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Aida a Liegi, Stefano Mazzonis di Pralafera a Fattitaliani: la critica più importante viene dall'apprezzamento del pubblico. L'intervista

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Scenografia mobile e imponente valorizzata da un efficace gioco di luci, momenti musicali accompagnati da coreografie, nomi di grande richiamo: per la nuova produzione di un'opera come Aida il Teatro dell'Opera di Liegi non si è certo risparmiato (cast): il Maestro Speranza Scappucci, gli artisti, il costumista, il coro e la regia di Stefano Mazzonis di Pralafera hanno concorso nella creazione di un unicum che affascinasse gli spettatori che ieri sera per la prima hanno applaudito molto calorosamente. L'opera sarà in scena fino al 14 marzo. Fattitaliani ha intervistato Stefano Mazzonis di Pralafera.

Come ci si prepara ad affrontare un'opera cult come Aida?
Aidaè una delle opere più difficili da realizzare perché Verdi la vedeva come un'opera da camera e intimista ma la marcia trionfale e i momenti corali sono difficilissimi da gestire, la cosa più complicata da fare perché il pubblico si aspetta un momento magico di realizzazione trionfalistica. Ho studiato insieme e d'accordo con il Maestro Speranza Scappucci, che aveva anche lei una visione meno trionfalistica, e ci siamo trovati su un'intesa che rispettasse molto l'idea di Verdi.
In che cosa con le maestranze vi siete trovati particolarmente in sintonia per una costruzione così imponente?
Imponente e anche qui abbiamo rispettato una volontà di Verdi molto innamorato del primo script che gli era arrivato da Mariette, l'egittologo, che poveretto non è mai citato nel libretto ma che è stato l'inventore della storia. Poi hanno chiamato Ghislanzoni ma nel libretto ci hanno messo le mani pare anche Temistocle Solera che era agente italiano al Cairo, quindi immerso di egittologia e Verdi era affascinato da questo mondo egiziano e dentro ha messo tutta musica orientaleggiante proprio per ricrearne l'ambiente. Non ho voluto ricreare un ambiente fedele nei dettagli, ma dare un profitto d'antico Egitto a tutto lo spettacolo.
Elaine Alvarez, Aida
C'è una cifra registica di Stefano Mazzonis di Pralafera riconoscibile e rintracciabile anche in questa Aida?
Sì, un rispetto sempre della musica e del libretto. Questa è la mia cifra sempre presente. 
Nino Surguladze, Amneris
La critica che le piacerebbe ricevere come regista?
Proprio il fatto che ho rispettato la musica e il libretto del compositore.
E come direttore del Teatro?
Che tutto lo spettacolo è piaciuto e ha riempito la sala soprattutto di giovani e che i giovani abbiano apprezzato.
Marcello Giordani, Radamès
Luca Dall'Amico (Ramfis), Marcello Giordani e Nino Surguladze
Invece una critica che non vorrebbe mai ricevere?
Le critiche le leggo il meno possibile, sia nel bene che nel male. Credo che la critica più importante venga dall'apprezzamento del pubblico: per me è quello che conta. Poi, per carità, le opinioni le rispetto tutte e qualche volta quando un critico dice qualcosa in negativo sulla mia regia, ci ragiono e se posso la correggo.
Lionel Lhote, Amonasro
Qualche anticipazione sulla prossima stagione?
Ora no, tra un mesetto e mezzo arriva tutto, ma siamo sempre nella tradizione con qualche piccola scoperta qua e là. Giovanni Zambito.
Foto scena:  © Opéra Royal de Wallonie-Liège

Cristina Cafiero presenta il suo nuovo singolo "Anime"

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Da venerdì 1 marzo in radio e sulle piattaforme digitali, “ANIME”, il singolo di Cristina Cafiero, che lancia il suo Ep in uscita in questi giorni. 

Prodotto dalla stessa artista e caratterizzato dal suo forte timbro vocale, il brano racconta una storia d’amore tra le difficoltà che la vita ci pone ogni giorno, in un rapporto che non ha bisogno di grandi gesti o di grandi parole, ma di quotidianità. 
«Questo brano è dedicato in particolare modo ad una coppia di non udenti che ho incontrato per caso in treno - racconta Cristina -Negli sguardi e nelle carezze che la coppia si scambiava, ho capito quanto l’amore possa essere potente e importante: un mezzo che ci aiuta a superare i momenti drammatici della vita».

Cristina Cafiero è una cantautrice nata a Napoli. Ha iniziato a studiare musica da bambina e nel 2017 si laurea in canto jazz presso il conservatorio di Salerno “G.Martucci”. Fondamentali per lei sono stati i numerosi stage con artisti di calibro nazionale e internazionale (Bungaro, Maria Pia De Vito, Serena Brancale, Diego Calvetti, Fabrizio Palma, Nicco Verrienti, Roberto Casalino, Norma Winstone, Luca Pitteri, Giuseppe Anastasi). È diplomata al C.E.T di Mogol, superando il corso di perfezionamento come Autore di testi. Negli anni 2014/2015 Cristina frequenta l’Accademia Spettacolo Italia a Roma diretta dai fratelli Massimo e Piero Calabrese (produttori di Giorgia, Mengoni e tanti altri), Fulvio Tomaino, Elio Cipri e Gianni Marsili. In Accademia nasce il gruppo vocale “Aquarius Project” di cui entra a far parte, che debutta in televisione nel programma “Uno Mattina in Famiglia” di Rai1. Nello stesso periodo nasce il trio vocale “The Martucci Sisters”, qualche anno dopo il gruppo apre il concerto di Dolcenera al Modo di Salerno. Nel tempo Cristina, oltre ad approfondire i suoi studi di canto con il maestro Luca Pitteri, riesce ad aggiudicarsi importanti esperienze nell’ambito musicale, partecipando a contest regionali e nazionali e
 ottenendo vari riconoscimenti, dalla semifinale di Area Sanremo al Premio Della Giuria Popolare del ProSceniUm Festival.



Il Signor Odio di Benni-Mazzucato prima nazionale al Teatro Keiros dal 28 febbraio al 3 marzo

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"All'odio che vi muove, io non rispondo. Il Signor Odio muore e con lui tutti i mali del mondo." Giorgia Mazzucato

Le ragazze terribili del teatro italiano ci provano ancora e stavolta con un miliardo di utenti. O quasi.
Giorgia Mazzucato (allieva di Fo e Rame) e Maria Beatrice Alonzi (definita dall'agenzia di stampa estera AFP "the Italian Digital Artist"), capitani del nuovo Teatro Stabile di Roma®, quest'anno hanno bussato alla porta del Maestro dei maestri: Stefano Benni che, con loro, confeziona due spettacoli per la stagione. Il primo, scritto dall'autore e dalla Mazzucato stessa, ci racconta di un mondo (il nostro) dove vi è una sola differente anomalia: un utente da un miliardo di followers.

Stefano Benni si unisce a Giorgia Mazzucato nella scrittura di uno spettacolo basato su un'idea di Maria Beatrice Alonzi: basta una malelingua per distruggere l'uomo più buono del mondo? Bastano 15 persone per farne fuori quasi un miliardo? Lo scopriremo al Teatro Keiros, dal 28 febbraio al 03 marzo, a Roma, per la prima nazionale di un atteso spettacolo dello Stabile che, collezionando sold-out in questa stagione 2018/19, è pronto ad accettare una nuova sfida. In scena, oltre alle ragazze, l'intera Compagnia Stabile e l'attore Francesco Guglielmi, già Premio Hystrio 2017.

In questo momento nel mondo gli utenti di Instagram sono 1,000,000,000 (un miliardo). Cosa succederebbe se esistesse un solo utente che li raggiunge tutti... o quasi? Se ci fosse un solo essere umano, dietro un profilo, dal nome Il Signor Odio, seguito da un miliardo di utenti? Cosa succederebbe se questo profilo fosse seguito per un solo, unico, prezioso quanto anomalo motivo: Il Signor Odio esiste ed è la persona più buona del mondo. Non ha secondi fini, non ha scopi biechi, non ha desiderio di apparire. Eppure questa sera, i suoi seguaci, stanno per passare da 999,999,999 a un miliardo ma a qualcuno, questa cosa, non piace. Non piace affatto.
Il Signor Odio: haters gonna hate.

La Siti – Teatro Stabile di Roma 
presenta
Il Signor Odio
Le ragazze terribili del teatro italiano ci riprovano con 1,000,000,000 di followers (o quasi).

Uno spettacolo di Stefano Benni e Giorgia Mazzucato 
mai rappresentato in Italia

Con Maria Beatrice Alonzi, Francesco Guglielmi, Giorgia Mazzucato, Chiara Cappelli, Maria Caterina Catroppa, Margherita Maggio, Amandine Delclos e Gianluca Piacentini

Scritto da Stefano Benni e Giorgia Mazzucato
da un’idea di Maria Beatrice Alonzi
Regia di Giorgia Mazzucato
Luci di Andrea Vannini 
Una produzione Teatro Stabile di Roma®
TEATRO KEIROS
Via Padova 38/a, Roma (zona metro Piazza Bologna)

PRIMA NAZIONALE
giovedì 28 febbraio, venerdì 1 e sabato 2 ore 20.30, 
 domenica 3 marzo ore 18.30


BIGLIETTI 
Intero: 15 €
Ridotto: 13 € (per ottenere un biglietto ridotto è sufficiente prenotare) 
PRENOTAZIONI 
È possibile prenotare al link http://bit.ly/il-signor-odio  oppure inviando una mail a biglietti@lasiti.it  o ancora con un messaggio WhatsApp al +393505973485 

Ulteriori info sul sito: www.teatrostabilediroma.it

Sciacca, al carnevale tre carri allegorici con le raffigurazioni di Salvini e Di Maio

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Salvini e Di Maio non mancano sui carri del carnevale di Sciacca, giunto alla 119 esima edizione. La prima sfilata prenderà il via venerdì 1° marzo alle 16 e terminerà con il tradizionale rogo di “Peppenappa” (che raffigura un personaggio burlone), maschera simbolo del carnevale siciliano.
Otto in totale i carri allestiti dalle associazioni culturali cittadine. Anche quest’anno largo alla satira politica con tre carri dove sono presenti le maschere di Salvini e Di Maio (i due vicepremier del Governo Conte). Una delle raffigurazioni s’intitola “Fiori d’arancio” ed ha un chiaro riferimento al matrimonio politico tra Lega e 5 stelle dove i due vicepremier sono raffigurati a cavallo di una motocicletta. Nel secondo carro, invece, viene raffigurato Salvini come Perseo: l’antico mito greco che deve sconfiggere Medusa, ossia l’Europa (che blocca parte dell'economia con i vincoli di bilancio e con lo spread). L'unico modo che avrà Salvini per liberare l'Italia (raffigurato come Andromeda) sarà nel distogliere il suo amore dallo sguardo pietrificante di Medusa. Nel terzo, infine, il ministro dell’Interno è raffigurato come il comandante di un galeone che deve sconfiggere le insidie che troverà lungo il tragitto nel mare.  Gli altri carri saranno legati alla stretta attualità. Ad esempio, uno di questi parlerà di fake news (le notizie false che circolano in Rete), ma anche degli altri carnevali d’Italia (da Viareggio a Venezia) senza dimenticare la moda giapponese che sta spopolando nella nostra società (gli abitanti di Sciacca hanno deciso di intitolare un carro: “Ma che sushi”). 

Mal si racconta in "Grazie Piper" un album di grandi successi per le 75 primavere e oltre 50 anni di carriera

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“GRAZIE PIPER! Devo al Piper club tutto il mio successo. È lì che i miei fans hanno iniziato a conoscere l’artista MAL e ad amare canzoni come: Yeeeeeeh, Occhi neri, Occhi neri, Parlami d’amore Mariù, Pensiero d’amore, Furia e tante altre ancora, che oggi appartengono al patrimonio della musica italiana”. 

Per le sue 75 primavere, ma anche come emblema celebrativo dei suoi oltre 50 anni di carriera, Mal regala ai suoi fans un nuovo lavoro discografico dal titolo “GRAZIE PIPER!”, anticipato dall’uscita del singolo PIPER, il 27 febbraio p.v., giorno del suo compleanno. L’album, prodotto da Pasquale Scilanga per Clodio Music, contiene 11 brani (10 successi+un inedito) che scandiscono l’esperienza musicale dell’artista, tra cui: Yeeeeeeh, Bambolina, Parlami d’amore Mariù, Furia e Pensiero d'amore, che quest’anno compirà ben 50 anni, riproposti in una versione riarrangiata. 
Era il 1966 quando Mal, giovanissimo, si ritrovò nel cuore pulsante di una Roma fervida di sperimentazione musicale, in un locale che è stato trampolino di lancio per tanti artisti: il Piper club.
“La mia meravigliosa carriera in Italia cominciò proprio nel locale di via Tagliamento numero 9, – ricorda Mal – un luogo ispirato ai modelli inglesi dai quali provenivo”.
Mal e il suo gruppo furono scoperti da due attenti osservatori del mondo giovanile e della musica: Alberigo Crocetta e Gianni Boncompagni che si trovavano a Londra in cerca di idee e contaminazioni, e non esitarono a mettere sotto contratto i ragazzi The Primitives. Il gruppo musicale conquistò fin da subito la simpatia del pubblico italiano, ma fu soprattutto Mal che, con la sua singolare vocalità ed un look inconfondibile, riuscì a ritagliarsi un posto importante nel panorama musicale italiano, tanto che la casa discografica di allora decise di scrivere a caratteri cubitali sugli Lp, dopo l'esordio: Mal dei The Primitives. Il Festival di Sanremo, il Cantagiro o le disco, non c'era luogo che non fosse in grado di ospitare l'energia positiva e trascinante di Mal. “Il ricordo più bello sicuramente – sottolinea Mal – è stato in occasione di un live al Piper, sull'onda del successo di Pensiero d'amore: fuori dal locale, le vie principali erano congestionate da ragazzi e ragazze in attesa di entrare per ascoltarmi. È per questo – aggiunge il cantante – che ho deciso di incidere una canzone dedicata al Piper; senza questo luogo, la mia carriera artistica probabilmente non sarebbe mai cominciata”. 
Il nuovo singolo intitolato PIPER (Edizioni musicali Clodio Management s.r.l.s.), è una sorta di inno d'amore attraverso il quale Mal evoca, con un pizzico anche di nostalgia, l’inizio della sua carriera artistica in Italia; tutto partì dal mitico Piper club. I dolci ricordi dell’artista sono legati agli indimenticabili anni ꞌ60 che continuano ad illuminare il suo sguardo e la sua mente, infondendogli ancora oggi emozioni che gli scaldano il cuore.  
PIPER è accompagnato anche da un videoclip (https://youtu.be/riBlxTWsVWw) per la regia di Michele Vitiello, con la consulenza di Niccolò Carosi, direzione della fotografia Enrico Petrelli e il montaggio curato da Damiano Punzi. Il videoclip tende a descrivere il rapporto quasi simbiotico che Mal ha con la musica, unica grande protagonista della sua vita: una musica fatta di ricordi, di generazioni, di applausi, amori e amicizia. Il video ha come cornice proprio lo storico locale romano fra evocazione e disincanto. 

Io ho denunciato, romanzo-verità di Paolo De Chiara: un imprenditore denuncia clan di Cosa nostra

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Il romanzo/verità di Paolo De Chiara che racconta la storia e il dramma di un imprenditore italiano che, per anni, subisce l’arroganza criminale di due clan di Cosa nostra

“Io ho denunciato” è il nuovo libro di Paolo De Chiara. La storia drammatica di un imprenditore italiano che ha denunciato due clan di Cosa nostra.
Un imprenditore italiano subisce, per tanti anni, l’arroganza criminale da parte di due clan di Cosa nostra: usura, estorsioni, violenze fisiche e morali. La sua storia è emblematica ed unica nel suo genere. Dopo una fortissima crisi interiore e un profondo senso di smarrimento denuncia gli aguzzini mafiosi. L’uomo entra in un mondo totalmente sconosciuto, viene trasferito in località protetta insieme ad una parte della sua famiglia. Anni di privazioni, difficili da sopportare. Estirpato dal suo territorio, perde il contatto con la sua terra, con i suoi amici, con il suo mondo lavorativo. Deve far perdere le sue tracce, diventare invisibile per scampare ad una condanna a morte sancita dai criminali senza scrupoli. Una vita da recluso, per aver compiuto il proprio dovere. I continui trasferimenti in diverse città italiane mettono a dura prova le sue certezze. Lo smarrimento, la destabilizzazione, la disperazione cominciano a convivere quotidianamente con la sua nuova vita. La storia narrata nel libro “Io ho denunciato”, è la vicenda realmente accaduta all’imprenditore italiano.
Le accuse del testimone contro i clan sono devastanti per l’organizzazione: arrestati, processi, condanne, dopo un lungo travaglio e un percorso pieno di ostacoli, disseminati non solo dagli uomini del malaffare. L’imprenditore, dopo la denuncia, entra nel programma provvisorio di protezione in qualità di testimone di giustizia. 
Il tema trattato è scottante. L’informazione sui testimoni di giustizia è scarsa e nell’immaginario collettivo, spesso, la figura viene confusa, a volte con precisa intenzione, con quella dei collaboratori di giustizia, i cosiddetti pentiti. Due categorie completamente diverse. Lo Stato italiano, come forse mai nella storia, sprona il cittadino a denunciare e si prodiga con competenza e serietà alla sua protezione. Ma cosa succede quando si denuncia? Quali sono le procedure? Quali le rinunce, gli obblighi, i rischi e le privazioni?
“Io ho denunciato” è la storia di un uomo vivo che vuole restare vivo. Nel titolo dell’opera ci sono le parole decise di un uomo che ha sofferto, che ha lottato e che, alla fine, ha vinto la sua battaglia. Un uomo normale, che ha sempre vissuto onestamente le sue attività imprenditoriali. Questo romanzo vuole essere un messaggio diretto, essenziale e reale. Per incitare e far capire, soprattutto ai giovani, che le mafie, questi mostri che non sono affatto invincibili, si possono combattere e sconfiggere. Come afferma il protagonista della storia: “Se un uomo ha un volto, due hanno due volti, tre hanno tre volti… ma una folla diventa inattaccabile”.
TITOLO: “IO HO DENUNCIATO”
AUTORE: Paolo De Chiara
EDITORE: Romanzi Italiani
Pagine: 152
Costo: 12,00 euro
Disponibile anche online su: IBS.it; Libreria Universitaria.it; AMAZON; MONDADORIstore.it; LaFELTRINELLI.it; UNILibro.it; Librerie UBIK
Sito web: www.iohodenunciato.it 

NOTE AUTORE: Paolo DE CHIARA: giornalista, scrittore, sceneggiatore.
Nel 2012 ha pubblicato Il Coraggio di dire No. Lea Garofalo, la donna che sfidò la ‘ndrangheta (Falco Ed., Cosenza); nel 2103 Il Veleno del Molise. Trent’anni di omertà sui rifiuti tossici (Falco Ed., Cosenza), vincitore del Premio Nazionale di Giornalismo ‘Ilaria Rambaldi’; nel 2014 Testimoni di Giustizia. Uomini e donne che hanno sfidato le mafie (Perrone Ed., Roma); nel 2018 Io ho denunciato. La drammatica vicenda di un testimone di giustizia italiano. (Sceneggiatura, CinemaSet) e Il Coraggio di dire No. Lea Garofalo, la donna che sfidò la schifosa ‘ndrangheta (nuova edizione aggiornata, TrediTre Edizioni). Ha collaborato con Canal + per la realizzazione del documentario Mafia: la trahison des femmes, Speciàl Investigation (MagnetoPresse). Il documentario è andato in onda in Francia nel gennaio del 2014. paolodechiara.blog

Il napoletano Gianfranco Terrin protagonista a Los Angeles dello spettacolo My Big Gay Italian Wedding

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Andrà in scena dall’8 al 31 marzo 2019 al The Hudson Theatre di Los Angeles “My Big Gay Italian Wedding” di Anthony Wilkinson, fortunato spettacolo ed ispirazione del film “Puoi baciare lo sposo”. Protagonista sarà l’attore napoletano Gianfranco Terrin nel ruolo di Anthony Pinnunziato.

La commedia, reduce dal successo già ottenuto lo scorso maggio proprio a Los Angeles, è presentata dall’Italian Comedy Club di Los Angeles e dal produttore italiano Fausto Petronzio.
Tra i padrini dell’iniziativa spicca anche Alessandro del Piero, che con il suo ristorante "N.10", diventa nell’occasione parte integrante della storia, ovvero il luogo dove il protagonista Anthony intende trascorrere il ricevimento, e dove il pubblico incontrerà il cast la sera del debutto l'8 Marzo. 
Los Angeles, la città degli Angeli, dove i sogni diventano realtà se ci credi veramente e lavori duro per realizzarli. Ed e` proprio con questo principio che nasce a LA, The Italian Comedy Club, “un nucleo nevralgico di comicità permanente”, una compagnia formata da attori italiani che ha come obiettivo mettere in vetrina non solo la commedia “Italian style”, ma la lingua, gli artisti e le eccellenze italiane nel grande paese a stelle e strisce.
Il cast in ordine di apparizione: Gianfranco Terrin, David-Simon Dayan, Linda Nile, Ana Maria Perez, Serena Limonta, Fabrizio Alliata, Carlo Carere, Kevin Clough, Claudia Jakab, Tiera Dashae, Salvador Avena,  Tommaso di Blasi, Julian Zambrano, Jordy Tulleners, Kory Larsen, Luca della Valle, Sarah Jean Long, Veronica Maccari, Kenny Fierro, Lisa Preston.

Spettacolo in sintesi

My Big Gay Italian Wedding di Anthony Wilkinson. La satira le polemiche sul matrimonio omosessuale e sugli stereotipi gay e italiani. Anthony Pinnunziato, un italo-americano gay proveniente da una grande famiglia caotica, desidera sposare il suo fidanzato Andrew in una cerimonia tradizionale italiana ed avere il ricevimento al tanto acclamato ristorante italiano di Alex Del Piero, ovvero il “N.10”. La madre autoritaria di Anthony non da la sua benedizione, a meno che non sia un prete ad officiare la sua funzione. Tocca alla madre di Andrew far sì che ciò avvenga. 

Breve biografia Gianfranco Terrin: Nato a Napoli, inizia la sua carriera di attore all'età di 10 anni nel film “Giro di Lune tra Terra e Mare” di Giuseppe Gaudino. Terminati gli studi al “Lee Strasberg Theatre and Film Institute” di Los Angeles, gli viene affidata la conduzione della trasmissione Disney Movie Surfers in onda su Disney Channel. Ad Hollywood ha lavorato in serie tv come “Criminal Minds – Oltre in Confini”, in film quali “La legge della note” di Ben Affleck, “Visione a Distanza” di Francis Ford Coppola ed affiancato attori come George Clooney, Zoe Saldana, Zac Efron per nominarne alcuni. 


PARTNERS: 

N.10 - LAFIRSTEP - UPSTAGEPRODUCTIONS - CINEMACASTING


In scena:  

The Hudson Theatre

6539 Santa Monica Blvd, Los Angeles, CA 90038

Il venerdi e sabato ore 20 - Domenica ore 15



Lo stilista Matteo Perin alla Milano Fashion Week presenta la giacca di pelle dipinta a mano

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Lo stilista Matteo Perin non poteva mancare alla Milano Fashion Week, che anche stavolta è stata la giusta occasione per presentare i capi in pelle dipinti a mano.


Focus in particolare su una giacca (indossata dallo stesso Matteo) in montone taglio vivo con un meraviglioso leone dipinto sulla schiena.

La giacca biker in montone nero taglio vivo, con il cappuccio rovesciato è stata dipinta a mano su disegno unico creato dallo stilista che ama creare pezzi d’arte che si possono indossare.
Nella collezione giubbini, giacche, abiti e borse realizzati a mano da artigiani italiani su disegno esclusivo, che si accendono d'arte: Matteo Perin usa infatti il pellame come fosse la tavola di un quadro. Il risultato sono dei capi di abbigliamento unici da indossare, come vere e proprie opere d'arte.
Il progetto è firmato dal designer Matteo Perin che tra l'America e l’Asia, passando per l'Italia, realizza abiti, gioielli, scarpe, valigeria e arredamenti d'interni (tutto su misura).
"L'idea alla base del nuovo progetto è quella di remixare l'arte” - dice Matteo Perin - “Quindi abbiamo pensato di portarla sulla pelle da indossare. Chi sceglie di farsi realizzare uno dei nostri capi in pelle dipinto a mano sa di avere un oggetto unico ed esclusivo da vivere e da ammirare, come un manufatto d'arte".
Tutti i capi sono infatti realizzati su misura e personalizzabili sia nel design che nel dipinto. Questa giacca è stata realizzata con la collaborazione di JAD.

Paolo Ruffini, a "UP&Down - Un film normale" il premio come Miglior Docufilm per il Sociale

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Nella prestigiosa cornice della settantatreesima edizione dei Nastri d’Argento al WeGil di Roma si è tenuta la consegna dei premi dedicati ai film documentari, un autorevole riconoscimento istituito dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani e assegnato ogni anno al meglio della produzione cinematografica nazionale.

A ricevere il premio speciale per la categoria Miglior Docufilm per il Sociale è stato il docufilm  “UP&Down – Un film normale”, diretto da Paolo Ruffini e Francesco Pacini,  prodotto da Non c’è Problema, Laser Film, Fenix Entertainment e Agnus Dei Production. 
La pellicola “UP&Down - Un film normale” è una vera e propria indagine sulla normalità, raccontata attraverso gli occhi incantati di interpreti straordinari: cinque attori con Sindrome di Down e uno autistico, accompagnati, in un viaggio lungo un anno intero, dall’amico Paolo Ruffini.
I protagonisti sono Federico, Andrea, Erika, Giacomo, Simone e David, tutti attori della compagnia teatrale livornese Mayor Von Frinzius diretta da Lamberto Giannini, con i quali Paolo Ruffini ha realizzato lo spettacolo “UP&Down”, che è andato in scena nei più importanti teatri d’Italia. E proprio durante il tour sono state realizzate le riprese del film che raccontano l’avventura di questi attori molto speciali, narrate dalla voce di Pino Insegno.

Sono stati 65 i docufilm ammessi alla selezione ufficiale dei Nastri d’Argento-Doc 2019, con i premi che sono stati decisi dal direttivo del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani. La preselezione ha interessato, per regolamento, soltanto film proposti nell’anno solare 2018 da Festival e rassegne e diffusi poi in sala o in tv. 

Segnalibro, Eleonora Molisani: amo i libri che scuotono la coscienza, che turbano e disturbano. L'intervista di Fattitaliani

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Ieri sera alla Libreria Verso di Milano l'autrice Eleonora Molisani ha presentato il romanzo Affetti collaterali (Giraldi editore), insieme ad Annarita Briganti, Paolo Vitaliano Pizzato e le letture di Rachele Bonifacio. Sei personaggi in cerca di ascolto, che vanno alla deriva tra incomunicabilità e solitudine esistenziale. Un racconto contemporaneo a sei voci, ambientato in una Milano a tratti tenera madre, a tratti algida matrigna, palcoscenico ideale di una vicenda intricata, in cui nessuno è totalmente vittima o carnefice. Fattitaliani l'ha intervistata per la rubrica Segnalibro.

Quali libri ci sono attualmente sul suo comodino?
Sogni e Favole, di Emanuele Trevi e La straniera, di Claudia Durastanti. Leggo libri per piacere ma anche per lavoro: mi occupo della pagina libri per il settimanale Tu Style di Mondadori. 
L'ultimo "grande" libro che ha letto?
“Perché scrivere?”, la raccolta di saggi di Philip Roth edita da Giulio Einaudi Editore. Illuminante e istruttiva, per chi scrive ma anche per tutti gli altri. Poi ho riletto l’Odissea di Omero, con mio figlio adolescente. Ogni volta è una nuova scoperta, un viaggio unico, affascinante. 
Chi o cosa influenza la sua decisione di leggere un libro? 
Se mi piace il libro di un autore poi tendo a leggere anche gli altri suoi libri. In generale: il passaparola, i consigli di amici lettori di cui mi fido, e il titolo e la copertina (che per me sono due elementi fondamentali). 
Quale classico della letteratura ha letto di recente per la prima volta?
I classici li ho letti a suo tempo, perché ho fatto studi classici e quindi sono parte fondante della mia formazione, come persona e come lettrice. Di recente ho riletto Proust e Celine, e ho apprezzato finezze che un tempo mi erano sfuggite. 
Secondo lei, che tipo di scrittura oggi dimostra una particolare vitalità? 
La narrativa è il mio genere preferito e secondo me è molto viva in questo momento. Leggo romanzi italiani e stranieri molto interessanti. Anche il giornalismo sta vivendo un momento vitale, grazie ai nuovi media e alla nuova comunicazione. Trovo interessanti anche i saggi, le biografie, le graphic novel. La scrittura, in generale, vive un momento di transizione molto interessante, grazie anche ai nuovi linguaggi e i nuovi media. 
Personalmente, quale genere di lettura Le procura piacere ultimamente?
Philip Roth diceva: “La letteratura deve essere “spietata, anche terribile. Il libro è un feroce viaggio all’interno di ferite aperte”. Più che la narrativa di evasione mi interessa da sempre quella di invasione. Amo i libri che scuotono la coscienza, che turbano e disturbano, che mi attraversano lasciando un sedimento. 
L’ultimo libro che l'ha fatta sorridere/ridere? 
Ogni volta che mi baci muore un nazista, le poesie di Guido Catalano. Amo la poesia e adoro l’ironia intelligente, trovo che questo autore sia un intrattenitore bravo e originale. 
L'ultimo libro che l'ha fatta commuovere/piangere? 
Nel mare ci sono i coccodrilli - Storia vera di Enaiatollah Akbari di Fabio Geda. L’ho letto con mio figlio adolescente, è un libro che ha vinto meritatamente tanti premi, insegna i valori della solidarietà, dell’empatia, dell’accoglienza. 
L'ultimo libro che l'ha fatta arrabbiare?
Non amo i libri che indugiano sull’ombelico dell’autore, che mascherano la celebrazione del suo ego (che nel caso degli scrittori a volte è smisurato). Mi fanno rabbia anche i libri maschilisti in modo gratuito e becero. 
Quale versione cinematografica di un libro l'ha soddisfatta?
Le nostre anime di notte. Ho trovato bellissimo il libro di Kent Haruf e molto ben fatto il film con Robert Redford e Jane Fonda. 
Quale libro sorprenderebbe i suoi amici se lo trovassero nella sua biblioteca?
Forse il Corano. Per giudicare bisogna conoscere, quindi l’ho comprato e l’ho letto. Ora ho le idee più chiare. 
Qual è il suo protagonista preferito in assoluto? e l’antagonista?
Ulisse, il protagonista dell’Odissea, ed Enea, il protagonista dell’Eneide, come eroi positivi. L’antagonista preferito è Achille, eroe leggendario della guerra di Troia. 
Lei organizza una cena: quali scrittori, vivi o defunti, inviterebbe? 
Omero, Dante Alighieri, William Shakespeare, Virginia Woolf e Simone de Beauvoir. Sarebbe la cena dei miei sogni, piena di intelligenza, talento, di spunti di riflessione e di conversazione. 
Ricorda l'ultimo libro che non è riuscito a finire? 
Non lascio mai un libro a metà. Anche se non mi piace, preferisco finirlo. Per riuscire a farmi un’idea completa. 
Quale scrittore vorrebbe come autore della sua biografia? 
Paolo Sorrentino. Lo adoro come artista a tutto tondo: come regista, sceneggiatore e anche come scrittore. 
Cosa c'è di Eleonora Molisani in "Affetti collaterali”?
Il mio sguardo sul mondo: da un lato disincantato (grazie, o per colpa, del mio lavoro di giornalista e del mio pesante bagaglio esistenziale) ma nello stesso tempo pieno ancora di incanto, di passione, di meraviglia e di speranza. Giovanni Zambito.
IL LIBRO
Nero ha avuto un’infanzia difficile, ora è un ingegnere e ha raggiunto una posizione sociale ed economica invidiabile. Ha sposato Scura, affascinante e complicata, indipendente e totalmente assorbita dal suo lavoro nel mondo dell’alta moda. Blanca è una ragazza madre peruviana, lavora duramente e non le rimane molto tempo per seguire il figlio Manuel, adolescente inquieto, animato da una grande voglia di riscatto. In una delle rare mattinate di sole milanesi, Blanca incontra Nero, e l’alchimia tra i due porterà Nero ad allontanarsi da casa e dalla famiglia. Grigio, musicista fallito e insegnante frustrato, è un amore giovanile di Scura, e quando i due si ritrovano, dopo tanti anni, scoprono quanto le loro vite siano distanti dai sogni spavaldi di gioventù. Lui non ha mai smesso di amarla, e sogna una possibilità di riscatto accanto a lei. Ricola, figlia di Nero e di Scura, è un’adolescente autolesionista e web-dipendente, che cerca disperatamente di salvare la sua famiglia dal naufragio, trovando conforto nell’amore virtuale per un misterioso sconosciuto, con cui chatta di poesia tutte le notti in rete.
Sei personaggi in cerca di ascolto, che vanno alla deriva tra incomunicabilità e solitudine esistenziale. Un racconto contemporaneo a sei voci, ambientato in una Milano a tratti tenera madre, a tratti algida matrigna, palcoscenico ideale di una vicenda intricata, in cui nessuno è totalmente vittima o carnefice. Nemmeno colui o colei che, con il suo gesto estremo, cambierà il destino di tutti.
AFFETTI COLLATERALI
di 
ELEONORA MOLISANI
Casa editrice: Giraldi 
Pagine: 148
 Prezzo: 12,00 euro 
Prezzo e-book: 3,49 euro

Data di uscita: 27 febbraio 2019
L'AUTRICE
Eleonora Molisani, giornalista professionista, si occupa di attualità e di libri per il settimanale Tu Style di Mondadori. Collabora, come docente di giornalismo, comunicazione e new-media, con la Scuola di linguaggi Mohole di Milano. Online ha fondato la community Natural Born Readers and Writers e nel 2017 ha diretto la rassegna di narrativa, teatro e musica Book@Bugu, a Milano. Nel 2014 ha esordito nella narrativa con Il buco che ho nel cuore ha la tua forma - Storie del terzo millennio (Priamo & Meligrana). Nel 2016 ha partecipato all’antologia di racconti brevi Pausa caffè (Prospero editore).

QUANDO GIOACCHINO VOLPE, NELLA PAGANICA NATIA, SI AFFACCIAVA ALLA FINESTRA

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Ripubblicato il volumetto “Ritorno al paese”: alcune annotazioni sul grande storico.
di Giuseppe Lalli -
L’AQUILA - Il piccolo convegno, patrocinato dalla Fondazione Carispaq, che si è tenuto lunedì 18 febbraio all’Aquila presso l’Auditorium “Sericchi”, nel corso del quale è stata presentata la riedizione di un opuscolo dal titolo “Ritorno al paese”, uscito in prima edizione nel lontano 1958, nel quale Gioacchino Volpe, importante storico dei primi decenni del Novecento, raccoglieva un certo numero di articoli di memorie autobiografiche, ha avuto il non piccolo merito di riportare in auge la figura di un intellettuale del secolo scorso tanto significativo quanto dimenticato. A presentare il volumetto, che reca una prefazione di Valerio Valentini, sono intervenuti i professori Carlo De Matteis e Gaetano Quagliariello, già docenti dell’Università degli Studi dell’Aquila. Era presente alla manifestazione un pronipote del grande storico paganichese, che è intervenuto alla fine con garbate parole di saluto e di ringraziamento.
Gioacchino Volpe nacque a Paganica (al tempo comune autonomo, fino al 1927, ora frazione del comune dell’Aquila) il 16 febbraio 1876, insieme a numerosa prole, da Giacomo, farmacista e segretario comunale, e Bianca Mori, maestra elementare nativa di Siena. Nacque nel quartiere di Pietralata, nella stessa casa dove quindici anni prima era venuto alla luce Edoardo Scarfoglio, giornalista scrittore e critico teatrale, cugino di Gioacchino (era figlio di una sorella di Giacomo) e fondatore, insieme alla moglie Matilde Serao, del giornale napoletano “Il Mattino”. Chi l’avrebbe mai detto! In quel vicoletto appartato della provincia italiana, quanta cultura del Novecento si è data appuntamento...

               

Paganica, che prende il nome da un tempio che in epoca romana in quel territorio sorgeva (Jovi Paganico Sacrum), quando Volpe vi nacque era un antico e piuttosto fiorente borgo nei pressi dell’Aquila, di cui era stato uno dei castelli fondatori, uno di quei piccoli centri urbani un po’ dormienti situati nel ventre profondo di quella periferia italiana abituata a vivere ai margini della storia nazionale. Solo in due occasioni, che nel suo piccolo scritto autobiografico Volpe non manca di ricordare, in età contemporanea, parve scuotersi da questo torpore. Una prima volta, quando, sul finire del secolo XVIII, al tempo della calata napoleonica, nel vicino capoluogo abruzzese scoppiarono rivolte antifrancesi. Si trattava di reazioni in cui agiva, come sarebbe avvenuto più tardi con il brigantaggio meridionale post unitario, un confuso patriottismo, «conservatore ma non senza una sua venatura socialmente rivoluzionaria», che univa i ceti alti, il clero e le masse contadine «fedeli al Re, alla religione, al costume avito». Un altro sommovimento, di diverso segno, questa volta liberale, accadde negli anni tra il 1848 e il 1849, quando i venti rivoluzionari europei lambirono anche queste nostre contrade, segnando il destino di un altro Gioacchino Volpe, il nonno dello storico, medico, che, avendo partecipato ai moti, dovette subire una dura carcerazione.



Episodi, questi, che avevano ricollegato per un momento la piccola patria paganichese alla patria più grande, quella della cui vicenda lo storico si sarebbe dedicato lungo il corso della sua lunga ed operosa vita (vivrà novantacinque anni, e tornerà spesso alla sua casa natale di Pietralata). Dopo, il borgo sarebbe tornato ad essere un ridente paese della conca aquilana, la “Paganica delle cipolle”, come non esitò a scrivere sul registro di classe, accanto al nome dello studente Volpe, un professore di quel liceo aquilano che il giovane Gioacchino frequentò fino all’età di quattordici anni (con poco profitto, per la verità...storica), allorché si trasferì con la famiglia a Sant’Arcangelo di Romagna; ma anche la Paganica delle patate, dei fagioli, degli ovini, ben lontana, in ogni caso, dallo stereotipo mitologico delle Novelle della Pescara o della Figlia di Iorio di quell’Abruzzo ancestrale uscito dalla fervida penna di Gabriele D’Annunzio.



Le poche pagine del piccolo scritto “Ritorno al paese” sono un racconto fresco. Lo stile è assai scorrevole, la prosa è nitida, a tratti perfino luminosa, come quando rievoca, con accenti quasi epici, lo spettacolo, che lui si godeva dalla finestra di casa «delle interminabili greggi…ordinate in compagnie o battaglioni...esse sfilavano senza tregua, un giorno, due giorni. Chissà perché, quella marcia ordinata, silenziosa come di esercito mi incantava, mi inchiodava per ore ed ore...». Il racconto è istruttivo ad ogni riga: vi si apprendono tante cose. L’autore fissa sulla carta le sue memorie con uno stile non dissimile da quello dei suoi saggi di storia, vale a dire pulito e non pedante. Ciò che tuttavia in queste pagine autobiografiche manca è l’intensità del sentimento. Quasi del tutto assente è, poi, il pathos sociale. Traspare, nella descrizione dei rapporti con i compaesani, insieme al carezzevole ricordo di tante persone, una empatia piuttosto distaccata.



Gioacchino Volpe è reputato, per giudizio unanime, uno dei più grandi storici italiani del Novecento. Ebbe discepoli della levatura di un Federico Chabod (1901-1960), che mai rinnegò il debito culturale nei confronti dell’intellettuale paganichese. Basti ricordare, a sottolineare l’indubbio spessore della sua ricerca, ciò che lo storico Rosario Romeo (1924-1987) scrive a proposito del libro di Volpe L’Italia in cammino, saggio dove sono delineati temi che troveranno la loro matura espressione nella trilogia dedicata alla Storia dell’Italia moderna: «uno dei documenti più significativi del modo in cui l’Italia del Novecento ha preso coscienza del proprio passato». Con Volpe e con la sua attenzione realistica, che mostra fin dai suoi primi lavori, a fatti, istituzioni, uomini, a tutto ciò, insomma, che nella società è fenomeno vitale, è la stessa metodologia della ricerca storiografica che si rinnova.

               

Amico e collaboratore, nei primi anni del secolo scorso, di Benedetto Croce (1866-1952) nella rivista “La Critica’’ con articoli che il filosofo non esitava a definire “semplicemente stupendi”, finirono poi per rompere il loro rapporto per motivi politici, dopo l’avvento al potere di Mussolini. Volpe giudicò negativamente, quando uscì, la crociana Storia d’Italia dal 1871 al 1915, accusando il filosofo di essere prigioniero del passato (l’Italia liberale) e di aver «fatto l’elogio di quel passato, ora con l’accento del laudator temporis acti, ora con le argomentazioni dell’abile avvocato». Croce, riferendosi al coevo ricordato saggio dello storico paganichese, rispose che «l’Italia di Volpe cammina ma non riflette». Le ragioni del giudizio sul presente, che li vedeva su posizioni contrapposte, impediva all’uno di giudicare serenamente il lavoro dell’altro. Di certo il filosofo abruzzese-napoletano non perdonava a Volpe di aver firmato, nell’aprile del 1925, insieme a tanti altri uomini di cultura, quel Manifesto degli intellettuali fascisti contro il quale egli aveva reagito con un altro Manifesto, ed era stata la risposta della verità morale alla faziosa mistificazione.                



Il lunghissimo impegno storiografico di Volpe spaziò dall’Italia di Carducci all’affermazione del Fascismo, fino alla catastrofe nazionale del 1943 e del difficile secondo dopoguerra, tragedia che egli immortala in pagine fino a qualche tempo fa inedite (“Lettere dall’Italia perduta’’, ed. Sellerio), e che ci mostrano un uomo ed un intellettuale deluso e disincantato. In una di queste lettere, parlando di una sua fugace visita a Paganica, la definisce, non senza un accento lirico, «sostanza della mia carne». Sulla sua figura e sulla sua opera di storico della nazione italiana ha gravato una ingenerosa damnatio memoriae, a motivo della sua convinta adesione al Fascismo, ciò che per molto tempo ha posto in second’ordine il valore intrinseco della sua produzione culturale. Sul rapporto di Gioacchino Volpe con il regime mussoliniano, bisogna tuttavia riconoscere che egli fu sì fedele, ma non sempre allineato, ciò che gli procurò non pochi sospetti da parte di qualche gerarca e dello stesso Mussolini.



Mi sia consentito, infine, un ricordo personale, per quel poco che può valere. Essendo nato anch’io in quella bella valle del Raiale che fu lo scenario dell’infanzia del grande storico, ho frequentato a Paganica la scuola media. Una mattina – dovevo essere in prima o in seconda media – decidemmo, tutti gli alunni, in segno di protesta (non ricordo più il motivo della protesta) di recarci alla caserma dei carabinieri per presentare le nostre lagnanze (nei nostri paesi, la caserma dei carabinieri era considerata prefettura e palazzo di giustizia). La caserma, in quegli anni, si trovava dall’altra parte del paese rispetto all’edificio scolastico, proprio in quel quartiere di Pietralata dove sorge tuttora la casa natale dello storico. Attraversammo in corteo tutto il paese e giungemmo fino alla piazzetta antistante quell’abitazione, e lì sostammo per un po’, in quella che pareva più una festa che una recriminazione. Subito un mio compagno di classe mi dette di gomito, segnalandomi la presenza di un signore dietro una finestra, e aggiungendo il nome, che pronunciò quasi con religioso rispetto: «Guarda – mi disse – quello è...Gioacchino Volpe». E siccome il nome non mi diceva niente, il ragazzo aggiunse che si trattava del famoso storico, e che abitava a Roma. Fu a questo punto che mi girai incuriosito, e vidi un uomo molto anziano che da dietro i vetri ci guardava mostrando un sembiante tra il severo e l’incuriosito. Emanava, da quella figura veneranda, un certo fascino, dal quale mi sentii catturato. Debbo confessare che sono sempre andato fiero di questo lontano ricordo d’infanzia.



Più tardi con l’età, lessi che lo storico, giunto al termine della sua vita, diceva di sé che era stato «uno studioso che di tanto in tanto si era affacciato alla finestra». Ma da una stessa finestra, quanti sguardi diversi si possono gettare… Quello di Gioacchino Volpe fu certamente uno sguardo intenso e profondo: il suo amore per l’Italia fu sincero, la sua lezione intellettuale resta assai interessante. I suoi libri di storia italiana andrebbero riletti con l’attenzione che meritano, insieme a quelli, beninteso, dell’altro menzionato nostro conterraneo d’Abruzzo, Benedetto Croce. Infine, proprio sul dovere di riscoprire l’opera del grande storico paganichese, trovo opportune le annotazioni che un altro paganichese, Goffredo Palmerini, scrisse nel 2006 in un lungo articolo su Gioacchino Volpe, commentando il citato volume postumo dello storico “Lettere all’Italia perduta”, nell’edizione curata da Giovanni Belardelli, Con le seguenti parole Palmerini concludeva il suo scritto.



«[…] In fondo Volpe ha influenzato come pochi altri un’epoca culturale, diverse generazioni e persino i suoi stessi oppositori. Ha lasciato una grande eredità intellettuale che non può essere dimenticata, anzi va adeguatamente rivalutata. Un’operazione, questa, iniziata già da alcuni anni dagli studiosi, che sta finalmente riconsiderando il grande storico abruzzese nell’interezza della sua dimensione. Non ho la pretesa d’essere utile a questo scopo, compito che spetta ad altre competenze scientifiche. E tuttavia, se mi è consentita una notazione critica, tutto questo è avvenuto ed avviene in Italia, ma non ancora in Abruzzo. Non all’Aquila, la sua città. Anche Gioacchino Volpe soggiace alla ventura di non essere profeta in patria. Ci si attende, ricorrendo 130 anni dalla nascita e 35 dalla morte del grande storico (Santarcangelo di Romagna, 1971), che il mondo culturale, accademico e le Istituzioni abruzzesi aprano una finestra in questa direzione. In questo campo la povertà d’iniziative è disarmante. Sarebbe quindi veramente apprezzabile un impegno del genere. Lo si deve a Gioacchino Volpe per la dimensione dell’uomo e dello studioso. Per rendere, per quanto tardivamente, il doveroso tributo ad uno dei più rilevanti pensatori italiani del secolo scorso. Un dovere civile, per contribuire a trarlo da un’ombra inconcepibile. Per chiarire gli elementi controversi. In definitiva per rendere compiutamente merito all’eminente storico di fronte alla generalità degli italiani, della sua statura, morale e culturale».

Top Brands Make-Up: il Gruppo L’Oréal sbanca i social. NYX, Wycon, Lancome e MAC i brand più coinvolgenti

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Nell’indagine svolta da Blogmeter, attraverso la nuova suite integrata di social intelligence, sono stati presi in esame 46 brand del settore.

Per quanto riguarda il mese di febbraio, Blogmeter ha scelto il mondo dei Make-Up come tema della tradizionale indagine Top Brands. Utilizzando la sua nuova Suite integrata di social intelligence Blogmeter ha monitorato ed analizzato le performance di tutte le pagine ufficiali Facebook, Twitter, Instagram e YouTube dei principali marchi di make-up per il viso, presenti sul mercato italiano e che producono contenuti in lingua italiana. Dei 46 brand presi in esame sono state create due classifiche: una con i 5 brand risultati migliori per interazioni totali su Facebook, Instagram e Twitter e un’altra riportante i 5 brand migliori per engagement su YouTube, entrambe realizzate nel trimestre che va dal 1° ottobre al 31 dicembre 2018.

NYX Cosmetics, primo per engagement totali

Per quanto riguarda la prima classifica, lo scranno più prestigioso spetta a NYX Cosmetics, marchio fondato nel 1999 e di proprietà del gruppo l’Oréal. Nonostante una comunicazione social equamente ripartita sui suoi due canali più attivi (Facebook e Instagram), NYX guadagna oltre il 99% dell’engagement totale tramite il solo profilo Instagram. Di NYX è anche il post più commentato del periodo, in cui i fan del brand vengono coinvolti con una call to action dedicata ai beauty influencer italiani. Al secondo posto si attesta Wycon, azienda cosmetica italiana nata nel 2009. Con una media di oltre 8 post al giorno, tra Facebook e Instagram, Wycon ottiene quasi 900 mila interazioni, principalmente provenienti (anche in questo caso) da Instagram. MAC Cosmetics, il famoso brand canadese, si attesta in terza posizione con oltre 854 mila interazioni totali. Grazie ad una strategia di comunicazione veicolata soprattutto tramite il suo profilo Instagram, MAC si aggiudica anche il premio per il most reacted post del periodo, dedicato ai nuovissimi rossetti Powder Kiss. Quarto posto per Benefit Cosmetics, i cui mini video-tutorial pubblicati su Instagram risultano tra i contenuti più apprezzati e fanno guadagnare al brand americano oltre 370 mila interazioni. In quinta posizione si attesta, invece, Avon, il celebre marchio fondato nel 1886 a New York, che totalizza quasi 280 mila interazioni.

YouTube incorona Lancôme

Su YouTube ad aggiudicarsi la medaglia d’oro è Lancôme, azienda francese del gruppo L’Oréal. Grazie al video dedicato al suo nuovo rossetto L’Absolu Lacquer, Lancôme si aggiudica anche il premio per il most viewed content, con oltre 1,9 milioni di visualizzazioni. Sul secondo gradino del podio della classifica YouTube sale Clinique, che con tre video dedicati al suo nuovo fondotinta Even Better MakeUp totalizza oltre 1,5 milioni di interazioni. Terzo posto per Rimmel London con un engagement di oltre 170 mila, ottenuto grazie ai suoi video con protagoniste alcune giovani youtuber italiane. Al quarto posto si attesta Esteé Lauder, mentre la quinta posizione della classifica YouTube va a L’Oréal Paris, i cui video con la beauty influencer Alice Venturi sono tra i più apprezzati.

Per consultare tutti i numeri della Top Brands e avere accesso a molti altri social insight visitate la pagina: https://www.blogmeter.it/blog/2019/02/27/top-brands-makeup/

METODOLOGIA:

La Blogmeter Top Brands Make-up è stata realizzata a partire da un panel di profili/pagine corporate ufficiali italiane delle principali aziende del settore di riferimento. Sono state analizzate le pagine/profili in cui le aziende comunicano in italiano e promuovono prevalentemente prodotti per il trucco del viso.Il valore "Total Interactions" rappresenta la somma delle interazioni ricevute dai singoli profili social come da dettaglio:Facebook: likes e reactions, comments e shares. Twitter: retweets e favorites. Instagram (solo profili business): likes e comments.Mentre il valore "YouTube Engagement" rappresenta la somma delle interazioni come da dettaglio:YouTube: views, likes, dislikes, comments.

Suck my Blues, online "Madness" il video del nuovo singolo estratto da "Rebirth"

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È online “Madness” il videoclip del nuovo singolo dei Suck my Blues, estratto dall’album “Rebirth”, disponibile in digital download e su tutte le piattaforme streaming.
Il video (visibile al link ufficiale: https://youtu.be/ByGr3PVokJs), diretto da Davide Micocci e realizzato da Ientu Film, ha come protagonisti i componenti della band: Cafiero (all’anagrafe Salvatore Cafiero; voce e chitarra), Tonio Longo (basso), Filippo Longo (batteria) e Michele D’Elia (elettronica).
Nella cornice di una scenografia minimale, composta essenzialmente da un gioco di luci, i Suck my Blues danno vita ad una performance travolgente come la loro musica. La bellezza del suono si veste di colori che, attraverso le immagini, raccontano le diverse sfumature dei musicisti.
“'Madness'è un brano particolare, scritto in collaborazione con Gianni Montanaro.” - racconta Cafiero, leader del gruppo - “Musicalmente mi ha subito ispirato sonorità hendrixiane in un mix con elettronica e soluzioni armoniche alla Prince. Il testo parla di pazzia nell’amore in quanto è un sentimento spesso folle che non può essere controllato e in cui si cade per volare”.
Ritmo incalzante e robusto, maniacale e coinvolgente, rock venato di blues ed elettronica, “Madness” si impone, fin dal primo ascolto, come un tormentone. Un brano accattivante, come l'intero lavoro discografico, diretto e suggestivo. 
“Rebirth” è un inno alla speranza, un invito a vivere pienamente la vita. Dieci tracce compongono un progetto musicale universale, frutto di un percorso evolutivo evidente, contraddistinto da una grande verve compositiva e da melodie morbide che si uniscono magistralmente a riff robusti e vibranti.
Tracklist “Rebirth”: 1. John The Revelator (Intro); 2. Hysteric And Useless; 3. Madness; 4. Last Night A DJ Saved My Life; 5. Jessy King; 6. Interstellar; 7. Burning; 8. Solitary Man; 9. Suck & Don't Stop; 10. Monday Blues.

Foto: Daniele Met

Biennale di Venezia Danza Musica Teatro 2019, intervento del Presidente Paolo Baratta

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I tre settori proseguiranno nel loro impegno programmatico pluriennale.

Un impegno che a sua volta è tripartito:
- il festival inteso come luogo di incontro e conoscenza di produzioni artistiche;  
- il festival come luogo di ricerca intorno a temi predefiniti;
- il college come luogo della promozione originale di nuovi talenti e artisti.

Su questa via anno dopo anno si è confermato un modo di operare della Biennale nei tre settori che, nella stabilità, si è affermato come cifra distintiva. 
Così operando si è cercato anche di ottimizzare le risorse disponibili, sì da trarne risultati non occasionali. La programmazione triennale ha ovviamente giovato in questa direzione.

E siamo grati ai tre direttori per l'impegno sistematico profuso, la costanza nell'impegno, la qualità dell’esito.

Anche per il 2019 i programmi di ciascun settore si presentano con un punto focale, un titolo, quasi una scintilla di accensione dello sguardo e della mente.

La Musica dopo aver esplorato i legami transcontinentali con la sponda americana torna a verificare gli sviluppi recenti in Europa, con molti giovani compositori. Il Teatro dopo essersi dedicato lo scorso anno al tema o, meglio, al dilemma Attore-Performer, si è dato come tema di fondo la drammaturgia, titolo che per necessità subito diventa  "le drammaturgie", con l'intento, esattamente come per l'anno passato, di esplorare tendenze recenti nel modo di operare dei protagonisti del teatro dei nostri tempi e in particolare le ragioni del diffondersi della presenza dei drammaturghi a fianco dei registi. La Danza presenta come suo punto di partenza la figura del danzatore e il fenomeno della sua trasfigurazione in artista del corpo, dello spazio, del tempo.
Con varia enfasi tutt'e tre registrano al loro interno un filone di ricerca comune. Il rapporto con il pubblico e il tema del suo coinvolgimento. 
Interessante notare che nel trattare di questo rapporto vengono introdotti elementi interessanti di  intersettorialità, e ciò non in via schematica (meticciato di forme)  ma  con riferimento a qualcosa di più basilare, che tutti i settori accomuna e cioè al modo con cui sono sollecitate nel pubblico le disponibilità alla percezione e al dialogo, e quindi alle problematiche vie della comunicazione – con partecipazione tra artisti e pubblico. Quel pubblico che qui viene considerato protagonista della propria metamorfosi che si sviluppa davanti alla scena: da pubblico, ad osservatore, a soggetto partecipe. Un processo evolutivo questo che accomuna lo spettatore di teatro, l'ascoltatore di musica, l'osservatore del movimento, il visitatore di una mostra, e che ci riporta in ultima analisi alla vitalità dell’opera d’arte.

I College hanno mantenuto le promesse.
Il College Teatro - Registi sviluppa ogni anno, in parallelo al lavoro dei nuovi selezionati, la messa in scena dei lavori dei selezionati finali dell'anno precedente (il festival del 2019 ospita due lavori scaturiti dal College del 2018). (Per questo College le domande quest’anno sono state 72, i selezionati 12, i finalisti 6).
Il College vede impegnato in prima persona il direttore Latella in un lavoro intenso che domanda grande generosità; prosegue a fianco il College Teatro - Autori (domande 181, prima selezione 20, seconda selezione 11), anch'esso con orizzonte pluriennale e con presentazioni di lavori (letture) nel corso del festival. 
Infine il College Teatro - Masterclass, per il quale i bandi sono in corso di pubblicazione.

Il College Musica conferma la realizzazione di 4 lavori di teatro musicale scaturiti dalle selezioni di compositori e librettisti, dalla messa a disposizione dei registi e di tutte le possibili tutorship riconosciute necessarie. Al maestro Fedele va il nostro caloroso ringraziamento.   

Il festival di danza di quest'anno ospita, con un suo originale lavoro, una giovane coreografa emersa nel College Danza - Coreografi dello scorso anno; il College - Coreografi quest'anno sviluppa in sei settimane il lavoro di tre nuovi giovani coreografi cui offriamo di lavorare con 7 danzatori professionisti. A fianco è rinnovato il College Danza - Danzatori (quasi 100 domande per 15 selezionati) che lavorano per tre mesi e che porteranno al festival i risultati del lavoro. 
      
Abbiamo realizzato lo scorso anno il primo esperimento di un nuovo college, coordinato dal nostro archivio (ASAC), in collaborazione con i cinque settori operanti nel 2018 (oltre DMT, Architettura e Cinema): si tratta del College "scrivere in residenza", con il quale per ciascun settore offriamo una tutorship a tre giovani laureati, che avendo a disposizione l'archivio storico e il festival o la mostra, si cimentano nel corso di un  trimestre scrivendo su un tema concordato.
I tutor dello scorso anno sono stati: Elisa Guzzo Vaccarino, Federico Bellini, Cesare Fertonani, Luca Molinari, Nicola La Gioia.
Proseguiremo nel 2019. Lo scrivere d'arte va promosso. Vogliamo anche qui offrire uno stimolo e un'occasione di impegno assistito in modo molto qualificato. E' un impegno volto a mettere ancor più a frutto dei giovani le nostre attività e il nostro patrimonio di informazioni. Lo ripeteremo quest'anno avviandolo a divenire un "luogo" della ricerca.

La nascita del settore Musica della Biennale risale al 1930, quella del settore Teatro al 1934.  La Danza è stata introdotta quale settore autonomo ufficialmente nel 1998 e come tale debuttò nel 1999, esattamente vent'anni fa. Lo ricordo con soddisfazione e piacere, e così mentre ringrazio tutti di cuore, vi invito a brindare con noi a questo compleanno.

Teatro Sistina, dal 1° marzo "School of Rock" il Musical con Lillo Petrolo

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“SCHOOL OF ROCK”, il celebre Musical che Andrew Lloyd Webber ha tratto dal film di Richard Linklater del 2002 arriva finalmente in Italia in prima assoluta al Teatro Sistina di Roma con la regia e l’adattamento in italiano di Massimo Romeo Piparo. Prodotto dalla PeepArrow Entertainment in collaborazione con il Teatro Sistina. 

Tre anteprime l’1, il 2 e 3 marzo ed il debutto ufficiale il 5.
Nel ruolo di Dewey Finn, il chitarrista irriverente, Lillo Petrolo che veste i panni di un adulto un po’ stravagante e visionario che trascina una classe di ragazzi a diventare una rock band di successo. 
Direzione Musicale di Emanuele Frielli con la sua Orchestra dal vivo. Scene di Teresa Caruso. Coreografie di Roberto Croce.
Uno strabiliante Cast composto da 20 performer, tre postazioni di band dal vivo con 14 giovani talenti tra gli 11 e i 14 anni cresciuti tra i 90 allievi dell’Accademia Sistina. Nel ruolo della Preside, Vera Dragone.
Patty Di Marco e Ned Schneebly sono interpretati da Selene De Maria e Matteo Guma.

Alla domanda “Che cos’è il Rock” potremmo rispondere in vari modi… Rock è farsi sentire e non abbassare la testa. IL Rock è una filosofia.  E’ il volume alto che invita all’ascolto. Rock come genere musicale ma anche come stile di vita. Il Rock come strumento di libertà e conquista del proprio ruolo.  Scardina le regole degli adulti e rivitalizza i bambini ed è a quest’ultima definizione che si è riagganciato Lillo Petrolo, raccontando che da bambino era molto timido, amava giocare d solo con i soldatini, i cowboy e gli indiani. Quando ha scoperto la sua “anima rock” ha capito che la timidezza spesso è indizio di creatività. “Se sei Rock lo ami, se non lo sei lo diventi!” 
Spesso ci chiediamo dove sia finito il Rock visto che negli anni si è un po’ perso diventando musica d’ispirazione per molti musicisti.
Ci sarà un ritorno? Tutti speriamo di sì! 
Una storia divertente e frenetica che riempie di energia e fa tornare bambino Dewey che regala agli altri bambini la forza di diventare adulti. 
E’ una storia raccontata da bambini e rivolta agli adulti  che spesso non sono capaci di ascoltare le richieste dei bambini. E’ il bambino che insegna agli adulti cosa sia il rispetto, l’amore e la comprensione. 
Una storia di talento e passione che diverte e accresce l’autostima ma soprattutto celebra il coraggio di trasgredire per inseguire i propri sogni!
Elisabetta Ruffolo


Il letto di carta, terminate le riprese del nuovo film scritto, diretto e interpretato da Maurizio Nani

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Nello splendido centro storico del comune di Pozzuoli (Na), sono state effettuate le riprese del film breve “IL LETTO DI CARTA”, scritto, diretto ed interpretato da Maurizio Nani (in foto con Ginevra Cianciulli) - Produzione RAMPA FILM APS

L’idea del cortometraggio nasce dalla poesia intitolata “’A Notte” scritta dallo stesso regista, che decide di trasporla in sceneggiatura e realizzarne un audiovisivo che possa sensibilizzare l’opinione pubblica sulla problematica sociale dei clochard, che dormienti su un “letto fatto solo di cartone”, restano invisibili.

Maurizio Nani, con un lungo trascorso di videomaker e regista di videoclip musicali e regista di emittenti televisive, allontanatosi da qualche anno dal settore, torna in campo nel 2018 in qualità di aiuto-regia del cortometraggio “Una vita da sogno” scritto e diretto da Nando Morra e “Dove ti porta il cuore” di Mario Imparato.

L’amicizia e la reciproca stima professionale che uniscono Maurizio Nani e Nando Morra, confluiscono nell’idea di costituire nel marzo del 2018 la RAMPA FILM APS, di cui sono rispettivamente vice-presidente e presidente, con l’obiettivo di realizzare audiovisivi prettamente a tema sociale.

Nel cast tecnico de “Il letto di carta” ritroviamo lo stesso Nando Morra nel doppio ruolo di direttore di produzione e direttore della fotografia oltre che Voce Off dello shortmovie.

Nel cast debutta la piccola Ginevra Cianciulli (in foto), di quasi sei anni.  

Le musiche originali sono curate dal cantautore Gianni Nani, fratello del regista e autore di testi e musiche di svariati brani musicali di successo.

Attualmente il film breve è in post-produzione, appena pronto sarà presentato alla stampa e agli addetti ai lavori, per poi essere distribuito ai maggiori festival nazionali ed internazionali e successivamente vuole essere proiettato in vari istituti scolastici.  

Cast artistico: Maurizio Nani, Ginevra Cianciulli, Nando Morra (Voce Off)

Cast tecnico: Maurizio Nani (Regista), Elisa Vitiello (Aiuto regia e segretaria di edizione), Giuseppe Chiaro (Assistente alla regia), Valentino Canale (Camera e Video editing), Nando Morra (Direttore della fotografia e Direttore di produzione), Serena Mattiello (Assistente di produzione), Iolanda Pazzanese (Fotografa di scena).


Maurizio Nani

https://www.facebook.com/maurizio.nani.90


Rampa Film APS

https://www.facebook.com/RampaFilm/


Kim il Musical sceneggiatura e libretto Thomas Centaro debutto nazionale al Teatro Pime di Milano 8, 9, 15 e 16 marzo

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I pomeriggi degli anni ’80 sono stati scanditi da serie animate divenute storiche come L’incantevole Creamy e Magica Emi, che hanno fatto compagnia a milioni di bambini in tutto il mondo decretando il successo del genere Majokko al quale è ispirato KIM - IL MUSICAL, che debutta per quattro serate, venerdì 8, sabato 9, venerdì 15 e sabato 16 marzo 2019 al Teatro Pime di Milano.

Un’avvincente commedia musicale completamente inedita che tra realtà, finzione e magia svela la duplice vita degli artisti e degli addetti ai lavori dello spettacolo, divisi tra ruolo pubblico e vita privata, in una Milano di oggi in cui tutti sembrano nascondersi dietro ad un alter ego. Lo spettacolo mostra cosa e soprattutto chi c’è dietro un personaggio di successo, traendo spunto dalle leggende riguardo i cantanti che sono parte del cosiddetto Club dei 27. La talentuosa protagonista e la sua équipe imperfetta daranno una risposta alle domande che in molti si pongono riguardo lo scintillante mondo dello spettacolo: cosa accade realmente dietro le quinte? Quali sono le dinamiche che legano gli artisti ai loro collaboratori? Ma soprattutto qual è il segreto del talento?
Kim è una ragazza come tante che per merito di un video postato su Instagram viene lanciata dalla Fantastic Music, l’etichetta discografica delle star. Grazie al grande lavoro del suo staff diventa una vera e propria stella della musica, ma quello che fa presa sul pubblico è la sua estrema naturalezza. Kim è timida, a tratti buffa e impacciata, non compare sulle riviste di gossip e non si atteggia a diva. È una star perfetta e al contempo anomala, perché nasconde un grande segreto... Kim infatti non esiste! È l’alter ego di uno dei protagonisti che ha paura di guardarsi allo specchio perché non si accetta, ma non è l’unica a nascondere qualcosa, perché tutti i personaggi sembrano indossare una maschera. Nessuno tra i protagonisti è a conoscenza della sua vera identità, a scoprirlo, e non subito, sarà soltanto il pubblico, che innescherà così una duplice intesa con la protagonista. Non rivelare dall’inizio chi è la vera Kim è una scelta narrativa che permette di vivere la vicenda senza condizionamenti e che sottolinea la psicologia della protagonista.
La trasformazione in Kim diventa un percorso di consapevolezza di sé, e rappresenta una fuga dalla solitudine e dalla mancanza di dialogo, tematiche calde e importanti che rendono questo musical un appuntamento particolarmente puntuale nel periodo in cui viviamo. Un tema attualissimo, una storia divertente ed emozionante per tutta la famiglia, che si snoda attraverso le 16 canzoni originali composte da Elena Centaro e scritte da Thomas Centaro, autore e regista dello spettacolo. Le canzoni, tutte inedite, sono delle vere e proprie hit radiofoniche e abbracciano diversi generi, dal pop al rap, dal latino fino alla dance, offendo al pubblico una nuova esperienza di concerto e musical in un’unica grande serata.
A teatro sarà disponibile il cd con la colonna sonora a tiratura limitata di KIM – IL MUSICAL al prezzo speciale di soli € 10, ordinabile senza costi aggiuntivi sul sito ufficiale.
Anche i biglietti dello spettacolo hanno un prezzo accessibile, perché così come tiene a sottolineare Thomas Centaro “il teatro deve essere alla portata di tutti”. Scopri di più sul sito ufficiale www.thomascentaro.com/kimilmusical

CAST


Chiara Cremascoli (Kim)


Nikolas Lucchini (Kevin)


Beatrice Mariani (Melissa)


Sara Sironi (Isabel Martinez)


Daniel Friggi (Mito Young)


Thomas Centaro (Jack Larsen)


Elena Centaro (Giada Mori)


Alessandra Ruta (Barbara Grant).


CORI:


Claudio Albertini, Gaia Cotronei, Valentina Ludovico, Silvia Pinto



CREW


Audio e luci: Andrea Centaro


Tecnico Video: Daniele Viola


Costumi di Kim: Andrea Tosetti



Foto: Michelangelo Cecilia



Artwork: Maria Antonietta Fanciullo


Grafiche e web: Andrea Centaro



Social e Press: Claudia Grohovaz



Media Partner: Poltronissima con Luca e Max – programma radiofonico in onda 


su Radio Stonata e Polito OndeQuadre.


8,9,15 E 16 MARZO 2019


ORE 20:45



TEATRO PIME



Via Mosè Bianchi, 94 – Milano





PREVENDITE VIVATICKET

Intero: € 18,00 + prevendita | Ridotto: € 16,00 + prevendita
Gruppi: € 16,00 + prevendita (online e nei punti vendita da 15 persone 

in su)


Promo Donne: € 16,00 (riduzione valida l’8 marzo online, nei punti 

vendita e in cassa a teatro)


Promo Cosplayers: € 16,00 (riduzione valida l’8 e il 9 marzo solo in 

cassa a teatro, presentandoti in costume che tu arrivi dal Cartoomics o 

in occasione del Carnevale sei il benvenuto)




ORARI

Apertura botteghino: h. 19:00 - Apertura sala: h. 20:00

Inizio spettacolo: h. 20:45

INFORMAZIONI E CONTATTI









THOMAS CENTARO - Biografia
Dopo cinque anni di formazione presso il Centro Teatro Attivo di Milano lavora subito come attore drammatico e comico, spaziando dal palcoscenico alla tv, dagli studi pubblicitari alle sale di doppiaggio, alternando recitazione e conduzione di eventi, potendo sperimentare sempre nuove esperienze.
Nel 2001 si iscrive come autore alla SIAE, così scrive, dirige e produce la sua opera prima, la commedia brillante “Non siamo una Favola?” nella quale raggruppa le principesse Disney ad un casting per un film hollywoodiano. Nel 2003 firma una versione di prosa de “Il Mago di Oz” al Teatro Delle Erbe di Milano, nel 2005 cura sceneggiatura e regia di “Jeanne Valois – L’intrigo della collana”, uno spettacolo drammatico in costume ambientato alla corte di Versailles del 1700, e nel 2012 porta in scena “Le Notti Bianche” di Dostoevskij. Dal 2013 cambia completamente percorso iniziando a scrivere sceneggiatura e liriche per il musical parodia “L’Odissea – Una vera Troyata”, considerato ancora oggi il suo spettacolo di punta. Del 2015 debutta “Kitsch Me Licia”, un musical omaggio agli anni ’80 che scrive e produce dopo aver ottenuto i diritti dal Giappone. Nel 2016 crea “Reset – Il Musical”, uno spettacolo originale basato sulla teoria degli Anunnaki in cui si svela col sorriso quale fosse il reale rapporto tra gli Alieni e l’Antico Egitto. Del 2016 il one man show “Reci-divo”, e del 2018 l’applauditissimo e dissacrante one man show sui social network “Bloccato Nella Rete”.
Nel 1999 studia doppiaggio con Donatella Fanfani, e lavora ancora oggi come doppiatore e speaker pubblicitario diventando testimonial voce per molte campagne nazionali su tutti i network radio e tv per i più importanti studi di post-produzione di Milano. Nel 2012 si classifica tra i 25 speaker finalisti nel concorso “Un giorno da Deejay” al fianco di Linus, Nicola Savino e Laura Antonini, per due anni è il presentatore di “5×5” per RadioDanza, e nel 2016 arriva tra i 10 finalisti di RDS Accademy.
In televisione recita nella soap opera “Vivere” e nella sit-com “Love Bugs 2”, è attore in “Scherzi a parte”, e nelle minifiction di Rai2 “Italia allo Specchio” e “L’Italia sul 2” e da ricordare la partecipazione al film in due puntate “L’uomo dell’argine”, prodotta da Rai3 e diretto da Gilberto Squizzato. Prende parte al mediometraggio di Fulvio Tagliente “Il X giorno”, e nei cortometraggi “L’arte dell’agguato 2” di Isabella Carpesio e “Come scia di una nave” di Bruno Capuana.
Nel 2007 inizia a lavorare come presentatore di eventi e animatore per viaggi incentive, team building e convention per alcune le più importanti agenzie di comunicazione e incentive house d’Italia, volando da Bali al Brasile, dal Kenya alle Maldive, da Capoverde a Dubai, senza dimenticare l’Europa e l’Italia. Tra gli altri conduce manifestazioni ed eventi al fianco di Manuela Arcuri, Dario Ballantini, Jerry Calà, Edoardo Stoppa, Juliana Moreira, Susanna Messaggio, Marco Berry, Carmen Russo, Enzo Paolo Turchi, Ambra Orfei ed Enzo Miccio.
Attualmente lavora alla produzione del suo decimo spettacolo, Kim – Il Musical, continuando a dedicarsi al doppiaggio, allo speakeraggio pubblicitario e alla presentazione di eventi.

Liegi, Donata D'Annunzio Lombardi è Aida: L'artista deve trovare nei personaggi sfumature inedite. L'intervista di Fattitaliani

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Riconosciuta come una delle principali interpreti di eroine pucciniane per le sue doti vocali e attoriali, il soprano Donata D'Annunzio Lombardi stasera calcherà le scene dell'Opera di Liegi nel ruolo di Aida, con la direzione musicale del M° Speranza Scappucci e la regia di Stefano Mazzonis di Pralafera. Fattitaliani l'ha intervistata

Che cosa rappresenta per lei interpretare Aida?
Per un'artista come me è un grande ponte perché come probabilmente saprà mi dedico molto a Giacomo Puccini: però mi è capitato già nel 2016 per assecondare la volontà del maestro Zeffirelli ho fatto la sua Aida, un'opera sempre magistrale nell'immaginario collettivo. In realtà, si possono percepire delle cifre intime, notturne perché i sentimenti veri emergono sempre in ambienti intimissimi e questo ovviamente fa di Verdi il grande narratore, il grande padre del Risorgimento, e quale opera più dell'Aida rappresenta questo struggersi per la patria e per gli amori infelici, che non possono realizzarsi? Quindi, c'è questa doppia valenza: sono molto felice d'essere qui.
Dunque, è sempre possibile trovare in personaggi simbolo come Aida trovare delle nuance inedite in base anche alla propria personalità...
Questo ogni artista ha il dovere di farlo di cucirsi un po' l'abito addosso. Leggendo e studiando, ho scoperto - già all'università - che ogni volta Verdi descrive Aida lo fa con tre o quattro p nei momenti cruciali perché vuole che sia veramente intimo. Come dicevamo col Maestro Speranza Scappucci, se uno davvero rivisitasse bene ogni dettaglio, scoprirebbe innanzitutto che questi personaggi sono giovanissimi, pieni di enfasi, un'enfasi di gioventù e quindi di autenticità e poi -come dicevo prima- dentro c'è tutto il Risorgimento che anima questa intimità.
Come interprete pucciniana, c'è fra i tanti personaggi uno che sente più "suo" rispetto ad altri?
Io canto molto "Butterfly" però credo "Manon Lescaut" come inventiva melodica così spontanea e che considero quasi come la prima opera veramente compiuta; ha qualche cosa di veramente autentico e spontaneo dal punto di vista compositivo e "Turandot": insomma, la prima e l'ultima. La prima perché deve dimostrare chi è Puccini e l'ultima perché sa di morire e anela a tale estremo congedo e saluto. Anche il personaggio di Turandot andrebbe rivisto perché non è per niente questa megera urlatrice (ride, ndr).
Con Nino Sugurladze, Marcello Giordani, Marianne Cornetti, TinekeVanIngelgem,Elaine Alvarez
Quale idea tiene sempre presente nel suo percorso?
Di non lasciare mai il personaggio perché può aiutare anche tanti momenti musicali. Poi studiare tantissimo la tecnica in modo tale che gli automatismi siano acquisiti. La cosa importante è la compattezza degli intenti fra tecnica vocale ed espressività: non compiacersi mai della voce e basta. È l'augurio che faccio a me stessa e a tutti quanti vogliano intraprendere questa carriera, perché poi si rischia di non avere più il dono di dare, ma di autoincensarci e non mi sembra il caso. Giovanni Zambito.

L'italia negli occhi, intervista a Rocco Artale e Aldo Corgiat sulla mostra sull’emigrazione italiana in Germania

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di Nicola F. Pomponio - TORINO - Abbiamo incontrato, a margine della mostra sull’emigrazione italiana in Germania “L’Italia negli occhi” che si tiene a Settimo Torinese dal 15 febbraio al 17 marzo 2019, gli organizzatori dell’esposizione, Rocco Artale emigrante in Germania e Aldo Corgiat, presidente della Fondazione Ecm, potendo così porre loro alcune domande sull’iniziativa.

A Rocco Artale, cittadino onorario di Wolfsburg e presidente della locale associazione di Abruzzesi, chiediamo cosa ha significato emigrare e cosa ha significato per la Germania l’emigrazione italiana.
Io sono emigrato quando avevo 20 anni. Allora, negli anni ’60, mancava completamente il lavoro sia nel mio paese, Alanno(Pescara), sia negli altri paesi dell’entroterra abruzzese. Scelsi così di andare in Germania perché non volevo dipendere economicamente da mio padre e non volevo andare troppo lontano dall’Italia. Pensavo, all’inizio, di tornare ma poi il lavoro sicuro e ben retribuito alla Volkswagen mi convinse a restare in Germania dove mi sono sposato e ho avuto due figli. Per rispondere alla seconda domanda ritengo che l’emigrazione in generale, e quella italiana in particolare, abbia enormemente contribuito alla ricostruzione dell’economia tedesca. Se noi ricordiamo l’accordo bilaterale italo-tedesco del 1955 ci rendiamo subito conto del grande bisogno di manodopera che l’industria tedesca aveva: questa manodopera è stata fornita anche dall’Italia.
E oggi com’è vista la comunità italiana?
Oggi, a sessanta anni da quando andai per la prima volta in Germania si può dire che la comunità italiana è integrata nel tessuto sociale tedesco. I nostri figli sono parte integrante della vita tedesca e molti, grazie agli studi svolti, ricoprono ruoli importanti e dirigenziali; ora siamo giunti alla terza generazione e i nipoti dei primi emigranti sono, anche grazie alle scuole, tedeschi a tutti gli effetti. Certo, questo quadro odierno non può far dimenticare che quanti emigrarono, come me, in quegli anni, si scontrarono con forme di razzismo e marginalizzazione; abbiamo vissuto sulla nostra pelle la diffidenza, talvolta la xenofobia ma, fortunatamente, questa situazione, nel corso degli anni, si è superata. Questo è anche il senso della mostra ed è plasticamente rappresentato nelle pitture qui esposte di Morena Antonucci: a partire dal buio dei primi anni, attraverso un processo lungo e faticoso, siamo giunti all’integrazione e l’ultima generazione ha potuto archiviare l’oscurità della partenza.
Com’è noto, è ripresa un’emigrazione giovanile dall’Italia; fino a poco fa la Gran Bretagna era la meta preferita, ora, anche per via della Brexit, la Germania è tornata ad essere una meta importante. Cosa pensa di questo fenomeno e che consigli darebbe a chi vuole partire?
Io penso che l’emigrazione attuale sia profondamente diversa da quella che ho vissuto perché siamo davanti a un’emigrazione di persone spesso con una notevole preparazione scolastica (vi sono molti laureati) e, in un certo senso, più “consapevole” di quanto li aspetta. Ciò però non toglie che questi ragazzi vanno comunque incontro a notevoli difficoltà; spesso fanno lavori umili e sottopagati e non sempre ci si può integrare in tempi brevi. Potessi dare loro un consiglio, è questo: pensateci bene prima di partire perché la stessa economia tedesca sembra essere entrata in una fase di debolezza e la Germania non è in grado di assorbire facilmente la manodopera, anche qualificata, che aspira a stabilirvisi. Resta una grande amarezza che vale sia per la mia generazione, sia per l’attuale: il fatto che l’Italia non sia in grado di offrire una sistemazione ai suoi figli. Questo dovrebbe essere l’obiettivo principale di una sana politica: rendere possibile il lavoro in Italia senza costringere i propri figli ad emigrare. Il lavoro è il problema principale.
Un aspetto particolare: negli Usa un ruolo fondamentale per le nostre comunità fu svolto dalla Chiesa Cattolica. È successo lo stesso in Germania?
Noi emigranti eravamo tutti cattolici e ci siamo trovati in posti dove il Cattolicesimo era minoranza. Ma questo non ha mai costituito motivo di discriminazione, anzi ti racconto un episodio che dà l’idea dell’importanza delle relazioni tra tedeschi e Vaticano. Il direttore generale della Volkswagen era un conoscente di Papa Pio XII e, grazie a questa conoscenza, nel 1962 più di 3000 italiani poterono andare a Wolfsburg senza intoppi burocratici e difficoltà per le pratiche d’immigrazione!
Un’ultima domanda: in Italia nei confronti degli immigrati si sta assistendo a fenomeni fino a poco tempo fa sconosciuti. Com’è la situazione in Germania?
Anche in Germania vi sono partiti apertamente xenofobi, se non razzisti e per me che ho vissuto sulla mia pelle queste situazioni è triste vedere la storia che si ripete, stavolta a danno di stranieri a cui non si vuole riconoscere lo status di rifugiato. Io credo invece che ciò che serve a noi tutti è rimettere al centro i valori della tolleranza e del rispetto di chi è diverso: senza tolleranza, io credo, i paesi europei non possono andare avanti!
Ad Aldo Corgiat, presidente della Fondazione Ecm ed ex sindaco di Settimo, chiediamo invece quali siano, a suo avviso, i temi che, insieme all’emigrazione, sono centrali in questa mostra.
L’emigrazione è un grande tema a cui sono legati molti altri elementi. Ne ricorderei almeno tre. Innanzi tutto il tema del lavoro. Si emigra perché non c’è lavoro, esistono squilibri territoriali ed economici profondi e l’emigrazione rappresenta una possibile soluzione, però a vantaggio delle aree economicamente più avanzate, a questi squilibri. Il lavoro inoltre, grazie agli stimoli provenienti con i nuovi arrivati, diventa il luogo fondamentale per almeno altri due aspetti. Da un lato la contaminazione culturale (preferisco questo termine a quello di integrazione, che talvolta sembra prospettare una sorta di superiorità di una cultura rispetto alle altre) e dall’altra è la sede in cui emergono nuovi bisogni interni al lavoro stesso o esterni all’ambiente di lavoro ma ad esso più o meno collegati (dal tema dei trasporti, all’assistenza medica ecc.). Vedrei quindi l’emigrazione strettamente intrecciata alle questioni dello sviluppo e sottosviluppo economico, della disoccupazione e della necessità di rivedere, reinventare, sia gli assetti lavorativi di dove si emigra, sia il tessuto sociale e urbano dei luoghi di immigrazione.
A proposito di quest’ultimo punto, qual è stata l’esperienza di un sindaco che ha dovuto confrontarsi con notevoli flussi migratori?
È chiaro che, soprattutto all’inizio, ci si trova davanti a problemi notevoli dovuti a un grande aumento della richiesta di servizi da parte dei nuovi arrivati. Le strutture del welfare cittadino si trovano sotto pressione e il primo compito è quello di cercare di rispondere alla crescita della domanda. E’ un processo che, ovviamente, non si risolve velocemente, ma si innescano dei meccanismi che, se gestiti bene, possono condurre a situazioni di notevole miglioramento rispetto a quanto si offriva ai cittadini prima dell’arrivo degli immigrati. Non a caso i luoghi che hanno vissuto l’esperienza dell’immigrazione spesso hanno uno standard di servizi superiore a luoghi che sono rimasti ai margini di questo fenomeno, penso, ad esempio, agli squilibri che si sono approfonditi tra la città e la campagna. Settimo ha vissuto almeno tre ondate migratorie: dalla campagna (da dove provengo anch’io), dal Veneto e dal Meridione. Oggi, pur continuando ad essere presente l’identificazione originaria, i cittadini si sentono settimesi a tutti gli effetti e ciò è importante per tutto il tessuto sociale che non può che beneficiare da questo atteggiamento.
Quando si può dire di aver raggiunto una piena integrazione?
Io, al riguardo, la penso come mi ha detto un mio amico somalo: mi sento integrato quando scelgo liberamente se restare in un determinato posto o se andare via. Credo che sia questo il segno dell’integrazione, quando vivo come libera scelta il luogo dove vivere; a quel punto divento una sorta di cittadino del mondo e non vivo più come costrittiva la mia residenza in un luogo anziché in un altro. Ma attenzione, a questa risposta sono collegati veramente molti aspetti. Il primo è la capacità/possibilità di un paese ospitante di restituire al paese da cui si emigra energie che, attraverso l’emigrazione, gli sono state sottratte. Quando si emigra, s’impoverisce il paese d’origine e si contribuisce a costruire la ricchezza sociale del paese in cui si immigra. Una politica lungimirante dovrebbe tener conto di dare la possibilità di tornare al luogo d’origine con le capacità acquisite per renderne possibile lo sviluppo; se un migrante sceglie liberamente di tornare a casa e lo fa dopo aver acquisito capacità professionali che prima non possedeva, noi aiutiamo il suo paese d’origine restituendogli anche una piccola parte di quanto l’attività predatoria nel passato, e purtroppo ancora oggi, gli aveva sottratto. Quindi, collegato al fatto che sono integrato quando mi sento libero di decidere dove stare, c’è una grande questione di politica estera, di rapporti tra gli stati. Continuare a pensare l’immigrazione come una questione solo di politica interna (se non addirittura, ciò è veramente folle, solo di sicurezza) vuol dire non prospettare una soluzione reale del problema che nasce dagli squilibri economici tra zone diverse del pianeta, ma, nella migliore delle ipotesi, impostare il problema solo sotto la rubrica dell’accoglienza. Il che è sempre meglio dell’equazione immigrato uguale delinquente ma si limita a una risposta moralmente alta, ma che non affronta il problema di base dell’emigrazione. Noi dobbiamo contribuire a costruire una classe dirigente nei paesi d’origine senza trascurare il fatto che, contrariamente a quanto si dice di norma, gran parte dei flussi migratori sono composti da persone che hanno già, da parte loro, notevoli capacità tecniche e professionali.
C’è ancora in programma qualcosa, oltre questa bella mostra, come Fondazione Ecm sul tema dell’emigrazione?
Sì. Noi abbiamo organizzato un ciclo d’incontri sull’immigrazione a Settimo senza però privilegiare un approccio legato alle realtà regionali di provenienza, anche perché sono presenti qui quasi tutte le regioni d’Italia: probabilmente, a mo’ d’esempio, vi sono più ischitellani a Settimo che a Ischitella! Abbiamo pensato fosse più utile parlare dell’emigrazione legandola a particolari contesti d’origine che facessero emergere l’intreccio tra emigrazione e altre questioni importanti (come dicevamo prima). In questo senso presentiamo, tra gli altri, il libro di un autore calabrese, Santo Gioffrè “L’opera degli ulivi” (ed. Castelvecchi), che ricostruisce la storia degli scontri tra estremisti di destra e di sinistra a Reggio Calabria, ma sullo sfondo di faide tra famiglie e di scontri all’interno della ‘ndrangheta; questo vuol dire tenere insieme l’emigrazione con la storia del novecento italiano e alcuni aspetti particolarmente bui dell’Italia di oggi (in questo caso la malavita prima e il terrorismo poi).

Firenze, il Prof. Mario La Torre tra gli ospiti del 1° Festival Nazionale dell'Economia Civile

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A Firenze - dal 29 al 31 marzo 2019 - si terrà il primo Festival Nazionale dell’Economia Civile.

Un evento ideato da Federcasse, progettato e organizzato con Next-Nuova Economia per Tutti e SEC-Scuola di Economia Civile.
Il Festival vuole promuovere un’economia civile, che mette al centro l’uomo, il bene comune, la sostenibilità e l’inclusione sociale. Che crede nel lavoro e nel valore delle imprese. Un’economia che considera il profitto come mezzo e non come fine, che vuole offrire soluzioni concrete al problema occupazionale. Che vuole ridurre le disuguaglianze e contribuire a far crescere una Italia migliore, ricca di culture, paesaggi, arti e mestieri. Nella quale l’innovazione si sposa con la tradizione. Un’Italia aperta al mondo. Tra i membri del Comitato Scientifico, il Prof. Mario La Torre, i prof. Leonardo Becchetti, Enrico Giovannini e Pasquale Tridico

Saranno tre giorni di confronto e dibattito (con il contributo di più di 80 tra economisti ed esperti italiani ed internazionali all’interno di 15 panel tematici) e di racconti delle migliori esperienze di economia civile nate nel nostro Paese. Protagoniste saranno le imprese che si impegnano per uno sviluppo sostenibile, le organizzazioni che generano innovazione sociale, le cooperative che sperimentano nuove forme di welfare, le amministrazioni che mettono al centro il bene comune. E le persone che hanno saputo valorizzare idee e talenti.

Tra gli appuntamenti del Festival Nazionale dell’Economia Civile, segnaliamo l’incontro con il prof. Mario La Torre che parlerà di povertà e disuguaglianze (sabato mattina alle 9.30, Salone Cinquecento di Palazzo Vecchio).

Mario La Torre, esperto di finanza etica e sostenibile – già membro della Taskforce G8 sugli Investimenti ad Impatto Sociale, membro del Board dell’Ente Nazionale per il Microcredito e Responsabile del Center for Positive Finance – proporrà alcune soluzioni pragmatiche per la lotta alla povertà: dal microcredito al reddito di cittadinanza, dalla finanza d’impatto ai social bond, dal migrant banking alla microfinanza per immigrati. Spunti per i molti policy makers presenti alle giornate del festival.
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