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Matera, in mostra "Città silenti" di Michele Volpicella dal 14 aprile

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MATERA - Città Silenti è la mostra di Michele Volpicella con il patrocinio di Matera 2019, Open Future a cura di Avangart di Sebastiano Pepe e Nicolò Giovine, esposta a Matera presso la Fondazione Sassi via San Giovanni Vecchio, 24.

Il percorso espositivo si compone di una selezione di opere del maestro Volpicella raffigurante il paesaggio materano nelle sue diverse sfaccettature cromatiche in chiave Neo Metafisica, con una particolare attenzione alla tecnica di lavorazione delle tele, trattate con polvere di tufo e di pietra e successivamente dipinte con accurata prospettiva geometrica ed un’armonia cromatica che caratterizza la loro peculiarità. La mostra è un omaggio alla città di Matera in occasione del suo riconoscimento a Capitale Europea della Cultura 2019.

Perché Matera è stata proclamata il 17 ottobre 2014 Capitale Europea della Cultura per il 2019? ...Perché l’obiettivo di Matera di porsi alla guida di un movimento finalizzato all’abbattimento degli ostacoli che impediscono l’accesso alla cultura, soprattutto attraverso nuove tecnologie e processi di apprendimento, è stato giudicato visionario. É questa, tra le motivazioni che hanno portato la Giuria di selezione e scegliere Matera come Capitale Europea della Cultura 2019, quella che più colpisce.

Obiettivo visionario… visioni di radici millenarie… visioni intese come capacità di vedere oltre la realtà materiale e storica…. visioni quali sinonimi di tensione etica e spirituale orientata alla piena realizzazione di sé e dei propri ideali. Il sogno è quello di costruire questa resistenza attraverso l’arte e la cultura, attraverso il teatro, la danza, la musica, che così non sono più vissute come un oggetto di consumo, ma come parte integrante della vita. L’arte è innesto vitale per la trasformazione delle persone. L’arte che parte dalla vita, che parte dai problemi della società contemporanea, fa si che ci si interroghi, che si discuta.

L’arte che parte dallo specifico, come nel caso delle tele intrise di poesia di Michele Volpicella, rende possibile la trasmissione nel tempo e nello spazio del messaggio culturale e artistico nella città di Matera: un messaggio intriso di radici, di storia, di futuro, di continuità, di utopie, di percorsi, di riflessioni, di connessioni…. di visioni. L’opera pittorica di Michele Volpicella crea linguaggi universali, fa poesia, produce bellezza. (dalla Prefazione al catalogo del Prof. Francesco Lenoci).

La cifra stilistica di Michele Volpicella è ormai diventata una firma inconfondibile: la sequenza quasi aritmetica dei tetti, la peculiare tavolozza cromatica, le finestre mute, l’assenza di figure umane, sono alcuni degli elementi che caratterizzano le sue opere, capaci di attirare un sempre maggior successo di pubblico e critica. Se a restare inconfondibile è il tratto dell’artista, forgiato sulle lezioni di incisione Sperimentale di Hector Saunier e di tecniche dell’acquerello e calligrafia del Maestro Zhang Huinan, nei nuovi lavori Volpicella innova in modo quasi impercettibile eppure inesorabile la sua pittura.

Michele Volpicella, questo mistico del colore, le cui tele alitano sospiri sognanti, magiche volute. Si meraviglia l’occhio dell’ammiratore osservando le compiture, l’architettura patinata, le giravolte di luce proiettandosi, quasi di soppiatto, in quell’orizzonte tipicamente volpicelliano fatto di colori e sensi, di fiducia e amori d’abisso, di case e casette che parlano, salendo, le une sulle altre, da un fondo tinta universale verso l’immensità della volta celeste.

Sensibilità e pietas distinguono queste tele, come pure c’è misticismo e fede, quella dell’eternità e quella dell’arte. Ecco perché, ora, lo sguardo di chi ammira s’infila nei meandri delle case color del pane, color del mare, color del pettirosso. Le case, le pareti, i tetti, ancora le giravolte, le porte, le finestre, gli angoli dipinti da Michele Volpicella sono così intrisi di umanità, che immediatamente ti lasciano percepire la presenza della comunità che contempla. È questa la forza dell’artista, di questo poeta dell’immagine, che sogna e dipinge con l’ispirazione di uno celestiale di coscienza.

Michele Volpicella ha approfondito la sua formazione artistica presso l’Accademia di Belle Arti di Bari. Ha frequentato le lezioni di Hector Saunier direttore dell’Atelier Contrepoint de Paris e del maestro cinese Zhang Huinan direttore del Beijing Chinese Character e del City Calligraphy Institute. Descritto dai critici come soggetto dotato di realistica e spiccata sensibilità cromatica, per cui le sue tele tendono a staccarsi dalla figurazione abituale, acquistando pregio nei colori come nelle stesse sceneggiature ricche di echi nordici, avvolte e sospese in un’atmosfera silente che potremmo definire metafisica. È presente in collezioni pubbliche e private. Dal 2018, a cura di Avangart di Nicolò Giovine e Sebastiano Pepe, ha iniziato un percorso per la realizzazione del progetto per Matera Capitale della Cultura 2019 dal titolo “Le Città Silenti - Racconti a Colori”.

Ciò premesso, uno dei segni più eloquenti della cultura è quello dell’andare incontro. Al riguardo Avangart porterà una selezione di opere del maestro Volpicella che rendono omaggio a Matera 2019 anche a Milano, dal 23 maggio 2019, presso “Felix Lo Basso Restaurant”, il ristorante stellato che illumina Piazza Duomo. La mostra è accompagnata da un catalogo monografico con un vasto repertorio di immagini e testi a cura di Francesco Lenoci, Fiorella Fiore, Maurizio Nocera, Enzo Quarto e Paolo Levi.


Vernissage d’inaugurazione domenica 14 aprile 2019, ore 18. La Mostra sarà aperta tutti i giorni (orario 10 – 18) dal 15 aprile al 30 settembre 2019, con ingresso gratuito.


JM, Matteo Fioriti e il suo 1° album "Uno": l'intervista

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JM, all’anagrafe umbra Matteo Fioriti, pur adottando il “flow”, le rime rap per esprimersi, si colloca anni luce dalla trap che va di moda. Lui infatti è più un cantautore d’oggi, sempre attaccato alla sua chitarra (suo fratello). In più suona il disco con accanto a sé una band vera e propria. Non samples. Sudore e passione. Groove (elemento centrale di molti pezzi funky in stile old skool, con beats “back in the days”,  bassi furibondi che fanno pensare ai Beastie Boys. In più JM pensa ritornelli pop, arrangiamenti emozionanti, con ballate e mood che non sono per niente rap. Una bella scoperta da seguire assolutamente. L'intervista.


Parlaci del tuo album. Che impronta hai voluto dargli?
Il 26 marzo è uscito UNO, il mio primo album. Lo scorso 6 marzo invece, il secondo singolo "Fratello" che ha anticipato il full-lenght. UNO è il frutto e la cornice di tantissimi momenti dei miei ultimi anni che sono stati costellati da tanti eventi e periodi tendezialmente non troppo positivi. E' un po' una catarsi diciamo. La scrittura del disco è iniziata 3 anni fa, subito dopo l'uscita del mio primo EP "Born on Five". Poi per l'anno successivo ho preprodotto i brani a casa e poi grazie a JAP Records ho avuto la fortuna di registare tutto di nuovo al Jap Perù Studio di Perugia per avere ovviamente una maggiore qualità del prodotto finale. In tutto abbiamo impiegato 2 anni di effettivo lavoro per completare il tutto, ma ne sono veramente soddisfatto. Per quanto riguarda l'impronta che ha l'album, non ci ho pensato molto, avevo tutto chiaro fin dall'inizio (da un punto di vista di suono), sapevo come dovevano uscire i brani. Ascolto poca musica italiana e sono davvero influenzato dalle pazzesche produzioni internazionali che in questi anni ho avuto modo di ascoltare, per me hanno proprio un suono e un attitudine diversi da quelle italiane e volevo che il mio lavoro si proiettasse il più possibile verso quella direzione.
Quali sono i tuoi cantanti di riferimento? 
Ce ne sarebbero tanti da elencare... ascolto veramente di tutto. Ultimamente sto ascoltando tantissimo Damien Rice, Ray LaMontagne, The Tallest Man on Earth, Arctic Monkeys, ma anche il solito Kendrick Lamar, Stevie Wonder, Tora.. ma dipende veramente dai giorni, non ne ho alcuni di vero e proprio riferimento.
Qual è l’esperienza lavorativa che più ti ha segnato fino ad ora?
L'esperienza lavorativa che più mi ha segnato fin ora è stato sicuramente questo disco UNO. Ho imparato così tante cose che davvero è stata un'esperienza fondamentale per la mia formazione come musicista.
Invece quella mai fatta e che ti piacerebbe fare?
Mi piacerebbe produrre un disco, mio o non, lavorarlo dagli arrangiamenti al mixaggio. Amo il lavoro in studio e spero davvero che prima o poi riesca in tutto questo; studio constantemente ogni giorno per imparare il più possibile!
Progetti futuri? Farai un tour?
Assolutamente sì. Con JAP Records stiamo lavorando per organizzare un bel tour prossimamente e per tutte le news seguite i nostri social!

Palermo, Prima edizione regionale della “settimana della disabilità”

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Lunedì 8 aprile alle ore 16,30 la conferenza stampa di apertura presso Palazzo Ziino, via Dante 53. 

Una cinque giorni dedicata ai diversamente abili a Palermo presso Palazzo Ziino, da giorno 8 a giorno 12 aprile. “Dalla tela alla cura" il sottotitolo scelto per l'iniziativa: perché dipingere ed esprimersi attraverso i colori non è solo un’arte ma anche un modo per conoscere se stessi e il disagio altrui.  
L'associazione unalottaxlavita onlus (www.unalottaxlavita.eu) è sempre più presente a Palermo, in continua crescita nei rapporti istituzionali nazionali, regionali e comunali, oggi vanta nel proprio direttivo, poiché fortemente determinati nel fare rete, anche presidenti di altre organizzazioni operanti sul territorio. Destinata ad allargarsi a macchia d’olio l'associazione unalottaxlavita onlus è presente in ben diciotto regioni su venticinque, ha sede legale in Calabria e segreteria operativa in Sicilia. L’associazione si occupa di problematiche socio assistenziali e socio sanitarie.     
Ed ecco nel dettaglio tutte le attività previste a Palazzo Ziino nella settimana della disabilità:
Lunedì 8 aprile ore 16,30
Conferenza stampa di apertura a moderare l’incontro sarà l'Avv. Antonella Giotti, aprirà i lavori dal tavolo della presidenza il Presidente Nazionale di unalottaxlavita onlus Gabriele Montera, interverranno il Maestro Filippo Lo Iacono, l’Ass. alla cultura del comune di Palermo Adham Darawsha, il Referente Regione Siciliana per Italia dei Diritti il Prof. Pietro Imbornone,  il Presidente della IV Circoscrizione di Palermo (dove ha sede operativa la onlus organizzatrice della kermesse) l’On. Silvio Moncada, la Duchessa Chiara Fici scrittrice e poetessa, in rappresentanza dell’Università di Palermo il Magnifico  Rettore Prof. Fabrizio Micari, il Consigliere Comunale nonché Presidente Onorario di unalottaxlavita onlus l’Avv. Giulio Cusumano. Benedirà i presenti e l’iniziativa tutta Don Maurizio Francoforte già Parroco della parrocchia San Gaetano nonché successore di Don Pino Puglisi. Sono previsti i saluti del Presidente di Siciliando il Sig. Vincenzo Perricone, della Dott.ssa Daniela Dioguardi responsabile archivio U.D.I. Palermo, della Dott.ssa Claudia Tripi in rappresentanza di ASDC Self Defence Academy, della Dott.ssa Valeria Ajovalasit Presidente Nazionale Arcidonna, della Dott.ssa Valentina Schirò biologa nutrizionista, della Vicepresidente di A.F.I.Pre.S. la Dott.ssa Viviana Cutaia, del Presidente dell’Ordine Infermieri professionali di Palermo il Dott. Francesco Gargano, del Presidente Centro Accoglienza Padre Nostro Dott. Maurizio Artale, del Presidente Regione Sicilia dell’Ordine degli Assistenti Sociali il Dott. Giuseppe Graceffa, della Dott.ssa Emanuela Parrinello Segreteria Nazionale unalottaxlavita onlus, della Presidente di Aisf Onlus la Dott.ssa Giusy Falbo, del Presidente per Palermo e provincia Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti l’Avv. Tommaso Di Gesaro, la Dott.ssa Angela Ganci operatrice Sportello Antiviolenza Diana Palermo.
È prevista per le ore 18.00 l’inaugurazione della manifestazione con apertura buffet, ad intermezzo si avvicenderanno alcuni momenti musicali alternati da altri momenti culturali legati alla recitazione di poesie per tramite delle poetesse Maria Concetta Ucciardi, Rosa Maria Chiarello e Rosanna Badalamenti.
Martedì 9 aprile ore 16.30                     
La poetessa Maria Concetta Ucciardi aprirà la tavola rotonda recitando una poesi sul tema trattato. Modera l’incontro la Dott.ssa Claudia Tripi Psicologa Psicoterapeuta, nonché Vicepresidente Nazionale di unalottaxlavita onlus. Partendo da alcune tele raffiguranti la donna tratteremo il tema del femminicidio. Interverranno il Presidente Nazionale di unalottaxlavita onlus Gabriele Montera ed il Maestro Filippo Lo Iacono. Relazioneranno il Vicepresidente dell’Associazione A.F.I.Pre.S. Dott.ssa Viviana Cutaia, la Dott.ssa Daniela Dioguardi responsabile archivio U.D.I. Palermo, la Dott.ssa Valeria  Ajovalasit Presidente Nazionale di Arcidonna, la Dott.ssa Valentina Schirò Biologa Nutrizionista,  l’Avv. Antonella Giotti Comandante della Legione Giovanna D’arco del Sovrano Ordine Monastico Militare dei Cavalieri Templari Federiciani, Alessandro Potenzano Presidente ASDC Self Defence Academy, Pietro Imbornone referente Sicilia Italia dei Diritti e l’attrice, modella e showgirl Jessica Tornabene.                                                                    
Mercoledì  10 aprile ore 16.30                                         
La poetessa Rosa Maria Chiarello aprirà la tavola rotonda recitando una poesia sul tema trattato. Modera l’incontro la Dott.ssa Claudia Tripi. Partendo da alcune tele rappresentanti Don Pino Puglisi tratteremo il tema della legalità, inteso come rispetto del diversamente abile in una logica d'inclusione e nella prospettiva dell'accoglienza. Interverranno Gabriele Montera ed il maestro Filippo Lo Iacono.  Relazioneranno Don Maurizio Francoforte già parroco della parrocchia San Gaetano nonché successore di Don Pino Puglisi, Maurizio Artale Presidente Centro Accoglienza Padre Nostro, il Presidente Regione Sicilia degli Assistenti Sociali il Dott. Giuseppe Graceffa, l’Ass. Politiche Sociali Giuseppe Mattina, il Consigliere Comunale di Palermo l’Avv.  Giulio Cusumano.                                                                                            
Giovedì 11 aprile ore 16.30                                                
La poetessa Rosanna Badalamenti aprirà la tavola rotonda recitando una poesia sul tema trattato. Modera l’incontro la Dott.ssa Claudia Tripi. Partendo da alcune tele raffiguranti luoghi di Palermo nelle quali è stata utilizzata l'intera filiera dei colori tratteremo il tema dell’adattamento come cura riabilitativa del diversamente abile, in una logica dell'appartenenza e del riconoscimento. Interverranno Gabriele Montera ed il maestro Filippo Lo Iacono. Relazionano Giusy Fabio Responsabile Sicilia associazione Aisf onlus, Avv. Tommaso Di Gesaro Presidente per Palermo e provincia dell’Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti, la Dott.ssa Angela Ganci operatrice Sportello Antiviolenza Diana, il Presidente dell’Ordine Infermieri Professionali di Palermo il Dott. Francesco Gargano.                                                                      
Venerdì 12 aprile  ore 16.30                                                            
Chiusura della settimana della disabilità con una sfilata di moda baby realizzata da bambini disabili, presenta Alex Borghini. Sono previsti vari interventi di ringraziamento.
Le tele del maestro Lo Iacono rimarranno esposte da lunedì 8 a venerdì 12 aprile 2019 e potranno essere visitate tutti i giorni dalle 10.30 alle 18.30

Lo Stronzo di e con Andrea Lupo sabato 6 aprile ore 21 presso il Teatro Spazio Diamante

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LO STRONZO
selezionato come semifinalista a In-Box blu 2018
di e con Andrea Lupo
produzione Teatro delle Temperie
aiuto regia Giovanni Cordì
elementi di scena Matteo Soltanto realizzati nel laboratorio E.R.T.
suoni e musiche originali D.A.A.D.
foto di scena Roberto Cerè

Sabato 6 aprileè in scena, per la prima volta a Roma sul palco del Teatro Spazio Diamante, lo spettacolo dal titolo di certo impatto "Lo stronzo" della compagnia Teatro delle Temperie di Bologna. 
Scritta e interpretata con accento acuto e pungente da Andrea Lupo (Premio Ubu 2000, Premio Fringe Festival 2017Premio In Box 2018), la pièce è una confessione tutta al maschile, dal ritmo incalzante e piena di domande senza alcuna risposta. Fra ridicoli luoghi comuni e sincere riflessioni “Lo stronzo” tenterà di capire qualcosa di più del suo essere maschio, uomo ed essere umano. 
La vicenda si svolge la sera del decimo anniversario di matrimonio di Luca e Lilli. Una parola sbagliata, una reazione scomposta, lei si spaventa, si allontana, sbatte una porta. Ci si chiude dietro, sembra definitivamente. E a nulla servono le imprecazioni e le preghiere per farla tornare. L’uomo si trova ad affrontare il suo lato più violento e incapace; un percorso che lo porterà a comprendere di quanta violenza possa essere capace il mondo maschile.
Ci si domanda cosa possa portare un uomo ad esercitare violenza su una donna. Cosa porti a questa aggressività incontrollabile che spesso sfoga proprio tra le mura domestiche, sulle persone più vicine, compagne, mogli e figlie.

SPAZIO DIAMANTE / 6 APRILE ore 21
Via Prenestina 230B tel: 066794753 - info@spaziodiamante.it - promozioni@salaumberto.com
Prezzo 18 €

Ufficio stampa Monica Menna monicapress88@gmail.com - mob. 328.9448311

Quella notte del 6 aprile 2009 sentii urlare il mostro

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di Giuseppe Lalli - L’AQUILA - Ho serbato, come tanti aquilani, un vivido ricordo dei giorni che precedettero la tragedia di quel 6 aprile di dieci anni fa. L’idea che la catastrofe fosse imminente mi accompagnava da qualche giorno. Verso la fine di marzo, una mattina, mentre mi recavo al lavoro, mi ero intrattenuto a parlare con un amico, professore di storia all’Università dell’Aquila. Si era aggiunto un conoscente che aveva rievocato come nel terremoto di Avezzano, circa un secolo prima, la terribile scossa finale che avrebbe raso al suolo la città marsicana, e causato migliaia di vittime, era stata preceduta da uno sciame sismico simile a quello che si stava verificando in quei giorni nel nostro territorio.
Verità storica o suggestione della memoria? Sta di fatto che l’eco di quella conversazione me la sono portata dietro come un piccolo fardello, che sarebbe diventata una piccola ossessione dopo la scossa del pomeriggio del 30 marzo.
           
La sera del 5 aprile, l’avvisaglia delle 22,45 mi trova a guardare un film su Suor Giuseppina Bakita, la suora canossiana ex schiava canonizzata da Papa Wojtyla. Penso che sia il caso di uscire, ma la figura della santa un po’ mi rassicura. Eppure l’idea della catastrofe imminente mi perseguita. Dopo la scossa successiva, quella dopo la mezzanotte, penso che sì, si debba proprio uscire, e lo dico a mia moglie. Ma poi desisto, per non allarmare i miei. Indosso però una tuta e delle scarpe da ginnastica: così, per scaramanzia, e per trovarmi pronto alla fuga. Decido di dormire sul divano, sotto una pesante libreria che di lì a poco sarebbe venuta giù con tutti i libri e la cristalleria. Mi decido alla fine ad andare a letto solo mezz’ora prima della tragedia (chissà, un suggerimento di Suor Bakita...).

Alle 3,32, da poco assopito, sono svegliato da quelle che sulle prime mi paiono cento mandrie di bisonti che per interminabili secondi passano al galoppo sotto la camera da letto, che mi aspetto debba schiantarsi da un momento all’altro insieme a tutto il palazzo. «Oddio!!! Il terremoto!!!», grida mia moglie. Appena prendo coscienza di quello che sta succedendo, mi pare di udire la voce di un gigantesco mostro che urla: «Mi avete provocato? Ecco la mia risposta!!!». Confesso che per un’eternità di attimi tutto il mio universo mentale ha tremato molto più della casa. In quegli istanti, non ho sentito Dio nel quale credo, ma solo il mostro che urlava, e io che desideravo… - terribile! - di non essere nato.

Mi precipito nella stanza di mio figlio: entro, non lo vedo...ho un tonfo al cuore, poi guardo meglio: sta sotto una scrivania, faccio un respiro di sollievo. La figlia invece, nella sua stanza, subito la scorgo: è sotto una scrivania, anche lei. «I ragazzi hanno eseguito alla lettera – ho pensato – quello che hanno raccomandato a scuola».  Cerchiamo di guadagnare in fretta l’uscita, con le mani e con i piedi, attraversando, come in un fiume in piena, i vetri di quella che fino a pochi minuti prima era la grossa libreria che arrivava fino al soffitto. «L’ho scampata bella», mi viene da pensare.
             
Una volta sul pianerottolo, è tutto un urlo, un grido, un precipitarsi sulla rampa delle scale. Giusto il tempo di guardarsi nei volti terrorizzati e mia moglie, lucida nonostante tutto, mi mette tra le braccia il bambino di circa due anni di una vicina del piano di sopra. Vorrei fare le scale due a due, ma c’è il piccolo fardello che me lo impedisce. «Oddio – penso – e se lo faccio cadere?». Quando poi, dopo qualche minuto, una volta giù nella strada, lo restituisco alla madre, mi scopro, per qualche istante, di serrare ancora le braccia al petto…
           
Aspettiamo l’alba insieme a tanti vicini del quartiere, riscaldati da un fuocherello acceso sotto una baracca nell’orto di una signora, a sorbire un caffè che sa di tristezza e di speranza. Sotto quella fiamma che ci accomuna le piccole beghe condominiali sembrano lontane anni luce e i sorrisi dei visi appena appena rilassati si lasciano alle spalle il ricordo di piccoli screzi. Attorno a noi, mentre i primi elicotteri solcano il cielo, si comincia ad intravedere, tra i primi bagliori di sole, rossi come il fuoco che ci riscalda, tutta una geometria nuova, come in un quadro di pittura astratta: palazzi sfregiati da linee regolari come se una lama gigantesca vi fosse passata (mi torna alla mente il… mostro), altri che sembrano parallelepipedi inclinati pronti a cadere alla minima spinta. «Tutti i sudori di una vita...», sussurra una vicina di casa. «Ma no, vedrai – le dico – le case ce le rifaranno in pochi mesi»: cosa non s’inventa il cuore per sbarrare la strada alla ragione….
           
Passa una pattuglia della polizia. Dalla macchina ci chiedono come stiamo. Si farfuglia qualcosa, ci informano che al centro storico è un disastro: si prevedono molti morti. «Là il mostro è stato davvero impietoso», mi viene di pensare ancora. Ci fanno raccomandazioni. Quei ragazzi in divisa sembrano più assistenti sociali che forze dell’ordine. Insieme ad un altro vicino andiamo a fare una passeggiata attorno per capire le dimensioni del disastro e mentre torniamo, con le macerie negli occhi e nel cuore, con spontaneo e reciproco gesto, ci mettiamo sotto braccio, come due fratelli: «Ecco - ho pensato – forse Dio a volte lascia libero il mostro per ricordare agli uomini che devono tenersi per mano».

Nei giorni che vennero subito dopo, lontano dalla mia città, credetti di comprendere due verità elementari, ma che non si imparano sui libri. «Alle cose bisogna passarci», diceva mia nonna. Insieme alla casa, è tutto un mondo che ti crolla. Capii che la casa non è solo mura di calce e mattoni, dove si abita: è un universo, una strada, un vicolo, sono i colori delle persiane, è la luce riflessa nelle pietre, è la vicina che ti dice «Buon giorno», è il raggio del sole che trapela attraverso le tapparelle.

Per esprimere il nostro benessere, non troviamo espressione migliore che dire che ci sentiamo a casa nostra.             Nella quiete forzata di quel piccolo esilio, sentii risuonare, come per la prima volta, nomi come Paganica, Onna, Villa Sant’Angelo, Castelnuovo di San Pio: tutta una geografia dell’anima che quella notte la gigantesca lama del mostro aveva squarciato. Il senso comune ci ripete che siamo figli dei tempi. Il buon senso ci ricorda che siamo, forse ancor più, figli dei luoghi.

Il Giappone fra tradizione e modernità

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di Riccardo Bramante - A partire dal prossimo 1° maggio il Giappone saluterà un nuovo imperatore con notevoli ripercussioni non solo politiche ma anche pratiche.
Infatti, dopo oltre trenta anni di reggenza, il 30 aprile l’attuale imperatore Akihito lascerà, ad 85 anni, il trono in favore del principe Naruhito con una successione per la prima volta dopo 200 anni finalmente “indolore” in quanto avviene non per la morte del precedente imperatore, ma per libera scelta di quest’ultimo.
Con l’abdicazione di Akihito si chiude anche l’era Heisej, letteralmente “pace ovunque”, che era stato il motto che, secondo tradizione, Akihito stesso aveva scelto al momento in cui era salito al trono dopo le precedenti ere Meiji, Taisho e Showa che si erano succedute dall’inizio del Novecento.

Continuando nello stesso solco, il prossimo imperatore Naruhito ha scelto per rappresentare il suo regno il termine “Reiwa”, una parola composta da due ideogrammi che possono tradursi come “armonia e fortuna”, riprendendola da un’opera del Manyoshu, la più antica antologia di poesie giapponesi. Non a caso è stato scelto questo termine che, per la prima volta, fa diretto riferimento alla cultura giapponese e non più cinese come era stato sempre in precedenza. A buona ragione, infatti, lo stesso Primo Ministro giapponese, Shinto Abe, ha voluto ricordare che la citazione “esprime la ricchezza culturale della nostra Nazione”, mettendo, così, l’accento sul rinnovato spirito nazionalista che pervade oggi il Paese.

L’insediamento di Naruhito, 126° imperatore della più antica monarchia del mondo, avrà conseguenze non solo simboliche ma anche pratiche, ad esempio per quanto riguarda il calendario, dato che in Giappone è ancora in vigore il sistema “nengo”, una sorta di calendario parallelo a quello gregoriano in uso in occidente, importato dalla Cina intorno all’anno 700, che si compone del nome dell’era e del numero di anni trascorsi dall’inizio del mandato imperiale (un pò come anche noi italiani abbiamo sperimentato durante l’era fascista), per cui l’ascesa al trono di Naruhito segnerà l’inizio di “Reiwa 1”, con conseguenze pratiche anche sui documenti ufficiali che dovranno essere tutti aggiornati per riportare, magari accanto alla data del calendario gregoriano, anche il riferimento alla nuova era.

Ma ciò che maggiormente si teme sono i possibili effetti di confusione che potranno crearsi nei sistemi informatici che, come è noto, riportano le date con due soli decimali; si teme, cioè, un nuovo “millennium bug”, simile a quello che si è verificato nel mondo quando siamo entrati nell’anno 2000, tanto più che, stando almeno ai controlli pubblici effettuati, circa il 20% delle società non ha ancora effettuato alcuna forma di prevenzione al riguardo.

Parigi, “Il modello nero” al Museo d’Orsay

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di Riccardo Bramante - Di grande attualità e coraggio è la mostra recentemente aperta al Museo d’Orsay a Parigi dal titolo “Le modele noir”, con la presentazione di oltre cento opere che, con un approccio multidisciplinare tra storia dell’arte e storia delle idee, cerca di ridare un nome, un vissuto ed una visibilità a tutte quelle varie figure di neri che sono stati i modelli di pittori, scultori, fotografi ed artisti in generale dal momento della abolizione della schiavitù in Francia, nel 1794, ai giorni nostri.

Pur mantenendo una sua continuità, la mostra può suddividersi in tre diversi periodi; il primo inizia dalla Rivoluzione francese con la conseguente abolizione della schiavitù e già qui possono trovarsi i primi modelli nei ritratti dei cosiddetti “neri emancipati” come nel dipinto di Anne-Louise Girodet che raffigura Jean-Baptiste Belley o nella “Madeleine” di Marie-Guillemine Benoist. Ma l’artista più rappresentativo è certamente Theodore Gericault che aderisce al movimento abolizionista quando Napoleone I cerca di ristabilire la schiavitù nei Caraibi e mette al servizio della causa i suoi pennelli e la sua foga romantica in cui i neri sono figure energiche e nello stesso tempo dolorose come quello raffigurato nel famoso dipinto “La zattera della Medusa” modello che finalmente ha un nome, Joseph originario di Haiti, che incarna nel quadro il marinaio a torso nudo che sventola un fazzoletto.

Sempre di questo periodo sono il dipinto di Francois-Auguste Biard “La tratta dei neri” che tanto scalpore fece al Salon del 1835 e “La punizione dei quattro paletti” di Marcel Verdier, allievo di Ingres, che si vide rifiutare il suo quadro perchè rappresentava una delle torture più atroci a cui erano sottoposti gli schiavi se disobbedienti.

Più “intimista” è la seconda sezione della mostra in cui le nuove idee dell’Ottocento, sia in campo artistico che culturale, danno luogo ad una interessante mescolanza impersonata nella letteratura da Alexandre Dumas, nipote di Marie-Cesette Dumas schiava affrancata di Santo Domingo, e dall’attrice Jeanne Duval nata ad Haiti e divenuta a soli 15 anni musa di Baudelaire e, nella pittura, dai vari Manet, Degas e Cezanne in cui i modelli si ritrovano nella popolazione comune di neri che incominciava ad essere presente in Francia. E’ questo il momento di “Olympia”, uno dei più noti quadri di Edouard Manet in cui lo scandalo suscitato dalla donna nuda in primo piano fa passare quasi inosservata la figura della domestica nera che le porge un mazzo di fiori e di cui, attraverso accurate ricerche, è stato trovato il nome, Laure schiava proveniente dai Caraibi che lo stesso Manet ha poi raffigurato anche in altri quadri come “La negra” e “Bambini alle Tuileries”.

Ma è nella terza sezione della mostra che i neri si affrancano dalla raffigurazione del dolore e assumono una loro individualità con le modelle nere di Matisse e quelle dai colori sgargianti di Gauguin soprattutto dopo il suo primo viaggio in Martinica dove viene colpito dalla vivacità delle indigene e dai colori tropicali che poi si ritrovano anche nelle nature lussureggianti di Rousseau il Doganiere fino alla riscoperta della statuaria africana operata, ad esempio, da Picasso che nelle sue “Demoiselles d’Avignon” sostituisce il viso di una delle cinque figure con una maschera africana Baoulè e Matisse che dipinge un “Nudo blu” il cui modello è anch’esso di chiara matrice africana.

A buon motivo, quindi, la mostra che terminerà a Parigi il 21 luglio farà successivamente tappa a Pointe-a-Pitre in Guadalupa fino alla fine di dicembre 2019.

Carrà su Rai3, A raccontare comincia tu. Raffaella incontra i grandi protagonisti del nostro tempo

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Un ingresso in punta di piedi, un racconto intimo, un incontro che si snoda come un lungo viaggio tra pubblico e privato e svela la vera essenza dei grandi protagonisti del nostro tempo.

"A raccontare comincia tu" dice Raffaella Carrà incontrando i suoi interlocutori. Inizia così, in ognuna delle sei puntate in onda in prima serata su Rai3, a partire da giovedì 4 aprile, l’appuntamento inedito con altrettanti “giganti” dei nostri giorni, che con le loro vite straordinarie hanno conquistato la fama e scritto il proprio nome nella storia del cinema, della musica, dello sport e dello spettacolo: in questo percorso a due coinvolgente e personale la Carrà incontrerà star assolute quali Fiorello, Sophia Loren (rispettivamente nella prima e seconda puntata) Maria De Filippi, Leonardo Bonucci, Riccardo Muti e Paolo Sorrentino.
Tra ricordi, aneddoti, cadute e successi, sullo schermo prenderà vita un incontro emozionante e di grande complicità, nel corso del quale i telespettatori potranno scoprire l'ospite di turno lontano dalle luci abbaglianti della ribalta, nell'intimità di un luogo a lui caro, dove si racconterà senza filtri alle telecamere e a Raffaella. 

Ispirato al format spagnolo Mi Casa Es La Tuya, e prodotto da Rai3 in collaborazione con Ballandi Arts, “A raccontare comincia tu"è un programma di Raffaella Carrà, Sergio Iapino, Mario Paloschi. Scritto da Raffaella Carrà, Sergio Iapino, Giovanni Benincasa, Susanna Blättler, Dimitri Cocciuti, Salvo Guercio, Caterina Manganella.
Produttore esecutivo Ballandi Arts Luca Catalano, produttore esecutivo Rai3 Adriana Sodano. Prodotto da Claudio Montefusco. Regia di Sergio Iapino e Luca Granato. Direzione artistica di Sergio Iapino.

Gianclaudio Caretta a Fattitaliani: “A 25 anni mi sento più pronto e ho voglia di fare tanto e bene”. L'intervista

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Tra gli attori della nuova generazione, è sicuramente uno dei più promettenti e di maggior talento. Gianclaudio Caretta, al cinema con il film “Ed è subito sera”, si racconta a Fattitaliani.it.

Raccontaci questo tuo nuovo progetto professionale: “Ed è subito sera”.
In questo film interpreto Roberto De Martino, miglior amico di Dario Scherillo (Gianluca Di Gennaro), un giovane realmente ucciso dalla Camorra nel 2004 per scambio di persona. Mio padre, il magistrato Rosario (Franco Nero), segue le indagini sulle faide tra clan, nelle quali mi ritroverò tragicamente coinvolto quando la mia vita, per caso, si intreccerà a quella del camorrista O’Muccus (Paco De Rosa).
Quale vorresti fosse il messaggio che, attraverso questo film, arrivasse al pubblico?
Questo è un film che a differenza di tanti altri di genere simile, mostra il punto di vista dei “buoni”, racconta la quotidianità di una famiglia normale, come se fossero i nostri vicini di casa, che ad un tratto, senza responsabilità alcuna, si ritroveranno a piangere un figlio innocente ucciso dalla camorra per scambio di persona. Credo sia un film sensibilizzante, tanti avvenimenti della vita gli ignoriamo completamente perché ci danno l’impressione che non possano capitare proprio a noi, ma non è così. “Come sarebbe se ammazzassero per errore tuo fratello innocente, in un bar qualunque di un normale martedì pomeriggio?”
Cosa ha aggiunto alla tua carriera?
Esperienza, molta. Sia dal punto di vista umano che professionale. Ho avuto l’opportunità di conoscere personalmente una famiglia come questa di Dario Scherillo, guardare gli occhi dei suoi fratelli e sua madre, immedesimarmi, capire cosa possano provare e ringraziare Dio per la vita semplice e normale che invece hanno tante persone come me.
Poi ho condiviso il set con Franco Nero, Gianluca Di Gennaro, Paco De Rosa, Claudio Insegno, Gaetano Amato, Salvatore Cantalupo. Colleghi con un bagaglio importante, ho imparato molto da loro e da ogni persona sul set. È stata un’esperienza che mi ha arricchito tantissimo, sono grato.

Un bilancio temporaneo della tua carriera?
Ho 25 anni, ho studiato e continuo a studiare tanto affinché possa strutturarmi sempre meglio. I ruoli che mi hanno affidato, hanno creato fiducia in me, ho fatto diverse esperienze in questi anni, ho vissuto tante giornate sul set, ho avuto la possibilità di immergermi a pieno e conoscere le varie dinamiche del mio lavoro con tutte le sue correlazioni. È stato un iter faticoso ed intenso, ma adesso finalmente ho un’aspettativa alta. Mi sento più pronto, ho voglia di fare bene, di fare tanto. Spero di avere le giuste occasioni per esprimermi.
Tornando indietro, c'è qualcosa che non rifaresti o che faresti in modo differente?
Amo pensare che qualunque mia scelta, giusta o meno giusta, abbia composto chi sono oggi. 
Anche i principali errori, hanno consolidato un lato importante di me. Siamo la somma della nostre cose belle e meno belle. Quindi non cambierei niente, ma di sicuro, adesso, ho un bagaglio più vasto per fare scelte più opportune.
La collaborazione dei tuoi sogni?
È con un regista senza un nome e cognome specifico, con il quale avere la possibilità di esprimerci al massimo assieme, l’uno grazie all’altro, con il fine ultimo di realizzare qualcosa di bellissimo, in serenità, con professionalità, pensiero magico e folle amore per questo mestiere fantastico.
Escludi di proseguire la tua carriera all'estero?
Probabilmente un domani! Attualmente sono concentrato sulla mia carriera in Italia, vorrei lavorare qui, con la mia lingua madre, il mio dialetto pugliese.
Come cavallo di battaglia ho il genere comico-drammatico e sto cercando di incanalarmi in ruoli con queste caratteristiche. Con tutto il rispetto per l’America, ma oggi, il mio sogno è un ruolo brillante magari in un film in Puglia.

Roma, arriva il premio “La Penna d’Oca…del Campidoglio”

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Dalla famosa leggenda romana arriva il premio “La Penna d’Oca…del Campidoglio”, presso il ristorante “La Penna d’Oca” con inaugurazione ispirata alla “Dolce Vita” Giovedi 4 aprile alle ore 19.00 in via dell’Oca 53.

Roma e le sue leggende. Tra piazze e monumenti il fascino della città eterna viaggia anche attraverso le sue credenze popolari, come quella legata alle oche del Campidoglio,  che salvarono i soldati romani dall’attacco a sorpresa dei Galli. Dalle gesta dei personaggi più celebri, che hanno fatto la storia, alle “storie” più recenti raccontate per mano di penne d’autore, autorevoli giornalisti impegnati nella vita quotidiana di una metropoli dal fascino intramontabile. Da questo nasce l’idea di un premio “La Penna d’Oca…del Campidoglio”, la cui prima edizione coincide con l’inaugurazione, ispirata ai fasti della Dolce Vita, del ristorante “La Penna d’Oca”, situato in via dell’Oca 53, a due passi da piazza del Popolo. Una serata con tanti ospiti del mondo dello spettacolo, della cultura e del giornalismo invitati nell’elegante spazio dalle tonalità del grigio con arredamento moderno, che spinge verso il futuro senza abbandonare la tradizione di una mise en place classica, e specialità a base di pesce. E proprio nell’occasione saranno assegnati riconoscimenti, nello specifico un pregiato e raffinato cadeaux a tema realizzato artigianalmente dall’azienda campana Marlen Italy, ad esponenti della stampa legata al mito della Dolce Vita e ad una visione più attuale della nightlife capitolina.


Il nostro grazie a 10 anni dal terremoto dell'Aquila

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L’AQUILA – «Immota manet. Così è scritto sul gonfalone della città. “L’Aquila resta ferma, immobile”. Almeno questo avviene nello spirito della sua gente, riservata e dignitosa anche di fronte al disastro che la colpisce. Da secoli questa la sua indole, aliena dall’ostentazione del dolore, intima nell’elaborazione dei propri lutti. Invece non sono rimasti fermi palazzi e monumenti, case e chiese, alle scosse del serpe che il 6 aprile si è agitato terribilmente nel suo ventre, che si agita ancora. Quella notte del 6 aprile, nel cuore d’una notte stellata e chiara di luna, L’Aquila ed i meravigliosi borghi del suo circondario sono stati squassati dal terremoto per lunghissimi, interminabili secondi, oltre venti. L’ho vissuta l’esperienza, meglio non descriverla. Mi resta nel profondo la sensazione dei primi minuti, delle prime ore della sopravvivenza. Mi si è impressa nella mente l’atmosfera irreale, sospesa, allucinata, che aleggiava sulle case distrutte nel centro storico della mia Paganica, un bel paese di oltre cinquemila abitanti a 9 km dall’Aquila. Lì sono nato e vivo. L’hanno indicato subito come l’epicentro del sisma. Abito in periferia. La mia casa è stata costruita trent’anni fa, in cemento armato. E’ davvero strano che la tua casa, per antonomasia rifugio che ti dà sicurezza, d’improvviso diventi una minaccia. Ti si sovverte il mondo, la vita. Dopo la scossa delle 3 e 32, la corrente elettrica mancata, guadagnata l’uscita calpestando oggetti e stoviglie rotte, con i miei di famiglia siamo andati subito via da casa, per luoghi più aperti. Abbiamo transitato accanto al centro antico di Paganica. La settecentesca chiesa della Concezione con la facciata in bilico, squarciata, in parte crollata, ha fatto il giro del mondo, in quello stato. Lì vicino la parrocchiale di Santa Maria Assunta, impianto duecentesco riadattato nel Seicento, dall’esterno non sembra aver avuto grossi traumi, ma sarà solo un’impressione. Contrastano con il cielo, d’un colore livido, il profilo delle case e la fuga scomposta dei tetti che s’inerpicano verso il Colle, quartiere alto dove imponente domina la chiesa di Santa Maria del Presepe costruita sul sito del castello distrutto nel 1424 nella guerra dell’Aquila che sconfisse Fortebraccio da Montone. […]»

Fu questo fu l’incipitdel lungo racconto che scrissi all’indomani del terremoto del 6 aprile 2009, una testimonianza raccolta da molte testate della stampa italiana all’estero. Dieci anni sono passati da allora. Oggi è il giorno del ricordo di quella notte sconvolgente, quando il terremoto squassò L'Aquilae 55 altri comuni, sconvolgendo le vite delle popolazioni del cratere sismico. La città capoluogo d'Abruzzo fu lacerata, paralizzata nei suoi servizi, mutilata e ferita nel suo straordinario patrimonio d'arte e d'architetture, uno dei centri storici più preziosi e vasti d’Italia.  309 le vittime. Di loro faremo sempre memoria. A loro va il nostro raccoglimento, la nostra preghiera muta, rispettosa dei familiari rimasti con la lacerazione perenne del cuore.

In questo primo decennale molti saranno i bilanci, le analisi, i giudizi. Sulle condizioni dell’Aquila, sullo stato della ricostruzione materiale e sociale, sugli obiettivi raggiunti, su quelli ancora lontani, sui ritardi, sui problemi, sulle criticità. Com’è comprensibile, molte saranno le voci che giudicheranno questi 10 anni, tanti i servizi giornalistici e gli speciali televisivi, le testimonianze, gli approfondimenti scientifici sui terremoti e sulla prevenzione sismica. Le analisi certamente riferiranno sui risultati finora raggiunti nella ricostruzione dell’Aquila e degli altri centri, sulle innovazioni ardite e sulle tecniche d’avanguardia che stanno restituendo una città sicura - caso di studio per molte università italiane e straniere -, tra le più sicure d’Europa. E tra le più belle città d’arte, diventata sin da quel 6 aprile di dieci anni fa città patrimonio del mondo, come universale è il messaggio di pace e di perdono che da otto secoli essa custodisce nel dono della Perdonanza, il primo giubileo della cristianità, e nell’eccezionale magistero di papa Celestino V.

Ma l’attenzione dei media si concentrerà soprattutto sugli errori, sui ritardi e sulle occasioni mancate nei dieci anni trascorsi dal quel tragico 6 aprile del 2009. E’ giusto che sia così. Ho grande rispetto e gratitudine per questa attenzione scrupolosa verso la nostra città. Aiuta a tenere accesa sempre una luce su ogni aspetto della nostra rinascita. Molte le analisi già svolte in questi giorni che precedono il 6 aprile, alcune rigorose, altre meno per il retaggio di consumati stereotipi, sovente lontani dalla realtà. Mi asterrò, in questa circostanza, da valutazioni e da personali giudizi nei confronti dei governi che si sono succeduti e delle amministrazioni che hanno guidato la Regione, gli enti locali e in particolare la Città capoluogo. Ho avuto l’onore di servire L’Aquilaper quasi un trentennio, nelle funzioni di consigliere, assessore e vicesindaco, fino al 2007. So quanto peso gravi sulle spalle di ogni amministratore civico che con serietà e coscienza si mette al servizio della propria comunità. Figurarsi quale sia la responsabilità e l’immane onere di doverlo fare in situazioni tragiche ed eccezionali, dopo un terremoto come quello del 2009, i cui precedenti similari per gravità, nella storia della città che tanti ne ha subìti, furono quelli del 1703, 1461 e 1349.

Vorrei invece tornare oggi con il pensiero, quantunque nella tristezza degli eventi di cui facciamo memoria - le cui immagini restano nitide come fossero di qualche giorno fa -, non solo al ricordo del dolore di quei giorni tremendi, ma anche dell’affetto immenso che ci circondò. Non possiamo non rammentare, con profonda gratitudine, l’abnegazione, la solidarietà, l’impegno straordinario e generoso dei Vigili del Fuoco e delle decine di migliaia di Volontari giunti da ogni parte d'Italia, organizzati nelle associazioni che resteranno per sempre nel nostro cuore (Alpini dell’ANA, Croce Rossa, Protezione Civile delle varie Regioni italiane, Misericordie, Caritas, e tante altre ancora), delle Forze dell'Ordine (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza), dell'Esercito. Una gara di affettuosa premura verso la popolazione dell’Aquila e dei borghi colpiti dal sisma.

Non potremo mai dimenticare questa che è stata una pagina splendida, l’immagine della più bella Italia, quella del Volontariato e della Solidarietà. Come pure non dimenticheremo mai l'amore e la solidarietà di tutti gli Italiani nel mondo - in particolare degli Abruzzesie delle loro associazioni -, espresse con innumerevoli gesti di grande valore morale e di significativa generosità. In questi anni, visitando le nostre comunità all’estero nelle Americhe, in Australia, in Africa e in tutta Europa, il mio primo e preminente pensiero è stato sempre quello di ringraziare tutti i nostri connazionali dal profondo del cuore, come semplice cittadino ma anche a nome dell’intera comunità aquilana (quando si è stati amministratori civici lo si rimane moralmente per sempre). Li ho ringraziati per l’affetto, la vicinanza, la tenerezza profonda dei gesti d’aiuto e di solidarietà nei giorni e nei mesi del dopo terremoto. Tantissimi italiani sono venuti a soccorrerci. Un numero impressionante a trovarci nei mesi e negli anni successivi al sisma. Tanti ci hanno poi accolti ed ospitati, per qualche giorno di serenità, dal Trentino alla Sicilia, dal Piemonte alla Puglia, dalla Lombardia alla Sardegna, dal Friuli alla Calabria. Un’Italia premurosa e materna, fortemente unita nei suoi abitanti dalle Alpi fino a Lampedusa. In ogni dove sempre con il cuore aperto, come aperto e generoso è sempre il cuore dell’Italia in occasione delle calamità che ci colpiscono, esaltando in ciascuno il senso della comunità nazionale e della fratellanza tra italiani. Serve ricordare queste fatti, sono davvero educativi per i tempi complicati che stiamo ora vivendo, quando sembrano affermarsi i messaggi più beceri, egoisti e lontani dalla nostra umanità.

Vorrei anche qui ricordare l'attenzione di tanti Paesi del mondo di fronte alla nostra tragedia, alcuni dei quali ebbero occasione di verificare direttamente le lacerazioni inferte dal sisma al patrimonio architettonico e artistico dell’Aquila nel luglio del 2009, quando la città ospitò i capi di Stato e di governo nelle riunioni del G8 e G20. Alcuni degli Stati più potenti al mondo s’impegnarono meritoriamente a restaurare dei monumenti, altri hanno generosamente contribuito con donazioni a comuni, università e ospedali, per costruire opere di pubblica utilità o ricostruire importanti emergenze architettoniche. Qualche Stato non ha dato seguito alla promessa solennemente assunta. Orbene, grazie alle risorse assicurate dal governo nel 2013 con un impegno pluriennale, i centri colpiti dal terremoto stanno risorgendo dalle macerie, la ricostruzione sta andando avanti. L’Aquila tornerà più bella di prima.

In questi anni difficili la comunità aquilana ha dato un grande esempio di dignità e di resilienza. Come nei secoli passati, dopo gli altri terremoti che sconvolsero L’Aquila, anche questa volta ce la faremo. Nella tragedia è emersa la parte migliore della nostra gente, l’indole forte e tenace. Ma non possiamo tuttavia nasconderci che ha messo in luce, in una ridotta minoranza, anche i lati peggiori del comportamento umano, piccole e grandi miserie morali. C’è pure da registrare che sul "cantiere più grande d'Europa", come è stato definito, hanno girato e girano anche altri interessi poco chiari, che tuttavia Magistratura e reparti dedicati della polizia giudiziaria, con un assiduo efficace e penetrante controllo, vanno man mano scoprendo, inquisendo i sospettati, rinviando a giudizio e condannando i responsabili dei reati. Fenomeni contenuti, tuttavia, rispetto alla dimensione economica della ricostruzione. Non aggiungo altre considerazioni su questa parte un po’ squallida delle vicende legate alla gestione dell’emergenza post sismica e alla ricostruzione.

Un pensiero ancora sento di esprimere sulla ricostruzione morale, sulla rinascita d’un nuovo senso della comunità degli aquilani. La ricostruzione materiale è in corso, andrà comunque avanti con tempi più o meno soddisfacenti. Ma la cura che più ci preme riguarda la ricostruzione morale delle lacerazioni interiori delle persone, poco o per nulla apparenti, conseguenti al terremoto. Tralasciamo riferimenti più puntuali a studi scientifici e sociali, che pure in questi anni sono stati prodotti. Mi sembrano illuminanti al caso alcuni spunti che traggo dal messaggio per il decennale dell’arcivescovo dell’Aquila, Cardinale Giuseppe Petrocchi, ieri uscito sulla stampa.

Inizia con queste parole l’intenso messaggio agli aquilani del Cardinale Petrocchi: «Per la decima volta, quest’anno, sentiremo i rintocchi della campana che ricordano i 309 “martiri” del terremoto. Facciamo memoria di tutte le vittime di quella immane tragedia; le stringiamo a noi con un unico abbraccio e, al tempo stesso, le chiamiamo per nome: una ad una. La “notte crocifissa” del sisma ha suscitato lunghi giorni di dolore, ma anche ha acceso la luce di una graduale “risurrezione”, più forte della furia devastante del sisma. Le lacrime versate si sono rivelate feconde, ed hanno generato una abbondante fioritura di fraternità e solidarietà. La ricorrenza – che celebriamo con raccoglimento e volontà di ricostruzione “integrale” – ci obbliga a fare, insieme, una seria revisione. Per questo, non parlerei di “terremoto”, ma di “terremoti”, non solo perché abbiamo avuto nuove repliche telluriche (nel 2016 e 2017), ma anche perché il sisma è un evento complesso e multiforme, difficile da cogliere nella sua distruttiva “globalità”. Quando sono venuto a contatto con gli effetti demolitivi delle scosse, mi sono accorto che, accanto alle macerie “visibili” (materiali), c’erano pure quelle “invisibili” (spirituali); allora ho cominciato a parlare diterremoto dell’anima, che costituisce l’altra faccia (quella meno esplorata) della storia del sisma. […]».

Sarà questo l’impegno più arduo cui dover assolvere, pensando alla parte più fragile della nostra gente. E ancora l’altro rilevante impegno di pensare anzitutto al futuro delle nostre giovani generazioni, che nella città ricostruita e nel suo territorio debbono poter trovar modo d’esprimere il loro talento, in opportunità di lavoro e di costruzione di nuove famiglie. L’Aquila ricostruita nelle sue case, nei suoi palazzi, nei suoi monumenti, negli uffici e nelle fabbriche, dovrà riaccogliere la sua gente, che vi torna a vivere con la speranza di un futuro. Nel decimo anniversario del sisma, quindi, oltre alla gratitudine per la vicinanza affettuosa che abbiamo avvertito, vogliamo essere aperti alla speranza di futuro per la nostra comunità. Certo augurandoci una più sollecita ricostruzione materiale, che sconta più d’un ritardo specie nella ricostruzione pubblica, ma soprattutto nella speranza operosa d’una forte ricostruzione sociale e morale della nostra comunità. Una comunità che deve ritrovare il senso profondo del vivere insieme con i valori antichi del Bene comune, quello che nei secoli ha fatto e mantenuto grande L'Aquila. Fraternità sociale, rispetto, impegno civico, etica delle responsabilità, cultura, creatività, attaccamento alla propria terra, amore per la propria storia e gratuita dedizione al Bene comune sono i riferimenti per disegnare il nostro futuro, il futuro dell'Aquila nuova, non solo più bella di prima, ma anche migliore di prima. Questo ricordo, con il forte senso di speranza e di futuro, è il modo migliore per ricordare le 309 vittimedel terremoto dell'Aquila.

Goffredo Palmerini

Francesco Loliva, fotografo e cardiologo… «non è la macchina bella e costosa che fa lo scatto perfetto; ma siamo noi, con le nostre emozioni e capacità a catturare l’immagine perfetta.»

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Intervista di Andrea Giostra.
Ciao Francesco, benvenuto e grazie per la tua disponibilità. Se volessi presentarti ai nostri lettori cosa racconteresti di te quale artista della fotografia?

Ciao, grazie a te per questa intervista. Mi piace definirmi un Cardiologo con la passione per la fotografia. Sì, è una vera passione che ho iniziato a coltivare negli anni dell’Università (ormai molto lontani) ed ho alimentato negli anni successivi quando, nonostante la mia impegnativa professione di cardiologo ospedaliero, non perdevo occasione per trascorrere un po' di tempo con la mia macchina fotografica.

In questi giorni stai partecipando ad una importantissima bipersonale ad Amburgo, presso la Galleria Werkkunst, dal titolo “CAOS: L’Aquila dieci anni dopo”, che si tiene dal 26 marzo al 26 aprile 2019, insieme alla pop artist italiana Francesca Falli. Come è nato questo progetto e quali sono i temi che affrontate e affronti tu nello specifico?

Il progetto è nato per la ricorrenza del decennale della tremenda tragedia che ha colpito L’Aquila. A settembre 2018 sono stato invitato dalla Pop Artista aquilana Francesca Falli ad interagire con lei per redigere una sorta di verbale di quella che è la situazione oggi nella sua città. Le domande che ci siamo posti sono state: Può l'Arte lenire il dolore? Può rappresentare la catastrofe generata da un terremoto di magnitudo 6.5? Può raffigurare il senso di impotenza di fronte a centinaia di morti e ad una città distrutta? È ciò che prova a fare questo progetto “CAOS: L’aquila dieci anni dopo” in cui due artisti di generi completamenti diversi fondono le loro opere. Questa bipersonale non fotografa solamente lo stato della città ma vuole offrire al fruitore della mostra lo spunto per una riflessione profonda sul dramma che hanno vissuto e che continuano a vivere gli abitanti di questa che è diventata una città fantasma. Il decennale deve essere l’occasione per fare il punto su quello che è già stato fatto di buono e del tanto che c’è ancora da fare per la ricostruzione!

Come è nata la tua passione per la fotografia e quale il percorso artistico che hai seguito?

Ormai non ricordo più come e perché mi sono trovato ad avere in mano, negli anni 70, una Lubitel 2 (biottica russa), ma ricordo benissimo che dopo i primi scatti ho capito che quello sarebbe stato il mio vero ed unico hobby! Sono stato un autodidatta, ho imparato quest’arte a mie spese, leggendo le riviste specializzate, osservando i lavori dei maestri, facendo errori dapprima grossolani per successivamente correggerli.

Come definiresti il tuo stile artistico? C’è qualche fotografo al quale ti ispiri?

Mi sono appassionato sin da subito ai paesaggi perché sono cresciuto avendo il paesaggio come risorsa, la mia terra, la Puglia “Montagnosa e rurale nel Subappennino dauno, rocciosa e arcaica nel promontorio garganico, si stende in una piana frumentosa nel Tavoliere, si fa siccitosa sulla Murgia, olivicola e mercantile sul mare, per diventare di sughero e neve a sud del capoluogo e tornare friabile e aspra nel Salento. (Raffaele Nigro)”. Ansel Adamsè sicuramente il più importante paesaggista mai vissuto. La sua ricerca sulla luce è ancora oggi insuperata e i suoi scatti sono quasi impossibili da ricreare con la stessa potenza naturale e sincera. Ebbe la grande idea di immergersi nei grandi parchi nazionali americani che erano allora sconosciuti al grande pubblico. Così facendo, generò un grande interesse anche popolare nei confronti della natura e, proprio questo, secondo me, ha contribuito notevolmente a divulgare la fotografia paesaggistica.
Chi sono secondo te i più bravi fotografi nel panorama internazionale e perché?

È difficile rispondere a questa domanda perché il panorama internazionale è molto vasto. Provo a fare qualche nome. Di Ansel Adams   ho già accennato e mi piace far mia una sua celebre frase: “delle volte arrivo in certi luoghi proprio quando Dio li ha resi pronti affinché qualcuno scatti una foto”. Sebastião Salgado è considerato il più grande fotografo a livello mondiale. Il suo portfolio raccoglie soprattutto foto critiche e di denuncia. In un’intervista lui dice: "Non sono spinto dall'idea di fare foto belle o di diventare famoso ma da un senso di responsabilità: io scrivo con la macchina  fotografica, è la lingua che ho scelto per esprimermi e la fotografia è tutta la mia vita.” Henri Cartier-Bresson, probabilmente il fotografo più famoso della storia. È stato il precursore della street photography.

Chi sono stati i tuoi maestri?

I miei maestri virtuali sono stati tutti i più grandi fotografi italiani ed internazionali, mi sono nutrito delle loro opere ed ho cercato di carpirne i segreti.

Perché secondo te oggi, nel Ventunesimo secolo, l’arte della fotografia è importante?

Bisogna farsi un’altra domanda: cos’è che rende la fotografia differente da un dipinto, da una scultura o da una poesia? La risposta è che la fotografia riesce a catturare istantaneamente la realtà, catturandone la luce e le sensazioni che fanno da contorno alla scena rendendo l’immagine viva; perciò la fotografia è e rimarrà importante.

A proposito dell'arte della fotografia Alberto Moravia sosteneva che: «Il fotografo non guarda la realtà, ma la fotografa. Poi va in camera oscura, sviluppa il rullino e solo allora la guarda.» A quel punto la realtà non c'è più, ma c'è la rappresentazione della realtà che ne ha fatto il fotografo. Se è vero quello che dice Moravia, è come se il fotografo alterasse la realtà creandone una tutta sua, una realtà parallela, quella che sa creare con la sua arte, una sorta di realtà “distorta” ma al contempo “artistica”. Cosa ne pensi in proposito? Secondo questa prospettiva cos'è la fotografia per te?

Non condivido questa affermazione del grande Moravia perché una delle più importanti regole della fotografia è la composizione ed è intuitivo che per poterla applicare devi guardare bene la realtà, anche più di una volta; poi magari potrai manipolarla, modificarla e renderla artisticamente coerente con te stesso.

Gianni Berengo Gardin sostiene invece che: «Il problema è che a gran parte dei fotografi non interessa la fotografia, ma solo la loro fotografia. Non s’interessano assolutamente della fotografia degli altri. Non s’interessano minimamente di avere una cultura fotografica.» Secondo te è vero che i fotografi sono autoreferenziali e narcisisti – traduciamo così la frase di Gardin! – ed al contempo hanno poca cultura fotografica? Se sì, perché secondo te? Tu cosa ne pensi di questa affermazione?

Purtroppo penso che questa affermazione di Gardin corrisponda al vero per molti fotografi; certamente vi è una sorta di autoreferenzialità, il lavoro degli altri merita al massimo uno sguardo veloce e, magari, un like sui social; questo sguardo veloce sui lavori degli altri determina, certamente, un impoverimento del proprio bagaglio culturale. Voglio pensare che questo chiudersi in sé stessi sia figlio dell’estasi che colpisce il fotografo quando lavora alla propria opera.

Ci parli dei tuoi ultimi lavori e dei tuoi prossimi progetti?

Del mio ultimo lavoro avente per oggetto il Caos che regna a L’aquila a dieci anni dal terremoto, abbiamo già parlato. In precedenza ho fatto un altro grosso lavoro: “la Puglia dalla città ai paesaggi” un viaggio lungo 480 Km che si è materializzato in 40 opere presentate a settembre 2018 presso la Inarte Werkkunsten Gallery di Bergamo, riscuotendo un importante successo di pubblico. Per il futuro ho in programma alcune collettive a Vicenza, Stoccolma e Milano ed una personale a Caserta.

Immagina una convention all’americana, Francesco, tenuta in un teatro italiano, con qualche migliaio di adolescenti appassionati di arti visive e di fotografia. Sei invitato ad aprire il simposio con una tua introduzione di quindici minuti. Cosa diresti a tutti quei ragazzi per appassionarli al mondo della fotografia? Quali secondo te le tre cose più importanti da raccontare loro sulla tua arte?

Queste sono, secondo me, le cose più importanti da dire a questi ragazzi: ANDATE E FOTOGRAFATE! Non importa con quali strumenti, ma fotografate! Liberate il vostro spirito di osservatori, uscite per strada andate alla ricerca del mare, dei monti, dell’alba o del tramonto; fotografare vi riempirà di gioia e serenità; soprattutto fotografate per voi stessi e non per i likes che riuscirete a strappare! STUDIATE, leggete le storie dei grandi fotografi, divorate le loro immagini, vi aiuteranno moltissimo e faranno crescere in voi la passione per la fotografia. STAMPATE, altro momento importante della fotografia è la stampa, non dobbiamo accontentarci di avere le nostre foto sul PC e nel cloud; Il poter toccare la vostra opera con le mani vi darà una grande soddisfazione. Chiuderei dicendo che non è la macchina bella e costosa che fa lo scatto perfetto; ma siamo noi, con le nostre emozioni e capacità a catturare l’immagine perfetta.”

Francesco Loliva

Andrea Giostra
https://business.facebook.com/AndreaGiostraFilm/

ShakerArtist Art & Design change world! dall'8 al 14 aprile Fabbrica del Vapore

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Numerose le sorprese destinate al pubblico di visitatori di questa quarta edizione di ShakerArtist Art & Design change world! che è sempre più attento alle novità e alle idee distribuite nei percorsi della mostra. Questa edizione si terrà presso gli spazi The Art Land e Careof di Fabbrica del Vapore, in Via Procaccini 4 a Milano. 

Dal contenitore di ShakerArtist quest'anno uscirà Homo Ecologicus, un punto d'incontro tra design, prospettive del saper fare artigiano e rispetto dell'ambiente. Il percorso coniugherà ‘l’arte del fare’ con prodotti e nuovi ‘saperi tecnologici’, aprendosi all'intercultura, alla crescita e all’innovazione. 
ShakerArtist punta certamente sulle nuove tecnologie e sul design, ma anche sulla tradizione artigiana, fattore vincente che va sostenuto e rafforzato, combinando, contaminando, le diverse competenze e conoscenze.
Il percorso sarà caratterizzato da abilità di creare e fare, che unisce imprese, giovani talenti del design, stilisti e artisti di tutto il mondo. In Italia il concetto di artigianato è spesso erroneamente legato alla dimensione dell’impresa; negli Stati Uniti è invece legato a un modo di lavorare e di essere imprenditore.
Le aziende di ShakerArtist rappresentano un campione di eccellenze che hanno saputo mantenere la propria identità, pur allargandosi al mercato globale.
Il successo di queste aziende si fonda anche sulla flessibilità, che consente loro di offrire soluzioni ‘su misura’, realizzate da esperti artigiani con tecniche di lavorazione “quasi a mano” e alcune volutamente inserite nei processi di produzione industriale. Si tratta di un percorso che si serve del design thinking come un’attività human-centered, grazie alla sensibilità e ai metodi propri dei designer, al fine di unire i bisogni delle persone con ciò che è fattibile, aprendo nuove opportunità di mercato.
Il percorso in Fabbrica si snoda tra materiali naturali e saperi diversi, quasi a voler ritrovare l’unica via d’uscita nella natura. Design, tessuti, colori, elementi decorativi, forme, volume: il laboratorio di Shakerartist offre una visuale completa sulla progettazione del design, dell'arte, di una collezione moda, ecosostenibile ed ecocompatibile. Non sarà però solo design, ma anche interazione sociale dala cultura allo spettacolo, l’arte e la moda, il food design e la tecnologia. 
Shakerartist è costituito da nomi di spicco del design italiano, artisti, marchi e stilisti che firmano la migliore produzione di questa quarta edizione del format. Avremo prodotti internazionali ma profondamente italiani, come StoneOak  The Forgotten Forest e The Table of Life di Adriana Lohmann (designer italobrasiliana) e Zanuso Legno, yew tree table di whact design, ma anche le sculture di Galanti per Luxury Class Interior Design. Tecnologia e prodotti si intersecano con l'ecologia, tema centrale che connette il percorso: dall'ethnic chic di Margo, cape2milano e Sorelle Citterio (arredamento e fashion d'ispirazione interculturale) ai tessili, dalla produzione moda di T Art Rev, LunaticaMilano, BeCollection al design per gli interni, dal lighting design di Paky Design all'arte di Homo Ecologicus e del Collettivo Artisti Riflessi D’Ambiente, con presentazione di workshop e performance internazionali. 
L'architettura e il design diventano social e itineranti con la casa Mob di Arredissima Interior Design e Architecture for social people!! L'architettura e il design salgono a bordo di un Mob Arredissima e girano la design week 2019 nel contesto di Fuorisalone 2019 all'interno di Fabbrica del Vapore, proiettandoci  verso il futuro, ma tenendoci sempre con i piedi ben saldi su ciò che amiamo di più, la nostra "casa", il nostro luogo del cuore.
Con l'installazione Mob casa mobile di Arredissima sarà come aprire le porte della nostra ‘casa’ nella settimana del Fuorisalone2019 trasformando un piccolo pezzo di fabbrica del Vapore in un luogo da sogno, per grandi e piccini con incontri, lab e workshop.
 E ancora, due installazioni dedicate ai problemi ecologici del pianeta Terra,  e una scultura di pane animeranno le giornate del percorso SheakerArtist: Bread for Life dell’artista artigiano panettiere Pavin, l'installazione multi-sensoriale di Marina Kaminsky e Super Burka Girl project di Grace Zanotto. Live A/V set by Katatonic Silentio 

E domenica, dalle ore 15, spazio ai bambini con il laboratorio Homo Ecologicus Kids save the Planet, che terminerà con una marcia di baby designer, in fabbrica, a sostegno dell'ambiente.



ShakerArtist Art & Design change world! - 4 edizione Fuorisalone 2019
Dall'8 al 14 aprile 2019 Fabbrica del Vapore @isoladesigndistrict
Presso gli spazi The art Land e Careof

L’Aquila dieci anni dopo, Opera sinfonica di Piovani per il decennale del sisma

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Una «armonia della speranza» suonata sulle note dell'Opera che il maestro Nicola Piovani ha scritto per il decennale del sisma de L’Aquila dal titolo «Sinfonia delle stagioni».
Con la metafora dello scandire del tempo, il maestro ha così voluto mettere in musica il percorso che la città e il territorio stanno affrontando dopo la tragedia del 6 aprile del 2009 con 309 morti e circa 80mila sfollati.
Il concerto si terrà domenica 7 aprile 2019nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, monumento simbolo e cuore della città, alle ore 18:00, e verrà trasmesso in diretta Rai su Radio 3 e Rai 5.
«Ho pensato alle quattro stagioni»ha detto il maestro Nicola Piovani«come racconto metaforico. Ho iniziato dall'estate per chiudere con la primavera, segno di ottimismo e di speranza. Sono venuto all'Aquila subito dopo il sisma e ho visto la tragedia. Poi sono tornato e ho visto un periodo come di stagnazione. Poi sono arrivati i cantieri come "fiori" a primavera e lì mi sono convinto».
Un'opera sinfonica, ha spiegato Piovani nella conferenza di presentazione organizzata nell'Auditorium progettato dall'architetto Renzo Piano, dedicata «a un antico tema che sempre ha ispirato poeti, pittori e musicisti: quello dell'avvicendarsi delle stagioni. Mi è sembrato il più adatto all'occasione» ha aggiunto «quando mi è stato chiesto di scrivere una partitura dedicata all'evento tragico che ha colpito l'Abruzzo nel 2009. Un'opera da eseguirsi nel decennale di un terremoto che ha lasciato lutti incancellabili, buio civile, e su cui aleggia la speranza di ricostruzione, di rinascita, di un domani primaverile».
Il concerto, organizzato sotto l'egida della Società Aquilana dei Concerti Barattelli, per voce recitante, coro di voci bianche e orchestra, è eseguito dall'Orchestra della Toscana (formata a Firenze nel 1980 per iniziativa della Regione, della provincia e del Comune di Firenze), coro di voci bianche dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia, con Roberto Herlitzka voce recitante, Maria Rita Combattellisoprano, Aloisa Aisembergmezzosoprano, Salvo Randazzo tenore, Luciano Di Pasquale baritono, alle tastiere, celeste, pianoforte e harmonium Eugenia Tamburri voluta dal maestro Nicola Piovani.
Alla presentazione sono intervenuti il vicepresidente di Santa Cecilia, Gianni Letta, il presidente della Barattelli, Giorgio Battistelli, il presidente onorario della Barattelli, Vittorio Di Paola e il vicesindaco dell'Aquila, Raffaele Daniele.
Gianni Letta ha detto che il concerto del 7 aprile «annuncerà la nuova stagione dell'Aquila, una città che sarà la più bella città del mondo».

L'ENTE MUSICALE SOCIETÀ AQUILANA DEI CONCERTI "BONAVENTURA BARATTELLI"

La nostra intervista alla pianista Eugenia Tamburri:

Giornata Mondiale dello Sport, boom di atleti professionisti che ricorrono al coaching per inseguire il successo

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Dal romanista Patrik Schick alla campionessa Sofia Goggia, fino ai più celebri sportivi a livello mondiale come Roger Federer e Tom Brady e ai più forti giocatori degli eSports. Un numero sempre maggiore di atleti professionisti ricorre al coaching per ritrovare il proprio equilibrio e migliorare le proprie performance durante le competizioni. Secondo la Master Certified Coach Marina Osnaghi: “Il coaching permette di ritrovare l’equilibrio e superare i momenti difficili”.
Stephen Foster ha composto “Hard times, hard times, come again no more”, Charles Dickens ha intitolato il suo decimo romanzo “Hard Times” e il pittore Hubert von Herkomer ha intitolato “Hard Times” un proprio celebre quadro. Capita a tutti di attraversare momenti complicati. Dagli artisti, che trasformano il proprio malessere in opere, agli sportivi, che esprimono le proprie difficoltà durante le competizioni agonistiche. Nel corso degli ultimi anni sempre più atleti, per superare l’impasse, scelgono di affidare la propria “rinascita” a un coach. Professionisti che, seguendo costantemente l’atleta e interrogandolo sul proprio stato, capiscono cosa lo blocca, spronandolo a dare il meglio di sé attraverso tecniche specifiche. Una tendenza che parte da lontano: come riportato dal New York Times, la United States Tennis Association, per riportare in auge il tennis negli USA ha affiancato un esperto di coaching alle giovani promesse. Allo stesso modo il Washington Post ha raccontato la storia di campioni olimpici come Kayla Harrison, oro nel judo a Londra 2012 e Rio 2016, che ha lavorato costantemente sulla propria mente collaborando con un coach. Anche la tennista britannica Tara Moore, come riportato da Eurosport UK, ha elogiato il lavoro del suo esperto di coaching dopo un’importante vittoria. Ma non è tutto, anche campioni come Mattia De Sciglio, Patrik Shick, Sofia Goggia, Federica Pellegrini, fino ad arrivare ai più celebri sportivi a livello mondiale come Roger Federere Tom Brady, fino ai giocatori degli eSports, hanno fatto ricorso al coaching per superare in maniera brillante le avversità. Un’efficacia confermata anche da studi scientifici pubblicati sulle più autorevoli testate.

È quanto emerge da uno studio condotto da Espresso Communication su oltre 60 testate internazionali in occasione della Giornata Mondiale dello Sport che si celebrerà sabato 6 marzo, per comprendere la vastità del fenomeno e capire le ragioni che spingono gli atleti di tutto il mondo ad affidare il destino della propria carriera a questa figura professionale che sta diventando sempre più popolare tra gli sportivi.  

Sempre più sportivi si affidano ai coach per superare ilproprio momento negativo– spiega Marina Osnaghi, prima Master Certified Coach in Italia, che ha affiancato grandi imprenditori e sportivi professionisti nel raggiungimento dei propri obbiettivi – Esistono particolari stati emotivi che permettono di restare in contatto con le proprie capacità e sopportare grandi pressioni. Sono soprattutto i giovani campioni a subire queste difficoltà, derivanti dalle aspettative della famiglia e del proprio allenatore. Giornali, tifosi, fallimenti, competitività: è facile per gli sportivi cadere in un momento di sconforto. Ed è proprio il lavoro dei coach che permette di ritrovare equilibrio e consapevolezza, riuscendo a veicolare le energie a proprio favore. Nel fallimento, noi coach riusciamo a trasformare in elementi di vantaggio tutti gli eventi nella vita dell’atleta. Il ‘nemico interno’, come lo chiamiamo noi, può venire sconfitto anche con semplici esercizi: ad esempio “L’Esercizio del Benvenuto” aiuta molto, dando ogni giorno il benvenuto a se stessi, alle cose che accadranno e a coloro con cui avremo a che fare, cambia lo stato emotivo. Un altro semplice esercizio consiste nel posizionare le mani in particolari zone del cranio, un’azione che permette di scaldare la neocorteccia, aumentando il flusso sanguigno nell’area, permettendo di prendere decisioni migliori e più ponderate. L’ossessione della vittoria ci trasforma in un ruolo, non siamo più atleti. In questo ambito chi perde si convince che sarà destinato a fallire per sempre: la profezia auto-avverante esiste davvero”.

L’efficacia di questi esercizi, basati anche su domande poste a se stessi per focalizzare gli obbiettivi nella propria immaginazione, è stata comprovata anche dagli scienziati. Su Washingtonpost.comè stato pubblicato un esperimento di Guang Yue, fisiologo dell'esercizio presso la Cleveland Clinic Foundation, in cui ha chiesto a dei volontari di immaginare di flettere i bicipiti il più intensamente possibile. Dopo alcune settimane di sola visualizzazione dell’allenamento, i soggetti hanno mostrato un aumento del 13,5% della forza. In un altro studio, questa volta condotto dall'Università di Chicago, è stato richiesto ai partecipanti di immaginare di effettuare tiri liberi per un mese. I tester hanno migliorato il loro tiro del 23%. Infine, uno studio francese ha scoperto che gli atleti del salto in lungo che immaginavano i loro salti hanno ottenuto performance migliori del 45%.

Ma non è tutto. Il tabloid britannico The Guardianè andato più a fondo sul tema, citando una ricerca dell'Università di Monacoche ha rivelato come siano gli atleti degli sport individuali ad aver maggior bisogno di superare le proprie difficoltà emotive legate alle prestazioni. Il prof. Jürgen Beckmannha affermato infatti che gli atleti individuali attribuiscono più spesso il fallimento a se stessi rispetto ai colleghi che praticano sport di squadra, dato che in una squadra c'è una distribuzione diffusa della responsabilità rispetto alle prestazioni di un atleta individuale.

Un aggiornamento delle skill non basta. Logotel presenta Kill Skill, un approccio design-driven per abilitare le persone

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Il problema della mancanza di skill è noto a tutti. Il 4 aprile 2019 Logotel ha proposto un cambio di prospettiva: Kill Skill. Un metodo design driven in grado di lavorare sul tutto il sistema azienda-persona: dalla formazione di nuove skill agli ambienti per alimentarle nel tempo, fino alla progettazione di modalità per esercitare davvero ciò che le persone hanno appreso.

 Innovazione tecnologia, incertezza geopolitica e distruption di interi modelli di business. Sono temi che tutte le organizzazioni stanno affrontando per potenziare la propria competitività o reinventarsi. L’esigenza di trasformazioni continue (perché il ritmo del cambiamento non rallenterà) si riflette sulle persone: che hanno bisogno di nuove skill. Spesso, però, la risposta si limita a cataloghi di nuove competenze da “installare nelle persone”.

Durante l’evento Kill Skill, Logotel propone un cambiamento di prospettiva: gli elenchi di skill sono privi di personalità, ignorano i talenti individuali e la realtà delle imprese. E può perfino risultare nociva: iniettare il cambiamento senza progettare l’impatto che potrà avere sull’organismo-impresa, può portare al suo rifiuto da parte delle persone, alla demotivazione, al calo della produttività.

Logotel da 25 anni accompagna la trasformazione delle imprese in modo collaborativo, confrontandosi con manager e decisori nazionali e internazionali. Dal suo osservatorio rilancia la sfida dell’aggiornamento delle competenze.
Le organizzazioni vanno supportate a un livello più profondo. Bisogna hackerare il sistema della formazione. È necessario un approccio che ripensi l’innovazione. Non è solo un tema tecnologico, deve diventare un appuntamento per innescare nuovi modelli di sviluppo, che sia in grado di reagire ai cambiamenti ed evolversi”, racconta Nicola Favini, direttore generale Logotel.

Per realizzare tutto ciò, è sempre più importante amplificare il livello di comprensione del sistema azienda-persona. I programmi di trasformazione sono già partiti, ora bisogna mappare come le strategie di formazione e le iniziative di change management impattano sulle skill delle persone.

“Trascurare fattori come il commitment del management, l’orientamento delle persone e i loro bisogno significa dar vita a ‘killer dei progetti’, fenomeni che demotivano le persone e allontanando i risultati desiderati. Ne abbiamo discusso con il management presente all’evento, per dare insieme un volto a questi killer. Secondo noi questo è il primo passo per neutralizzarli”, spiega Jessica Aroni, Senior Manager Education Projects per Logotel. Un’attività collaborativa per catturare insight significativi, fondamentali per comprendere se le iniziative che puntano al cambiamento stanno funzionando oppure no.

A partire da queste premesse Logotel proponeun approccio in grado di lavorare sul tutto il sistema azienda-persona: dalla formazione di nuove skill agli ambienti per alimentarle nel tempo, fino alla progettazione di modalità per esercitare davvero ciò che le persone hanno appreso.

In un contesto in cui una skill “invecchia” ogni circa due anni, bisogna progettare percorsi e strumenti di formazione e soprattutto per abilitare ogni persona ad applicare in modo naturale ciò che di nuovo ha imparato. La formazione oggi, deve essere legata a doppio filo con il business e la cultura aziendale. Senza questa condizione qualunque programma o attività di training rischia di non funzionare. Qualunque skill è davvero utile solo se si costruiscono spazi di pratica per esercitarla nel quotidiano, altrimenti evapora.

Logotel propone quattro “attivatori” per dar vita ai suoi progetti, per renderli concreti e misurabili: attitudine, motivazione, permesso e opportunità.

“In sintesi, gli attivatori devono lavorare insieme sui nostri progetti. Nel selezionare e sviluppare le attitudini delle persone; nel generare e mantenere attiva la motivazione; nel concedere il permesso per sperimentare nuovi comportamenti e, infine, nell’offrire opportunità per creare impatti reali delle nostre iniziative”, afferma Maria Grazia Gasparoni, Manager of Education per Logotel.

Per dar vita a questo sistema dobbiamo agire su tre livelli:
·         Comprendere: con strumenti di assessment, per mappare il sistema azienda-persona e aiutare le organizzazioni a definire lo stato delle iniziative formative e individuare le azioni necessarie per colmare gap
·         Abilitare le persone: con percorsi di sviluppo, strumenti e ambienti fisico-digitali per accompagnare le persone nel viaggio dell’apprendimento. Stimolare la motivazione delle persone e creare spazi di opportunità per trasformare le skill in comportamenti.
·         Sostenere nel tempo i comportamenti, perché questi ambienti devono essere capaci di stimolare e mantenere attiva l’acquisizione di nuove skill.

Per approfondire le tematiche dell’evento è possibile scaricare il Quaderno Kill Skill – Un non catalogo di competenzesu http://www.weconomy.it dove è possibile non solo leggere i contenuti, ma anche ascoltarli. Il quaderno è disponibile in italiano e in inglese.


LOGOTEL
Logotel è la Service Design Company che progetta e accompagna la trasformazione delle imprese in modo collaborativo. Il suo team di oltre 190 professionisti progetta e sviluppa servizi ed esperienze su scala internazionale, dalla strategy al delivery al “life” dei progetti. L’approccio di Logotel unisce discipline e competenze diverse, sempre “People & Design Focused”, rendendo concreta l’innovazione, ingaggiando i network di intere organizzazioni distribuite sul territorio, ridisegnando le relazioni tra Brand, Clienti interni ed esterni per generare impatti reali. Nel 2018 Logotel ha lavorato per oltre 60 Clienti diversi, ha coinvolto 5.000 persone in progetti formativi e ne ha connesse più di 100.000 con le 38 Content and Business Community Network che erogano servizi e contenuti, motivano, attivano la condivisione e fanno partecipare.

WECONOMY
Dal 2009Weconomy è la piattaforma culturale creata da Logotel e dedicata all’economia collaborativa. Weconomy conta ad oggi 13quaderni stampati e con più di 65.000 download, oltre 200 autori, 490 articoli pubblicati, 1 piattaforma digitale www.weconomy.it


Omaggio ad Anna Magnani con la proiezione del Film "L'Onorevole Angelina"

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Grande successo  presso la Sala Agis/Anec di Roma, per la proiezione del film “L’Onorevole Angelina”, diretto da Luigi Zampa nel 1947,con protagonisti Anna Magnani e Nando Bruno.
  L’evento è stato organizzato dall’ associazione culturale Visioni & Illusioni, presidente Ettore Spagnuolo, Presidente Onorario Giuliano Montaldo ed in collaborazione con Francesca Piggianelli che hanno voluto omaggiare la grande artista , il film è stato introdotto da Alberto M.Castagna e Guido Barlozzetti. Numerosi gli ospiti presenti tra cui Adriana Russo, gli attori Savino Tiani, Simona Di Sarno, inoltre Raffaella Camarda ed il produttore Matteo di Pasquale della Fenix Entertainment, che hanno ricevuto rispettivamente,  di recente, il Premio Anna Magnani come attrice giovane e miglior Produzione Rivelazione.

(Foto di Marco Bonanni)



DANIELE BABBINI dal 5 aprile in radio con la nuova versione del brano “NESSUNA CANZONE PER TE” (feat. ESA)

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Il brano (Bunker Home Productions), è attualmente disponibile in digital download e su tutte le piattaforme streaming (Artist First)

«L’incontro con Esa ha portato da subito positività e voglia di sperimentare: è infatti per me un onore collaborare con un capo-scuola del rap italiano - racconta Daniele in merito alla nuova versione - Al liceo tutti conoscevamo il disco degli Otierre quindi è anche una sorta di viaggio nei miei ricordi. Questo è il mio secondo featuring dopo quello con Pippo Pollina del 2013, ma è la prima volta che collaboro con un rapper».

Un brano tutto nuovo, è stato scritto interamente dallo stesso Daniele con la collaborazione rap di Esa e arrangiato da Paolo Agosta.

«Sono dentro al rock, sono per l’amore - dice Esa - Questa prima collaborazione con Daniele è nata per creare un brano che possa aiutare le persone a superare anche i momenti più difficili».

DANIELE BABBINI nasce a Carrara, si diploma al liceo scientifico e studia archeologia alluniversità di Firenze. Dopo varie esperienze musicali, nel 2003 pubblica il singolo "Oggi però" (Capitol/Emi) che entra per due volte nella classifica FIMI. Musica e poesia sono un binomio indissolubile nel processo creativo di Daniele che nel 2004 pubblica “L’ombra dell’anima”la prima di numerose raccolte di poesie vincitrici di svariati premi. Nel 2007 pubblica il singolo "Pane Caldo" e nel 2009 esce il suo primo album Sono Cose Che Succedono” (One E Music / EMI), impreziosito dalla collaborazione di Gatto Panceri. All’uscita dell’album segue l’uscita il singolo “Precario” (One E Music / EMI) il cui video, per la regia dello stesso Daniele, viene trasmesso da MTV. Nel luglio dello stesso anno esce il cd-single “Meglio Solo” e due mesi dopo riceve il Disco d’Oro. Nel 2010 pubblica il secondo album “La Legge Dell’Attrazione” (One E Music / EMI) che nel luglio del 2011 vince il Premio Lunezia “Rock D’Autore”. A settembre 2011 esceIl Tempo, Il Vizio, La Noia” (One E Music / EMI)il terzo album del cantautore, impreziosito dai mixaggi di Steve Lyon (Depeche Mode, Cure, Paul McCartney) e dalla collaborazione con Gregoire Boissenot. Nel giugno 2013 esce l’album “La Linea Gialla” (Ed. Clandestine Music / Pirames Int.). A settembre è ospite alla finale nazionale di Rock Targato Italia. Nellaprile 2015 esce il singolo “Quererse Y Luego” pubblicato da Sony Music Brasil per il mercato latino-americano e spagnolo che fin da subito arriva sulle classifiche internazionali. Nell’aprile 2016 Daniele è impegnato nel suo primo tour promozionale in Spagna e nel settembre seguente ha preso parte a la XV Festa de la Radio a Barcellona insieme a Lorena Ares. Nel Giugno 2016 pubblica la cover di “Storie di tutti i giorni” come omaggio a Riccardo Fogli e ai 35 anni di vita della canzone. Nella primavera del 2017 pubblica il singolo “La miglior vendetta” uscito in contemporanea nei paesi di lingua spagnola col titolo “La Mejor Venganza” e nel Gennaio 2018 il singolo “È passato anche Dicembre”, scritto a quattro mani con Alessio Ventura dei DhammDB Boulevard.



I Tre Terzi superano le selezioni regionali e accedono alla finale nazionale di SanremoRock

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I Tre Terzi superano le selezioni regionali e accedono alla finale nazionale della 32sima edizione del SanremoRock, che si terrà dal 4 al 6 giugno nel prestigioso Teatro Ariston di Sanremo. Durante la finale, la Giuria selezionerà 16 concorrenti “super finalisti” che parteciperanno alla Finalissima di venerdì 7 giugno al Teatro Ariston di Sanremo.

I Tre Terzi nascono a Palermo nel 2009. Oggi sono formati da Claudio Terzo (voce e chitarre) e Ferdinando Moncada (chitarre), Diego Tarantino (basso), con loro collaborano Emanuele Rinella e Ferdinando Piccoli (batteria). I Tre Terzi calcano decine di palchi in Sicilia e in Italia: hanno condiviso il palco con Niccolò Fabi, Alberto Fortis, Lello Analfino, Giuseppe Milici, Gareth Brown, Red Ronnie. Hanno partecipato alle finali “Fiat Music Tour” Al Teatro Ariston di Sanremo e alle selezioni per partecipare al Concertone del Primo Maggio 2018 di Roma e hanno presentato il loro primo disco, dal titolo “Tre Terzi” (2014), registrato e mixato da Riccardo Piparo presso LAB MUSIC, al Circolo degli artisti di Roma e con un concerto sold out al Teatro Golden di Palermo. Nel 2018 è uscito il secondo disco “Andata e Ritorno”, accompagnato da due videoclip, “Chi ci salverà” https://youtu.be/TRUZW7qeC4s e “Andata e ritorno” https://youtu.be/DGis3FRB7XM

Ululuna, Stefano Benni al Teatro Anfitrione dal 9 aprile. Regia di Jacopo Neri, prima nazionale

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Dopo Il Signor Odio, portato in scena lo scorso febbraio da La Siti® - Teatro Stabile di Roma® per un incredibile successo di pubblico e critica, Stefano Benni propone - in prima nazionale - al Teatro Anfitrione lo spettacolo Ululuna che lo vede interprete e in parte autore. In scena dal 9 al 14 aprile.

Ululuna è una veduta d'interni sull'opera di uno dei massimi autori del Novecento: Cortazar. Alla regia Jacopo Neri, scelto dal maestro Benni per rappresentare la sua idea di Cortazar. Neri, classe ‘95, giovanissimo, ha già all’attivo una lunga lista di riconoscimenti e premi (come l’ultimo Hystrio 2018).

Stefano Benni, inedito e ancora una volta sorprendente, interpreta il vecchio Julio che ricorda in punto di morte le storie e i personaggi che ha inventato, mentre, in parallelo, un giovane Julio (i cui panni sono vestiti da Francesco Guglielmi) scopre lentamente l'universo paradossale, onirico e fiabesco che sarà la sua letteratura. In particolare si confronta con delle creature antropomorfe (interpretate dagli attori del Teatro Stabile di Roma®) che raccontano il divertimento, la solitudine, il desiderio, incarnando vizi e virtù della natura umana.

Cortazar ha ispirato la mia opera come forse nessun altro - dice Stefano Benni - volevo che a portarlo in scena con me fossero i giovani nei quali credo, che stanno diventando bravi, in un momento difficile per chi scrive e produce teatro. Con loro scommetto, travolto dall’entusiasmo e dalla velocità di Beatriz [Maria Beatrice Alonzi, direttore esecutivo del Teatro Stabile di Roma®, produttore dello spettacolo N.d.A], andando in scena con attori giovanissimi e talentuosi. Nonostante questo pensate che, non a causa mia, in tutto, facciamo più di 300 anni!

Quello dei racconti di Cortazar (passati attraverso le costole del Lupo Stefano Benni), ispirazione di questo spettacolo, è un mondo parallelo in cui gli eventi e le situazioni di tutti i giorni si animano nelle maniere più sorprendenti. Un pullover che tenta di strangolare l'uomo che lo indossa. Un impiegato che, stressato, vomita decine di coniglietti. Gocce di pioggia che si suicidano scivolando lungo il vetro di una finestra. Gli elementi più casuali e anonimi del quotidiano prendono vita, letteralmente. Una vita che a volte turba la nostra, minando il nostro esame della realtà, i nostri punti di riferimento e le nostre prospettive, ma anche offrendoci nuove e più complesse possibilità di senso. Inevitabile l'idea di portare questo mondo in teatro, luogo festivo per antonomasia, dove tutto ciò che conosciamo come ordinario si fa, all'improvviso, straordinario.

TEATRO ANFITRIONE
Via San Saba, 24 
ULULUNA 
con Stefano Benni 
regia di Jacopo Neri
Sul palco anche gli attori del Teatro Stabile di Roma®:
Francesco Guglielmi, Chiara Cappelli, Amandine Delclos, Margherita Maggio, Maria Caterina Catroppa, Francesco Renna, Valeria Pian, 
Chiara Cappelli, Rachele Patanè, Lorenza Molina, Federica Ciminelli, Lorenzo Giovannetti, Francesca Romana Filippo

9-14 APRILE
da martedì a sabato ore 20.30, domenica ore 18.30
biglietti da 22€ a 13€

Link per l’acquisto dei biglietti: https://www.eventbrite.it/e/biglietti-ululuna-con-stefano-benni-spettacolo-teatrale-59376649156

Foto ©Barbara LeddaPhotomovie
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