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AUDIO 2 - 25 ANNI DI CARRIERA CON IL NUOVO ALBUM "432Hz"

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“AMICI PER AMORE”, il nuovo singolo degli AUDIO 2 prodotto da Clodio Music. Il brano, che vuole essere un omaggio alla donna in tutta la sua essenza, ha anticipato l'uscita dell’album in studio“432 hz”: quale miglior modo per celebrare i 25 anni di attività artistica del gruppo!

È possibile parlare di amicizia fra uomo e donna? Gli AUDIO 2 - Gianni Donzelli e Enzo Leomporro, che hanno firmato il brano con il maestro Luigi Pignalosa, rispondono alla domanda con il singolo“AMICI PER AMORE”, contando sulla straordinaria partecipazione di Ivana Spagna, iconica artista e soprattutto amica del duo: un sodalizio che sottolinea in modo più incisivo la tematica sempre attuale.

Il risultato è una canzone sensuale e raffinata, che prende in esame e racconta il sentimento di amicizia fra i due sessi, viaggiando con un sound internazionale ma senza tralasciare le caratteristiche della melodia italiana. L’amicizia è complicità, è poter consegnare all’altro confidenze e fragilità: Ivana Spagna diviene qui fedele alleata e centro emotivo del dialogo artistico con gli AUDIO 2, e le voci si arricchiscono di sfumature inedite.

“AMICI PER AMORE” è il singolo apripista del nuovo progetto discografico del duo campano, su etichetta Clodio Music e con la produzione di Pasquale Scilanga.

Le 15 tracce che compongono l’album - 11 nuovi brani e 4 hit completamente riarrangiate in studio - ben rappresentano il percorso artistico degli AUDIO 2, senza perdere di vista la contemporaneità: le canzoni rivelano, infatti, un’evoluzione delle sonorità, con l’utilizzo di strumenti all’avanguardia e la particolare cura riservata alla qualità degli arrangiamenti.
Così Gianni Donzelli e Enzo Leomporro, parlando del nuovo lavoro discografico: «Abbiamo pensato ad un album che fosse ricco di sfumature per sonorità e testi. La donna rappresenta il nostro viaggio e la nostra meta. Dal contatto energetico con la Madre Terra in "Mediterranea sei", alle evoluzioni emotive di "Amore amica mia". Un album in cui convergono le nostre molteplici esperienze musicali e le nostre virate sperimentali».
“432hz”, anticipato dal singolo “Amici per amore” (feat. Ivana Spagna) che ha riscosso un notevole successo di critica e pubblico, vanta la collaborazione di musicisti di caratura internazionale, come la chitarra di Phil Palmere l'estro delle percussioni di Tony Esposito nel brano “Mediterranea sei”.
Queste le tracce nel disco:“Un' onda nel bicchiere”, “Libero come un aliante”, “Amici per amore” (feat. Ivana Spagna), “Il disco”, “Amarsi è possibile”, “La venere degli dei”, “Questa nostra vita”, “Mediterranea sei” (feat. Tony Esposito), “Amore amica mia”, “I sorrisi della mente”, “Le due vele”, “Alle venti”, “Rotola la vita”, “Acqua e sale”, “Specchi riflessi”.
Il 1992 è l’anno in cui Mina (per il suo album Sorelle Lumière) incide “Neve”, brano scritto da Gianni Donzelli e Enzo Leomporro, affiatata coppia di amici e fertili autori. Un grande debutto per il duo campano, che l’anno successivo si presenta sulla scena della musica italiana con il nome AUDIO 2. Lanciati nel mercato discografico da Massimiliano Pani, figlio e produttore di Mina, incidono così il loro primo omonimo album, composto di 10 splendidi brani. Il disco scala rapidamente le classifiche di vendita e nel 1994 gli AUDIO 2 si aggiudicano il prestigioso Telegatto come “miglior gruppo rivelazione dell’anno”. Il 1995 segna la loro definitiva consacrazione, con l’uscita del secondo lavoro discografico “E=MC2”: il singolo di lancio, “Alle venti...”, diventa un vero tormentone radiofonico e porta l'album a sfiorare le 200.000 copie vendute, con i conseguenti dischi d'oro e di platino, che vanno ad affiancarsi a quelli ricevuti per le vendite del primo cd. La loro carriera artistica è colma di successi: in ambito cinematografico, gli AUDIO 2 realizzano una serie di composizioni musicali inedite per il film di Leonardo Pieraccioni “I Laureati” e, successivamente, per “Il Ciclone”, senza contare che sono autori di numerose canzoni interpretate dalla “voce” della canzone italiana, “Mina”, nonché vincitori del prestigioso “Premio Rino Gaetano”. Nel 1998 firmano il bellissimo pezzo del cd/evento Mina Celentano, “Acqua e sale”, che porta il disco a raggiungere la vetta delle classifiche con circa 1.800.000 copie vendute (un vero e proprio record per la musica italiana!). Parlando di grandi collaborazioni, non si può non citare l’incontro con Mogol, dal quale nasce l’album “MogolAudio2” (Carosello Records), che si piazza dopo una sola settimana al primo posto nella classifica I-Tunes e ottiene in seguito la certificazione di disco d’oro. Dopo circa 8 anni di nuove sperimentazioni musicali, esce il tormentone estivo“Un’onda nel bicchiere”, seguito dal singolo di successo “Libero come un Aliante” e"Mediterranea sei"– una produzione Clodio Music



Ufficio comunicazione e promozione
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Romanzi da leggere a puntate online. 17^ puntata, 5° capitolo del romanzo “Anzol”

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a cura di Andrea Giostra - La 17^ puntata dei Romanzi da leggere online è dedicata al quinto capitolo del romanzo “Anzol” di Haria.

In copertina Leonardo Albanese (Santa Caterina Villarmosa 1947), “La Baronessa di Carini e Luca”, 2008, cm. 100 x 80, olio su tela.

V Capitolo

Il tintinnio dei soldi disperdeva lo scalpiccio smarrito della folla. Le voci si scioglievano nella nebbia, i suoni si ossidavano contro la resistenza del vuoto. Solo il grido di un uomo, il lamento di un vecchio, l’urlo di una donna - presi nelle trame della follia che le streghe scatenavano - sorprendevano il mercato. Lontano, in un’èra di desolazione, l’ossesso mostriciattolo ballava sulla carcassa dell’oteria e tracannava ot.
Anzol era fradicia, l’umidità non risparmiava niente, trasudava dai muri, sulle pietre, lungo le vie, filtrava in spazi dimenticati, si allargava, si stratificava.
Anzol era guasta, le esistenze si consumavano in gesti meccanici, in ripetute ossessioni, in sordi e reiterati rancori che aizzavano donne contro donne, uomini contro uomini, vecchi contro vecchi, bambini contro bambini, donne contro uomini, vecchi contro bambini, uomini contro vecchi, bambini contro donne, contro vecchi, contro uomini, tutti contro tutti.
Si moriva ad Anzol.
Donna regnava senza regnare, non ne aveva bisogno. «Una vera regina guarda impassibile il proprio regno». La gente cedeva a un fare insensato e la folla a un vagare concentrico.
Fu allora che nel mercato si impose il gioco degli strati.

Si azzarda fino a sei strati di nebbia. Perdente al primo strato l’essere subisce lo scherno della folla; vincente riceve mille soldi. Perdente al secondo strato l’essere è bastonato; vincente bastona. Perdente al terzo strato è privato della dignità; vincente decide il fare di quel giorno. Perdente al quarto strato è braccato nella nebbia: chi lo scova lo riduce servo dei servi; vincente è padrone del mercato per il tempo di cento azzardi. Perdente al quinto strato è cacciato per sempre dal mercato; vincente impone la sua legge per il tempo di mille azzardi. Perdente al sesto strato è scannato; vincente è acclamato signore della folla finché un altro vincitore su sei strati non lo sfiderà. Al termine di ogni azzardo, nel cerchio del gioco, il giocatore urla la sua vittoria o la sua sconfitta. Si azzarda uno strato per volta, ma è consentito azzardare tutti e sei gli strati in una volta sola.

Il tintinnio dei soldi determinava l’intensità della sconfitta o la qualità della vittoria. Chi imbastì il gioco (non si seppe mai con certezza chi ne fu l’inventore) fu un mago girovago, che per primo azzardò due strati: perse e gli spezzarono la schiena. Chi il gioco lo perfezionò - un manipolatore di numeri - vinse su cinque strati e impose che il gioco non avesse mai fine. Azzardò il sesto, perse, e fu scannato nella nebbia da una strega.
Anzol seppe del gioco da una cartomante. Seduta su una botte vuota - che diffondeva ancora un vago aroma di ot - maneggiava con metodico arbitrio un mazzo di ‘anzolane’. La nebbia, il cerchio e l’azzardo, usciti in successione, non lasciarono spazio a dubbi.
Gli anzolani non persero tempo. Non si seppe mai quanti avessero raggiunto il mercato e quanti invece si fossero smarriti nei labirinti nebbiosi. Solo in seguito - quando il giocosi consolidò nello strascicato fare della folla - presero a risuonare lontani frammenti di voci, flebili e accorati echi di lamenti, invocazioni, richiami, appelli, che andavano a morire nel rotolante tintinnio dei soldi.
Dispersa nei meandri del dodicesimo piano Donna languiva per la noia. Ormai non usciva più e si limitava a gracchiare ordini contraddittori alle serve che bighellonavano per le stanze. Non capiva come le fosse sfuggito di mano il controllo sulle streghe; da un pezzo non salivano più a riportarle dettagliati resoconti delle loro imprese. Si era affacciata alla finestra, aveva urlato una sfilza di comandi, ma la sua voce si era sciolta nella nebbia. E Gaddo? dov’era il mostriciattolo?
Una serva addetta allo svuotamento dei vasi da notte le riferì del gioco. Disse che di tanto in tanto intorno al cerchio spuntavano occhi rossi e bocce ritorte che farfugliavano parole incomprensibili.
Ecco dov’erano le streghe. A giocare. Ciabattò giù per dodici piani parlando da sola, uscì nella notte e rabbrividì. “Non ricordavo tutta questa umidità”, rifletté. Avanzò senza incontrare ostacoli, proseguì per un tempo che le sembrò infinito occhieggiando fra le grigie densità. Due occhi infiammati fermarono i suoi passi. Una voce aspra risuonò.
«Azzardi?».
«Tu devi essere Cloaca. Quante siete qui? cinque, sei?».
Ai suoi piedi la nebbia si mosse e sei spessi strati circolari presero a risalire il suo corpo. Donna guardò l’improbabile, l’impossibile, l’impensabile avvolgerle lentamente le gambe, il bacino, il torace in una morsa di gelida umidità. “Cosa devo fare?”, pensò. Smaneggiò sugli strati cercando di respingerli, li schiaffeggiò, li insultò. Quando raggiunsero i suoi occhi fu come se milioni di spilli le producessero fitte atroci. Allora urlò.
Il boia che la scannò era Gaddo.
«Il mostriciattolo», rantolò Donna un attimo prima del buio.

Per leggere i precedenti capitoli, clicca qui:

Note dell’editore:
«Haria vive ritirata sull'appennino ligure-emiliano, e comunica con il mondo esterno mediante i suoi libri, in cui dispensa la conoscenza di cui è portatrice. Ove giovani donne, in secoli diversi, in fuga dal proprio tempo, in fuga per la consapevolezza e la libertà. Nove vite, una vita, e una luce negli occhi che le guida e le accomuna. Nove donne oltre il varco sull'ignoto, per un magico, solidale destino.»

“Anzol”, Haria, Collana Letteratura di Confine, Proprietà letteraria riservata, © RUPE MUTEVOLE, prima edizione 2013, ristampe 2017.

Cristina del Torchio
https://www.facebook.com/RupeMutevoleEditore/
https://www.reteimprese.it/rupemutevoleedizioni 

Andrea Giostra


Romics 2019 fra Willem Defoe, D'Avena e l'angelo Grunda

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È stato premiato con il Romics d’oro, prestigioso premio alla Carriera l'attore statunitense naturalizzato italiano, Willem Dafoe che nel 2018 è uscito al cinema con il film Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, interpretazione che gli è valsa la candidatura all’Oscar come miglior attore protagonista.
Fra i tanti film di Dafoe ricordiamo la sua presenza nella triologia Spider-man di Sam Raimi, Acquaman, Gran Budapest Hotel, Pasolini e tanti altri e fra i registi con cui ha lavorato ricordiamo Martins Scorsese, Lars von Trie, Abel Ferrara, Spike Lee, Wes Anderson. Oltre al cinema Dafoe, si è cimentato con grande successo anche nel doppiaggio da Death Note: il quaderno della Morte al film d’animazione Alla ricerca di Nemo, serie tv come I Simpsons e anche nei videogames come in Spider-man e James Bond 007: Everything or nothing.
Ha ricevuto notevole spazio, in quest’ultima edizione del Romics, anche il personaggio di Batman, punta di diamante del colosso DC Comics. Infatti l’uomo pipistrello compie 80 anni e le celebrazioni per il suo anniversario (debutto sulla rivista Detective Comics #27 il 30 marzo 1939) sono partite proprio dal Romics con una mostra di tavole originali del fumetto, statue rare, contenuti trasmediali che hanno coinvolto Batman e tutto il suo mondo.  Long Live Batman è lo slogan che accompagnerà, come già fatto a Roma, l’eroe di Gotham, per le celebrazioni ufficiali in tutto del mondo organizzate dalla DC Comics.

Cristina D'Avena ha intrattenuto grandi e piccoli interpretando i suoi maggiori successi delle sigle dei cartoon più celebri.

Non sono mancati in questa edizione del Romics  i cosplayers che con  i loro costumi rendono unico il mondo del fumetto e non solo.

A sorpresa anche Grunda, l'angelo dalle ali rotte, il fumetto  interpretato dalla giornalista ed attrice Emanuela Del Zompo, è stata presente al Romics insieme agli altri supereroi. Prossimo appuntamento con il Romics ottobre 2019.

foto renata marzeda

Bruxelles, fino al 15 aprile mostra "Cartaburro" di Anna Franceschini all'IIC

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L'Istituto Italiano di Cultura e ALMANAC presentano CARTABURRO, il progetto di Anna Franceschini vincitore della seconda edizione del bando Italian Council (2017), concorso ideato dalla Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane (DGAAP) del Ministero per i Beni e le Attività Culturali per promuovere l’arte contemporanea italiana nel mondo. 
La mostra presenta una selezione di lavori che esplorano, attraverso la ricerca cinematografica di Anna Franceschini, l’ampio ed eclettico corpus artistico e teorico dell’architetto, fotografo e artista italiano Carlo Mollino (attivo dagli anni ‘30 agli anni ‘70).
Mostra: 15 marzo - 15 aprile

IIC Londra, Proiezione del documentario "L'amatore" di Maria Mauti sull’architetto Piero Portaluppi

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Ingresso libero, prenota qui. Seguita da un dibattito alla presenza della regista

Tra fiaba e biografia, tra architettura e ritratto di una città, l’opera prima di Maria Mauti ha l’ambizione – e il coraggio – di evadere dalle categorie abituali per calcare un terreno poco battuto. L’Amatore non è il ritratto ufficiale di un architetto e uomo influente nel ventennio fascista, ma una sorta di dagherrotipo che ha la leggerezza di Guido Gozzano e che sotto il suo fare faceto nasconde le illusioni di un’epoca che fanno il paio con quelle del tempo in cui stiamo vivendo.
Carlo Chatrian, Festival del film Locarno

Questo documentario è un viaggio dentro le pieghe intime di uno degli architetti di fama del ventennio fascista, Piero Portaluppi, attraverso la riscoperta della sua opera nel presente e del suo diario filmico, un archivio inedito in 16mm girato e montato dall’architetto. Uomo di fascino e potere, Portaluppi attraversa questa epoca grandiosa e tragica con distacco e ironia, danzando sulle cose e creando bellezza. La Storia intanto cammina implacabile accanto alle vicende dell’uomo.

Maria Mauti è regista di documentari. Dal 2003 collabora con il canale satellitare Classica in onda su Sky curando come autrice e regista le produzioni legate alla musica contemporanea italiana, al teatro d’opera e alla danza. Realizza così alcuni documentari su personaggi tra cui Daniel Barenboim, Carolyn Carlson, Pina Bausch, Bill T. Jones (documentario selezionato all’American Dance Festival), Fabio Vacchi ed Ermanno Olmi, Azio Corghi e José Saramago, Alicia Alonso del Ballet Nacional de Cuba e molti altri. Nel 2013 realizza il documentario sulla storia del Teatro Grande di Brescia dal titolo Memorie. L’Amatore è il suo primo lungometraggio.



Informazioni
Data: Mar 16 Apr 2019

Orario: Dalle 18:30 alle 21:00

Organizzato da : ICI London

Ingresso : Libero

Libri, Quattro scrittori per “Di gelo e di fuoco”

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di Riccardo Bramante - Nella prestigiosa sede dell’”Associazione Civita” in Piazza Venezia a Roma è stato presentato il libro “Di gelo e di fuoco”, opera assolutamente originale già a cominciare dalla copertina dove scopriamo che gli autori sono ben quattro: Guido Fiandra, regista, sceneggiatore e docente universitario, che ne è stato l’ideatore ed il coordinatore, coadiuvato dai suoi amici, scrittori anch’essi, Andrea Zauli, Fabrizio Fangareggi e Pierluigi Fabbri.

Di fronte al numeroso pubblico intervenuto, è stato lo stesso Presidente dell’Associazione Civita, Gianni Letta, che ha voluto fare una prima presentazione del libro attraverso una dotta introduzione in cui ha illustrato gli obiettivi ed i significati insiti nell’opera di cui “protagonista” è la Via Francigena, l’antica strada percorsa dai pellegrini che dalla Francia, dalla Germania, dall’Inghilterra e dalla Spagna si recavano a Roma e, successivamente, a Gerusalemme, le due città sacre del cristianesimo, Via Francigena che per la sua importanza storica è stata dichiarata “itinerario culturale” dal Consiglio d’Europa nel 1987.

L’opera ha avuto una lunga gestazione, ben 15 anni come racconta Guido Fiandra, ed era nata per essere una miniserie televisiva, idea poi abbandonata per gli alti costi ma a tutto vantaggio della maggiore incisività della parola scritta rispetto all’immagine che avrebbe potuto dare la televisione ( ne è un recente esempio il relativo successo della serie tv tratta da “Il nome della rosa” di Umberto Eco rispetto alla fama e alla diffusione internazionale che ha avuto il romanzo scritto).

La trama di “Di gelo e di fuoco” si presenta come una avvincente connessione tra reale e fantastico, in cui il viaggio compiuto dai vari personaggi è anche l’occasione per una libera riflessione sulla propria vita, sulle infinite sensazioni e sul personale cammino che ciascuno di noi si trova a percorrere per scoprire, alla fine, che l’essenza del tutto è l’atto stesso del viaggiare, più che il raggiungimento della meta, in ciò concordando con il pensiero espresso dal grande filosofo tedesco Gottfried von Leibniz.

Tutto prende l’avvio da una fredda notte del dicembre 1899, proprio alcuni giorni prima dell’inizio dell’Anno Giubilare del 1900, quando alle porte del Monastero di San Filippo al Marta, nel viterbese, si presentano all’abate Francesco quattro enigmatici personaggi provenienti da epoche e Paesi diversi: il Vescovo Sigerico da Canterbury vissuto nel 990, la vedova castigliana Maria Rodriguez proveniente dal 1350, il capitano di ventura tedesco Goetz von Berlichingen dal 1550 e il mercante di vini Jean Baptiste Fournier dal 1825; ma con loro si introduce nel Monastero anche una presenza inquietante: quella del Diavolo che minaccia le loro stesse vite.

Ognuno di loro ha la propria storia e il proprio modo di vedere le situazioni, i costumi e le idee a seconda dell’epoca da cui provengono, tanto da far sembrare i fatti che accadono come un diamante dalle mille sfaccettature, con luci che variano a seconda del personaggio che va ad esprimersi. Ed è proprio questa diversità di pensiero che delinea ciascun personaggio con le idee e le modalità di rapportarsi proprie dell’epoca in cui era vissuto, facendoci percepire, nel contempo, quali grandi cambiamenti siano avvenuti nel modo stesso di concepire l’esistenza umana.

Lasciamo, comunque, al lettore il piacere di gustare fino alle ultime, sorprendenti pagine la storia narrata, non senza prima sottolineare l’efficacia ed il tocco artistico che ha dato all'evento la lettura di alcuni brani dell’opera dataci dai ben noti attori italiani Tullio Solenghi e Pino Calabrese e dall’attrice spagnola Carmen Tejedera.

Napoli Città Libro, la seconda edizione supera la prima con 28mila visitatori

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“Chiudiamo questa seconda edizione con 28.000 visitatori. Una grande risposta di pubblico e buone opportunità per gli editori, che quest’anno sono stati più numerosi dello scorso anno, partecipando con entusiasmo a un progetto fatto di passione e fatto da editori che soffrivano della mancanza di un Salone del Libro a Napoli.
Diego Guida, Alessandro Polidoro e io, ci siamo uniti tra noi e con Antonio Parlati, presidente sezione Editoria Unione Industriali di Napoli, un motore per aggregare imprenditori, nell’associazione Liber@Arte, dando al progetto un punto di forza in più”. Rosario Bianco, founder di Rogiosi Editore, una casa editrice napoletana che, ormai da quasi tre anni, distribuisce i suoi libri su scala nazionale, è più che soddisfatto dell’andamento di NapoliCittàLibro, il salone del libro e dell’editoria ospitato per quattro giorni nel meraviglioso Castel Sant’Elmo, sulla collina del Vomero.
Un salone che ha offerto l’opportunità a cittadini e turisti di partecipare a incontri con tantissimi ospiti del mondo dello spettacolo e della letteratura da Pippo Baudo a Renzo Arbore, Vincenzo Salemme, Marco Buticchi, Ruggero Cappuccio, Gianrico Carofiglio, Maurizio Cucchi, Rita Dalla Chiesa, Giancarlo De Cataldo, Raffaele La Capria, Jhumpa Lahiri, Cinzia Leone, Luisa Ranieri, Davide Rondoni, Michele Serra, Licia Troisi, Ester Viola, che, nelle sale denominate per l’occasione “Rosa dei venti”, “Libeccio”, “Ponente” e “Levante”, con tanti altri personaggi, hanno presentato i loro libri o i loro progetti, per un totale di 350 eventi.“Approdi. La cultura è un porto sicuro” è stato il tema scelto dall’organizzazione, che ha accolto in 116 stand 160 sigle editoriali, dando anche nuove chance ai piccoli editori, che non riescono a trovare facilmente vetrine interessanti. A completare il quadro dei numeri ci sono le 100 scuole che hanno visitato il Salone.
Promossa dall’Associazione Liber@Arte, in collaborazione con il Centro per il libro e la lettura e il Polo Museale della Campania, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e con il patrocinio di AIE - Associazione Italiana Editori, NapoliCittàLibro ha ottenuto un grande risultato grazie anche al supporto della Regione Campania e dell’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli. E, mentre le sale di Castel Sant’Elmo si svuotano e le luci si spengono, l’associazione Liber@Arte è già proiettata sulla terza edizione. “La prossima edizione di NapoliCittàLibro la riesco a immaginare sempre al centro della città, in un luogo che ci permetta di non soffrire della mancanza di alcuni elementi tecnologici indispensabile nella nostra epoca – prosegue Bianco –. Stare nei monumenti così belli e ricchi di storia sicuramente rende NapoliCittàLibro una kermesse prestigiosa ma deprime alcune azioni di visibilità e comunicazione”. 



Andrea Pinchi Dal Design al Pincbau

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A cura di Gianluca Marziani - Si inaugurerà giovedì 18 aprile alle ore 18:00 a Treviso, presso il Museo Civico Luigi Bailo, la mostra di Andrea Pinchi “Dal Design al Pincbau”. La rassegna rientra nel ciclo espositivo di OltreDesign Festival, progetto nato dall’associazione oltreSegno con lo scopo di promuovere e diffondere la disciplina del design attraverso mostre, eventi, talk e contest. La mostra è un interessante percorso artistico, curato e promosso da Gianluca Marziani, che rimarrà visibile al pubblico fino al 12 maggio e che prevede una serie di opere inedite di Andrea Pinchi pensate per il Festival insieme a un’antologia di lavori realizzati dal 2009 a oggi.

La mostra nasce da un’idea di Paola Bellin e del Direttore Artistico di oltreDesign Luciano Setten. “L’idea era di portare a Treviso, nell’ambito dell’oltreDesign Festival, un artista legato al mondo del design ma in un modo che definisse le ragioni dell’arte, la mimesi installativa tra l’opera e il canone del luogo. Il risultato si colloca nel punto di fusione tra arte e design” spiega il curatore dell’esposizione Gianluca Marziani. Infatti Andrea Pinchi è un visual artist profondamente legato al mondo del design e proveniente da una famiglia di noti costruttori e restauratori di organi musicali e sarà protagonista dal 18 aprile al 12 maggio di una mostra articolata in tre fasi espositive:  la grande installazione “Unconventional hearts” che occupa l’intero soffitto del corridoio centrale del Museo, il progetto “Le città invisibili” e un’antologica di lavori dal 2011 ad oggi.

Andrea Pinchi si è dedicato per oltre 25 anni al design degli organi della propria famiglia, tra i più significativi dei quali quello del Duomo di Arezzo, della Kusatsu Concert Hall in Giappone, del Tempio della Consolazione di Todi e dell’Aula Liturgica San Pio di Petrelcina in collaborazione con Renzo Piano. Si è occupato inoltre del restauro di numerosi organi storici.
Inizia a dipingere da bambino con il pittore Nereo Ferraris compagno della zia, Maria Pia Pinchi, figura fondamentale per la sua formazione culturale ed artistica. Tra il 1989 ed il 1996 è in contatto con Aurelio De Felice dal quale accoglie il suggerimento ad intraprendere la ricerca del proprio mondo espressivo che lo conduce al PINCBAU che, spiega Marziani, “è il sistema semantico di Andrea Pinchi, il suo vocabolario e la sua grammatica per definire la biologia del proprio codice visivo. Il Cuore, ad esempio, si cristallizza senza arrotondamenti, come una freccia direzionale che moltiplica il segno e aumenta la febbre emotiva del rosso. Le Città Invisibili ribadiscono la tensione astratta dei segni, stavolta richiamando Italo Calvino ma senza accenni diretti, semmai lasciando aleggiare l’ispirazione in una visuale satellitare delle architetture, come se la mente scoprisse le città del puro immaginario, gli agglomerati del mondo interiore. I Calamari sono calamite cosmiche di libera interpretazione, veri e propri feticci iconici che si caricano la responsabilità degli archetipi, volando come uccelli marini che tagliano l’articolazione cromatica dei fondali, che occupano il palcoscenico cromatico degli orizzonti. Tutte le forme geometriche sono stilemi personali, segni d’autore che Pinchi modula con sapienza tecnica, organizzazione plastica ed equilibrio cromatico”.

Sia il ciclo de “Le Città invisibili” che l’installazione “Unconventional hearts”, spiega lo stesso Andrea Pinchi, sono state pensate e realizzate per il Museo Bailo di Treviso. Nella parte antologica invece verranno esposte le opere realizzate tra il 2011 ed il 2019 con materiali di scarto provenienti dagli antichi organi musicali.

Curioso sapere che gli stessi “cuorifreccia” che si potranno scrutare alzando gli occhi al cielo nel principale corridoio del Museo Bailo sono stati l’elemento caratterizzante che ha permesso allo stesso Pinchi di vincere, quest’anno, la ventitreesima edizione della “Design Int’l Packaging Competition” ovvero il concorso internazionale ideato da Vinitaly per premiare le più belle confezioni e bottiglie di vino dell’anno e sarà quindi esposta anche una bottiglia di Sartago bianco con l’etichetta vincitrice.

“Treviso e design possono ormai considerarsi un binomio inscindibile. Anche e soprattutto grazie ad oltreDesign, rassegna che ha permesso al genio degli artisti di incontrare l’eleganza dei nostri Palazzi e all’innovazione di trovare la sua massima espressione in un contesto, quello trevigiano, che ha sempre dimostrato di avere un occhio di riguardo nei confronti della bellezza quale sinonimo di creatività e tendenza. Siamo felicissimi di poter dare il via a una nuova esposizione, che saprà sicuramente coinvolgere addetti ai lavori e visitatori, appassionati ed esperti” afferma l’Assessore alle politiche sui beni culturali del Comune di Treviso Lavinia Colonna Preti.

C’è attenzione verso la città ed i suoi vanti. Lo stesso Pinchi lo sa, Treviso è città d’arte, di cultura, ma anche di sport. E proprio a uno sportivo trevigiano, Alessandro Troncon, ex rugbista che vanta 101 presenze in Nazionale (di cui è stato anche capitano) ed oggi affermato allenatore, Pinchi ha voluto dedicare l’opera "Troncon Urban Squid”. “Il mediano di mischia” spiega Pinchi  (ex rugbista) “l’ho sempre visto come un calamaro con gli occhi da mosca, controlla gli avversari e distribuisce la palla... E per me Troncon è stato un grande Maestro, perchè artista è chi crea emozioni. Oggi continua a rappresentare un grande esempio di vita”. Il 12 maggio in occasione del finissage l’asso trevigiano riceverà l’omaggio dalle mani di Pinchi.

"La mostra a Treviso è la conferma calibrata di un artista metodico e concentrato, coerente con le proprie radici formative, cosciente di un tempo tecnologico in cui cucire le sue iconografie universali” conclude il curatore Gianluca Marziani.

Andrea Pinchi. Dal Design al Pincbau
dal 18 aprile al 12 maggio 2019 
Museo Bailo - Treviso
Martedì – Domenica : 10.00 - 18.00; Ingresso libero          


Katherine Kelly Lang: cena dai sapori toscani per la star Hollywoodiana

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Katherine Kelly Lang si trova in Toscana pe motivi di lavoro e con il suo team ha fatto tappa al Ristorante La Furba a Poggio a Caiano, specializzato in pesce.
L'attrice ha fatto i complimenti alla titolare del ristorante Silvia Piccolantonio per la qualità dei piatti.  La splendida interprete di Beautiful ha molto apprezzato l’ottimo pesce offerto da Del Mar di Massa Carrara spaziando da scampi di Porto Ercole alla Gallinella dell’alba pescata ad amo, degustando vini delle più importanti aziende di distribuzione d’Italia Meregalli  con  il  Sassicaia a Château Latif, la Balan presente con champagne Thienot e   Bolis vini con Eiswein austriaco Weinrieder.

Non è escluso, visto l’ ottima accoglienza culinaria,  che l'attrice torni in Italia per partecipare ad un progetto cinematografico di Luca Calvani, col quale ha recitato in Beautiful nelle stagioni passate.

Franco Franchi: Mio Padre

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di Caterina Guttadauro La BrascaFrancesco Benenato o Franco Franchi, come è da tutti conosciuto, nacque a Palermo, quarto di 18 figli, da un famiglia poverissima.  Prima di diventare il grande attore che conosciamo e amiamo, patì la fame, si prestò a fare i mestieri  più umili ma che avevano sempre come palcoscenico la strada. I suoi genitori emigrarono e lui non lasciò la sua Sicilia ma ne fece il suo teatro. Animava i vicoli caratteristici della sua città con le sue gag, i suoi quadri da marciapiedi che ne fecero il primo disegnatore di strada, le sue canzoni, il tutto condito da un’ironia velata anche di doppi sensi e una vena di nostalgia.
Percorse da solo la strada degli inizi, quella più difficile ed incerta, non cedette né alla paura né alla  mancanza di cultura che, nel suo caso oserei definire fu un valore perché gli permise di servirsi della semplicità, del dialetto, dei modi di dire e di fare dei siciliani che hanno capito tutto questo e lo hanno amato. Come sempre accade, sono gli incontri che cambiano la vita. Il suo fu quello con Salvatore Polara, un musicista napoletano che nel 1945 lo inserì nel suo gruppo, gli Striscianti, dove ricevette uno stipendio di 6 lire a settimana. Continuò a raccontare la Sicilia ovunque gli era possibile, costruendo un personaggio poliedrico che poi gli consentì di acquisire l’esperienza che mise a frutto con Francesco Ingrassia, detto Ciccio,attore in una compagnia teatrale, col quale  iniziò una lunga collaborazione che avrebbe dato vita a una coppia destinata al grande successo, realizzando insieme 132 film.
Nell’ambito personale, da sicilano verace creò la sua famiglia, sposandoIrene Gallina dalla quale ebbe due figli, Maria Letizia, il 31 luglio 1961, e Massimo, il 10 maggio 1965.
Fattitaliani incontra oggi proprio Massimo che ci parlerà di Lui ma anche della famiglia che gli diede forza e sostegno nei momenti di difficoltà. Massimo Benenato, nasce a Palermo e dopo aver preso il diploma di ragioneria, dal 1978 al 1988 studia chitarra classica con il maestro Vincenzo Mancuso e pittura e scultura con la professoressa Silvana Pierangelini Recchioni. Gestisce diverse attività commerciali, tra cui una libreria di quartiere, esperienza terminata a malincuore nel 2015. Appassionato da sempre di scrittura nel 2009 esordisce con il suo primo libro, un fantasy per  ragazzi dal titolo “Geremia Fiore e il libro di Oberon” edito Direkta. Il 23 marzo 2019 pubblica “Sotto le stelle di Roma”, romanzo di genere brillante che strizza l’occhio alle commedie cinematografiche americane.

Eccoci qui Massimo a parlare di un siciliano sul quale sono state dette tantissime cose, perché la sua lunga carriera gli permise di cimentarsi in tutti i campi dello spettacolo. Noi vogliamo scoprire qualche aspetto meno noto di lui, ad es. quello di padre. Innanzitutto che ricordo ne ha Lei?  
Papà, prima di essere stato un artista straordinario è stato un essere speciale: bastava la sua presenza a rendere l’atmosfera rilassata e allegra, ovunque ci trovassimo. Era estremamente generoso, non sopportava le ingiustizie e interveniva sempre in aiuto delle persone in difficoltà. Aveva avuto un’infanzia difficile, sofferto la fame, condizione che, nonostante il successo, lo ha portato a rimanere sempre se stesso, senza mai montarsi la testa. Stava bene in qualunque contesto si trovasse, trattando tutti con il massimo rispetto. Con lui ho un dialogo che non si è mai interrotto: ogni giorno gli parlo sapendo che mi ascolta. Io credo che chi ci lascia non vada molto lontano, che a dividerci sia un semplice velo che, anche se mi impedisce di godere del contatto corporeo, non mi ostacola dal sentirlo comunque presente. 

Essere il figlio di Franco Franchi è una difficile eredità? Se lo è, in che senso?
Essere il figlio di un personaggio così celebre ha i suoi lati positivi e quelli negativi. Le persone tendono a identificarlo con me, ad azzardare paragoni caratteriali che possono creare aspettative sbagliate. Per quanto abbia ereditato molte delle sue qualità, siamo due persone diverse ed, a volte, è difficile farlo capire agli altri. Purtroppo non ho la sua verve comica ed esprimo la mia personalità in maniera meno espansiva, preferendo la scrittura per farmi conoscere. D’altro canto, è bellissimo sentire il calore che la gente conserva nei suoi confronti, usufruire di un credito così grande soltanto perché sono suo figlio. In questo periodo vado in giro per l’Italia per promuovere il mio nuovo romanzo “Sotto le stelle di Roma”, una storia brillante piena di intrighi amorosi e colpi di scena. La cosa che mi gratifica di più è vedere l’entusiasmo delle persone al mio arrivo, gli abbracci e le strette di mano che mi riservano nonostante non mi conoscano. Per me il suo nome è un biglietto da visita importante, un sostegno fondamentale che cerco di onorare nel migliore dei modi.

Cosa ritrova in sé di Lui?
Papà mi ha trasmesso la sua grande creatività e la passione per ogni forma d’arte. A lui piaceva suonare tanti strumenti, dipingere, cantare, scrivere… tutte attività che svolgo quotidianamente anche io. Mi ha insegnato a rispettare il prossimo e l’ambiente, a non avere stupidi pregiudizi, a pensare con la mia testa, a mettere al primo posto l’amore in tutto quello che dico o faccio. Con il suo coraggio e l’ironia mi ha indicato gli strumenti migliori per affrontare questa vita senza timore.

S è mai chiesto perchè ancora oggi, è così amato da tutti. Lo abbiamo constatato da un recente spettacolo teatrale portato in scena e diretto dal Regista Felice Corticcchia.
Papà è ancora così amato da tutti perché è riuscito con la sua innata simpatia e la bravura di artista, a rallegrare le giornate degli italiani per tanti anni, esprimendo una comicità diretta, facilmente comprensibile e mai volgare. La sua straordinaria mimica, la grande comunicabilità e la semplicità del personaggio, hanno fatto breccia nel cuore degli spettatori, sia grandi che piccoli, tanto da farlo arrivare ad essere considerato uno di famiglia. Naturalmente lo stesso vale per Ciccio, compagno di viaggio con il quale ha formato una coppia unica, capace di realizzare tantissimi film. Non c’è da meravigliarsi se registi bravi come Felice Corticchia portano attualmente in scena spettacoli dedicati a loro.

Lei ha raccolto qualcosa della sua vita artistica e familiare che permetta anche ai suoi figli di poterne parlare?
Di Papà abbiamo conservato alcuni dei suoi scritti, i dischi, i dvd di buona parte dei film, i suoi dipinti, fotografie, filmati privati, vestiario di scena e tanti oggetti personali. Di recente il comune di Palermo ha destinato palazzo Tarallo, nel famoso quartiere di Ballarò, a sede per l’apertura di un museo dedicato alla coppia. Noi delle famiglie forniremo tutto il materiale necessario all’allestimento, in modo da poterli far conoscere alle nuove generazioni, cercando di rendere la mostra interattiva e multimediale. Come vede, sicuramente ci sarà modo per parlare ancora di loro in avvenire.

Succede a tutti di contestare i genitori, in che cosa non vi trovavate d’accordo?
Difficilmente ci trovavamo in disaccordo, papà era per il dialogo e quando c’era qualche problema da risolvere, ne parlavamo insieme. Era abbastanza permissivo e ci concedeva una certa fiducia, anche per responsabilizzarci. Certo, se combinavamo qualche guaio, diventava severo e ci metteva in riga senza discutere più di tanto. Fortunatamente, sia io che mia sorella Letizia, ci comportavamo seguendo le regole e quindi di vere e proprie contestazioni non ce ne sono state.

Un cenno ad un figura che non si è mai esposta ma che, presupponiamo, sia stata fondamentale per lui: sua madre. Ci accenna qualcosa di Lei?
I miei genitori si sono conosciuti molto giovani, quando mio padre era tutt’altro che famoso e la povertà regnava sovrana. Il loro è stato indubbiamente un matrimonio d’amore, anche se non sono mancati problemi dovuti alle lunghe assenze di papà per il lavoro. Mia madre Irene è una donna molto semplice, silenziosa, dedita alla famiglia: la tipica casalinga che mantiene in ordine la casa e si occupa delle incombenze quotidiane. Non ha mai voluto partecipare al lato mondano della carriera di papà, evitando interviste e apparizioni in pubblico. È grazie a lei se noi figli siamo cresciuti in un ambiente normale e stabile.

Riscontra, oggi, una figura nel panorama dello spettacolo che possa essere definita il nuovo Franco Franchi?
Sinceramente non vedo nessuno che possa considerarsi l’erede di mio padre. Nel panorama artistico ci sono diversi attori comici bravi e preparati ma non mi sembra che qualcuno di loro abbia una mimica altrettanto flessibile, la stessa snodata gestualità fisica per poterlo emulare.

Se Lei potesse incontrarlo cosa gli direbbe?
Se lo incontrassi lo ringrazierei per tutto l’amore che mi ha dato, per essere stato un padre sempre presente nei momenti importanti, per avermi trasmesso i giusti valori e reso la mia giovinezza allegra e spensierata. Ma questo lui lo sa già!

Grazie Massimo per la sua disponibilità ad incontrare FATTITALIANI, per averci fatto comprendere che Franco non fu solo un’eccellenza nello spettacolo ma anche un grande papà. Superfluo dire che vivrà sempre nel nostro ricordo e, con lui, tutte le”maschere” da lui interpretate, rese vive da una plasticità facciale e da un sorriso che ci hanno alleggerito momenti pesanti nella vita. A lui non possiamo chiedere la conferma ma, a detta di tanti attori comici, è più difficile far sorridere che fare piangere. Lui lo sapeva fare così bene e in modo così personale, che ci piace immaginarlo lassù che continua continuare a farlo con Ciccio che gli è vicino. Concludiamo così, come due siciliani che hanno reso omaggio al padre e all’uomo di spettacolo, due ruoli vissuti con grande umanità, quella  che lo ha reso un Grande Siciliano, che dal 9 dicembre 1992 riposa nella sua Palermo, nel Cimitero di Santa Maria dei Rotoli.


Lamarea presenta il disco "Respiro". L'intervista

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Un disco che torna a scavare nelle radici musicali della band ma con il sapore di un respiro nuovo, decisamente più scuro seppure vivo e vibrante in ogni sua sfumatura. Un emergere quasi violento da acque profonde per cercare avidamente l'aria nel caos della quotidianità.  Infatti nella vita reale esiste sempre un buon motivo per continuare a combattere ed è proprio questo che traspare dai brani che compongono “Respiro”, il nuovo intenso album dei Lamarea, in uscita a fine Gennaio 2019 per The Kids Are Alright / Dcave records. Un album ricco di emozioni contrastanti, forti e passionali ma che svela sempre un velo di ottimismo.

- Parlateci del del nuovo album. Che impronta avete voluto dargli?
Grazie al nostro produttore Daniele Grasso abbiamo dato un sound molto piy rock rispetto al disco precedente. Più crudo, diretto diciamo.

- Quali sono i vostri cantanti di riferimento?
Veniamo tutti da generi molto differenti. Diciamo che alcuni tra gli artisti che ci accomunano sono Led Zeppelin, Queen, Red hot chili peppers e Tra I più recenti Imagine Dragons e kings of Leon

- Qual è l'esperienza lavorativa che più vi ha segnato fino ad ora?
Per quanto riguarda l'esperienza in studio sicuramente il lavoro fatto con Daniele Grasso, per quanto riguarda invece il live sicuramente la finale di Emergenza festival all Alcatraz di Milano.

- Invece quella mai fatta e che vi piacerebbe fare?
Un sogno sarebbe suonare sul palco del Primo Maggio a Roma, stiamo lavorando duro per poterci arrivare!

- Progetti futuri? Farete un tour?
Per adesso ci stiamo preparando per la finale di Sanremo Rock, che si terrà la prima settimana di giugno proprio al teatro Ariston di Sanremo. Per il resto vedremo strada facendo!



​Valerio Scanu, il 26 Aprile esce il nuovo singolo "AFFRONTIAMOCI"

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Da venerdì 26 aprile, in radio e in digitale, AFFRONTIAMOCI il nuovo singolo di VALERIO SCANU scritto da Giulia Capone, Davide Papasidero e Niccolò Verrienti. 

"Affrontiamoci è uno stimolo al confronto tra noi stessi e le nostre vite - racconta ValerioÈ un invito a guardarci un pò più da vicino per scoprire che lasciando andare via i propri fantasmi è più facile ripartire e che è proprio da un momento di dolore che tutto può assumere  un nuovo senso". 
Intanto Valerio si prepara per il tour estivo e ritorna LIVE regalando, in lungo e largo per l’Italia, uno straordinario spettacolo in cui ripercorrerà e festeggerà con il suo pubblico i suoi primi. DIECI anni di carriera. Un lungo percorso umano ed artistico raccontato con i brani del suo repertorio ma non solo, duetti, gag, aneddoti. 
Il suo talento va oltre la musica: vera e propria star a tutto campo, negli ultimi anni, con il suo eclettismo e la sua spontaneità, ha conquistato il pubblico vastissimo di trasmissioni televisive come Tale e Quale Show, L’isola dei famosi, Ballando con le stelle e Kudos. Il 5 ottobre 2018 scorso, Valerio ha festeggiato i suoi 10 anni di carriera con un nuovo album di inediti intitolato "Dieci" che ha visto la partecipazione di giovani autori di grande talento tra cui Simonetta Spiri, Tony Maiello, Davide Sartore, Niccoló Verrienti, Emilio Munda. L’album ha debuttato al secondo posto della classifica FIMI.
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www.youtube.com/valerioscanuofficial 

Camilla Cuparo, regista teatrale, sceneggiatrice, pittrice: … essere nata in Calabria è stato determinante, per le scelte che ho fatto e per il carattere che ho …

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Intervista di Andrea Giostra .

Ciao Camilla, benvenuta e grazie per la tua disponibilità. Se volessi presentarti ai nostri lettori cosa racconteresti di te quale artista della narrazione?
Ciao Andrea, grazie a te. È un piacere. Io sono nata da una madre che amava cantare e scrivere ma che, da bambina, ha dovuto imparare a fare il pane “da vendere”, e da un padre amante della musica che, cresciuto senza padre, si è sempre spaccato la schiena per lavorare. Entrambi con una mente geniale, creativi e amanti dell’arte. Hanno fatto enormi sacrifici per farmi studiare e devo a loro quello che sono. Ma anche essere nata in Calabria è stato determinante, per le scelte che ho fatto e per il carattere che ho. La passionalità e la “rabbia” che segnano le mie opere mi vengono certamente dall’essere calabrese. Ma anche l’amore, quello che muove le viscere e che mi fa essere empatica, compassionevole… quando scrivo ho una regola importante: non tradire mai tutto questo. Quando scrivo sono lo Ionio, la Sila e il sole cocente.

Qual è stato il tuo percorso artistico che ti ha condotto dove sei ora?
Ho iniziato a suonare il pianoforte a cinque anni, quando ancora non sapevo né leggere né scrivere. Ma già dipingevo. A otto anni ho scritto il mio primo romanzo, che ancora conservo. Ho frequentato il liceo artistico in una sezione di architettura e il conservatorio di musica, fino all’ottavo anno. Poi sono stata investita e ho trascorso molti anni a recuperare il mio corpo. Nel frattempo ho frequentato la scuola di teatro di Beatrice Bracco. È stato un momento di formazione importante. Lei era una grande didatta. Ce ne sono pochi. Ho indirizzato il mio percorso di formazione sull’insegnamento proprio per questo. Amo insegnare. E studiare. Ho approfondito lo studio dei sensi e lo sto facendo ancora, attraverso una ricerca sul corpo depositario. Sono anche una conduttrice di classi in esercizi di analisi bioenergetica. Ho studiato per tre anni all’IIFAB di Roma. E continuo a studiare. Sono curiosa.

Come definiresti il tuo stile narrativo? Chi sono i tuoi modelli e chi sono stati i tuoi maestri che vuoi ricordare in questa intervista?
Domanda interessante e difficile. Quando scrivo cerco di essere diretta, senza filtri ma anche di mantenere una bellezza di linguaggio, di parola intesa come suono. La parola devo sentirla in bocca come cibo, deve avere un profumo, una consistenza, un gusto che mi carezza le papille gustative. La parola la vivo con tutti i sensi. Non credo di avere un “modello”. Posso dirti che al liceo sono stata folgorata dalla scrittura di Emile Zola. Ho letto tutte le opere. I maestri che mi hanno segnata certamente sono quella delle elementari, Caterina Carella, bravissima, severa, materna. Ha sempre creduto in me. Certamente il mio maestro di pianoforte, Michele Pisciotta… lui era capace di mettere un solo dito sul piano e farti piangere per ore ogni cellula, per la bellezza che ne tirava fuori. E poi, ovviamente, Beatrice Bracco. A lei devo tantissimo. Io ero timida (e lo sono ancora, per fortuna) insicura e piena di paura. Una volta mi disse: in tanti anni di insegnamento non ho mai avuto un’allieva così talentuosa. Salgo sul palco rarissime volte ma, ogni volta che lo faccio, cerco di non deludere quel suo pensiero.

Se dovessi consigliare tre autori stranieri e tre autori italiani, chi consiglieresti di leggere e perché?
Sugli italiani ti dico subito: Pavese, Pasolini e Fava. Per la malinconia, la lucidità, la poetica freddezza, il narrare sinuoso… il malessere e anche la voglia di divorare la vita. E concedimi – anche se è un drammaturgo - De Filippo, per come ha saputo descrivere l’umanità. Con gli stranieri sono in difficoltà perché ne avrei troppi. Di Scott Fitzgerald, Hemingway, Miller, Mc Ewan, McCarthy e Bukowski, ho letto tutto. Abilità narrativa e occhio alla camera. Ogni pagina un insieme di immagini, colori, anime, emozioni… Arundhaty Roy ha scritto quello che, per me, è un capolavoro assoluto: Il Dio delle piccole cose. Un romanzo che non puoi spiegare ma solo vivere. Ho letto tutto Orhan Pamuk, Doris Lessing, la Allende e amo visceralmente la poesia narrativa di Mahamoud Darwish. Da drammaturga non posso non citare Shakespeare, per la lungimiranza e la potenza. Immortale e irraggiungibile.

Chi sono secondo te i più bravi sceneggiatori nel panorama internazionale e nazionale? E con chi di loro ti piacerebbe lavorare e perché?
Per prima cosa specifico che io scrivo per il cinema da pochissimi anni e che quindi non voglio mancare di rispetto a nessuno facendo delle preferenze. Ti dico quali i film che ho amato, pensando, chiaramente, alla scrittura, così evito di farmi dei nemici. Charlie Kaufman per “Eternal Sunshine of the Spotless Mind” e “Being John Malkovich”. Tutta l’opera dei fratelli Coen, di Kubrick, di Lee; Eastwood con le sceneggiature di Paul Haggis, Brian Helgelan, Nick Schenk, Michael Straczynski e Richard LaGravenese. Ma come posso non parlarti di Bergman, di Kieslowski e von Trier o de I 400 Colpi di Truffaut? Per gli italiani certamente De Sica con la penna di Zavattini; Comenicini e Monicelli con la penna della Cecchi D’Amico. Ti dirò quali sono i registi per i quali vorrei scrivere. In Italia certamente Garrone, Tornatore, Costanzo, Crialese e Patierno ma anche Mainetti, i D’Innocenzo… chiaro che c’è tutto un filone che punta più sulla commedia, che mi piace molto ma che non è il mio genere, però riconosco belle penne dietro. Per il cinema internazionale, che dire? Chi, per i Coen, Eastwood, Stone, Trier, Haneke e Nolan non farebbe la valigia? Per Steve Mcqueen la farei subito!

«La sceneggiatura è il genere di scrittura meno comunicativo che sia mai stato concepito. È difficile trasmettere l’atmosfera ed è difficile trasmettere le immagini. Si può trasmettere il dialogo; se ci si attiene alle convenzioni di una sceneggiatura, la descrizione deve essere molto breve e telegrafica. Non si può creare un’atmosfera o niente del genere…» (Conversazione con Stanley Kubrick su 2001 di Maurice Rapf, 1969). Cosa ne pensi delle parole di Kubrik sulla sceneggiatura? Quanto è importante la sceneggiatura per la realizzazione di un’opera cinematografica?
Se lo sceneggiatore è anche regista e ha bene in mente ogni singola immagine, allora la descrizione può essere telegrafica. Può esserlo nel caso in cui uno sceneggiatore e un regista lavorino insieme sempre e l’intesa è tale da ridurre le descrizioni al minimo. In ogni caso sono convinta che un film debba funzionare sulla carta. Dico anche che ci sono “registi” capaci di appiattire anche la più grande delle storie. Le inquadrature sono come i colori per un pittore. Se non sa dipingere puoi presentargli un colore o la tavolozza migliore che hai… imbratterà la tela. O Dio… oggi qualche imbrattatore di tele vale più di pittori geniali. C’è una grande confusione in campo artistico. E molto, di questo, è dovuto ai social, che innalzano e livellano tutto. O lo seppelliscono.

«Le sensazioni date dalla storia la prima volta che la si legge sono il parametro fondamentale in assoluto. (…) Quella impressione è la cosa più preziosa che hai, non puoi più riaverla: è il parametro per qualsiasi giudizio esprimi mentre vai più a fondo nel lavoro, perché quando realizzi un film si tratta di entrare nei particolari sempre più minuziosamente, arrivando infine a emozionarsi per dettagli come il suono di un passo nella colona sonora mentre fai il mix.» (tratto da “La guerra del Vietnam di Kubrick”, di Francis Clines, pubblicato sul New York Times, 21 giugno 1987). Cosa ne pensi di queste parole di Kubrik sulle storie narrate da trasformare in film? Qual è la tua prospettiva in proposito?
Posso risponderti da regista teatrale e drammaturga. Io parto sempre da un’idea silente che per mesi si muove nella mia testa e fino a quando non mi coglie ogni organo resta lì, a fermentare. Deve stravolgermi, farmi male e bene e, se non accade, quell’idea non era buona o io non sono pronta per farne qualcosa, che sia uno spettacolo o un film, una canzone o un dipinto. Per ogni spettacolo impiego non meno di sette mesi, a volte un anno di lavoro. Scrivo, abbandono, rileggo. Abbandono ancora. Inizio a leggere ad alta voce e, nonostante abbia chiaro che si tratti di teatro, l’occhio è alla “camera” e allora, fino alla prova generale, ogni dettaglio diventa l’occhio della camera che ingigantisce tutto e pretendo da me e dagli attori una perfezione maniacale. Soprattutto emozionale. Nonostante ciò, ogni sera, quando si spengono le luci in sala, ho paura. Mi chiedo se ho fatto abbastanza per rendere esattamente quello che volevo. Sono molto severa con me.

Charles Bukowski, grandissimo poeta e scrittore del Novecento, artista tanto geniale quanto dissacratore, in una bella intervista del 1967 disse… «A cosa serve l’Arte se non ad aiutare gli uomini a vivere?» (Intervista a Michael Perkins, Charles Bukowski: the Angry Poet, “In New York”, New York, vol 1, n. 17, 1967, pp. 15-18). Tu cosa ne pensi in proposito. Secondo te a cosa serve l’Arte della scrittura, della narrazione, del raccontare, dello scrivere?
Io ho iniziato a scrivere per il teatro all’inizio degli anni 2000 con uno spettacolo che parlava di stupro. Poi ho parlato di guerra, di terrorismo, di malattia, femminicidio, immigrazione… spesso sono stata additata come “pesante” anche da chi non ha mai visto uno solo dei miei spettacoli. Oggi tutti vogliono fare teatro impegnato, anche quelli che ci andavano giù pesante con la mia drammaturgia. E, lasciami togliere qualche sassolino dalla scarpa, se lo fai solo per moda, il risultato è pessimo. Io ho scelto la scrittura d’impegno civile perché sono convinta che l’Arte debba farci porre delle domande. Non ho risposte. Non credo ce ne siano. E non amo le storie con la morale finale. Quando qualcuno mi dice: mi scrivi una bella storia, forte, di quelle che fanno piangere? Io scappo via a gambe levate, perché ci sento dentro la pochezza, l’affare studiato a tavolino per fare botteghino. Ma chi scrive ha una grossa responsabilità. La penna non può essere la puttana di questo o quel produttore per il solo profitto. La penna si impugna come un’arma o come una carezza. Non esistono vie di mezzo. Oggi ce ne sono tante di vie di mezzo. Basta entrare in una qualsiasi libreria, aprire un libro a caso e leggere… o guardare alcuni film o fiction in tv. Ma anche al cinema. Non si narrano più le storie perché si ha veramente voglia di narrare. È sempre un trito di cose viste e riviste. O pagine totalmente inutili… i produttori, i distributori e le case editrici hanno una grande responsabilità nella divulgazione della mediocrità dei tempi moderni. Io non credo che il pubblico voglia la mediocrità. Dobbiamo smetterla di aggrapparci a questa scusa, perché fa comodo. Credo, invece, che il pubblico sia affamato e, proprio per questo, se non ha altro da divorare divora il mediocre. Ma l’eccellente lo capisce e come. Manca il coraggio di servirglielo.


Perché secondo te oggi il cinema è importante?
Più che importante oggi è diventata una vera e propria sfida. Nel senso che le nuove generazioni hanno un nuovo modo di vedere e concepire le storie. È difficile portare i giovani al cinema e quindi è diventato difficile fare cinema perché le sale non si riempiono più. Fatta eccezione per pochissimi autori e registi. O generi. Anche i tempi della narrazione sono cambiati. Non mi chiedono più “mi scrivi un film?” ma: mi scrivi una serie per XXXXX? Io appartengo ancora alla generazione del grande schermo. Mi rifiuto di credere che quell’emozione possa morire schiacciata dai video di cellulari e computer. La sfida è continuare ad andare in parallelo, scrivendo e promuovendo le giuste storie per continuare a portare la gente al cinema.

A cosa stai lavorando in questo momento? Quali i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti di lavoro?
Ho da poco concluso l’ultima stesura di una sceneggiatura tratta da uno dei miei spettacoli teatrali, METROPOLI’S. È la storia di un gruppo di adolescenti che nascondono un segreto inconfessabile e tutto ruota intorno agli interrogatori di questi ragazzi che, tassello dopo tassello, ricostruiscono l’intera vicenda. Sta partendo la preparazione del film ALI SPEZZATE, del quale ho scritto la sceneggiatura, sulla vicenda della piccola Annalisa Durante, uccisa per sbaglio nel 2004 dalla camorra. Ho concluso la stesura del romanzo IL DOPPIO MURO, dal quale è stata tratta l’opera teatrale che vinse il secondo Premio al Mario Fratti di New York per la drammaturgia, nel 2014, e sto concludendo la prima stesura di una nuova sceneggiatura, CORVICATI VIVI. In teatro ho un importante debutto, THE CRADLE, che parla di un problema gravissimo e sottovalutato: la depressione post partum. E poi sto lavorando per mettere insieme tutte le canzoni che ho scritto in questi anni, alcune hanno vinto il Premio della Critica al Premio Mia Martini, al Valentina Giovagnini o al Botticino Festival. Ho qualche idea. Di quelle non più tanto silenti…

Immagina una convention all’americana, Camilla, tenuta in un teatro italiano, con qualche migliaio di adolescenti appassionati di cinema e di belle storie. Sei invitata ad aprire il simposio con una tua introduzione di quindici minuti. Cosa diresti a tutti quei ragazzi per appassionarli al mondo della settima arte e della narrazione? Quali secondo te le tre cose più importanti da raccontare loro sulla tua arte?
…una bella storia inizia con un bel salto nel buio: la convinzione che quella storia sia giusta. Una bella storia rinasce tutte le sere quando in sala cala il buio e lo spettatore già vibra di emozione. Una bella storia resta se nel buio della propria stanza, lo spettatore continua a ripensare a ciò che gli abbiamo raccontato… non se ne sa staccare e non sa neppure spiegarsi il perché ma è segnato. Allora, operando nel buio, abbiamo creato uno spiraglio di luce. La giusta storia inizia quando qualcuno ha il coraggio di dire che non è vero che tutte le storie sono belle storie da raccontare. La maggior parte delle belle storie sono come delle invitanti torte in vetrina, ma inacidite dentro. Fanno male. A tutti. Da chi le produce a chi le guarda. Bisogna insegnare alle nuove generazioni a non lasciarsi attrarre dalle vetrine. La verità è che oggi potremmo fare a meno di centinaia di film, così come di libri e di musica. Ma non possiamo fare a meno di Beethoven, di Caravaggio, dei Queen o di film come C’era una volta in America o Matrix. Questo perché, in fondo, sappiamo distinguere la potenza della vera Arte. Perciò bisogna distinguere la mediocrità - che nasce sempre dalla faciloneria o dalle raccomandazioni - dall’eccellenza, che è frutto di studio continuo. E premiare quest’ultima. Distinguere tra chi fa Arte per apparire e chi scrive con etica e rispetto verso l’Arte stessa. Non si scrive per l’applauso o la gloria. Si scrive perché è l’unico modo che un artista ha di ringraziare il Fato per il dono che gli ha concesso. Senza fronzoli stilistici. Si scrive senza vendersi. Si scrive perché si legge e si osserva tanto ed è un modo per tirar fuori un eccesso fruttuoso di emozioni. Soprattutto non possiamo avere sempre qualcosa da dire, perché significa che non siamo mai veramente in ascolto verso ciò che vogliono o vorrebbero dire gli altri. Saper ascoltare è il più grande dono per chi vuole raccontare storie. Tre cose su di me. Difficilissimo. La prima, certamente, è che nella mia testa ci sono più Camilla. È l’Arte che si divide in drammaturgia, cinema, pittura o musica. Io non ho mai costretto nessuna delle mie me a sovrastare l’altra. Questo è l’unico modo che ho affinché ogni cosa che creo sia spontanea e mai imposta, nemmeno da me stessa. La seconda è che non ho mai avuto padroni – e questo a costo di fare la fame - perché rispondo solo alla mia coscienza di artista e voglio assumermi ogni responsabilità di ciò che creo. In passato ne ho avutiper quanto riguarda la scrittura cinematografica e non ha funzionato. Non funziona mai quando lascio pilotare le mie idee da altri. …la terza…  tutte le mattine mi sveglio e dico alle Camilla: dai, facciamo questo bel salto nel buio!

Camilla Cuparo


Andrea Giostra

Carmine Perito presenta Artisticamente, associazione culturale senza scopo di lucro per promuovere e tutelare l'arte

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Foto di Renata Marzeda

Intrevista di Emanuela Del Zompo.

Carmine Perito, giornalista e fotografo è Presidente dell'associazione ArtisticaMente che ha promosso l'evento la Mente Artistica alla sua VII edizione.
Giovani donne ed artiste da tutto il mondo e con tutte le forme d'arte hanno messo in mostra ed espresso la propria arte, la propria individualità ed il proprio modo di essere donna attraverso questa manifestazione che si è svolta presso il Pio Sodalizio dei Piceni a Roma.


Come nasce questo evento, quale il suo obiettivo ed il messaggio?
Risponde Carmine Perito: l'evento ha visto partecipare circa 600 artiste provenienti da tutto il mondo.  Ho creato questo evento per il bisogno di tutelare l'arte e le donne che portano avanti il loro lavoro artistico. Infatti è un evento dedicato esclusivamente alle donne. Non esiste purtroppo in Italia una tutela del lavoro dell'artista. Tengo a precisare che questo evento è realizzato con il contributo di sponsor e che gli artisti non pagano nessun contributo per partecipare al progetto.

Come sceglie le artiste che partecipano ogni anno a questo evento?
Non sono io a scegliere ma lo fanno i governi e i loro rappresentanti a proporre le performance artistiche. Voglio dire che ogni ambasciata dei Paesi esteri rappresentati in Italia, selezionano i loro artisti e le loro opere.

Come mai questa particolare attenzione verso la donna?
Sono nato l'8 marzo: ho sempre sostenuto l'importanza dell'essere femminile e penso che noi uomini dobbiamo imparare a rispettare le donne come rispettiamo noi stessi. La vita senza donna è come l'anima senza il cuore.

Ci sono limiti d'età per partecipare?
L'arte non ha limiti: purtroppo la politica non fa molto per l'arte, non le riconosce il giusto peso e bisogna sdoganare questo messaggio che l'arte non produce, che sia superflua.

Cosa porta questo evento ad un artista?
A parte la visibilità che offre questa vetrina, ci sono altre opportunità. Ad esempio abbiamo avuto una ragazza del Guatemala che ha avuto la possibilità di esporre nel Cairo, ed il governo si è fatto carico di tutte le spese di questa operazione.
Le ambasciate coinvolte in questo evento sono quella dell'Uruguay, Ucraina, Slovenia, Cile, Columbia, Moldavia, Marocco, Palestina, Indonesia, Emirati Arabi Uniti, Guinea e Guatemala. Ospite d'eccezione il conduttore Massimo Giletti.

Ci sono altri eventi in programma?
Si Artag, sarà un evento aperto a tutti, uomini e donne e lo definisco un abbraccio tra i popoli, uno scambio non solo culturale.


Gigantesca torta e concerto per il 30° anno del Galà delle Margherite di Biancamaria Lucibelli

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Foto di Giancarlo Fiori

di Ester M. Campese - Un vero e proprio cult oramai il “Galà delle Margherite” di Biancamaria Caringi Lucibelli, che ogni anno si svolge presso l’Hotel Excelsior in Roma.  La manifestazione giunta alla sua 30° edizione ha un suo leitmotiv, presente anche sul sito di “Biancamaria Caringi Lucibelli ed è: “Sognare da soli è solo un sogno, sognando insieme il sogno diventa realtà”.
Ogni edizione della manifestazione prevede infatti anche una raccolta fondi il cui ricavato della serata solidale di quest’anno è destinato alla Onlus Cabss. Cabss (Centro Assistenza Bambini Sordi e Sordociechi) è un’associazione Onlus che offre programmi ai bambini che vengono realizzati all’interno di un laboratorio multisensoriale, adattabile alle esigenze di ogni singolo bambino. Il Centro accoglie anche i genitori ed offre loro supporto nel lavoro di crescita dei propri figli, e insegna loro metodi e tecniche per costruire relazioni efficaci con i piccoli. Presidente dell’associazione è il Dott.Roberto Wirth, presente al Galà.

Gli egregi conduttori della serata sono stati l’orami storico Nino Graziano Luca, conduttore RAI, affiancato per il secondo anno dalla deliziosa Manuela Maccaroni ex giudice del programma RAI “Verdetto Finale”. Gli ospiti sono stati accolti per l’aperitivo, nell’atrio prospiciente la sala principale, da una cascata di margherite disseminate ovunque, da flûte di spumante e dall’incantevole musica dell’arpista Giovanna Ofelia Berardinelli tra le pochissime cantanti/arpiste in Italia, specializzatasi in musiche celtiche.

L’apertura della serata dopo l’aperitivo è avvenuta con la fantastica voce di Azzurra Lucibelli in arte ZUA, nipote di Bianca Maria Lucibelli, che ha cantato il suggestivo brano dal titolo, “Never Enough ” di Loren Allred, letteralmente tradotto con “Non è Mai Abbastanza” a sottolineare in particolare quanto sempre si possa e debba fare anche per gli altri, mission da sempre del Galà. Subito dopo ecco l’esibizione dell’attrice e cantante, Elena Bonelli, nota voce romana che ha omaggiato il grande Ennio Morricone con diversi brani.

Un gradevole intermezzo moda si è avuto con la sfilata degli eleganti abiti black and white della maison Via della Spiga Milano accompagnati dagli esclusivi gioielli scultura di Marina Corazziari.

A seguire il concerto condotto dal maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli “Amore dopo Amore” con ensemble dell’Orchestra Sinfonica Europa Musica Renzo Renzi e le voci dei solisti il soprano Silvana Froli ed il tenore ucraino Vitaliy Kovalchuk. 

Moltissimi gli ospiti Vip di riguardo presenti tra gli ospiti della trentesima edizione del Gran Galà delle Margherite, tra i quali anche il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani accompagnato dalla moglie Brunella Discoteca, seduti per il concerto affianco alla Dott.ssa Laura Azzali da anni preziosa collaboratrice di Biancamaria Caringi Lucibelli in questa Manifestazione.

Presente anche Tonino Boccadamo presidente della Boccadamo Gioielli, la presentatrice Rai Alessandra Canale, il Press Agent Emilio Sturla Furnò, Luca Iannarone dell’azienda Interflora, Anna Fendi, lo stilista Massimo Bomba prestato “momentaneamente” all’arte, la stilista Eleonora Altamore fasciata da una sua creazione in verde con deliziosi fiorellini, la contessa Erika Emma Fodrè che indossava una delle creazioni Altamore, la dott.ssa Rosetta Attento e la manager Eva La Certosa accompagnata dal marito.

Ed ancora la giornalista Paola Zanoni elegantissima nel suo abito rosso a tema floreale, il Marchese Giuseppe Ferrajoli.
Non poteva mancate la dott.ssa Rossana Lanzon facente parte del comitato d’onore del Galà delle margherite, l’architetto Maurizio Moretti, il Marchese Riccardo Bramante, l’ufficio stampa Francesco 
Caruso Litrico, la manager Roselyne Mirialachi con il compagno Emily, la poetessa Anna Maria Stefanini, lo stilista Roberto Cagnetta, Alessandro D’Orazio e la stupenda avvocato Laura Nuccetelli nel suo delicato abito crema ed anche l’organizzatrice di eventi Maria Dolores Balsamo.

Non è mancata per l’occasione nemmeno la manager Marialuisa Lo Monte Giordano con un simpatico ed estroso fascinator blue, il noto look maker delle dive Sergio Tirletti con la sua incantevole camicia piena di margherite, la modella Taty Tatiana che sfoggiava un abito giallo con margherite arancio.

Ed ecco ancora la bellissima Miss Elisabetta Viaggi, lo stilista Ilian Racov, la pittrice Ester Campese in abito nero e strass, il filosofo Luciano Bernazza con Graziella Moschetta, la giornalista RAI Antonietta di Vizia con il suo compagno, lo scrittore Marco Petrillo, il critico d’arte Maria Pia Cappello e moltissimi altri nomi e volti noti della movida romana, davvero impossibile nominarli tutti.

Al termine del concerto la charity dinner, nel corso della quale anche c’è stata anche una riffa con estrazione dei numeri presenti nell’invito e poi musica ed a conclusione della serata il fatidico taglio della gigantesca torta anch’essa, ovviamente, a tema margherita. 




Auguri a Gilberto Malvestuto, ultimo ufficiale vivente della gloriosa Brigata Maiella

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di Domenico Logozzo -SULMONA - Buon compleanno, carissimo amico Gilberto! Compie oggi 98 anni Gilberto Malvestuto l'ultimo degli ufficiali superstiti della storica Brigata Maiella.
Una persona meravigliosa. Nel pomeriggio mi ha telefonato: "Grazie per gli auguri caro amico mio. Lei è sempre gentile". Ed io molto emozionato: "Sono io a ringraziare lei per la bella amicizia. Orgoglioso di essere suo amico. Che voce brillante e giovanile, da diciottenne!". Gilberto si fa una risata e mi risponde: "Magari! Gli anni si fanno sentire". Una piccola pausa e poi: "Spero di esserci anche il prossimo anno! " . Gli dico di essere ottimista, il traguardo dei 100 anni è vicino. "L'ottimismo non manca...", mi risponde e mi ringrazia affettuosamente.
E' stato un colloquio emozionante e commovente con un personaggio storicamente rilevante. 98 anni spesi per la Libertà. "Ho fatto soltanto il mio dovere, ho fatto la cosa giusta, lottando e rischiando la vita con altri per la libertà dell’Italia", ripete con molta umiltà. La libertà, un bene prezioso. Da difendere. Una conquista pagata a caro prezzo. Tante giovani vite sacrificate. Ed è ai giovani che Malvestuto si rivolge frequentemente. Determinante il ruolo della scuola. "Ha una funzione importante per l’affermazione dei valori della Resistenza". Senza memoria non c'è futuro.
“Continuerò a tenere accesa la “fiammella” del ricordo finché ne avrò la forza”, assicura. Tante battaglie, lutti e dolori, quindi la grande gioia: "Quando il 21 aprile 1945 con le Sezioni mitraglieri della Compagnia Pesante della Brigata Majella al mio comando, entrai a Bologna, tra le primissime truppe liberatrici alleate, insieme ai fucilieri della prima Compagnia agli ordini del sottotenente Laudadio, una enorme folla di cittadini ci accolse osannante perché era terminato per loro l’incubo che toglieva il respiro, di una terribile occupazione nazifascista che, nella città felsinea, aveva seminato terrore e morte. Ancora oggi, nel lago dei miei ricordi di quel tempo ormai lontano, rivedo il restante territorio emiliano, al di là del fiume Reno, che fu anche teatro della nostra attività bellica successiva alla liberazione di Bologna: un territorio anch’esso violentato e martoriato durante la Resistenza da un nemico che, rinnegando le più elementari leggi dell’umanità, vi trucidò donne, vecchi e bambini innocenti. Siamo tornati più volte come reduci della “Majella” a Brisighella, a Marzabotto, a Bologna e in altre località collegate alla nostra storia di liberazione, per tuffarci sempre nel calore e nella cordialità di quelle meravigliose genti emiliane-romagnole, in cui ha sempre palpitato un’anima generosa, un cuore aperto a ogni esigenza di pace, di progresso, di giustizia". 

Pagine di storia che è sempre opportuno rileggere. “E’ scarsa in molte regioni del Sud l’attenzione della scuola, mentre al Nord c’è maggiore interesse”, osserva criticamente. E sottolinea che anche il mitico comandante Ettore Troilo riteneva necessario coinvolgere il mondo della scuola per non disperdere la memoria del glorioso passato. “Ricordo l’enorme soddisfazione di Troilo quando una trentina di anni fa Aldo Aniasi scrisse a tutti i Capi d’Istituto invitandoli a “rivalutare la Resistenza”. Non far inaridire il seme prezioso della libertà. “Ho seminato con tanti compagni che ora purtroppo non ci sono più. Continuerò a farlo, soprattutto incontrando i giovani. La libertà è un patrimonio immenso, da difendere, con ferma determinazione”. Grazie, Gilberto, e ancora tanti auguri caro amico mio!
17 aprile 2019

Un ricordo di Nostra Signora di Parigi

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di Giuseppe Lalli - L’AQUILA - Il fumo che sale dalla cattedrale di Notre-Dame di Parigi devastata dal fuoco è una di quelle immagini che danno all’anima un senso di soffocamento.
Durante l’occupazione tedesca della Francia, di fronte alla facciata della chiesa erano posizionati due carri armati, ma nessun colpo partì mai da essi: la ferocia si era arresa di fronte alla bellezza. Pare che Hitler stesso abbia detto in quella occasione che la Germania, il paese di Kant, non poteva permettersi di toccare i simboli della civiltà europea.

Nessun monumento più di questa cattedrale, unica e irripetibile, rappresenta quella Francia che è stata il cuore e la mente della “vecchia” Europa. Notre-Dame de Paris: quanta poesia tra quelle guglie che puntellano il Cielo! Quanto solido pensiero tra le severe colonne del suo interno, dove risuonava la voce ispirata dell’abate Bossuet, e dove, in una notte di Natale, tra l’incenso che saliva tra le volte austere e il canto gregoriano, lo scrittore Paul Claudel usciva credente dopo essere entrato scettico.

Notre-Dame de Paris è molto più di una chiesa: è un'espressione vivente del Cristianesimo. Come tutta l’architettura gotica, ricorda ai cristiani che devono avere i piedi ben piantati nella storia, e la mente protesa verso il Cielo. In questa cattedrale, che ho visitato, rapito da tanta mistica atmosfera, molte volte. Ho avuto la fortuna di assistere alla messa un sabato sera di tanti anni fa, quando mi trovavo a Parigi per festeggiare insieme a mia moglie i venticinque anni di matrimonio. Entrati nella chiesa nella tarda mattinata, secondo un'abitudine molto italiana e poco francese, avevamo chiesto di benedire le fedi nuziali ad un prete piuttosto anziano, che nei confronti di quello che gli era parso un gesto di sapore pagano, si era mostrato un po'...refrattario: "Je benis les personnes, pas les objets" (Benedico le persone, non gli oggetti), ci aveva risposto.

Con un altro prete, giovane e colto, dopo essermi confessato, conversai a lungo. Parlammo di Pascal e di Bernadette, di "fides" e di "ratio", di filosofia, di letteratura e di fragilità umana. Lo trovai cortese e chiaro. E dallo sguardo luminoso, nel migliore "stile" francese. Ci trovammo d'accordo su tutto. Ebbi l’impressione che le nostre anime si fossero toccate. Indimenticabile esperienza...in quella cattedrale, tra quelle severe colonne, sotto quelle fantastiche guglie. Bisogna sempre scegliere il bello: il bene e il vero seguiranno.

Osa sapere. Contro la paura e l'ignoranza di Ivano Dionigi, da oggi in libreria

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La prima difesa della democrazia è la difesa dell’intelligenza.

Di fronte all’arrivo inarrestabile di nuovi «barbari», ci ostiniamo a erigere muri, fisici e mentali, nel tentativo inutile di restituire una centralità alla nostra Europa. Di fronte al dominio pressoché illimitato della tecnica, che minaccia la nostra stessa identità personale, ogni soluzione appare effimera. Ma possiamo capire e renderci amico questo futuro-presente carico di complessità e incognite, se «osiamo sapere». A nulla vale infatti la potenza della tecnologia se alla nostra vita vengono a mancare la tensione verso uno scopo e il senso della fine: se non sappiamo restare (o tornare?) uomini.
«Nella parola uomo non avvertiamo più la natura e la terra (humus) che all’uomo ha dato il suo nome» scrive Ivano Dionigi. Osserva che in questo «tempo della retorica totale», in cui i colpi di Stato si fanno con le parole, si sta compiendo un sequestro di parole indivise e indivisibili come pace, popolo, patria. Afferma la necessità della politica, ricordando la lezione di Roma che divenne grande aprendosi ai nuovi popoli e riconoscendo cittadini (cives) gli stranieri, i «nemici» (hostes). Invoca l’urgenza del «pensiero lungo» e del dialogo tra i saperi: un nuovo umanesimo da affidare anzitutto alle Università, e a coloro che intendono professare la conoscenza, la verità, la pietas.

IVANO DIONIGI, latinista, è Presidente di AlmaLaurea e della Pontificia Accademia di Latinità, Direttore del Centro Studi «La permanenza del classico» dell’Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, di cui è stato Magnifico Rettore dal 2009 al 2015. Tra i suoi ultimi libri Il presente non basta. La lezione del latino (Mondadori 2016) e Quando la vita ti viene a trovare. Lucrezio, Seneca e noi (Laterza 2018).

Casa editrice: Solferino
Pagine: 96
 Prezzo: 7,90 euro 
Data di uscita: 18 aprile 2019
Collana: I Solferini
Formato: brossura

Enzo Salvi, Io un attore cane dal 24 aprile al 5 maggio il Teatro Tirso de Molina

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Se un attore viene definito "cane" si sente offeso. Ma per quale motivo? I cani salvano vite, sono sinceri fedeli, danno amore incondizionato, sono coraggiosi tanto da donare loro la vita se occorre.
Essere definiti "cane" dovrebbe rendere orgogliosi. Con questo spirito l'attore Enzo Salvi torna sul palco con il suo nuovo spettacolo, "Io un attore cane", dedicato agli amici a quattro zampe, cani e gatti, ma non solo, e patrocinato dall'Ordine Medici Veterinari di Roma e Provincia. Dal 24 aprile al 5 maggio il Teatro Tirso de Molina sarà regno indiscusso degli adorabili musetti con i baffi, in un viaggio alla scoperta dei legami indissolubili che si creano tra uomini e animali, anche oltre le porte del tempo. Un show, fatto di emozioni e sorrisi, con un tributo speciale all’amato pastore tedesco del protagonista, Victor, volato sul ponte dell’arcobaleno come tanti altri animali che saranno ricordati con tanto di immagini pronte a scorrere sul maxi schermo, grazie al coinvolgimento del pubblico che ha inviato foto e video dei propri compagni di avventure. Tra risate, ricordi, curiosità e stravaganze, ecco anche un’importante iniziativa che accompagnerà la perfomance dell’attore romano per tutta la durata dello spettacolo: per la prima volta, infatti, il teatro funzionerà come punto raccolta di alimenti, medicine, accessori che gli spettatori potranno portare ogni sera per dare vita ad una gara di solidarietà, finalizzata ad aiutare i numerosi volontari in prima linea ogni giorno tra rifugi e colonie.

San Gimignano, in mostra 60 fotografie per la grande retrospettiva dedicata a Helmut Newton

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È visibile dal 18 aprile, presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di San Gimignano, la grande retrospettiva dedicata a Helmut Newton promossa dai Musei Civici del Comune di San Gimignano e prodotta da Opera-Civita con la collaborazione della Fondazione Helmut Newton di Berlino.

Il progetto espositivo è di Matthias Harder, curatore della Helmut Newton Foundation di Berlino, che ha selezionato 60 fotografie con lo scopo di presentare una panoramica, la più ampia possibile, della lunga carriera del grande fotografo tedesco.

Apre “idealmente” l’esposizione il ritratto di Andy Warhol realizzato nel 1974 per Vogue Uomo, l’opera più tarda è invece il bellissimo ritratto di Leni Riefenstahl del 2000. In questo lungo arco di tempo Newton ha realizzato alcuni degli scatti più potenti e innovativi del suo tempo. Dei numerosi ritratti a personaggi famosi del Novecento sono visibili circa 25 scatti, tra i quali quello a Gianni Agnelli (1997), a Paloma Picasso (1983), a Catherine Deneuve (1976), ad Anita Ekberg (1988), a Claudia Schiffer (1992) e a Gianfranco Ferrè (1996). Delle importanti campagne fotografiche di moda, invece, sono esposti alcuni servizi realizzati per Mario Valentino e per Thierry Mugler nel 1998, oltre a una serie di importanti fotografie, ormai iconiche, per le più importanti riviste di moda internazionali.

Newton, la vita e il suo universo.

Helmut Newton (1920-2004) è uno dei fotografi più importanti e celebrati al mondo. Sin dall’inizio della sua carriera è riuscito a circondarsi di personaggi importanti dell’editoria che hanno apprezzato i suoi concetti visivi. Il risultato è un corpus di opere che, trascendendo i generi, ha raggiunto un pubblico numerosissimo di persone soprattutto attraverso riviste di moda. Le sue fotografie di moda, infatti, sono andate oltre la normale prassi ed hanno intrapreso una narrativa parallela, a volte intrisa di surrealismo o di suspense, come in un film di Alfred Hitchcock, dove, spesso, appare poco chiaro il confine tra realtà e messa in scena e dove gli elementi sono mescolati per creare un gioco di potere e seduzione. La sua fotografia ha superato gli approcci narrativi tradizionali e si è intrisa di lussuosa eleganza e sottile seduzione, oltre che di interessanti riferimenti culturali e di un sorprendente senso dell'umorismo.

Il tema ricorrente delle sue foto è la vita strabordante di eccentricità, bellezza, ricchezza, erotismo e arte culinaria. Egli ha utilizzato e contemporaneamente interrogato i cliché visivi, a volte arricchendoli di autoironia o sarcasmo, ma sempre restandovi in empatia. Newton è riuscito a unire la nudità e la moda in maniera sottile, con un senso di eleganza senza tempo. Il suo lavoro può essere considerato pertanto la testimonianza e l’interpretazione del mutevole ruolo delle donne nella società occidentale.

Il senso estetico di Newton è riscontrabile in tutti gli aspetti del suo lavoro, ma è in particolare nella moda, nella ritrattistica e nella fotografia di nudo dove raggiunge vette inarrivabili. Le donne sono al centro del suo universo, consacrando, con la sua arte, personalità del calibro di Paloma Picasso, Ornella Muti, Catherine Deneuve e Carla Bruni, solo per citarne alcune.

Durante la sua permanenza a Parigi, negli anni '70 e '80, Newton affina il suo stile, sfidando scherzosamente le convenzioni e i tabù. In questo periodo la fotografia di moda comincia ad attirare un pubblico sempre più ampio - aumentando la popolarità di libri fotografici e mostre sull’argomento - resa ancora più attraente dalla partecipazione di influenti fotografi come Richard Avedon, Irving Penn, William Klein e lo stesso Helmut Newton e dalle loro originalissime interpretazioni.

Dalla metà degli anni Ottanta i lavori di Newton subiscono un cambiamento: le fotografie cominciano a prendere la forma di una vera e propria narrazione fotografica. Tra i lavori più rappresentativi di narrativa visuale: le campagne in bianco e nero per Villeroy & Boch (1985), una serie di fotografie a colori con Monica Bellucci per Blumarine (1998) e diversi scatti per un calendario di riviste sportive (2002), dove giovani donne vestite in bikini non sono raffigurate in spiaggia ma nel deserto.

Negli ultimi anni della sua carriera Newton intensifica la collaborazione con le edizioni tedesche, americane, italiane, francesi e russe di Vogue, ambientando i set fotografici principalmente a Monte Carlo. Una location privilegiata per le sue fotografie sarà il garage della sua casa a Monaco, dove le modelle e le auto parcheggiate vengono disposte come in un elegante dialogo visivo, trasformando un luogo apparentemente banale in una originale sala di posa.
Foto: Rushmore, Italian Vogue - 1982 - © Helmut Newton Foundation, Berlin
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