta potrebbe risultare addirittura banale, o comunque già sentita molte volte, penso che bisogna immedesimarsi in una persone che l’arte non l’abbia mai seguita, o magari, solo marginalmente, quelle persone che pensano che un’artista è un personaggio indefinito, quello che non ha voglia di fare nulla, che si è inventato l’alternativa al lavoro comune, penso che invitando questo tipo di persona a visitare una galleria d’arte, piuttosto che una mostra fotografica, piuttosto che uno spettacolo teatrale, magari in un luogo coinvolgente immagino che dopo aver visto cose che potevano sembrare senza un senso logico, possano dar vita ad una curiosità, ad una voglia di conoscere un mondo prima semi sconosciuto, e magari portare ad avere una creatività prima nascosta, se poi devo pensare nel dettaglio ad una rappresentazione teatrale, penso che sia come avere un libro di fronte a se, si guarda ugualmente ma invece di leggerlo si ascolta.

Perché secondo te oggi il teatro è importante e va seguito?
Ritengo che il teatro sia importante e va seguito per vari motivi, oggi si vive in un mondo dove trionfa il virtuale, e talvolta addirittura la finzione. Tutto questo viene trasferita anche nei film, pieni di effetti speciali, e scene difficilmente realizzabili, ed in tutto questo manca la cosa più importante, la magia del trasmettere. Uno spettacolo teatrale innanzitutto è “live” con tutte le problematiche che comporta, difficilmente una rappresentazione può essere identica ad un’altra, il piccolo ritardo di una battuta un passo fatto diversamente, alcune espressioni, dei visi differenti e cosi via, è bello pensare che ogni rappresentazione è unica.
I tuoi prossimi progetti? Cosa ti aspetta nel tuo futuro professionale che vuoi raccontarci?
Per quanto riguarda i miei prossimi progetti ed ovviamente il mio futuro in ambito professionale, preferisco non svelare alcunché ma ho tanto ancora da mostrare, idee particolari che spero vivamente potranno stupirvi.
Immagina una convention all’americana, Leandra, tenuta in un teatro italiano, con qualche migliaio di adolescenti appassionati di teatro e di cinema. Sei invitata ad aprire il simposio con una tua introduzione di quindici minuti. Cosa diresti a tutti quei ragazzi per appassionarli al mondo della recitazione, del teatro? Quali secondo te le tre cose più importanti da raccontare loro sulla tua arte?
Se mi fossi concessa una tale opportunità certamente cercherei di far comprendere ai ragazzi d’oggi cosa sia l’arte che non è che espressione estetica dell’interiorità e dell’animo umano. Darei loro, inoltre, invertendo l’ordine regolare di una conferenza, la possibilità di essere sottoposti ad una serie di domande circa le origini di questa loro passione e in che modo vorrebbero coltivarla. In fondo non si smette mai di imparare chissà quante cose potrebbero insegnarci quei ragazzi che hanno gli occhi carichi di sogni e grandi aspettative.
Dove potranno seguirti i nostri lettori e i tuoi fan?
Dalle pagine social che sono elencate a seguire. Grazie alla Redazione per l’intervista, e grazie ai lettori che la leggeranno.

Leandra Tartaglia

Andrea Giostra


Adriana Volpe, sola contro la Rai: mi hanno invitato ad abbassare i toni ed evitare di parlare con la stampa

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Quello che sta accadendo ad Adriana Volpe, a giudicare dalle sue stesse dichiarazioni, non è proprio piacevole e la cosa che stupisce ancor più negativamente è l'assenza di solidarietà di colleghi e soprattutto colleghe: l'ex conduttrice de "I fatti vostri" e "Mezzogiorno in famiglia" sembra essere rimasta sola contro la Rai e le ingiustizie patite, senza uno straccio di solidarietà da chicchessìa.

Intervistata dal settimanale Chi nel numero in edicola mercoledì 3 luglio la Volpe si sfoga: “La cosa che più mi ha ferita è che quando ho provato a denunciare quello che stava accadendo, come risposta ho ricevuto una lettera di richiamo, con invito ad abbassare i toni e a evitare di parlare con la stampa. Se quest’anno non dovessi più lavorare, che messaggio darà la Rai ai suoi dipendenti e all’opinione pubblica? Guardando la mia storia si capisce perfettamente che, se denunci, si corre il rischio di ricevere una lettera di richiamo, di venire allontanati, demansionati e, infine, lasciati a casa. A questo punto, quale persona avrà più il coraggio di denunciare e di andare contro il sistema?”.

Publia Cruciani, Fatti e ritratti. Omaggio a Valentino Zeichen: Il Testamento di Anita Garibaldi

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All'interno della mostra Fatti e Ritratti di Publia Cruciani, venerdì 5 luglio alle ore 21.30 preso la Cappella Orsini, Omaggio a Valentino Zeichen: Carmela Ricci legge Il testamento di Anita Garibaldi, con la partecipazione di Marta Zeichen.

Un omaggio d’eccezione alla donna che meglio ha saputo incarnare il sacrificio garibaldino. Il testamento di Anita Garibaldi è un monologo che il poeta Valentino Zeichen ha voluto dedicare alla compagna di vita dell’eroe dei due mondi, eroina a sua volta, immolatasi per la nostra patria. Nata in Brasile, e già impegnata nella difesa del suo paese, appena diciottenne e innamoratissima, aveva deciso di seguire Garibaldi in battaglia, diventando poi sua moglie e dandogli quattro figli. Un legame forte e indistruttibile che solo la morte poté spezzare. Nelle pagine di questo intenso e potente libretto, Zeichen ricostruisce gli ultimi momenti della vita di Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, detta Anita. Nel 1849, nelle valli di Comacchio, durante la marcia forzata in seguito alla caduta della Repubblica Romana, morì incinta di cinque mesi a soli ventotto anni, undici dei quali passati accanto a Garibaldi che, in fuga verso la salvezza, fu costretto ad abbandonarne il corpo vicino a Ravenna.

Valentino Zeichenè considerato uno dei maggiori poeti italiani del novecento. Nato a Fiume ma romano d’adozione, ha pubblicato diverse raccolte di poesie fra cui: Area di rigore (1974), Ricreazione (1979), Museo interiore (1987), Gibilterra (1991), Metafisica tascabile (1997) e Neomarziale (2006). Una scelta da tutte le sue opere è apparsa negli Oscar Mondadori. Per la Fazi Editore ha pubblicato Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio (2000), Aforismi d’autunno (2010) e Il testamento di Anita Garibaldi(2011) e La sumera (2015).

Carmela Ricci. Dopo la scuola del Teatro Stabile di Catania con Turi Ferro, Carmela Ricci ha arricchito la sua formazione sotto la direzione di registi come Antonio Calenda, Alvaro Piccardi, Judith Malina del Living theatre e collaborando con la compagnia di teatro/danza sperimentale Magma Rhei di Giada Benhcke. Nel corso della sua carriera, la Ricci è passata con disinvoltura da Shakespeare a Dario Fo, dalla commedia brillante al teatro di poesia, (Murray Lachlan Young di Vatel film di Roland Joffè), lavorando con Stefano De Sando, Giuseppe Manfridi, Pamela Villoresi, Monica Scattini e Paola Gasman fino a scrivere, dirigere e portare in scena testi di cui è autrice. Ha alternato l’attività teatrale a quella radiofonica (radiodramma Valentino con Raoul Bova per Radio2), televisiva (Il Commissario Montalbano, Il figlio della luna) e cinematografica (Vipera con Giancarlo Giannini e Harvey Keitel), dimostrandosi attrice molto versatile. Ha inoltre lavorato nella pubblicità (Rai Premium Fiction con la regia di Luca Lucini), in video musicali (Parlami della rock band Volver) e nel doppiaggio (Geo&Geo, Chi l’ha visto, audiolibro La decrescita felice). E’ inoltre autrice di racconti erotici, pubblicata nel 2006 nell’antologia Storie a Mezzogiorno, edito da Simple e autrice teatrale. Un suo monologo breve Il Regalo, è stato premiato al Festival Short: corti teatrali nel 2010 e un altro, Che perla di Donna è stato segnalato dalla critica al concorso Autori nel cassetto, Attori sul comò nel 2011. Nel corso degli ultimi anni ha intrecciato collaborazioni con artisti contemporanei, prendendo parte a una mostra della fotografa Caterina Orzi e Maria Pia Costanzo. Continuando a lavorare in teatro, ha appena ultimato un docu per il Giffoni Film Festival e ha un altro documentario in preparazione.

La mostra Fatti e Ritratti sarà visitabile fino al 10 settembre 2019: in esposizione sculture tattili realizzate con diversi materiali, legno, ferro, plastica e scarti industriali, che ritraggono e generano mondi dai quali si affacciano curiosi Leonardo, Boccaccio, Oscar Wilde, Lucida Mansi con il vestito di ceramica preziosa, re e regine dell’Africa, musicisti pop, scrittrici francesi.

Maria Elena Cialente e il suo 1° romanzo "Shat Mat"

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di Giuseppe Lalli - L’AQUILA - In un contesto storico in cui si ha l’impressione che la città dell’Aquila stia vivendo un particolare fermento culturale, una sorta di Rinascimento che lascia ben sperare sul futuro del capoluogo abruzzese, mi sembra doveroso segnalare un piccolo grande libro di Maria Elena Cialente, giovane scrittrice aquilana al suo primo romanzo, che giunge dopo un impegnativo saggio dedicato al fantastico nella letteratura italiana, uscito per i tipi  della casa editrice Solfanelli con il titolo “L’ALTRO E L’ASSENTE”.

Il romanzo di cui si parla, pubblicato circa un anno fa dalle Edizioni Tabula Fati, è stato presentato l’ultima volta all’Aquila il 24 maggio 2019 al Palazzetto dei Nobili e a Pescara il 7 giugno scorso, nell’ambito del Rosadonna, festival delle eccellenze femminili. Il racconto, che Maria Elena aveva scritto già prima del terremoto che dieci anni fa ha sconvolto il capoluogo abruzzese, ha il titolo accattivante di “SHAT MAT”, che in arabo significa “scacco matto’’. Protagonista principale - e “io” narrante - di questo libretto che ha tutte le caratteristiche di un piccolo moderno “romanzo di formazione”, come un tempo si sarebbe detto, è Raffaele, un ragazzo che, come molti di noi, era adolescente negli anni Sessanta e giovane negli anni Settanta. Ha respirato a pieni polmoni l’atmosfera del ‘68, e per tanti aspetti l’ha anche subìta. Ha fatto tutto il cursus honorum di quegli anni, e, ormai medico e sposato, sentendo di aver pagato il suo conto con la vita, decide di fissare sulla carta le sue esperienze giovanili, come se volesse scaricarsi di un peso.
Si stenta a credere che a scrivere le memorie di un uomo nato negli anni Cinquanta sia una giovane donna dei nostri tempi. Bisogna conoscere l’autrice, una donna dall’aspetto fragile e raffinato, per rendersi conto dello sforzo che ha dovuto compiere per immedesimarsi nella psicologia di un personaggio assai diverso da lei, oltre che per il sesso, per il contesto storico, sociale e familiare in cui il protagonista del racconto si muove. Questi ragazzi nati negli anni cinquanta Maria Elena mostra di conoscerli molto bene: ne ha respirato l’aria nei racconti sentiti, fino ad assorbirla. È, questo, il segno di una partecipazione commossa alle vicende di un’epoca e di una generazione che non sono le sue, ma che avverte, quasi con invidia, come un bivio di destini individuali e collettivi: un filo della memoria a lungo coltivata, interrotto dalla sciagura del terremoto, e poi ripreso, ad alimentare forse una nuova speranza.
Per molti coetanei del protagonista (sono anch’io tra questi) che leggeranno il piccolo romanzo di Maria Elena potrebbe valere il famoso detto De te fabula narratur. Del resto, per ogni racconto che si rispetti si può dire De te fabula narratur. Il racconto si apre con la descrizione delle vicende di un gruppetto di bambini di cui fa parte Raffaele: una piccola gang che ruba oggetti (manicotti di bombole del gas, fili di rame) dalle case abbandonate del centro storico aquilano, ma anche oggetti sacri dalle sacrestie delle vecchie chiese, per poi rivenderli ad una vecchia del quartiere in cambio di qualche spicciolo. Si respira a tratti, in queste righe, l’atmosfera di certi romanzi veristi del secondo dopoguerra, nonché di certe scene pasoliniane di “Ragazzi di vita”. Una volta giovane, studente di medicina, Raffaele entra nel tunnel della droga: dapprima erba, poi eroina.
Altro personaggio del racconto è il nonno materno, Roberto, un anziano medico in pensione con il quale Raffaele coltiva un rapporto affettuoso e complice, ma che presenta la stessa fragilità del nipote e che quindi non può essergli di grande aiuto. L’aiuto lo troverà invece in altre persone, prima fra tutte il professor Alberini, originale figura di matematico e anarchico cristiano, conosciuto al circolo, con il quale intreccerà interessanti discorsi filosofici nel corso di interminabili partite a scacchi. C’è nel libro, insieme ad una tensione filosofico-esistenziale, una componente fortemente pedagogica. Raffaele, a un certo punto, dice: «I miei genitori erano anche troppo presi dai loro litigi per accorgersi delle mie fughe. Lo avevo fatto anche da bambino quando, spaventato dalle loro grida e dai piatti che mia madre fracassava a terra, uscivo dal retro per raggiungere la porta del nonno».
Quante famiglie - ci viene da pensare - ci sono state e ci sono come quella di Raffaele...quanti genitori assenti, anche quando sono presenti. «La famiglia è finita», ci ripetono i tanti profeti del nulla che sentenziano ogni giorno nei mass-media. La famiglia la stiamo facendo finire noi ogni giorno, si può ragionevolmente ribattere. Raffaele, che riuscirà ad uscire dal tunnel della droga, finirà per dare un senso alla vita facendo scacco matto (Shah mat, appunto, “scacco matto” in arabo) non contro il professor Alberini, il suo perenne avversario agli scacchi, che in fondo è, come si direbbe in termini freudiani, il suo “super io”, ma contro se stesso, o meglio contro il lato opaco del suo “io”. Raffaele - sembra dirci l’autrice del romanzo - ha il merito di averci provato, e alla fine si è riscattato, mentre si ha l’impressione che oggi molti giovani, purtroppo, nemmeno ci provano. È questo uno dei messaggi che Maria Elena ci insinua.
Sembra proprio che la scrittrice, dando una identità a ciò che ha respirato nell’aria, abbia voluto calarsi nella parte di un protagonista di quegli anni, Raffaele, che alla fine riesce a dare un senso al suo disagio, mentre ogni giorno, anche a scuola, la professoressa Cialente forse tocca con mano un disagio che pare non avere molto senso. Sotto questo aspetto, il libro si presenta come una lettura non canonica e demistificante di quel sessantotto di cui l’anno scorso si sono celebrati i cinquant’anni, se per demistificante si intende, al di là delle indubbie conquiste democratiche di quella stagione, il tentativo di gettare una luce sugli aspetti opachi del mito sessantottino. Tutto ciò a partire da quella filosofia libertaria (ma si potrebbe dire libertina e, come sul dirsi, «buonista») che ha fornito molti alibi, e che si riassume nella frase «Vietato vietare»: quella cultura che ha riportato in auge la pedagogia di Jean Jacques Rousseau (1712-1778) e l’idea che tutti i mali ci vengono dalla società; quella cultura che spesso ha distrutto senza costruire, e che a lungo andare ha prodotto teste vuote, culto delle apparenze, un desolante conformismo spesso contrabbandato per anticonformismo ; ma, anche, paradossalmente, competitività sfrenata, e ricerca del piacere e della trasgressione  scambiata per libertà.
Sotto questo aspetto, l’autrice di questo piccolo romanzo sembra invitarci ad un serio, profondo, coraggioso esame di coscienza. Aspetto non secondario del racconto è la lingua, una lingua che Maria Elena, letterata, padroneggia in ogni riga, e che sa coniugare con un uso sapiente dello stesso parlato dialettale, presente a volte anche nella struttura sintattica della frase. Per finire, una piccola annotazione storico-filosofica (questo della Cialente è anche un piccolo romanzo filosofico, come si accennava), che mi viene suggerita da una frase che si legge nelle prime pagine. Al professor Alberini che gli parla di Ipazia, una giovane filosofa neoplatonica del quarto secolo massacrata da una folla di cristiani fanatizzati dai loro capi, quei cristiani usciti da poco dalle persecuzioni, Raffaele risponde: «...E’ proprio vero, professo’: quando la fortuna cambia corso, i vecchi martiri diventano gli aguzzini di turno». 
Una grande intellettuale francese del secolo scorso, Simone Weil (1909-1943), all’indomani di quella tragedia europea che fu la guerra civile spagnola, nella quale lei, come tanti intellettuali francesi, aveva partecipato militando nel fronte repubblicano, dalla parte dei “rossi”, in quella che aveva ritenuto essere la parte giusta, ebbe un rapporto epistolare con lo scrittore Georges Bernanos (1888-1948), che aveva invece combattuto dall’altra parte, cioè sul fronte dei franchisti vincitori, e che in un saggio-romanzo (“I grandi cimiteri sotto la luna”) aveva denunciato, da cristiano onesto quale era, le crudeltà compiute dalla sua fazione. Simone Weil, che aveva letto il libro, si complimentava con Bernanos, e a sua volta rievocava il disgusto che a lei aveva suscitato l’ebbrezza del sangue di tanti suoi compagni che a sera si complimentavano a vicenda per il numero dei preti uccisi. Ebbene, questa grande pensatrice diceva di aver visto in azione una ferocia umana che andava ben al di là delle ragioni dell’appartenenza politica, e concludeva la lettera con queste esemplari parole: «Bisogna essere sempre disposti a cambiare di campo, per inseguire la giustizia, questa eterna fuggitiva dai campi della vittoria». Maria Elena, novella Simone Weil, alla fine del suo denso racconto, ci propone una soluzione abbastanza simile. A questo proposito, vale la pena di riportare le ultime battute del colloquio tra il professor Alberini e Raffaele ormai pronto per la sua nuova vita.

«Non è mica un contratto la vita, Raffae’...non dobbiamo dimenticare di versare l’obolo fondamentale che dà senso a tutto.»
«Sarebbe, professo’?»
«L’amore, Raffae’...L’ha detto pure Cristo, no?», risponde Alberini, e precisa: «Cristo ci ha detto che noi siamo tutti uguali, sì, ma come figli di Dio, e l’anarchismo che siamo tutti uguali nei diritti. Ma non è vero che siamo tutti uguali. Se così fosse ci capiremmo all’istante. Invece...E poi le possibilità non so’ le stesse, c’è poco da fa’, né per il talenti...né per i natali...né per le condizioni economiche...»
«Ma che rimedio abbiamo a tutto questo?», chiede infine Raffaele.

E la risposta del professore non si fa attendere: è la stessa, si deve presumere, di quella di Maria Elena, ed è il vero filo rosso di tutto il piccolo grande romanzo:

«L’amore. Solo chi ha il coraggio d’amare, Raffae’, sopravvive».

Il rimedio suggerito è una di quelle medicine che scarseggiano sul mercato dei rapporti sociali, dove invece abbondano – ne facciamo esperienza ogni giorno – l’orgoglio e l’invidia: la caligine che sempre rimane quando gli eroici furori ideologici sono evaporati. Si ha l’impressione che l’utopia rivoluzionaria che l’ex sessantottino Raffaele finisce per fare propria è quella linea sull’orizzonte dove la terra e il cielo sembrano toccarsi… Una vera scrittrice è in mezzo a noi: Maria Elena Cialente.

Blanco 01029, l'amore ritrovato in "Elemento" nuovo singolo Indie Pop della band di Orte

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Dalla passione comune dei fratelli Covarello ( Paolo alla voce e Daniele alla chitarra e cori), autori anche di tutti i brani, agli inizi del 2017 nasce il progetto Blanco 01029, in cui il numero "01029" rappresenta il CAP di Orte, in provincia di Viterbo, città di origine della band.

Un gruppo pop-rock che trova la sua vera identità con l’arrivo nella band del bassista Marco “Charlie” Paris; Giacomo Nardoni alla chitarra e Simone Bonifazi alla batteria.
Nel 2019 esce il loro primo EP di tre brani “01029” con l'etichetta discografica TRB rec. Un progetto composto da tre brani che strizzano l’occhio all’indie pop cantautorale, caratterizzato da tematiche positive.

ELEMENTO
"Elemento"è il nuovo singolo Indie Pop dei Blanco 01029.
Composto a tre mani da Daniele Covarello, Paolo Covarello ed Emanuele Giraldo (quest’ultimo anche il produttore artistico della Band), il brano nato in un primo momento da un'intuizione chitarra e voce, si è poi successivamente orientato verso sound più elettronici in cui si distingue l'accattivante ritornello Pop Dance.
La canzone parla di un amore ritrovato, che si era perso nella nebbia delle incertezze. "Elemento" arriva al cuore dell'ascoltatore, perché ognuno di noi ha bisogno di un “elemento” come l'amore, come l'ossigeno.

65° Festival Puccini, Amarilli Nizza è "Turandot" un ruolo che fa tremare i polsi. L'intervista di Fattitaliani

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"Amarilli Nizza, intensa voce sopranile che sa scovare sempre la giusta ed intrinseca drammaticità vocale dei suoi ruoli": è il giudizio di un critico in evidenza sulla home page del sito del soprano. Il 13 luglio grande appuntamento al 65° Festival Puccini di Torre del Lago con "Turandot"con la direzione musicale del M° Marcello Mottadelli e la regia di Giandomenico Vaccari. Dopo altre donne pucciniane, questa è la prima volta per Amarilli Nizza nei panni della principessa che la stessa soprano definisce un personaggio davvero particolare perché "crudele, freddo, sanguinario". A Fattitaliani confessa le sue emozioni a pochi giorni dal debutto (13 luglio) e il suo privilegiato rapporto con il compositore toscano. L'intervista.

Puccini sembra rappresentare un punto fermo nella sua carriera: negli anni come è "cresciuto/cambiato" il suo rapporto con il compositore attraverso i differenti personaggi che ha interpretato?
Puccini è stato l’autore che ha segnato gli inizi della mia carriera. La Butterfly il mio esordio assoluto sulle scene a cui poi sono seguite La Bohème e Suor Angelica. Nel giro di pochi anni, grazie al consenso del pubblico, della critica e degli addetti ai lavori mi sentivo sempre più identificata con le opere pucciniane sebbene anche Giuseppe Verdi riscuotesse grandi consensi, arrivati però qualche anno dopo perché Verdi era uno di quei compositori che incuteva in me grande timore reverenziale e cercavo all’inizio di evitarlo..
Quando ho deciso di essere coraggiosa e mi sono tuffata nella produzione verdiana, che ho tanto amato, sentivo spesso la mancanza di Puccini. Mi mancava il Suo linguaggio musicale, la sua empatia con i personaggi scritti, mi mancava il pathos e la immedesimazione che solo con Puccini riesco ad avere. All’inizio amavo Puccini in maniera istintiva. Con il passare degli anni ho preso consapevolezza di quanto unico sia questo autore e di quanta verità riesca a trasmettere in tutto ciò che scrive. La mia personalità ha bisogno di cercare verità e di esprimerla sul palco. Puccini mi consente di farlo sempre.
Mi corregga se mi sbaglio: questa al Festival Pucciniano sarà la sua prima "Turandot" nel ruolo di Turandot, un personaggio nell'immaginario collettivo anche di chi non è melomane. Vestirne i panni, cantarne la storia rappresenta per Lei una responsabilità particolare? Se sì, in per quale aspetto soprattutto? 
Turandot è uno di quei ruoli che fanno tremare i polsi. Innanzitutto la tessitura vocale è estrema, impervia, tagliente. Poi il personaggio è crudele, freddo, sanguinario. Caratteristiche che non riscuotono certo i favori del pubblico che immancabilmente fa il tifo per Liù, dolce, buona, coraggiosa.
Turandot è arroccata nel potere, nella sua arroganza data da una condizione di privilegio, ricchezza e nobiltà, è prepotente, vile, ingiusta. Insomma non è semplice trasferire tutto questo al pubblico e se lo si trasferisce si diventa odiosa per chi ascolta. Ho portato in scena numerose volte sia Lady Macbeth che Abigaille, due personaggi negativi ma che hanno coerenza drammaturgica. Nel caso di Turandot la coerenza manca e il suo improvviso amore per calaf non è ben comprensibile da quali ragioni sia mosso.
Con il regista Giandomenico Vaccari su che cosa state specialmente lavorando? Che "Turandot" sarà la vostra?
Con il regista Vaccari abbiamo lavorato molto proprio sulla motivazione che spinge Turandot nel finale di Alfano nelle braccia di Calaf e la abbiamo messa bene in evidenza del primo atto dove lei non canta ma appare in scena e sarà in qualche modo folgorata da Calaf.
Abbiamo anche molto sottolineato certe sfumature di debolezza che appartengono alla principessa,  dei piccoli cedimenti, delle piccole ombre che la pervadono nell’incontro con Liù (ad esempio ), così come degli scambi di intesa con Ping, suo fidato, e con l’angelo della morte (un personaggio creato ad hoc proprio da Vaccari).
C'è un'aria, un'opera che potrebbe sintetizzare l'importanza che l'opera ha nella sua vita?
L'aria che più mi rappresenta è “Vissi d’Arte". Più per il testo che per altro. Ho dedicato tutta la mia esistenza all’arte del canto lirico e della famiglia (un marito e due meravigliosi figli). Talvolta mi chiedo, di fronte a ingiustizie subite, perché io le stia subendo dal momento che non ho mai fatto male ad anima viva ... ovviamente le subiamo tutti nella nostra esistenza ma credo che l’aria di Tosca ben sintetizzi tanti pensieri che possono affliggerci.
Ogni volta che entra in scena, per una prima ma non solo, fa qualche atto scaramantico, una preghiera o semplicemente una raccomandazione a se stessa?
Sì, qualche piccola preghiera parte dal cuore ogni volta. Ho tanti cari non più su questa terra che mi proteggono da lassù, di questo sono convinta.
Andando a ritroso, come vede la Amarilli Nizza degli esordi? c'è qualche elemento o tappa che cambierebbe nel suo percorso?
Non vivo di rimpianti e difficilmente mi guardo indietro. Anzi, se mi volto dico: accidenti! Ma ho davvero fatto tutte queste cose?
Al di là delle vicende delle storie, ritrova qualcosa di sé nelle donne pucciniane che ha impersonato?
Trovo tutto di me nelle donne di Puccini ed è per questo che le amo perdutamente. In me c’è un po’ di ognuna e non è difficile lasciarsi trasportare da loro sul palco perché sono così vere, così umane, così forti, così fragili così credibili. In una parola : così DONNE! Giovanni Zambito.

MareFestival Salina 2019 Premio Troisi, targa d'argento a Moschella&Mulè

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MareFestival di Salina  - Premio Troisi (madrina l'attrice Maria Grazia Cucinotta) per i 25 anni della scomparsa di Massimo Troisi
Targa Argento al film breve “Una signorina con sesamo” di Giuseppe Moschella, un progetto targato Moschella&Mulè
Felici di comunicare che il film breve “Una signorina con sesamo” scritto e diretto da Giuseppe Moschella, fotografia di Daniele Ciprí, musiche di Lino Costa, montaggio di Rino Pitruzzella, aiuto regia Angelica Cricchio, organizzatore generale Sergio Fiorito, trucco e parrucco Valentina Milazzo con Emanuela Mulè, Mario Pupella, Tommaso Caporrimo, Marco Feo, Nando Chifari, Aurora Padalino verrà premiato con la targa argento e proiettato al MareFestival Premio Troisi di Salina 2019 giorno 12 luglio!!!!! Ringraziamo sempre Il Centro Tau di Palermo, Kalos Edizioni, NuovoImaie, il Centro Sperimentale di Cinematografia che ha ospitato a Palermo la prima nazionale e Antonio Giancontieri per design manifesto e locandina film.

Il film è distribuito da Premiere Film ed è già stato finalista in altri importanti festival: Los Angeles Cinefest, Festival Internazionale del Cinema di Salerno, Cinemator Court Métrages (sezione professionisti) di Carros (Francia).



Meteo, Weekend FIAMMATA AFRICANA e picchi di 40°C, ma poi CAMBIA TUTTO con BREAK TEMPORALESCO

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Edoardo Ferrara di 3bmeteo.com: “fino al weekend sole e caldo nuovamente intenso con picchi fino a 38-40°C; qualche temporale al Nord e Appennino; ma la prossima settimana si cambia con numerosi temporali e stop al grande caldo, specie al Centronord"

NUOVA FIAMMATA AFRICANA NEL WEEKEND, PICCHI VICINO AI 40°C - “Nei prossimi giorni l'anticiclone africano avrà un nuovo sussulto con una seconda ondata di calore diretta verso l'Italia” - lo conferma il meteorologo di 3bmeteo.com Edoardo Ferrara che spiega - “non sarà intensa e duratura come quella di fine giugno, almeno al Centronord, tuttavia sarà comunque significativa. Entro il weekend si potranno infatti raggiungere punte di 38-40°C sulle aree interne del Sud, fino a 36-38°C su quelle del Centro, 33-35°C al Nord con picchi anche superiori sull'Emilia Romagna. Qualche grado in meno lungo le coste ma con afa alle stelle, stante la maggiore presenza di umidità.”
QUALCHE TEMPORALE DI CALORE AL NORD E SULL'APPENNINO - “L'anticiclone non potrà comunque impedire la formazione di qualche improvviso temporale di calore pomeridiano su Alpi, Appennino, sporadicamente anche su Prealpi e pianure prospicienti del Nord “- prosegue Ferrara di 3bmeteo.com - “Maggiore attenzione a domenica, quando qualche temporale in più tenderà ad interessare le regioni settentrionali ed in particolare quelle di Nordest, con fenomeni anche di una certa intensità entro fine giornata. Sarà il preludio ad un deterioramento più marcato delle condizioni meteo atteso nei giorni successivi”.
PROSSIMA SETTIMANA CAMBIA TUTTO: BREAK TEMPORALESCO E STOP AL GRANDE CALDO - “Appare infatti confermato un importante cambiamento del tempo nella prossima settimana: l'anticiclone africano si ritirerà almeno parzialmente nelle proprie terre di origine, sotto la spinta di correnti più fresche ed instabili in arrivo dal Nord Europa. Avremo così un tempo decisamente più dinamico con temporali a tratti talora forti dapprima al Nord, poi anche al Centro e infine, anche se più occasionalmente, al Sud. Saranno possibili nubifragi e locali grandinate. Attenzione però: questo non significa che pioverà ovunque 24 ore su 24. Non mancheranno infatti delle belle parentesi assolate, solo che dovremo mettere in conto qualche temporale in più. Questi break temporaleschi possono infatti sovente capitare anche nel cuore dell'Estate. La bella notizia è che, per chi non sopporta il caldo, si avrà un calo termico anche apprezzabile soprattutto al Centronord ( localmente anche oltre 6-8°C ), con clima comunque che si manterrà gradevole e con caldo decisamente più sopportabile. La canicola potrebbe invece resistere sulle estreme regioni meridionali almeno nella prima parte della nuova settimana, per poi smorzarsi successivamente” - concludono da 3bmeteo.com

SOLO 4 MILLENNIALS SU 10 SI SENTONO DEI VINCENTI NELLA VITA. BENE AMORE E FAMIGLIA, MALE LAVORO E CARRIERA

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Sarà la crisi economica degli ultimi anni oppure una più generale difficoltà a vincere la competizione dietro la scrivania ma, se per 1 millennial su 2 (54%) la carriera è l’obiettivo numero 1, solo il 25% si sente pienamente realizzato.
Soddisfatti invece in amore (39%), anche se in questo è soprattutto la donna a volere, come obiettivo a lungo termine, mettere su famiglia (68%). Per entrambi però quello a cui non rinunciano è dedicare tempo a se stessi (54%) per la propria cura o per rilassarsi con famiglia e amici. E se si chiede se si sentono ‘leone’ o ‘gazzella’, 6 su 10 ammettono di non sentirsi pienamente appagati e di avre difficoltà a vivere in maniera vittoriosa la propria vita: l’universo femminile riconosce che dovrebbe essere più sicuro di sè e determinato (58%), mentre il 50% degli uomini ritiene che per vincere bisogna essere più coraggiosi ed ottimisti. Per quasi 3 su 10 l’esempio da seguire rimangono i propri genitori, anche se nel mondo dello sport e del sociale non mancano i modelli di coloro che ce l’hanno fatta a vincere contro le avversità: tra tutti spiccano Bebe Vio (24%), Alex Zanardi (19%) e Nelson Mandela (13%).
È questa la carta d’identità, tra punti di forza e di debolezza, tra aspirazioni e progetti concreti, dei Millennials che da Nord a Sud sono accomunati da un generale senso di ottimismo dettato dalla propensione a godere delle piccole vittorie quotidiane (83%). Atteggiamento questo che secondo gli esperti è la ricetta per una vita di sicuro successo. Un approccio che, secondo guru e celebrities, prende il nome di “Live Victoriously”, ovvero vivere da vincente. A dirlo ad esempio è Derren Brown, scrittore inglese autore di “Happy: why more or less everything is absolutely fine”, secondo cui la ricetta del sicuro successo è apprezzare le piccole e grandi cose della vita celebrandole con la giusta positività.
A dirlo è uno studio condotto su più di 800 italiani dai 20 ai 35 anni da GREY GOOSEâ, brand premium di vodka noto a livello internazionale, insieme all’istituto di ricerca Trade Lab, per sondare l’approccio al “Live Victoriously”, ovvero a vivere in maniera vittoriosa ogni piccola e grande conquista della vita, celebrando i piccoli successi quotidiani.

Vida: opere, oggetti e tante altre storie. L'arte e l'interior design diventano storytelling

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GIULIANOVA. Sabato 6 luglio dalle ore 19.00 il locale Corte di Vida ospiterà il Vernissage della mostra d’arte contemporanea: “Vida: opere, oggetti e tante altre storie”, curata da Gaia Di Ilio e con la direzione artistica del noto Interior Designer Pierluigi Di Pietro. La mostra sarà aperta al pubblico fino al 31 agosto 2019. Gli orari d’apertura? Sempre! A colazione, pranzo e cena! Ingresso libero – Catalogo in sede.

Creare un luogo in cui l’ospitalità sia un’opportunità per valorizzare le molteplici espressioni artistiche della contemporaneità: è stata l’intuizione di Pierluigi Di Pietro. Proprio da qui nasce l’idea di costruire una rete di collaborazione tra i professionisti del territorio impegnati nel settore della creatività.
Tutto parte sempre da un concetto” così commenta Pierluigi Di Pietro Interior Designer e Art Director del progetto. “Immaginare un luogo plurimo in cui arte e quotidianità potessero incontrarsi inizialmente non è stato semplice! Dovevo raccontare un luogo del limite e restituire al pubblico il senso di quel limite! Così è nata l’idea di connotare lo spazio mediante un gioco di continue analogie tra interno e esterno, reale e irreale, concreto e astratto, socialità e intimità. Trasfigurare l’illuminazione elettrica in nuvola, trasformare un “ping pong table” in metafora della convivialità, gestire gli ambienti come un lungo camminamento per favorire la scansione visiva delle opere sono alcuni degli aspetti che hanno strutturato la mia visione d’interior”.
La mostra, curata da Gaia Di Ilio, catalogatrice di beni culturali ed esperta in linguaggi visivi, rappresenta l’atto di nascita di Corte di Vida, un luogo in cui i sapori del territorio dialogano con le manifestazioni artistiche dei nostri tempi. La curatrice della mostra a tal proposito aggiunge: “Sono sempre molto entusiasta di partecipare a progetti che intendono promuovere lo sconfinamento delle arti nell’universo quotidiano. Da anni lavoro nel settore della valorizzazione artistica e credo che il nostro territorio abbia bisogno di iniziative capaci di coinvolgere attivamente il grande pubblico. Penso che dilatare i confini tra mondo dell’arte e mondo della non – arte, decontestualizzare le opere d’arte dal loro habitat naturale e immergerle in un luogo legato alla socialità e alla convivialità, siano ad oggi dei validi strumenti per che favorire una relazione affettiva tra opera e fruitore”.
Una selezione di opere particolarmente interessanti, offerte dalla prestigiosa “Galleria La Riva – 2G Arte di Roma”, saranno l’anima dell’intera esposizione: si partirà dalla grande signora dell’arte contemporanea Giosetta Fioroni al décollage di denuncia contro la violenza sulle donne e il bullismo di Tara, passando per lo spazialismo italiano del giovane Samuele Ventanni fino a giungere all’arte informale di Paola Di Domenico e alle istallazioni di Edoardo Ettorre. L’evento, oltre alla presenza degli artisti in mostra, vanta la collaborazione artistica di un talento nostrano: Fabrizio Sclocco. L’artista – Set Designer, di origini pescaresi, è ora residente a Toronto e proprio dal Canada che ha realizzato l’immagine per la locandina della mostra.
Prende naturalmente forma un mash-up di interior design, arte contemporanea e storytelling.
Immaginare il senso dell’ospitalità a regola d’arte è l’obiettivo di Vittorio Carnessale e Daniela Faraone, come dei veri mecenati della contemporaneità apriranno le porte del loro locale non solo alla cittadinanza, ma soprattutto a future iniziative legate alla valorizzazione dell’arte e della cultura enogastronomica abruzzese. 

L’appuntamento di Sabato 6 luglio si svolgerà presso il locale Corte di Vidasito in via Trieste n. 43, dalle ore 19:00 in poi. Si invita la cittadinanza a partecipare.

World Kiss Day, i baci più amati delle serie TV: Sheldon batte Jon Snow

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Alcuni li abbiamo attesi a lungo e ci sono voluti episodi o addirittura stagioni: parliamo dei baci nelle serie TV, scene iconiche presenti in tutte le principali produzioni, capaci di rimanere impresse nella mente, e nei cuori, per quasi 7 spettatori su 10 (68%).
Alcune di esse sono delle vere e proprie scene cult e, se è vero che oltre un italiano su tre (34%) preferisce le serie TV ai film (27%), in occasione del World Kiss Day abbiamo voluto scoprire quali sono i baci delle coppie preferite sul piccolo schermo che hanno fatto emozionare ed immedesimare il pubblico. Il primo bacio “nerd” tra Amy e Sheldon della serie “The Big Bang Theory” è di poco preferito (81%) rispetto all’incontro di labbra tra Jon Snow e Daenerys (79%) con il quale si apre la prima puntata dell’attesissima stagione finale de “Il Trono di Spade”. Sul gradino più basso del podio troviamo il bacio “vintage” tra Carrie e Big della serie cult “Sex and the City” (71%).

È quanto emerge da uno studio di Baci Perugina in occasione della Giornata Mondiale del Bacio, che si celebra in tutto il mondo il 6 luglio. La ricerca è stata condotta su circa 6000 italiani uomini e donne di età compresa tra i 18 e i 55 anni con metodologia WOA (Web Opinion Analysis) attraverso un monitoraggio dei principali social network, forum, blog e community per capire qual è il bacio più amato legato alle serie tv.

Per gli amanti del romanticismo il World Kiss Day, che ricorre ogni anno il 6 luglio dal 1990, quando nacque in Gran Bretagna, è la giornata per ricordare non soltanto i propri baci, ma anche quelli delle coppie protagoniste dei grandi romanzi del passato o nate più recentemente grazie alle fiction televisive. Ma cosa guardano maggiormente in tv gli italiani? Con l’avvento dello streaming e dell’on demand sul piccolo schermo, con piattaforme nate appositamente dedicate ad esse, le serie tv sono preferite da oltre un italiano su tre (34%) rispetto alle pellicole cinematografiche (27%) e a trasmissioni d’intrattenimento (22%). Perché? Le serie tv sono preferite principalmente in quanto permettono di esplorare trama e protagonisti in maniera più dettagliata (77%) rispetto ad una pellicola cinematografica. Ancora, favoriscono la socialità (69%) consentendo di discutere e condividere con altre persone le diverse puntate sui social e su whatsapp, e creano maggiore empatia ed immedesimazione (53%) con i personaggi protagonisti.

Ma tra le serie tv quali tipi di scene rimangono maggiormente impresse? Per la maggioranza (73%) è la morte di uno dei personaggi principali, capace di far piangere milioni di fan, e nei casi estremi portare anche ad abbandonare la serie. Per altri la scena cult è rappresentata dal bacio di uno dei protagonisti (68%), a volte atteso per puntate o addirittura stagioni, e la scoperta del colpevole di un omicidio (55%). Quali sono, infine, i baci più appassionanti e quindi le coppie più iconiche delle serie tv? Al primo posto (81%) troviamo il tanto atteso primo bacio “nerd” tra Amy e Sheldon della serie “The Big Bang Theory”, schioccato durante la serata di San Valentino trascorsa in un vagone ristorante restaurato di un antico treno. Di poco distanziato è il bacio tra Jon Snow e Daenerys (79%) con il quale si apre la “premiere” della stagione finale de “Il Trono di Spade”, la serie più amata al mondo. Sul gradino più basso del podio troviamo una serie cult come “Sex and the City” con il bacio tra la protagonista Carrie ed il suo amato Mr. Big (71%), senza ombra di dubbio “La storia d'amore per eccellenza del piccolo schermo”, il giusto epilogo dopo un tira e molla infinto fatto di baci, litigi e tradimenti celebri.


ECCO LA TOP 10 DEI 10 BACI PIÙ AMATI DELLE SERIE TV:

1.    Il bacio tra Amy e Sheldon in “The Big Bang Theory” (81%)

2.    Il bacio tra Jon Snow e Daenerys ne “Il Trono di Spade” (79%)

3.    Il bacio tra Carrie e Big di “Sex and the City” (72%)

4.    Il bacio tra Rachel e Ross di “Friends” (67%)

5.    Il bacio tra Brenda e Dylan “Beverly Hills 90210” (62%)

6.    Il bacio tra Blair e Chuck “Gossip Girl” (58%)

7.    Il bacio tra Lorelai e Luke “Una mamma per amica” (51%)

8.    Il bacio tra Meredith e Derek “Grey’s Anatomy” (48%)

9.    Il bacio tra Clark e Lana “Smallville”  (41%)

10. Il bacio tra Ian e Mickey “Shameless” (37%)

Paola Milicia, "Si scrive gettando il cuore oltre... non importa dove... ma oltre". L'intervista

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Paola Milicia, scrittrice di origini siciliane, vincitrice del Premio InediTO 2019 per la narrativa… «Si scrive gettando il cuore oltre... non importa dove... ma oltre» Intervista di Andrea Giostra.

Ciao Paola, benvenuta e grazie per la tua disponibilità. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori?
Mi presenterei come una di loro, come una che risiede nella stessa grande comunità di lettori che ancora – e per fortuna – esiste, contrariamente a quanto si possa dire intorno alla lettura in Italia che sta via via scomparendo. I lettori non li fanno solo gli indici di vendita dei grandi gruppi editoriali! Sono una lettrice convinta e accanita ma anche molto selettiva: dopotutto, la lettura ci soccorre dando forma ai pensieri quando non siamo in grado da soli di dar loro una espressione più “decifrata”. E questo le conferisce una flessibilità che ripaga il nostro umore del momento, la nostra necessità di sentire certe voci piuttosto di altre. Flessibile dunque che si piega alla selezione che sentiamo di fare per il nostro piacere.
Chi è Paola nella sua professione e nella sua passione per l’arte della scrittura?
Mi piace pensare di essere divisa in due metà che si ignorano quasi del tutto. E forse è giusto che sia così: per me ha funzionato separare la parte di me più “commerciale” che deve per forza di cose muovere la mia giornata a lavoro; e l’altra metà, quella che risorge grazie alla scrittura e alla lettura. Dopotutto, penso a grandi biografie della letteratura contemporanea come Franz Kafka o a Arthur Schnitzler per citarne alcuni a me cari, hanno “faticato” non senza frustrazioni ossessionanti, a far convergere il conflitto tra necessità e vocazione, lavoro e scrittura. Non è il mio caso ovviamente ma non nascondo che a volte, dopo una giornata di lavoro, ne esco quasi urtata per aver concesso al lavoro di appianare il mio slancio creativo.
Qual è la tua formazione accademica e professionale? Come hai maturato l’arte di scrivere racconti, storie, ma anche saggi e ricerche di letteratura che risultano così interessanti?
Accademicamente parlando, mi dovrei definire una germanista grazie al fatto che ho una laurea in letteratura tedesca-ebraica. È stata e rimane la mia grande passione in cui mi rincontro quando mi perdo un po’ nei meandri della vita pratica e del lavoro. Avrei voluto rimanere nel mondo accademico, cioè svolgere una professione affine, ma la fortuna di aver trovato un lavoro sin da giovanissima (ero al secondo anno di università) mi ha tenuta, diciamo, con i piedi per terra. Ho studiato e lavorato ed ora mi riapproprio di questa vocazione scrivendo pezzi di narrativa breve (mi sono aggiudicata il primo premio al Premio Inedito di Torino 2019con il racconto “Il mare di pietre”) ma anche stesure più articolate come un romanzo su cui sto lavorando, e lavori accademici come ghostwriter. Si può dire? In sintesi, la scrittura per me è il luogo perfetto in cui ritrovarsi.
Come hai già detto, recentemente hai vinto il prestigiosissimo Premio Letterario InediTO 2019 per la narrativa, sezione racconti. Uno dei premi italiani più importanti per gli esordienti e per gli scrittori non ancora conosciuti al grande pubblico, organizzato e promosso dall’Associazione culturale Il Camaleonte di Chieri (TO). Ci racconti questa bellissima esperienza?
Come tutte le cose belle, arrivano un po’ per caso. Avevo dato vita a questo racconto come in un delirio... erano notti insonni e scrivere mi faceva stare bene. L’ho fatto leggere ad un mio amico scrittore il quale mi ha consigliato di partecipare al concorso. Il resto è ancora presente. La vincita mi ha messo addosso una tale energia e una voglia di scrivere (e di essere letta) che non faccio altro che appuntare di tutto, rielaborare concetti su tovaglioli di carta, e poi scrivo.
Da cosa nasce il racconto con il quale hai partecipato al Premio InediTO e cosa vuoi comunicare ai tuoi lettori con questo scritto?
Preciso che sebbene ci siano elementi riconducibili alla mia esperienza di vita, in senso allargato che include cioè anche i racconti di persone che conosco e frequento, non vuole essere una traccia autobiografico. Nasce dalla voglia di riportare alla mente alcune sensazioni stimolate dai sensi, che conservo della Siciliae delle mie estati di bambina quando andavo a casa della nonna: l’odore di pane fatto in casa e dei biscotti bianchi sfornati al mattino, il canto ininterrotto delle cicale, i pomeriggi caldissimi e fermi in casa di nonna, il profumo di saponetta che usava. Diciamo che nasce da una biografia dei sensi che però è diventata anche altro, cioè, si è aperta ad un intreccio di storia e di fantasia che è appunto, il racconto. La storia, poi, fa da sottofondo ma è la vera protagonista: ho letto qualche stralcio di rapporti militari anglo americani sullo sbarco alleato in Sicilia, e ne sono rimasta scioccata. C’è ancora una Storia (con la maiuscola) che attende di essere raccontata e non è quella del chewing gum e dello swingdi cui pure è fatta. C’è il dolore e la paura della gente siciliana, l’uccisione di civili, l’uccisione di carabinieri, c’è l’arroganza della guerra e dei più forti. Insomma, forse dovremmo avere il coraggio di dire che lo sbarco alleato non è stato solo rose e fiori come si dice. E forse, bisogna smettere anche di essere così grati. Abbiamo già pagato abbastanza. Ecco, il racconto (che sta diventando un romanzo) arriverà a questa conclusione, a questo messaggio insieme al fatto che le origini vanno sempre conservate come reliquie, come fossili che hanno preparato il nostro arrivo.
Quali sono secondo te le caratteristiche, le qualità, il talento, che deve possedere chi scrive per essere definito un vero scrittore? E perché proprio quelle?
Non esiste una bella e una brutta scrittura, né uno scrittore che scrive male e uno bene. Perché scrivere male significa più qualcosa che ha a che fare col commettere errori grammaticali che non di stile. Quindi scrivere è un momento aperto un po’ a tutti anche se poi esiste un pubblico che crea il suo scrittore preferito perché “scrive bene”. Tuttavia, per diventarlo bisogna avere due qualità: un buon grado di osservazione di tutto: anche di quello che appare irrilevante, può diventare 10 pagine di un racconto; e una buona dose di coraggio: sì, perché quando si scrive non bisogna pensare a chi legge, ai familiari che ti criticheranno perché hai svelato cose di famiglia, agli amici che si sono reincarnati in perfetti idioti o cose di questo genere. Si scrive gettando il cuore oltre... non importa dove... ma oltre.
Perché secondo te oggi è importante scrivere, raccontare con la scrittura?
Ti rispondo in due modi... Innanzitutto, lo si fa, che sia importante o no, per un certo auto compiacimento. Tutti gli scrittori lo fanno o lo hanno fatto, anche quelli che si sono riparati dietro l’affermazione che la scrittura ha rappresentato una terapia per sé stessi e basta. Mentono! Quando ci si scopre, tutto sommato, di scrivere meglio degli altri, la scrittura diventa una medaglia all’onore e scriviamo perché drogati di questa onnipotenza. Se è importante scrivere, dipende: se finiamo tutti col dire la stessa cosa, l’efficacia della scrittura si perde un po’ nell’aria. Mi viene in mente la situazione editoriale italiana: menomale che c’è ancora chi scrive bene, ma nessuno scrive in modo diverso dall’altro. Gli autori del momento sembrano giungere dalla stessa scuola stilistica e di pensiero, si osa poco e ancora ci sono tanti tabù. In questo contesto mi pare che non ci sia quella voglia di raccontare l’indicibile, di iniziare a sfidare il lettore con argomenti non più di terza mano. Ecco: la scrittura è importante se educa, se indirizza un pensiero, e se crea un dibattito nel cuore dei lettori. Se manca questo, è solo scrittura da spiaggia, edificante ma nulla più.
Chi sono i tuoi modelli, i tuoi autori preferiti, gli scrittori che hai amato leggere e che leggi ancora oggi?
Ho una formazione molto classica che solo di recente sto trascurando per fare spazio alla letteratura italiana e americana contemporanea. Certamente il Faustdi Goethe rimane un testo che mi ha commosso e che mi chiama ogni tanto, quando ho bisogno di conforto; Gustav Meyrink, benché non si possa definire un autore da podio, ha dato vita al romanzo il “Golem”che è semplicemente unico nel suo genere di primo approccio letterario alla psicoanalisi di Freud. Tra i contemporanei, mi piace Thomas Bernhardt, e tra i nostrani Alessandro Piperno, Diego De Silva e Domenico Starnone. Non ho però dei modelli di ispirazione.
Nel panorama italiano contemporaneo, chi sono secondo te i più bravi scrittori che ti sentiresti di consigliare ad un’amica che ama leggere?
Molto difficile rispondere. A ognuno il suo gusto... Però trovo bella l’iniziativa di una farmacia, credo di Roma, che ad ogni paziente prescrive un libro a seconda delle sintomatologie che accusa. Chapeau al/la farmacista... deve avere una dote rara, che io non ho. Quindi se un’amica me lo dovesse chiedere, la mando in farmacia!
Charles Bukowski a proposito dei corsi di scrittura diceva … «Per quanto riguarda i corsi di scrittura io li chiamo Club per cuori solitari. Perlopiù sono gruppetti di scrittori scadenti che si riuniscono e … emerge sempre un leader, che si autopropone, in genere, e leggono la loro roba tra loro e di solito si autoincensano l’un l’altro, e la cosa è più distruttiva che altro, perché la loro roba gli rimbalza addosso quando la spediscono da qualche parte e dicono: “Oh, mio dio, quando l’ho letto l’altra sera al gruppo hanno detto tutti che era un lavoro geniale”»(Intervista a William J. Robson and Josette Bryson, Looking for the Giants: An Interview with charles Bukowski, “Southern California Literary Scene”, Los Angeles, vol. 1, n. 1, December 1970, pp. 30-46). Cosa pensi dei corsi di scrittura assai alla moda in questi ultimi anni? Pensi che servano davvero per imparare a scrivere?
No, non credo siano dei bancomat di creatività pronta all’uso. Ma è questo l’errore in cui inciampiamo: non bisogna aspettarsi questo da un corso di scrittura, come del resto da qualsiasi corso che sia di cucina (non si diventa chef) o di danza (non si diventa Nureyev) ... Però insegnano, semmai, la disciplina alla scrittura, cioè, quella determinazione affinché la scrittura diventi una parte attiva e costante del quotidiano di uno scrittore debuttante. Allora hanno un senso... i corsi infondono quella carica a elaborare sempre e soprattutto a leggere tanto, tantissimo, che è alla base della scrittura.
La maggior parte degli autori ha un grande sogno, quello che il suo romanzo diventi un film diretto da un grande regista. A questo proposito, Stanley Kubrik, che era un appassionato di romanzi e di storie dalle quali poter trarre un suo film, leggeva in modo quasi predatorio centinaia di libri e perché un racconto lo colpisse diceva: «Le sensazioni date dalla storia la prima volta che la si legge sono il parametro fondamentale in assoluto. (…) Quella impressione è la cosa più preziosa che hai, non puoi più riaverla: è il parametro per qualsiasi giudizio esprimi mentre vai più a fondo nel lavoro, perché quando realizzi un film si tratta di entrare nei particolari sempre più minuziosamente, arrivando infine a emozionarsi per dettagli come il suono di un passo nella colona sonora mentre fai il mix.»(tratto da “La guerra del Vietnam di Kubrick”, di Francis Clines, pubblicato sul New York Times, 21 giugno 1987). Cose ne pensi di quello che dice Kubrick? Pensi che le tue storie sappiano innescare nel lettore quelle sensazioni di cui parla il grande regista newyorkese? E se sì, quali sono secondo te?
Mi trovo d’accordo nel dire che le prime impressioni e sensazioni hanno un valore determinante e assoluto, così come quando si legge che le prime sensazioni non puoi più riaverle indietro. È il fascino del primo appuntamento poi le cose cambiano. Io credo che le mie storie colpiscano per aver reso semplici e meno meschine alcune nostre contraddizioni, o stati d’animo, o sfumature. Tendiamo a voler occupare una parte del campo, o tutta bianca o tutta nera, e poi quando scopriamo un personaggio che è grigio, ci meravigliamo di aver trovato un nostro simile. E ce ne innamoriamo. Ci innamoriamo di tanta umanità e debolezza. Proprio come siamo tutti.
In Italia si pubblicano ogni anno circa 60-65 mila nuovi titoli, la media ponderata di vendita di ogni nuovo titolo è di circa 50 copie, mentre chi legge effettivamente l’opera letteraria acquistata non supera il 10%, il che vuol dire che delle 50 copia vendute solo 5 copie vengono effettivamente lette da chi acquista in libreria o nei distributori online. Partendo da questo dato numerico, che per certi versi fa impressione e ci dice chiaramente che in Italia non si legge o si legge pochissimo, secondo te cosa si dovrebbe fare per migliorare questa situazione? Cosa dovrebbero fare gli editori, i distributori, le librerie, e perché no?, gli autori come te per far aumentare il numero dei lettori e degli appassionati ai racconti e alle storie da leggere?
Non credo che in Italia non si legga, al contrario. Credo che sia il sistema editoriale italiano ad avere qualche problema con la lettura e con chi legge: intanto, non ci dovrebbero essere solo quei tre gruppi monopolistici dell’editoria a fare il bello e il brutto tempo. Ma bisognerebbe impegnarsi a supportare l’editoria emergente e con loro, gli autori emergenti. Perché anche quella degli scrittori editi è diventata una lobby, una “cricca” degli amici degli amici. Detto ciò, rimane ovvio il problema della distribuzione e con esso del prezzo di un libro: dai 16 ai 19 euro a libro. Cose da pazzi! Ecco perché non compriamo ma questo non significa che non leggiamo: intanto esiste un fornitissimo sistema bibliotecario che consente di prendere gratuitamente in prestito libri e manuali di ogni genere. Poi ci sono i libri usati, hai presente le bancarelle storiche del centro città... e quelli sfuggono dai numeri che fanno le grandi case editrici; e poi c’è la competizione dell’online. Trovo che a lamentarsi di questa situazione siano più gli editori che non i lettori ovvero traducendo, più i colpevoli che non le vittime.
Una domanda difficile Paola: perché i lettori di questa intervista dovrebbe comprare e leggere i tuoi libri? Cosa diresti loro per convincerli a comprare e a leggere il tuo prossimo libro in uscita?
Non cercherei affatto di convincerli: troppa responsabilità! Preferirei che siano mossi dalla spontaneità per evitare che possano dirsi delusi in qualche maniera se stimolati oltre la loro volontà. Comunque, LEGGETEMI!
Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti? A cosa stai lavorando in questo momento e dove potranno seguirti i nostri lettori e i tuoi fan?
Sto ampliando il racconto Il Mare di pietre: in effetti, è già un racconto troppo lungo per stare nelle classiche “battute” richieste dalle riviste letterarie o dai premi in corso. Quindi ha già in sé un animo che vira verso il romanzo. Poi mi diletto a scrivere qualche recensione. Una di queste ha vinto un piccolo riconoscimento.
Per finire, Paola, immaginiamo che tu sia stata inviata in una scuola media superiore a tenere una conferenza sulla scrittura e sulla narrativa in generale, alla quale partecipano centinaia di alunni. Lo scopo è quello di interessare e intrigare quegli adolescenti all’arte dello scrivere e alla lettura. Cosa diresti loro per appassionarli a quest’arte e catturare la loro attenzione? E quali le tre cose più importanti che secondo te andrebbero dette ai ragazzi di oggi sulla lettura e sulla scrittura?
Lo sguardo dei ragazzi è come un boomerang: bisogna aprirgli i confini, lasciare che guardino fuori la scuola, fuori la famiglia, fuori la solita cerchia di esperienze, così per farli incuriosire e accendere e poi farli rientrare nella scuola, nella famiglia e da dove solo apparentemente si sono congedati. Se a questi adolescenti, fornissimo l’opportunità di conoscere il gusto alla bellezza dell’arte, del teatro, della musica, di quello che c’è non solo sui libri ma nella vita vera, sono sicura che ci ritroveremmo con adolescenti che avrebbero voglia di scrivere, di andare al museo, di fare teatro. Organizzerei concerti nella scuola, dibattiti sulla scrittura, recite di fine anno, istituirei un giornalino della scuola... sulla falsariga di quanto avviene nel mondo formativo anglo–americano. Farei la preside!

Paola Milicia
https://www.facebook.com/PremioInediTO/

Andrea Giostra
https://andreagiostrafilm.blogspot.it


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