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“SE LA LEGGE NON AMMETTE IGNORANZA… L’IGNORANZA NON AMMETTE LA LEGGE” regia di Gisella Gobbi al teatro lo spazio dal 12 al 17 dicembre

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Un’aula di tribunale. Al centro in alto una fatiscente scritta “La legge è uguale per tutti”.

Un paravento dietro al quale s’intravedono due ombre.
“Se la legge non ammette ignoranza, l’ignoranza non ammette la legge” è uno specchio
deformato della storia del popolo italiano, furbetto, pavido, approfittatore, sinonimo di un paese bloccato incapace di andare avanti o tornare indietro.
Carlo e Cosimo Capitoni, due fratelli più che cinquantenni, eternamente disoccupati, hanno deciso di denunciare l’Italia in un’aula di tribunale rivelando alla corte di essere entrati in possesso di un archivio generale di tutte le magagne dello Stato e di ogni cittadino.
Essendo anche loro autentici italiani si autodenunciano, pretendendo di essere testimoni protetti, pentiti, collusi e imputati colpevoli, pur di ottenere un tetto e un tozzo di pane possibilmente in galera Minimo dieci anni!
Per carità che non venga in mente alla corte di condannarli agli arresti domiciliari. Non saprebbero dove andare, sempre che non provveda “l’assessore”, loro eterno nemico/amico con almeno un bell'alberghetto magari a Capri a mezza pensione!
La corte si è ritirata per decidere da un tempo infinito e la sentenza non arriva; allora i due si
rivolgono al pubblico, in un pubblico processo.
Diciamo la verità, cosa è un cittadino italiano se lo guardi bene?
Un birillo! Un birillo inerme che spera di scansare la palla che invece sicuramente lo travolgerà!
Che fare? Chi li può raccomandare?
Che cosa divide il cittadino medio basso dalle stanze dell’alta politica?
L’assessore! Quella specie di “caporale” che nel corso della loro vita si è sempre messo di mezzo,vanificando ogni tentativo.
Rievocando la loro storia, la loro infanzia che parte da una Puglia lontana, riesumano nella memoria collettiva anni ed episodi lontani: li vedremo coinvolti nei primi sbarchi degli albanesi a Brindisi e Bari, lottare contro una cartella pazza di Equitalia, nel processo per il rogo del Teatro Petruzzelli, o come disoccupati dimenticati che si congelano in una cella frigorifera colma di pesce, sperando in un futuro migliore che non è ancora arrivato. Una guerra continua quella dei fratelli Capitoni. Una guerra di trincea, dove i nemici sparano anche alle spalle: fuoco amico?
In attesa di una sentenza che non arriva, sarà il pubblico a emettere il suo verdetto.
DAL 12 AL 17 DICEMBRE
dal martedì al sabato ore 20.30
domenica ore 17.00
“SE LA LEGGE NON AMMETTE IGNORANZA…
L’IGNORANZA NON AMMETTE LA LEGGE”
di Mimmo Mancini e Paolo De Vita
regia di Gisella Gobbi

Biglietto intero 12 euro
Biglietto ridotto 9 euro
Tessera semestrale 3 euro

Teatro Lo Spazio, Via Locri, 42 Roma  0677076486  0677204149
info@teatrolospazio.it

WWW.TEATROLOSPAZIO.IT

Manager? Sì ma del settore pubblico, per favore

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Leggo l’articolo di un americano che sa il fatto suo. Il pezzo, ben supportato da cifre e casistica, parte da una notizia: la vita media delle aziende private, che una volta era di una cinquantina d’anni, si è progressivamente ridotta fino alla ventina dei giorni d’oggi, e presto sarà di dieci. 

Il motivo? L’incapacità del management di adeguarsi velocemente a cambiamenti sempre più rapidi e rivoluzionari, ma soprattutto l’incapacità di causare quei cambiamenti che, in un mercato sempre più difficile, assicurano la sopravvivenza e, possibilmente, la crescita.
Secondo lui, i top manager di moltissime aziende ben consolidate si aspettano che le nuove idee vengano dall’interno; però poi non ne stimolano adeguatamente la nascita e, a quelle che vengono comunque alla luce, oppongono una elevata “viscosità” che ne ostacola la realizzazione. 
Il giornalista conclude invitando i manager delle aziende a coltivare una sana ansia che li aiuti a cogliere i cambiamenti esterni e a favorire la nascita di nuove idee; quando possibile, delegandone addirittura la produzione a strutture satelliti “fuori dal palazzo”, piccole, agili e svincolate da ogni burocrazia. Uffici informali con giovani creativi che girano in maglietta e magari in pantofole, non in giacca e cravatta. 

L’articolo mi piace anche perché – confesso l’umana debolezza – riprende, in modo aggiornato e circostanziato, qualcosa che ho sempre detto ai miei collaboratori: “Fate attenzione ai manager che hanno fatto grandi cose, perchè a un certo punto molti di loro diventano un pericolo per il futuro dell’azienda: si illudono di avere trovato la formula giusta e immutabile del successo e perdono interesse nell’innovazione. Quando un’idea radicalmente nuova è proposta da altri, tendono a ignorarla, e talvolta ne sono persino infastiditi come se fosse un attacco alla loro gestione. Ricordatevelo: il successo è un bersaglio mobile”. 

Non mi sorprende perciò affatto che tante aziende ritenute incrollabili declinino, spiazzate da altre che, affamate e capaci di pensare fuori dagli schemi, cambiano le regole del gioco o scoprono/creano nuovi bisogni del mercato da soddisfare. 
Dopotutto è quello “Stay hungry, stay foolish” che è il cuore del famoso discorso di Steve Jobs agli studenti dell’Università di Stanford.

Mi sorprendo a sorridere. Un sorriso amaro, in realtà, perché mi sono venuti in mente i responsabili della cosa pubblica, quei politici e dirigenti che dovrebbero concepire e  realizzare i piani per il futuro della nostra società. 
Quanta dfferenza con i manager del settore privato...
Nelle aziende veramente private (quelle in cui non intervengono coperture politiche, per intenderci) i manager sono uomini che pur avendo dimostrato il loro valore, sanno che non si potranno mai sedere comodi sul proprio successo, perché sotto c’è una botola pronta a inghiottirli al primo grosso errore. Gente che deve essere brava ogni giorno, di nuovo e di più; e che per riuscirci deve sapere ascoltare molto, incoraggiare le nuove idee e accettare il fatto che i cambiamenti, anche se non piacciono, sono parte della vita di una azienda – e di un manager – che vuole continuare a crescere. 
Nella gestione della cosa pubblica impera al contrario la versione in negativo del manager privato. 
Un esercito di persone che – non sempre, ovviamente, ma troppo spesso – invece di successi producono disastri. Dalla sanità alla viabilità, dalla gestione dei rifiuti ai trasporti e all’acqua potabile, dai rapporti con il contribuente alla manutenzione di ville e giardini, al problema dei parcheggatori e commercianti abusivi. Gente che mostra candido stupore o si arrampica sugli specchi tutte le volte che Striscia la Notizia, Le Iene o la Magistratura scoprono loro collaboratori che strisciano il badge di decine di colleghi (ma come fanno a non accorgersi di tante assenze?). O che tiene un impiegato disabile a rigirarsi i pollici a rischio di un esaurimento nervoso nonostante le sue suppliche perché gli sia dato qualcosa da fare. Oppure responsabile della costruzione, con i nostri soldi, di costosissime strutture mai terminate o, peggio, ultimate e lasciate in pasto ai vandali. O che non riesce a spendere miliardi di fondi messi a disposizione dall’Unione Europea.
Insomma, dirigenti che non dirigono o dirigono male, responsabili-non responsabili che un normale datore di lavoro avrebbe già licenziato e che invece prosperano, praticamente intoccabili, a spese di Stato/Regioni/Comuni. E quindi – lo sappiamo, ma non è male ricordarlo – a spese nostre. Persone sedute ben comode su poltrone sotto le quali non c’è alcuna botola pronta ad aprirsi, perché nessuno li punisce, anzi spesso godono di premi e incentivi di fatto svincolati dai risultati (da quelli veri). Gente che ha capito benissimo che essere bravi non serve: nessuno lo pretende, quindi al diavolo la “sana ansia”, al diavolo l’ascolto, al diavolo le nuove idee. Quanto agli scomodissimi cambiamenti, solo i pazzi li desiderano, e loro pazzi non sono. 
Certo, in questo modo uno Stato, una Regione, un Comune non solo non può stare al passo con i tempi, ma non riesce proprio a funzionare; e quindi i cittadini amministrati, oltre a vivere male, si trovano privati di vere opportunità di crescita. Il lavoro diminuisce, e i giovani più scolarizzati che, grazie all’aiuto dei genitori, o perché decidono di sobbarcarsi altri sacrifici, possono andarsene, se ne vanno; fra chi rimane, pochi fortunati si “sistemano” all’interno di attività di famiglia o di amici, o acchiappano un posto dignitoso nel settore pubblico; pochi altri riescono a trovare una occupazione decente nel privato. Ma una grande quantità di ragazzi, quelli che non hanno l’opportunità o il coraggio di andarsene, né la fortuna di una attività di famiglia né quella di “vincere” un posto pubblico né di trovare, o inventarsi, una attività nel privato che gli consenta di vivere, rimangono a subire la situazione: sono  i disoccupati, i precari e i sottopagati, che fanno la fine dei pesciolini in un acquario in cui le mani che versano l’acqua e il mangime sono sempre meno generose. Per loro c’è solo la disperazione immediata o, nel frequentissimo caso in cui ricevano un aiuto economico dai genitori, differita a quando questi non ci saranno più. 

Ma questi sono problemi che non toccano chi li ha causati: perché se nel settore privato – e ribadisco: veramente privato  – i manager che non producono i risultati per cui vengono pagati, vengono licenziati, nel pubblico questo non succede. 
Una bella fortuna.

Manager? Sì ma del settore pubblico, per favore.

Carlo Barbieri

Ritrova qui gli articoli di Carlo Barbieri

Carlo Barbieri è uno scrittore nato a Palermo. Ha vissuto a Palermo, Catania, Teheran, il Cairo e adesso fa la spola fra Roma e la Sicilia. Un “Siciliano d’alto mare” secondo la definizione di Nisticò che piace a Camilleri, ma “con una lunga gomena che lo ha sempre tenuto legato alla sua terra”, come precisa lo stesso Barbieri. Scrive su Fattitaliani, Ultima Voce e Malgrado Tutto, testata a cui hanno collaborato Sciascia, Bufalino e Camilleri. Ha pubblicato fra l’altro le raccolte di racconti “Pilipintò-Racconti da bagno per Siciliani e non” e "Uno sì e Uno no" (D. Flaccovio Editore); i gialli “La pietra al collo” (ripubblicato da IlSole24Ore) e “Il morto con la zebiba” (candidato al premio Scerbanenco 2015), ambedue con Todaro Editore ; "Il marchio sulle labbra" (premiato al Giallo Garda), "Assassinio alla Targa Florio" e "La difesa del bufalo, tutti e tre con D. Flaccovio Editore. Suoi scritti sono stati premiati al Premio Internazionale Città di Cattolica, al Premio di letteratura umoristica Umberto Domina, al Premio Città di Sassari e al Premio Città di Torino. I suoi libri sono reperibili anche online, in cartaceo ed ebook, su LaFeltrinelli.it e altri store.

Bruxelles, mercoledì 13 dicembre Proiezione del film "L'ultima spiaggia" di Anastopoulos e Del Degan

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Istituto di Cultura Bruxelles Proiezione del film "L'ultima spiaggia" (2016) di Thanos Anastopoulos e Davide Del Degan mercoledì 13 dicembre dalle ore ‎18.30. 

Al Pedocìn, spiaggia popolare di Trieste, uomini e donne sono separati da un muro di cemento. Ognuno conduce beatamente la propria vita, arricchendo questo luogo unico e pittoresco.
L’Ultima Spiaggiaè una tragicommedia sulla natura umana in cui si fanno spazio anche riflessioni sulle frontiere, le identità e le generazioni.
Selezione ufficiale del Festival di Cannes 2016 e del Festival du Film de La Rochelle 2016.


Genere: documentario
Titolo originale: L'ultima spiaggia
Paese/Anno: Francia, Grecia, Italia | 2016
Regia: Davide Del Degan, Thanos Anastopoulos
Sceneggiatura: Nicoletta Romeo, Thanos Anastopoulos
Fotografia: Debora Vrizzi, Ilias Adamis
Montaggio: Bonita Papastathi, Matteo Serman
Produzione: Arizona Productions, Fantasia Ltd, Mansarda Production Srl
Durata: 135'

"LE VIE DELL’AQUILA" IN UN BEL LIBRO FOTOGRAFICO DI GIANNI AMBROSIO, presentazione a L’Aquila il 15 dicembre

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L’AQUILA - Sarà presentato a L’Aquila venerdì 15 dicembre, alle ore 17, al Palazzetto dei Nobili, il volume “Le Vie dell’Aquila - Toponomastica per immagini delle vie dell’Aquila intra moenia” di Gianni Ambrosio (Edizioni Libreria Colacchi, L’Aquila, 2017).
Interverranno alla presentazione Sabrina Di Cosimo, assessore alla Cultura del Comune dell’Aquila, Walter Capezzali, presidente della Deputazione Abruzzese di Storia Patria ed estensore della Prefazione, Walter Cavalieri, storico, Cesare Ianni, presidente del Gruppo di Azione Civica “Jemo ‘Nnanzi”, e l’Autore. Il curatissimo libro fotografico – 512 pagine con 618 foto, 40 b/n e tutte le altre a colori e inedite – documenta per immagini tutte le vie aquilane all’interno delle Mura urbiche, per ciascuna annotando in didascalia anche l’origine del nome. Le foto sono state scattate tra l’aprile 2009 e il dicembre 2013. Per dare un’idea più compiuta dell’opera, conviene qui di seguito riportare la nota che lo stesso Gianni Ambrosio ha scritto quale Introduzione al suo volume.

«Nel volume ho proposto un’ampia lettura per immagini fotografiche delle vie dell’Aquila dentro le mura, raggruppate nei tradizionali “Quattro Quarti”. Le immagini stesse - tutte di mia proprietà - sono state scattate in bianco/nero negli anni ‘50 e ’70; la maggior parte, a colori e inedite, sono state da me realizzate tra l’aprile 2009 ed il dicembre 2013. Come fotografo, sia pure non professionista, ho sempre pensato che la fotocamera non dovesse essere una “fotocopiatrice” del mondo circostante; oggi, ho trovato conforto nella poetica della “Immagine immaginata” del noto fotografo aquilano Gianfranco Lelj e della supremazia dell’uomo sul mezzo tecnico. Ho, pertanto, deliberatamente aumentato la saturazione cromatica delle immagini al fine di rendere una Città meno “morta” e, nell’ambito di tale mancata fedeltà di riproduzione, mi sono voluto spingere anche oltre eliminando le scritte insulse sui muri ed i veri e propri rifiuti. Non le macerie. 

Molteplici ed intuibili le finalità dell’opera. In primis ho voluto tributare un affettuoso omaggio all’Aquila ferita, mia Città di nascita, quindi rappresentare, in favore dei concittadini ma, soprattutto, dei nati dopo il 2009, quei luoghi di memoria che costituiscono patrimonio di ognuno. E, ancora, ho inteso indicare praticamente le vie all’interno delle antiche mura di cinta avendo cristallizzato con le immagini l’irripetibile momento storico dell’immediato post-terremoto. Ho anche voluto dare contezza della “ratio” della nomenclatura delle vie, sia quella originaria, derivante dai primitivi insediamenti dei castelli, sia quella storica successiva, e sia, infine, quella direttamente ispirata alla vita vissuta del Popolo Aquilano.  

Nel lavoro mi hanno giovato il libro “L’Aquila nei cortili” di Walter Capezzali e Franco Soldani, “Le 170 chiese dell’Aquila dal ‘200 al ‘900” di Domenico Chiodi, “Le Vite degli Illustri Aquilani” di Alfonso Dragonetti, “La Città dell’Aquila” di Giorgio Stockel. E anche la “Toponomastica storica della Città di Aquila” di Quirino Bernardi e “Aquila in cartolina” di Maria Pia Renzetti, Luigi Marra e Franco Capaldi. Mio puntuale e quasi pedissequo riferimento, infine, è stato il “Viario Comunale” edito dall’Assessorato ai Servizi Demografici del Comune dell’Aquila. Un percorso, come è evidente, triste e difficile che, tuttavia, permetterà a tanti concittadini di oggi di rivivere i luoghi a loro più cari ed a quelli di domani di poter effettuare un utile raffronto con la “Civitas nova” nel frattempo sorta. »

Gianni Ambrosio nasce a L’Aquila nel 1949 e sin da giovanissimo s’interessa all’immagine. I suoi primi scatti risalgono agli anni ’50 e da lì prosegue lungo la strada che lo porterà ad essere un fotoamatore evoluto sviluppando e stampando da sé il bianco-nero. I successivi, crescenti impegni professionali – Funzionario e Segretario Generale della Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia dell’Aquila – non gli impediscono di continuare ad avere quel rapporto diretto con L’Aquila e le sue immagini. Passa, necessariamente, alla fotografia elettronica maturando, anche, qualche tecnica di post-produzione. Al verificarsi dei tristi eventi cittadini ha l’intuizione di fotografare, alla luce della nobile teoria della “immagine immaginata”, tutte le vie dell’Aquila “intra moenia” in un periodo “irripetibile” che va dal 2009 al 2013. Ancora oggi è possibile vederlo immerso nelle vie della sua amata Città, sempre con la fotocamera al seguito.
Goffredo Palmerini

SAMSA DILEMMA, uscito il 1° album "Wake Up Gregor!!"

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Dall’aprile 2016 parte da Riccardo Pro il progetto Samsa Dilemma. Coadiuvato dal chitarrista Daniel Sartori (Otterloop) e dall’esperto di programming Marco Ober, Riccardo registra un nuovo album, nel quale suonano il chitarrista experimental-noise Enrico Merlin - eletto, nel 2015 e nel 2016, dai lettori della rivista Jazzit tra i dieci migliori chitarristi dell'anno -, al violino Vanessa Cremaschi - Orchestra di Musica leggera della RAI, negli ultimi anni ha lavorato con Blixa Bargeld e Teho Teardo -, al pianoforte il maestro Enrico Dal Fovo. Nel 2017 si aggiungono Fabrizio Costantino al basso e Fabrizio Keller alla batteria.

Uno degli incipit più celebri della letteratura mondiale suggerisce il nome del gruppo: il dilemma di un uomo, Gregor Samsa, che come tale si mette a letto la sera e si sveglia al mattino – dopo sogni travagliati – trasformato in un mostruoso insetto. Sono ancora un uomo in qualche modo o sono davvero diventato un mostro? Questo il dilemma che si pone davanti all’umanità intera, mentre scatena i più terribili drammi della storia, materia su cui si riflette troppo poco. Purtroppo non è solo la storia ma anche l’attualità a imporci ancora oggi questo dilemma.
Wake Up Gregor!! (Kutmusic, 2017) è un album di totale home-recording. Il titolo dell’album indica la volontà di svegliare il Gregor de La metamorfosi prima che sia troppo tardi. Con le buone o con le cattive, come indicano i passaggi umorali in tracklist. Simbolicamente, certo, perché l’invito al risveglio salvifico a un nuovo umanesimo è indirizzato all’ascoltatore, chiunque egli sia.
Riccardo Pro è un batterista, compositore, cantante e bassista italiano. Ideatore della rassegna musicale Odori Sotterranei (1990-2000), è considerato uno dei fondatori della scena indie-rock dell’area di Frosinone. Dal 1989 ad oggi ha fondato e suonato con diversi gruppi:DisagioMahatma Transistor (il loro secondo album, A Real Market in a Virtual Life del 1999, viene eletto come il miglior album autoprodotto dell’anno dalla rivista Rock Sound), Norock BunPugaciov sulla LunaFuroris Causa e Samsa Dilemma.
- LINK -

Teatro Vascello, 11 dicembre "Rotte Mediterranee" con Moni Ovadia e 12 dicembre concerto dei KLEZROYM

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L'edizione 2017 di Flautissimo si avvia alla conclusione con due spettacoli al Teatro Vascello: lunedì 11 dicembre, con Moni Ovadia che, per la prima volta a Roma, porta in scena "Rotte Mediterranee - Racconti, Musiche e Canzoni" e martedì 12, con il concerto dei KLEZROYM e le loro musiche della diaspora ebraica, dal Mediterraneo all'Europa orientale.

Rotte Mediterraneeè un recital per voce e chitarre basato sullʼintreccio di racconti e canzoni popolari dellʼarea mediterranea e composizioni originali di Giovanni Seneca. Il mediterraneo non è solo un luogo geografico, è unʼatmosfera, un paesaggio. È tra i punti cardinali, quello che vive nel presente: non è la proiezione smisurata della conquista dellʼovest, né il rigore nordico dellʼetica del lavoro, non è lʼorigine che appartiene allʼoriente, ma è lʼesperienza della complessità, la ricchezza delle differenze. Una dimensione della conoscenza non ossessionata dalla crescente velocità. Azzurro ma non sempre, grigio sotto le nuvole, nero nellʼoscurità, dorato o roseo e perfino rosso sotto il sole, bianco o plumbeo, verde, trasparente, torbido: il mare si colora di una gamma smisurata di sfumature che rimbalzano nei suoni delle voci, dei luoghi, delle musiche.
I canti presentano elementi nelle lingue locali: bulgaro, serbo, greco, ladino, turco e vari dialetti italiani. Si tratta dunque di un repertorio plurilingue, in cui talora una stessa melodia accompagna testi in lingue diverse, talora una stessa canzone si compone di strofe in varie parlate.
Musiche e canti ispirati alle diverse culture del mediterraneo e al dialogo tra i popoli; partendo dallʼItalia si parte per un viaggio che tocca Spagna, Nord Africa, Grecia e arriva fino ai Balcani. Particolarmente interessante la presenza di alcune sevdalinke bosniache, romanze dei sefarditi bosniaci nate principalmente da racconti popolari della tradizione orale. Come ad aprire finestre sul mediterraneo, Moni Ovadia assieme a Giovanni Seneca fonde musica, canto e parole in una originale forma di concerto teatrale.
11 dicembre, ore 21 - Teatro Vascello
Prima assoluta a Roma - ingresso 15 e 12 euro

ROTTE MEDITERRANEE | RACCONTI, MUSICHE E CANZONI
 con Moni Ovadia, voce
Anissa Gouizi, voce
Giovanni Seneca, chitarre
Gabriele Pesaresi, 
basso
Francesco Savoretti, 
percussioni mediterranee

testi di
 Ivo Andric, Paolo Rumiz e Moni Ovadia
composizioni e arrangiamenti di Giovanni Seneca
 
I KlezRoym, uno dei più famosi gruppi europei di musica klezmer, partendo dalla riscoperta del patrimonio musicale ashkenazita e sefardita, propongono un continuo lavoro di incontro tra diverse culture musicali (mediterranea, mediorientale, italiana), costruendo un suggestivo ponte sonoro tra musica popolare e jazz contemporaneo.
Allo stesso tempo passionale e contemplativa, a volte selvaggia e frenetica, la musica Klezmer ha assorbito moltissimo dal folclore est-europeo e zigano, combinandolo con l'espressività tipicamente ebraica. Estremamente coinvolgente, il klezmer è un esempio di forma musicale tradizionale in continuo sviluppo, che interagisce con successo con sonorità più moderne. La musica Klezmer è la radice e lo spunto per una ricerca che ha portato i KlezRoym a scrivere brani del tutto originali ed a realizzare arrangiamenti in cui la matrice tradizionale è importante riferimento musicale ma soprattutto modello di libertà ed apertura alle diverse matrici culturali dei musicisti del gruppo.
 12 dicembre 2017, ore 21 - ingresso 15 e 12 euro
 Klezroym | Onde di suono Mediterranee
Le musiche della diaspora ebraica, dal Mediterraneo all'Europa Orientale
con
Gabriele Coen flauto, sax soprano, clarinetto
Andrea Pandolfo Tromba, flicorno
Riccardo Manzi chitarra, buzuki, voce,
Andrea Avena contrabbasso
Leonardo Cesari batteria
Eva Coen voce

Premio La Cava a Claudio Magris, fedele lettore ed amico dello scrittore scomodo, non usabile per nessuna bandiera

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di Domenico Logozzo* - GIOIOSA JONICA - “Il nostro è un Paese senza memoria e verità, ed io per questo cerco di non dimenticare”. Le parole di Leonardo Sciascia sono di forte attualità dopo la decisione del comune di Bovalino di dare concretamente vita al “Premio Mario La Cava”, lo scrittore calabrese morto nel 1988 al quale Sciascia era legato da profonda amicizia, testimoniata anche dalla fitta corrispondenza intercorsa fra i due dal 1951 al 1988, pubblicata in “Lettere dal centro del mondo” a cura di Milly Curcio e Luigi Tassoni (Rubbettino).
Dopo tanti rinvii, che stavano per far perdere il finanziamento regionale, si è ora concretizzato un atto tangibile di riconoscenza verso il grande scrittore del Novecento che ha dato lustro con le sue opere al paese natio e alla Calabria, terra dalla quale non si è mai allontanato.

Il premio, promosso in collaborazione con il Caffè Letterario Mario La Cava e con il patrocinio della Regione Calabria, verrà consegnato il 17 dicembre al prof. Claudio Magris, uno fra i più importanti scrittori internazionali. Il suo nome è stato fatto anche per il Nobel. Scelta migliore non poteva essere fatta perché “a Claudio Magris viene attribuita una statura intellettuale e culturale di rara grandezza”, ha scritto recentemente Andrea Bressa su Panorama. Spiegando che “con le sue opere di saggistica e l’insegnamento ha saputo dare una svolta molto importante nel campo degli studi sulla letteratura mitteleuropea, allargando lo sguardo alle influenze reciproche fra lingue e tradizioni diverse”.

Il prof. Claudio Magris è considerato “un profondo conoscitore ed estimatore della produzione letteraria di Mario La Cava”. Amico e fedele lettore, come ha evidenziato con grande orgoglio lo scrittore triestino nell’elzeviro “Ritratto di due amici nati un secolo fa. La Cava e Voghera gemelli di stile”, pubblicato dal Corriere della Sera il 28 settembre 2008. “Due scrittori appartati, radicati in due periferie geografiche e culturali come la Calabria di Mario La Cava e la Trieste di Giorgio Voghera, accomunati da una profonda stima reciproca e amicizia, che induceva ogni tanto La Cava a “salire” a Trieste (“lassù a Trieste”, si diceva un tempo) a trovare il più sedentario e, negli ultimi anni, malandato Voghera, sebbene anche La Cava pensasse ,come dice la lapide preparata per il suo centenario nella sua Bovalino, che, “più che viaggiare, è mettere le radici che può capire il significato della realtà”. E’ grazie a questi suoi viaggi a Trieste per incontrare Voghera - col quale ho avuto un rapporto intenso e affettuoso, non scevro di quelle ambivalenze latenti, come lui sapeva meglio di me, in ogni rapporto affettivo - che ho conosciuto La Cava, diventandogli amico dopo essere stato un suo fedele lettore”.

Lo stretto rapporto tra lo scrittore di Bovalino e quello di Trieste, aveva spinto Magris a proporre un gemellaggio tra il capoluogo del Friuli Venezia Giulia ed il paese della provincia di Reggio Calabria. “Fra tanti motivi occasionali di gemellaggio fra città diverse - rilevò -, ci potrebbe essere pure l’amicizia letteraria e dunque Trieste potrebbe gemellarsi con Bovalino Marina”. Amicizia ulteriormente consolidata ora dal riconoscimento del comune di Bovalino a Magris, che è nato a Trieste come Giorgio Voghera. Dopo 10 anni sarà l’occasione buona per dare seguito all’ idea di Magris. Le premesse ci sono e l’impegno dimostrato dagli attuali amministratori per il Premio La Cava fanno ben sperare. Si può fare. Se si vuole fare. Bisogna essere uniti, affidarsi a persone autorevoli e competenti. Condizioni imprescindibili se si vogliono ottenere risultati positivi anche nella realizzazione degli altri progetti di valorizzazione e sviluppo culturale. 

Quello di Bovalino si preannuncia come un appuntamento letterario di alto profilo. Prestigio di livello nazionale. Si parte bene. Omaggio dovuto “ad un personaggio culturale di così alto spessore, personaggio attaccatissimo alla sua terra, ai suoi costumi ed alle sue tradizioni, che tanto ha dato e tanto può ancora dare alle future generazioni”, sottolinea Domenico Calabria, genero dello scrittore e presidente del Caffè Letterario Mario La Cava. Una realtà culturale molto attiva e propositiva che tanto ha fatto e continua a fare per la crescita non solo della Locride, ma anche della Calabria e del Mezzogiorno. Nel segno di La Cava “uno scrittore scomodo, difficile da etichettare, impossibile da irreggimentare, non usabile per nessuna bandiera”, come ha scritto sulla Stampa di Torino il critico Giorgio Bàrberi Squarotti il 17 novembre 1988, dopo la morte del narratore di Bovalino. 

“Dalla sua Calabria La Cava ha portato spirito di chiarezza e di finezza e spirito dei lumi nella nostra letteratura novecentesca, che proprio non ne ha avuto troppo. E' questa la sigla della sua originalità e del suo valore”. Valore più volte sottolineato da Leonardo Sciascia. “Vecchio e grande mio amico, scrittore e uomo cui voglio bene ed ammiro”, scriveva sul quotidiano piemontese nel giugno del 1987, lanciando un appello con un gruppo di amici - tra questi Walter Pedullà e Saverio Strati - per l’autore di Caratteri “ingiustamente dimenticato, quasi ottantenne e in difficili condizioni all’ospedale”. Sciascia rivolgeva “un’esortazione - a chi tale esortazione compete - che si applichi al suo caso la cosiddetta legge Bacchelli”. Appello che, per fortuna, non cadde nel vuoto. 

Sciascia definiva “La Cava uomo di inarrivabile semplicità, schiettezza e discrezione, di saldi e giusti principi. E scrittore sagace, acuto: di ragione, e anche delle ragioni del cuore che mai tradiscono la ragione”. Esempio da seguire “Le cose di La Cava costituivano per me esempio e modello di come scrivere: della semplicità, essenzialità e rapidità cui aspiravo. Sicchè quando, nel 1939, Le Monnier pubblicò Caratteri (in una collanina, stampata con gusto longanesiano, che si intitolava “L’orto”: nome di evidente intendimento strapaesano), io lo tenni come un piccolo breviario, e facendovi qualche esercizio di imitazione”. 

Quasi ottantenne, ammalato, sperava ancora di scrivere il miglior libro, superiore a tutti i precedenti. “Voglio ancora scrivere, ho ancora molte trame da raccontare”, aveva confidato alla saggista e giornalista Mirella Serri, che nel giugno del 1987 in una stanza dell’ospedale San Filippo Neri di Roma, dove era ricoverato da cinque mesi dopo la paralisi che lo aveva colpito mentre a Siderno stava tenendo una conferenza su Corrado Alvaro.  “Ma quello che è stato più terribile, è stata la perdita della parola. L'ho vissuta come un'umiliazione, perché per uno scrittore non potere più né scrivere né parlare è la peggiore delle amputazioni. Non sono stato stoico né di fronte al dolore né di fronte alla morte. E poi lo ripeto: voglio ancora scrivere. Ho ancora molte trame da raccontare”. E l'argomento? “Ancora e sempre il Sud. E spero di scrivere il libro migliore di tutti i miei precedenti”. Purtroppo è rimasto solo un sogno. Non si è più ripreso. Le sue condizioni si sono progressivamente aggravate. Dopo quasi un anno e mezzo da quella intervista, il 16 novembre 1988 se ne è andato con il Sud nel cuore. 

E a quasi 30 anni di distanza, per ricordare l’impegno meridionalistico di La Cava, sarà assegnato un riconoscimento speciale a Raffaele Nigro, scrittore e studioso della letteratura meridionale, ex direttore e capo redattore della Rai di Bari. Saranno inoltre ospiti della serata del Premio La Cava, condotta da Maria Teresa D’Agostino, lo scrittore e giornalista di origini lucane Andrea Di Consoli e l’attrice Anna Melato che ha interpretato il ruolo di Caterina nel film del regista Luigi Comencini “Il matrimonio di Caterina”, tratto dall’omonimo romanzo di Mario La Cava. E sempre nell'ambito del premio è stata pubblicata un'edizione speciale del romanzo "Le memorie del vecchio maresciallo"(Einaudi, 1958). Per Magris è tra i libri “godibili e coinvolgenti” di La Cava. Sciascia aveva inserito i Caratteri tra i libri “che non si muovono, che non si rimuovono, che non conoscono ascese e cadute, cui né ombre né risalto danno il mutare dei gusti, delle mode. Libri, si potrebbe dire, che stanno: e nessuna mano che li tira giù da uno scaffale mai li butterà via con impazienza”. 

Il Premio La Cava rappresenta un’occasione importante per far conoscere alle giovani generazioni le straordinarie lezioni che personaggi come lo scrittore di Bovalino ci hanno lasciato in eredità. Cose ben fatte. Da rispettare. Non dimenticare. Valorizzare i grandi valori della memoria per andare avanti sulla buona strada. “Il futuro non ha futuro - sostiene Celentano - se non si porta per mano anche il passato”. Come non essere d’accordo con lui? 

*già Caporedattore TGR Rai

Il vino, un'opera d'arte

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Qualche settimana fa ho ricevuto una telefonata dalla Signora Sandra Tiare proprietaria insieme al marito di una delle più importanti case vinicole italiane. 
La Signora voleva omaggiarmi per il mio lavoro del loro Sauvignon TIARE.

Donna salda e di poche parole, al mio domandarle il perché di quest'immensa galanteria e per me di questo "premio" vinto fuori concorso, la Signora mi ha replicato "...perché lei è tosta".
Un insegnamento di classe. 
Una sola parola precisa. 
Dovete sapere che ci troviamo di fronte ad una vera eccellenza italiana.
Nel settore dell'imprenditoria le case vinicole sono viste come una parte nobile del settore. 
Ma questa lo è davvero.
L'azienda si è aggiudicata la medaglia d'oro al Concorso Mondiale del Sauvignon svoltosi a Bordeaux sbaragliando circa 500 aziende provenienti da tutto il mondo, compresi i nostri cari amici francesi.
Si tratta del più prestigioso riconoscimento nella categoria Sauvignon attribuito per la prima volta ad un vino totalmente italiano.
Quella di Roberto Snidarcig marito di Sandra, per il Sauvignon è una passione coltivata fin da ragazzo.
Roberto individuò tra le uve che il padre acquistava per vinificare, una vigna di Sauvignon che spiccava sulle altre.
SARA TACCHI
com/sara. tacchi.33




Bologna, a 100 anni dalla rivoluzione Russa “Revolutija” da Chagall a Malevich da Repin a Kandinsky

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Le avanguardie Russe saranno a Bologna a partire dal 12 dicembre al MAMbo (Museo di Arte Moderna di Bologna) data dell’opening della mostra “Revolutija - da Chagall a Malevich da Repin a Kandinsky”. Curatori della mostra sono Evgenia Petrova e Joseph Kiblitsky con la collaborazione per la produzione ed organizzazione di CMS.Cultura e del Comune di Bologna - Istituzione Bologna Musei.
Si portano in scena dunque i capolavori del Museo di Stato Russo di San Pietroburgo attraverso oltre 70 opere tramite le quali sarà possibile riscoprire, con gli occhi della rivoluzione, ma dopo 100 anni, la modernità dei movimenti culturali russi ai primi del 900 e le loro frenetiche dinamiche di sviluppo.
Una mostra viva e palpitante che ben narra il fermento di quel periodo dove tra gli artisti protagonisti possiamo ritrovare Kazimir Malevich, Wassily Kandinsky, Marc Chagall, Valentin Serov, Alexandr Rodchenko, ma l’intento della mostra è far emergere anche gli altri artisti, quelli meno noti di questo stesso periodo, ma altrettanto grandi.
Sono di questi anni, 1910/1920, le numerose forme di avanguardia talvolta diametralmente all’opposto, nate con una propulsione impressionante, ed è di questo periodo la l primitiva forma cubo-futurismo che convive in simultanea con l’espressionismo figurativo, e con lo stile puro dell’astratto.
Attraverso queste opere e questa enorme mostra allestita in occasione della ricorrenza del centenario dalla rivoluzione Russa si raccontano gli stili e le dinamiche differenti affrontando un’importante tema.
La mostra sarà visitabile fino al 13 maggio 2018, ma in contemporanea a Bologna ci saranno diversi eventi culturali collaterali per un dialogo aperto sul tema.
Ester Campese

Kaos Festival 2017, grande partecipazione ad Agrigento: pienone per “la cultura che diverte” presso l’Accademia Michelangelo

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Agrigento ha risposto. Oltre ogni immaginazione, nel week end del 9 e 10 dicembre, la città si è lasciata coinvolgere dal fermento culturale del Kaos Festival. Un impegno in salita, una pedalata in tandem per arrivare in cima, condivisa da Alfredo Prado e Peppe Zambito. Il primo, direttore dell’Accademia di Belle Arti Michelangelo, che ha aperto i suoi locali e ospitato l’impresa, l’altro il direttore artistico. Entrambi soddisfatti e piacevolmente sopresi. “Una bella scommessa, siamo convinti che con la cultura si possa creare lavoro e interesse - spiega Peppe Zambito - il festival non organizza solo una fiera editoriale per certi versi spettacolare, ma prova la nostra tesi: il territorio si deve saper raccontare, per questo noi portiamo parole, libri, per noi significa migliorare un tessuto urbano, dargli strumenti per spiegare le proprie eccellenze, per comunicarle al meglio”.

Corridoi trasformati in sale espositive, tavoli coperti da libri, sale occupate da presentazioni e proiezioni. Letture e degustazioni di dolci e vino locale. Cosa ne pensa il direttore dell’Accademia Alfredo Prado di quest’invasione?
“Noi in Accademia facciamo questo - dice Alfredo Prado - cultura, arte, Kaos Festival è un impegno che fa parte del nostro dna, io mi auguro di vedere sempre più ragazzi e ragazze a queste manifestazioni. Questa istituzione scolastica nasce per questo, lasciare il testimone, affidarlo ai nostri studenti, prepararli ad affrontare il futuro con un punto di vista nuovo, che sia creativo, che sappia cogliere la bellezza come opportunità a cominciare da qui, dalla loro città”.
Molti i nomi che si sono avvicendati sul palco del festival, arrivati da più parti della Sicilia e d’Italia per un appuntamento che, edizione dopo edizione, grazie a un manipoli di operatori e appassionati - che da anni animano, organizzano, immaginano, trascinano curiosi, spettatori, lettori - si attesta come un’avventura imperdibile, una specie di stato dell’arte del comparto editoriale isolano.
Molti i premi assegnati: Premio “Rita Atria”: ad Angelo Sicilia per I pupi antimafia e all’Associazione culturale Gammazita di Catania. Premio speciale Kaos 150° Pirandello a Felice Cavallaro, Gaetano Aronica, Francesco Bellomo, Gianfranco Jannuzzo, Enzo Alessi e a Antonella Morreale. Premio “Salvatore Coppola” a Ezio Noto. Premio “Identità siciliana” a Nicolò D'Alessandro, Giacomo Pilati e Andrea Bartoli. Il premio gesti e parole di legalità è andato a Giacomo Cacciatore e al Comune di Joppolo Giancaxio. Il Premio “Alessio Passalacqua” alla poetessa Giuseppina Mira.
Il Kaos, festival dell’editoria, della legalità e dell’identità siciliana, infatti ha la caratteristica di essere conviviale, ovvero, pur coinvolgendo personalità vira su un intrattenimento leggero, come scriveva Italo Calvino, planando dall’alto su questioni serie, a tratti commoventi, sempre attuali “per noi la cultura deve e può divertire” sottolinea Zambito. Ne è prova la vittoria di Alessandro Savona (nella prima foto), primo classificato per il premio narrativa, che con Ci sono io, parla di affido e nuove famiglie. La giuria, presieduta dal giornalista e scrittore Michele Gambino, è composta da Enza Pecorelli, Giuseppe Mallia, Patrizia Iacono e Stella Vella.
La seconda giornata si è aperta con un interessante dibattito sulle facce dell’editoria che ha visto la partecipazione, fra gli altri, di Egidio Terrana, Jim Tatano, Arturo Cantella, Francesco Pira e Antonio Liotta.
Due i pomeriggi dedicato a donne e letteratura, intitolati: Scrittura sostantivo femminile.
Altri premi sono stati assegnati dalla giuria popolare che ha votato in diretta attraverso un sms.
Ad aggiudicarsi il premio di poesia Cetta Brancato, mentre a Maria Concetta de Marcoè stato conferito il primo premio sui racconti.
Kaos è possibile anche grazie al contributo organizzativo di Angela Indelicato e di un gruppo di appassionati sostenitori fra cui Giuseppe Di Nolfo e Giuseppe Dimora.
Da sottolineare le letture dal vivo di Annagrazia Montalbano, le incursioni musicali di Piera Lo Leggio, del Trio Mediterraneo (Paolo e Rosa Alongi e Luce Palumbo e di Sara Chianetta e Juan Pablo Orrego.

Le pagine social dell’evento:
Instagram: Kaos Festival
Twitter: @kaos_festival

Roberta Marten, la cantante transgrender dalle straordinarie doti canore

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L’immagine delle trans in Italia viene sempre accostata alla prostituzione. Roberta Marten, ex Roberto Martinazzo, invece, è invece un’artista e cantante di professione.
Roberta canta da quando ha 3 anni. Nel 2003 realizza con il trio vocale Equivoci, “Sinceramente non tuo” grazie a Franco Zanetti e Rudy Zerbi, un intero album tributo a Lucio Battisti/Pasquale Panella con un quartetto d’archi. Collabora alla realizzazione di alcuni brani inediti e una cover “ Shattered dreams”, con David Laudat (vocal coach di Spice girls e Take that). La cover re-interpretata da Roberta e ri-arrangiata da Daniele Trignino dei T.I.P.I.C.A.L., è stata per 3 mesi la sigla del programma televisivo L’Eredità condotto da Carlo Conti in onda su Rai1.
Nel marzo 2017 Roberta vince il Best Talent Awards al contest mondiale “Miss International Queen” in Thailandia, seguito interamente dalla CNN” Quale unica rappresentante italiana,lascia sbalordita la giuria per l’interpretazione di “Con te partirò” di Andrea Bocelli nella versione di Sarah Brithman e viene eletta “la ragazza transgender più talentuosa al mondo”. A livello personale, intraprende un percorso difficile e tortuoso per realizzare il suo più grande sogno, quello di diventare una donna. Roberta, infatti, viveva in un corpo che non accettava. Roberta Virginia Martinazzo, in Arte Roberta Marten, otterà il cambio del nome e del sesso (il cambio del sesso sui documenti dove viene specificato), prima di effettuare il cambio anagrafico e del sesso sui documenti, senza doversi sottoporre all’intervento di riassegnazione di genere. E adesso nuovi progetti canori la attendono : Roberta sogna una vetrina importante per far conoscere la sua spiccata vocalità e raccontare in musica la sua esperienza di vita.

Fabrizio Buompastore nel cinepanettone "Un Natale da Chef", un tipo di cinema onesto, preciso e puntuale. L'intervista

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Fabrizio Buompastore, noto attore pugliese che si divide tra cinema e TV, è nel cast del nuovo cinepanettone di Neri Parenti Un Natale da Chef con Massimo Boldi e tanti altri attori. L'intervista.

Che ruolo interpreti in un Natale da chef ?
Sono un imprenditore pugliese che lavora nel dolciario , un erotomane che organizza feste di addio al celibato fatte di torte giganti con dentro signorine seminude

È un personaggio che ti somiglia ?
….direi di no, ma mi diverte molto .Devo dire che mi fa molto piacere interpretare questo genere di caratteri perché seppure con leggerezza si mettono in scena vizi e virtù del genere umano. Senatori corrotti, erotomani, poliziotti collusi, ginecologi maniaci e emissari accattoni insomma… sono lontanissimo dai miei personaggi ma queste sono alcune delle mie maschere e ci sono affezionato, in più ci parlo, del resto io esisto anche grazie a loro

Come ti sei trovato sul set?
Ad ogni intervista e ad ogni fine lavorazione film la domanda e la risposta è sempre la stessa, anche quando non è vero si dice sempre : "benissimo i colleghi sono stati fantastici il clima era rilassato ecc ecc”. Bhe ti devo dire che questa volta con mia grande sorpresa (non me lo aspettavo) la risposta è SINCERA: STUPENDAMENTE BENE. Perché ho trovato una professionalità che non ho trovato su molti set, diciamo così autoriali del cinema radical chic. Questo tipo di cinema è un cinema onesto, preciso e puntuale, tutti sappiamo cosa dobbiamo fare, lo facciamo al meglio e soprattutto, ripeto, con grande professionalità e umiltà. Insomma, ho scoperto ancora un altro cinema e ne sono felice ed orgoglioso di averne fatto parte, e onore e merito anche a Massimo Boldi, un Professionista indiscutibile senza se e senza ma.
Con chi hai legato di più?
Soprattutto con Paolo Conticini, non lo conoscevo, ci eravamo incrociati una volta tanti anni fa : è un grande lavoratore prima di tutto , un professionista , un bravo attore , una bellissima persona e adesso anche un amico , e lavorerei con lui domani se ne avessi la possibilità , glielo dico sempre !
Hai molte scene con la bella Rocio Muñoz Morales
Quasi tutte…
Che ci dici di lei ?
Rocio è una Attrice molto brava e una professionista.
Dove avete girato?
Molto a Trento, una città che non conoscevo dal profondo sud. E al profondo nord i trentini sono molto simpatici, non so perché si pensa solitamente il contrario, a me sono stati molto simpatici, e poi Fiuggi
Come ti sei trovato con Neri Parenti?
Devo fare una premessa, io come tantissimi pugliesi della mia generazione sono cresciuto con un film in particolare la cui regia era di Neri Parenti “Fracchia la belva umana” .Ti lascio immaginare quando ho saputo che sarei stato diretto da colui che ha fatto la regia dell’opera di cui conosco praticamente tutte le battute a memoria, insomma avevo un po’ di ansia che è svanita non appena lo ho incontrato.Neri è Una delle persone più colte, gentili, signorili che abbia mai conosciuto a livello personale. A livello professionale è un regista che dirige gli attori ma è attento alle proposte che noi a volte in maniera pressante tentiamo di far passare. Il film lo ha prima in testa, gira esattamente quello che gli serve, devo dire che è anche un regista moto fortunato: mi è capitato due volte sul set di fare l’ultimo ciak della giornata e immediatamente dopo veder scendere la pioggia !!!
Tre aggettivi per descriverti ?
Puntiglioso maniacale curioso
Come trascorri il tempo libero ?
Il tempo libero per un attore è quando si sta sul set a fare un film, il lavoro invece inizia quando un film finisce perché si studia. Poi io leggo, mi informo, provo dei caratteri che possono servirmi, vivo la gente, tento di conoscere piu gente possibile per prendere spunto e nelle pause mi occupo di Dimora Deserto, un vecchio casale di mia Moglie ad Ostuni che stiamo ristrutturando!
Prossimi progetti?
Dunque una serie tv in Rai diretta da un regista del nostro cinema, una tournée teatrale con un nome partenopeo molto importante. Chiaramente come sempre accade nella mia carriera non farò nulla di quello che ho scritto ma succederanno altre cose, staremo a vedere
Un sogno da realizzare?
Bhe ci lavoro da tanto, la mia opera prima già scritta e nel cassetto : non è facile ma neanche impossibile e prima o poi riuscirò!

Emotu, uscito il singolo "Ogni cent'anni": raccontiamo la vita comune, le cose che ci toccano dentro, i problemi e le gioie. L'intervista di Fattitaliani

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“Ogni Cent'Anni” è il primo singolo estratto dall'album di prossima uscita “Meccanismi Imperfetti”, lavoro che sancisce una drastica svolta di progetto e di line up della band, con l'arrivo di artisti provenienti da Litfiba e Gerard L'Her (Rockets). Una canzone d'amore, ma in un senso "cosmico", trascendentale, che va al di là della semplice concezione spazio-tempo, accompagnata da un videoclip ufficialescritto e diretto da Alessandro Luisi e Filippo Raineri. L'intervista di Fattitaliani.


“Meccanismi Imperfetti”è un album che tocca temi personali ed astrofisici, quasi l'amore fosse una componente gravitazionale che regola le logiche dell'universo intero.
Quanto credete nell'amore universale? Il mondo sembra andare in direzione opposta...
Abbiamo messo al centro di questo progetto il tema dell'amore in un senso un po' particolare, facendo un gioco di associazioni: la visione dell'attrazione e della disposizione positiva fra persone che sembra quasi avere legami con le leggi fisiche che regolano l'universo,  le forze gravitazionali,  le influenze planetarie. Per noi è stato solo un gioco, ma che ci ha permesso di raccontare storie comuni, semplici,  quelle che viviamo giornalmente, usando però a volte metafore "cosmiche".
Anche nel video del primo singolo "Ogni cent'anni" c'è un accenno di questo, ad esempio nell'uso della distorsione dello spazio e del tempo facendo procedere lo storytelling al contrario, ma come  dicevamo è un gioco di metafore per raccontare ciò che sta dietro al vissuto comune di tutti noi, per dimostrare che la vita può essere salvata anche quando non c'è più speranza.
Nel cd quali altri temi canterete? 
Raccontiamo la vita comune, le cose che ci toccano dentro, i problemi e le gioie. Vogliamo trattare temi in cui ognuno si può identificare, usiamo un linguaggio che in parte usa la metafora ed in parte è diretto, quasi forte: abbiamo scritto di dipendenze, di come é cambiato il mondo ed i rapporti con l'avvento dei social, di femminicidio,  abbiamo parlato della forza che ritroviamo in noi quando ci troviamo di fronte al baratro, di amori perduti ed amori che ci salvano. Abbiamo fatto un piccolo viaggio interiore nell'attualità del mondo contemporaneo.
Quale è stato il percorso che vi ha condotto fino a qui?
In questa precisa forma siamo nati da poco tempo, precisamente dagli inizi del 2017, anche se esisteva un progetto precedente che ha fatto la gavetta negli anni e che ha anche avuto qualche buon riscontro discografico e live. Oggi  siamo qualcosa di totalmente nuovo, con una line up completamente nuova formata da componenti provenienti da Litfiba, Piero Pelù, Gérard L'Her  (Rockets), ma anche da ambienti più di nicchia come l'indie alternative e l'elettronica più recente.  Questa commistione di ingredienti ha generato la nostra identità ed il nostro sound attuale.
In questo percorso tuttavia non mancano le curiosità simpatiche! Infatti se siamo insieme oggi lo dobbiamo ad un annuncio di ricerca di nuovi componenti in un sito online per musicisti che avevamo dimenticato di cancellare!
In che cosa il mondo discografico vi sta sembrando peggio e meglio delle aspettative?
Viviamo questo momento particolare e confuso del mercato discografico con estrema serenità,  sappiamo che é un momento storico in cui tutto sta cambiando e in tutta onestà non ci siamo posti aspettative: viviamo la passione per la musica, per la scrittura e per la ricerca del suono in modo completamente libero,  ci interessa esprimerci senza fare calcoli. Sappiamo che la musica oggi viaggia su livelli completamente differenti da quelli solo di un decennio fa, questo non fa di noi dei nostalgici dei tempi che furono , ma dei curiosi di vedere come cambia questo mondo perché il mondo non si ferma e nemmeno ti aspetta.
Avete dei riferimenti musicali che tenete presenti?
Tanti e nessuno, ci piacciono molto i musicisti completi, quelli che sanno vedere le canzoni finite già in fase di scrittura, i visionari. Per fare dei nomi Peter Gabriel, Roger Waters,  Paul MC Cartney, Trent Reznor,  l'elettronica wave,  l'indie rock nazionale, Battiato... Giovanni Zambito.
EMOTU
EMOTU è l'acronimo di“ESTREMI MOVIMENTI OSCILLATI TIPICAMENTE UMANI”: tutto l'universo umano come l'onda del suono o quella elettromagnetica della luce spiegato da una frequenza, da un battito, quello del cuore.

La band nella sua formazione nasce nei primi anni 2000 ed inizia il suo percorso fra contest e opening acts anche di band importanti come Dwomo, Terrakota, Negramaro.

Nel 2006 esce il primo album U-no dal quale viene estratto il singolo “NILOGRIGIO” (Bit Records).

Nel Marzo 2012 esce The White Flame (Senza Base Records) il secondo album, caratterizzato da un suono più ruvido ed Industrial. Grazie anche al singolo estratto, Each Man Kills, l'album viene accolto con entusiasmo dal pubblico e dalla stampa specializzata.
Il progetto dal 2014 al 2016 viene messo in stand-by.
Agli inizi del 2016 Maxx Rivara avvia un percorso di ricerca per la formazione di una nuova identità artistica.
La nuova line up si definisce con l'arrivo del chitarrista Gennaro Splenito (ex Gerard L'Her dei Rockets, Universal Band e Second Lass) e la batterista Vittoria Pezzoni proveniente dall'area indie alternative emiliana. Nei mesi estivi del 2016, la formazione si esibisce in numerosi festival prima di tuffarsi nella scrittura del nuovo album. Durante questa fase la band inizia a collaborare con il conosciuto bassista dei Litfiba prima e di Piero Pelù poi Daniele "Barny" Bagni, che diventa a tutti gli effetti il quarto elemento fisso della band. Si arriva alla primavera 2017, durante la quale viene registrato l'album "Meccanismi Imperfetti", la cui uscita, prevista per gennaio 2018 con Marte Label, è anticipata dal singolo “ Ogni cent'anni”.
www.facebook.com/emotuband

www.sorrymom.it



MAFIE del mio STIVALE, Enzo Ciconte a Fattitaliani: oggi comanda la ‘Ndrangheta calabrese. L'intervista

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La data precisa della nascita della Mafia non si conosce e addirittura anche gli storici non sono concordi su quale sia. C’è chi la colloca all’Unità d’Italia e altri addirittura nel Cinquecento.

Enzo Ciconte, Docente di Storia delle Mafie italiane presso le Università di Pavia e Roma tre, nel libro MAFIE del mio STIVALE. Storia delle organizzazioni criminali e straniere nel nostro Paese. Manni Editore, un saggio storico ma con una scrittura semplice e coinvolgente, studia il fenomeno mafioso in tutte le sue articolazioni e che forniscono risposte esaustive a vari interrogativi che si sono posti sulla Mafia non solo del nostro stivale ma anche quella europea e quella proveniente da atre parti del mondo come la Cina, l’Albania, la Romania e tante altre. 
Colloca la sua nascita tra il 700 e l’800 quando un’organizzazione criminale, la Camorra, nasce a Napoli e che dopo si chiamerà mafia e si svilupperà in Sicilia e in Calabria. Del resto nel suo precedente libro, Ciconte aveva già fatto un excursus tra Borbonici, patrioti e criminali accomunati dall’uso della violenza che amministravano in maniera diversa ma servendosi di “Homini novi” violenti al soldo della borghesia e paragonabili ai bravi di Don Rodrigo. 
In seguito in Calabria la mafia si trasformò in ‘ndrangheta ed è l’unica presente in tutti e cinque i continenti del Mondo. Con la caduta dei Corleonesi in Sicilia, ci rendiamo conto dei mutamenti che ha avuto la mafia. Mafia, Camorra e ‘ndrangheta hanno molti elementi comuni. In primis i Codici e i rituali che compaiono sin dall’Ottocento. Favole e leggende sono state le basi di un immaginario per i nuovi arrivati che avevano bisogno di sentirsi dire che entravano a far parte di un’Organizzazione rispettata con nobili e prestigiosi Antenati come i Beati Paoli siciliani una sorta di giustizieri che punivano i forti a favore dei deboli. Nobili erano Osso, Matrosso e Carcagnosso, nobili spagnoli. Si entrava nell’organizzazione con un vero e proprio Battesimo ed un giuramento e si diveniva picciotti, una volta entrati non era più possibile uscirne, altrimenti si diveniva infami. Ciconte fa un meraviglioso excursus nelle varie mafie, con linguaggio leggiadro, senza appesantire, quasi come se fosse un romanzo storico e non un saggio. Scrive dei primi processi, di Cosa Nostra Americana, di Salvatore Giuliano e Portella della Ginestra, della Mafia negli anni cinquanta, sessanta e settanta, delle donne nell’Organizzazione Criminale, delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio fino ad arrivare ai giorni nostri con il connubio di Mafia, Potere e Politica. Il lettore è vorace, divora il libro perché è catturato dalla storia e vuole arrivare all’ultima pagina in men che non si dica, quasi come se volesse sconfiggere la Mafia e mettere per sempre la parola Fine a questo triste capitolo della Storia.     

In che periodo è nata la Mafia visto che anche gli storici non sono concordi sulla data? 
Secondo me è il periodo che va dalla fine del settecento agli inizi dell’ottocento in cui viene fuori un’organizzazione che non si chiama ancora Mafia ma Camorra che nasce a Napoli nella città più grande d’Italia in quel momento, anzi la terza città per numero di abitanti dell’Europa. Una grande città urbana del Mezzogiorno d’Italia. Dopo si svilupperà la Mafia il cui nome prenderà il largo al momento dell’Unità d’Italia. Fenomeni che poi avremmo chiamato Mafiosi ci sono sia in Sicilia che in Calabria. So benissimo che il grosso degli studi degli storici collocano al momento dell’Unità d’Italia, la nascita della Mafia. Credo che sia anche un fenomeno del periodo borbonico ed è giusto metterlo n rilievo. 

Com’è possibile che la Mafia faccia Cultura e conquisti accoliti? 

Perché la Mafia contrariamente a quello che si pensa non è solo un fenomeno criminale di banditi, di assassini, di stragisti ma propone una propria Filosofia ed una propria “Cultura”. La chiamo cultura e non una sottocultura per una ragione molto semplice perché la Mafia ha avuto la capacità di mettere insieme gli elementi della cultura nobile e quelli della cultura popolare. Insieme mescolando questi aspetti ha prodotto un originale cultura. 

Quanto è cambiata la Mafia dalle origini ai giorni nostri? 
È cambiata moltissimo, non c’è dubbio alcuno, non è possibile fare un paragone. All’epoca era nel latifondo oggi è nelle città, nelle grandi Capitali europee. All’epoca comandava la Mafia siciliana oggi comanda la ‘Ndrangheta calabrese. La Camorra ha avuto elementi alternanti, forti nell’Ottocento e meno forti nel Novecento quando risorge dopo il terremoto dell’Irpinia quindi abbiamo una grande trasformazione delle Mafie italiane. Se noi pensiamo che solo venticinque anni fa la Mafia siciliana era all’apice con le stragi di Falcone e Borsellino ed oggi i Corleonesi sono una Mafia che non esiste più, ci rendiamo conto dei mutamenti che ha avuto la Mafia nel corso del tempo. 
Hai parlato della Mafia europea ci spieghi come hanno preso piede in Italia le altre Mafie straniere?  

La Mafia straniera è frutto dell’evoluzione degli ultimi anni che ha investito non solo l’Italia ma anche il mondo. Loro vengono qui in Italia perché si trovano bene, possono fare attività economiche e gestiscono le donne nella prostituzione o meglio nella vendita del proprio corpo, cosa che gli italiani non fanno ma convivono con gli italiani con i quali scambiano merci, cioè armi e droga. 

È più storia criminale o storia del Potere? 

È storia del Potere. La storia del Potere è sempre stata del Potere, naturalmente declinato nel modo più selvaggio e possibile che è quello della violenza. 

Riusciremo mai a sconfiggerla? 
Penso di sì. Basta guardare il fatto che venticinque anni fa, Cosa nostra era all’apice e adesso non c’è più e quindi ci sono buone speranze.
Elisabetta Ruffolo
Leggi qui gli articoli di Elisabetta Ruffolo

Babà Musica di Manuela Boccanera al Teatro Ar.Ma dal 14 al 17 dicembre

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Babà Musica, è questo il titolo del nuovo spettacolo prodotto da Capsa Service, che dal 14 al 17 dicembre sarà in scena all'Ar.Ma Teatro. Lo spettacolo scritto da Manuela Boccanera vede sul palco la stessa autrice che firma la regia con Daria Veronese, e Germana Flamini, Massimo Mirani, Ilaria Nestovito.

Diana, giornalista musicale, viene inviata dalla redazione del giornale a seguire un festival di musica di bossa nova in Brasile. Una notte, mentre fa rientro in albergo in compagnia di Carlo, amico e collega, si imbatte in una bambina, Blanca. Cosa ci fa una bambina tutta sola, infreddolita e spaventata, sui gradini di una scalinata a quell’ora di notte? La vicenda fitta di mistero nasconde una verità inquietante che Diana non avrebbe mai voluto scoprire. Diana resterà, così, in Brasile più del dovuto, si troverà costretta a fare i conti con un passato e una ferita ancora aperta ma le si apriranno realtà e scenari umani e professionali davvero inaspettati.

Babà Musica
di Manuela Boccanera
Con Manuela Boccanera, Germana Flamini, Massimo Mirani, Ilaria Nestovito
regia Manuela Boccanera e Daria Veronese
Scene e disegno luci Massimo Sugoni
Fonica e luci Giampaolo Amico
Fotografie Giuseppe De Angelis
Grafica Luigi Imparato
Ufficio stampa Rocchina Ceglia
Regia Manuela Boccanera, Daria Veronese
Ar.ma Teatro
via Ruggero di Lauria 21
dal 14/17 dicembre
dal giovedì al sabato 21.00 – domenica ore 18.00
Telefono 06 39744093 - cell. 333 9329662
Mail: info@capsaservice.it
Biglietti. Intero 12€- Ridotto 10€


MARIO FRATTI, FATTITALIANI INTERVISTA IL DRAMMATURGO ITALO-AMERICANO “L’ULTIMO COMUNISTA D’AMERICA”

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di Caterina Guttadauro La Brasca. Mario Fratti è un drammaturgo italiano, nato a l’Aquila (Italia) il 5 luglio 1927 (età 90) e vive a New York dal lontano 1963.

Dopo la laurea in Lingue e Letterature Straniere alla Università Ca' Foscari a Venezia, Fratti avvia alla fine degli anni cinquanta una ricca produzione drammatica. È del 1959 il suo primo dramma “Il nastro”, vincitore del premio RAI, che però non fu mai radiotrasmesso. L'autore era arrivato trentenne a scrivere per il teatro, dopo giovanili esperienze poetiche. Scrisse anche un romanzoall'inizio della sua vita letteraria, ambientato nella sua città ed a Venezia nel periodo della dittatura fascista e dopo la Liberazione, mai pubblicato all'epoca, edito nel 2013. Per un incontro a Spoleto con Lee Strasberg appare nella sua vita l’America, la terra in cui è lecito avere un sogno ed è possibile realizzarlo: Rivolge il suo interesse al teatro e la Critica lo accoglie favorevolmente. Inizia così una produzione di lavori, oggi arrivata a più di 100 opere.
Lo aiuta la completa padronanza della lingua inglese e la conoscenza profonda della letteratura americana. Subito insegna a New York nella prestigiosa Columbia University e poi all'Hunter College, dove ha tenuto la docenza fino al 1994.Di Fratti sono state pubblicate nel 2009 due antologie di teatro. Opere sempre teatrali:
Teatro dell'Imprevedibile - 22 Drammi e Satire" (BE@A - enricobernardentertainmentart), in italiano:
"Unpredictable Plays" (edito da New York Theatre Experience, Inc), una raccolta in inglese di 28 opere. Nel settembre 2013 è stato pubblicato l'unico romanzo di Fratti: "Diario proibito", che ha vinto il "Premio Capri Poesia". L'opera, scritta in gioventù, fra il 1948 ed il 1950, quando il drammaturgo era studente all'Università Ca' Foscari di Venezia, è stata da lui fortunosamente ritrovata in una vecchia valigia, le pagine sbiadite e difficilmente leggibili. Una vera scoperta editoriale.
Fratti ha scritto anche commedie e musical. NINE, una sua commedia scritta nel 1981 e liberamente ispirata dal film di Federico Fellini, è diventata un musical d'enorme successo di pubblico e di critica, un vero e proprio fenomeno teatrale con oltre duemila repliche. L'ultima versione, con Antonio Banderas interprete, è rimasta per molti mesi in cartellone al teatro Eugene O' Neil, e poi, a Broadway
Negli USA ci sono state 36 produzioni di Nine; una a Londra, una a Parigi ed una a Tokyo. Molti i riconoscimenti all'autore teatrale, un elenco lunghissimo. Si citano per brevità il premio Selezione O' Neil, il Richard Rodgers, l'Outer Critics, l'Heritage and Culture, l'Otto Drama Desk Awards e ben sette "Tony Award", premio che nel teatro è come l'Oscar per il cinema. Le sue opere, tradotte in 20 lingue, sono state rappresentate in 600 teatri di tutto il mondo; dall'America all'Europa, dalla Russia al Giappone, dal Brasile alla Cina, dal Canada all'Australia. Esse si connotano per l'immediatezza della scrittura teatrale, asciutta e tagliente come la denuncia politica e sociale senza veli che egli vi trasfonde.
Lei è una figura particolare nella Comunità Italiana D’America, è sempre stato molto progressista ed ha una coscienza critica molto radicata. Lei come si definisce?
Scrittore di Sinistra.
A 20 anni scrisse “Diario Proibito” un romanzo con un messaggio letterario feroce che fu respinto per 60 anni, nessuno lo volle pubblicare. Ci dice perché nacque e di cosa parla?
Confessioni intime su crudeltà fasciste.
Il suo sbarco a New York, nel 63 avvenne grazie a Lee Strasberg. Ci racconta come vi siete incontrati?
Al festival di Spoleto dove Diresse “Suicidio”.
Come e perché è avvenuta la sua svolta politica a sinistra? Qualcuno lo definisce l’ultimo comunista d’America.
Sempre stato a sinistra a “Difesa dei diseredati”.
La parola plusvalore, scoperta da lei, suo padre e suo zio, ha improntata tutta la sua vita ad avere certe posizioni.
Importante. Ha influenzato i miei  valori.
Perchè ha deciso di rimanere in America, dove è venuto per una coincidenza?
Molte porte aperte.
Lei ebbe dei grandi Amici. Ha qui in casa sua un pianoforte di Katharine Hepburn che suonava nella sua bella Casa/Museo, è stato amico di Arthur Miller di Lee Strasberg e tanti altri. L’America di oggi è diversa da quella di allora? C’è qualcosa che rimpiange?
No. Futuro positivo come in passato.
Lei in ogni sua opera mette la lotta di classe ed è tra i pochi che lo fanno. Questo ha mai avuto ripercussioni nella sua vita?
Molti mi stimano.
Nine è il suo più grande successo ed ha altre 30 opere che non lo sono: perché secondo lei?
Una opera prevale sempre ed è preferita.
Qual è il suo rapporto con Dio?
Dov’è? Chi è?
In America si passa dalla povertà più aberrante alla ricchezza più sfrenata, perché esiste questo estremismo?
Colpa dell’avidità.
Obama diceva : YOU CAN, TU PUOI . Questa frase ha fatto sognare tanti ragazzi. Lei consiglierebbe ad un giovane di preferire l’America al suo paese? Se sì, perché?
No. Resta nel tuo paese e difendilo.
Perchè parlando dell’America, si parla talvolta di “giungla americana”?
Perché  ci sono sempre conflitti.
Cos’è per lei la Democrazia?
Dovrebbe essere difesa di’ “Demos”, il popolo.
Lei è contento della sua vita, di come ha vissuto? Se tornasse indietro cambierebbe qualcosa?
Non cambierei nulla. Tutto positivo.
Lei dice che è importante accontentarsi di quello che si ha e che si raggiunge col proprio talento. è questa la felicità?
Sì. Sapere di aver fatto il proprio meglio.
Io sostengo che l’America sia una Nazione e non un popolo come tante altre Nazioni perchè non si piange addosso, succede il dramma, come l’11 settembre, si rimbocca le maniche e si riparte. Lei condivide questo mio pensiero?
Sì. Lo condivido.
Sono compiaciuta di averla intervistata, perché Lei è un esempio positivo di un Italiano che ha due Patrie, una rappresenta le sue radici e l’altra il suo vissuto e il suo lavoro, quindi un esempio da divulgare. Lo è perché, come uomo e professionista, è sempre stato coerente, i suoi comportamenti sono stati sempre fedeli a ciò in cui crede, non si è fatto conquistare dal potere del denaro e non ha mai venduto le sue idee a nessun prezzo. Il suo paese d’origine non può non essere fiero di chi lo ha rappresentato con valori così sani e alti. La ringraziamo e le auguriamo di continuare per molti anni ancora a fare quello che lei stesso definisce come “sua attività” e cioè: scrivere, leggere e rappresentare.



Caterina Guttadauro La Brasca

Cassy Frida a Fattitaliani: scrivo semplicemente le mie emozioni. L'intervista

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Cassandra in arte Cassy Fridaè una cantautrice italiana di 22 anni. Scrive da quando ha 13 anni iniziando con raccolte di poesie per poi proseguire la passione verso testi musicali e canzoni.
Grazie al sodalizio artistico con il chitarrista Tony Ferrara, inizia un progetto di brani inediti. “Sarebbe bello” è il suo primo singolo: parla di un'immaginazione possibile ma che sembra essere ostacolata da ciò che sembra irraggiungibile.
Cassy è stata premiata di recente a Spazio d'Autore: sul palco con lei si sono esibiti anche Francesco Baccini e Marco Ferradini. Fattitaliani l'ha intervistata.
Le tue sensazioni all'uscita del tuo primo singolo? 
Finita la canzone ero incredula, poi sentendomi ho provato una forte emozione e felicità mescolata ad una buona dose di entusiasmo per il lavoro che avevo svolto insieme a Tony, il mio chitarrista.
Chi ti sta accompagnando.emotivamente in questa fase iniziale? E chi praticamente? 
Allora diciamo che emotivamente ci sono molte persone che mi sostengono, ma sicuramente mia madre e Tony in modo particolare, mentre nella pratica sicuramente il ruolo fondamentale è del mio chitarrista.
Proverai o hai già provato a trasformare qualche tua poesia in canzone?
Sì, ho già provato, perché la maggior parte delle mie canzoni derivano da poesie scritte da me.
Che cosa ti ispira maggiormente nella composizione? 
Diciamo che sono molto istintiva, quindi non c'è una vera ispirazione, ma semplicemente durante una giornata dipende da cosa mi capita o che tipo di emozione provo in quel preciso istante, e allora prendo carta e penna e scrivo, scrivo semplicemente le mie emozioni.
Che tipo di canzoni dovremmo aspettarci da te nel prossimo futuro? 
Visto che sono istintiva sarà una sorpresa anche per me, non saprei cosa rispondere con precisione sicuramente canzoni piene di emozioni.
Per te "Sarebbe bello" se...? 
Per me "Sarebbe bello" se con le mie canzoni potessi far arrivare alle persone che mi ascoltano tutto quello che provo e che sento dentro di me. Giovanni Zambito.

Libri, Giulio Perrone a Fattitaliani: la cosa più bella è dialogare con i lettori. L'intervista

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Può un uomo rovesciare il triangolo amoroso, lasciare sua moglie per una compagna più giovane per poi diventare l’amante dell’ex moglie? Ebbene sì! È quello che succede in “Consigli pratici su come uccidere mia suocera” di Giulio Perroneedito da Rizzoli. Il protagonista è un quarantenne romano, Leo Mameli, un valutatore di testi inediti per una casa editrice che è costretto ad occuparsi dell’annoso tema per motivi professionali e ad uccidere tante suocere nella sua testa per riuscire a risolvere tutta una serie di problemi, come il rapporto difficile con la madre ed un padre stranissimo al quale spesso fa lui stesso da genitore, invertendo i ruoli. È lui stesso un ragazzino che difficilmente prende delle decisioni importanti o fa le scelte giuste nella vita. Un quarantenne che potremmo definire ancora adolescente. Rimanda continuamente il suo ingresso nell’età adulta pur trovandosi spesso ad un passo dal bivio. Le sue donne sono molto diverse tra di loro. Una è matura e cerca di spronarlo, l’altra è molto giovane, ha dei sogni, dei progetti delle aspettative per il futuro. 
Il libro è fruibile, si legge facilmente, piace alle suocere ma anche a chi, come Leo, non compie scelte precise, rimandando di continuo. È una ventata di leggerezza che fa ridere, sorridere ma anche riflettere!
"Consigli pratici su come uccidere mia suocera”. Un titolo insolito, non trovi?
È un titolo che ha a che fare con una parte della trama però poi fortunatamente non muore nessuna suocera ma il protagonista è costretto ad occuparsi per motivi professionali di questo tema e mi sembra interessante e divertente da una parte perché poi la suocera a volte immotivatamente è considerata un motivo di disturbo all’interno dei rapporti e poi perché in fondo il protagonista per crescere e diventare finalmente uomo da ragazzo qual è pur avendo quarant’anni, deve probabilmente uccidere tante suocere nella sua testa per riuscire a risolvere tutta una serie di suoi problemi. 
Chi è Leo Mameli? 
È un personaggio secondo me molto attuale per certi versi, è un uomo un po’ irrisolto che ha rovesciato il classico triangolo amoroso perché ha lasciato sua moglie per una compagna più giovane, come spesso accade ma la cosa particolare che scopriamo quando inizia la narrazione è che la sua ex moglie è diventata la sua amante. Pensavo che questa cosa fosse assolutamente di fantasia, invece poi girando qua e là per presentare il libro, incontrando lettori, mi sono reso conto che è una cosa non troppo anomala e mi ha stupito molto. Vuol dire che nella vita davvero non riusciamo a fare delle scelte fino in fondo ma anche nei rapporti sentimentali ci portiamo sempre dietro qualcosa che non riusciamo mai ad eliminare del tutto, persino quando proviamo a chiudere un rapporto. 
Come mai il Variegato alla Nutella ti mette ansia? 
Questa era una cosa che nell’incipit del libro c’è la prima volta in gelateria del giovane protagonista. Lì conosce una bambina che lo turba n questa conoscenza puerile, bambinesca e ragiona su quella che è l’attualità. Una volta, negli anni '80, uno andava in gelateria e facilmente metteva insieme un cono gelato, oggi ci stanno più di 150 gusti ed uno arriva lì davanti e rimane quasi in difficoltà. Scegliere un gelato è diventata una scelta molto complessa
Precario con le donne, precario con il padre e nella vita? 
Quando si ha una famiglia che un po’ ti ha lasciato in sospeso, lui ha un rapporto difficile con la madre, quasi inesistente ed ha questo padre stranissimo che gli crea soprattutto problemi invece di aiutarlo e certe volte il ruolo viene invertito. Venire da una condizione del genere, ti porta ad essere sempre un po’ precario anche nei sentimenti. Lui da una parte è sicuramente colpevole di questo immobilismo, dall’altra parte è vittima del mondo in cui è cresciuto. 
Per te che senso ha la parola temporeggiare? 
È una cosa pericolosa. A volte nella vita lo si deve fare. Certe volte bisogna anche riflettere e aspettare l’occasione più propizia per fare delle scelte. Temporeggiare sempre e non scegliere, significa non vivere. La scelta implica di abbandonare una strada e prenderne un’altra e quindi provare a realizzare un progetto, a portare avanti una famiglia, avere dei rapporti che siano limpidi e chiari e quindi non scegliere mai, temporeggiare sempre, effettivamente ti porta a non vivere. 
Il libro che successo di pubblico ha avuto? 
È andato discretamente bene, con l’Editore siamo stati abbastanza contenti, si è cercato di fare un buon lavoro insieme come sempre. Mi ha fatto soprattutto piacere raccogliere i pareri dei lettori. Credo che la cosa più bella quando scrivi un romanzo sia poter dialogare con chi l’ha letto e devo dire che sono stati dei confronti molto positivi. 
Siamo sotto Natale, per chi lo consigli? 
Può essere un regalo divertente da fare alla propria suocera, la mia si è divertita a leggerlo. Tranne poi tentare di avvelenarti, la minestra del dì di festa… Ride! Essendo molto ironico credo che possa divertire anche le suocere. Molte mi hanno scritto che si sono divertite. Penso che per i temi che tratta, possa essere adatto alle donne per capire meglio il modo di ragionare maschile. Il mio obiettivo era raccontare il punto di vista maschile senza fare sconti al protagonista, quindi descriverlo per quello che era. Per il pubblico femminile può essere uno strumento divertente per capire qualcosa in più di come ragionano gli uomini.


Elisabetta Ruffolo
Leggi qui gli articoli di Elisabetta Ruffolo

Franca Sozzani, mercoledì 13 dicembre a Parigi ritratto di un’avanguardista della moda

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Direttrice di “Vogue Italia” dal 1988 al 2016, Franca Sozzani è stata una delle più grandi figure del giornalismo di moda. Sempre a favore dell’avanguardia e dell’indipendenza di vedute, la Sozzani ha saputo fare della rivista che ha diretto un punto di riferimento mondiale e imprescindibile nel suo settore.
Suo figlio, il regista Francesco Carrozzini, ha voluto onorare il talento della madre realizzando un documentario intitolato Franca: Caos e creazione, presentato al Festival del Film di Venezia nel 2016. Arricchito dalle testimonianze dei suoi cari e dei suoi amici, da Bruce Weber a Anna Wintour, da Giorgio Armani a Valentino, da Kate Moss a Naomi Cambpell, l’opera che presentiamo stasera in anteprima francese ricostruisce la traiettoria di Franca Sozzani così come le innovazioni editoriali che ha realizzato nel corso della sua carriera. Per evocare il suo lavoro di avanguardista abbiamo invitato Maria Grazia Chiuri, direttrice artistica delle collezioni di alta moda di Christian Dior, Sara Maino Sozzani, direttrice di “Vogue Talents”, e Carla Sozzani, sorella di Franca e celebre gallerista. Il dibattito sarà seguito dalla proiezione di Franca: Caos e creazione di Francesco Carrozzini (U.S.A., I, 2016, vostf, 80’).
Informazioni
Parigi, Istituto italiano di cultura
Data: Mer 13 Dic 2017
Orario: Alle 19:00
Ingresso : Libero

NAPULAMMORE, "Nell'Aterno scorre Musica" chiude il 15 dicembre a L'Aquila con un omaggio alla canzone napoletana

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Sarà un omaggio alla canzone napoletana, con il concerto “NAPULAMMORE” del quartetto di Osvaldo Caruso (chitarra), Marco Adovasio (mandolino), Domenico Ciccone (tammorre e percussioni) e Francesco Santoro (voce)  a chiudere la XI edizione del festival “Nell’Aterno scorre Musica 2017”, in programma, ad ingresso libero, per venerdì 15 dicembre, alle ore 18.00 presso il Palazzo di Giustizia (di via XX settembre) dell’Aquila, con il sostegno della Fondazione Carispaq.

"E’ un evento a cui tengo davvero molto  - afferma Sara Cecala, pianista e direttore artistico della Rassegna. Per la prima volta, dopo gli interventi  di restauro dell’edificio che ospita la Corte d’Appello ed il Tribunale, apriamo le  porte alla cittadinanza intera e lo facciamo con un evento culturale, un concerto dalle sonorità partenopee.
Questa scelta, fortemente voluta da me e sostenuta con convinzione dal mio presidente l’avv. Carlo Peretti (Sara Cecala è anche avvocato ndr) si riempie di significato nel considerare il ruolo indefettibile che, ora più che mai, il Palazzo di Giustizia riveste per la nostra città quale preminente presidio di legalità, a tutela dei diritti dei singoli e della collettività, nella delicata fase della ricostruzione pubblica e privata.
Ritengo, pertanto, che  la sede di via XX Settembre debba a tutti gli effetti annoverarsi tra i luoghi identitari del nostro capoluogo; tra altro, l’appuntamento musicale sarà l’occasione per scoprire uno spazio architettonico davvero bello e funzionale - sottolinea il direttore artistico Cecala - e per scambiarci gli auguri di Natale, accompagnati dalle note appassionate del mandolino, dai ritmi infuocati delle tammorre e dalla timbrica suadente della chitarra. Porgo, infine, un sentito ringraziamento al Procuratore Generale e al Procuratore della Repubblica, alla Presidente della Corte d’Appello, al Presidente del Tribunale per l’ospitalità e al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, al Presidente e a tutti i colleghi per l’adesione all’iniziativa e per aver messo a disposizione la Sala Assemblea ed offerto il brindisi finale”.

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