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Vincent Van Gogh. Le lettere a Theo di Blas Roca Rey al Teatro lo Spazio dal 9 al 14 Aprile

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Interpretato dall'attore Blas Roca Rey con l'accompagnamento del maestro Luciano Tristaino, flautista.
Un mondo fantastico, tenero e disperato affiora dalle tante lettere che Vincent scrisse all'adorato fratello Theo, gallerista, che si occupò di lui tutta la vita. Un'energia vitale pazzesca, quasi indomabile. La consapevolezza, a volte straziante, di essere diverso dagli altri. In tutto. Nel vivere, nei rapporti umani ma soprattutto nell'arte. L'uso dei colori, faticosamente raggiunto in anni e anni di studi e schizzi. La volontà, testarda, ostinata, di reinventare la realtà, di ridarcela attraverso la lente fantastica dei suoi occhi.
Il non rassegnarsi alla totale indifferenza del mondo verso i suoi quadri, il ripartire mille e mille volte ancora verso un futuro che sperava, prima o poi, si sarebbe accorto di lui. Nonostante la miseria, gli stenti, la mancanza di cibo.
E infine, la sua lenta ed inesorabile discesa verso la pazzia, che lo trascinò negli ultimi anni in piccoli manicomi di paese dove, spesso volontariamente, si rifugiava.
Una vita. Un artista. I suoi meravigliosi fuochi d'artificio che, piano piano, lo arsero vivo.Biglietto intero 12 euro
Biglietto ridotto 10 euro
Tessera semestrale 3 euro

Teatro Lo Spazio, Via Locri, 42 Roma  0677076486  0677204149
info@teatrolospazio.it
WWW.TEATROLOSPAZIO.IT

L’Aquila, E dopo venne la grandine, il racconto della notte del 6 aprile 2009 nell’ospedale San Salvatore

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di Giorgio Castellani* - L’AQUILA - Da alcuni giorni i ripetuti movimenti della terra, sebbene sempre più intensi e frequenti, avevano in qualche modo attenuato il senso d’allarme della gente, che era adusa agli sbalzi improvvisi a volta appena percepibili. Gli aquilani si adeguano facilmente.
Ma a sera inoltrata il segnale si fece più insistente, la scossa delle ventitré non faceva presagire cose buone, ma c’erano state date rassicurazioni dalle autorità e dagli esperti competenti, mentre Giampaolo Giuliani con i suoi mezzi empirici aveva affermato, anche senza poter precisare la zona, la possibilità di una scossa importante. E quella notte si scatenò il finimondo: scuotimenti indescrivibili della casa, associati ad un rumore agghiacciante, spinsero tutti a saltare dal letto e a lasciare di corsa la casa. Erano le 3 e 32.

La nostra abitazione, sebbene a due piani, ha uscita dai balconi a raso. Per cui rapidamente fummo fuori. Con me la cara moglie e la figlia, che in quei giorni era in ferie a L’Aquila, lei che lavora a Washington. Parlo di mia figlia Francesca perché, data la velocissima alzata dal letto, ebbe un manifestazione sincopale come si determina per un improvviso stand up, che a volte noi medici evochiamo alla ricerca di diagnosi. Ma si riebbe subito. Dopo alcuni minuti ci riunimmo nel soggiorno, insieme ad alcuni parenti che, nella speranza di stare in una costruzione più solida, si erano rapidamente portati da noi. Una rapida ricognizione dei locali rilevò solo danni limitati e alcune lesioni superficiali, ma il pensiero corse subito all’ospedale.

Che fosse capitato un evento grave era coscienza certa. Alcuni familiari si avviarono a Pineto, dove avevamo un modesto appartamento per le vacanze estive. Telefonate allarmate da Roma e dalla Sicilia, luogo di residenza di altri di famiglia. Intanto pensavo all’ospedale. Scelsi la mia 500, dono di laurea del dicembre 1968, per andare. Fui subito in strada verso l’ospedale civile. Ero stato nominato da qualche anno direttore del Dipartimento di emergenza del San Salvatore, che comprendeva il Pronto Soccorso, la Rianimazione, l’Utic e il 118. Scelsi il percorso dell’autostrada, prendendo il casello L’Aquila Est, vicino a casa mia. Mi parve la soluzione più rapida, pochi chilometri fino all’uscita dell’Aquila Ovest, ed in ogni caso era quanto facevo tutti i giorni per raggiungere l’ospedale. A ripensarci, credo fosse stata una decisione istintiva, abituale e non riflettuta, per i possibili ostacoli che avrei potuto incontrare, determinati dal terremoto, che mi avrebbero potuto intrappolare. Il percorso, rapido, fu agevole e senza inconvenienti. Solo qualche calcinaccio all’interno di una galleria, non ricordo quale, ma in poco tempo mi ritrovai in uno dei parcheggi dell’ospedale, dove fermai l’auto.

Durante il tragitto solo silenzio. La città, dal viadotto che la lambisce a nord, mi era apparsa illuminata come di consueto, ad uno sguardo non soffermato. Non ancora erano le quattro e mi diressi speditamente al Pronto Soccorso, dove tutti erano in allerta. Ancora non c’erano stati arrivi, ma in lontananza già si cominciavano a sentire le sirene dei mezzi di soccorso. Mi assicurai dal personale che gli ambienti fossero operativi e subito feci una veloce ricognizione all’Unità coronarica e alla Rianimazione, che si trovano sopra al Pronto Soccorso. Il personale in servizio, vigile ma abbastanza tranquillo come pure i degenti: non vi erano stati grossi danni, qualche frattura agli intonaci e le apparecchiature tutte funzionanti. Fui rassicurato dalla relativa calma del personale e dei pazienti sia in Utic che in Rianimazione: ambienti, per quanto possibile, sufficientemente sereni. Rapidamente giù di nuovo al Pronto Soccorso, dove ancora non erano state realizzate le aperture automatiche all’ingresso per le ambulanze. Iniziavano ad arrivare i primi mezzi con i primi feriti.

Bisogna dire che da diverso tempo la ASL dell’Aquila ed il consiglio dei sanitari stavano cercando di produrre un documento per l’organizzazione delle emergenze, ma le molte riunioni non erano ancora riuscite a far scaturire un protocollo operativo che potesse essere di riferimento in situazioni drammatiche, portato a conoscenza di tutti e messo in atto alla bisogna. Non si pensava al terremoto, ma a qualsiasi evento di emergenza che potesse accadere.  Tutto era rimasto indeciso.  Quale componente più anziano del consiglio di direzione avevo fatto notare che assolutamente bisognava prevedere la disponibilità, nell’area del Pronto Soccorso, di locali che potessero essere messi a disposizione dell’accoglienza dei feriti. Un accordo si era registrato con il responsabile della struttura radiologica, sulla necessità di localizzare in quell’area servizi di diagnostica d’urgenza avanzata come poi è stato realizzato, essendo la struttura radiologica esistente significativamente distante. Un’insistente richiesta fu quella di utilizzare la confinante struttura di dermatologia, che poteva benissimo operare in altri ambienti più lontani dal Pronto Soccorso o perlomeno che potesse essere messa a disposizione rapidamente in caso di emergenza. Poteva essere confermata la presenza del servizio di endoscopia diagnostica, sicuramente utile nelle urgenze. Certamente da diversificare la locazione di altri servizi non sanitari. Il protocollo per le emergenze rimase indefinito, come pure ogni decisioni al riguardo. 

Intanto il Pronto Soccorso cominciava ad essere affollato di letti e barelle. Pensando che sicuramente gli ambienti sarebbero stati insufficienti, con atto impulsivo spontaneo, memore di quello che era sempre stato il mio pensiero, decisi che era indispensabile rendere disponibili i locali della vicina dermatologia. Le porte erano chiuse a chiave, ma ebbero scarsa resistenza alla volontà di volerle aperte. Dopo una sommaria raccolta dei calcinacci caduti, tutti gli spazi furono disponibili per le prime cure e per la sosta dei feriti. Grazie anche alla totale dedizione, il personale di ogni qualifica, dagli ausiliari ai medici, senza alcuna convocazione spontaneamente si era presentato in massa. Ognuno per le sue capacità e competenze si pose a disposizione. Fortunatamente le sale operatorie poterono essere utilizzate, ma la marea dei feriti era infinita e a questi si aggiungeva la massa incontrollata dei familiari e conoscenti che si presentavano per chiedere notizie. Problemi infiniti nella identificazione dei pazienti e per stendere una lista degli arrivati vivi o deceduti.

Rapidissimo l’arrivo della Protezione civile, che permise i collegamenti con gli ospedali della regione grazie alle numerose ambulanze arrivate da ogni località. Marche Lazio Umbria, un concorso di immensa solidarietà. La giornata si presentava con un sole caldo ed una temperatura mite. I reparti venivano svuotati ed i pazienti adagiati nei letti venivano collocati nel cortile dell’ospedale. La giornata temperata lo permetteva. Mentre continuavano incessanti le scosse, i più gravi venivano trasferiti con le ambulanze, veramente numerose, nei vicini ospedali abruzzesi, laziali e marchigiani. La Protezione civile marchigiana, capofila dei soccorritori, aveva destinato un abilissimo funzionario al Pronto Soccorso, che operandoci a fianco, coordinava i collegamenti e provvedeva al trasferimento dei pazienti ricoverati e dei feriti indirizzando le ambulanze negli ospedali disponibili della regione o di quelle confinanti, in base alle esigenze e alla disponibilità dei posti. 

Sicuramente decisiva la disponibilità delle numerose vetture e la praticabilità dell’aeroporto di Preturo, rivelatosi indispensabile, che permise l’atterraggio dei grandi elicotteri ed aerei di notevole capienza per superare le nostre amate montagne. L’ospedale si andava svuotando: prima la Rianimazione, poi la Terapia intensiva coronarica, i reparti chirurgici, mentre le ambulanze con i feriti più critici venivano direttamente indirizzati in altri ospedali. Il Pronto Soccorso continuava ad operare con una calca sempre più intensa, molti alla ricerca di notizie dei propri cari. La Guardia di Finanza aveva messo a disposizione per i degenti gli alloggiamenti degli allievi della Scuola Sottufficiali di Coppito, in parte disponibili, e ospitato tutto il sistema organizzativo della Protezione civile. Bisogna essere sempre grati all’ideatore di quella preziosa localizzazione. In aeroporto continuo il saliscendi dei grandi elicotteri e degli aerei dell’esercito con destinazione Ancona, Roma, Pescara. Per le vittime, sempre più numerose, fu temporaneamente individuato un centro di raccolta negli ambienti e nei corridoi del poliambulatorio. Dicevo che molti letti con i loro ospiti, assistiti dai medici e personale dei reparti di provenienza, furono sistemati in una lunga fila nel cortile interno dell’ospedale, grazie alla giornata primaverile ed al tiepido sole, nell’attesa di destinazione. 

Intanto la Protezione civile aveva localizzato e intrapreso la costruzione di un ospedale da campo con pronto soccorso in una locazione attigua, facilmente raggiungibile dai mezzi di soccorso, mentre contemporaneamente cominciavano a sorgere tende per tutte le esigenze. Tende su tutto il territorio, per poter accogliere coloro che avevano dovuto lasciare la loro casa. La totalità della popolazione doveva essere assistita. Intanto si andava realizzando sollecitamente la corsa all’accoglienza nelle strutture ricettive, soprattutto della costa adriatica, con piena solidarietà. Dicevo che la giornata di sole aveva permesso di mantenere i degenti meno gravi nel cortile dell’ospedale, mentre si preparava la struttura di tenda per l’accoglienza. Ma con il passare del tempo le condizioni climatiche cominciarono a cambiare. Nella tarda mattinata il cielo non prometteva più nulla di buono. Nuvoloni neri intensi si cominciavano ad addensare sulla città e sull’ospedale. Nelle ore avanzate del pomeriggio la tensione nel Pronto soccorso cominciava ad allentarsi, ridursi, mentre il rischio di un nubifragio si faceva sempre più incombente, con la scomparsa totale del sole.

L’indisponibilità ancora delle tenda per la degenza poneva il problema dei pazienti nel cortile che aspettavano una sistemazione. Come rimedio la decisione estemporanea di collocare i paziente su quelle ambulanze tutte allineate, in attesa di una chiamata sempre meno probabile. Erano numerose, oltre cinquanta. E’ su di esse che trovarono ospitalità tutti i malati in attesa. Le nubi si addensavano sempre più scure e minacciose. L’ultimo paziente era stato appena collocato con sollievo, quando una violenta grandinata con chicchi grossi come sassi imbiancò in pochi minuti o per qualche centimetro di spessore tutto il cortile. Per fortuna che i pazienti erano stati tutti protetti dall’improvviso nubifragio e poterono attendere con qualche serenità il trasloco nella tenda ospedale, che intanto si andava completando nel montaggio all’angolo sud dell’ospedale. 

Nella tarda serata l’arrivo delle ambulanze e dei mezzi di soccorso si era fatto più rado. Non si sentivano più sirene, quelle poche procedevano lentamente e in silenzio si accostavano al cortile antistante i poliambulatori per depositare il loro triste carico. Scendeva buia la notte. A notte inoltrata il Pronto Soccorso non riceveva più pazienti, quelli più complessi, estratti con fatica dalle macerie, venivano destinati dalla Protezione civile direttamente negli ospedali disponibili in Abruzzo e fuori la regione. Era stata intanto completata la tenda per la degenza e le ambulanze cominciavano a svuotare il loro carico nel nuovo ambiente. Qualche ferito veniva accolto direttamente dalla struttura d’urgenza che la Protezione civile aveva attivato, con propri medici e personale, in misura del tutto soddisfacente. Il Pronto Soccorso si era svuotato, soltanto richiedenti notizie.

Tutti gli operatori, stanchi per aver lavorato incessantemente l’intera giornata, sostituiti da colleghi, tornavano a casa. Rimanevano a disposizione della Protezione civile consulenti, specialisti e personale necessario. A notte inoltrata la struttura ospedaliera s’era completamente svuotata. Prima di lasciare il Dipartimento dell’emergenza sentii il bisogno di fare il percorso dei poliambulatori, dove corpi grandi e piccoli erano allineati, alcuni coperti, altri così come erano stati estratti dalle macerie. Tanti, ma proprio tanti. Tanti e soli. E sopravvenne la crisi emotiva, al pensiero di quante famiglie quella notte non avrebbero rivisto i loro cari, dopo tanta forza d’animo che mi aveva sostenuto per tutta la giornata.  Ecco la mia piccola Cinquecento bianca, regalo di laurea di oltre quarant’anni fa. Minuscola e sola, nel grande parcheggio ormai deserto. Aveva i sedili colmi di grandine, caduta nel pomeriggio e non ancora disciolta. I vetri dei finestrini dalla notte erano rimasti abbassati.

*Medico cardiologo, nel 2009 direttore del Dipartimento di Emergenza dell’Ospedale San Salvatore 

LA FLEUR - Il fiore proibito al Teatro Garbatella dal 17 al 28 aprile. Regia di Riccardo Brunetti

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Sarà in scena al Teatro Garbatella dal 17 al 28 aprile LA FLEUR - Il fiore proibito.
Project XX1, pionieri dal 2015 del teatro immersivo in Italia, reduci dai sold-out di “Augenblick - L’istante del possibile” nel 2018, tornano sulla scena romana con un’esperienza immersiva scritta da Francesco Formaggi, Alessandro D’Ambrosi e Riccardo Brunetti che ne firma anche la regia. Come “Sleep no more” a New York, Londra e Shanghai, il pubblico potrà immergersi in “La Fleur: Il fiore proibito”, opera originale ispirata alla filmografia classica (Siodmak, Huston, Ray, Rosi) e a registi come Scorsese, DePalma, Coppola, Tarantino. Dopo il debutto del 2017 e completamente rinnovata per l’edizione 2019, torna il mondo noir ambientato nella Roma contemporanea che ripercorre le vicende della famiglia Andolini, nota per la sua rilevante posizione nel settore dell'intrattenimento.

La famiglia Andolini è attraversata da una scossa. Un nuovo colpo andato a segno fa festeggiare alcuni, mentre altri ne temono le ripercussioni. Ma le novità creano conflitti e divergenze pericolose. E la polizia non aspetta altro per scattare. Gli Andolini non scherzano: la partita si giocherà fino all’ultima provocazione, all’ultima intimidazione, all’ultimo tradimento e all’ultimo sangue.
Ad animare questa nuova ed elettrizzante esperienza immersiva sarà un cast ricchissimo formato da più di trenta attori/performer che avvolgeranno gli spettatori nelle atmosfere nere e perturbanti di una Roma proibita, coinvolgendoli in prima persona, stimolandoli attraverso tutti i sensi. Seguendo i principi dell’ “Immersive Theatre”, un teatro che non va osservato comodamente seduti in poltrona ma vissuto a pieno, lo spettacolo restituisce un ruolo squisitamente attivo allo spettatore, invitandolo ad esplorare, incuriosirsi, rincorrere e immergersi totalmente negli eventi dello spettacolo.
Lo spazio scenico, curato nei minimi dettagli, sarà una grande installazione site-specific, aperta all’esplorazione dello spettatore, che in maniera totalmente libera potrà esplorare ogni cosa: dagli oggetti di scena, alle scenografie, agli odori, ai sapori, ai suoni, e soprattutto alle performance che abitano gli spazi, dando vita ad una tessitura drammaturgica di spessore senza precedenti.
Ad ogni replica di “La Fleur: il fiore proibito”, lo spettatore avrà la possibilità di scegliere come accedere alla perfomance, se come spettatore “standard” oppure come “premium”. A differenza dello spettatore standard, il premium avrà la possibilità di essere coinvolto nella performance in modo sorprendentemente attivo e differenziato. Potrà vivere un’esperienza ancora più intensa e stimolante, che renderà lo spettatore parte attiva e vibrante nello sviluppo della storia.

L’esperienza ha una durata di 2h e 45 minuti. Si consiglia di indossare scarpe comode. Lo spettacolo comincerà in orario – l’entrata sarà permessa fino a 45 minuti dopo l’inizio. Gli spettatori di questa esperienza immersiva dovranno indossare una maschera. È possibile acquistare biglietti premium solo fino a 24h prima della performance.


Crediti:
LA FLEUR - Il fiore proibito
drammaturgia Riccardo Brunetti, Francesco Formaggi e Alessandro D’Ambrosi
regia Riccardo Brunetti
performer Adriano Saleri, Alberto Mosca, Alessandro D’Ambrosi, Alessandro Di Somma, Anna Maria Avella, Azzurra Lochi, Carlotta Sfolgori, Chiara Capitani, Costanza Amoruso, Cristiano Zingaretti, Dario Biancone, Diego Migeni, Elisa Poggelli, Elisabetta Mandalari, Emiliano Morana, Fabiana Reale, Gabriella Indolfi, Geremia Longobardo, Leonardo Bianchi, Licia Amendola, Luisa Belviso, Malvina Ruggiano, Marco Usai, Marco Zordan, Martino Fiorentini, Matteo Minno, Riccardo Brunetti, Sandra Albanese, Silvia Ferrante, Susanna Valtucci, Valeria Romanelli

Staff: Paola Caprioli, Emmanuele Mazzuca, Claudia del Gatto, Allegra Indraccolo, Emiliano Trimarco, Amanda Lochi, Ilenia Lanni, Valentina Giorgetti, Giulio Di Pietro Paolo, Marilina Marino, Ilaria Giorgi, Emanuela Masia, Simone Petrucci, Massimo Morlando, Roberta Avella, Maria Tritto, Maria Costanza Dolce, Mattia Lauro

Costumi: Sandra Albanese 
Luci: Simone Palma
Scenografia e maschere: Ilaria Passabì
Elementi scenografici addizionali: Raffaele Settembre, Martina Giannico
Responsabile set-up: Anna Maria Avella
Websites: Alfredo Pagliuca
Social media manager: Gabriella Indolfi
Responsabile performer: Azzurra Lochi
Redattrice: Paola Caprioli
Grafica: Valeria Marzano
Allestimento: Project XX1 e Accademia Albertina di Belle Arti di Torino
Interventi scenografici: Donato Marrocco
Tecnica: Project XX1
Locandina: Eugenio Sicomoro
Grafica logo: Marta Chiogna
Foto e elaborazioni grafiche: Ilaria Giorgi
Immagini aggiuntive: Iyas Jubeh
Miniature: Alessandro Marozzini
Aiuto Logistica: Claudia Benedetti Michelangeli
Regia video: Alessandro D’Ambrosi
Operatori: Riccardo Riande e Ugo Piva
Fotografia Teaser 1: Leone Orfeo
Performer Addizionali: Alessandro Londei, Benedetto Farina, Guido Rossi, Rogger Rios Lopez, Matteo Poggelli, Emiliano Trimarco, Giuseppe Caprioli, Felice David.
In collaborazione con: Associazione Culturale Controchiave, Teatro Garbatella, Cinecittà World, Teatro Studio Uno, Accademia Albertina di Belle Arti di Torino.
Media partner: Music.it, Canale 21


Teatro Garbatella – Piazza G. da Triora, 15 (metro Garbatella, Roma)
dal 17 aprile 2019 (debutto mercoledì 17 aprile | repliche dal giovedì alla domenica | ore 20.30 ingresso standard | sabato pomeridiana h 16:30 e serale h 20:30 | ingresso premium 45 minuti prima dell’inizio)
prenotazioni: 388.8151180
biglietto standard 20€ (online) 23€ (botteghino) - biglietto premium 32€ (solo online). nelle repliche del giovedì (serale) e del sabato (pomeridiana), a fronte di 3 biglietti acquistati online in un’unica transazione, verrà riconosciuto un quarto biglietto omaggio all’ingresso.
Riduzioni (15€ al botteghino solo su prenotazione telefonica) fino ad esaurimento disponibilità per under 26, over 65. Riduzioni anche per chi torna a vedere lo spettacolo dopo la prima volta
info: contact.projectxx1@gmail.com
Social media: gabrindolfi@gmail.com

Foto di Giuliano Del Gatto

La classe agitata con la Piccola Compagnia del Piero Gabrielli al Teatro India dal 9 al 12 aprile

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Dopo il successo delle repliche di novembre 2018, la Piccola Compagnia del Piero Gabrielli - composta da Jessica Bertagni, Maria Teresa Campus, Alessia Di Fusco, Fabrizio Lisi, Edoardo Maria Lombardo, Gabriele Ortenzi, Daniel Panzironi, Fabio Piperno, Emmanuel Rotunno, Simone Salucci, Giulia Tetta, Danilo Turnaturi -torna in scena al Teatro India, dal 9 al 12 aprile, con La classe agitata, una vera e propria ricerca teatrale sul mondo della scuola.
Ad accompagnare e guidare sul palcoscenico i giovani con e senza disabilità, Roberto Gandini che realizza uno spettacolo a partire dal tema Ri_Creazione, riflessioni fantastiche sulla scuola, dal momento che l’istituzione scolastica e la sua realtà hanno bisogno di essere riconsiderati in relazione alla società di oggi. «Il rapporto che gli italiani hanno con la scuola vive, da tempo, una fase di crisi. I docenti non vedono riconosciuto adeguatamente il proprio ruolo sociale e l’impegno professionale che dedicano all’insegnamento. Le famiglie lamentano la carenza di azioni formative adeguate e indirizzate ragionevolmente verso il futuro che i propri figli dovranno affrontare. Gli studenti sentono la scuola lontana, incapace di ascolto e immobile su modalità di giudizio superate che non tengono conto della persona nella sua interezza e nelle sue sfumature», dichiara il regista Gandini. Un’avventura da cui poter imparare molto e riflettere, passando attraverso la diversità e la creatività. Uno sguardo innovativo sulla scuola, intesa come organismo sociale, e sui suoi meccanismi che contribuiscono a formare le leve del futuro.

Il Laboratorio Teatrale Integrato Piero Gabrielli, che vede al lavoro una compagnia di giovani composta da normodotati e diversamente abili, è un progetto che dalla sua nascita a oggi ha coinvolto 277.672 ragazzi di cui 83.940 con disabilità, 3.819 docenti e 770 teatranti. Il Laboratorio Gabrielli è una realtà che dal 1995 fa scuola sul tema dell’inclusione attraverso il teatro ed è stata fra le prime esperienze italiane nell’ambito del teatro sociale. Il rapporto che siamo riusciti a creare con la scuola è tale che la maggioranza delle attività si svolgono all’interno degli orari curricolari, e in collaborazione con tutti i docenti. Il laboratorio è riuscito a mettere in pratica il principio di inclusione che da molti viene sbandierato come un vessillo, ma che spesso rimane tale.
Il Laboratorio Teatrale Integrato Piero Gabrielli è un’attività promossa, finanziata e organizzata da Roma Capitale - Assessorato alla Crescita culturale, dall’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio e dal Teatro di Roma.  Nel 2017 i Laboratori Gabrielli hanno coinvolto: 1530 ragazzi (di cui 462 con disabilità), 52 scuole, 99 docenti e 42 teatranti realizzando 1010 incontri laboratoriali e, a compimento dei percorsi laboratoriali, si realizzeranno circa 80 rappresentazioni teatrali, coinvolgendo circa 9000 spettatori.

La Piccola Compagnia del Piero Gabrielli è formata da interpreti, con e senza disabilità, giovani attori che hanno acquisito esperienza teatrale all’interno dei progetti del Laboratorio e che hanno preso parte agli spettacoli Prodotti dal Teatro di Roma. 
LA CLASSE AGITATA
della Piccola Compagnia del Piero Gabrielli
regia Roberto Gandini
con la Piccola Compagnia del Piero Gabrielli
Jessica Bertagni, Maria Teresa Campus, Alessia Di Fusco, Fabrizio Lisi, Edoardo Maria Lombardo, Gabriele Ortenzi, Daniel Panzironi, Fabio Piperno, Emmanuel Rotunno, Simone Salucci, Giulia Tetta, Danilo Turnaturi.

musica Roberto Gori
scena Paolo Ferrari
costumi Loredana Spadoni
Consulente specialistica Irene Sarti, consulente pedagogica Anna Leo

orari spettacolo
ore 10.30
biglietto 5 euro
età dai 12 anni
A fine spettacolo gli attori de La Piccola Compagnia del Piero Gabrielli incontreranno gli insegnanti e gli studenti che avranno assistito allo spettacolo per una discussione sugli argomenti trattati nel testo. Il tempo previsto è di un’ora circa e si terrà nella sala
dove il pubblico avrà assistito allo spettacolo.
produzione Teatro di Roma - Teatro Nazionale

Lo scrittore palermitano Andrea Giostra finalista al Premio internazionale di narrativa “Otto milioni” 2019

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Lo scrittore palermitano Andrea Giostra è stato selezionato dalla Giuria del Premio internazionale “Otto milioni” Edizione 2019, tra i dieci finalisti della sezione narrativa del prestigioso concorso internazionale organizzato ad Ischia (Napoli).

Sono stati pubblicati oggi, sul sito ufficiale dell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte”, i finalisti delle varie sezioni previste dal concorso Otto milioni 2019: poesia, narrativa, musica, arti grafiche, giornalismo, recitazione. Il Concorso internazionale Otto Milioni, ideato e organizzato dallo scrittore ischitano Bruno Mancini, si avvale della collaborazione di altre organizzazioni del territorio quali l’Associazione “Il Germoglio” e L’Istituto CEIC, è arrivato alla nona edizione e ogni anno vede aumentare esponenzialmente il numero dei partecipanti da tutto il mondo.
Adesso è prevista, fino al 15 maggio 2019, la fase di votazione online da parte dei lettori e degli appassionati d’arte che potranno dire la loro sulle varie opere selezionate. La premiazione è prevista per il mese di giugno 2019 nella splendida cornice dell’isola di Ischia, in presenze delle massime autorità dell’isola, di personalità del mondo della cultura e dello spettacolo, e di scrittori e artisti di fama nazionale e internazionale.

Link:

Link per la votazione online:
I racconti dello scrittore palermitano Andrea Giostra:
NA08 – Andrea Giostra – Donna vita
NA07 – Andrea Giostra – Mastr’Antria

Familie Floz - Hotel Paradiso, Fattitaliani intervista Gianni Bettucci: Il nostro Teatro è figlio di una tradizione secolare

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Alla Sala Umberto di Roma, stasera alle 21 e domani alle 17, ultime due repliche per Familie Floz - Hotel Paradiso di S. Kautz, A. Kistel. T. Rascher. F. Rohn, H. Schuler, M. Vogel, N. Witte. Con Matteo Fantoni, Faniel Matheus, Marina Rodriguez LLorente e Nicolas Witte. Maschere di Thomas Rascher, Hajo Schuler. Quando la gestualità si sostituisce al parlato tutto diventa meraviglioso.

Hotel Paradisoè un giallo ambientato in un albergo di montagna a quattro stelle situato sulle Alpi, la cui anziana proprietaria è la capostipite di una strana famiglia, formata da due figli e da uno staff altrettanto particolare e nell’albergo si verificano storie surreali e strane sparizioni. Familie Floz in versione noir. Da non perdere!
Per fattitaliani.it abbiamo intervistato Gianni Bettucci, Manager di Familie Floz da molti anni e anche produttore artistico.
Come nasce l’idea di uno spettacolo in cui la gestualità si sostituisce alle parole? 
Abbiamo deciso di lavorare con il corpo e con le maschere perché in una società in cui tutto viene parlato, soffocato dalla parola scritta e parlata, volevamo concentrarci su qualcosa che spesso è dimenticato, il nostro corpo che ha un suo linguaggio e che nella lotta fra la parola e il corpo perde e quindi lavoriamo su tutto quello che avviene prima che la parola venga pronunciata. Cosa fa e come si prepara il corpo a esprimere qualcosa? La maschera si ferma prima che la parola venga espressa. 
Poesia e comicità in un connubio perfetto. Quanto è difficile riuscire nell’intento? 
Il nostro è un teatro popolare che vuole parlare ad un pubblico più esteso possibile. Esso si basa sulle emozioni che unisce il nostro pubblico ovunque esso sia. In Cina, in Cile, negli Stati Uniti. Il protagonista dei nostri spettacoli è il clown, il bambino che è dentro di noi. Il bambino è quello che prova le emozioni più intensamente, chiaramente i risultati sono sia molto poetici che molto comici. È un equilibrio molto sottile e i nostri spettacoli hanno bisogno di una gestazione molto lunga per trovare quell’equilibrio giusto tra comicità e poesia. È come una buona ricetta di cucina quando per trovare le dosi   giuste, occorre provare molto. Questa produzione è in vita già da dieci anni, ha fatto più di seicento repliche in tutto il mondo, in trentadue Paesi e siamo arrivati a Roma perché è un congegno che noi riteniamo abbastanza perfetto per il pubblico di Capitali che è senz’altro più difficile rispetto ad altri.
È il risultato di più tecniche che rivelano l’animo umano. Cosa si scopre? 
Il nostro Teatro è figlio di una tradizione secolare che inizia con la maschera nel Teatro greco per poi passare alla Commedia dell’Arte e poi nell’insegnamento e nella Scuola di Jan Le Coq che racchiude tipi diversi come il buffone, il clown e la maschera e che negli anni ‘50 a Parigi insieme a Dario Fo e a Sartori che costruiva le maschere,  hanno rilanciato queste tecniche, creando una scuola di Teatro moderno  che ha ancora oggi, i suoi discendenti come noi di Familie Floz ma anche in tantissime altre compagnie in giro per l’Europa e per il mondo che si concentrano su un tipo di Teatro fisico, comico, emotivo e poetico.
Quali sono state le reazioni del pubblico della Sala Umberto? 
Siamo abbastanza colpiti e commossi perché le reazioni del pubblico romano sono entusiaste. C’è un’energia in sala che difficilmente viviamo in questa intensità altrove. Eravamo già stati a Roma, anni fa, al Teatro Valle occupato avevamo già sentito questo affetto e questo calore e negli ultimi anni, cercavamo il Teatro giusto per tornare e credo che la scommessa sia stata vinta. 
Avete già in mente un altro spettacolo? 
Familie Floz è una grande famiglia, noi abbiamo già cinque produzioni, al Valle avevamo portato “Infinita” e all’Ambra Jovinelli “Il Ristorante immortale”. Oggi, contemporaneamente a Roma, siamo a Berlino con un’opera che si chiama “Himmelerde”, di nostra creazione, con cantanti d’opera e ballerini e poi l’ultima produzione “Dr Nest” che abbiamo fatto a marzo e che è già stata in tournée a Bologna, Firenze, Torino e altre città. Il tema è la follia, un percorso molto diverso rispetto ad Hotel Paradiso che ha più aspetti da Commedia, mentre Dr Nest esplora attraverso la maschera i confini labili tra follia e normalità. 
Elisabetta Ruffolo

Romanzi da leggere a puntate online. 16^ puntata, 4° capitolo del romanzo “Anzol” di Haria

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a cura di Andrea Giostra - La 16^ puntata dei Romanzi da leggere online è dedicata al quarto capitolo del romanzo “Anzol” di Haria.
In copertina Turi Volanti (Floridia 1930 - 2018), “Amanti”, olio su tela.


IV capitolo
Mira sognò che il foglio si posava sulle sue mani aperte, lei alzava lo sguardo e vedeva la nebbia dissolversi e il cielo - il cielo azzurro di cui conosceva storie e leggende - aprirsi su Anzol. Si svegliò com’era: ragazza straniera in un tempo non suo, sola in una casa desolata. Uscì inquieta nelle vie umide e strette.
Il mercato la vide entrare nella calca del mattino. La vide Falco, sceso a godersi lo spettacolo di nuovi lazzi e pagliacciate che un gruppo di comici improvvisava in suo onore. La vide Addo l’astromanno, la vide Donna la strega. Mira non guardò nessuno, proseguì nel suo fare astratto.
Due armati la bloccarono. Si ritrovò davanti a Falco, oscenamente sbracato su una poltroncina cigolante. La vecchia la fissava, il gobbo Addo la squadrava di sottecchi.
«Chi sono io?», starnazzò Falco spogliando Mira con gli occhi.
«Il padrone del mondo», rispose Mira.
«Brava. Hai detto bene».
«Attento mio signore, la ragazza è scaltra», fece Addo.
«Un giorno potrebbe servirti», gracchiò Donna.
«Mi piace», approvò l’occhio illanguidito di Falco. «Portatela al sesto piano e datele una stanza che non puzzi di fogna».

Due tempi dopo Uppia partorì un maschio. Falco convocò per un parere Donna e Addo. L’astromanno espresse qualche cauto dubbio sulla robustezza mentale del neonato, ma la strega pronosticò che il bambino sarebbe cresciuto robusto e coraggioso come suo padre. «Un vero capo».
Falco mostrò il figlio alla folla. «Un giorno lui prenderà il mio posto. Imparate a temerlo».
Prima dama di Anzol, adulata dallo strascico di parassiti che schiamazzava su e giù per i piani dell’altobanco, vezzeggiata dalle rotonde fantesche arruolate al suo seguito e sicura del potere conquistato Uppia si lasciò andare ai bagordi che per troppi tempiaveva tenuti a freno. A furia di mangiate a base di trippa, lardo, ceci, fave e castagnacci ingrassò, smise di lavarsi e dimenticò i pettini, le spazzole e i belletti. In mezzo tempo si trasformò in una maleodorante sciattona. Ciabattando su e giù per le scale con lo sguardo spento e il fare annoiato non rispondeva al saluto degli adulatori - e forse ormai non li vedeva nemmeno - né si sforzava di accennare un sorriso quando scorgeva il suo signore, che dal giorno della nascita del piccolo Gaddo non dormiva più con lei.
Era più di quanto Falco potesse sopportare. Un giorno la raggiunse mentre vagava lungo i corridoi, l’afferrò per i capelli stopposi e incolore, la trascinò al primo piano, la mostrò alla folla e gridò:
«Cosa devo fare di questa scoreggiona?».
Per un istante la gente ammutolì, poi esplose in un coro di scherno.
«Hai sentito? ritorna nel tuo fetido letamaio».
Anzol la guardò allontanarsi in groppa a un mulo.
«Mi serve una donna», bofonchiò Falco. «Una vera dama, stavolta. Che sia bella, fiera e incuta rispetto».
«Mio signore, una dama così non esiste nemmeno sulle stelle», disse l’astromanno.
«Una ci sarebbe», si intromise la strega.
«Chi è?».
«La ragazza che ti piaceva. La straniera».

Mira non distolse lo sguardo mentre Falco la spogliava con gli occhi. «La gente ha bisogno di una signora e io di una donna».
Mira non rispose. Falco tagliò corto. «È deciso. Sarai la prima dama di Anzol».

Mira lasciò fare al rinnovato ardore amoroso di Falco e si prese cura di Gaddo, già segnato da gesti inconsulti che disarmonizzavano il suo  corpo sproporzionato.
«Sarà un mostriciattolo», opinò Donna.
Mira la fissò. «Ti ho sentito dire tutto il contrario. Da che parte stai, strega?».
«Dalla mia, dalla parte delle streghe. Un giorno saranno padrone di Anzol e tua figlia darà ragione alle mie parole».
L’incommensurabile spazio a piano terra dell’altobanco fu trasformato in oteria, e così continuò a chiamarsi. Non vi si mangiava, si beveva soltanto, e qualche volta i gesti rituali dei bevitori erano accompagnati dai suoni di zampogne e strani strumenti a corda portati da musici vaganti.
Falco di Piana era il venerato cliente del decimo momento (le dieci e mezza di sera), ma gli piaceva pensare che nell’oteria lo considerassero uno della gente, e con la gente condivideva sbornie, provocazioni e pestaggi. Fino a un certo punto però: quando la rissa si faceva incontrollabile entravano in gioco i quattro cacciafuori e il trambusto si riduceva a una sfida a base di insulti urlati a distanza. Allora Falco si sbracava sulla sua panca preferita e cominciava a ridere; rideva senza freno, e non c’era musica che lo distraesse, donna che lo infiammasse, gioco che lo attirasse. Rideva, con gli occhi liquidi e la bocca spalancata, rideva finché i cacciafuori non lo portavano via.
Luna nacque al dodicesimo e un quarto momento del tredicesimo aspetto del quarto tempo. Mira la partorì accucciata su una grande bacinella piena d’acqua tiepida, secondo l’antica usanza straniera. Donna la strega tagliò il cordone ombelicale, avvolse la creatura in una morbida coperta di lino, la consegnò a Mira e si affacciò a una delle ventisette finestre del dodicesimo piano. «È nata! ditelo al padre!», urlò.
Lungo disteso sulla panca Falco rideva. Non smise nemmeno quando gli annunciarono l’evento; ma stavolta non osarono toccarlo, perché i suoi occhi si erano fatti rossi, il suo sguardo fisso, il suo viso paonazzo, il suo corpo percorso da fremiti e in preda a spasmi.
«Sembra il piccolo Gaddo quando ha gli attacchi», disse qualcuno.
Falco smise di ridere, si alzò, fece un passo avanti e rovinò a terra travolgendo brocche, tavoli e panche. Luna era nata, Falco era morto, Anzol sbigottiva nel caos.

La nebbia guadagnava spazio e una notte si assestò all’altezza delle finestre a pianterreno. All’alba Itto - mercante di sapone - vide uscire una figura con la testa avvolta nella grigia densità. «Sei tu, Mallo?», esclamò. Il grugnito che ebbe in risposta confermò la sua impressione.
Per riconoscersi la gente prese a chiamarsi, e Anzol fu attraversata da una ininterrotta catena di nomi pronunciati a gran voce. Quando questo espediente non bastò più - perché si faceva confusione con tutti gli omonimi che circolavano - si ricorse ad appellativi che evocavano mestieri, arti e professioni, sicché Itto divenne Itto Saponario, Mallo fu Mallo Scavatore, Uccio fu Uccio Ferraiolo, Adda fu Adda Levatrice.
Donna la strega valutava la situazione: erano trascorsi appena quarantadue momenti dalla morte di Falco e già fra i piani si parlottava, si formavano gruppetti di armati, si ipotizzavano sortite e vendette. Tutto era possibile.
Donna riunì i suoi fedeli e comandò un’azione a sorpresa. Al dodicesimo piano annullò il manipolo di guardie che proteggeva Gaddo; scese all’undicesimo e massacrò una dozzina di armati; calò al decimo, al nono, all’ottavo infettando di sortilegi chiunque le sbarrava il passo; occupò il settimo piano - il più agguerrito - spruzzando ‘acqua di putredine’ sulle facce degli scalmanati oppositori; saltò sul sesto, dove soltanto la megera, l’astromanno e i nani non si piegarono (e furono scannati); rovinò sul quinto piano incitando i suoi fedeli a fare strage di baldracche, meretrici, mantenute, ruffiani, consiglieri, adulatori e servi; volò sul quarto e piegò l’ultima, insicura resistenza; il terzo, il secondo e il  primo piano erano già sgombrati quando apparve. A pianterreno - nell’oteria stracolma - la gente chinò la testa.
«Il tempo delle streghe è arrivato», proclamò Donna.

I falchi tornarono a chiamarsi soldi e il complicato calendario imposto da Falco fu sostituito con le intuizioni, sistema che univa l’arbitrariarità alla divinazione. Il tempo divenne un’interpretazione che traeva dalla nebbia segni e simboli. Se uno voleva sapere in che momento del giorno si trovava alzava lo sguardo e il primo segno che percepiva - una sfumatura di grigio, un impercettibile movimento laterare della nebbia, un vapore che si dissolveva o si intensificava - gli fornivano l’intuizione per decidere se fossero le prime ore del mattino, mattino inoltrato, ora di pranzo, primo pomeriggio o pomeriggio inoltrato. Per l’alba, il tramonto e la sera non c’erano problemi, erano segni evidenti, e le stagioni alternanze climatiche che ognuno poteva decifrare soggettivamente. Del computo del passato non ci si occupò più e il futuro fu un’ infinita zona vuota nella nebbia che si sarebbe  riempita di volta in volta.
Ma la notte era un’altra faccenda: al calare del buio non c’erano più punti di riferimento né segni da interpretare e la nebbia era una densità minacciosa che celava malasorte o follia. Di notte tutto poteva accadere, di notte vagavano le streghe di Anzol.
Donna si era catapultata nel cuore del mercato e una dopo l’altra aveva scovate sei vecchie dall’incedere continuo e cadenzato: sei figure minute, piegate, raggrinzite, partorite dal fetore dei vicoli bui, lerci e abbandonati. I loro abiti spenti, sfilacciati, disadorni sprigionavano un odore di muffa, orina e muschio fradicio: era la traccia che Donna cercava, il primo segno di complicità con la tenebra; l’implacabilità, il secondo, lo vide nei loro occhi mobili, nei loro sguardi accesi; il bieco sarcasmo, il terzo, lo percepì nei loro ghigni.
Le rese sentinelle del buio, ottennero il potere di attirare la gente in fitte densità di nebbia e di insinuare l’orrore negli sguardi. E Anzol si raccolse nei fumi dell’oteria, si trincerò nei gravi silenzi che occhieggiavano l’esterno oltre i vetri appannati delle finestre, si rannicchiò sul fondo di bicchieri e brocche vuote, si stordì nella musica di corde di budello pizzicate con monotono artificio, affogò nell’ot. Chi - alzando le spalle - sfidò la notte, non tornò o tornò folle; chi - ubriaco - si allontanò oltre gli ultimi riverberi delle fiaccole, sparì. L’oteria fu per Anzol il rifugio estremo e il mercato lo fu per la folla.

Sperduto in labirinti di veli, tendaggi, tappeti e suppellettili Gaddo era cresciuto ignaro e malaticcio, tormentato da una tossicina secca, estenuato da un cibo irreale e soffocato dalle asfissianti premure di fantesche e servette. Ma da qualche tempo avevano smesso di chiamarlo ‘signorino’ e non sapeva perché; gli avevano tolto il suo gioco preferito (i dadi, con i quali si ingegnava a costruire piccoli altobanchi) e non se ne faceva una ragione; gli era stata imposta una vecchia acida e ingobbita che lo spaventava fino a farlo piangere. Una sera quella entrò ciabattando, lo prese per i capelli, lo trascinò alla finestra, la spalancò, lo costrinse a guardare fuori e gli sussurrò: «Nella nebbia ci sono le streghe». Lo lasciò andare, ridacchiò e ciabattò fuori ripetendo: «Entrano di notte nelle case e prendono l’anima ai bambini».
Gaddo chiuse la finestra. Avvicinò il viso ai vetri e scrutò nel buio.

La nebbia riprese a calare; si fermò a un metro dal terreno e strinse la folla in una morsa di vuoto. Delle case di Anzol, delle vie umide e strette, dei suoni che riempivano il giorno non restò che un indefinito ricordo. L’oteriasparì alla vista e a poco a poco fu dimenticata, mentre la nebbia assorbiva il fare della gente e della folla e le streghe lo manipolavano. Le urlatrici - donne che annunciavano sconti e saldi - persero la voce, gente ferma presso i banchi scomparve all’improvviso, vecchi venditori ritenuti morti riapparvero esibendo stoffe sfilacciate e cibi ammuffiti e la folla si adattò a una nuova andatura fatta di brevi passi strascicati che ritmavano il solido tintinnio dei soldi.
Mira non si era mai allontanata dalla sua stanza al sesto piano dell’altobanco. La sua ragione di vita era Luna e per proteggerla aveva appreso in fretta l’arte sottile della simulazione. Passò indenne la mattanza dei seguaci di Falco e restò nell’ombra. Donna la lasciò stare; voleva Luna, ma non prima che la piccola avesse compiuto quattro anni. Ripescò Gaddo, gli tolse la volontà, lo trasformò in un devoto mostriciattolo e lo spedì all’oteria, ‘l’isola invisibile’.
Chi lo vide entrare - una notte gelida - non lo riconobbe: quel nanetto senza età, tracagnotto, tutto testa e capelli trotterellò verso il banco di mescita, vi si arrampicò e si lanciò in una ipnotica sequenza di contorcimenti. La gente rise, applaudì, si fece attenta, si avvicinò, lo circondò. Gaddo eseguì una capriola, si rizzò, trasse una fiaschetta e schizzò tutt’intorno ‘acqua di putredine’. L’oteria fu infettata di orrore, fuori le fiaccole si spensero e le urla e i gemiti che dentro rimbalzavano sulle pareti, sui tavoli e le panche rovesciate, sugli specchi dietro il banco di mescita furono echi lontani che la nebbia soffocò. L’alba non raggiunse l’oteria. Gaddo piroettava spargendo la follia e la morte.
L’umidità prese Anzol, avanzò lungo le vie, risalì i muri esterni delle case, si infiltrò nelle pareti, entrò nelle stanze, si fissò addosso agli abitanti e li piegò in una lamentosa e ripetuta sofferenza. Fuori il silenzio ristagnava e gli sguardi non si levarono più a interpretare il tempo. Lo dimenticarono.
Fu quando la nebbia toccò il suolo che il mercato si fermò; tacque la folla, tacquero i soldi, tacquero le cose per un istante lungo; un incedere esitante e diseguale segnò il nuovo rumore dei passi nel vuoto completo e un brusio incostante e frastagliato sostituì le voci. Allora si scatenò la furia delle streghe.
E Donna scese al sesto piano e chiese Luna a sua madre. «Tua figlia sarà una strega, nella nebbia».
Mira non si oppose. La sua parte richiedeva che chinasse la testa, e lo fece con impeccabile simulazione. Donna la fissò e grugnì. «Portala giù, nella stanza sotto l’oteria. Stanotte. Tu puoi restare o andartene, ma non rivedrai mai più tua figlia».
Mira non attese l’oscurità. Era ancora giorno quando uscì dall’altobanco tenendo per mano Luna. La nebbia le avvolse e la folla le assorbì.
«Non avere paura, Luna».
Molte volte urtarono corpi, inciamparono, caddero, si rialzarono, ripresero la marcia nel vuoto grigio. Il buio le sorprese circondate da un rado tintinnio di soldi.
«Siamo quasi fuori. Corri».
Un muro le fermò. Mira toccò la superficie: colava umidità. Udì un urlo di rabbia in lontananza: era Donna, lo sapeva. Altri urli seguirono. Il tintinnio si placò. Mira prese in braccio Luna e corse.
La piana, gelata, satura di nebbia, non le respinse né le attirò nei solchi che il tempo irrisolto di Anzol ignorava. Gli intrichi le accettarono. Mira avvolse Luna in una coperta e si inoltrò con lei nel fitto; si ferì, si lacerò, ma proseguì. Si fermò in una piccola radura che i rovi non sovrastavano e sedette sfinita sull’erba. Vide il cielo stellato, lo guardò a lungo e ricordò le vecchie storie che lo descrivevano. Cercò di imginare una terra al di là di quel confine, ma seppe che non poteva andare oltre, che il suo destino si era compiuto, non le concedeva una nuova vita e le imponeva un’ultima sfida. Guardò Luna addormentata: era libera, pura, e in sonno o in veglia forse una donna degli intrichi l’avrebbe trovata e tenuta con sé. Sperò che fosse così, che le figure che nelle leggende popolavano gli intrichi esistessero davvero.
Tornò indietro, sola. Corse nella nebbia e si avventò con furia sull’urlo delle streghe.
Luna si svegliò nel docile tepore di un intreccio di rovi e liane di vitalba: era un luogo sconosciuto, ma le piaceva. Una luce intensa lo dominava e scaldava il suo corpo; era così forte che la obbligava a tenere gli occhi socchiusi.
«È il sole», disse una voce. Luna volse lo sguardo su una giovane donna: era diversa da sua madre, era minuta, con lunghi capelli neri e occhi di un colore mutevole. «Il sole che non hai mai visto, piccola, che illumina la terra, che dà il sorriso ai bambini».
Luna alzò lo sguardo sul cerchio abbagliante.
«Non guardarlo, guarda il cielo, che è la sua casa», disse la giovane donna.
«Il cielo è così grande?».


Per leggere i precedenti capitoli, clicca qui:

Note dell’editore:
«Haria vive ritirata sull'appennino ligure-emiliano, e comunica con il mondo esterno mediante i suoi libri, in cui dispensa la conoscenza di cui è portatrice. Ove giovani donne, in secoli diversi, in fuga dal proprio tempo, in fuga per la consapevolezza e la libertà. Nove vite, una vita, e una luce negli occhi che le guida e le accomuna. Nove donne oltre il varco sull'ignoto, per un magico, solidale destino.»

“Anzol”, Haria, Collana Letteratura di Confine, Proprietà letteraria riservata, © RUPE MUTEVOLE, prima edizione 2013, ristampe 2017.

Cristina del Torchio
https://www.facebook.com/RupeMutevoleEditore/
https://www.reteimprese.it/rupemutevoleedizioni 

Andrea Giostra

Emanuela Chiodi e Eros Mele in concerto: un duo nella vita e nell’arte

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di Riccardo Bramante - È stata una piacevolissima serata musicale quella offertaci dal duo Emanuela Chiodi ed Eros Mele al Circolo del Ministero degli Esteri all’Acqua Acetosa. Lei pianista, compositore e didatta diplomatasi presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma, lui diplomato in clarinetto con il massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio di Frosinone “Licinio Refice”.

Ma non sono solo le indubbie capacità tecniche dei due giovani musicisti che colpiscono; è soprattutto la loro capacità di creare una atmosfera magica che coinvolge tutti i presenti e li porta a vivere a fondo la musica da loro eseguita.

Già l’indubbia originalità del duo composto da pianoforte e clarinetto, strumenti raramente utilizzati insieme dai compositori classici e moderni, contribuisce a dare un tono pieno di particolari sonorità ai brani da loro eseguiti, sia quando presentano, in una personalissima interpretazione, pezzi di colonne sonore di film quali “Nuovo cinema paradiso” di Ennio Morricone o “Buongiorno principessa” e “La vita è bella” di Nicola Piovani, sia quando si esibiscono in esecuzioni più “leggere” come “Oblivion” e “Libertango” di Astor Piazzolla con la loro carica di sensualità e, allo stesso tempo, di onirica visione.


È un duo, quello di Emanuela ed Eros, già ampiamente collaudato non solo nella realtà (sono marito e moglie) ma anche nel campo musicale attraverso la comune partecipazione a rassegne concertistiche, festival ed eventi in cui spesso si fondono anche altre discipline artistiche. Ce ne hanno dato un esempio in questa serata in cui diversi brani musicali sono stati introdotti dalla lettura, da parte dell’attore Salvatore Iermano, di parti significative del libro “Viaggio nell’anima”, scritto dalla stessa Emanuela Chiodi, opera che costituisce un interessante momento introspettivo e di riflessione sulla propria vita e sul personale cammino che ciascuno di noi si trova a percorrere.

Né può essere sottaciuto l’aspetto didattico che sia la Chiodi che Mele esercitano con ecletticità e spinta creativa fino a fondare insieme l’Accademia “I colori della musica”, un istituto altamente formativo e professionale con sede a Fiumicino che ha come scopo quello di insegnare e soprattutto capire la musica e quello che ci può dare anche nella vita di tutti i giorni.

Serata estremamente stimolante, quindi, che si è piacevolmente conclusa con l’esecuzione di momenti musicali composti dalla stessa Emanuela Chiodi e, per finire in bellezza, con un particolare arrangiamento della celebre “Summertime”, omaggio all’indimenticata Ella Fitzgerald e alla musica jazz in generale.

Barbara Consoni disegna il Gioiello per Grunda, il fumetto sul femminicidio di Emanuela Del Zompo. L'intervista

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Chi è Barbara Consoni e come nasce professionalmente?

Sono Creative Consept Jewelry Designer per il mio Brand di gioielli che si chiama Barbarella Jewelry. La mia formazione culturale è fusione di studi classici, architettura e design. Ho fondato il mio Brand nel 2014, caratterizzandolo con linee organiche ma soprattutto da ricerca progettuale e un contenuto che fosse il cuore pulsante dell’opera. Sono membro dell’Associazione Officine dei talenti Preziosi dal 2017, la cui Presidente è Marina Valli, figlia dello storico designer di Bulgari per 45 anni.  L’associazione ha l’obiettivo di proporre e promuovere il gioiello di concept e di alto design a Roma, organizzando manifestazioni, eventi e fiere di settore.  
Chi sono i tuoi clienti?
I miei clienti sono coloro i quali amano contraddistinguersi con un oggetto originale, caratterizzarsi  e dare evidenza alla loro personalità con un gioiello senza dubbio fuori dal comune, che si ama per il design, per il brillare di pietre e colori ma anche e soprattutto per il messaggio che porta con sé. Quindi sicuramente un pubblico colto ricercato che sa come dare un tocco di luce alla propria personalità. Sicuramente una clientela raffinata ma anche estrosa. Con il mondo dello spettacolo ho già lavorato, facendo una parure per la cantante italiana Elena Presti: in occasione del suo ultimo CD Icaro’s Wings le ho creato su sua commissione una parure con questa figura con le Ali ma che accenna anche un passo di danza. Poi ho realizzato la collana gioiello per il fumetto contro la violenza sulle donne “Grunda l'Angelo dalle ali rotte”, per la giornalista ed attrice Emanuela del Zompo (nella foto qui sotto).  
A cosa ti ispiri per le tue creazioni?
Punto di risalto e di forza della progettazione e delle mie creazioni è realizzare un oggetto prezioso, non con un concetto di estetica fine a se stessa, ma che abbia invece come nucleo fondamentale, ricerca progettuale ed un messaggio da trasmettere come, in genere, nelle altre forme artistiche quali la pittura, la scultura, la scrittura, l’architettura, la poesia. Questa è l’energia propositiva da cui sono definiti i segni, i simboli e le metafore che contraddistinguono il processo progettuale che porta alla creazione del gioiello. In questo viaggio, la sfida più eccitante è riuscire a creare con la materia, la dimensione. Quando creo un oggetto c’è un lavoro immenso molto prima, ci sta ricerca e studio, istinto e sensazioni che muovendosi insieme creano il mio moodboard, dal quale ogni volta partorisco una creazione che amo davvero e con la quale voglio fare gioia, sentimenti ed emozioni positive, di riempimento di totalità. 
Quale difficoltà hai incontrato nel tuo lavoro?
Le difficoltà nel mio lavoro sono soprattutto circondarsi sempre di professionisti eccellenti perché io ci voglio sempre mettere la faccia! L'altra difficoltà è riuscire a conciliare tutti gli impegni che oggi una donna che lavora deve riuscire a gestire, quindi la famiglia la gestione della casa e tanto altro. La testa libera per creare è un lusso davvero.   
A quali eventi hai partecipato?
Attraverso l'associazione di cui faccio parte, Officine dei talenti preziosi, ho partecipato all’edizione del 2017 di Altaroma in town, all’edizione di Goldotaly OroArezzo 2017 nella sezione Hub ed ho preso parte questo dicembre insieme al’ associazione Officine sei talenti preziosi, sostenendo Susan G. Komen Italia nel gala di beneficenza per la lotta contro i tumori al seno. L'impegno di chi ha donato la propria creazione si tinge di rosa nella luminosa cornice del st. Regis Roma. Un Brindisi per la ricerca e la prevenzione per essere sempre più efficaci. Inoltre penso che ben si sposi con il mondo dello spettacolo che spesso ha bisogno di oggetti che caratterizzino i personaggi donando una particolare simbologia agli oggetti che indossano, poi all’edizione di Altaroma in town 2018.  

foto di Agostini Alberto make up Livia de Filippis, abiti new style

Cannes, Claire Denis Presidente della giuria di cortometraggi e cinéfondation

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La regista e sceneggiatrice francese Claire Denis dirige la cortometraggi e la giuria della Cinéfondation del 72° Festival di Cannes.
Claire Denis succederà ad Abderrahmane Sissako, Naomi Kawase, Cristian Mungiu e Bertrand Bonello. Giovedì 23 maggio, insieme alla sua giuria, assegnerà i tre premi della Cinéfondation tra le 17 opere presentate dagli studenti di cinema. Sabato 25 maggio, assegnerà la Palma d'oro al cortometraggio o alla Cerimonia conclusiva della 72esima edizione del Festival di Cannes.
Claire Denis ha occupato un posto unico nel cinema contemporaneo per più di 30 anni. Ha diretto un corpo di lavoro avvincente, di cui 13 lungometraggi, quattro dei quali sono stati proiettati nella Selezione Ufficiale del Festival di Cannes. Vera avventuriera, ha consolidato il suo gusto per l'osservazione e la sperimentazione durante i suoi viaggi artistici, navigando tra l'introspezione e l'apertura al mondo. 

Ucraina Turismo, L'incredibile storia di Luigi e Mokryna

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Quando la guerra e le sofferenze superano e travalicano ogni difficoltà e confine nel segno dell’amore.

Passeggiando tra i più bei parchi di Kyiv, capitale dell’Ucraina, si possono ammirare numerosi monumenti, tra questi una statua in particolare di due anziani che si abbracciano attira l’attenzione dei passanti. La scultura commemora la commovente storia di Luigi Pedutto e Mokryna Yurzuk e celebra una incredibile storia d'amore durata oltre settant’anni che ha affrontato una guerra, ha valicato i confini e ha superato le barriere linguistiche.

Chi sono questi due innamorati e perché la loro storia d’amore è così importante? Tutto ebbe inizio nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, quando il cavaliere maresciallo Luigi Pedutto della Guardia di Finanza, originario di Castel San Lorenzo in provincia di Salerno, poco più che ventenne, viene deportato dai tedeschi nel campo di concentramento di Krems, nei pressi della città di Sankt Polten, in Austria. Fu lì che Luigi incontrò l’ucraina Mokryna Yurz, o meglio Maria come la chiamava lui, anche lei giovane ventenne deportata e condannata ai lavori forzati. Mokryna non parlava l’italiano e Luigi conosceva solo alcune frasi in ucraino ma nonostante ciò i due si innamorano perdutamente. In un luogo di tanto dolore e crudeltà la coppia riuscì a sopravvivere, grazie anche alla forza dell’amore, sostenendosi a vicenda: lui le portava da mangiare, lei in cambio gli cuciva gli abiti e insieme sognavano la libertà.

Quando il campo fu liberato nel 1945, la ragazza fu rimandata in Ucraina e a Luigi fu impedito dalle autorità sovietiche di unirsi alla sua innamorata. Tornati nel proprio paese d’origine, entrambi si sono sposati e hanno avuto figli ma non hanno mai dimenticato il loro vero e unico amore. Luigi non ha mai smesso di cercare la sua Maria e l’ha ritrovata solamente dopo sessant’anni grazie a un programma televisivo, quando nel 2004 si rivolge alla trasmissione televisiva Aspettami, la versione ucraina di C’è posta per te. In quel momento Luigi, il più emotivo dei due, ha potuto finalmente riabbracciare Mokryna, e da allora i due innamorati non si sono più separati.

Questa commovente riunione è stata immortalata e fusa in bronzo nel 2013, a oltre sessant’anni dal loro primo incontro, in un parco a Kyiv vicino al Ponte degli Innamorati, una destinazione popolare tra le giovani coppie che si promettono eterno amore. La scultura rappresenta l’amore tra Luigi e Mokryna, ormai anziani, stretti in un immortale abbraccio. Una copia esatta della scultura è stata inaugurata nella città natale di Pedutto, a Castel San Lorenzo, il 30 aprile 2017. L’opera è diventata simbolo di amore eterno tra due innamorati che la guerra ha riunito e poi separato. La versione italiana, chiamata la Fratellanza Universale, rappresenta metaforicamente un abbraccio tra due popoli, l’Italia e l’Ucraina, che hanno entrambi sofferto per i tragici eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale.

Luigi Pedutto è morto nel 2013 all’età di 91 anni e pochi anni dopo lo ha raggiunto Mokryna, ma il loro amore resterà scolpito in eterno.

Sabaudia, al Meeting di Cinema&Storia 2019 il grande cinema incontra il territorio, da Moravia a Pasolini, da Sorrentino a Virzì

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L'8 e 9 aprile 2019 è Sabaudia la protagonista dell'annuale Meeting di Cinema&Storia che, in collaborazione con l'Istituto Cinecittà Luce, vede i ragazzi dei Progetti Scuola ABC, promossi da Regione Lazio e Roma Capitale e finanziati dall'Unione Europea, avvicinarsi alle bellezze del nostro territorio attraverso la chiave del cinema e della letteratura.

Dopo l’incontro di Ventotene nel 2018, l'appuntamento del 2019 vede una narrazione inedita di Sabaudia che parte dal suo ruolo di “quinta” cinematografica utilizzata da Sorrentino a Virzì, da Bertolucci a Sordi, da Luchetti a Genovese, attraverso le proiezioni e il racconto del giornalista e critico Steve Della Casa. Dalla finzione alla storia, con l’ausilio delle immagini di repertorio realizzate dall'Istituto Luce Cinecittà, lo scrittore e autore Lorenzo Pavolini racconta Le città di fondazione e la fondazione del fascismo, un approfondimento sulla nascita di Sabaudia che accompagna la visita al centro storico della cittadina che è uno dei più significativi esempi di architettura razionalista italiana: con la caratteristica Torre civica da cui partono strade e piazze, la Chiesa dell’Annunziata con il mosaico che ritrae il Duce intento nella trebbiatura e il curioso Palazzo delle Poste, decorato da migliaia di tessere blu, il colore di casa Savoia. 

Saranno presenti: Enrico Maria Forte,  consigliere regionale, Giovanna Pugliese, Progetti Speciali Regione Lazio, Luciano Sovena, Presidente Roma Lazio Film Commission, Maura Cosenza, Istituto Luce Cinecittà

In un percorso che alterna la storia all'urbanistica, l'architettura al cinema, i ragazzi potranno assistere anche alla proiezione di Vincere, il film del regista Marco Bellocchio del 2009, introdotta dal critico Fabio Ferzetti e da Luciano Sovena. 

Conclude il primo giorno del Meeting lo spettacolo Dux in scatola - autobiografia d’oltretomba di Mussolini Benito di e con Daniele Timpano, drammaturgo, regista e attore teatrale.

Il 9 aprile sono poi le bellezze naturali del territorio al centro della scoperta dei ragazzi, a partire dalla suggestiva “Selva di Circe”: l’antico e prezioso lembo di foresta planiziaria - la più estesa d’Italia - scampata alla bonifica degli anni Trenta e caratterizzata da “piscine” (zone allagate) e “lestre” (radure con le tipiche e abitazioni a capanna). 

Dopo il tour del lago costiero, fino alla duna sabbiosa che ospita rari e delicati ecosistemi, l'annuale Meeting di Cinema&Storia si conclude a Villa Volpi con lo scrittore Paolo Di Paolo che qui racconterà la stagione di Moravia, Pasolini e Dacia Maraini, dando voce alla Sabaudia letteraria attraverso le letture affidate a Barbara Chichiarelli, famosa per il ruolo di Livia, sorella di Aureliano Adami, nella serie tv Suburra distribuita da Netflix.

Cinema&Storia è promosso dalla Regione Lazio con Roma Capitale, nell’ambito del POR-FSE Lazio 2014 - 2020/Asse III - Istruzione e formazione/Obiettivo specifico 10.1. L’iniziativa è curata dal Progetto ABC Arte Bellezza Cultura con Roma Lazio Film Commission, Giornate degli Autori, Istituto Luce Cinecittà, e il sostegno della Direzione Generale Cinema del MiBAC.

Il  Meeting  di  Cinema&Storia  è  realizzato  grazie  al  contributo  dell’Istituto  Luce  Cinecittà  e della Direzione Generale Cinema del MiBAC

Autori Expo: il 1° sito di autori per gli autori, per valorizzare e diffondere la drammaturgia contemporanea italiana

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È stato presentato il 1° aprile presso la Sala Squarzina del Teatro Argentina, Autori Expo: il primo sito di autori per gli autori, ideato per valorizzare e diffondere la drammaturgia contemporanea italiana.

Sono intervenuti: Maria Letizia Compatangelo, Stefano Santomauro, Angelo Longoni, Donatella Brocco, Rosario Galli.

Autori Expo è la prima vetrina digitale che ogni autore può gestire in totale libertà: vuole agevolare la ricerca di informazioni relative agli autori teatrali, data la mancanza di un archivio nazionale accessibile che raccolga tutte le informazioni riguardanti un autore, ma è anche uno strumento in grado di agire in sinergia con le altre library attualmente esistenti e i vari canali social. Attraverso le più innovative tecniche digitali, Autori Expo è in grado di creare un vero e proprio ecosistema al centro del quale vi è l’autore.

“Si tratta di un sito che genera siti – ha affermato Angelo Longoni, Vice Presidente Cendic – completamente gratuito e aperto a tutti gli autori, non soltanto iscritti al Cendic. Ogni autore può così aprire una sua pagina web, dove pubblicare testi, locandine, biografia e notizie varie”.

“Internet è oramai un canale comunicativo essenziale – ha sottolineato Stefano Santomauro, ideatore di WelcomeTheatre – e bisogna saper isolare e utilizzare quelle caratteristiche che offrono le maggiori possibilità, come ad esempio YouTube, per realizzare e diffondere trailer di uno spettacolo, o i social network, come Facebook, usati in modo professionale per veicolare notizie e immagini”.

Il progetto sarà diffuso sfruttando le migliori tecniche del Digital Marketing. Tutte le informazioni riguardanti l’autore saranno integrate con i servizi digitali di WelcomeTheatre, ottenendo in questo modo la migliore visibilità sul Web.

L’obiettivo del progetto è quella di fornire ad ogni autore la possibilità di far conoscere la propria storia e le proprie attività teatrali.

Autori Expo verrà realizzato grazie alla collaborazione del Centro Nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanea, Wake Up e WelcomeTheatre.

Web Site

www.autoriexpo.it

Cartoons on the Bay, la III° edizione del festival dedicato ai ragazzi a Torino dall'11 al 14 aprile 2019

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di Emanuela Del Zompo - Organizzato dalla Rai in collaborazione con Regione Piemonte, Film Commission Torino Piemonte e FIP, Film Investimenti Piemonte la Kermesse di respiro internazionale punta quest'anno su temi di fantascienza, fantasy ed horror. Paese ospite gli Stati Uniti.

Ci sarà spazio anche per lo sport giovanile e per attività che coinvolgeranno studenti e giovani.
Un evento come questo festival dà alla città di Torino non solo prestigio ma consolida l'immagine di un territorio strategico per le produzioni e i settori dell'animazione commenta Paola Damilano, Presidente della film Commission.
Billy Plimpton sarà il superospite che riceverò il Pulcinella Award alla carriera.
Plympton ha iniziato a sviluppare la passione per il disegno già da giovanissimo. Dopo l’università si trasferisce a New York nel 1968, e per i successivi 15 anni lavora come art director, illustratore e fumettista, pubblicando su Vogue, Rolling Stone, Vanity Fair, Penthouse, National Lampoon, Glamour, Village Voice e il New York Times. Nel 1983 realizza il cortometraggio Boomtown, un battesimo che lo porta poi a realizzarne altri, fino alla nomination all’Oscar del 1988 con Your Face. Nel 1992 esce The Tune, il suo primo lungometraggio, completamente autoprodotto, il primo di una lunga serie. Bill Plympton è insieme a Jan Svankamajer il più importante artista dell’animazione indipendente del panorama cinematografico.

Io sono l'A-more, il romanzo di Giovanna Politi. La recensione

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di Salvatore Cosentino - LECCE - Giovanna Politi è donna colta, ma non sul fatto. E, d’altra parte, io credo che se uno scrive libri, il migliore lo scrive (poco) dopo i 40 anni. Prima è troppo presto, dopo è troppo tardi. Il libro migliore è quello più intenso, più vero, forse più sofferto. E’ quello in cui le parole sono esattamente quante dovevano essere: non una di più, non una di meno. E sono nel modo in cui dovevano essere; profonde, precise, essenziali. E’ il libro che racconta (pur parlando apparentemente d’altro) le stratificazioni della vita di un autore o di un’autrice.

Perché è il libro che si confronta con le esperienze di una maturità che comincia ad accarezzare il corpo e…il pensiero.

E allora questo “Io sono l’A-more” (ed. Kimerik) è la sintesi delle relazioni di Giovanna con gli altri, ma anche con se stessa. Ed è anche il luogo (non del tutto) metaforico dov’ella visita quella “casa” costituita dal suo interiore, trovandola sempre ricca di molte, variegate stanze, giammai un monolocale. Una casa ricca di “luoghi del pensiero”. E c’è tutto dentro quei luoghi: la luce, il vento, il mare, la Fortuna, la sfortuna, la vertigine del tempo, il dolore, il sentimento, il rumore e…il silenzio: perché il libro narra di sordità, di gente che deve comunicare a gesti per farsi capire, e con questo testo la Politi ci spiega la decisiva differenza tra “sentire” e udire.

Generosa come sempre, lei non si fa mancare nulla: 2 prefazioni, 1 postfazione,172 pagine e 265 aforismi per un manuale d’istruzione (scritto con l’apostrofo) per il funzionamento del cuore. “Io sono l’A-more” è un testo profondo eppur leggero, perché non scambia mai la leggerezza con la superficialità. Ambientandolo in un Salento autentico (e non autoreferenziale e retorico come quello che è diventato oggi), la Politi ci narra di Amore come strumento di Libertà, oltre che di arte dell’ascolto. Ascolto degli altri, ma anche e soprattutto di noi stessi, perché si può ascoltare anche senza padiglioni auricolari, e qualunque handicap può diventare una risorsa.

Il motore di ricerca di Giovanna Politi non è Google, ma è la Bellezza. E il vero muscolo che muove i suoi polpastrelli sulla tastiera è l’Emozione. Così lei ci racconta dei massimi sistemi dell’esistenza nel modo più semplice possibile: di quanto sia difficile (e spesso ingiusto) giudicare; di come la felicità comporti un’ineliminabile quota di egoismo; di come il godersi la meraviglia dell’Istante sia il segreto di ogni vita felice, perché è il Presente l’unico tempo che ci appartiene.

E infine l’autrice ci offre una lucida analisi sul peccato, per concludere - molto laicamente - che l’unico peccato mortale vero è quello di rinunciare alla propria felicità, o magari instillare nella mente di qualcuno lo sciagurato dubbio che il Piacere possa essere peccato. In un testo perfettamente riuscito, perché scritto da una donna piena di passato eppur senza passato, perché intrisa di un futuro eternamente presente


Giovanna Politi è una scrittrice e poetessa leccese. Dopo la maturità classica si trasferisce a Firenze (all'ombra del campanile di Giotto) per intraprendere gli studi giuridici. Sin dall'adolescenza convive con il sacro demone della scrittura. Ama la poesia, adora D'Annunzio, Ungaretti e Montale e dei loro versi si nutre. Nel 1988 vince il primo premio "Raggio verde" con la poesia "Solitudine". Nel 1997 pubblica la sua prima raccolta poetica "Pensieri allo specchio" Liber Ars Edizioni e nel 2011, per Aletti Editore la seconda, "La voce del ventre". Nel marzo 2013, la pubblicazione del suo primo romanzo "Chi vola basso non può toccare il cielo" Kimerik Edizioni, per nove mesi in vetta alla classifica della stessa Casa Editrice, con successo di vendite. Giovanna Politi, dal febbraio 2013 è presente nell'Antologia dei Poeti Italiani Contemporanei (Casa Editrice Pagine-Roma) curata da Elio Pecora. Presente nell'antologia degli Scrittori Contemporanei, Kimerik Edizioni. "Io sono l'A-more"è il suo secondo romanzo. (www.giovannapoliti.it)

Manuel Aspidi, arriva nuovo singolo “LIBERO (I’m free)”

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Da oggi lunedì 8 aprile il videoclip di “LIBERO” è on line al seguente link: http://y2u.be/JdGYBkS7vv8. Sempre da oggi il brano è in rotazione radiofonica e su tutte le principali piattaforme e digital store.

Il brano è il secondo singolo estratto dall’omonimo EP dell’artista, “LIBERO” (Genialsong – Music Promotion for Artists di Thomas Aspidi), che vedrà la luce entro la prossima estate. L’operazione è un grande progetto musicale che vanta la collaborazione e la produzione di grandi nomi internazionali. Fanno parte della produzione di questo brano Alan Clark (tastierista e arrangiatore storico dei Dire Straits), Phil Palmer (chitarrista, arrangiatore e produttore di fama mondiale) e Numa Palmer (artista e produttrice) che è anche la direttrice artistica del progetto.
Il brano racconta di una rinascita. Di un desiderio di gioia e condivisione che è frutto di una importante presa di coscienza, ovvero quella di sentirsi creatori e fautori del proprio destino.
“Libero (I’m free) parla della mia personale lotta interiore – racconta Manuel Aspidi – Per un periodo ho dovuto lottare contro i miei demoni, i miei dubbi e tutto ciò che mi ostacolava. Quando alla fine li ho sconfitti mi sentivo finalmente libero. È un brano di forza e di speranza che incoraggia ad amare la vita nella sua totalità e a non fermarsi davanti ai problemi perché tra noi e i nostri sogni a volte esiste solo un velo sottile – conclude-”.
Phil Palmer ed Alan Clark insieme a Max Minoia, produttore e arrangiatore, scelgono e confermano ancora una volta sonorità fresche che strizzano l’occhio agli anni 70/80 con un’immancabile tocco britannico. Alan Clark è alle tastiere, Phil Palmer alle chitarre e Max Minoia al basso, batteria e programmazione.
Tutto registrato fra Londra e alla Buscuit Studios di Roma. Il testo è scritto da Numa.
Un brano fresco, ricco di vitalità e con una forte carica di energia accompagnato da un video altrettanto brillante, ancora una volta sotto la direzione e l’estro creativo del regista Luca Bizzi che ha scelto un racconto ai limiti del reale. In una alternanza tra sogno e realtà vediamo Manuel dentro una cella, metafora dei demoni che lo incatenano, poi alla guida di un’auto verso la libertà. Libertà che, strano gioco del destino, trova banalmente alla coda di un semaforo dove tutti scendono dalle auto trascinati dalla sua musica e si liberano in balli e sorrisi insieme.
“Per Manuel, afferma la direttrice artistica Numa, scegliamo un linguaggio semplice diretto e positivo. Perché lui è un ragazzo con un grande talento naturale e con una voce potente che parte direttamente dal suo cuore. Non vogliamo troppo preoccuparci di aderire ai trend musicali contemporanei che rischiano di perdere identità e autenticità all’interno di un mare di cloni. 
Noi vogliamo mantenere e mostrare la genuinità e bravura di Manuel ai giovani per i giovani. Senza strategie.”
Regia & editing: Luca Bizzi per Bubi Video

Management e Promozione radiofonica – Genialsong – www.genialsong.com

MANUEL ASPIDI E’ SUI SOCIAL

Laura Avalle, un vero vulcano, a Fattitaliani: Non amo il rischio, amo la vita. L'intervista

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di Laura Gorini Solare, simpatica e alla mano, Laura Avalleè un vero vulcano oltre che una donna decisamente creativa ed eclettica. Direttore della rivista nazionale Sono in Salute, ora è anche al timone della trasmissione Sex & The Economy,in onda su Pop Economy.

Laura, come sei arrivata alla conduzione televisiva? Che cosa ti piace maggiormente di questo lavoro?
«La mia carriera ha avuto inizio con il giornalismo televisivo: Rete7, quindi My-Tv, TgFinance, dove conducevo un telegiornale finanziario, quindi in un certo senso possiamo parlare di un ritorno. Nel frattempo sono diventata critica letteraria del programma Milleeunlibro condotto da Marzullo (RaiUno) e vengo spesso chiamata come ospite in studio dalle maggiori televisioni nazionali. Cosa mi piace di più di questo lavoro? L’immediatezza della Tv come mezzo di comunicazione». 
Il programma da te condotto vede strettamente collegati l'economia con il sesso, non è stato forse un azzardo?
«Affatto. Il giro di affari legato all’industria del sesso registra numeri da capogiro: basti pensare che l’indotto della prostituzione si stima intorno ai 5 miliardi di euro…».
Sei forse una donna che ama rischiare sia nel lavoro sia nella vita privata?
«Non amo il rischio, amo la vita. E sul lavoro mi metto sempre in discussione, perché non si finisce mai di imparare». 
A proposito di vita privata, come riesci a conciliare il tuo ruolo di mamma e moglie con quello di conduttrice televisiva e direttrice del mensile nazionale Sono In Salute? Riesci a trovare anche del tempo tutto per te?
«Se non fosse per mio marito non potrei fare tutto quello che faccio. Lui mi sostiene in tutto e mi è vicino sempre. Se riesco a trovare del tempo per me? Va a periodi: ci sono momenti dove no, non ci riesco e altri in cui mi sento un po’ più libera anche mentalmente».
Tuo marito e gli altri tuoi familiari come hanno preso la notizia di questo tuo nuovo impegno lavorativo?
«Ho condiviso questa nuova avventura con mio marito fin dal suo inizio e, a dire la verità, è stato proprio lui a spronarmi a proporre il progetto che avevo in testa». 
Quali sono state le critiche e i complimenti che hai ricevuto dopo la prima messa in onda del tuo programma che ti hanno maggiormente colpita?
«Per il momento tutto positivo. La gente rimane colpita dai grandi numeri che ruotano attorno al mercato a luci rosse, dove non mancano le note negative: da un lato, nel nostro Paese la voce di spesa per i preservativi è tragicamente bassa rispetto alla media europea, dall’altra proliferano tutti quei fenomeni come sextortion, revenge porn,slut shaming, che implicano ricatti ed estorsioni a sfondo sessuale».
A proposito, quale è stata la sua genesi?
«Il tutto è nato da una chiacchierata con Francesco Specchia, direttore di Pop Economy TV: nuova piattaforma multimediale ideata per i giovani e fatta dai giovani, il cui scopo è raccontare loro l’economia con il loro linguaggio. Mancava una rubrica sul business del mercato a luci rosse, così mi sono proposta visto che ho affrontato l’argomento più volte in qualità di divulgatrice scientifica (Avalle ha diretto per anni un’importante rivista di salute e benessere e attualmente è al timone del mensile Sono in Salute, ndr.). Il risultato si chiama Sex & The Economy, che potete seguire su: www.popeconomy.tv e sul canale 224 del Digitale Terrestre».
Dopo questa nuova avventura, credi che sia la conduzione televisiva il tuo nuovo futuro lavorativo?
«Il futuro è ancora tutto da scrivere: per il momento vivo il presente con le sue sfide quotidiane e tutto ciò che di bello mi regala».

Liegi, il M° Giampaolo Bisanti dirige "Anna Bolena", un’opera articolata, lunga, complessa e molto “insidiosa” per un direttore. L'intervista di Fattitaliani

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Stasera all'Opera di Liegi la prima di "Anna Bolena", l'opera che portò Gaetano Donizetti alla fama internazionale. Nei panni della protagonista Olga Peretyatko (per l'ultima rappresentazione del 20 aprile sarà Elaine Alvarez), diretta da Stefano Mazzonis di Pralafera. A dirigere l'orchestra il M° Giampaolo Bisanti, capace di muoversi in un repertorio molto ampio, che abbraccia tutta la musica operistica e i grandi capolavori di quella sinfonica. Fattitaliani lo ha intervistato.

Quanto è importante per un direttore d'orchestra muoversi attraverso un repertorio variegato? che cosa apporta di più alla persona e al professionista?
Importante credo che sia la scelta di ciò che più si sente vicino alla propria indole ed al proprio temperamento. Non possiamo dirigere o suonare o cantare bene tutto. Un musicista deve conoscere i propri limiti e deve scegliere con sincerità e serietà il repertorio che meglio valorizza i propri pregi.
"Anna Bolena" come si situa nell'arco della sua carriera e delle sue diverse performance? dal punto di vista della direzione musicale in che modo può essere presentata ?
Questa è la mia seconda produzione di Anna Bolena; ho diretto questo titolo la prima volta un paio di anni fa a Lisbona al Teatro Sao Carlos. È un’Opera che amo molto. Un vero e proprio “archetipo” del romanticismo del primo ottocento italiano. È un’opera articolata, lunga, complessa e molto “insidiosa” per un direttore. Non bisogna solo accompagnare la narrazione degli eventi; questo potrebbe far “cadere” la tensione emotiva; bisogna invece cercare le atmosfere, i preziosismi di cui è intrisa questa musica, sottolineare la capacità descrittiva di Donizetti, maestro assoluto nel disegnare, con l’uso delle note musicale, ambienti, corti, personalità, fantasmi, dolori e passioni.
Lei predilige un compositore in particolare, o un'opera o addirittura un'aria?
Solitamente ogni volta che dirigo un’opera sono innamorato di quella in particolare… Quindi adesso risponderei Anna Bolena e la pagina che più amo è il duetto tra il Basso ed il Mezzosoprano del primo atto “Tutta in voi la luce mia..” oltre naturalmente alla celeberrima “Al dolce guidami…”.
Com'è avvenuto il suo primo approccio con l'opera? Racconti...
Ascoltando da piccolo la collezione di musicassette operistiche di mio padre… Aveva tutte le storiche edizioni della Scala e dell’Arena di Verona…. Le ascoltavo per ore..
Milano, la sua città, come sta in questo periodo in termini di offerta e ricezione musicale?
Milano è certamente uno dei punti di riferimento italiani e non solo per ciò che riguarda la musica ed in particolare l’Opera Lirica. Certamente è una città feconda ed attenta a cogliere l’evolversi dei tempi e pronta a diventare la vetrina di correnti innovative e di audaci proposte ad un pubblico sempre più internazionale, esigente ed affamato di novità.
Donizetti si emozionò tanto per il grande successo riscosso da Anna Bolena. C'è stata un'occasione Lei in cui è stato particolarmente scosso dall'affetto del pubblico?
Devo dire che ogni volta che salgo su un podio sento una grande responsabilità unita ad una grande gioia per la soddisfazione di poter fare nella vita ciò che amo e per cui ho tanto studiato e fatto sacrifici.
Il momento degli applausi è il culmine di queste emozioni ed ogni sera ha in sé qualcosa di speciale.
I momenti emozionanti sono tanti… devo dire che quelli che ho più nel cuore sono legati agli applausi ricevuti dalle persone che hanno creduto in me e che, in questo o quel particolare contesto, vivevano con me la soddisfazione del risultato anche un po’ come merito loro.
Può fare un bilancio come Direttore Stabile della Fondazione Petruzzelli di Bari?
Il bilancio è senza dubbio entusiasmante. Bari è una tra le realtà più interessanti dell’attuale panorama delle Fondazioni Liriche Italiane. Un teatro virtuoso che registra un costante aumento di pubblico, di abbonati; i cittadini baresi si sono riappropriati di uno spazio di cui erano stati privati per tantissimo tempo e dimostrano verso il “loro” Teatro un attaccamento davvero commovente.
È una realtà positiva, in cui l’aspetto organizzativo, manageriale e artistico si fondono con grande armonia. Questo grazie ad uno staff sempre attento alle esigenze di tutti e ad un Sovrintendente che amministra il Teatro con il garbo, l’attenzione e la straordinaria prerogativa di guardare sempre avanti. Giovanni Zambito.

Claudia Campagnola in "8 donne e un mistero": Il mio personaggio mi dà modo di esplorare tantissimi mondi e colori. L'intervista di Fattitaliani

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Teatro Quirino di Roma, fino al 14 aprile “Otto donne e un mistero” di Robert Thomas. Traduzione di Anna Galiena. Adattamento di Micaela Miano. Con Paola Gassman nel ruolo di Mamy, Anna Galiena (Gaby), Caterina Murino (Pierrette), Debora Caprioglio (Augustine), Claudia Campagnola (Suzanne), Antonella Piccolo (Sig.ra Chanel), Giulia Fiume (Louise). Regia di Guglielmo Ferro. Per Fattitaliani.it abbiamo intervistato Claudia Campagnola.

Ho intervistato tantissime volte Claudia Campagnola, ho sfidato la neve caduta a Roma per assistere alla presentazione del docu-film “Vorrei dire ai giovani” in cui interpreta la partigiana Gina Borellini, diretta da Francesco Zarzana e proiettato ieri alla Camera dei Deputati eppure, ogni volta scopro qualcosa di nuovo. Attrice poliedrica si cala nel ruolo assegnatole sempre con una sfumatura diversa. In Otto donne e un mistero con la sua entrata in scena ed un saluto frizzante alla nonna, potremmo paragonarla ad una stella del Rock, non una qualsiasi ma la paragonerei a Patti Smith.
Claudia è il trait d’union tra i vari personaggi. 
Bello il testo, bella la scenografia divisa in due piani. Sopra, la camera da letto del Pater familias quasi a troneggiare sulla scena nonostante ciò che è successo! 
Si percepisce una tensione esitante da gioco teatrale che serve a catturare l’attenzione del pubblico e a tenerlo con il fiato sospeso.
Otto donne, tutte diverse le une dalle altre e ognuna con un segreto da svelare!
Otto donne ed un mistero, chi è il tuo personaggio?

Io sono Suzannne, la figlia maggiore di Marcel e Gaby. Torno dal mio college in Inghilterra per le vacanze di Natale con il mio solito entusiasmo e ho in serbo una grande sorpresa che poi si scoprirà alla fine del primo atto.
Nella prima scena viene detto “quando c’è Suzanne, qui c’è molta più gioia c’è molto più entusiasmo, più allegria”. Poco dopo il mio arrivo c’è un omicidio e quindi da lì...
Quanto ti ha spaventato il confronto con il personaggio del film?
Guarda, in realtà non ho volutamente fatto un confronto, nonostante lo abbia visto, ho cercato di dare una verità che mi appartenesse, una possibilità espressiva che potesse essere il più affine possibile al mio modo di recitare però una cosa molto divertente è che un paio di giorni fa una mia amica che veniva a vedermi mi ha detto “tu fai la figlia minore?” citando l’attrice francese che faceva il ruolo nel film ed io ho detto “no la figlia maggiore” però non mi ricordavo il nome e sono andata a cercarla, ho cercato una foto e devo dire che ho trovato molte similitudini fisiche, un bel sorriso, capelli lunghi come i miei. Tra l’altro siamo nate nello stesso anno di nascita, siamo tutte e due del 76, incredibile anche se lei ha fatto il film un po’ di anni fa.
Quindi di tuo cosa hai portato in questo personaggio?
Sicuramente il mio entusiasmo, la mia gioia di vivere, il mio essere frizzante e a volte anche strabordante. Il regista mi prende molto in giro perché dice che quando entro e dico “ciao nonnaaaaa”,  sembro quasi una rock star che in un concerto dice “ciao Romaaa”. 
Ho cercato di metterci il gioco che sicuramente mi appartiene, più colori possibili perché la bellezza di questo mio personaggio è che poi nel secondo atto, rivela un segreto molto importante che va nella direzione opposta rispetto a come si presenta all’inizio.
La bellezza del testo è che devi scrutare nel mondo dell’essere umano, nelle ombre e nella luce. Entro piena di luce e finisco mostrando dei fantasmi non molto leggeri, forse uno dei tabù più forti che riguardano l’essere umano. Ho cercato di metterci tutto quello che avevo, il bello ed il brutto di me.

8 donne ed un mistero, ma i misteri sono più di uno…!
Direi di sì, ognuno di noi ha un mistero, una polarità negativa, da nascondere. Un nero interiore che porta anche negli abissi del dolore, della malinconia, della cattiveria, del cinismo.
È un lavoro molto interessante. Il mio personaggio, in maniera particolare, mi dà modo di esplorare tantissimi mondi e colori.  Io amo i colori e gioco con i colori. Per me questo personaggio è stato proprio bello perché rappresentativo molto di più dell’arcobaleno in quanto riesco ad andare anche nei toni neri, grigi, marroni, quelli torbidi.

8 donne in scena, 8 donne che lavorano insieme, 8 donne che probabilmente faranno una tournée. Andate d’accordo o avete degli screzi?
In realtà l’abbiamo già fatta una parte di tournée, l’anno prossimo gireremo per altri 3-4 mesi. Devo dire che sopra ogni aspettativa ci siamo trovate molto bene. Siamo un gruppo con esperienze, età, background, origini, città diverse. Devo dire che viene confermata sempre di più la mia teoria che la diversità è davvero una risorsa. Da ognuna di noi si riesce a prendere sempre qualcosa di interessante, persino il confronto più aspro è fatto sempre con grande intelligenza, grande dignità, grande maturità. Io rappresento un po’ la via di mezzo, anche come età. Sono un po’ il trait d’union di queste donne, ei mi piace molto, è una responsabilità che mi prendo volentieri e credo di prendermela anche nella vita nel senso che sono un’attrice comunque accomodante, accogliente e quindi mi trovo ad essere anche un punto di unione in un conflitto o per un’incomprensione. Mi sono trovata molto bene e stimo tantissimo tutte le mie colleghe. Per me è un grandissimo lavoro.
Dove andrete in tournée?
Siamo stati già a Torino, in Veneto e nelle Marche! Dopo Roma finiremo con Genova e finisce questa prima parte di tournée.
Ripartiremo a novembre prossimo ma ancora non sappiamo le date e le città.
Elisabetta Ruffolo
Foto di Tommaso Le Pera

Micaela Ottomano “l’avvocato di punta delle maggiori compagnie assicurative d’Europa”. L'intervista

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Micaela Ottomanoè l’avvocato di punta delle maggiori compagnie assicurative, europee e italiane e dei più importanti gruppi Bancari, societari, e telefonici. Laureatasi a Bari, a soli 21 anni cum laude, negli ambienti forensi è conosciuta per la sua eccezionale combattività e tenacia, per la meticolosità e precisione con la quale affronta ogni questione giuridica e per le significative vittorie, riportate nei giudizi. Non ha mai abbandonato la sua Bari e ha trascorso anni tra Roma e Milano e poi Napoli, affrontati con la solita immarcescibile pervicacia, costellati di rilevanti successi e di delicate cariche professionali. Da anni a questa parte è un fondamentale punto di riferimento professionale per i colossi assicurativi e bancari, che se ne contendono le eccezionali prestazioni, per combattere le pericolose frodi ai danni degli stessi e difendersi da migliaia di truffatori. Il suo tempo libero, lo dedica tutto alla sua grande gioia, Beatrice, 8 anni, che ha già una piccola scrivania nello studio. 
Avvocato, qual è la situazione attuale in merito alle truffe assicurative, fenomeno sempre più in crescita in base alle notizie date dai media…
È un fenomeno molto grave, con una lunghissima storia alle spalle, e che, nel corso degli anni, si è evoluto sino a diventare un vero e proprio “sistema”, coinvolgente, come tale, le organizzazioni criminali. Ormai esiste una categoria precisa e cioè i professionisti della truffa assicurativa.
Ci spieghi meglio ... 
A partire dagli anni Novanta, soprattutto nelle regioni del sud Italia, in modo particolare Campania, Puglia e Sicilia, il risarcimento a seguito di sinistri stradali è diventato un vero e proprio ammortizzatore sociale. Difatti, il bacino dei soggetti qualificati che organizzano le truffe è ormai smisurato, dal finto danneggiato, al testimone che ne ha fatto una professione, fino addirittura ad alcuni avvocati furfanti.
Ci sta dipingendo un quadro francamente molto più allarmante di quello che si possa pensare dall’esterno…..
Basti pensare che, ad occhio e croce, circa il 90% delle cause che quotidianamente seguo in prima persona, e con l’aiuto dei miei collaboratori, riguarda sinistri mai verificatisi e dalla dinamica fantasiosa: la maggior parte di questi soggetti presunti lesi, si fa a male a casa propria e poi citano la compagnia millantando un finto investimento e chiedendo migliaia di euro che regolarmente poi ottengono. E in questo modo vivono, garantendosi una vita senza dover lavorare!!!!!!!!!!!!!! Le compagnie sono costrette a liquidare per questi risarcimenti, decine di milioni ogni anno.
Tutte cause intentate per i sinistri stradali?
L’ultima moda riguarda i finti risarcimenti per infiltrazioni d’acqua, negli appartamenti mai verificatisi e per i quali questi soggetti chiedono addirittura 50 mila euro.
E quali sono gli strumenti con cui lei combatte queste frodi?
Si tratta di un sistema criminale molto pericoloso, ben organizzato sul territorio; tante delle mie cause prendono il via nel civile, ma successivamente sensibilizzo i Giudici attenti e le faccio dirimere in Procura!
Come giudica il suo lavoro rispetto alla situazione che si vive nei tribunali?
Negli anni, a causa del poco “zelo”, il giovane avvocato ha perso la grinta, spesso è poco preparato e senza alcuna passione per ciò che fa si vede. Oltre alla competenza tecnico giuridica, è fondamentale essere determinati nel vincere ogni causa e soprattutto fare tanti sacrificiPer quanto mi riguarda, lavoro tantissimo, non mi risparmio, dormo cinque ore a notte e lavoro sempre, quasi tutti sabato e domenica. 
Lei si occupa anche di divorzi e pare abbia la fama di richiedere parcelle molto elevate anche a personaggi noti...
Certo, amo il diritto di famiglia e da anni me ne occupo. Ebbene , lo ammetto, benché mi farò per nemiche tante donne, difendo prevalentemente gli uomini che, in fase di separazione e divorzio sono davanti alla legge, i soggetti assolutamente più deboli, che spesso vengono completamente spennati” da donne astute e calcolatrici, che utilizzano i figli a tal fine o come “bottino di guerra”.
Che ne pensa dell’ultima sentenza della Cassazione che annulla il concetto del “tenore di vita”? 
Concordo in pieno, lavoro da quando avevo 21 anni, sono sposata e separata, ma sono sempre stata completamente indipendente, prima dai miei genitori e poi da mio marito che è benestante; ritengo che il matrimonio non debba essere considerato una sistemazione a vita o un surrogato per non andare a lavorarequindi dico alle mie clienti di investire su loro stesse e non sull’uomo, e che la donna che lavora, sarà sempre più stimata in società, rispetto ad una “mantenuta dal marito”! 
Un lavoro di questo livello, richiederà un team di prim’ordine…..
Certamente, gestisco circa trenta collaboratori, bravissimi, nelle tre sedi di Roma, Napoli e Bari, che seguo tutti personalmente.
Avvocato lei è da sempre impegnata per contrastare il fenomeno della violenza sulle donne: qual è il suo giudizio sulla legge in vigore dal 2013 ? 
Per arginare questo fenomeno serviva una legge come questa,ma ritengo che si debba fare di più. L’omicidio è l’ultimo atto, l’estrema manifestazione del possesso. Vi è un’epidemia di violenza contro le donne. L’uomo uccide perché non ha più il possesso di quella “cosa” che riteneva sua, la donna. Vi è una reale emergenza e la problematica ha origine nel tessuto sociale e culturale del nostro paese. Il femminicidio si colloca tra i reati che hanno origine da un substrato culturale radicato ed arcaico. Alcuni uomini non hanno ancora accettato l’emancipazione della donna. Fino a pochi anni fa era ancora presente nel nostro ordinamento giuridico il “delitto d’onore”. Stato, famiglia e scuola devono intervenire in maniera incisiva perché la violenza sulle donne riguarda tutti e non deve essere concepito come un fatto privato”. 
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