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Parigi, 22 febbraio VALERIO BASELLI a "La Libreria" con TUTTO QUELLO CHE NON SERVE

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La Libreria vous propose ce soir un premier roman, écrit par un jeune homme, Valerio Baselli, originaire de Novara tout comme l'ami Alberto Toscano qui s'entretiendra avec lui... et ce n'est pas tout à fait un hasard ! 
Formé en économie internationale, il vit désormais à Paris où il exerce en tant que journaliste spécialisé dans la finance, et son premier roman aborde tout naturellement et avec grande clarté ce monde qu'il connait bien: le lecteur suit le parcours de deux jeunes italiens, travaillant pour la même banque d'investissement à Milan, mais dont les visions sont très opposées. Un noir psychologique dans un monde autant dominé par la précision des mathématiques que par l'absurde le plus total, sur fond de crise grecque.

Le roman a obtenu un "diploma d'onore con menzione d'encomio" dans le cadre du prix littéraire Michelangelo Buonarroti 2017.

La rencontre se déroulera en italien (mais les interventions en français sont bien sûr possibles).
Jeudi 22 février 2018 à 19h
Nous terminerons sur un verre amical.

Segnalibro, Massimo Cassani a Fattitaliani: le vie per la lettura sono infinite. L'intervista

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Da oggi in libreria "La trama. Come inventarla, come svilupparla" un libro della collana "Bottega di narrazione" della casa editrice Laurana, in cui Massimo Cassani porta i lettori e gli scrittori alla scoperta dei meccanismi del narrare. Fattitaliani lo ha intervistato per la rubrica Segnalibro.

Quali libri ci sono attualmente sul suo comodino?
«In questo momento sto rileggendo Delitto e castigo. La prima volta lo lessi verso i vent’anni. Ricordo ancora l’approccio reverenziale con cui cominciai a sfogliarlo, e quasi mi viene da sorridere. Sapevo che era una “cosa” grande, da analizzare più che da leggere. Oggi l’ottica è cambiata e rimango stupito non solo di quanto sia raffinato e, in egual misura, “semplice”, accessibile alla lettura. Credo - anzi temo - che alcuni lettori, diciamo, non-forti si tengano lontani dai classici per il medesimo timore reverenziale con il quale io stesso affrontai Delitto e castigo da giovane. Ed è un peccato, perché alcuni romanzi come questo possono essere fondativi, ma anche avvincenti. E straordinari nella loro contemporaneità».
L'ultimo "grande" libro che ha letto?
«Un titolo fra tutti: I senza terra di Szilàrd Borbély, recentemente pubblicato in Italia da Marsilio, con la raffinata traduzione di Maria Sciglitano. Un romanzo, ambientato in Ungheria verso la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, che giustamente viene inserito nella tradizione della grande letteratura europea. Un romanzo che sembra viaggiare sul crinale del realismo, ma in realtà racconta in filigrana uomini ridotti all’essenzialità dell’umano, alla loro miseria esistenziale, oltre che materiale. Borbély, morto suicida dopo essersi arreso alla depressione, si era affermato come poeta e nella sua prosa l’afflato poetico si sente».
Chi o cosa influenza la sua decisione di leggere un libro?
«Difficile rispondere: le vie per la lettura sono infinite. Di sicuro pesa molto il giudizio di persone di cui mi fido. Ad esempio, ascolto molto i librai amici, persone che consigliano i libri non perché vogliono convincere a comprare a prescindere dal loro giudizio su ciò che stanno proponendo».
Quale classico della letteratura ha letto di recente per la prima volta?
«Il signore delle mosche di William Golding. Era su uno scaffale della libreria da qualche anno ormai, ma l’ho preso in mano e letto solo recentemente. Un esempio - uno fra i tanti, a dire il vero - di come l’espressione letteraria sia in grado di sintetizzare grandi temi, quello del male naturale che alberga negli esseri umani, in questo caso. I ragazzini che cadono sull’isola deserta avrebbero tutto per vivere in armonia. Su quell’isola, gli alberi danno frutta in abbondanza, c’è acqua potabile, maiali selvatici da cacciare, una mare stupendo, niente adulti, niente scuola, niente compiti. Invece tutto degenera in tragedia. Il romanzo parla di noi».
Secondo lei, che tipo di scrittura oggi dimostra una particolare vitalità? (narrativa, giornalismo, fumetti, saggistica...)
«Non so, non conosco tutte queste espressioni, soprattutto i fumetti. E so che è un peccato, perché spesso è proprio dai fumetti che nascono perle, come bene aveva intuito a suo tempo Oreste Del Buono. Il giornalismo paga lo scotto dell’accelerazione nella scrittura dovuta all’isteria del web. Lì la sciatteria formale sembra trionfare. Ma forse si tratta solo di una malattia infantile. Cioè: speriamo».
Personalmente, quale genere di lettura Le procura piacere ultimamente?
«Difficile parlare di genere. Sono un consumatore di romanzi, questo sì. Un lettore un po’ disordinato a dire il vero…»
L'ultimo libro che l'ha fatta sorridere/ridere? 
«Dio non abita all’Avana di Yasmina Khadra, pubblicato da Sellerio, mi ha fatto sorridere di piacere, direi. Non è un’opera umoristica, intendiamoci, anzi ha anche più di una punta malinconica, ma una certa filosofia di vita espressa da Juan detto Don Fuego, cantante sessantenne che comincia ad avvertire i segni del fine carriera, è irresistibile».
L'ultimo libro che l'ha fatta commuovere/piangere?
«Commozione pura in Certi bambini di Diego de Silva, pubblicato da Einaudi. Nessuno sguardo edulcorato sul mondo dei bambini. Uno sguardo crudo anzi, e vero».
L'ultimo libro che l'ha fatta arrabbiare? 
«Arrabbiare è una parola grossa. Mi ha deluso Numero undici di Jonathan Coe, autore che ho sempre seguito. Tanti spunti e nessuno risolto. Peccato».
Quale versione cinematografica di un libro l'ha soddisfatta e quale no?
«Sono fra quelli che usciti dalla sala dicono sempre: meglio il libro. Ma è un’affermazione poco sensata, lo so. Quando sono uscito dal cinema dopo aver visto Non è un paese per vecchi dei fratelli Cohen, tratto dal romanzo di Cormac McCarthy, però sono stato zitto, non l’ho detto. Piaciuto il film e piaciuto il libro».
Quale libro sorprenderebbe i suoi amici se lo trovassero nella sua biblioteca?
«Credo Contro Maestro Ciliegia del cardinale Biffi, l’interpretazione dogmatica della favola di Pinocchio».
Qual è il suo protagonista preferito in assoluto? e l'antagonista?
«Protagonista: lo scarafaggio de La metamorfosi di Kafka. Antagonista: il pregiudizio».
Lei organizza una cena: quali scrittori, vivi o defunti, inviterebbe? 
«Sfrutto una battuta di Giulio Mozzi, scrittore, consulente editoriale e insegnante di scrittura creativa: inviterei i quattro evangelisti, i più famosi ghost writer della Storia».
Ricorda l'ultimo libro che non è riuscito a finire? 
«Il perché non lo so proprio: Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Ma è soltanto messo in pausa. Ci riproverò, forse non era il momento giusto».
Quale scrittore vorrebbe come autore della sua biografia? 
«I quattro ghost writer di cui sopra. Se c’è da esagerare, esageriamo…»
Che cosa c'è di Massimo Cassani in "La Trama. Come inventarla, come svilupparla"?
«C’è, innanzi tutto, l’esperienza maturata sul campo scrivendo romanzi, sia quelli pubblicati sia quelli non ancora pubblicati. Ho avuto l’opportunità di esordire con Sironi editore nel 2008 quando il consulente editoriale per la narrativa era Giulio Mozzi, poi passato a Einaudi Stile libero e infine a Marsilio. Da quel momento, la collaborazione con Giulio non si è mai interrotta, neppure per i romanzi pubblicati con TEA e con Laurana. Ogni libro è stata un’occasione di confronto preziosa, arricchente. L’altra esperienza è stata quella di insegnamento a La bottega di narrazione, scuola di scrittura creativa di Laurana, diretta da Mozzi. Fu lui a propormi di strutturare una lezione sullo sviluppo delle narrazioni di trama. Dopo sette anni, questa lezione - che si è avvalsa anche dei dubbi, delle domande e delle richieste dei numerosi partecipanti alla Bottega - è diventata un manuale. Lì c’è tutto quello che ho capito sullo sviluppo delle narrazioni. Ma siccome non si finisce mai di capire, diciamo che è una edizione destinata ad arricchirsi e a modificarsi con il tempo. All’infinito, credo». Giovanni Zambito.
©Riproduzione riservata.
Ritrova qui le altre puntate di Segnalibro 

IL LIBRO
Lo scrittore Massimo Cassani anno dopo anno ha cesellato la sua lezione annuale sulla trama, appuntamento fisso per tutti i partecipanti alla Bottega di narrazione di Laurana editore diretta da Giulio Mozzi. Ora quella lezione è cresciuta sino a diventare un libro della collana "Bottega di narrazione" della casa editrice di via Tenca.
"La Trama. Come inventarla, come svilupparla"è quindi un agile manuale dedicato non solo agli aspirati scrittori, ma anche a tutti i lettori curiosi che vogliono comprendere tutti i segreti ed i meccanismi di costruzione delle storie, delle trame, dei romanzi e dei racconti…
“Ma si può davvero insegnare, e quindi imparare, a sviluppare una narrazione? A scrivere un romanzo? La risposta è sì e alcuni principi di base ci possono aiutare: il principio di coerenza, di perimetro narrativo, di semina e raccolto e tanti altri", spiega l'autore.
Che cos’è che fa di una trama una “buona trama”? Si potrebbe dirlo così: che fino a un momento prima non ti aspettavi che le cose sarebbero andate in quel certo modo; ma nel momento in cui le cose sono andate in quel certo modo, ti sei reso conto che non potevano che andare in quel modo lì. Non solo: ti sei reso conto anche che delle informazioni e delle suggestioni su come sarebbero andate le cose erano state seminate, con astuzia, nel racconto; e il colpo di scena non è altro che il raccolto del frutto di quella semina. Ma come si fa, a ottenere questi effetti? Come si gestisce la semina? Come si procura il raccolto?
Pagina dopo pagina, Cassani risponde con tanti esempi, analizzando in profondità un testo seminale come "La notte dell'oracolo" di Paul Auster.

Arricchisce il volume una prefazione di Giulio Mozzi e una ricca bibliografia.
L'AUTORE
Massimo Cassani, nato a Cittiglio in provincia di Varese, vive e lavora a Milano. Giornalista, è autore della tetralogia con protagonista il commissario Micuzzi (TEA). Oltre a questa serie ha pubblicato Un po’ più lontano (2010, Laurana) e Mistero sul lago nero (2016, Laurana). Collabora con “La Bottega di narrazione”, scuola di scrittura creativa di Laurana.
COLLANA: Bottega di narrazione
pp. 220 - € 14,00 - ISBN 978-88-98451-82-1
Distribuzione: www.bookway.it
Per informazioni: www.laurana.it


  

TEATRO TOR BELLA MONACA DAL 21 AL 24 FEBBRAIO 2018 “CLITENNESTRA VOI LA MIA COSCIENZA IO IL VOSTRO GRIDO” DI GENOVESE-LIPUMA REGIA DI ALESSIA TONA

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È un viaggio che inizia dalla drammaturgia dei grandi classici, attraversa i testi contemporanei della Yourcenar, fino a trovare una collocazione sovrapponibile ai fatti di cronaca odierni quello di CLITENNESTRA VOI LA MIA COSCIENZA IO IL VOSTRO GRIDO, in scena al Teatro Tor Bella Monaca dal 21 al 24 febbraio 2018, da un’idea di Federica Genovese e Eleonora Lipuma con la regia di Alessia Tona.
Con Eleonora Lipuma, Maddalena Serratore, Paola Cultrera, Marco Masiello,  Silvio De Luca, Antonio Bandiera e Adele Dell’Erario.
Sulla scena, le vicende narrate si impregnano di attualità fino ai risvolti rappresentati nell’epilogo finale.  Clitennestra, una donna vittima della sua stessa prigione interiore, naviga nei meandri del proprio “io” e del proprio tormentato immaginario, rievocando fatti e contraddizioni che manifestano tutta l’esaltazione e la follia della sua stessa vita.  E’ lei l’imputata dell’ omicidio del marito: Agamennone. La scena si apre con la deposizione dei fatti di Clitennestra, chiamata a testimoniare davanti alla Corte che ne deciderà l’assoluzione o la condanna. La testimonianza della donna è interrotta da improvvisi flash back provenienti dalle voci di quella sua privata e desolata coscienza che, con ritmo frenetico, continuano ad ossessionarla; voci che prenderanno vita sul palcoscenico attraverso la rappresentazione dei personaggi protagonisti di questa sua amara, folle tragedia, creando così un intreccio esasperato tra simbolismo e realtà, psiche e corpo.  L’imputata proverà a ricomporre, attraverso il ricordo, i pezzi del puzzle della stessa sciagura che la vedrà protagonista. 
Lo spettacolo ha vinto il Premio della critica di TRADIZIONE TEATRO, il Premio UT 35 di Napoli 2016, il Premio per la migliore attrice UT 35 Napoli 2016.
Dal 21 al 24 febbraio, ore 21
Teatro Tor Bella Monaca 
Prenotazioni: tel 06 2010579  
Botteghino: feriali ore 18-21.30, festivi ore 15-18.30
Ufficio promozione: ore 10-13.30 e 14.30-19 
promozione@teatrotorbellamonaca.it
www.teatrotorbellamonaca.it - www.teatriincomune.roma.it

Arte, omaggi internazionali alla Ciociaria: Parigi, Washington, Berlino

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Al gioiello di Museo Marmottan-Monet di Parigi sta avendo luogo, e fino all’otto luglio, una esposizione  particolare: “Corot et ses modèles”: il termine francese  è per entrambi i sessi: solo la lingua italiana possiede l’accezione femminile modella: in merito  raccomandiamo: ”MODELLE E MODELLI CIOCIARI A ROMA, PARIGI E LONDRA 1800-1900”. 
Abbiamo detto ‘particolare’  perché questa è la prima volta che si affronta tale pagina della Storia dell’Arte e i cui protagonisti sono eccezionalmente  per la massima parte tutti ciociari! Corot è universalmente noto per i suoi paesaggi ai quali l’atmosfera e il cromatismo da lui conferiti procurano quelle particolari sensazioni e suggestioni che incantano i cultori da sempre. All’incirca gli ultimi dieci anni della sua vita, quando ormai libero da incombenze di ogni genere, iniziò ad occuparsi della figura femminile, quasi per divertimento e, come registrano le monografie, realizzò circa trecento opere, laddove quelle con soggetti maschili poche unità. Si servì in gran parte di modelle ingaggiate in giro a Montmartre e tra queste la più celebrata fu Agostina, ciociara dei Monti Simbruini, che posò per le opere femminili più famose e celebrate dell’artista. Le modelle indossavano gli abiti accumulati nello studio, magrebini o greci o orientali e la maggior parte di tali ricreazioni erano costituite dai costumi ciociari che l’artista parecchi anni prima aveva acquistato  nei suoi viaggi a Roma, i più tipici e cromaticamente appetiti, che Corot assemblava sovente nei modi più fantasiosi e bizzarri. La modella di cui più si servì fu come detto, Agostina, che negli stessi anni, 1860-1875 all’incirca, posava anche per altri artisti tra i quali Manet e il giovane Renoir. Agostina è assurta realmente alla eternità anche perché indissolubilmente legata all’opera e alla vita di Van Gogh. Il libro più sopra citato aiuta a illuminare specie in considerazione del fatto che le informazioni nella rete su questi temi sono non poco approssimative e fantasiose.
Corot, Dame en bleu
Agostina posò  per una trentina di opere di Corot per alcune delle quali non ci sono parole idonee a descrivere: al Museo del Louvre si ammira la ‘Signora in blu’,  al Museo di Belle Arti di Boston si resta incantati davanti alla ‘Lettura Interrotta’, al Museo di Ginevra e al Metropolitan di New York si ammirano due sue immagini nude indescrivibili. Altre sue raffigurazioni in altri musei nel mondo: in merito, senza polemica, bisogna riconoscere che anche in questo caso i francesi sono stati pionieri e saggi promotori delle loro ricchezze in quanto ad Agostina un paio di anni fa hanno dedicato una targa commemorativa nel cuore di Montmartre. E, fermo il resto, il suo paese originario oggi ancora a malapena la conosce.
Corot, Nudo disteso
L’altra notizia di cronaca  è che anche la Galleria Nazionale di Washington ha messo in cantiere una mostra analoga intitolata  “Corot’s Women” (“Le donne di Corot”) che sarà inaugurata a settembre e durerà fino al 30 dicembre dell’anno in corso. E in questo Museo inimmaginabile per enormità della struttura e per frequenza di visitatori  e per ricchezza  di opere esposte si trovano  anche qui una serie di opere d’arte  che rappresentano una vera e propria apoteosi dei modelli ciociari e del costume ciociaro. Per ragioni di spazio  ricordiamo solo quello che è considerato il capolavoro di Cézanne e cioè “Il ragazzo dal panciotto rosso” per il quale posò un ciociarello  di Atina e poi un esemplare dell’Eva immortale di Rodin per la quale posò  ‘la baronessa di Gallinaro’ e poi l’inaudito volto di Balzac al quale  Rodin diede il sembiante scavato dalla fatica  e dalle sofferenze e con le chiome leonine al vento di Celestino, altra creatura ciociara destinata all’immortalità, anche lui di un paese della Valcomino! Ricordo che il monumento  maestoso  di Balzac-Celestino, i parigini lo hanno eretto a Vavin, di fronte al caffè ‘La Rotonde’ a Montparnasse. Per tornare a Corot alla Galleria Naz. di Washington, tra le sue opere ve ne sono due che sono anche esse un inno ad Agostina ed entrambe in costume ciociaro. Una è intitolata dagli studiosi proprio ‘Agostina’ ed è considerata il suo dipinto più noto e poi un’altra opera meno appariscente ma più significativa che pure illustra Agostina in perfetto costume ciociaro è, in aggiunta, la prova della  attinenza anzi consanguineità con ‘L’Italienne’ di Manet. Avremo modo in seguito di tornare su queste due iniziative espositive di Parigi e di Washington.
In questo vero e proprio inno al costume e alle modelle ciociari mi sembra logico informare  il lettore  che di un altro ciociaro, più esattamente di uno scozzese-ciociaro,  scultore-pittore-illustratore, i cui genitori erano originari di Viticuso, paesino  sulle Mainarde ai confini con la Valcomino, le cui opere sono oggetto di significativa celebrazione al museo di arte moderna di Berlino, Berlinische Galerie. Stiamo parlando di Edoardo Paolozzi (†2005), promotore quasi inventore dell’arte moderna nel Regno Unito, pioniere autentico di quella che sarà definita Pop Art, propugnatore  e iniziatore del Surrealismo in patria: fu dunque un caposcuola e un innovatore e come tale così  apprezzato e stimato  da essere proclamato  pittore ufficiale della Corona Inglese  e poi insignito del titolo di Sir. Un personaggio dunque alla cima della piramide dell’arte e della cultura inglesi. La esposizione di Berlino è aperta fino al 28 Maggio. Naturalmente le sue opere sono presenti dovunque in Inghilterra maggiormente alla Tate e alla Whitechapel Gallery, sempre a Londra. E in Ciociaria? 
 Michele Santulli


Libri, “Noi siamo Bruzzesi” di Mauro Tedeschini: fatti e personaggi della storia della regione

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di Mario Setta* - “Benedetti Abruzzesi” è il titolo di un capitolo del libro “Noi siamo Bruzzesi” (ed. Menabò, 2017) di Mauro Tedeschini, emiliano di Modena, ex direttore del giornale abruzzese “il Centro”, che sembra richiamare in antitesi “Maledetti Toscani” di Curzio Malaparte.
Tedeschini non è certamente accondiscendente con gli abruzzesi. Anzi, presenta più i difetti che i pregi. Lo stesso nome deformato in “bruzzesi” è un chiaro riferimento alla zingara Vera Casamonica che a “Porta a Porta” davanti all’abruzzese Bruno Vespa dichiara: “io non sono sinti, sono bruzzese, zingara bruzzese”. È evidente che per Tedeschini gli abruzzesi non si identificano con gli zingari, anche se ve ne sono numerose comunità. Nel dialetto abruzzese “zingaro” assume il significato di chi si arrangia, si dà da fare, senza derubare gli altri.

Gli abruzzesi sono quelli “della coccia di sante Dunate”, cioè testardi e determinati, spesso senza elasticità mentale. Forse il retaggio d’un passato ripetitivo, statico, tradizionale. Per questo il campanilismo è sempre stato il fenomeno che ha caratterizzato la gente, ferma e sicura sotto il proprio campanile.  Ma ci sono esempi di ragazzini, come Edoardo, dieci anni, che nella tragedia di Rigopiano, ha dimostrato intelligenza e coraggio, prendendo in braccio la piccola Ludovica e raccontandole favole. Da qui, da questo ragazzino bisogna ricominciare, scrive Tedeschini, per un Abruzzo nuovo. Un Abruzzo che abbandoni gli eroi “sbagliati, come D’Annunzio o Silone, o addirittura tipi come Antonio Razzi, per conoscere e valorizzare uomini come Ettore Troilo, fondatore della Brigata Maiella. Già Alberto Savinio, in “Dico a te, Clio” scriveva: “I suoi grandi uomini, l’Abruzzo li indìa”. 

In Abruzzo l’emigrazione è stato il fenomeno che lo ha caratterizzato da un centinaio di anni, con le testimonianze di Pietro Di Donato, “Cristo tra i muratori” o di Pascal D’Angelo “Son of Italy”, ma anche l’immigrazione ha permesso che un personaggio come Dacia Maraini si insediasse a Pescasseroli e ne descrivesse ambiente e personaggi come in “Colomba”. L’ultima piaga, che ha colpito profondamente la finanza abruzzese è il fallimento delle banche, per incompetenza come nel caso di Domenico Di Fabrizio della Carichieti o per mancanza di controlli come per le altre banche abruzzesi. 

Ma l’Abruzzo ha scritto pagine di storia straordinaria, soprattutto nella seconda guerra mondiale, come si può leggere nel libro “Terra di libertà, storie di uomini e donne nell’Abruzzo della seconda guerra mondiale” a cura di Maria Rosaria La Morgia e Mario Setta, in cui si dimostra che a cominciare da Carlo Azeglio Ciampi alle migliaia di ex prigionieri alleati, i “Benedetti Abruzzesi” li hanno nascosti, sfamati e accompagnati verso la libertà, con l’organizzazione delle fughe da Sulmona a Casoli, dai luoghi occupati dai tedeschi alle terre liberate. 

Spesso si è parlato dell’Abruzzo in maniera retorica, con stereotipi come “forti e gentili”, che Costantino Felice, tra i maggiori storici abruzzesi, ha cercato di sfatare e demitizzare, definendoli “trappole dell’identità”. Forse anche la frase di Ciampi, riportata da Tedeschini “L’Abruzzo è la terra che ti dà subito del tu” potrebbe avere sapore di retorica, ma Ciampi ha conosciuto direttamente la gente di Scanno e di Sulmona, negli anni 1943-44, che lo aiutò perfino a salvarsi dagli alleati che lo ritenevano una spia, come scrive nel diario, pubblicato nel libro “Il Sentiero della libertà, un libro della memoria con Carlo Azeglio Campi” (Laterza 2003), perché sul suo passaporto c’era un visto tedesco, avendo trascorso uno stage in Germania per motivi di studio.

C’è un Abruzzo complesso, multiforme, anche per ragioni geografiche che spesso ne determinano storia e carattere, passato e presente. Un segno evidente è la cucina abruzzese, con una storia che parte dal secolo sedicesimo, con i Caracciolo di Villa Santa Maria e la scuola di chef, che hanno girato le più famose cucine del mondo, fino a quella di Hitler, in Austria al “Nido dell’Aquila”, dov’era cuoco, Salvatore Paolini, originario di Villa Santa Maria. La storia dell’arte culinaria abruzzese continua, oggi, con Niko Romito e le associazioni dei cuochi villesi e abruzzesi. Il terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009 ha avviato l’orologio della morte e del dolore. Una via crucis, giunta sul calvario, in attesa d’una resurrezione ancora da arrivare. 

La tragedia del terremoto aquilano ha offerto a giornalisti e scrittori di allargare il discorso sulla Regione: Carlo Petrini, Claudio Magris, Camillo Langone, ecc. Ma non è certamente una fortuna o un “gioco” per l’Abruzzo, come pare sostenga Tedeschini, avere “un ruolo importante…di ricostruire mezza Italia, ormai consapevole di essere a rischio del susseguirsi di terremoti sempre più devastanti”. Il problema della sismicità della terra è e sta diventando sempre più un problema universale. La salvaguardia del globo terrestre spetta a tutta l’umanità.  

In realtà, tanti abruzzesi si sono occupati di conoscere e studiare la loro terra. Anche in base al fatto che esiste in Abruzzo l’Osservatorio Astronomico di Campo Imperatore. Interessante la ricerca di Silvia Scorrano, “Le acque sacre in Abruzzo”, che ha la caratteristica della scientificità e della seduzione. Il percorso delle Acque Sacre non è che un’immersione nella storia dell’Abruzzo, come se secoli e millenni non fossero trascorsi. Una pagina leggibile ieri come oggi, un album in cui le fotografie non sono mai sbiadite. Che l’acqua sia un elemento fondamentale per soddisfare i bisogni primari di vita è evidente. E che intorno a tale elemento sia sorta una sacralità, una devozione plurimillenaria sia pagana che cristiana, non fa che accentuare la necessità dell’uomo di trattare l’acqua come un bene assoluto. Una cosa divina. Ma in Abruzzo, negli ultimi tempi, l’acqua è diventata una calamità, per cattiva gestione e per inquinamento. 

La promozione culturale, a livello internazionale, intrapresa da anni da Goffredo Palmerini, giornalista aquilano, per far conoscere la realtà italo-abruzzese, ha prodotto varie pubblicazioni, l’ultima delle quali “L’Italia nel cuore”. In realtà, si tratta di numerosi volumi. Innumerevoli i suoi articoli e i servizi pubblicati dalle agenzie internazionali e su numerosi giornali e riviste in lingua italiana nel mondo; “un conto approssimato per difetto in 50mila pagine”, sottolinea l’autore, che presenta fatti e personaggi che hanno segnato e segnano la storia. Un lavoro da certosino o da donna scannese che usa la filigrana con grande pazienza e profonda intelligenza. Mauro Tedeschini, scrive alla conclusione del suo libro: “Quel che ti dà speranza dell’Abruzzo è che basterebbe così poco per farne veramente la Svizzera d’Italia… Insomma ce la farà l’Abruzzo? Io, nel mio piccolo, faccio il tifo, perché questo pezzo d’Italia che vive all’ombra della Majella e del Gran Sasso mi è rimasto nel cuore”. 

*storico

Francesca Benedetti interpreta la vaticinante follia di Tiresia al Teatro Argentina dal 27 febbraio al 29 marzo

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In più di sessant’anni di carriera ha interpretato i più importanti ruoli femminili della storia del teatro classico e contemporaneo, e ispirato i più grandi registi italiani da Missiroli a Castri, da Cobelli a Ronconi a Strehler.
È l’attrice Francesca Benedetti, classe 1935, nata a Urbino, artista ecclettica di straordinario talento, che sarà in scena al Teatro Argentina dal 27 febbraio al 29 marzo, con ANTIGONE di Sofocle, adattamento e drammaturgia Sandro Lombardi, Fabrizio Sinisi e Federico Tiezzi. Regia Federico Tiezzi. Francesca Benedetti interpreterà il controverso ruolo di Tiresia, solitamente interpretato da uomini.
Tiresia è contemporaneamente il femminile e il maschile, adulto e bambino, ambiguo, erotico, ha in sé più voci e le esprime in maniera metafisica. L’attrice incede in scena accompagnata da un giovanissimo uomo: «È un toy boy — afferma la Benedetti – con cui il mio Tiresia ne fa di tutti i colori. Il suo delirio è venato di una sensualità selvaggia, promiscua, vampireggiante: in lei-lui è condensato tutto il materiale e l’immateriale dell’essere umano”. 
La Benedetti che alla metà degli anni Settanta impersonò Antigone nell’Edipo a Colono diretto da Aldo Trionfo, racconta così il suo personaggio: "In Urbino, la mia città natale, c'era uno splendido vagabondo vaticinante, lubrico e puro, folle e saggio. E' a lui che dedico il mio Tiresia. Il regista geniale che mi guida, Federico Tiezzi, ha individuato in me la forza necessaria per poter esprimere follia vaticinante e concretezza, insieme ad una sorta di sensualità polimorfa (Tiresia è uomo e donna) tanto da costituire un parallelo con la Jeanne Moreau di Querelle de Brest. Atmosfere sordide, perversione e sacralità e un lato vampiresco, un costante richiamo alla morte come luogo di legittimità e di approdo sostanziale. Tiresia è comunque più vasto di qualsiasi definizione. Dal Tiresia delle "Mam-elles de Tiresias" di Apollinaire, ai grandi attori che lo hanno frequentato nel tempo, ai numerosi traduttori che lo hanno rianimato, Tiresia risplende incommensurabile dall'abisso dei secoli".
Francesca Benedetti ha lavorato con tutti i più grandi registi del teatro italiano: Strehler, Ronconi, Missiroli, Castri, Cobelli. 
“Ci sono tre eventi che nella mia vita artistica sono stati fondamentali e mi piace sempre ricordarli - afferma Francesca Benedetti - nel 1974 lo spettacolo “Macbetto” scritto per me da Giovanni Testori (premio la Maschera con Lauro d’Oro), nel 1976 “Il Temporale” di Strindberg con la regia di Giorgio Strehler, fino ad arrivare al 1983 anno in cui con Emilio Isgrò fondammo le “Orestiadi” di Gibellina (protagonista per tre anni nel ruolo di Clitennestra)”.

Lolite, lo spettacolo sul caso delle baby squillo al Teatro Belli 13-25 marzo

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Quello delle baby squillo è senza dubbio uno dei casi di cronaca che ha fatto più scalpore negli ultimi anni. Per la prima volta il caso viene trattato a teatro, nello spettacolo evento Lolite, scritto e diretto da Francesco Sala, che sarà in scena al Teatro Belli dal 13 al 25 marzo. Protagonisti: Giancarlo Fares, Gilberta Crispino, Chiara Scalise (nella foto), Benedetta Nicoletti, Davide D'Innocenzo.

Sala con la sua scrittura  incisiva e accurata si addentra in questo esercito silenzioso, sotterraneo,  composto da ragazzine, perché di questo stiamo parlando, convinte di saper gestire un gioco tanto più grande di loro. Piccole donne che all’improvviso passano dall’acquisto fatto sulla bancarella alla borsa griffata, allo smartphone ultimo modello, ai vestiti all’ultima moda. Una vita dorata solo in apparenza. Perché il prezzo per tutto questo è vendersi. Quello delle piccole squillo italiane è un mondo quasi del tutto sommerso. 
Il caso dei Parioli – a suo tempo - ha diffuso una percezione distorta del fenomeno: siccome le ragazze non si vendevano  per fame, l’idea era che non fossero vittime, ma seduttrici consapevoli. Naturalmente è una percezione sbagliata, qualunque atto sessuale di un adulto con un minore in cambio di un beneficio, che sia denaro, un regalo o un voto migliore a scuola, è prostituzione minorile.

Note di Francesco Sala
Ragazzine, studentesse, minorenni che si prostituiscono per ottenere cellulari, vestiti, accessori alla moda. Ragazzine, studentesse, lolite che frequentano i locali più in voga della Capitale e vendono il loro corpo con l'illusione di prestarlo soltanto. Lasciarsi toccare, spogliare, amare per un'ora solo per soldi, un piccolo regalo, una ricarica telefonica, poi una doccia e tutto dovrebbe tornare come prima ma sappiamo che non è così. Perché lo fanno? Per provocare, per avere conferme, la loro è una protesta, un urlo silenzioso contro la famiglia di origine: madri competitive, padri assenti che cercano di sopperire con il bancomat; cinquantenni clienti che dovrebbero pensare che la ragazza in questione potrebbe avere l'età di una loro figlia. Un affresco/ grottesco, un gruppo di una famiglia in un interno Roma Nord che continua a negare il diritto all'adolescenza.
"Col trucco sembro più grande"è una battuta del testo presa da un blog di queste ninfette che si atteggiano a femmes fatales, parlano uno strano idioma frutto di chat, youtube, slang di quartiere. La proporzione del fenomeno va ricercata nella crisi di valori della famiglia, l'evaporazione del padre, la competizione di mamme che non vogliono invecchiare, la dissacrazione del corpo, la vittoria dell'avere sull'essere. E i coetanei di queste ragazze? Lo spettacolo è pensato anche per loro: da un recente sondaggio di skuola.net il 60% dei ragazzi nelle scuole conosce il fenomeno. Ragazzi che vivono sul loro smartphone, affrontano il difficile passaggio dell'adolescenza rifugiandosi nella rubrica di messaggi telefonici. Qui si legge: cliente1, cliente 2, cliente 3...Queste ragazze adulte nel fisico, con le loro cuffiette della musica, sembrano piccole tartarughe chiuse nel loro guscio. E non ne vogliono sapere di venire fuori. A noi il compito, genitori, insegnanti, educatori, di trovare qualche foglia di lattuga.

Lo spettacolo è una produzione Fondamenta Teatro e Teatri di Francesco del Monaco e Cristiano Piscitelli, il progetto di Fondamenta La Scuola dell’Attore, che favorisce il naturale passaggio dalla formazione alla professione.

Una produzione FONDAMENTA TEATRO e TEATRI presenta
Teatro Belli
13-25 marzo 2018
LOLITE
Scritto e diretto da Francesco Sala
con  Giancarlo Fares, Gilberta Crispino, Chiara Scalise, Benedetta Nicoletti, Davide D'Innocenzo
collaborazione alla regia Viola Pornaro
assistente alla regia Maria Lomurno

Fondamenta Teatro e Teatri
e-mail: fondamentateatroeteatri@gmail.com
numero verde 800600828

Teatro Belli
Piazza di Sant'Apollonia, 11, 00153 Roma RM
Orario spettacoli: dal martedì  al sabato ore 21:00 - domenica ore 17:30 
Biglietteria: 06 589 4875
Interi € 18,00 - Ridotti € 13,00 - Prevendita/Prenotazione € 1,00

COSMO, "COSMOTRONIC TOUR" INIZIA STASERA DA PARIGI CON SOLD OUT. POI LONDRA E BRUXELLES

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Parte questa sera da La Boule Noire di Parigi con uno straordinario debutto sold out la leg europea del Cosmotronic tour, il viaggio di Cosmo nei più importanti club europei che proseguirà poi il 22 febbraio a Lussemburgo (Gudde Wellen), il 23 febbraio a Bruxelles (VK), il 25 febbraio a Londra (Birthdays), il 27 febbraio a Berlino (Berghain Kantine), il 1 marzo a Lugano (Studio Foce). La risposta del pubblico è stata da subito eccezionale, infatti ancor prima della partenza sono andati esauriti anche gli appuntamenti di Londra e di Belino dove Cosmo arriverà a suonare nel tempio della musica techno, il club in assoluto più importante al mondo: il Berghain.

Il tour europeo anticiperà le serate che Cosmo terrà nei club più importanti della nostra penisola e anche gli appuntamenti italiani del Cosmotronic tour sono già un successo, sono infatti sold out le date di Bologna, Firenze, Milano, Torino e sono stati aggiunti nuovi appuntamenti al calendario.
Quelli di Cosmotronic tour non saranno i soliti concerti in cui l’artista presenterà dal vivo le nuove tracce, ma veri e propri party itineranti a cui si aggiungeranno di data in data dj special guest.
I biglietti del tour, organizzato da DNA concerti, sono disponibili online su Ticketone (www.ticketone.it) e in tutti i punti vendita autorizzati.

Finale di partita, Giorgio Colangeli nel classico di Beckett allo Spazio Diamante 2-11 marzo

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Debutta in prima assoluta allo Spazio Diamante, dal 2 all’11 marzo, Finale di partita, il classico di Samuel Beckett, ritenuto da molti il testo più importante dell’autore irlandese.
Dopo il successo di Aspettando Godot nella stagione 2016/17, Filippo Gili prosegue il suo originale personale percorso di ricerca attraverso le pieghe della drammaturgia beckettiana affrontando, sempre dalla sua personalissima angolazione, un altro dei capolavori del maggiore esponente del teatro dell’assurdo, Finale di Partita. Ancora una volta protagonista dell’operazione è la straordinaria attorialità di Giorgio Colangeli, che presta voce e corpo al ruolo di Hamm, affiancato da Giancarlo Nicoletti in quello di Clov. La nuova produzione di Altra Scena e I due della città del sole si preannuncia, così, come uno dei grandi appuntamenti della stagione 2017/18.

Finale di Partita è la storia di un padre che tiene accanto a sé un figlio che vuole cominciare a vivere e due genitori che vogliono continuare a morire.
E’ il dramma di un ragazzo che chiede un distacco, ma il cui vero nemico è la sua stessa angoscia di andar via.

E’ la farsa di un uomo e una donna passati a miglior vita, ma tenuti vivi dalle psicosi di un figlio ormai anziano.

Questo è il nostro Finale di Partita: una concretissima vicenda familiare in cima a un faro. Fra l’oceano e il deserto. Fra morti e vivi. Fra chi non può mai alzarsi e chi non può mai sedersi.

Immersi in questi opposti che, in Beckett, più che toccarsi, si invadono, si confondono, si ribaltano gli uni negli altri. E che, più che contribuire a confermare un antico malinteso ‘assurdo’, aiutano a sviluppare il contesto vivo, reale, comico, disperato, eterno, devastante che questa storia contiene.
Altro che minimalismo. Altro che assurdità. Solo la tac di una cosa, la vita, che a guardarla attentamente, non si racconta come minima e assurda, ma, in quanto minima e assurda. Con la più assoluta naturalezza, la più dissoluta semplicità. Perché i simboli vanno recitati come l'aria che si respira. Perché i genitori di Hamm non sono rappresentati in due bidoni dell'immondizia, ma psichicamente vissuti, dal figlio, in quei bidoni. Al di là dell'amare, al di là del vedere. 
Finale di Partita è quel luogo, quella carne viva in cui, svelando una miseria, si riconosce una grandezza. E' la freudiana catarsi; quella in cui, pattuita, dell'immensità del male e dell'amare, la loro inesorabile irrisorietà, si esce, dall'ultima seduta con la sensazione di potersela finalmente fare una passeggiata leggera, su questo mappamondo, su questa mappavita.


Spazio Diamante

via Prenestina 230 B– Roma

Biglietti:

Intero 15€ + 2 € di prevendita

Ridotto 15€

Info. Tel 06.6794753

Il botteghino aprirà un’ora prima della spettacolo

www.spaziodiamante.it


Prevendita:

Botteghino di Teatro Sala Umberto, via della Mercede 50 – Roma

Botteghino di Teatro Brancaccio, via Merulana 244 – Roma

Ticketone.it e presso i punti vendita tradizionali

Livida, uscito "Io Non Ho Paura", nuovo album della rock band tutta italiana

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“Io Non Ho Paura” include 9 tracce che parlano di speranza, amori e riscatto da una società che veste stretta per i sogni che prendono polvere nel cassetto.

Musica diretta con riff di chitarra graffianti, ma voci e cori melodici che rimangono subito in testa. L'album apre con "Ostinatamente" raccontando la storia di due persone che viaggiano sentimentalmente come su due binari, andando nella stessa direzione, ma senza incontrarsi realmente mai.
Segue “7 lacrime” che esprime il tormento di un innamorato che non riesce a staccarsi da un amore perduto e si chiede se è meglio morire per amore o amare per morire ancora.“Mya” descrive l'attimo in cui due persone che stanno vivendo una storia solo di sesso, mentre si consumano giocando tra le lenzuola, si guardano uno dentro l'altro e hanno il dubbio e la paura che possa essere invece l'anticamera di una bellissima storia d'amore. "Caro Steven"è la lettera mai spedita ad un amico che ha deciso di scoparsi la tua ex morosa, perdendo la tua amicizia e la scopata stessa in quanto era solo una ripicca. La canzone centrale dell'album è “Puoi”, un brano a cui siamo particolarmente legati in quanto genesi della nostra Reunion dopo diversi anni di silenzio. Ci siamo incontrati in sala prove per una birra e un saluto ed è nata da un riff di chitarra questa canzone esplosiva e piena di speranza con un messaggio diretto che esorta a dare al prossimo incondizionatamente.

"Non sapevi che chi semina raccoglie e quel che Dio da alla fine poi ti toglie?" così recita “Mattanza”descrivendo l'atteggiamento di molte persone che si lamentano senza prendere una posizione, che si lasciano condizionare nelle scelte dalla massa o che pensano di vivere di rendita per qualche dote in più senza seminare piccoli sacrifici per un progetto più grande. Con “21/09” si identifica in una data la fine di una storia di due persone che si cercano e si perdono nel tempo vittime dell'instabilità e di una vita frenetica che distrae dalle emozioni vere. "Io non ho paura"è una dolcissima canzone scritta da un padre alla propria figlia che guardandola dentro ai suoi occhi curiosi gli spiega come il futuro sia incerto e pieno di difficoltà, ma che con la forza del suo amore non dovrà mai aver paura ad affrontarlo.

L'album chiude con “s.w.a.t.” parola che viene urlata nella canzone con la disperazione e la violenza di una folla stanca delle ingiustizie sociali legate alla corruzione, al caro vita, ai continui debiti, alle regole assurde e contorte, alla chiesa sempre e solo alla finestra, al desiderio di fuggire e basta anche senza una chiara meta.



LIVIDA

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ll grunge made in Italy dei Livida trova le sue radici nelle band che hanno segnato la storia degli anni ’90 come Pearl Jam, Stone Temple Pilots, Soundgarden, Alice in Chains e Nirvana.

Vincitori di Faenza Rock nel 2013, partecipano al Tour Music Fest e lavorano al primo video clip ufficiale del singolo “Ostinatamente” che esce sul web proprio mentre vincono il concorso di Geometrie Sonore 2014, che li porterà come ospiti sul palco della finale di Rock Targato Italia e al MEI 2014. Partecipano ad Emergenza Festival nel 2015 dove escono alle semifinali e col brano “7 lacrime” arrivano in finale al Tour Music Fest nel 2016.

Non c’è delusione, ma voglia di riscatto e con l’adrenalina ancora nel sangue si chiudono in sala prove per finire il nuovo album “Io non ho paura” con 9 tracce che parlano di speranza, amori e riscatto da una società che veste stretta per i sogni che prendono polvere nel cassetto. Musica diretta con riff di chitarra graffianti, ma voci e cori melodici che rimangono subito in testa.
Nel 2017 vengono finalizzati tutti gli sforzi fatti fino ad ora e, grazie alla collaborazione con “Sorry Mom!” management, si realizza il secondo video di “21/09” e si chiude una collaborazione con “Vrec” per l’uscita del nuovo disco.
“Io non ho paura” è uscito il 26 gennaio 2018.
LIVIDA è il colore che assume la pelle dopo una contusione, il cuore dopo una delusione, ma c’è dentro anche la parola spagnola “Vida”, una speranza e l’idea che si debba vivere la vita al massimo senza rimorsi.

www.facebook.com/LividaBand

www.sorrymom.it



BEATRICE CAMPISI, in radio dal 23 febbraio il nuovo singolo “FILO DI FUMO”

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“Filo di fumo” racconta l’amarezza per un grande amore consumato. Il testo rievoca le verdi foglie del passato che adesso si raggrinziscono, i ricordi di un tempo felice trasformati in illusioni, il fragile filo delle relazioni che si spezza e diventa fumo.

L’arrangiamento, sapientemente orchestrato dal produttore statunitense Jono Manson, si muove a cavallo fra pop e rock e vuole mettere in evidenza il dissidio interiore attraverso l’accostamento di strumenti dalle sonorità contrapposte: ukulele e chitarra elettrica.
“Filo di fumo” è il secondo singolo tratto dall’album “IL GUSTO DELL’INGIUSTO”, uscito il 6 dicembre scorso e presentato presso lo Spazio Musica di Pavia. Il disco, prodotto da Ultra Sound Records e Jono Manson, vede la partecipazione di ospiti d'eccezione (Claudio Lolli) ed è caratterizzato dalla commistione dei generi: dal jazz al fusion, dal progressive rock al cantautorato italiano, contaminato da testi in dialetto siciliano.
Il brano della cantautrice Beatrice Campisi sarà in rotazione radiofonica a partire dal 23 febbraio.

Chi è Beatrice Campisi?
L’artista ha studiato pianoforte, canto jazz e canto lirico, componendo i suoi primi brani. Ha fatto parte del Beatrice Campisi Group, un quartetto che proponeva un particolare folk d’autore. Ha partecipato a numerose rassegne musicali come il M.E.I. di Faenza, il “Musicadonna Festival”, il Catania Jazz e più recentemente all'evento “La storia del Tenco” con Enrico De Angelis e Antonio Silva all'interno della rassegna nazionale “Luigi Tenco, marzo 2017, In qualche parte del mondo”. È stata ospite del cantautore balcanico Roberto Durkovic sul palco di Spaziomusica Pavia.

L'artista, inoltre, vanta importanti collaborazioni con cantautori siciliani, come quella con Davide Di Rosolini e Eugenio Piccilli. Trasferitasi a Pavia si inserisce nella nuova scena musicale iniziando a collaborare con musicisti locali, tra cui Riccardo Maccabruni, polistrumentista pavese, e Rino Garzia, contrabbassista milanese, con cui presenta il videoclip del suo inedito, “I contorni dei ricordi”, nel locale cittadino L'Osteria Letteraria Sottovento. Questi musicisti sono attualmente coinvolti nella realizzazione del progetto “il gusto dell’ingiusto”, presentato il 6 Dicembre 2017 sul palco di Spaziomusica Pavia. L’artista è attualmente impegnata nell’organizzazione di un tour che ha come scopo quello di portare “il gusto dell’ingiusto” in giro per l’Italia a partire dal 2018.

Riccardo Betto, "PRATICAMENTE"È IL SINGOLO CHE ANTICIPA IL 1° ALBUM "TRA LA TESTA E IL CUORE"

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(Guarda il video) I vestiti ci servono, ci coprono, ci rivelano spesso. Ma possono anche nel tempo soffocarci e diventare prigioni di formalità.
C’è il bisogno di riprenderci la nostra identità, l’essenza che non può essere nascosta dai rispettivi ruoli e sentirci liberi di poterci mettere in pigiama e sfidare ciò che può sembrare una pazzia inconveniente. La libertà contagia e altri possono vivere il rischio di recuperare la spensieratezza e la ribellione di essere sé stessi.

Riccardo Betto nasce nel 1978.

La famiglia, i campi, gli affetti, le strade, i giochi e gli amici sono diventati palcoscenico, luci, musicisti e interpreti della sua infanzia.

A sette anni inizia a suonare il pianoforte e a quattordici anni scrive la prima canzone.

Negli anni dell’adolescenza si innamora della musica italiana, dei cantautori e in modo particolare del percorso musicale di Claudio Baglioni, che considera il suo maestro e punto di riferimento. Al patrimonio musicale dei cantautori italiani va la sua gratitudine e tutta la sua ispirazione.

Solamente dopo i venti anni inizia a far ascoltare le sue canzoni, mentre cresceva la fiducia e l' autostima, convinto che prima o poi alcune di quelle canzoni sarebbero diventate le protagoniste di un sogno, un sogno rimandato tante volte e che ha trovato numerose battute d’arresto.

La natura, i profumi, i sentimenti, il creato, il mondo degli animali e relazioni significative lo aiutano a recuperare un linguaggio creativo che aveva smarrito nel tempo così, dal 2013, vive anni straordinari di creatività a livello di musica, scrittura e sogni. Il periodo sicuramente più fertile e fecondo. Non meno difficile.

Anni descritti proprio nei brani del suo album, "Tra la Testa e il Cuore" in cui si trovano il mondo, il tempo, l’intimità, la magia, la poesia, la tensione e le notti vissute. Ci sono i movimenti del cuore, della semplicità, il rischio complesso ma affascinante delle relazioni vissute nella autenticità e nel tentativo della profondità, c’è un percorso intimo e personale dentro sé stessi, nella ricerca del vero Sé e dell’Assoluto.

C’è inoltre il gioco leggero e commosso, il senso di magia e di stupore tipico dei bambini che imparano a conoscere con gli occhi, con le sensazioni, con le mani, con l’ascolto, con la fiducia.

Le canzoni parlano della vita sotto le diverse sfaccettature e che spesso è la compagna con la quale maggiormente si litiga e ci si arrabbia, ma che inesorabilmente si ama in modo viscerale.

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MILANO È DI MODA. I PARTIES

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I parties della fashion Week milanese sono tra i protagonisti di questo particolare periodo a tal punto che stanno divenendo più importanti delle sfilate, così come le cene a "porte blindate" esclusive per pochi. 

Essendo accreditata per entrambi vi porterò con me. 
Iniziamo dal Party di Cavalli avvenuto lunedì 19 al Just Cavalli a cui ho partecipato. 
Intanto vorrei fare una premessa.
Questi parties sono diversi dai soliti. È come stare per alcune ore in un mondo a parte con sue regole, nessuna regola.
Per un momento tutti tolgono maschere e sovrastrutture. 
Il "Just" come lo chiamiamo noi a Milano è un locale cult della Milano by night.
Ha fatto la storia delle notti milanesi ed ha sempre avuto un suo dress code ricercato.
In questi giorni diventa un microcosmo di un mondo così eterogeneo da sembrare di essere catapultati come Alice "nel paese delle meraviglie".
Non esiste giudizio. Intanto ci si conosce quasi tutti perché gli invitati sono prevalentemente coloro che girano intorno alla fashion Week. 
Probabile che la stessa persona con cui hai parlato di lavoro durante la giornata, non la riconosci ai parties.
A me capita spesso. La mia fortuna è che vengono loro in aiuto riconoscendomi. 
Questo dipende dal fatto che il mio mood, il mio stile non cambia mai. Io non ho maschere e questo è un biglietto da visita che aiuta molto.
Appena entrata al JUST sono stata subito riconosciuta perché alla fine che ci si sia visti una sola volta o cento volte nelle stesse location ci si saluta con semplicità.  Questo non accade normalmente. Mai. Puoi vedere la stessa persona ennesime volte, ma se pensi che verrà a salutarti, non accadrà mai.
In questo microcosmo tutti si salutano, socializzano. 
Può essere che, come è capitato a me con il mio stile sempre ricercato, mi sono ritrovata a parlare con Jessica Rabbit che il giorno prima era vestita con un severo tailleur. 
Ma perché non dovrei parlare con Jessica Rabbit?
Attenzione non è tutto splendente, luccicante. 
Vedo cose che m'infastidiscono. Soprattutto da parte vostra cari uomini.
Uomini ben vestiti, giacca con pochette, gemelli Cartier ai polsi della camicia, profumo da almeno 400 euro che si accompagnano a donne, no: diciamo le cose come stanno, ragazze della notte. Ragazze neanche belle, vestite in modo indecente e tutte fatte con lo stesso stampino rappresentato da questi décolleté con plateau alti come condomini che quando dovessero togliere queste scarpe bisognerebbe mettere degli occhiali per vederle.
Questo fastidioso fenomeno che si sta espandendo a macchia d'olio in questo periodo diventa un'epidemia. 
Vi assicuro non è per niente un bello spettacolo. 
La spiegazione è molto semplice. Dietro a quei vestiti costosi non esiste nulla. Non essendo in grado di confrontarsi con Signore che rischierebbero di sbriciolargli la loro inesistente personalità, necessitano di sentirsi uomini di potere perché queste signorine stanno tutta sera in silenzio sorridendo, annuendo in continuazione, e scusate ma qui è d'obbligo una "licenza poetica", alle vostre mostruose cretinate.
Non fateci caso. Portate con voi amici divertenti, intelligenti e divertitevi. Perché il Party è bello, la location è superba, libertà, personaggi da fotografare.
Non dovete portavi a casa tutti quelli che conoscete. Passate una fantastica leggera serata ma sempre con stile.
Au Revoir! A bientôt mes amis. 
Sara Tacchi

IIC Bruxelles, "Intrigo italiano": stasera incontro con Carlo Lucarelli

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L'Istituto di Cultura ospita Carlo Lucarelli in occasione della pubblicazione del suo ultimo libro Intrigo italiano, Torino, Einaudi, 2017 e della pubblicazione in lingua francese di Le temps des hyènes, Paris, Métailié, 2017.

Intervengono: Carlo Lucarelli e Thea Rimini.
Intrigo italiano. Bologna, da lunedì 21 dicembre 1953 a giovedì 7 gennaio 1954. Mentre la città intirizzita dal gelo scopre le luci e le musiche del primo consumismo italiano, il commissario De Luca indaga sull’omicidio della moglie di un professore universitario. Assistito da un agente incaricato di aiutarlo e di... spiarlo, De Luca, dopo essere sopravvissuto a un attentato, sarà costretto a scegliere se seguire il suo vecchio cuore di cane da caccia o quello nuovo, di cane bastardo.
Il tempo delle iene. Eritrea, subito dopo la sconfitta di Adua (1896). Tra miraggi di arricchimento e speculazioni di borsa, sogni d’amore perduti e follie omicide, donne fatali e avventurieri che hanno conosciuto Arthur Rimbaud, la storia si dispiega scintillante, come le anse di un grande fiume sotto il sole africano.

Carlo Lucarelli ha scritto moltissimi libri. Gli ultimi pubblicati da Einaudi sono i romanzi Albergo Italia (2014), Il tempo delle iene (2015) e Intrigo italiano (2017) con protagonista il commissario De Luca, suo primo personaggio comparso nella trilogia pubblicata da Sellerio Carta bianca (1990), L’estate torbida (1991) e Via delle oche (1996). I suoi romanzi sono tradotti per la “Série Noir” Gallimard.

Thea Rimini insegna lingua e letteratura italiana presso l’Université Libre de Bruxelles e presso l’Université de Mons.

Prenotazione obbligatoria qui

Carlo Lucarelli sarà presente a Bruxelles anche il giorno seguente, venerdì 23 febbraio, alla Foire du Livre: dalle ore 19.00 alle ore 20.00 parteciperà alla tavola rotonda dal titolo "Les différentes couleurs du noir" e in quell'occasione firmerà le copie dei suoi libri (dalle 18.00 alle 19.00 e dalle 20.00 alle 21.00).

Sabato 24 febbraio, sempre alla Foire du Livre, parteciperà a un incontro dedicato ai romanzi gialli africani che si terrà al Pavillon des Lettres d'Afrique dalle ore 14.00 alle 15.00, e in seguito sarà dispinibile per le firme.

Per maggiori informazioni: http://flb.be/
Informazioni
Data: Giovedì 22 febbraio 2018
Orario: Dalle 19:00 alle 21:00
Organizzato da : Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles
In collaborazione con : La Foire du Livre
Ingresso : Libero

MATTHEW LEE SHOW, 23 febbraio in "Piano Man live tour" al Cyrano di Roma. L'intervista

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MATTHEW LEE SHOW 23 Febbraio 2018 ore 21.00 (videointervista).
Uno straordinario performer, pianista e cantante innamorato del rock'n'roll, che ha fatto propri gli insegnamenti dei grandi maestri del genere. Un vero talento, un fenomeno degli 88 tasti. Ha già sulle spalle più di  1000 concerti in tutto il mondo: Italia, Russia, Emirati Arabi, Stati Uniti, Inghilterra, Francia solo per citarne alcuni. Nell'estate 2015 è stato il vincitore, nella categoria giovani, del “Coca Cola Summer Festival” andato in onda in prima serata su canale 5.
Nel febbraio di quest’anno è stato ospite di Gigi Proietti nel suo programma  “Cavalli di Battaglia”, mentre recentemente  Fiorello lo ha invitato nella sua fortunata trasmissione “Edicola Fiore” in onda su Sky Uno. In questo spettacolo  sarà accompagnato da 3 musicisti di primissimo livello e  si divertirà a fondere le sue radici Rock’n’roll con le sue radici Italiane e classiche il risultato sarà davvero sorprendente.

di Matthew Lee Show
regia Matthew Lee Show

INDIEGENO FEST 2018, dal 3 al 9 agosto V edizione del festival siciliano con musica, territorio e natura

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INDIEGENO FEST 2018: dal 3 al 9 agosto tutta la magia del festival siciliano, organizzato da Leave Music, torna per una quinta edizione che si preannuncia imperdibile. Musica, territorio e natura saranno ancora una volta le protagoniste della manifestazione, divenuta negli anni un importante punto di riferimento sia per il panorama musicale italiano sia come attrazione turistica della regione.

Il Teatro Greco di Tindari, la riserva naturale di Marinello, il centro storico di Patti e il lungomare di Patti Marina sono solo alcune delle location mozzafiato della provincia di Messina che hanno ospitato i concerti delle scorse edizioni, a cui per la quinta edizione si aggiungeranno nuovi luoghi da scoprire  e che anche quest’estate renderanno INDIEGENO FEST un evento unico nel suo genere.
Spiagge sconfinate, strade incantate e panorami incantevoli: luoghi vicini ma diversi, che in quei giorni saranno esaltati da concerti cuciti su misura di ogni singola località per dar vita a esperienze indimenticabili. Nelle scorse edizioni sono saliti sul palco nomi del calibro di Carmen Consoli, Niccolò Fabi, Brunori Sas, Afterhours, Levante, Motta ed Ex-Otago: anche quest’anno grandi artisti del panorama musicale italiano prenderanno parte a una line-up di primo piano e di assoluto valore che verrà annunciata nei prossimi mesi.

Accanto alle proposte musicali ci saranno eventi e iniziative per scoprire i luoghi di maggior interesse turistico e culturale che la Sicilia settentrionale offre. Non mancheranno inoltre momenti gastronomici, per farsi conquistare dai sapori delle terre siciliane.

INDIEGENO FEST 2018 sarà come negli anni scorsi festival di eccellenze: paesaggistiche, musicali, culturali. Un’occasione unica e di alta rilevanza turistica per scoprire terre e artisti che daranno vita a esperienze sonore e visive impossibili da dimenticare. 

CREDITI
foto della Riserva di Marinello durante il secret show di Niccolò Fabi: Giuseppe Mollica

Website: www.indiegenofest.it
FB: www.facebook.com/indiegenofest
Twitter: @IndiegenoFest
Instagram: @indiegenofest
Hashtag: #indiegenofest #indiegenofest2018 #indiegenitutti

Michela Andreozzi e Massimiliano Vado in "Ring" Teatro Sala Vignoli, 3 e 4 marzo 2018

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Ring, ovvero 17 quadri sulla vita di coppia, sulla vita a due, sulle esplosioni emotive che si sviluppano tra abbracci e uppercut, tra euforie e certezze, risate e dramma.

Lo spettacolo è stato scritto da Léonore Confino come a raccontare la coppia e le sue infinite possibilità: genitori, amanti, sconosciuti, mariti e mogli, Adamo ed Eva, divorziati e vedovi.
Tutti combattono con i loro istinti, dando vita ad un divertissement denso come la vita reale.
Sul palco, che è anche il ring del titolo, tutti i personaggi, interpretati da Michela Andreozzi e Massimiliano Vado, con i mille volti della stessa umanità, si attraggono, si respingono, discutono, capiscono insieme, si amano, ballano.
La vita non è necessariamente una battaglia già persa.

Ring
di Léonore Confino
traduzione di Antonella Questa
3 e 4 marzo 2018
regia di Max Vado
con Michela Andreozzi e Massimiliano Vado
scene Mauro Paradiso
costumi Teresa Acone
musiche Antonio Di Pofi
luci Stefano Pirandello
direttore di scena Alessandro Greggia
una produzione Bistremila


Teatro Sala Vignoli
Via Bartolomeo D’Alviano, 1
3 e 4 marzo 2018
sabato ore 21.00
domenica ore 16.30
Biglietti: Intero 15,00 euro - Ridotto 12,00 euro
Tessera associazione euro 3,00
 Cell: 3711627502
Biglietteria www.etes.it
www.teatrosalavignoli.it
teatrosalavignoli@gmail.com

Meglio Tacere di Alessandro Martorelli 24 e 25 febbraio Ar.Ma Teatro

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Torna all'Ar.Ma Teatro uno spettacolo di Alessandro Martorelli con Luca Avallone, Alessandro Martorelli, Antonio Pellegrini, Gianluca Zanellato, Chiara Della Rossa e Chiara David il 24 e 25 febbraio.

Il detective Rothery viene assoldato dalla bellissima e affascinante vedova Miss Hogarth per scoprire chi ha ucciso suo marito Frank Mosley. Solo uno dei componenti della splendida villa di Los Angeles è il vero assassino ma per il detective non sarà così facile scoprirlo … O almeno questa dovrebbe essere la storia da raccontare a meno che gli attori della commedia non comincino a mettere in piazza le loro stesse vite...Una destrutturazione dell’attore che da professionista deve immedesimarsi nell’attore improvvisato e goffo che, incurante dello spettacolo, mette avanti i suoi problemi personali con i suoi colleghi dando vita al più puro metateatro. Una commedia coinvolgente e carica di ironia che ha conquistato il pubblico al suo debutto.

Ar.Ma Teatro

via Ruggero di Lauria 22

Info e Prenotazioni 06 3974 4093 oppure info@capsaservice.it

Biglietti Intero 12€ - Ridotto 10€

Sogno Ma Forse No di Pirandello, regia di Vittoria Faro dal 23 al 25 febbraio al Teatro dei Documenti

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Una camera da letto. (O forse un salotto)

Una Giovane Signora(Vittoria Faro) giace su un letto. (O forse un divano). 
Tutto galleggia in un’atmosfera sospesa e onirica, ottenebrata appena da una luce innaturale che proietta ombre inquietanti. 
Domina la scena un grande specchio. (O forse una finestra. O forse la finestra è solo riflessa nello specchio).
Nella tenebra, dall’ombra angosciante di un uomo dall'aspetto stravolto, orribile maschera d'incubo, emerge un Uomo in frak (Ivan Giambirtone), presenza (forse) reale dell’amante, del quale però la Giovane donna, ambiziosa e vanesia, è stanca: attratta, si direbbe, da un antico innamorato, tornato in patria con un cospicuo patrimonio. 
Punto focale del dramma una preziosa collana di perle che l’Uomo in frak vorrebbe regalare alla sua Giovane Signora ma che invece le sarà inviata in dono dall’altro uomo. 
L’amante deluso e furioso strangolerà la donna per gelosia? Sì, forse, o almeno così accade nel sogno angoscioso della Giovane signora.
I due personaggi si attraggono e si respingono in un gioco spietato, a volte brutale, che solo alla fine si ricompone e si congela in un quadro surreale e angosciante. I due appaiono e scompaiono: sulla scena incorrono come in un sogno le loro voci che si propagano come rievocate in uno spazio irreale ( o forse vero?)
La Cameriera (Elisabetta Ventura), muta, ha il ruolo di testimone degli accadimenti e di una verità che verrà chiarita solo sul finale quando finalmente si udirà la sua voce. 
Il sogno descritto come la proiezione di una realtà vissuta tra sensi di colpa e timori: un’immersione nella coscienza di una donna annoiata e imprigionata dalla forma della vita borghese.
Testo: Luigi Pirandello
Regia: Vittoria Faro
Con: Vittoria Faro, Ivan Giambirtone e Elisabetta Ventura
VENERDI’ 23 E SABATO 24 FEBBRAIO ORE 21.00
DOMENICA 25 FEBBRAIO ORE 18.00
TEATRO DI DOCUMENTI 
Via Nicola Zabaglia 42 (Zona Testaccio)
Ingresso: Intero 12 + 3 Euro Tessera Associativa  
Ridotto 10 + 3 Euro Tessera Associativa 

Il Testo: 
Sogno (ma forse no) è un atto unico del ’28 poco rappresentato, che Pirandello ha scritto e messo in scena per la prima volta a Lisbona. La grande influenza surrealista del periodo e alcuni temi tipici della sua poetica fanno della piéce un piccolo gioiello di inganni: una moltiplicazione di piani che si intersecano e si sviluppano in un groviglio di verità e finzioni. I personaggi sognano accadimenti che noi scopriremo reali, ma con prospettive diverse dalla realtà, tanto da lasciare anche lo spettatore nel dubbio di cosa sia realmente avvenuto e cosa sia invece il frutto di un incubo.
La Regia: 
La regia di taglio prettamente cinematografico ha continui richiami all’espressionismo tedesco, per riassumerla in un termine unico “caligarica”: ricrea infatti un’allucinante atmosfera di orrore e di angoscia con tagli di luci ed ombre che mantengono intatta la drammaticità della situazione con netti riferimenti al cinema muto degli anni ’20. 
Lo spettacolo interamente costruito su di una partitura musicale, ricrea momenti di poesia e altri di orrore dettati dalle sonorizzazioni delle porte che scricchiolano o dalle urla della Giovane Signora.
Uno specchio/finestra  incombe al centro della scena: una porta di passaggio tra sogno e realtà. 
“La Faro costruisce lo spettacolo su una partitura musicale ed interseca con maestria il tema pirandelliano del sogno e della realtà. Il ricorso all’espressionismo tedesco è indiscutibile: la regia infatti recupera i trucchi del vecchio cinema delle attrazioni che, nel richiamare modelli irreali, distorti e allucinanti, sostituiscono la percezione della realtà.” (Luigi Mula)
Vittoria Faro:
Agrigentina, classe 1984, studia danza, musica e teatro. Conseguito il diploma di maturità classica si trasferisce a Roma dove attualmente vive.
Nel 2009 supera le prove di ammissione all’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma dove si diploma con il massimo dei voti nel 2012. Nel corso degli studi ha modo di approfondire il suo percorso formativo nei laboratori di Mario Ferrero, Paolo Giuranna, Giuseppe Bevilacqua, Anna Marchesini, Michele Monetta, Rosa Masciopinto, Nicolaj Karpov, Sergio Rubini, Daniela Bortignoni, Arturo Cirillo, Valentino Villa, Lorenzo Salveti.
Partecipa a workshop internazionali fra cui: Workshop a S.Cristina con il maestro Luca Ronconi; Workshop di Site specific and sound acoustic voice con Charlotte Munksø (SceneKunstSkole, Copenaghen);
Nel 2008 entra a far parte del collettivo di TestaccioLab di Roma, partecipando alla produzione di progetti culturali in diverse discipline artistiche. Dal 2012 è responsabile del settore Arti Performative dell’associazione, in seno alla quale approfondisce la sua ricerca artistica producendo:
2017 Metamorfosys, progetto di ricerca teatrale su Le Metamorfosi di Publio Ovidio Nasone
2014 SPEXIFIC#INVASION, progetto di site specific su drammaturgia originale di interpretazione e lettura dell’architettura contemporanea;
2013 Destruction, recital performativo di testi classici e contemporanei;
2015 Poe Suite, letture su partitura musicale dei racconti più celebri di Edgar Allan Poe, con il jazzista Raffaele Pallozzi;
2015 [M:DEA] performance elettronica sul mito di Medea;
2016 Vanessa, thriller teatrale dai tratti di fumetto noir;
PREMI
Premio Siae 2012;
Borsa di Studio Andrea Biondo di Palermo 2012 ,come migliore attrice siciliana;
Menzione speciale Premio Siae 2015 con un suo monologo; 
Premio Ignazio Buttitta Sezione Teatro 2015;
Premio Pippo Montalbano 2017.

LIBRI, IL FASCISMO E I CORRISPONDENTI AMERICANI IN ITALIA, IL SAGGIO DI MAURO CANALI

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La scoperta dell’Italia, il fascismo raccontato dai corrispondenti americani (Marsilio Edizioni) è l’ultima opera del professor Mauro Canali, per la quale lo storico romano è stato insignito pochi giorni fa del Premio Fiuggi Storia 2017 per la saggistica. Il libro è stato presentato a Roma nel corso di un incontro pubblico che ha avuto luogo presso il Centro Studi Americani e a cui hanno partecipato, oltre all’autore, Paolo Messa (direttore del Centro), Piero Craveri (presidente della Fondazione Biblioteca Benedetto Croce), Mario Avagliano (giornalista e storico) e il giornalista del Messaggero Fabio Isman.

Mauro Canali, professore ordinario di Storia Contemporanea all’Università di Camerino e membro del Comitato scientifico di Rai-Storia, è uno degli studiosi più autorevoli del fascismo, a cui ha iniziato a dedicarsi in giovane età sotto la guida del suo maestro Renzo De Felice. Ha concentrato in particolare le sue ricerche sulla struttura totalitaria e sui meccanismi informativi e repressivi del regime mussoliniano. Questo bel saggio, che si legge come un romanzo molto avvincente, nasce – come lo stesso autore ha spiegato nel corso della presentazione – soprattutto dalla necessità di scoprire e chiarire sotto quale luce il regime fascista apparisse agli occhi di un paese estraneo all’Italia come gli Stati Uniti, e come venisse descritto ai suoi lettori. Un punto di vista quindi inedito per ripercorrere le vicende di quegli anni, in grado di offrirci al tempo stesso uno spaccato molto interessante della società del ventennio fascista.

Si tratta di un lavoro che ha richiesto una lunga e meticolosa ricerca attraverso le fonti più disparate, tra cui gli archivi privati di molti corrispondenti che spesso lasciavano ai posteri dei diari e appunti legati a quel periodo storico. Rispetto ad altri testi che hanno analizzato il tema del rapporto tra gli Stati Uniti e Mussolini – a cominciare da quello dello storico californiano John Diggins (L’America, Mussolini e il fascismo, Laterza 1972) – Canali ha voluto indagare più in profondità per scoprire fino a che punto certe prese di posizione nei confronti del fascismo fossero condizionate dalle pressioni (che spesso sfociavano in ricatti e minacce) e in veri e propri tentativi di corruzione che il regime esercitava nei confronti degli inviati esteri.

Il libro mostra come nel primo periodo il fascismo venisse visto generalmente di buon occhio da parte della stampa americana. Si trattava di un giudizio che, prima ancora dell’avvento al potere di Benito Mussolini, risentiva del bagaglio di esperienze legato alla fase turbolenta post-bellica in cui si trovavano gli Stati Uniti, e del fatto che questi inviati avessero nella maggior parte dei casi una conoscenza molto superficiale della storia e della politica italiana, frutto essenzialmente di pregiudizi e di stereotipi. Il Duce era ritenuto l’artefice di una rivoluzione “bella e giovane” e veniva dipinto come l’unico credibile baluardo nei confronti del pericolo bolscevico: negli Stati Uniti infatti si avvertiva un forte allarme per quelle manifestazioni di grande conflittualità sociale che ebbero luogo in Italia nel cosiddetto “biennio rosso”, poi culminate con l’occupazione delle fabbriche nel settembre del 1920.

Il fascismo rappresentava quindi per molti di questi corrispondenti americani una risposta efficace in quanto aveva saputo mettere a tacere i sindacati e le lotte di classe, garantendo una pax sociale fatta di ordine e disciplina. Una soluzione certo non esportabile negli Stati Uniti ma che a loro avviso si adattava bene all’Italia, che inquadravano come un paese un po’ anarcoide e tendenzialmente refrattario all’ordine costituito. Tra questi giornalisti Canali cita ad esempio Kenneth Roberts, inviato del “Saturday Evening Post” e autore del romanzo storico Passaggio a nord-ovest, che dopo aver denunciato il pericolo comunista, esaltò il fascismo come un movimento necessario per impedire che l’Italia precipitasse “in un turbine caotico di comunismo e di disastri finanziari”. Un altro corrispondente, Isaaac Marcosson, definì Mussolini addirittura “Il Theodore Roosevelt latino”, così come Lincoln Steffens del “New York American”, che arrivò a scrivere frasi apologetiche come questa: “Immaginate un Theodore Roosevelt consapevole, mentre governava, del posto che avrebbe occupato nella storia degli Stati Uniti, e avrete l’immagine di Benito Mussolini in Italia”. E poi ancora Walter Lippmann, vincitore di due premi Pulitzer e molto noto nella comunità degli italo-americani; e Anne O’Hare McCormick, autrice di molti reportage più che lusinghieri nei confronti del fascismo per il supplemento domenicale del “New York Times”, autentico megafono della propaganda del regime mussoliniano in America.

Ma tra questi corrispondenti vi era chi aveva maturato riguardo al Duce un’opinione del tutto opposta. Ci riferiamo in particolare a mostri sacri della letteratura del Novecento come Francis Scott Fitzgerald e Ernest Hemingway. In particolare Fitzgerald, che trascorse cinque mesi a Roma nel 1924 insieme alla moglie Zelda, capì subito che il fascismo si presentava con il volto del vecchio autoritarismo e in riferimento ad esso parlava senza mezzi termini di “spasmi di un cadavere”, invitando i suoi lettori a non lasciarsi ingannare dal suo dinamismo apparente. In seguito sarà costretto ad andarsene e a non mettere più piede in Italia perché fermato dalla polizia, malmenato e portato in prigione per qualche ora: racconterà questa sua brutta esperienza in uno dei suoi più celebri capolavori, Tenera è la notte.

Il caso di Hemingway è diverso: inizialmente sembrava attratto da Mussolini, che apprezzava soprattutto per le sue qualità di patriota combattente, ritenendo legittima la reazione del fascismo contro la minaccia di una trionfante rivoluzione bolscevica. Lo incontrò per la prima volta a Milano e lo descrisse sul “Toronto Daily Star” come “un uomo grande, dalla faccia scura con una fronte alta, una bocca lenta nel sorriso, e mani grandi ed espressive”. Poi solo sei mesi dopo il giudizio di Hemingway cambiò radicalmente. Nel gennaio del 1923, in un articolo pubblicato dopo aver incontrato Mussolini a Losanna in occasione del meeting internazionale che avrebbe dovuto regolare i rapporti tra la nuova Turchia di Atatürk e le potenze uscite vittoriose dalla guerra, si lascerà andare a una critica molto feroce nei confronti del duce: arriverà a definirlo “il più grande bluff d’Europa”, come uno che ha del “genio nel rivestire piccole idee con paroloni”; aggiungerà inoltre di non sapere se e quanto questo bluff potrà durare: se quindici anni o se verrà rovesciato al più presto. E racconterà un episodio a dir poco grottesco: appena entrato nel salone dove si svolgeva la conferenza stampa vide Mussolini seduto alla scrivania mostrandosi molto concentrato come per darsi delle arie da grande intellettuale “intento a leggere un libro con il famoso cipiglio sul volto”. Hemingway si avvicinò e sbirciando alle sue spalle scoprì “che si trattava di un dizionario francese-inglese, tenuto al rovescio”. Dopo aver letto quell’articolo Mussolini gli giurò che non lo avrebbe più fatto tornare in Italia. Canali svela anche che anni dopo, nel pieno della guerra di Spagna, dopo che sulla stampa americana erano apparse alcune sue corrispondenze da Tarragona fortemente critiche nei confronti degli italiani impegnati a combattere a fianco delle truppe franchiste, dei personaggi che gravitavano intorno al consolato italiano di New York avevano studiato un piano di aggressione fisica ai suoi danni.

Quest’ultimo episodio è rivelatore dell’opera sistematica di controllo che il regime esercitava nei confronti della stampa, sia attraverso tentativi di corruzione sia, come nel caso di Hemingway, per mezzo di veri e propri atti di intimidazione. E questo spiega il motivo per cui solo pochi coraggiosi inviati americani si fossero esposti fino denunciare il carattere repressivo e autoritario del regime e la presenza sempre più asfissiante del famigerato apparato poliziesco dell’Ovra nella vita quotidiana. Un apparato che già a metà degli anni Trenta sarà particolarmente raffinato e in grado di controllare la vita dei cittadini (e quindi anche degli inviati esteri) in maniera spietata e relativamente facile. I lettori americani furono così per tanti anni di fatto ingannati dai loro corrispondenti: nei direttori e negli editori delle principali testate prevalse la prudenza nel raccontare le vicende del regime, anche per evitare i costi delle inevitabili espulsioni dei loro corrispondenti. Persino dopo il delitto Matteotti i grandi giornali americani si mostrarono sostanzialmente allineati e non fecero altro che riportare le veline dell’ufficio stampa di Mussolini, quindi la versione secondo cui il deputato socialista sarebbe stato ucciso da alcune frange estremiste di fascisti fuori controllo. Il solo inviato che ebbe il coraggio di indagare sul caso fu il corrispondente del “Chicago Tribune” George Seldes, che infatti fu per questo motivo cacciato brutalmente dall’Italia.

L’idillio con il fascismo comincerà a tramontare con la guerra di Etiopia (tra il 1935 e il 1936) e in seguito con la guerra civile spagnola (1936-1939), la promulgazione delle leggi antisemite nel 1938 e il progressivo avvicinamento alla Germania nazista. Fu a quel punto che il presidente americano Frank Delano Roosevelt, che pure in passato aveva manifestato apprezzamento verso le riforme sociali fasciste legate allo stato corporativo, capì di avere a che fare con un personaggio del tutto inaffidabile e con cui non si poteva avere nulla a che spartire.

La stampa americana si pose quindi sulla stessa lunghezza d’onda del capo della Casa Bianca, assumendo finalmente una posizione non più indulgente nei confronti del fascismo, fino a denunciarne il carattere totalitario. Ci fu così un inasprimento del metodo repressivo e fioccarono inevitabilmente le espulsioni di molti corrispondenti in Italia. Tra le prime testate ad adeguarsi vi fu il “New York Times” con la sostituzione del fascistissimo Arnaldo Cortesi con Herbert Matthews, reduce dalla guerra civile spagnola e convertito all’antifascismo. Tuttavia non sarà facile giustificare questo repentino cambio di rotta. Gli articoli di Matthews erano sottoposti come quelli di tutti gli altri corrispondenti alla censura preventiva ma l’inviato del giornale newyorkese non rinuncerà a pubblicarli lasciando gli spazi bianchi che coincidevano con i tagli che venivano operati dagli uomini del regime.

Sebastiano Catte

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