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INSIEME PER UN MONDO MIGLIORE 2019, PER L’ITALIA PREMIATA CATERINA GUTTADAURO LA BRASCA

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CONGRESSO INTERNAZIONALE ”SFIDE PER LO SVILUPPO DELLA PACE”

Un Seminario sui Diritti Umani avrà luogo a Milano presso il Consolato de l’Equador il 31 maggio 2019. La tematica è insieme per un mondo migliore 2019 e l’Evento è Il Congresso Internazionale “Sfide per lo sviluppo della PACE”.
Parteciperanno ospiti d’eccezioni ed interverranno relatori di tutto il Pianeta per affrontare tematiche mirate a promuovere un cammino di PACE.
Diritti Umani, Cultura e costruzione della PACE, Futuro, Ambiente, Violenza sulle Donne, l’Emozione non ha voce, Beneficenza, Servizi Sociali, Pace e Spiritualità nel Mondo, ecco alcuni degli argomenti su cui relazioneranno personalità di valenza mondiale.
L’1 giugno, nel pomeriggio il momento conclusivo della Cerimonia Speciale di Premiazione Internazionale come CONNETTORI NELLA CATENA DELLA PACE 2019 da Buenos Aires Argentina Con i suoi Fondatori. 
Dice Caterina: È un privilegio, un grande onore ed una profonda emozione che provo ad essere, senza sminuire altri riconoscimenti, tra i premiati di questa meravigliosa iniziativa, che persegue il raggiungimento di un ideale, un valore che deve appartenere a qualsiasi persona, per esaltarne la dignità e l’umanità. Come disse un Grandissimo Uomo: “Il giorno in cui il potere dell’amore supererà l’amore per il potere il mondo potrà scoprire la pace” (Mathama Gandhi). 

A Caterina, persona squisita nonché preziosa collaboratrice di fattitaliani.it, i complimenti da parte della redazione.

Opera, il mezzosoprano Marina Viotti: mi piacciono i ruoli forti, divertenti, tragici o cattivi. L'intervista di Fattitaliani

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Fattitaliani incontra Marina Viotti, mezzosoprano che recentemente è stata premiata come "Migliore cantante giovane del 2018": di origini italiane, nata in Svizzera, cresciuta in Francia, si appresta ad affrontare l'ennesima prova il prossimo 29 maggio con la prima di "Zappa on the Hill". L'intervista. (Segue la versione in francese).

A Londra ha vinto il premio come "Young Singer of the Year 2018" nell'ambito degli Opera Awards. Ora a mente fredda, cosa ne pensa, cosa significa per lei?
Sono rimasta davvero sorpresa perché non me lo aspettavo affatto, e anche molto toccata perché si tratta di un autentico riconoscimento. Ho iniziato a cantare un po' tardi, molti mi hanno detto che ero troppo vecchia, non potevo farlo, e ho lavorato duro e fatto dei sacrifici, sempre con passione ed entusiasmo, quindi è anche la ricompensa e la prova che paga, che ho avuto ragione a crederci. Alla fine è un ottimo modo per ringraziare coloro che hanno creduto in me, la mia famiglia, i miei insegnanti, la mia scuola, coloro che mi accompagnano ancora oggi.
Il suo percorso artistico è singolare: oltre al repertorio classico, esplora anche musica jazz, metal e canzone ... è un approccio ereditato dai tuoi genitori?
I miei genitori sono sempre stati molto aperti a tutti i tipi di musica, ascoltiamo canzoni, jazz, vecchio rock ... mi hanno anche supportato nelle mie scelte quando ho fatto metal, mio ​​padre ci ha lasciato la cantina (che aveva reso insonorizzata) per provare, e mia madre è venuta a vedere i miei concerti. Anche i miei fratelli e sorelle sono molto eclettici. Penso che questa apertura ad altre musiche, altri universi, sia essenziale per arricchirsi artisticamente e umanamente.
Qual è stato il vostro primo approccio all'opera come pubblico?
Non ricordo con precisione quale opera abbia visto per prima. I miei genitori mi misero già nella buca dell'orchestra sin da quando ero piccola. È come se avessi sentito l'opera per tutta la vita. Ricordo che siamo andati a vedere l'opera diretta da mio padre, e ho visto alla fine le grandi dive nei camerini, con i loro bei vestiti, le loro parrucche, e mi sono detta "Mi piacerebbe essere come loro". Uno dei miei primi ricordi è L'enfant et les sortilèges di Ravel all'opera di Lucerna, dovevo avere 3-4 anni, ho amato la messa in scena, e poi abbiamo ascoltato l'opera a casa e cantato tutti i personaggi. Ancora oggi conosco l'opera a memoria. Ricordo anche che abbiamo ascoltato molto le opere italiane (Rossini, Donizetti, Bellini) e che ho cantato le arie dei mezzosoprano a squarciagola a casa. Ancora oggi è quello che preferisco cantare (ride).
Fra i tanti personaggi portati in scena, ce n'è uno cui è particolarmente affezionata?
Da un punto di vista drammatico, la parte che ho preferito interpretare è stata Elisabetta in Maria Stuarda. Perché è un personaggio profondo, che ha molte sfaccettature, tra la donna pubblica molto forte e la donna privata molto fragile. È così interessante dargli questi diversi colori e cercare queste emozioni contraddittorie. Per contro, è molto difficile per un mezzosoprano. Il personaggio che preferisco cantare è Isabella de L'italiana in Algeri, perché vocalmente rientra nella mia gamma, è una delle mie opere preferite e amo questo personaggio forte, sensuale, divertente e che ha molto carattere. È sempre una festa quando la interpreto. Mi piacciono i ruoli forti, divertenti o tragici, o cattivi. Ho più problemi con i ruoli delle vittime un po' deboli e senza sollievo. Vocalmente mi sento molto a mio agio con Mozart e le colorazioni (Rossini, Händel, Donizetti) e il belcanto. Propendo un po' di più per i ruoli lirici, mi aspetto che la mia voce e il mio corpo siano pronti.
Qual è, invece, il personaggio più lontano dalla sua personalità?
Il ruolo più lontano della mia personalità sarebbe sicuramente Mimì. Anche se è bello (Puccini vi ha scritto, a mio avviso, i brani più belli) non mi trovo troppo in questo personaggio un po' ingenuo, innocente, vittima del suo destino. Mi infastidirebbe doverlo interpretare. Per fortuna, sono mezzosoprano, quindi nessun rischio! Sono fortunata, i ruoli del mezzosoprano sono spesso ruoli con carattere, i cattivi, la femme fatale, il guerriero, il giovane ...
Rosina @operadurhin - photo Klara Beck
Il suo cognome Viotti da dove viene?
È un nome italiano, e dopo alcune ricerche abbiamo potuto stabilire il legame con il compositore, che sarebbe nostro antenato (Giovanni Battista Viotti, ndr).
Che rapporto ha con l'Italia, la sua lingua e i suoi compositori?
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare quando si legge il mio nome e cognome, io sono francese e svizzera, ma ci sono le origini italiane da parte di mio padre (mia nonna e mia nonna). Mi sento molto vicina a queste origini italiane, mi piace il lato caldo, appassionato e sorridente degli italiani che condivido. Il buon cibo, trascorrere tempo con la famiglia, fanno parte dei momenti felici della mia giornata. Amo la vita, e penso che questo sia molto italiano. E mi piace la lingua italiana che è, credo, la più facile da cantare, perché già quando parliamo italiano, cantiamo. L'Italia è stata la culla dell'opera e culturalmente l'opera occupa ancora un posto importante per gli italiani. Infine, ho un amore speciale per i compositori italiani. Il belcanto è la salute e la scuola della voce, e padroneggiarne tutte le tecniche (la messa di voce, il legato, il pianissimo, la coloratura) è ciò che rende, secondo me, un cantante completo, ed è il mio obiettivo! Non vedo l'ora di incontrare il pubblico italiano! Giovanni Zambito.
Foto copertina: Lauren Pasche Haskiya
Photo Anne-laure Lechat
Version française
A Londres vous avez remporté le prix comme "Young Singer of the Year 2018" dans le cadre des Opera Awards. Maintenant, à tête reposée, quoi pensez-vous, quoi signifie pour vous tout ça?
J'ai été sincèrement surprise car je ne m'y attendais pas du tout, et aussi très touchée car c'est une véritable reconnaissance. J'ai commencé le chant tard, beaucoup m'ont dit que j'étais trop vieille, que je n'y arriverai pas, et j'ai travaillé dur et fait des sacrifices, toujours avec passion etc enthousiasme, donc c'est aussi la récompense et la preuve que cela paye, que j'ai eu raison d'y croire. C'est enfin une belle façon de remercier ceux qui ont cru en moi, mes proches, mes professeurs, mon école, ceux qui m'accompagnent encore aujourd'hui.
Votre parcours artistique est singulier: outre le répertoire classique, vous explorez également la musique jazz, le métal et la chanson... c'est une approche héritiée de vos parents?
Mes parents ont toujours été très ouverts à tous les genres de musiques, nous écoutions de la chanson, du jazz, du vieux rock... ils m'ont aussi soutenue dans mes choix quand j'ai fait du metal, mon père nous laissait la cave (qu'il avait faite insonorisée) pour répéter, et ma maman venait voir mes concerts. Mes frères et soeurs aussi sont très éclectiques. Je pense que cette ouverture à d'autres musiques, d'autres univers, est essentielle pour s'enrichir artistiquement et humainement.
Vous pouvez raconter votre première fois à l'opéra comme public?
Je ne me souviens plus très bien de quel opéra j'ai vu en premier. Mes parents me mettaient déjà dans la fosse d'orchestre quand j'étais un bébé. J'ai l'impression d'avoir entendu de l'opéra toute ma vie. Je me souviens que l'on allait voir les opéras dirigés par mon père, et que je voyais à la fin les grandes divas dans leur loge, avec leurs belles robes, leurs perruques, et que je me disais "j'aimerais tellement leur ressembler". Un de mes premiers souvenirs est L'enfant et les sortilèges de Ravel à l'opéra de Lucerne, je devais avoir 3-4 ans, j'avais adoré cette mise en scène, et ensuite on écoutait l'opéra à la maison et je chantais tous les personnages. Encore aujourd'hui je connais l'opéra par coeur. Je me souviens aussi que l'on écoutait beaucoup les opéras italiens (Rossini, Donizetti, Bellini) et que je chantais les coloratures à tue-tête à la maison. Aujourd'hui encore, c'est ce que je préfère chanter (sorride, ndr).
Entre les différents rôle interprétés à l'opéra il y en a quelqu'un que vous aimez de façon spéciale?
Du point de vue dramatique, le rôle que j'ai préféré interpreter était Elisabetta dans Maria Stuarda. Car c'est un personnage profond, qui a beaucoup de facettes, entre la femme publique très forte, et celle privée très fragile. C'est tellement intéressant de lui donner ces différentes couleurs, et d'aller chercher ces émotions contradictoires. Par contre vocalement c'est très difficile pour un mezzo. Le personnage que je préfère chanter c'est Isabella de L'italiana in Algeri, car c'est vocalement pile dans ma tessiture, que c'est un de mes opéras préférés et que j'adore ce personnage féminin fort, sensuel, drôle et qui a beaucoup de caractère. C'est toujours une fête quand je l'interprète. J'aime les rôles forts, drôles ou tragiques, ou méchants. J'ai plus de mal avec les rôles de victime un peu faibles et sans relief. Vocalement je me sens très à l'aise avec Mozart et les coloratures (Rossini, Händel, Donizetti) et le belcanto. J'attends un peu pour les roles plus lyriques, j'attends que ma voix et mon corps soient prêts.
Photo Asphodel Asphö
Quel est le personnage d'opéra le plus loin de votre personnalité?
Le rôle le plus loin de ma personnalité serait sûrement Mimi. Même si c'est magnifique (Puccini a quand même écrit, selon moi, les plus beaux airs) je ne me retrouve pas trop dans ce personnage un peu naïf, innocent, victime de son destin. Cela m'ennuierait de devoir l'interpréter. Heureusement, je suis mezzo, donc aucun risque ! J'ai de la chance, les rôles de mezzo sont le plus souvent des rôles avec du caractère, la méchante, la femme fatale, le guerrier, le jeune homme...
Votre nom de famille "Viotti" vient-il d'où?
C'est un nom italien, et après quelques recherches nous avons pu faire le lien avec le compositeur, qui serait bien notre ancêtre.
Photo Thierry Pillon
Quel rapport avez-vous avec l'Italie, sa langue et ses compositeurs?
Contrairement à ce que l'on pourrait croire quand on lit mon nom et prénom, je suis française et suisse, mais il y a les origines italiennes du côté de mon père (ma nonna et mon nonno). Je me sens très proche de ces origines italiennes, j'aime le côté chaleureux, passionné et souriant des italiens, que je partage. Bien manger, profiter de moments en famille, font partie des grands bonheur de ma journée. J'aime la vie, et je pense que c'est très italien. Et j'aime la langue italienne qui est, je pense, la plus facile à chanter, car déjà quand on  parle italien, on chante ! L'Italie a été le berceau de l'opéra et culturellement l'opéra a encore une place essentielle pour les italiens. Enfin, j'ai un amour particulier pour les compositeurs italiens. Le belcanto, c'est la santé et l'école de la voix, et en maîtriser toutes les techniques (la messa di voce, le legato, les pianissimo, les coloratura) est ce qui fait, selon moi, un chanteur accompli, et c'est mon objectif ! J'ai hâte de rencontrer le public italien ! Giovanni Zambito.

Chiara Fiorelli e Paola Raciti in "Riflessi" al Barnum Seminteatro. L'intervista di Fattitaliani

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Stasera al Barnum Seminteatro appuntamento con "Riflessi" di Daniela Giannini, regia di Marzia Verdecchi. Sul palco Chiara Fiorelli e Paola Raciti, intervistate da Fattitaliani.

Una stanza senza uscita, quasi claustrofobica. Cosa provate? 
Chiara Fiorelli: È una stanza senza porte ma c'è una finestra e una finestra affaccia per forza da qualche parte, una porta non è detto; magari si passa solo da una stanza ad un altra, magari più piccola e senza finestre. Si, in un primo momento può dare un senso di soffocamento ma poi lo spirito d'adattamento prende il sopravvento e ci si modella in base a quello che si ha a disposizione. Come nel film "Room", in cui madre e figlio, costretti a vivere da anni in una stanza dove sono stati segregati dal loro rapitore, riescono addirittura a crearsi angoli diversi per i vari momenti della giornata.
Paola Raciti: in questo spettacolo c'è un infinito senso di attesa come se tutto fosse sospeso in aria. È tangibile la malinconia di una donna che fa il bilancio della sua vita che nessun sogno di grandezza sa illuminare.
In quale dei tre personaggi vi identificate maggiormente e perché?
Chiara Fiorelli: Mah, forse il fatto che tutte le donne di questo spettacolo sono padrone, adesso, della scelta che hanno fatto o che sono state costrette a fare e che le ha portate ad essere quelle che sono ora. Si guardano indietro, sì, a volte con nostalgia ma mai con rimpianto. Nella "contessa solitaria" (per riassumere un po' il personaggio che interpreto in questo spettacolo) c'è un infinito senso di attesa come se tutto fosse sospeso in aria, è tangibile la tristezza la malinconia di una donna che fa il bilancio della sua vita che nessun sogno di grandezza ha saputo illuminare
Paola Raciti: I personaggi che interpreto sono una misteriosa donna in nero una suora, una bambina. Sono tutti e tre molto distanti da me ma in ognuno di loro ho trovato qualcosa che mi appartiene sicuramente quello in cui mi riconosco di più è sicuramente la bambina per il suo senso di leggerezza con cui affronta la vita per il suo entusiasmo infinito e per la sua curiosità.
Cos’è per voi il Teatro? 
Chiara Fiorelli: Un modo di vivere! 
Paola Raciti: Per me il teatro è un gioco  meraviglioso e ci "gioco " da talmente tanto che ormai è vita

Elisabetta Ruffolo

Festival Nazionale della Comicità del Makkekomiko, 10 giugno al Teatro Vittoria

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Vi hanno mai detto “Ma che ti ridi?” e voi presi dall’imbarazzo non avete saputo cosa rispondere? Lunedì 10 giugno 2019, alle 20:30, presso il Teatro Vittoria di Roma si riderà a crepapelle e nessuno verrà giudicato per le proprie risate!

Invece sotto giudizio saranno i dieci comici che dopo aver superato i quattro giorni di selezioni tra più di quaranta comici provenienti da tutta Italia, si sfideranno nella finalissima del Festival Nazionale della Comicità del Makkekomiko, il “MakkeTiRidi”.

L’obiettivo del Festival, patrocinato patrocinato nelle precedenti edizioni dalla Regione Lazio, è di ricercare tra i partecipanti la creatività, l’originalità, il rigore che sono alla base della professione del comico. Partner radiofonico ufficiale del Festival è RID 96.8.

Un vero e proprio talent live show in cui oltre al voto del pubblico sarà determinante anche quello espresso dalla giuria tecnica formata da comici professionisti, giornalisti, autori televisivi e radiofonici e agenzie di spettacolo.

Nella serata condotta da Alessandro Mago Mancini, ideatore e fondatore del Makkekomiko, il laboratorio di scrittura per soli professionisti, verranno assegnati premi alla carriera a comici che si sono distinti per le loro qualità e per il loro inpegno nel campo artistico. Il festival vedrà anche la partecipazione di tanti ospiti noti al grande pubblico ma soprattutto sul palco ci saranno i comici del Makkekomiko che ogni martedì all’Accento Teatro da 15 anni fanno divertire i romani come: Sergio Viglianese, Annalisa Aglioti, Marco Passiglia, Angela De Prisco, Oscar Biglia, Antonio Catalano, Fabrizio Mazzeo (vincitore della 2^ ed. del MakkeTiRidi), Gianluca Giugliarelli, Claudio Sciara (vincitore della 1^ ed. del MakkeTiRidi) e Gli Stonfiss.

Novità di quest’anno è la collaborazione con il Direttore creativo dell’evento, la giornalista e direttore del Roma Web Fest, Janet De Nardis. Grazie all’esperienza pluriennale nella valutazione di giovani talenti, Janet collaborerà con Alessandro Mago Mancini a rendere il format più innovativo e presto pronto per navigare in rete… A giudicare i finalisti e a decretare il miglior comico, oltre il giudizio inappellabile del pubblico, avremo anche quello di una giuria tecnica composta da Antonio Giuliani, Marco Falaguasta, Cristiana Merli (Rai Radio 2) e agenzie di spettacolo, tra cui la Sosia e Pistoia, una delle agenzie di attori comici più prestigiose del panorama nazionale.


Il Festival Nazionale della Comicità, vuole essere un punto di riferimento della comicità italiana, scoprendo e valorizzando giovani talenti che dimostrino non solo le proprie capacità nel coinvolgere e nel divertire il pubblico, ma anche l’attitudine alla disciplina e allo studio che sono alla base di una comicità pulita e originale.

Lunedì 10 giugno 2019 è un giorno perfetto per ridere!

Al via “Officina L’AQUILA, incontri internazionali”: Rassegna internazionale di restauro e riqualificazione urbana

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Al via ‘Officina L’Aquila, incontri internazionali”, rassegna internazionale di restauro e riqualificazione urbana promossa e organizzata da Carsa srl in collaborazione con ANCE Abruzzo, insieme ad ANCE L’Aquila, ANCE Chieti, ANCE Pescara, ANCE Teramo, che si tiene due volte l'anno nel capoluogo di regione colpito dal sisma.
La rassegna affronta e scandaglia la ricostruzione della città e del suo territorio colpiti dal terremoto, indagandone tutti gli aspetti urbanistici, strutturali e architettonici, ma anche quelli sociali e culturali.

Al centro dell’edizione primaverile di ‘Officina L’Aquila’ ci sarà il racconto della ricostruzione dell’Aquila e del suo cratere nel decennale del terremoto che nel 2009 ha messo in ginocchio un intero territorio. Da un lato la città, che sboccia nella sua nuova vita ma cerca ancora un suo equilibrio sociale ed economico oltre la ricostruzione; dall’altro i 56 borghi che affrontano la sfida più difficile: quella contro lo spopolamento, di certo non causato dal sisma ma da quest’ultimo amplificato. Una sfida che chiama a impegnarsi i cittadini, le istituzioni e soprattutto i governi che devono mettere in campo politiche mirate, incentivi, programmi di infrastrutturazioni, piani di sviluppo economico a partire, ad esempio, dal turismo sull’Appennino.

Un discorso che nel decennale del sisma del 6 aprile 2009 sarà orientato a fare un bilancio dei dieci anni della ricostruzione, avendo come chiave di lettura e focus – nello spirito tipico di “Officina L’Aquila” – il “bello dell’Aquila”, ciò che dalla ricostruzione di un dramma emerge di positivo: dall’università al mondo scientifico, dallo sviluppo di formule di recupero artistico e architettonico alla nascita delle due straordinarie macchine organizzative degli uffici speciali della ricostruzione: il cosiddetto “modello L’Aquila”.

Si parte dunque mercoledì 22 maggio. Alle 10.00 con i saluti istituzionali. Alle 10.30 il via con “Il racconto della ricostruzione 2009-2019” in un dibattito moderato dal direttore editoriale di Carsa, Oscar Buonamano. Alla tavola rotonda parteciperanno il presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti Carlo Verna, il presidente del Fondo etico dell’Ance Aldo Mancurti, la rettrice Paola Inverardi, il presidente dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo Stefano Pallotta, il vicedirettore di Repubblica Sergio Rizzo, il sottosegretario di Stato del Mibac con delega alla ricostruzione del patrimonio culturale dei territorio colpiti dal sisma Gianluca Vacca e i giornalisti, Nello Avellani, Angelo De Nicola, Roberta Galeotti, Marianna Gianforte, Marina Marinucci e Antonio Monaco che racconteranno come hanno vissuto questi 10 anni. Durante il dibattito si analizzerà la ricostruzione del complesso di Sant’Emidio a piazza Duomo, attualmente il più grande cantiere dell’Aquila, con Davide Iannini e Antonio Masci.

Sono previsti accrediti per l’aggiornamento professionale per i giornalisti che si iscriveranno alla piattaforma Sigef.

A partire dalle 14.30 “Educational press Tour” riservato a media e istituzioni nell’ambito della sessione di Cantieri aperti. Tanti i relatori di rilievo anche nella giornata di giovedì 23 maggio, nella quale si affronterà il tema dell’abitare e del ri-abitare i piccoli centri dell’entroterra aquilano. Cosa fare per frenare l’emorragia di abitanti? Quali azioni, progetti, strategie mettere in campo per evitare di trasformare meravigliosi borghi, ristrutturati con le più moderne regole architettoniche e ingegneristiche, sicuri e rinnovati, in paesi che rischiano di avere sempre meno residenti? Temi che saranno affrontati e approfonditi con nuove idee anche progettuali soprattutto nell’edizione di ottobre di ‘Officina L’Aquila’ e in quelle successive.
Anche giovedì 23 maggio si parte alle 10.00 con il saluto di benvenuto del sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi. A seguire i presidenti di Ance Pescara-Chieti e Teramo, Gennaro Strever e Raffaele Falone, e referenti degli ordini professionali dell’Aquila, Pierluigi De Amicis, Edoardo Compagnone, Giampiero Sansone, Maurizio Papale, per la Rassegna della ricostruzione 2009-2019. Alle 10.30 l’incontro dal titolo ‘Riabitare l’Appennino per riabitare l’Italia’, con una iniziale analisi delle “Condizioni materiali e immateriali dell’Aquila e del cratere”. Alla tavola rotonda parteciperanno il sottosegretario di Stato alla presidenza del consiglio dei ministri con delega alle ricostruzione post-sisma Vito Crimi, l’assessore regionale per le Aree interne e del Cratere, Guido Quintino Liris, i responsabili dell’USRA e USRC, Salvo Provenzano e Raffaello Fico, il cooridnatore della Struttura Tecnica di missione, Raniero Fabrizi e il ricercatore in Economia regionale del GSSI, Marco Modica. Durante il dibattito le esperienze concrete di due comuni dell’aquilano, Fontecchio e Fagnano Alto, rappresentate dai rispettivi sindaci, Sabrina Ciancone e Francesco D’Amore.

A partire dalle 12.00 e fino alle 13.00 Nicola Di Battista, direttore della rivista “L’Architetto” dialoga con Oscar Buonamano sul tema “Rigenerazione urbana e architettura”.

Nella sessione pomeridiana “Resilienza e protezione del territorio e delle infrastrutture” (dalle 14.30 alle 18.30) si parlerà di “Strumenti di supporto alle decisioni” con Vittorio Rosato, Maurizio Pollino, Franco Di Fabio, Ilaria Capanna, Paola Rizzi, Antonio De Nicola, Maria Luisa Villani. La tavola rotonda, aperta anche la pubblico, sarà coordinata da Sonia Giovinazzi.

“Per la ricorrenza del decennale del sisma abbiamo pensato ad un’edizione speciale di ‘Officina L’Aquila’ che si articola in due momenti - spiega il coordinatore generale della rassegna Roberto Di Vincenzo - il primo si svolgerà nei giorni 22 e 23 di maggio prossimi e il secondo nei giorni 23, 24 e 25 ottobre. Nella sessione di maggio faremo un racconto, plurale, della ricostruzione dal 2009 ad oggi e ci occuperemo del grande tema, fino ad oggi poco esplorato, dell’abitare. ‘Riabitare l’Appennino per riabitare l’Italia’ sarà il primo momento di un percorso che inizia a maggio ed è destinato a durare per le prossime edizioni di ‘Officina L’Aquila’. Vogliamo riflettere sul come abitare questi territori, mostrando buone pratiche e indicando, con l’aiuto di esperti, ipotesi di progetti e strade nuove per aggregare e far stare bene insieme territori e comunità”.

Per il presidente dell’Ance Abruzzo, Armando Di Eleuterio, “dieci anni dal quel tragico aprile del 2009 sono per noi un’occasione importante per riflettere su ciò che si è fatto e su ciò che si deve ancora fare. Officina L’Aquila è l’occasione giusta per fare questo approfondimento perché anche in questa occasione ci sarà un programma molto articolato e ben costruito in grado di offrire informazioni utili per comprendere meglio ciò che sta accadendo. Lo faremo nelle giornate del 22 e del 23 di maggio e invitiamo tutta la popolazione a partecipare. Gli incontri si svolgeranno, come di consueto, all’Auditorium del Parco del castello dell’Aquila”.

Per il dettaglio degli interventi dei vari ospiti e relatori nella due giorni di rassegna si rimanda al programma in allegato. Durante i lavori delle due giornate si terrà una diretta Facebook sulla pagina ufficiale di ‘Officina L’Aquila’ e il live tweeting delle due giornate.

Per ulteriori dettagli: www.officinalaquila.it

Info:

Guido Fiandra, Napoli calorosa con "Di gelo e di fuoco"

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di Riccardo Bramante - Di fronte ad un folto e caloroso pubblico, il giorno 14 maggio lo scrittore, sceneggiatore e regista Guido Fiandra ha presentato a Napoli, presso la Galleria d'arte "Al Blu di Prussia", il suo libro "Di Gelo e di Fuoco" in dialogo con la giornalista Armida Parisi e con Sandro Polci ideatore del Festival delle Vie Francigene, presente anche il Presidente della Fondazione Polis, Don Antonino Palmese.

Non a caso, dato l'argomento trattato nell'opera, l'introduzione all'evento è stata affidata alla dott.ssa Parisi, laureata, appunto, in Storia dell'Arte Medievale e Moderna e responsabile redazionale "Cultura" del quotidiano "Roma", che ha tenuto ad evidenziare come "Di Gelo e di Fuoco" sia un lavoro assolutamente originale che Guido Fiandra, ha ideato e scritto con i suoi amici, scrittori anch'essi, Andrea Zauli, Fabrizio Fangareggi e Pierluigi Fabbri.

L'opera ha avuto una lunga gestazione, ben 15 anni ed era nata per essere una miniserie televisiva, idea poi abbandonata per gli alti costi ma a tutto vantaggio della maggiore incisività della parola scritta rispetto all'immagine che avrebbe potuto dare la televisione (ne è un recente esempio il relativo successo della serie tv tratta da "Il nome della rosa" di Umberto Eco rispetto alla fama e alla diffusione internazionale che ha avuto il romanzo scritto).
La trama di "Di gelo e di fuoco" si presenta come una avvincente connessione tra reale e fantastico, in cui il viaggio compiuto dai vari personaggi è anche l'occasione per una libera riflessione sulla propria vita, sulle infinite sensazioni e sul personale cammino che ciascuno di noi si trova a percorrere per scoprire, alla fine, che l'essenza del tutto è l'atto stesso del viaggiare, più che il raggiungimento della meta, in ciò concordando con il pensiero espresso dal grande filosofo tedesco Gottfried von Leibniz e non da ultimo dal nostro grande scrittore Tiziano Terzani.

Tutto prende l'avvio da una fredda notte del dicembre 1899, proprio alcuni giorni prima dell'inizio dell'Anno Giubilare del 1900, quando alle porte del Monastero di San Filippo al Marta, nel viterbese, si presentano all'abate Francesco quattro enigmatici personaggi provenienti da epoche e Paesi diversi: il Vescovo Sigerico da Canterbury vissuto nel 990, la vedova castigliana Maria Rodriguez proveniente dal 1350, il capitano di ventura tedesco Goetz von Berlichingen dal 1550 e il mercante di vini Jean Baptiste Fournier dal 1825; ma con loro si introduce nel Monastero anche una presenza inquietante: quella del Diavolo che minaccia le loro stesse vite.

Ognuno di loro ha la propria storia e il proprio modo di vedere le situazioni, i costumi e le idee a seconda dell'epoca da cui provengono, tanto da far sembrare i fatti che accadono come un diamante dalle mille sfaccettature, con luci che variano a seconda del personaggio che va ad esprimersi. Ed è proprio questa diversità di pensiero che delinea ciascun personaggio con le idee e le modalità di rapportarsi proprie dell'epoca in cui era vissuto, facendoci percepire, nel contempo, quali grandi cambiamenti siano avvenuti nel modo stesso di concepire l'esistenza umana.

A rendere ancora più viva la presentazione hanno anche contribuito gli attori Cinzia Mirabella e Renato De Rienzo che hanno letto con trasporto e profonda partecipazione alcuni brani del libro, coinvolgendo pienamente tutti gli spettatori che, al termine delle letture, hanno tributato al libro e agli interpreti un grande applauso.

Romanzi da leggere a puntate online. 22^ puntata, “L’ultima sorte” che chiude il romanzo “Anzol”

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a cura di Andrea GiostraIn copertina Nadia Fanelli (Castel Goffredo), “Otium”, olio, acrilico e resina su tela, cm. 40 x 40 | https://www.nadiafanelli.it/


VI

Ma la gente non si arrese alla fatalità. All’alba uomini, donne e bambini uscirono armati di zappe, picconi e vanghe e si diressero dove prima zampillava il gaigo. In febbrile silenzio cominciarono a bucare il suolo.
Mezza stagione dopo la piana era disseminata di buche profonde sei volte una casa. Seduto su uno sgabello traballante sul bordo di una buca Cillo guardava il suolo violato dall’accanimento della gente.
“Che stupidaggine”, pensò. “E di un altro gaigo nemmeno l’ombra”.

VII

Il vento si placò all’improvviso. Il tintinnio metallico e le voci svanirono. Il sole brillò nel cielo più azzurro che Anzol avesse mai conosciuto.
Etto uscì di casa quasi contemporaneamente a tutti gli anzolani.
“Questo è un giorno speciale”, pensò.

Il suolo si aprì e sotto la piana, in un tempo ritrovato, il rio gemello del Cen risucchiò l’antica fertilità di un luogo al quale gli uomini non si erano abbandonati. Poi fluì lontano, trascinando la seconda sorte di Anzol.

L’ULTIMA SORTE

Per il Destino quella piana attraversata da un rio impetuoso e circondata da invalicabili intrichi di rovi e liane di vitalba che velavano i boschi era il luogo perfetto...

*

Il primo lampo - evento di un altro tempo - aprì a Calla, sfigurata megera dei pantàni del sud, un passaggio attraverso gli intrichi. Il secondo - evento di un’altra èra - lo aprì a Nerja, donna di conoscenza delle montagne del nord remoto.
Calla entrò ad Anzol dalla porta meridionale. L’incongrua afa di umide e torride estati, di acquitrini, terre desolate, fango, tafani, zanzare impregnava i suoi occhi; la sua veste sfilacciata emanava fetore di decomposizione, acqua putrida, cibo rancido, miseria, superstizioni, odio, follia, deliquio.
 Circospetta transitò sotto il grande arco sorvegliato da quattro armati chiusi in corrose armature. Nell’ombra mutevole proiettata dall’arco la fermò Uccio, Capitano della Guardia.

Calla saliva tortuose rampe di scalini di pietra; l’intollerabile canicola di quel pomeriggio di mezza estate la tonificava. Guardò davanti il Capitano procedere ingolfato nell’abito di pesante panno nero, ferito dalla troppa luce che infieriva sui muri merlati, i torrioni, i contrafforti, gli spalti, le feritoie, il villaggio, la cittadella. Guardò il ponte levatoio abbassato sul rio in secca infestato di rapaci che pullulavano sulle carogne di vacche, vitelli, cinghiali adagiati sul fondo e inalò il tanfo che si sprigionava dalle viscere aperte delle bestie. L’ossessivo ronzio delle mosche carnarie la fece sentire a casa.
Uccio la guidò lungo un labirinto di vie strette, attraverso gallerie che gocciolavano umori (qui Calla riconobbe il familiare lezzo di urine imputridite che trasudava quello di cenere bagnata) e passaggi incassati fra muraglie in pietra squadrata, fino a una porta di ferro. Uno spioncino si aprì, la porta si spalancò e Calla fu sospinta nel salone delle Cerimonie.
Gillot, signore di Anzol, dormiva a bocca aperta sbracato su un trono cigolante. Alla sua destra Otta, prima dama di Anzol, subiva immobile un fascio di luce; alla sua sinistra Gurgo, vegliardo centenario, astrologava a fil di voce su una carta del cielo che pendeva dal soffitto.
Calla si inginocchiò e ristette in quella posizione; dilatò le narici per meglio percepire nell’ambiente il puzzo di morte che sfidava il profumo di essenza di gelsomino.
“Non è il vegliardo che lo emana, né la smunta dama, tantomeno il lardoso principe. Deve arrivare da qualche parte oltre il salone”, rifletté.
«Alzati. Il mio signore si sveglierà presto, e allora ti parlerà», affettò il Capitano.
Gillot sbadigliò nel sonno.

*

Nerja entrò ad Anzol dalla porta settentrionale. Una folata di vento scompigliò i suoi lunghi capelli neri mentre superava l’ombra densa e persistente dell’arco. Due vecchi armati, chiusi in antiche armature, la guardarono in silenzio. La fermò Uccio, anziano Capitano della Guardia.

Nerja scendeva ripide scalinate di pietra che al suo passaggio il vento batteva disperdendo strati di foglie secche; davanti, avvolto in un pesante mantello nero, il Capitano procedeva con passi lenti e misurati. Si fermarono presso una grande porta di ferro. Uno spioncino si aprì e la porta si dischiuse.
Gillot, signore di Anzol, sedeva immobile su un trono di ferro sbalzato; la sua incolta barba bianca contrastava con la fitta penombra del salone delle Cerimonie. Alla sua destra Otta, prima dama di Anzol, fissava nel vuoto; ombre sottili e labirintiche risaltavano la pelle raggrinzita del suo viso.
Nerja si inchinò leggermente. Uccio la toccò su una spalla.
«Il mio signore sta riposando, ma presto si risveglierà, e allora ti parlerà», disse sottovoce.

*

«Tu saresti la megera?», cominciò Gillot con voce impastata. «Ti aspettavamo prima. Nel frattempo qui il Destino si è dato da fare».
Le labbra di Calla disegnarono un verso di assenso. «Dov’è la gente, mio signore?».
Il corpo flaccido di Gillot si raddrizzò sul trono. «Chiusa in casa, quella che resta». Si volse verso il vegliardo alla sua sinistra. «Poca, davvero poca. Sembra che le stelle siano state a guardare. Mute come un ratto di fogna senza lingua». Si rivolse a Calla. «Tu che intendi fare?».
«Non si può contrastare il Destino, ma si può assecondarlo; è il modo migliore per fargli cambiare direzione».
«Spiegati meglio, megera».
«Il Destino fa sempre il contrario di quello che fanno gli uomini. Se cercate di ripulire Anzol liberete l’intento delle cose marce e si scatenerà la peste nera».
«Uhm. Allora?».
«Allora si tratta di non fare niente, mio signore.
«È questo il rimedio, dunque?».
«È la vostra scelta».
Nerja guardò gli occhi di Gillot animarsi,  finché misero a fuoco i suoi. Il signore di Anzol parlò con voce grave, lontana. «Un tempo alla mia sinistra sedeva un astrologo. Non ricordo il suo viso, ma ricordo che era molto vecchio».
Fece una lunga pausa. Alla sua destra gli occhi di Otta si mossero impercettibilmente.
«Non siamo stati capaci di capire il Destino, donna. Ma forse tu puoi ancora cambiarlo», riprese Gillot.
«Io vengo dal nord remoto, mio signore. Lassù il Destino asseconda il fare della gente e la gente asseconda il fare del Destino, non cerca di cambiarlo; sarebbe inutile».
«Cosa dobbiamo fare per assecondarlo?».
«Vivere, comprendere il senso della vostra vita e accettarlo».
«Qui tutto muore a poco a poco, in un gelo inesorabile. Comprenderlo è già la nostra pena, accettarlo sarebbe il nostro disastro».
«La vostra pena è considerare un disastro il vostro destino, mio signore. Ma se assecondate il vento, il gelo, il tempo, se apprenderete a conoscerne l’intento, la pena svanirà e troverete la pace».
«È questo il rimedio, dunque?».
«È la vostra scelta».

*

...per lasciare agli esseri umani la scelta di scomparire nel tempo dell’eternità o vivere nell’eternità del tempo.

FINE

Per leggere i precedenti capitoli, clicca qui:

Note dell’editore:
«Haria vive ritirata sull'appennino ligure-emiliano, e comunica con il mondo esterno mediante i suoi libri, in cui dispensa la conoscenza di cui è portatrice. Ove giovani donne, in secoli diversi, in fuga dal proprio tempo, in fuga per la consapevolezza e la libertà. Nove vite, una vita, e una luce negli occhi che le guida e le accomuna. Nove donne oltre il varco sull'ignoto, per un magico, solidale destino.»

“Anzol”, Haria, Collana Letteratura di Confine, Proprietà letteraria riservata, © RUPE MUTEVOLE, prima edizione 2013, ristampe 2017.

Cristina del Torchio
https://www.facebook.com/RupeMutevoleEditore/
https://www.reteimprese.it/rupemutevoleedizioni 

Andrea Giostra

Fëdor Michajlovič Dostoevskij, “Il sogno di un uomo ridicolo”. La recensione

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Fëdor Michajlovič Dostoevskij, “Il sogno di un uomo ridicolo”, tratto dal “Diario di uno scrittore”, “Il Cittadino”, Mosca, 1877 | RECENSIONE di Andrea Giostra.

Questo racconto di Dostoevskij, pubblicato nel 1877, come avviene per tutti gli scritti dei veri grandi scrittori, a distanza di oltre cento quaranta anni, è attuale più che mai. L’ho riletto di recente dopo aver ritrovato nella mia biblioteca questo libricino pubblicato in Italia nel 1995 da “La Biblioteca Ideale Tascabile” editore che in questi anni, a costi bassissimi per allora (a sole mille lire), iniziò a pubblicare una serie di opere classiche a bassissimo costo che ebbero un successo davvero interessante. Lo lessi allora e l’ho riletto in questi giorni.
Ebbene, la storia che narra Dostoevskij in questo racconto è quella di un uomo che vuole suicidarsi perché stanco di questa vita terrena. Presa la decisione del suicidio da realizzare con un colpo di pistola in testa, si dirige verso casa per compiere il gesto liberatorio, ma lungo la strada incontra una bambina che disperata gli chiede aiuto e alla quale non darà retta proprio perché, prossimo alla morte, non teme i sensi di colpa che potrebbero torturarlo laddove non avesse deciso di farla finita.
Questo l’incipit del racconto che si sviluppa in una dimensione onirica nella quale Dostoevskijriesce a fare una straordinaria analisi filosofica, e se vogliamo profondamente umana, della disperata condizione di solitudine dell’uomo sulla terra e di come invece potrebbe essere “l’uomo felice e senza peccato” se non si fosse lasciato rapire e contaminare da una successione di sovrastrutture relazionali e di “difesa” che al benessere frutto della fratellanza e dell’amore reciproco hanno preferito la diffidenza e la paura per il prossimo passando attraverso una serie di diabolici passaggi comportamentali che letti nella successione dostoevskijana del racconto lasciano senza parole: «gli insegnai a mentire e amarono la menzogna e conobbero la bellezza della menzogna (…) quest’atomo di menzogna penetrò nei loro cuori e li sedusse (…) poi rapidamente nacque la sensualità, la sensualità generò la gelosia, la gelosia generò la crudeltà (…) ben presto schizzò il primo sangue (…) si meravigliarono e inorridirono, e presero a separarsi e disunirsi (…) conobbero la vergogna e la vergogna eressero a virtù (…) nacque il concetto dell’onore (…) presero a distruggere gli alberi a tormentar gli animali e gli animali si allontanarono da loro nei boschi e divennero loro nemici (…) cominciò la lotta per la separazione, per l’individuazione, per la personalità, per il tuo per il mio, per il mio, per il mio (…)»… e così via di questo passo fino alla distruzione e alla compromissione della fiducia nell’uomo e della felicità su questa terra…
Forse, per spiegare quest’impetuoso flusso di pensieri, bisogna citare Arnold Hauser (1892-1978), storico dell’arte ungherese che visse la sua maturità artistica in Inghilterra e che fu un grande appassionato e studioso di Dostoevskij, quando dice che «La vera novità dello spirito dostoevskijano consiste nel fatto che in lui le idee hanno la stessa forza emotiva, lo stesso impeto passionale, anzi patologico, che per i romantici hanno il flusso ed il tumulto dei sentimenti.»
Ma detto questo, il modo migliore per essere stimolati, per comprendere ed essere partecipi di questa riflessione di Dostoevskij sul più grande tema esistenziale di sempre dell’Uomo, resta quello di leggere il suo racconto “Il sogno di un uomo ridicolo”, o almeno, il Capitolo V che riporto integralmente a seguire:

Capitolo V
Sì, sì, andò a finire che li pervertii tutti! Come ciò poté avvenire non lo so, ma lo ricordo chiaramente. Come una perversa trichina, come un atomo di peste che infetta interi stati, così anch’io infettai di me tutta quella terra, prima del mio arrivo felice, senza peccato. Gli insegnai a mentire e amarono la menzogna e conobbero la bellezza della menzogna. Oh, la cosa forse cominciò innocentemente, da uno scherzo, da una civetteria, da un gioco amoroso. In realtà forse, da un atomo, ma quest’atomo di menzogna penetrò nei loro cuori e li sedusse. Poi rapidamente nacque la sensualità, la sensualità generò la gelosia, la gelosia generò la crudeltà… Oh, non so, non capisco, ma presto, ben presto schizzò il primo sangue: essi si meravigliarono e inorridirono, e presero a separarsi e disunirsi. Comparvero le associazioni, ormai l’una contro l’altra. Cominciarono i rimproveri, le accuse. Essi conobbero la vergogna e la vergogna eressero a virtù. Nacque il concetto dell’onore, e ciascuna associazione levò la propria bandiera. Presero a distruggere gli alberi a tormentar gli animali e gli animali si allontanarono da loro nei boschi e divennero loro nemici. Cominciò la lotta per la separazione, per l’individuazione, per la personalità, per il tuo per il mio, per il mio, per il mio…Presero a parlare in varie lingue. Conobbero la tristezza e l’amarono, ebbero sete di tormenti e dissero che la verità si raggiunge solo col tormento. Allora comparve presso di loro la scienza. Quando divennero cattivi cominciarono a parlar di fratellanza e di umanità e capirono queste idee. Quando divennero colpevoli, inventarono la pena di morte e per la pena di morte inventarono la giustizia e si prescrissero interi codici per conservarla, e per far rispettare i codici, inventarono la ghigliottina! Essi si ricordavano appena, appena di ciò che avevano perduto, anzi non volevano credere di essere stati un tempo innocenti e felici. Ridevano perfino della possibilità di questa passata loro felicità e la chiamavano un sogno. E, tuttavia, se mai fosse potuto accadere ch’essi tornassero in quello stato innocente e felice che avevano perduto, e se qualcuno d’un tratto gliel’avesse nuovamente mostrato domandando se volevano tornarvi, di sicuro avrebbero ricusato: “siamo pur menzogneri, cattivi e ingiusti, noi questo lo sappiamo e ne piangiamo, e per questo ci tormentiamo da noi stessi, e ci infliggiamo castighi e torture perfino più, forse, di quanto farebbe quel misericordioso giudice che ci giudicherà e il cui nome ignoriamo. Ma noi abbiamo la scienza e per mezzo di essa ritroveremo la verità, accogliendola ormai consapevolmente. Il sapere è superiore al sentimento, la coscienza della vita è superiore alla vita. La scienza ci darà la sapienza, la sapienza ci rivelerà le leggi, e la conoscenza delle leggi della felicità è superiore alla felicità”. Ecco quel che dicevano, e dopo tali parole, ciascuno prese ad amare sé stesso più di tutti. Ciascuno divenne tanto geloso della propria personalità che con tutte le forze cercava soltanto di abbassarla e diminuirla negli altri; e in ciò riponeva la propria vita. Comparve la schiavitù, comparve perfino la schiavitù volontaria: i deboli si assoggettavano volentieri ai più forti, a patto solo che questi li proteggessero e li aiutassero ad opprimere quelli che erano ancor più deboli di loro. In compenso presero ad apparir degli uomini che si diedero ad immaginare come tutti avrebbero potuto vivere di nuovo tutti insieme in maniera che ciascuno, senza smetter di amar sé stesso più di tutti gli altri, in pari tempo non fosse d’inciampo a nessun altro, e in tal modo vivere tutti insieme, come una società democratica e armoniosa. Intere guerre si scatenarono per questa idea. Tutti i belligeranti credevano fermamente al tempo stesso che la scienza, la sapienza e il sentimento di autoconservazione avrebbero infine costretto gli uomini a unirsi in una società concorde e ragionevole, e perciò intanto, per affrettar le cose, i “sapienti” cercavano di sterminare al più presto tutti i “non sapienti” e quelli che non capivano la loro idea, perché non ne intralciassero il trionfo. Ma il sentimento di autoconservazione prese rapidamente a indebolirsi, comparvero i superbi e i voluttuosi, che addirittura pretesero tutto o nulla. Per l’acquisto di tutto si ricorreva all’assassinio e, se esso non riusciva al suicidio. Comparvero le religioni col culto dell’inesistenza e dell’autodistruzione in vista di un eterno acquietamento nel nulla. Infine quegli uomini si stancarono di tutta quella fatica inutile, e sui loro volti comparve la sofferenza, e quegli uomini proclamavano che la sofferenza è bellezza, giacché solo nella sofferenza c’è un senso. Io andavo fra loro torcendomi le mani e piangendo su di essi, ma li amavo forse ancor più di prima, quando sui loro volti non c’era ancora la sofferenza e quand’essi eran così innocenti e belli. Amai la loro terra, da essi profanata, ancor più di quando era un paradiso, solo perché vi era comparso il dolore. Ahimè, io sempre avevo amato il dolore e la tristezza, ma solo per me, per me, per essi piangevo, commiserandoli. Dicevo loro, che ero stato io a far tutto ciò, io solo; ch’ero stato io a portar loro la depravazione, il contagio e la menzogna! Li supplicavo di crocefiggermi, insegnavo loro come si costruisce una croce. Avevo brama di tormenti, bramavo che in questi tormenti si versasse il mio sangue fino all’ultima goccia, sulla croce. Ma essi cominciarono a ridere, ridevano soltanto di me e poi cominciarono a tenermi in conto di strambo. Poi cominciarono a dirmi che stavo diventando pericoloso per loro e poi cominciarono a dirmi ch’era meglio ch’io fossi rinchiuso in manicomio, in manicomio, in manicomio… (si dibatte nella camicia). Allora la tristezza entrò nell’anima mia con tanta forza che il cuore mi si strinse ed io sentii che morivo… e qui, qui appunto mi destai.

Era già mattino, cioè non faceva ancora giorno, ma eran circa le sei. Mi svegliai in quella stessa poltrona, la mia candela s’era consumata tutta e c’era intorno un silenzio… per prima cosa balzai su in preda a straordinaria meraviglia: d’un tratto, mentre stavo in piedi e tornavo in me, d’un tratto mi balenò davanti la mia rivoltella, pronta, carica… ma io in un attimo la scostai da me! Oh, adesso vivere, vivere. Sì, vita e predicazione! Per tutta la vita! Io vado a predicare, io voglio predicare; che cosa? La verità, giacché l’ho veduta, l’ho veduta coi miei occhi, ne ho veduta tutta la gloria! Gli uomini possono essere bellissimi e felici, senza perdere la capacità di vivere sulla terra. Io non voglio e non posso credere che il male sia lo stato normale degli uomini. Ed essi tutti ridono appunto solo di questa mia fede. Ma come non credermi? Io ho veduto la verità: l’ho veduta in una si piena integrità da non poter credere che essa non possa esistere presso gli uomini. Ma ecco, questo appunto i beffeggiatori non capiscono: “Un sogno – dicono – hai visto, un delirio, un’allucinazione”. Eh! Forse che questa è sapienza? E loro tanto si inorgogliscono. Un sogno? Che è un sogno? E la nostra vita non è un sogno? Dirò di più! Sia pure, sia pure che questo non debba mai avverarsi e che il paradiso non possa esistere (questo sì, ormai lo capisco!): be’, ma io tuttavia racconterò… racconterò… racconterò. E intanto la cosa è così semplice: in un sol giorno, in una sola ora tutto si assesterebbe di colpo! Soprattutto: ama gli altri come te stesso, ecco quel che è essenziale, ed è tutto, non occorre proprio nulla di più: subito troverai come comportarti. E intanto è soltanto una vecchi verità, che un milione di volte si è ripetuta e letta, eppure non ha attecchito. “La coscienza della vita è superiore alla vita, la coscienza delle leggi della felicità è superiore alla felicità”: ecco con che cosa bisogna lottare! E lotterò. Sol che tutti lo vogliano, e tutto subito si assesterà.

E quella bambina l’ho trovata… E io andrò! andrò!

Fëdor Michajlovič Dostoevskij

Andrea Giostra



LA PAZIENZA DEI MELOGRANI, 68 POESIE DI ALESSANDRA ANGELUCCI che si interroga sulla durezza dell’esistenza

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È possibile trovare da oggi, in tutte le principali librerie italiane, la raccolta di poesie La pazienza dei melograni (pag. 80, 68 liriche, €9,90), l’opera della scrittrice e giornalista Alessandra Angelucci, per la prima volta selezionata e pubblicata dalla Casa Editrice nazionale Controluna, fondata e diretta dal poeta Michele Caccamo.

La ricerca è la spinta costante che muove i desideri dell’autrice, uno sguardo umile e allo stesso tempo severo all’umanità e alle molteplici declinazioni del suo sentire. Quello da vivere non sembra più essere il tempo della velocità, ma dell’azione paziente e consapevole tipica di chi crede e sceglie con cura: «Si snocciola fra le dita/ la pazienza dei melograni/ costellazioni di rossi infiniti». Il libro, infatti, prende il titolo dalla lirica La pazienza dei melograni, ode alla bellezza del frutto che insegna all’uomo il tempo dell’attesa, perché tutto possa essere assaporato secondo il gusto delle cose buone.

Un animo, quello di Alessandra Angelucci, che si interroga sulla durezza dell’esistenza - «Come te lo dico che la vita è un soffio» - per guardare poi con cuore mite all’amore, sentimento che tutto accoglie e monda: «e ora che qui davanti si palesa il sogno/ di ieri costellato da ripensamenti/ niente m’appaga come il presente che ti nomina».

Uno sguardo che si apre, fra le sessantotto liriche, alla corolla del vivere e alle sue sfumature con una maturità nuova che omaggia la natura, fonte ispiratrice di un lirismo delicato e asciutto: «Qual è la vera portata della libertà?/Potremmo chiederlo alle gazze sul crinale/ delle tentazioni e aprire anche noi le ali/ per vedere poi fino a quanto dura». La figura dell’uomo con tutte le sue ombre colpisce il lettore, nella seconda parte del libro, in un incedere che descrive l’esperienza del dolore trasmutata in speranza. Duri i versi rivolti anche al mondo della menzogna e della falsità (come ne Il lerciume, La perversione, Sono contraria, La trincea dei peccati, Manovali del presente, Vi perdono), fino a raggiungere quella levità che solo gli innocenti, secondo l’autrice, sanno rappresentare: «Comincia tutto da qui/ dall’ultimo gradino aperto sul paradiso/ quando spingersi in avanti somiglia/ alla danza delle altalene/ La rincorsa la insegnano i bambini/ poco prima dei tuffi/ e poco dopo lo spavento[…]».
Il libro è già acquistabile on line su Amazon, IBS, Libreria Universitaria, LaFeltrinelli.

BIOGRAFIA
Alessandra Angelucci (Giulianova, 1978) è docente di Lettere e giornalista. Scrive di arte contemporanea per «Exibart» ed è direttore della collana “Fili d’erba” (Di Felice Ed.). Ha collaborato con riviste nazionali e con il quotidiano della provincia di Teramo «La Città» (in uscita con «Il Resto del Carlino»); ha condotto programmi culturali televisivi e radiofonici (Colazione da Alessandra per Radio G) e curato mostre sia in Italia che all’estero. Attivo è il suo impegno con il Premio Nazionale Paolo Borsellino per la divulgazione della Cultura della Legalità.
La pazienza dei melograniè la sua quinta pubblicazione.

ph: Alessandra Angelucci in uno scatto di Francesca Di Battista

NIIIK, su youtube SEGUIMI il nuovo video del cantautore pop rock lombardo

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E' disponibile su YouTube “Seguimi”, il video del nuovo singolo del cantautore pop rock NIIIK, disponibile dallo stesso giorno in digital download, in streaming e in rotazione radiofonica. Il brano, dal sound fresco ed estivo, è caratterizzato da un particolare arrangiamento di chitarra, curato dal produttore artistico Luca Stasi, e da parti elettroniche, che rendono la composizione moderna ed accattivante.

«“Seguimi” è un pezzo leggero, spensierato – racconta NIIIK – Quando l’ho scritto, il mio unico pensiero era di esprimere al meglio in un’unica canzone la totale libertà e l’emozione impagabile che si prova quando si sta per intraprendere un viaggio, qualunque esso sia. Questo viaggio però non deve essere inteso solo come una vacanza, uno spostamento temporaneo per svago o divertimento, è anche il senso figurato della nostra vita di ogni giorno. Oggi intraprendere un percorso con una persona, fare una scelta di vita e decidere di compiere delle scelte importanti è totalmente paragonabile all’intraprendere un viaggio, dove si ha una meta più o meno certa, ma si è anche a conoscenza che ci siano dei possibili ostacoli, dei problemi e soprattutto tanti momenti indimenticabili e felici. E la cosa più grandiosa di tutto questo è che intraprendendo questa strada non importa quali siano le difficoltà, non importa realmente quale sia la meta, ma importa solamente poter condividere con chi ci sta accanto il percorso che stiamo facendo, vivendo sia la nostra felicità sia  di riflesso la felicità di chi ci sta accanto.»
Il video ufficiale di “Seguimi”, girato da Andrea De Taddeo, parla in modo molto chiaro di come oggi sia molto più semplice “seguire” una persona tramite i social network piuttosto che parlarci di persona, anche a pochi metri di distanza, ma le emozioni e la felicità che si provano a “inseguire” una persona nella vita reale sono e saranno sempre impareggiabili e uniche.
“Seguimi” è stata scritta da NIIIK e composta dallo stesso con Luca Stasi, che ne ha curato la produzione artistica. Registrazione, mix e master di Larsen Premoli presso i Reclab Studios Milano. Hanno suonato: NIIIK (voce), Luca Stasi (batteria, chitarra, basso, synth).


Il progetto NIIIK nasce nel 2013 dall’idea di Nicolò Garganigo, cantautore di origini comasche. Lo stesso anno, grazie alla collaborazione con Max Zanotti (Deasonika / Casablanca), esce il primo EP “Irreale”, sei pezzi che parlano dell’amore e delle emozioni che ne conseguono: solitudine, rabbia, rinascita. Nel 2014 esce “Icaro”, sempre con la direzione artistica di Max Zanotti, LP di dodici brani nei quali NIIIK racconta la libertà e la felicità nate da un grande cambiamento avvenuto nella sua vita. “Icaro”, title track e primo singolo estratto, è la metafora della figura mitologica che raggiunge il sole, ma in modo sereno e spensierato. Lo stesso anno inizia un tour che porta il cantautore ad esibirsi su alcuni dei migliori palchi milanesi, tra i quali Alcatraz e Tunnel, e a partecipare ad alcuni festival, come il Manifest di Como. Nel gennaio 2019 presso i RecLab Studios con la supervisione artistica di Larsen Premoli, NIIIK registra il suo nuovo EP “Inferno”, composto da sei brani e la cover di “Giardini di marzo” di Lucio Battisti. Il lavoro si sviluppa in uno stile più moderno e maggiormente contaminato dall’elettronica rispetto al passato, mantenendo comunque la contaminazione del pop rock melodico dei lavori precedenti. Le sei canzoni vertono su tematiche attuali, per sensibilizzare l’ascoltatore e portarlo a riconoscersi nella canzone stessa: amore, malattia, il sentimento di abbandonare la propria terra per cercare fortuna altrove, il percorso della vita dalla nascita alla morte, la libertà di un viaggio, la forza della complicità. Il 15 marzo 2019 NIIIK pubblica “Inferno”, primo singolo e title track del nuovo EP, e il 16 maggio il secondo estratto “Seguimi”.

FB: https://www.facebook.com/pg/Nikmusicita/  YT: http://bit.ly/NIIIKYouTube

OBIETTIVAMENTE VICINI di Renato Vettorato, mostra fotografica dal 6 giugno

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‘OBIETTIVAMENTE VICINI …’ è la nuova mostra con la quale Renato Vettorato, l’istrionico ed eclettico ‘gastropaparazzo’ del nordest, torna al suo affezionato pubblico.  

Dopo ‘Facce da Chef’, ‘Facce di … Vite’, ‘Facce di … Gusto’ e ‘Artigiani, Artisti e Produttori Enogastronomici della Sinistra Piave’, Vettorato questa volta espone 118 scatti che ritraggono attori, cantanti, chef, giornalisti, sportivi, politici, imprenditori, incontrati in quasi 20 anni di eventi pubblici, spettacoli teatrali, televisivi o manifestazioni sportive.  

Tutte le immagini saranno visibili a partire da Giovedì 6 giugno 2019, giorno dell’inaugurazione, al Ristorante Perché di Roncade (Treviso). In quella occasione è programmata una cena su prenotazione al costo di € 25 vini inclusi.  

Per info tel. 0422 849015 – mail info@ristoranteperche.com 

La mostra rimarrà aperta con accesso libero fino al 7 luglio 2019 e sarà visitabile tutti i giorni tranne il lunedì, giorno di chiusura del locale. 


Renato Vettorato
Renato Vettorato classe ’44, originario di Vittorio Veneto, nel 1962 si trasferisce a Milano per circa vent’anni e nel 1980 si stabilisce definitivamente a Treviso. A Milano inizia la sua passione per il cinema amatoriale in pellicola super8 e 16mm, successivamente con l’avvento del video si dedica solo alla fotografia analogica e nel 2014 passa definitivamente al digitale. Ha realizzato otto libri sempre a carattere enogastronomico editi da diversi editori. 

Ha all’attivo cinque mostre fotografiche a tema enogastronomico tenutesi a Castelfranco Veneto, Maniago e Roncade oltre alla mostra dell’avventura sahariana con l’amica Carla Perrotti, la ‘signora dei deserti’ e Fabio Pasinetti, maratoneta non vedente vissuta nel 2008. Da molti anni è appassionato giocatore di tennis e fotografa tornei amatoriali e internazionali.  


Marco Stabile, rivelazione di Colorado: lo studio di un attore deve essere continuo. L'intervista di Fattitaliani

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Marco Stabileè decisamente la rivelazione dell’ultima e fortunata edizione di Colorado. Con il suo tormentone “Geo geo geo geografia” ha conquistato il pubblico ma soprattutto il cuore di Belen Rodriguez. In questi giorni in scena ha portato jn scena al Teatro Nuovo di Milano lo spettacolo A Bronx TaleFattitaliani l’ha incontrato per voi.

Tornato a teatro con A Bronx Tale, uno spettacolo diretto da Claudio Insegno al Teatro Nuovo dal fino al 19 maggio: come va l'esperienza?
Di sicuro una esperienza molto intensa, perché ci sono le musiche di Alan Menken, perché ci sono 23 attori in scena che hanno un talento unico, perché è una storia che mi tocca molto da vicino, soprattutto per i temi che sono trattati che sono: l’amore, il razzismo, il rapporto con le proprie origini, con il padre e l’importanza di non sprecare il proprio talento nella vita. Stare attenti alle scelte che facciamo perché in un modo o nell’altro saranno quelle a definire chi siamo nella nostra esistenza.
Io sono il protagonista di questo spettacolo, interpreto il ruolo di Calogero che è appunto un ragazzo che si ritrova a frequentare la malavita del Bronx a New York e in un certo senso alla fine della storia l’educazione basata sui sani principi che gli è stato dato dal padre sarà quella che poi vincerà e lo porterà poi a cambiare vita totalmente e realizzarsi in qualche maniera.
Il tuo percorso artistico ti ha visto protagonista indiscusso dei più famosi teatri italiani con i musical sold out negli ultimi anni: è stata dura  e necessaria come gavetta? 
Il mio incontro con il musical è stato del tutto casuale e lo devo a Rossana Casale che mi vide cantare in uno spettacolo al Parioli con Pino Insegno e mi invitò a far parte di Musical di cui era protagonista: il Joseph
Successivamente ho continuato a lavorare in teatro in molti altri spettacoli, anche nella prosa, e credo che questo tipo di professione ti metta in una condizione in cui capisci pienamente quanto lavoro devi fare su te stesso per riuscire ad esprimere pienamente il tuo talento. Io infatti quando mi capita di insegnare nelle masterclass che faccio un giro per l’Italia, continuo a dire a tutti gli artisti che incontro che lo studio deve essere continuo, non è un attestato, un’accademia o un corso che ti possono garantire la tua eccellenza sul parco, ma sicuramente il lavoro costante su te stesso può farlo. È stata una gavetta per alcuni versi difficile, per altri enormemente bella perché mi ha portato a girare davvero tutti i teatri più belli d’Italia, ho lavorato anche a Parigi e penso che il teatro sia davvero una delle dimensioni in cui io riesco a sentirmi a casa. 
Quali pensi siano i requisiti necessari per un attore che vuole raggiungere il successo?
Il talento. Lo studio. Gli incontri. La fortuna. 
La popolarità ti è arrivata da poco con la partecipazione a Colorado: come ci sei arrivato?
Grazie a Paolo Ruffini che mi ha visto in teatro e mi ha invitato a fare un provino per il programma. Dopo la serie di audizioni ho saputo che la produzione era impazzita per Fulvio. E quindi la geografia è dilagata su Italiano.
In duo con Belen e Paolo Ruffini come ti sei trovato?
Mi sono divertito tanto. Sono due artisti che stimo moltissimo. Generosi, risolti, con una bella energia. Il loro successo non è casuale ma meritatissimo.
È una grande squadra Colorado, cosa ti rimane di questa esperienza ?
Posso farti un elenco veloce? Come un flusso di pensieri? Allora mi mancheranno le chiacchiere con Claudia Campolongo e il mionAgente dopo la puntata, le battute di Massimo Bagnato e Herbert Cioffi. Le risate con i Soldi Spicci e Tony Figo. I messaggi con Barbara Foria. Cantare con Belen. Il sorriso di Belen. Scintilla e Impastato che mi fanno piegare dal ridere. Le mail infinite con i miei autori... e la bellissima sensazione di creare Leggerezza. Una sensazione in cui secondo me dovremmo vivere molto della nostra vita. 
Tv, cinema e teatro: analogie e differenze viste dal tuo punto di vista...
La differenza è sostanziale, a teatro il lavoro è più artigianale basato su una tempistica differente, il prodotto è fruito nel “qui e ora” della performance, è un prodotto “one Shot” in cui puoi sbagliare, in cui hai un pubblico presente che ti vede esprimerti in diretta. La televisione invece è molto molto più veloce anche le prove sono più veloci però ti dà l’opportunità di farti vedere da molte più persone, infatti sono molto contento che ci siano magari tantissime persone che non mi hanno mai visto a teatro e sono riuscite ad apprezzarmi nel piccolo schermo. Io al cinema ho fatto ancora poco, ho girato dei cortometraggi e piccoli ruoli, ma tutte le volte che sono stato su un set ho pensato davvero che lì il lavoro artigianale si sposta ovviamente sulla ricerca del particolare e dell’essenziale. Anche la recitazione è essenziale naturalista sicuramente differente da quella teatrale.
Io tendo ad avere una recitazione naturalista anche a teatro. Ovviamente se il regista è d’accordo. 

LEONARDO, AMLETO CATALDI E LE SUE OPERE

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In note passate abbiamo informato su Amleto Cataldi, sulla ‘tentata rapina’ da parte del CONI dei  suoi quattro gruppi giganteschi al Villaggio Olimpico e sul suo ruolo primario nell’ambito della scultura del Novecento europeo.
Quest’anno la sua figura rifulge in modo particolare grazie alla concomitanza dell’anniversario dei cinquecento anni dalla dipartita di Leonardo da Vinci. Si dirà: ma quale relazione tra lo scultore ciociaro Cataldi e il sommo creatore della Gioconda? Il nostro Presidente della Repubblica ha compiuto recentemente un pellegrinaggio  ad Amboise, sulla Loira, in Francia, per commemorare e onorare Leonardo qui sepolto: una commemorazione solenne in compagnia del Capo dello Stato francese che ha previsto anche la visita delle opere allestite sia nel museo sia nel parco. Il cerimoniale però, e non solo quello francese, non hanno dato uno sguardo alla splendida isoletta davanti ai loro occhi formata dalla Loira, isoletta  che si distende quale uno smeraldo di fronte al castello dove riposano le ceneri di Leonardo: infatti in un angolo della isoletta che i francesi chiamano l’Isola d’Oro, quasi al limitare del fiume, si distende  all’ombra di un   albero secolare la gigantesca scultura in bronzo lunga oltre quattro metri di Amleto Cataldi che raffigura Leonardo disteso sotto forma di un dio fluviale. Questa scultura fu commissionata all’artista ciociaro dal console a Parigi della Repubblica di San Marino e successivamente, negli anni trenta del Novecento, donata alla Francia quale segno di gratitudine per certe attenzioni ricevute dal piccolo Stato nel corso delle vicende storiche. La scultura fu collocata inizialmente in città a Parigi e poi nel 1976 spostata all’isola d’oro di Amboise ed adagiata dove l’abbiamo descritta,   in corrispondenza del castello del re Francesco I sulla riva opposta, protettore e mecenate del sommo artista. A parte la costatazione che a Roma si trovino nei musei, nei luoghi pubblici, nei palazzi istituzionali almeno quaranta opere del Cataldi tanto da poterlo definire lo scultore di Roma,  al Quirinale medesimo si trova una celebre opera dell’artista, per cui è singolare che gli addetti al cerimoniale presidenziale o per non conoscenza  o per scelta politica, abbiano ignorato tale palese relazione sentimentale tra l’artista ciociaro e Leonardo: giusto e bello sarebbe stato se il Presidente avesse potuto fermarsi anche al cospetto dell’opera dell’artista ciociaro, prestigioso contrassegno della amicizia e solidarietà Francia-Italia. Inutile ribadire, in merito a tale evento di alta rappresentanza politica e diplomatica, la totale assenza ed abulia delle istituzioni ciociare a tutti i livelli e di quelle regionali e del Comune di Roma medesima, particolarmente interessata alla presenza e valorizzazione delle opere del maestro ciociaro che tutte si sono dichiarate, in effetti, non coinvolte nell’alto messaggio del Capo dello Stato a Leonardo: siccome le commemorazioni ufficiali internazionali sono iniziate da pochi giorni e dureranno tutto l’anno, sicuramente le menzionate istituzioni nelle inevitabili occasioni di rappresentanza e celebrazione rammenteranno tale non comune vincolo Cataldi-Leonardo.
A proposito dello scultore Cataldi è motivo di prestigio far presente che alla fine del mese andrà in vendita al pubblico incanto a Roma una delle sue opere più significative: “La lettrice”, alta circa 50 cm, in bronzo. L’opera fu presentata ad una mostra a Roma nel 1908 col titolo di “Pensosa” ed è particolarmente significativa nel canone dei lavori dell’artista perché è una delle poche a ricalcare e a rivivere, pur se delicatamente, lo stile cubista che in quegli anni stava scuotendo il mondo artistico europeo grazie a Braque e a Picasso. La scultura riscosse unanime approvazione e consensi e contribuì non poco al consolidamento della ormai riconosciuta reputazione del giovane artista ancora nei suoi ventanni.  L’opera fu acquistata dalla Galleria Nazionale Arte Moderna di Roma e qui sempre visibile. Dell’opera si conosce una sola replica, la presente in asta, che l’artista pur ben consapevole del suo obbligo artistico nei confronti della Galleria Nazionale, non potette sottrarsi alle insistenze di un noto compositore musicale argentino, per cui il secondo esemplare è a Buenos Aires che veleggiò. E dagli eredi del compositore proviene l’opera ora in vendita. Date le
 quotazioni ancora più che accettabili dell’artista, bello sarebbe se l’opera tornasse in Ciociaria.
Michele Santulli
Foto: A.Cataldi: Leonardo dio fluviale, bronzo, 4 m, Isola d’oro, Amboise

Arriva il 1° festival di arti sceniche “5 miglia da Milano” ... in un quartiere a misura d’uomo

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Spettacoli teatrali e musicali, performance artistiche site-specific nella natura, momenti partecipativi all’insegna del benessere e della socialità, dj set e molto altro: sabato 1 giugno, nel quartiere di Quinto Romano e al Parco delle Cave si svolgerà il primo festival di arti sceniche “5 miglia da Milano”, a conclusione del progetto vincitore del Bando alle Periferie 2018
 

MILANO - Si svolgerà sabato 1 giugno la prima edizione del festival di arti performative intitolato 5 miglia da Milano: il paesaggio si fa palcoscenico, in programma a Quinto Romano, nella periferia ovest della città. L’evento è il momento conclusivo del progetto“5 miglia da Milano”, vincitore del Bando alle Periferie 2018 indetto dal Comune di Milano. Per tutta la giornata, nel quartiere circondato dal parco di Trenno, dal Parco delle Cave e dal Boscoincittà si svolgeranno spettacoli musicali e teatrali (alcuni dei quali con la partecipazione di persone affette da Alzheimer), performance artistiche, laboratori, momenti di animazione, socialità e intrattenimento, dj set e molto altro.
Come detto, la manifestazione - a ingresso libero e aperta a tutti i cittadini - rappresenta la fase finale di “5 miglia da Milano”, progetto di rigenerazione urbana, sociale, creativa e responsabile che ha visto l’attivazione e la partecipazione delle associazioni presenti sul territorio, dei cittadini che lo abitano e dei servizi che vi sono insediati.
Capofila dell’iniziativa è l’associazione di promozione sociale Le Compagnie Malviste, che da oltre dieci anni diffonde pratiche di comunità e di teatro sociale con l’obiettivo di stimolare i rapporti tra le generazioni, la coesione e la mobilitazione sociale. Il progetto, che ha avuto il patrocinio del Comune di Milano e del Municipio 7, è nato in collaborazione con il team di architetti di ASISA (laboratorio sperimentale di interazione, creatività collettiva e socialità), il comitato di quartiere di Figino e la cooperativa edificatriceFerruccio Degradi.
Rigenerazione, ma anche riqualificazione del territorio: sabato 1 giugno, infatti, verrà aperta la Cava Ongari– in disuso fino a poco tempo fa e resa agibile ora grazie all’intervento di Italia Nostra - dove saranno allestiti per l’occasione spettacoli e performance.
Inoltre, nella giornata di sabato 1 giugno, alla presenza di Filippo Del Corno, assessore alla Cultura del Comune di Milano, verrà svelato il Teatro Mobile, manufatto di design progettato dal pool di architetti che fanno capo ad ASISA e realizzato interamente a mano dagli abitanti del quartiere durante i workshop di falegnameria che si sono svolti nei mesi scorsi: si tratta di un vero e proprio palcoscenico su ruote, che resterà in dotazione ai residenti di Quinto Romano anche dopo la conclusione del progetto e che diventerà la location di spettacoli, proiezioni, concerti e altre iniziative di comunità.
Non solo: il trombettista jazz Giovanni Falzone, musicista di fama internazionale, sarà ospite al festival e nel primo pomeriggio ci delizierà con una breve performance musicale, durante la quale darà fiato alla tromba costruita dal maestro artigiano Flavio Campi, eccellenza locale riconosciuta in tutto il mondo.
«Quando abbiamo rivolto l’attenzione a questa zona, ci siamo trovati di fronte a numerose difficoltà. - afferma Alvise Campostrini, presidente dell’associazione Le Compagnie Malviste -Quinto Romano è un quartiere dormitorio, privo di spazi culturali pubblici, dove si fa fatica a raccogliere i bisogni e le proposte dei cittadini. Grazie ad una serie di laboratori teatrali gratuiti aperti in tre quartieri del territorio, da circa dodici anni, abbiamo creato le basi affinché prendesse vita il progetto “5 miglia da Milano” con l’idea di un festival annuale per tenere sempre acceso un faro su questo territorio. Un teatro con i cittadini per immaginare, pensare, credere in un quartiere a misura d’uomo».

Altro importante traguardo previsto e raggiunto dal progetto è la nascita del Comitato di Quartiere di Quinto Romano. L’ente civico sarà presentato ufficialmente alla presenza di Antonio Salinari, assessore allo Sport, cultura, politiche sociali, verde e arredo urbano del Municipio 7 il 1° giugno in occasione del Festival.


SABATO 1 GIUGNO – IL PROGRAMMA DEL FESTIVAL

“5 MIGLIA DA MILANO: IL PAESAGGIO SI FA PALCOSCENICO”



Ore 8:30 - Mi sveglio meglio - Cava Ongari-Cerutti (via Caldera 85)
Attività di risveglio fisico e spirituale nel contesto naturale della Cava con lezioni di yoga, danza e movimento therapy e Qi Gong. Le attività sono gratuite e aperte a tutti; per le famiglie sarà presente un laboratorio di manualità per bambini.

Ore 9:30 - Cava Ongari-Cerutti - Colazione in cava

Nell’area “5 miglia” di via Caldera 85 sarà possibile fare colazione e spostarsi sulla spiaggia della Cava Ongari.


Ore 10 - Cava Ongari-Cerutti - Spettacolo “Biancarossanera”
Spettacolo teatrale per bambini, famiglie e scuole. Durata: circa un’ora. 

Si tratta di una rivisitazione teatrale della fiaba “Biancaneve” che coinvolgerà gli abitanti del quartiere di Figino. La rappresentazione vedrà la collaborazione site-specific degli street artists Poof e Hotre.


Ore 12 - via Caldera 85 - Apertura dell’area food con i The Laters, gruppo rock di Quinto Romano
Truck food, musica e intrattenimento.

Dalle ore 13 alle ore 20.00 – Piazza Madonna della Provvidenza -Urban-knitting
Addobbo della piazza Madonna della Provvidenza con un’operazione di urban-knitting: pali della luce, panchine, cestini e altri arredi urbani verranno abbelliti grazie ai lavori a maglia realizzati dalle “sciure” del quartiere.



Ore 14 - via Caldera 85 - Inaugurazione del Teatro Mobile presso l’area “5 miglia”
Inaugurazione del manufatto ideato dagli architetti ASISA . Tra le autorità pubbliche sarà presente anche Filippo Del Corno, assessore alla Cultura del Comune di Milano.

Ore 14.30 – Area 5 miglia, via Caldera 85 – performance musicale jazz di Giovanni Falzone

Il trombettista jazz Giovanni Falzone, di fama internazionale, eseguirà una breve performance musicale.


Ore 15.30 - Inaugurazione del percorso artistico da Cava Ongari al centro del quartiere
Passeggiata lungo un itinerario punteggiato di installazioni artistiche. Il percorso, visitabile fino alle ore 18, permetterà di scoprire uno scorcio suggestivo di Quinto Romano, territorio ricco di cascine, corti, cave e sentieri. Si consiglia di portare con sé cuffiette e cellulare: lungo il cammino si potranno ascoltare voci e spiegazioni tramite lettura di un apposito QR CODE.

Ore 17:15 - Piazza Giosia Monti, Corte del Brivio - Spettacolo “Storie di una folk band”
È un breve requiem teatrale (durata un’ora circa) in cui nostalgie, rabbie e delusioni disegnano i contorni di un cortile milanese. Una piccola comunità si aggrappa al presente per riscrivere il passato e rivendicare un finale diverso. Sono i volti, le voci, le azioni degli abitanti del quartiere di Quinto Romano che danno voce a una nuova sinfonia.

18:15 - Piazza Madonna della Provvidenza - “Alzabandiera”
Rievocazione di un fatto storico: da un documento ritrovato recentemente si è scoperto che il 28 maggio 1848, a poche settimane dalle cinque giornate di Milano, a Quinto Romano “fu issata la bandiera nazionale tricolore come segno distintivo dell’unanime simbolo del nuovo ordine unitario liberale stabilito nella Patria Italiana”.
A cura delle Compagnie Malviste con la collaborazione del Centro Carlo Poma e dei gruppi di incontri. Durata: 20 minuti circa.

19:00 - Serra Perego Aldo, via Gaetano Airaghi 13 - Spettacolo “Ritratti, con pane e pomodoro
Spettacolo di “Teatro Fragile”, con la presenza di persone affette da Alzheimer, caregiver e abitanti del quartiere di Quarto Cagnino. “Ritratti, con pane e pomodoro” è un’idea teatrale alla sua terza replica: fotografie sbiadite, pensieri ricorrenti, ritornelli di canzoni, sapori lontani e altri indizi autobiografici sono gli ingredienti per svelare le fragilità e le potenzialità di una comunità e del territorio in cui vivono. Il laboratorio fa parte degli interventi psicosociali della Rete Alzheimer del Comune di Milano. Durata: un’ora circa.

20:30 - Cava Ongari-Cerutti - Concerto al tramonto
Un gruppo di musicisti si esibirà sulle sponde di uno sconosciuto specchio d’acqua di Milano. Durata: 30 minuti circa.

21:30 - Area 5 miglia, via Caldera 85 - Musica by night
Dj set, attori, poeti e musicisti si alterneranno sul palco con BigaUp e la sua cargobike.

22:00 - Area 5 miglia - 101 motivi per frequentare Quinto Romano

Narrazione per cittadini curiosi, a cura di Giorgio Uberti.


23:15 - Area 5 miglia - Poesie in periferie
Recital di poesie, a cura di Alvise Campostrini

In caso di pioggia il festival si svolgerà al coperto.


Facebook: 5 miglia da Milano
Instagram: 5_miglia

Teatro, Alessandra Pizzi in una "metamorfosi" perenne: quando scrivo uno spettacolo lo "vedo". L'intervista di Fattitaliani

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Il 26 maggio alle ore 18.00 e alle 21.00 al Teatro Ghione andrà in scena Metamorfosi - Altre Storie Oltre il Mito, adattamento e regia di Alessandra Pizzi, un racconto su testi tradotti esclusivamente per lo spettacolo dal latinista Nicola Pice, in cui Enrico Lo Verso guiderà il pubblico in un viaggio senza tempo tra miti e leggende, attraversa l’Olimpo e svela vizi e virtù degli dei. Sarà accompagnato dal pianoforte di Francesco Maria Mancarella, dal clarinetto di Lorenzo Mancarella e dalla beatbox di Filippo Scrimieri, in arte BigByps. Parole e musica saranno incorniciate dalle coreografia aeree e a corpo libero di Marilena Martina. Pregiata partecipazione sarà quella di Sade Mangiaracina, straordinaria pianista jazz di fama internazionale. “Un’idea di spettacolo nata dal desiderio di coniugare al racconto altre forme artistiche ed espressive, per tessere una narrazione multidisciplinare di un viaggio fantastico, in uno dei più interessanti capolavori della letteratura”, spiega Alessandra Pizzi, che ha curato l’adattamento e la regia dello spettacolo e che Fattitaliani ha intervistato.

Che rapporto personale intrattiene con le Metamorfosi ovidiane e i miti in generale?      
Un rapporto di "timore reverenziale", oserei dire. Mi affascina il mito per questo intrinseco suo dualismo: lieve e fantasioso nel racconto, forte e perentorio nel messaggio. Ho scelto di raccontarlo quasi per esorcizzarne il timore. Volevo intessere un rapporto colloquiale e di amicizia con questo "colosso di suggestioni" sociali e culturali  che da millenni ci portiamo appresso, per restituire al pubblico la sua bontà e genuinità. 
Le serie attuali, le soap-opera, l'attualità dei giornali: tutto riprende e ripete l'essenza dei miti. Secondo lei, in che cosa risiede la loro modernità?
Il mito è moderno per sua definizione. Se un pensiero, una storia, un racconto non trovano valore e capacità interpretativa nella contemporaneità allora non sono miti, cioè non hanno subito quel processo d'iconizzazione che li ha resi immortali. Così è per tutti i classici, che continuiamo a leggere perché contengono la chiave di interpretazione di aspetti della nostra quotidianità. Oggi si fa un largo uso di citazioni classiche e di rimandi a storie e figure mitologiche proprio per il bisogno di raccontare con la più grande incisività e efficacia un messaggio. La grandezza dell'invenzione di Ovidio sta proprio in questo: trovare un'immagine per esprimere un concetto. Nell'immagine di Proserpina che cade negli inferi trascinata dal carro del suo violentatore c'è il dramma e la portata della violenza di genere alla quale, ahimè ogni giorno, assistiamo. Nella fragilità del giovane Narciso che cede alla sua immagine è racchiuso il problema dell'incomunicabilità dell'individuo che, oggi come duemila anni fa, non potendo esprime la sua anima resta aggrappato alla forma. Il mito è eterno, altrimenti non sarebbe un mito. 
Dirigere Enrico Lo Verso in uno spettacolo dalle molte sfaccettature artistiche rappresenta più un piacere o una sfida?
"Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita" diceva Confucio. Difficile in questo lavoro separare il piacere da quello che si fa. Certamente Enrico Lo Verso è l'esaltazione di questo piacere, per la sua capacità interpretativa, ma soprattutto per la sua straordinaria predisposizione ad accettare la sfida. Lo aveva già fatto quando, circa tre anni fa, gli avevo proposto di mettere in scena la riduzione in monologo di Uno Nessuno Centomila (dal romanzo di Pirandello), ha mostrato un entusiasmo sorprendente quando gli ho chiesto di raccontare "le favole" di Ovidio. È un attore che sposta l'asticella verso l'alto, è pronto a misurarsi in ruoli diversi. Credo che sia la "risorsa" migliore per un regista. Quando gli ho detto "voglio raccontare il mito in maniera POP, avvicinandolo al pubblico", non è stato necessario aggiungere altro. Era già chiara per entrambi la direzione in cui andare. 
Mentre scriveva l'adattamento nella sua mente prendeva contemporaneamente forma anche la messa in scena?
Per me non potrebbe essere altrimenti. Quando scrivo uno spettacolo lo "vedo".  E la scrittura è intrecciata a quella visione. Penso prima a chi potrebbe interpretarlo e quindi il testo è calato addosso. In Metamorfosi la scrittura è a più livelli: c'è un tessuto narrativo di parole, un altro di coreografie, un altro ancora musicale. E poi ci sono gli ospiti, nella data di Roma c'è il jazz. Questa polifonia è ben visibile a me nell'attimo in cui la compongo. Immagino già i costumi e gli effetti luminosi. Non impongo mai agli attori le mie scelte. Mi piace che ognuno apporti del suo al racconto. E quando si va in scena è tutto magicamente come lo avevo immaginato. Per fare il teatro bisogna essere visionari. In tutti i sensi!
Ha un personaggio mitologico che Le assomiglia in termini di sentimenti?
Mi sento vicina ad Ovidio, più che a un suo mito. Immagino la solitudine di un uomo che, per qualcosa che ufficialmente non è stato mai raccontato, viene mandato via dalla sua terra. Un escluso, perché il peso delle sue idee mal si addiceva ad una consuetudine che lo voleva assoggettato al potere. E lui, piuttosto che abbandonare le redini del suo pensiero, cosa fa? Costruisce un caleidoscopio di racconti e narrazioni, intesse figure inventate, ne trasforma altre, scava nelle emozioni. Affronta i grandi, sfida il potere, e a questo contrappone ninfe, elfi e regine. Anziché attaccare i suoi oppressori, ne rivela le debolezze, li rende "umani". Consegna, da vero artista, il suo pensiero all'eternità.
Se potesse cambiare il finale di una storia mitologica, quale sceglierebbe e come la farebbe terminare?
Salverei Callisto, dalla tremenda punizione inflittale da Afrodite. Le ridarei le sembianze di donna e madre. La farei vivere serenamente accanto al figlio ritrovato. Punirei Afrodite, non per faziosità, ma per aver potuto pensare anche solo per un istante che lo stupro subito da Callisto sia stata l’ovvia conseguenza della sua bellezza. Un luogo comune questo ancora troppo radicato nella società e nel pensiero femminile che mi addolora e mi fa paura. 
La narrazione orale si va via via perdendo: quale è la prima storia che Lei ha sentito raccontare e che cosa Le è rimasto impresso?
Ho avuto la fortuna di avere due genitori che, già dai primi anni della mia vita, mi compravano libri di favole. Passavo interi pomeriggi a "costringere" i grandi a leggermeli, prima che imparassi a farlo da sola. La prima favola che ricordo è quella che mia madre mi raccontava nel tentativo, vano, di farmi addormentare all'ora della pennichella pomeridiama... Parlava di una fata che portava caramelle a tutti i bimbi buoni che dormivano. Ovviamente non ho mai ceduto alle lusinghe e non ho mai dormito un pomeriggio. Ma mia mamma mi faceva comunque trovare le caramelle, sostenendo che fossero un dono della fata. Era il suo tentativo per convincermi della natura benigna di qualsiasi creatura, anche di quelle che lei stessa inventava. E così sono cresciuta senza paura di mostri, ma con uno straordinario senso della gratitudine. La fata era buona con me, nonostante io non fossi ligia al sonno. Ad un certo punto mi sono sentita di ricambiare la sua generosità fingendo di dormire!
Nel corso della sua carriera qual è stata la sua "Metamorfosi" personale più importante?
Sono in una "metamorfosi" perenne. Accetto il cambiamento degli altri e, con gli anni, ho imparato ad essere clemente con il mio. 
Ho vissuto i travagli del tempo, il bisogno di affermazione, la paura della stessa, i conflitti di genere. Ma il momento più importante è stato acquisire la consapevolezza della "femminilità". Quando ho capito il "potere femminile" ho iniziato un grande processo di trasformazione, personale ed artistico. Non mi riferisco al potere della seduzione, né ad una irriverente supremazia sull'uomo, ma esattamente al contrario. Non si è femmine perché si hanno gli attributi maschili, ma perché si ha in sé la bellezza della creazione, l'atto generativo attraverso cui esprimersi. Io provo a farlo attraverso il teatro. È questa la metamorfosi sociale che auspico possa realizzarsi. Giovanni Zambito.

Enrico Lo Verso
Con la partecipazione di Sade Mangiaracina – Piano Jazz
in
Metamorfosi – Altre Storie Oltre il Mito
Adattamento e regia Alessandra Pizzi
Traduzioni Nicola Pice
Francesco Mancarella – Pianoforte
Lorenzo Mancarella – Clarinetto
BigByps – Beatbox
Coreografie danze aeree Marilena Martina
Ergo Sum Produzioni
Teatro Ghione
26 maggio 2019
Ore 18.00 - Ore 21.00
Prevendita e biglietteria: TEATRO GHIONE – ROMA Info@teatroghione.i
IndirizzoVia Delle Fornaci, 3700165 Roma

Info spettacoli: 3279097113


Woody Allen, "Come si distrugge una icona del cinema"

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di Riccardo Bramante - Una nuova tempesta si è abbattuta su Woody Allen facendo ritornare a galla vecchie accuse ed insinuazioni sempre smentite nei tribunali.
È strano il destino di quest’uomo: da una parte l’intellettuale radical chic ebraico-newyorkese estimatore di una estetica tutta “europea”, dall’altra il pervertito accusato di pedofilia ed incesto dalla figlia adottiva Dylan che, nel 2014, lo accusa di averla molestata 25 anni prima quando aveva solo 7 anni.
È l’effetto #Me Too che, dopo tanti altri nomi celebri, coinvolge anche Woody Allen, emarginato e quasi cancellato dalla memoria di quegli stessi amici, attori e scrittori, che fino a qualche tempo fa avrebbero fatto carte false per girare un film con lui.

Sembra veramente essersi scatenata una nuova caccia alle streghe in cui il povero Allen si trova coinvolto e boicottato in tutte le sue iniziative sia cinematografiche che letterarie. Ci può stare che non sia più il Woody Allen che ci incanto con “Provaci ancora Sam” o con i quattro Oscar di “Io e Annie”; va pure bene che i suoi ultimi film non siano capolavori da tramandare alla storia del cinema, ma sentire attori del calibro di Colin Firth giurare che non farà più un film con lui o lo stesso Timothèe Chalamet, nel cast del suo ultimo film “A rainy Day in New York”, dire che i soldi presi non li vorrà ma preferirà devolverli in beneficenza, ci sembra veramente troppo.

Tanto più che queste esternazioni hanno anche un pesante risvolto economico, a cominciare da Amazon che ha rifiutato di distribuire quest’ultimo film sulla piattaforma digitale pur avendone già i diritti. E, come se non bastasse, il New York Times ci informa che quattro editori americani si sono rifiutati di pubblicare un suo libro di memorie temendo il boicottaggio del pubblico.

Fortunatamente, non tutti la pensano allo stesso modo e anzi la casa di distribuzione “Lucky Red” ha assicurato che il film, reintitolato “Un giorno di pioggia a New York”, uscirà egualmente in Europa e in Italia dove debutterà il 3 ottobre prossimo.

Ci pensa, poi, lo stesso Woody Allen, con la sua abituale autoironia, a difendersi dicendo di essere un grande sostenitore del movimento #Me Too poiché “lavoro nel cinema da 50 anni, ho collaborato con centinaia di attrici e non ce ne è stata una che mi abbia mai accusato di comportamenti inappropriati”.

Il futuro ci dirà se la verità prevarrà sul giustizialismo sommario tanto di moda in questi tempi e venga finalmente resa giustizia ad un grande della cinematografia mondiale.

Leonardo Monteiro: a "All together now" lavoriamo tutti divertendoci. L'intervista di Fattitaliani

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Giovedì scorso su Canale 5 ha debuttato la versione italiana di “All Together Now”, lo show musicale prodotto da Endemol Shine Italy, che ha sorpreso il mondo: la prima puntata ha raggiunto un risultato più che lusinghiero in termini di audience e share. Alla conduzione Michelle Hunziker, mentre J-Ax è il presidente d’eccezione di una incredibile giuria, composta da ben 100 personaggi variopinti e competenti, che formeranno un vero e proprio Muro Umano come non si era mai visto prima in tv. Tra i giudici del Muro cantanti e volti noti e tantissimi altri professionisti del mondo della musica e dello spettacolo. Fra questi Leonardo Monteiro, intervistato da Fattitaliani.

Come sei arrivato a "All together now"?
Tramite un provino, come d'abitudine nel mondo dello spettacolo: anche se sono abituato a fare audizioni sin da quando ero piccolo, è una situazione sempre stressante… Non sai mai quale sarà l'esito fino all'ultimo momento!
Com'è l'atmosfera in studio?
Stupenda e lo dico con una certa sorpresa: ci saranno centinaia di persone coinvolte in questa produzione fra giudici, concorrenti, addetti ai lavori… Ma nonostante il gruppo di lavoro sia così numeroso, regna grande armonia, lavoriamo tutti divertendoci. E di questo devo ringraziare Roberto Cenci, il nostro direttore artistico e regista: ha una grande esperienza e ci aiuta sempre a gestire il lavoro in studio al meglio!
Fra le tante esibizioni quale ti è rimasta impressa?
Per il momento, alla luce della prima puntata andata in onda giovedì scorso, sono rimasto colpito da Daria (Biancardi) con la sua interpretazione di "Gloria": non è semplice approcciarsi a una delle canzoni italiane più note al mondo, dandole un'impronta nuova e personale. Bravissima! Ma devo dire che ci sono stati diversi concorrenti davvero degni di nota! Anche Amedeo, che ha perso il duello finale, con "Nessun dolore", per esempio, e molti altri ancora.
In che modo questa partecipazione rappresenta una sorta di continuità e allo stesso tempo di riconoscimento con le altre tappe del tuo percorso?
Avevo già lavorato in tv (Amici 2008, Sanremo 2018, ecc. ecc.), ma sempre come concorrente: quando mi hanno proposto di far parte della giuria, ho pensato: "Perché no? Vediamo cosa si prova a stare dall'altro lato della barricata!" ed eccomi qui. Quindi, è un'esperienza nuova, ma in assoluta continuità con tutto il mio percorso, che è partito dal teatro, ma che poi mi ha portato nei club, in tv, nella discografia… Il punto non è tanto in quale ambito mi trovo: ciò che conta per me è che ci sia al centro la musica… Non riesco davvero a farne a meno!
Puoi riassumere ai nostri lettori le esperienze che hai vissuto che ti hanno particolarmente temprato e formato?
Sicuramente, gli studi di danza al Teatro alla Scala di Milano: rigore e disciplina sono tutto, assieme alla forza di volontà, allo studio… Il talento da solo non basta. Poi un altro passaggio professionale fondamentale è stato trasferirmi a New York: ho avuto modo di lavorare con alcune compagnie di danza pazzesche e devo dire che i ritmi di lavoro in America sono davvero serrati, frenetici, impegnativi. Ma più di tutto, a New York ho scoperto il gospel e preso la decisione di concentrarmi sul canto, dopo tanti anni passati a lavorare nel mondo della danza, con tante soddisfazioni! E poi l'anno scorso, il 2018: la mia prima volta al Festival di Sanremo, il mio primo album… è stato un anno importantissimo, che mi ha insegnato molto!
Secondo te, rispetto a prima sono cambiate le ragioni per cui tante persone vanno in tv per tentare la strada musicale?
Credo sia cambiato il mondo e, quindi, tutti i meccanismi! Una volta le case discografiche andavano a scovare i nuovi cantanti, le nuove band nei locali, nei club, nelle bettole… C'erano talent scout che non facevano altro che cercare talenti e li andavano a scovare! Oggi il mercato discografico è cambiato, anche a causa delle nuove tecnologie… Vendere dischi è difficile e, al tempo stesso, l'offerta è super: il mondo è pieno di ragazzi e ragazze con una bella voce, ma le etichette hanno meno soldi da investire… Ecco che i talent diventano, quindi, un'opportunità gratuita per essere visti e, forse, avere la possibilità di iniziare una carriera. Ma questo non è il caso di "All together now": che non è un talent, visto che non c’è in palio un contratto discografico, ma è un gioco a premi incentrato sulle doti canore, cosa ben diversa!
Tu ti ricordi il tuo primo assoluto approccio alla musica? Racconta...
I miei genitori sono entrambi ballerini, quindi credo che il primo approccio sia stato quando ero ancora nella pancia di mia madre! (sorride, ndr). Uno dei primi ricordi che ho, però, è di quando ero piccolo, avrò avuto 4 o 5 anni… Io e mio fratello stavamo in fissa con "Thriller" di Michael Jackson… Non parlo del videoclip, ma del cortometraggio, che durava tipo un quarto d'ora! Mia mamma ci metteva sempre la videocassetta a loop e io e mio fratello ballavamo e cantavamo imitando Michael!
E la tua prima esibizione?
La mia prima esibizione in pubblico è stata credo al Teatro Verdi di Montecatini, durante il saggio della scuola in cui ho iniziato a studiare danza da bambino, il Laboratorio Accademico Danza di Antonella Lombardo. La prima volta da cantante, invece, è stata al Blue Note di Milano: anche in quel caso era il saggio della Scuola di Musica Cluster, in cui ho studiato canto moderno, pianoforte e gospel una volta rientrato dagli USA… Avrò avuto ventuno o ventidue anni! 
C'è un artista, un brano in cui senti di ritrovarti?
Questa domanda è troppo difficile… Ci sono troppi artisti che stimo, troppi brani che amo… Te ne dico tre, dai: Ray Charles con la sua "Georgia on my mind", Whitney Houston (fra le tante non rinuncerei mai a "All at once") e Stevie Wonder, non posso non metterlo… Direi "Never had a dream come true"!
Cosa speri ti possa portare come persona e artista l'esperienza di Canale 5?
Umanamente, ho trovato tantissimi nuovi amici nel Muro e anche dietro le quinte, persone splendide che ho conosciuto per caso e che mi terrò ben strette! Dal punto di professionale, invece, ti direi che sto sviluppando ancora più sensibilità, più tatto: quando giudichi una persona, è facile lasciarsi trasportare e smontare tutto con un paio di paroline giuste. Però, quella persona, che è lì davanti a me, si sta mettendo in gioco, sta mostrando il suo cuore… È un po' come se stesse aprendo il suo diario segreto attraverso la musica e, quindi, un po' di tatto in più non guasta mai! Perlomeno, questo è quello che penso io! Giovanni Zambito.

TUTTI PAZZI PER IL NUOVISSIMO OCCHIALE HI-TECH DI OTTICA ROMANI PRESENTATO DA JIMMY GHIONE

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Grandissimo successo nella storica sede di via Flavia per il lancio di un nuovissimo modello di occhiale ipertecnologico, destinato a fare tendenza.

Folla delle grandi occasioni in Via Flavia che, per una sera, ha rivissuto i fasti di un passato glorioso e mai dimenticato dalla Capitale. Personaggi del mondo dello spettacolo, della cultura, delle istituzioni e la nobiltà romana, hanno gremito la strada tra gli scatti dei fotografi per assistere alla presentazione del nuovissimo modello di occhiali “TRENDY Hand Free”, che segna un deciso passo in avanti sul fronte della sicurezza, grazie ai suoi importanti contenuti tecnologici che permettono di usare lo smartphone, compagno inseparabile delle nostre giornate, in piena sicurezza. Alla presentazione, tenuta a battesimo da Jimmy Ghione di Striscia la Notizia, ha fatto seguito un raffinato cocktail con musica dal vivo e deejay set. Negli eleganti spazi della sede storica di Ottica Romani accolti al photocall dai padroni di casa Maria Beatrice e Alessio Romani, i numerosi ospiti hanno potuto conoscere le caratteristiche innovative di questo gioiello che racchiude, nel design delle diverse varianti di montatura, un concentrato di tecnologia in cui l’unico limite d’utilizzo è la fantasia, dalla connessione bluetooth, che consente di parlare al telefono rimanendo concentrati sulle proprie attività, fino alle evoluzioni dotate di telecamere in 4K che riprendono e trasmettono live le immagini che vedono i nostri occhi. “La sicurezza è un argomento di grande attualità, anche dal punto di vista sociale e l’uso smodato che facciamo dello smartphone sta diventando un elemento di distrazione responsabile di tantissimi incidenti, vera piaga sociale che potrebbe essere azzerata con semplici accorgimenti tecnologici come questo occhiale che consente di guidare e telefonare in totale sicurezza” – ha affermato  Jimmy Ghione nella seguitissima presentazione in cui ha anche evidenziato le caratteristiche estetiche di questi occhiali dal design moderno ed accattivante e l’interessante rapporto tra l’elevata qualità dell’occhiale ed il suo prezzo decisamente accessibile. Tantissimi i modelli acquistati nel corso della serata dagli entusiasti ospiti tra i quali l’ex sovrintendente ai beni culturali di Roma Capitale Umberto Broccoli, il regista Giuseppe Sciacca, l’attore e ballerino Branko Tesanovic, Lucrezia Frescobaldi, Rossana Letta, Bernardo Mattarella, Il prof. Federico Tedeschini, Marco Salce, Flaminia Patrizi, Alessandra e Giorgio Calissoni, Lanfranco Fornari, l’Avvocato di Stato Liborio Coaccioli, l’ex comandante dei Vigili Urbani di Roma Diego Porta e poi tanta bella gioventù come Emanuele Vismara Currò, Aloisio Carrassi Del Villar, Gelsomina Russo Corvace, Bianca Grisostomi Travaglini e Raimondo Crimi.

Ottica Romani, forte della sua grande esperienza, è stata incaricata dall’azienda produttrice di Trendy Hand Free di svolgere il servizio di assistenza attraverso un Fix Corner che provvederà alla diagnosi di eventuali guasti o rotture ed alla riparazione, al ripristino o alla sostituzione con attese ridotte al minimo. Confermando l’elevato standard di qualità, Ottica Romani è in grado di realizzare sul prodotto qualsiasi tipo di lente: da sole, monofocali, bifocali, multifocali, abbinando differenti tipologie di trattamenti e lavorazioni - afferma Alessio Romani – con uno sguardo nel futuro ma nel solco della tradizione della sapienza artigianale che ha segnato l’affermazione della nostra Azienda come punto di riferimento per l’ottica nella Capitale. Le più moderne attrezzature tecnologiche supportano il lavoro dei nostri maestri ottici, affiancandoli nella realizzazione di lenti perfette e destinate a durare nel tempo, restituendo ai nostri occhi una visione nitida del mondo intorno a noi.

DELEGAZIONE CANADESE DI HAMILTON IN VISITA ALL’AQUILA

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La guida Joseph Mancinelli, presidente di HOPE, ente che donò dopo i terremoti del 2009 e 2016

L’AQUILA - Una delegazione canadese di Hamilton sarà a L’Aquila nelle giornate del 21 e 22 maggio per osservare i progressi della ricostruzione e visitare il Centro Polifunzionale di Camarda e alcuni centri del comune di Fagnano, destinatari di donazioni dopo il terremoto del 2009 dall’Hamilton Organization Philanthropic Enterprises (HOPE). La delegazione sarà guidata dal dr. Joseph Mancinelli, presidente di HOPE, ente filantropico riconosciuto dallo Stato canadese che ha provveduto a destinare diverse donazioni a Comuni, associazioni, scuole e ospedale San Salvatore, dei centri colpiti dai terremoti del 2009 e del 2016.

All’indomani del terremoto dell’Aquila, per iniziativa di Joseph Mancinelli e Angelo Di Ianni, venne costituito ad Hamilton, città di mezzo milione di abitanti a 70 chilometri da Toronto, un Comitato rappresentativo di numerose associazioni per raccogliere fondi da destinare ad aiuti alle popolazioni colpite dal sisma. Alla presidenza del Comitato fu eletto Angelo Di Ianni, figura di spicco della comunità italiana in Canada e membro del Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo (CRAM), mentre all’HOPE, ente che per donazioni filantropiche rilascia ricevute fiscali da poter scaricare dalle tasse, andò Joseph Mancinelli, anch’egli di origine abruzzese, figlio di Henry, emigrato di Fagnano che è stata personalità significativa nel campo del sindacalismo canadese.

Martedì 21 maggio la delegazione composta da Joseph Mancinelli, Riccardo e Cristina Persi, Victoria e Anthony Primerano, Jack Oliveira, Carmine Principato, Marcello Di Giovanni, Luis Camara e Jaime Cortez, si recherà a Camarda in visita al Centro Polifunzionale, per la cui costruzione HOPE contribuì con una donazione. Accoglierà la delegazione Donato Scipioni, presidente della Onlus “Insieme per Camarda”. Nel pomeriggio il gruppo canadese raggiungerà Fagnano per visitare la Chiesa di San Sebastiano, nella frazione di Corbellino, restaurata con una donazione HOPE e diventata centro culturale per la comunità di Fagnano. Poi in Comune per un incontro di saluto con l’amministrazione civica. Mercoledì mattina la delegazione farà una visita nel centro storico del capoluogo d’Abruzzo per osservare come L’Aquila sta rinascendo e lo stato di avanzamento della ricostruzione. Alle 10:30 la delegazione sarà ricevuta a Palazzo Fibbioni dall’assessore al Turismo e ai Rapporti internazionali Fabrizia Aquilio. Il gruppo canadese lascerà la città a fine mattinata.  Della delegazione avrebbe dovuto far parte anche Angelo Di Ianni, trattenuto ad Hamilton dai postumi di un recente intervento ortopedico.

Giova infine ricordare che HOPE - il cui Consiglio di Amministrazione è costituito da Angelo Di Ianni, Ben De Rubeis e Anthony Cipolla - sotto la presidenza Mancinelli dispose, nell’ottobre 2011, una donazione di 300mila dollari per il Centro trasfusionale dell’Ospedale San Salvatore, che fu consegnata nel corso di un incontro con il direttore generale Giancarlo Silveri. Anche per i centri colpiti dai terremoti di agosto ed ottobre 2016 la HOPE è stata molto presente ed operativa, destinando aiuti ad Acquasanta Terme, Arquata del Tronto, Montefortino, Force, Campotosto e Barete per un importo complessivo di 280mila dollari.


Goffredo Palmerini 

Silvia Specchio e "All together now”, un bel rientro in Patria. L'intervista di Fattitaliani

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Giovedì sera su Canale 5 secondo appuntamento con la versione italiana di "All together now": il programma, partito nel gennaio dello scorso anno sulla rete inglese BBC One, ha ottenuto da subito un successo incredibile affermandosi in poco più di un anno come il format più venduto nel mondo nel minor periodo di tempo. La giuria è composta da ben 100 personaggi variopinti e competenti, che formano un vero e proprio Muro Umano come non si era mai visto prima in tv. Tra i giudici la cantante Silvia Specchio, intervistata da Fattitaliani.

Come sei arrivata a "All together now”?
Ho fatto un casting e sono stata felicissima quando mi hanno detto che avrei parte del Muro dei 100 giurati.
Com'è l'atmosfera in studio? 
Fantastica! C’è un’energia pazzesca: cantiamo, balliamo e ci emozioniamo assieme ai concorrenti.
Fra le tante esibizioni quale ti è rimasta impressa? 
Sicuramente quella di Augusta, una bellissima signora che si è esibita durante la prima puntata con il brano “La vita”. Ha cantato con un cuore e una voce immensi.. sono scoppiata in lacrime, mi ha toccato nel profondo.
In che modo questa partecipazione rappresenta una sorta di continuità e allo stesso tempo di riconoscimento con le altre tappe del tuo percorso? 
Il ruolo di giudice è estremamente importante, richiede competenza, sensibilità e responsabilità, tutte qualità che si acquisiscono con l’adeguata formazione ed esperienza di palco. 
Puoi riassumere ai nostri lettori le esperienze che hai vissuto che ti hanno particolarmente temprato e formato? 
Sono stata la protagonista di musical come “Cantando sotto la pioggia”, “La febbre del sabato sera” e “Giovanna D’Arco”, ho poi avuto il privilegio di lavorare affiancando Pippo Baudo in Rai, di essere coreografata e diretta da Franco Miseria, di prender parte ai videoclip con Vasco Rossi (Buoni o cattivi e Vieni qui) e di partecipare alle tournée con il Maestro Simonetti all’estero… insomma, ho avuto la fortuna di lavorare con tanti grandi dello spettacolo e tutte queste esperienze hanno contribuito alla mia formazione professionale.
Secondo te, rispetto a prima sono cambiate le ragioni per cui tante persone vanno in tv per tentare la strada musicale? 
Ovviamente la tv dà grande visibilità e, in questo momento storico, molte possibilità di poter emergere. Un tempo c’erano i talent scout che giravano per locali in cerca di nuove voci; ora la musica passa principalmente attraverso i canali televisivi. Per alcuni può rappresentare una scorciatoia, per altri un modo per avere una seconda chance.
Tu ti ricordi il tuo primo assoluto approccio alla musica? Racconta… 
Da bambina ascoltavo mia madre cantare in casa, mentre riassettava. Aveva una voce magnifica e credo di avere ricevuto una sorta di imprinting. Poi nel tempo sono arrivati gli studi di solfeggio, chitarra, pianoforte e canto classico.
E la tua prima esibizione? 
All’età di 4 anni ho partecipato allo Zecchino d’Oro all’Antoniano di Bologna. Lo feci su iniziativa di una mia zia, che in qualche modo aveva forse intuito qualcosa a proposito di questa mia passione, per la musica, che poi sarebbe cresciuta negli anni. Di quell’esperienza ho dei brevi fotogrammi nella mia mente.
C'è un artista, un brano in cui senti di ritrovarti? 
In realtà ce ne sono tanti. Jim Morrison è il primo che mi viene in mente. Mentre il brano dei Queen “The Show must go on” sicuramente è quello in cui mi ritrovo di più.
Cosa speri ti possa portare come persona e artista l'esperienza di Canale 5?
Mi ha già portato tanto: ho conosciuto  altri artisti che con me condividono l’esperienza e siamo diventati amici; ho avuto modo di incontrare la nostra fantastica conduttrice Michelle Hunziker e vederla lavorare è un vero piacere. Sicuramente dopo gli ultimi sei anni che ho vissuto esibendomi in giro per il mondo, è stato un bel rientro in Patria. Spero possa darmi il “LA” per future importanti partecipazioni artistiche televisive e teatrali. Giovanni Zambito.

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