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Segnalibro, Romana Petri e "Il mio cane del Klondike": un animale in casa è un pezzo di natura. L'intervista di Fattitaliani

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Romana Petri, traduttrice, editrice e critica letterario, nonché vincitrice di numerosi premi, ha da poco pubblicato per Neri Pozza "Il mio cane del Klondike", la storia di un cane selvaggio, di un abbrutito spesso in preda a spasimi suoi incomprensibili che lo rendevano anche un po’ ottuso. Un cane binario e bipolare, un sofferente psichico, un disadattato. Un cane nero. L'intervista di Fattitaliani per la rubrica "Segnalibro".
Quali libri ci sono attualmente sul suo comodino?
Paolo Isotta - Il Canto degli animali, Brunella Schisa - La nemica e Paolo di Paolo - Vite che sono la tua.
L'ultimo "grande" libro che ha letto?
Era mia madre di Iaia Caputo.
Chi o cosa influenza la sua decisione di leggere un libro?
Stare ore in libreria a frugare tra gli scaffali e farmi sedurre.
Quale classico della letteratura ha letto di recente per la prima volta?
La guerra del Peloponneso.
Secondo lei, che tipo di scrittura oggi dimostra una particolare vitalità? 
È vitale la buona scrittura. In genere preferisco saggi e romanzi.
Personalmente, quale genere di lettura Le procura piacere ultimamente?
Le riletture, perché quel che ci ha colpito va riletto per vedere se tocca ancora gli stessi nervi. Esempio. Oblomov. Straordinario.
L'ultimo libro che l'ha fatta sorridere/ridere?
Tutti i libri di Chiara Moscardelli perché è una comica irresistibile.
L'ultimo libro che l'ha fatta commuovere/piangere?
Animali e uomini di Ana Paula Maia, perché ci fa capire quanto è profondo l'animo animale.
L'ultimo libro che l'ha fatta arrabbiare?
Non arrivo mai al punto di arrabbiami. Chiudo prima.
Quale versione cinematografica di un libro l'ha soddisfatta e quale no?
Morte a Venezia. No Lo straniero.
Quale libro sorprenderebbe i suoi amici se lo trovassero nella sua biblioteca?
Qualsiasi giallo. Non ne ho mai letto uno.
Lei organizza una cena: quali scrittori, vivi o defunti, inviterebbe?
A cena voglio Rocco Carbone, il mio più caro amico e grande scrittore scomparso nove anni fa. Mi manca così tanto che ho posto solo per lui.
Ricorda l'ultimo libro che non è riuscito a finire?
Non ricordo titolo e autore, ma era un complicatissimo libro sulla matematica. Mi è dispiaciuto non essere all'altezza.
Quale scrittore vorrebbe come autore della sua biografia?
Purtroppo è già morto, ma vorrei solo Miguel Deunamuno perché diceva: "Non voglio morire e non voglio volerlo!"
Che cosa c'è di Romana Petri ne "Il mio cane del Klondike"?
C'è il selvaggio che ho ereditato da quel cane indomabile. Osac era contagioso. Un animale in casa è un pezzo di natura. Lui era davvero come avere mezzo Klondike. Giovanni Zambito.
©Riproduzione riservata
IL LIBRO, Neri Pozza Editore (pag. 208, €16)
Lei è una giovane insegnante alle prese con un lavoro precario, lui uno di quei cani portati a casa per compiacere un bambino subito dopo il rientro dalle vacanze e poi, l’anno successivo, buttato in strada con un collare d’acciaio che nel frattempo si è fatto un po’ stretto.
In una afosa giornata di settembre, una di quelle che aspettano una pioggia già in ritardo, i due si incontrano. Osac, il cane, è riverso a terra contro il marciapiede, più morto che vivo. Lei, la donna, sta per salire in macchina, ma quando lo nota, si  ferma e decide di prenderlo con sé.
Il loro incontro sembra scritto nel destino, ma Osac non è un cane come gli altri.  Ingombrante, indisciplinato, scontroso e selvatico, è senza mezze misure e sembra arrivare direttamente dal selvaggio Klondike. Non è, tuttavia, un cane da slitta. È uno di quei cani indomabili che vivono sempre fuggiaschi, che sentono il «richiamo della foresta» e faticano a lasciarsi addomesticare. Il terrore dell’abbandono si è riversato nei suoi occhi, dandogli un’aria forsennata, infernale. Un animale primitivo che non riesce ad accettare interferenze nel rapporto esclusivo e assoluto che instaura con la sua salvatrice, amata in modo morboso, senza riserve. Fino a  quando la notizia di una gravidanza inaspettata stravolgerà, nuovamente, la sua vita.
Dopo aver dato voce alla figura del padre ne Le serenate del Ciclone, Romana Petri torna a raccontarsi attraverso gli occhi di un altro «gigante» buono: il selvaggio  Osac, un cane che, con la sua furia ribelle, sembra uscito da un libro di Jack London.
L'AUTRICE
Nata a Roma, Romana Petri vive attualmente tra questa città e Lisbona. Ha ottenuto numerosi premi come il Premio Mondello, il Rapallo Carige, il Grinzane Cavour e il Bottari Lattes. È stata due volte finalista al Premio Strega. Traduttrice, editrice e critico letterario collabora con ttl La Stampa, il Venerdì di Repubblica, Corriere della Sera e Il Messaggero. È tradotta in Inghilterra, Francia, Stati Uniti, Spagna, Serbia, Olanda, Germania e Portogallo. Tra le sue opere: Ovunque io sia (BEAT 2012), Alle Case venie, I padri degli altri, La donna delle Azzorre, Dagoberto Babilonio, un destino, Esecuzioni, Tutta la vita, Figli dello stesso padre e Giorni di Spasimato amore.

Stefano Calvagna, al lavoro su 2 nuovi film, il regista torna alle origini internazionali

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Non sono trascorsi neppure quattro mesi dall’uscita in sala del thriller La fuga, suo ultimo lavoro, ma il romano Stefano Calvagna è già impegnato nella post-produzione di due nuovi lungometraggi: il poliziesco Cattivi & cattivi, girato a Roma e interpretato da Massimo Bonetti, Claudio Vanni, Emanuele Cerman, Ines Nobili e Andrea Autullo, e No one likes us, che, realizzato a Londra con attori di fama internazionale del calibro di Sean Cronin, Adam Shaw, Rachel Warren e Ilario Calvo, unisce due grandi passioni del regista: quella per il cinema e quella per il calcio.

Una ventiquattresima fatica dietro la macchina da presa, quest’ultima, di cui l’autore del biopic califaniano Non escludo il ritorno e di non pochi film che affrontano tematiche sociali (dall’insegnante accusato di pedofilia de L’uomo spezzato alle vittime di usura de Il peso dell’aria), si ritiene particolarmente felice in quanto segna il suo ritorno agli esordi internazionali.
Perché, pur avendo allestito i propri set quasi esclusivamente in terreno italiano, Calvagna ha studiato regia e recitazione a Los Angeles, vantando una delle sue prime importanti esperienze registiche in Beverly Hills 90210, la popolarissima serie televisiva che conquistò tanti giovani negli anni Novanta.
Un nuovo traguardo artistico, dunque, per colui che debuttò raccontando in fotogrammi la “banda del taglierino” tramite Senza paura.

Una Notte al Regio, mercoledì 19 novembre al Teatro Regio di Torino

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A pochi giorni dall’ultima rappresentazione del Fastalff verdiano, mercoledì 29 novembre andrà in scena Una Notte al Regio presso il Teatro Regio, terzo appuntamento del progetto Club Silencio.

Ideato e realizzato dall’Associazione Culturale Club Silencio e giunto alla sua seconda edizione, inaugurata al Museo Egizio e proseguita solo poche settimane fa al Museo del Risorgimento, intende valorizzare e promuovere il patrimonio storico-culturale dei musei e degli edifici storici d’Italia attraverso l’organizzazione di iniziative serali.

Come di consueto l'appuntamento prevede l'apertura serale dei luoghi d'eccellenza della cultura, il pubblico è accolto da performance musicali e/o teatrali, ed accompagnato nella visita, gratuita, della struttura ospitante, con l'obiettivo di sensibilizzare alla tradizione, all'architettura e all'arte e di poter ammirare le eccellenze piemontesi.

Dalle ore 19.00 l’elegante foyer del Toro del Teatro, accoglierà tutti i partecipanti con aperitivo accompagnato dalla musica del dj torinese Primitive.  
I grandi saloni rossi saranno il punto di partenza del percorso di visita, curato dalle guide del Teatro Regio, che condurranno i visitatori attraverso la storia del Teatro e delle opere da esso ospitate, passando dalla splendida sala all’emozionante palcoscenico, sbirciando nel dietro le quinte e giungendo quindi al Piccolo Regio.

Per una serata spettacolare e indimenticabile ed all'insegna della buona musica!


INFO:
aperitivo + 1 consumazione 20 €
dalle 21.45 circa post aperitivo (comprensivo di una consumazione) 10 €
Per partecipare all'evento, è necessario accreditarsi al seguente link: http://event.clubsilencio.it/regio/
Sito: www.clubsilencio.it
Teatro Regio, Piazza Castello 215

Teatro Alighieri di Ravenna, La stagione d'Opera e Danza 2017/18

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L’appuntamento di apertura della Stagione Opera 2017/18 - appena concluso il grande sforzo produttivo della Trilogia d’Autunno con la messa in scena di tre nuovi titoli: Cavalleria rusticana, Pagliacci e Tosca - porta al centro dell’impegno del Teatro Alighieri una nuova produzione originale di teatro musicale, La guerra dei topi e delle rane.
Seguiranno tre coproduzioni con importanti soggetti nazionali dello spettacolo dal vivo su titoli che delineano un percorso fra fine Settecento e Novecento: Don Giovanni di Mozart, Simon Boccanegra di Verdi e La fanciulla del West di Puccini. Sul fronte danza il cartellone presenterà lavori di coreografi di punta in Italia e in Europa, affidati ad alcune fra le più prestigiose compagnie della danza contemporanea. In apertura Bella addormentata, nuova creazione di Diego Tortelli che rivisita il celebre classico col Balletto di Toscana Junior. Dalla Francia ritorna con La Fresque il prestigioso Ballet Preljocaj, mentre la compagnia Introdans, per la prima volta a Ravenna con Hooray for Hans!, offre un omaggio al maggiore coreografo olandese, Hans van Manen. La stagione si chiuderà con Aterballetto che presenterà Bliss, coreografia dello svedese Johan Inger, e Words and Space firmato dal ceco Jiří Pokorny. Un programma che conferma il percorso avviato ormai da diversi anni, che fa del Teatro Alighieri la più importante fabbrica culturale della città, grazie al sostegno del Comune di Ravenna, della Regione Emilia Romagna e del Ministero dei beni e delle attività culturali, con il contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e la partnership di Unipol Banca.

OPERA
La guerra dei topi e delle rane (18, 19 dicembre matinées per le scuole; 18 dicembre per il pubblico, fuori abbonamento) è un’operazione che sarebbe riduttivo definire “per ragazzi” e prosegue idealmente l’esperienza de Il viaggio di Roberto con la quale, nel 2014, si era reso omaggio alla memoria della giovane vittima di Auschwitz Roberto Bachi. Questa volta lo spunto viene dal poemetto satirico di Giacomo Leopardi Paralipomeni della Batracomiomachia, che arriva sul palcoscenico dell’Alighieri in veste di favola musicale in un atto. La Batracomiomachia - parodia del VI secolo a. C. dei poemi epici e dei loro eroi, rappresentati da rane, topi e granchi - offrì a Leopardi l’occasione per un’ironica e amara rilettura dei moti patriottici del suo tempo, attraverso il completamento (paralipomeni appunto) del poemetto ellenistico. Oggi la co-produzione realizzata con il Teatro Comunale di Ferrara, ricca di musiche e testi di straordinaria freschezza, diventa un’occasione per riflettere sulla guerra e le sue cause, spingendosi oltre la genesi originale incentrata sulle vicende di patrioti italiani (i topi), Asburgo (i granchi) e Borboni (le rane). La rivisitazione e la riscrittura portano la firma di Giampiero Pizzol, che ha creato il libretto, mentre le musiche sono state commissionate all’eclettico compositore Alessandro Spazzoli. La regia di Daniela Piccari si avvale delle video proiezioni di Stefano Bisulli, mentre protagonisti in scena e in orchestra sono tutti ragazzi provenienti da alcune fra le più qualificate realtà musicali del territorio: il Coro dell’Istituto Musicale Verdi di Ravenna diretto da Antonio Greco, i solisti vocali e maestri collaboratori del Liceo Musicale Statale di Forlì coordinati da Davide Cavalli, l’Orchestra dei Giovani di Ravenna guidata da Franco Emaldi, diretta per l’occasione da Stefano Pecci.

Il 12 e 14 gennaio sarà presentato il Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart che, dopo il Così fan tutte della stagione precedente, continua il percorso della trilogia Mozart/Da Ponte realizzato in collaborazione con il Festival di Spoleto e il Teatro Coccia di Novara. Con questo Don Giovanni, che ha inaugurato quest’anno il 60° Festival di Spoleto, va in scena la seconda delle tre opere italiane che Mozart scrisse su libretto di Lorenzo Da Ponte e che fece seguito alla grande eco che Le Nozze di Figaro ebbero presso i teatri di tutta Europa: un “dramma giocoso in due atti” in cui si combinano drammaticità e comicità, musica e parola, realismo e invenzione. Fin dall’entusiastica accoglienza al suo debutto al Teatro Nazionale di Praga nell’autunno del 1787, l’opera ha goduto di una vita scenica praticamente ininterrotta, considerata fra i massimi capolavori in assoluto di tutto il repertorio operistico. La produzione partita dal Festival dei Due Mondi con la regia di Giorgio Ferrara, le scene di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo e i costumi di Maurizio Galante, vedrà a Ravenna la direzione di Matteo Beltrami, sul podio dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini già protagonista dell’intero percorso della trilogia andato in scena a Spoleto; il coro S. Gregorio Magno sarà diretto da Mauro Rolfi.

Dal genio compositivo austriaco a quello italiano con un balzo di oltre un secolo: La fanciulla del West di Giacomo Puccini (16 e 18 febbraio), rivivrà in un allestimento frutto di una cordata co-produttiva tra Italia e Stati Uniti che ha visto coinvolti il Teatro del Giglio di Lucca, il Teatro Lirico di Cagliari, l’Opera Carolina e la New York City Opera, nonché i teatri di Ravenna, Modena, Pisa e Livorno. Nel 1910 il Metropolitan Opera Theatre offrì a Puccini l’allora esorbitante cifra di 20.000 lire per la composizione di quest’opera, in virtù del prestigio e del riconoscimento artistico che la paternità pucciniana potevano assicurare. Ne nacque una partitura complessa e raffinata, in cui il compositore lucchese si spinse alla ricerca di nuovi stimoli e linguaggi musicali extraeuropei. La regia di Ivan Stefanutti trasporta lo spettatore nell’America della corsa dell’oro, facendo leva su una scena minimalista di forte impatto e su costumi fedelissimi, l’una e gli altri curati dal regista stesso; a guidare l’Orchestra della Toscana, l’americano James Meena di Opera Carolina. 

Chiuderà la stagione d’Opera, il 2 e 4 marzo, il Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, nella seconda versione andata in scena nel 1881 al Teatro alla Scala, con il contributo di Arrigo Boito. La coproduzione ripropone la collaborazione fra la Fondazione Teatri di Piacenza e il Teatro Alighieri - cui si aggiunge quest’anno l’Opéra de Marseille – attorno a percorsi con giovani cantanti affidati alla regia di Leo Nucci. L’allestimento, da lui ideato in sinergia con Salvo Piro, è orientato a definire uno spazio scenico fortemente tradizionale, caratterizzato dalla ricercatezza dei costumi di Artemio Cabassi e da rimandi alla potenza di Genova. In buca l’Orchestra dell’Opera Italiana diretta da Pier Giorgio Morandi; il coro è quello del Teatro Municipale di Piacenza.

DANZA
Il programma della Danza, che scorre in parallelo con quello dell’Opera, si aprirà il 20 gennaio (replica 21) con una nuova creazione del Balletto di Toscana Junior: la compagnia - diretta da Cristina Bozzolini e formata da giovani fra i 16 e i 21 anni, vera e propria palestra per autori e interpreti della nuova generazione - presenta Bella addormentata di Diego Tortelli. Dopo una ricchissima esperienza come danzatore, Tortelli ha intrapreso da qualche anno la carriera di coreografo, segnalandosi come una delle presenze più interessanti della danza italiana. Nuova rilettura di un grande classico, Bella addormentata trasporta il capolavoro di Cˇajkovskij sulle strade frenetiche di una moderna metropoli, specchio della nostra epoca: qui uno scrittore solitario vive in una stanza astratta, creata dai suoi sogni e dalle sue fantasie, dove immagina la sua Aurora, rappresentazione tanto perfetta quanto irreale dell’amore ideale cui tutti aspirano. A differenza della favola originale di Perrault e del celebre balletto di Petipa, lo scontro tra il bene e il male qui lascia spazio a una riflessione introspettiva che mette al centro il conflitto col proprio alter ego, con le proprie ossessioni e illusioni, e dove per ritrovarsi occorre ritornare a misurarsi col mondo reale.

Il 3 e 4 febbraio il ritorno della prestigiosa compagnia di Angelin Preljocaj con una creazione per 10 danzatori, La Fresque. Il coreografo francese continua ad indagare l’universo dei racconti: in questo caso la pista ancora inesplorata dei racconti tradizionali dell’Asia, noti per la loro ricchezza e la loro forza poetica. Il racconto diviene la fonte di un adattamento più contemporaneo che immerge lo spettatore in uno spazio fantastico al crocevia fra culture, senza banali esotismi, pur mantenendone la trama e le evocazioni simboliche sulla partitura elettronica di ispirazione orientale firmata da Nicolas Godin.  

Hooray for Hans! sul palcoscenico dell’Alighieri il 24 e 25 febbraio, è un omaggio al più importante coreografo olandese, Hans van Manen, offerto da Introdans. Dal 1995 la compagnia ha inserito più di venti opere del maestro nel proprio repertorio e ora ne festeggia l’ottantacinquesimo compleanno con una serata che include tre sue coreografie. Polish Pieces è uno dei lavori più effervescenti e colorati di van Manen: creato sulla potente musica di Górecki, presenta dodici danzatori in tuniche colorate che sfilano sul palcoscenico in un crescendo di combinazioni coreografiche sempre diverse, piene di energia, pulsanti e in un gioco fantastico di linee. In and Out si basa sulla limitazione scenografia derivante da tre grandi scatole nelle quali, e dalle quali, i ballerini scompaiono e appaiono ripetutamente, si raggruppano e si disperdono per appendersi, scivolare e salire su tutte e tre le strutture. Inizialmente l’atmosfera è più leggera e giocosa ma, quando la musica di Laurie Anderson lascia il posto a quella di Nina Hagen, il “veleno” e l’aggressività cominciano ad affiorare, anche se in modo molto sottile e raffinato. Black Cake è infine una deliziosa “torta di compleanno”, creata dal coreografo per il trentesimo giubileo del Nederlands Dans Theatre nel 1989, un ritratto al tempo stesso tagliente e divertente di una festa chic frequentata da gente chic, che presto però dimostra di non essere così tanto chic!

La Stagione Danza si chiude con Aterballetto: il 17 e 18 marzo la compagnia italiana presenterà due pièce, Bliss e Words and Space. A guidare il coreografo svedese Johan Inger nella creazione della prima, premio Danza&Danza 2016, sono state l’iconica musica di Keith Jarrett, vero e proprio ritratto di una generazione, e la voglia di raccontare insieme ai danzatori il rinnovarsi dell’incontro e la relazione con questa musica iconica, per riviverne tutta la sfida sia compositiva che emotiva. È invece originario di Praga Jiří Pokorny, autore del secondo lavoro su musiche del repertorio barocco, che rappresenta la metafora di un dialogo intrapersonale, un confronto con il proprio io, un racconto intimo che rivela tutta la vulnerabilità e l’autenticità della nostra esperienza individuale.

Info e prevendite: Biglietteria Teatro Alighieri - tel. 0544 249244 – www.teatroalighieri.org

Biblioteca Classense
L’ippogrifo in cielo e l’aratro in terra
Le figure del mito e della storia nel teatro musicale del secondo millennio
Cinque dialoghi a cura di Guido Barbieri

Un’importante novità della prossima stagione sarà il ciclo di conversazioni che accompagnerà lo svolgersi delle opere in programma: si è scelto infatti di ripensare l’appuntamento ‘prima dell’opera’, prezioso strumento di informazione e di formazione, immaginando una nuova formula che potesse costituire l’occasione di un ulteriore arricchimento e approfondimento per il nostro pubblico. Dalla tradizionale presentazione titolo per titolo si passerà infatti a un percorso tematico che inserisce le varie opere in programma nel contesto più sistematico di una riflessione unitaria, avvalendosi di un unico relatore a cui è affidato il compito di sviluppare ragionamenti di più ampio respiro e maggiore organicità. La fortunata circostanza della presenza da alcuni anni nella nostra città di un musicologo, divulgatore e docente di Storia della Musica di grande competenza e capacità quale Guido Barbieri, ci ha spinto a intraprendere questo nuovo percorso assieme a lui, avendo individuato nel tema delle figure del mito e della storia il filo conduttore che lega i titoli in programma quest’anno. Gli incontri, articolati in un ciclo di 5 conversazioni, si svolgeranno il sabato mattina in uno dei luoghi di cultura più prestigiosi e pregnanti della nostra città quale la Biblioteca Classense, nella speranza che questa nuova opportunità possa essere colta da un pubblico sempre più ampio e trasversale, facilitando in particolare la partecipazione degli studenti universitari.

> Sabato 13 gennaio ore 10.30 – Orfeo, Nerone e S. Alessio
> Sabato 20 gennaio ore 10.30 – Didone, Giulio Cesare e Don Giovanni
> Sabato 10 febbraio ore 10.30 – Florestano, Guillaume Tell, Boccanegra e Don Carlo
> Sabato 17 febbraio ore 10.30 – Mélisande, Pierrot, Minnie e Turandot
> Sabato 3 marzo ore 10.30 – Lady Macbeth, Wozzeck, Oedipus e il Re di Atlantide
Info. 0544 249244 - Ingresso libero 

Libri, I figli del deserto di Nonuccio Anselmo: presentazione il 28 novembre al Centro culturale Biotos

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Il nuovo romanzo di Nonuccio Anselmo "I figli del deserto" sarà presentato martedì 28 novembre al Centro culturale Biotos di via XII gennaio a Palermo, ore 17,30. Ne parleranno i giornalisti Gaetano Basile e Daniele Billitteri.

C'è una "guerra" tra santi e per giunta "padri del deserto", che si conclude con un prigioniero speciale: l'arciprete del paese. Anche in questo caso c'entra un "padre del deserto", Onofrio, la cui magnifica e importante statua lignea è stata distrutta dall'arciprete perché la sua nudità sugli altari dava scandalo. L'allucinante vicenda si conclude con una particolare sentenza, coinvolgendo fantasmi d'oggi e fantasmi del passato. 
Oltre all'investigatore ufficiale - il maresciallo dei carabinieri - c'è anche un investigatore speciale: il comandante dei vigili urbani del paese, uno abituato a sbracciare e a non stare nei ranghi. Sarà proprio lui a scoprire che quando i padri del deserto sono costretti ad abdicare, la notte arriverà con l'intervento dei "figli del deserto".
Sono questi i temi del nuovo romanzo di Nonuccio Anselmo "I figli del deserto" in questi giorni nelle librerie, che sarà presentato a Palermo da Gaetano Basile e Daniele Billitteri al Centro cuturale Biotos di via XII Gennaio, 2, martedì 28 novembre alle ore 17,30.
Nonuccio Anselmo, nato a Palermo, ha trascorso la giovinezza a Corleone, paese del padre. In città è tornato per gli studi superiori. Qui ha iniziato a collaborare con il Giornale di Sicilia, divenendo redattore nel 1971. Al Giornale di Sicilia ha vissuto tutta la sua vita professionale, prima come inviato, poi come caposervizio, infine come redattore capo. E’ stato responsabile di diversi servizi del giornale fino a quando è arrivato alla Segreteria di redazione. Ha scritto diversi saggi di storia e di folklore prima di approdare alla narrativa. Sei i romanzi finora pubblicati: “Farmacia Bisagna”, “I leoni d’oro”, “I campieri di Cristo”, “Nostalgia della luna”, "Scarafaggi maculati", “L’erba nera della notte”. A questi si aggiunge adesso il nuovo "I figli del deserto".

Bruxelles, il 28 novembre presentazione del libro "Bobi Bazlen. L'ombra di Trieste" di Cristina Battocletti

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Presentazione della biografia Bobi Bazlen. L'ombra di Trieste (La nave di Teseo, 2017) di Cristina Battocletti e dell'ultimo libro del noto critico d'arte Gillo Dorfles Paesaggi e personaggi (Bompiani, 2017). 

Intervengono: l'autrice Cristina Battocletti e Claudio Gigante (ULB). 
Bobi Bazlen è stato uno dei maggiori protagonisti dell'editoria del Novecento. Consulente di Einaudi e delle più importanti case editrici italiane, ha fondato assieme a Luciano Foà le editorie di Adelphi. Grazie a lui venne scoperto Italo Svevo e pubblicata la letteratura mitteleuropea fino ad allora sconosciuta, tra cui Franz Kafka e Robert Musil. Chi era dunque Roberto, Bobi, Bazlen? Perché era amato da tanti, come la poetessa Amelia Rosselli, e avversato da altri, come il regista Pier Paolo Pasolini e lo scrittore Alberto Moravia? Una vita piena di passioni, sofferenze, amicizie profonde e frequentazioni di intellettuali come Elsa Morante. Dalle mattinate passate nella bottega di Umberto Saba, al dialogo ininterrotto con Eugenio Montale, all’avventura della psicoanalisi di cui fu uno dei primi pazienti. Questo libro racconta un Bazlen inedito, attraverso documenti e nuove testimonianze che riportano a Trieste, la città che lasciò a 32 anni senza farvi (forse) più ritorno.
Cristina Battocletti, nata a Udine, è vice responsabile della “Domenica” del Sole24Ore. Critica cinematografica, ha pubblicato il suo primo testo, selezionato al Grinzane Cavour, nei Racconti del sabato sera (Einaudi, 1995). Ha scritto a quattro mani la biografia di Boris Pahor, Figlio di nessuno (Rizzoli, 2012), premio Manzoni come miglior romanzo storico. Nel 2015 ha pubblicato il romanzo La mantella del diavolo (Bompiani), che ha vinto il "Premio Latisana per Il Nord Est" ed è stata finalista ai premi Bergamo, Rapallo e Asti.

Prenotazione obbligatoria qui
Informazioni

Data: Mar 28 Nov 2017
Orario: Dalle 19:00 alle 21:00
Organizzato da : Istituto Italiano di Cultura
Ingresso : Libero

L'ATTRICE ANGÉLIQUE CAVALLARI CONTINUA IL SUO VIAGGIO MUSICALE

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Attrice, poetessa e performer di fama internazionale, la nostra Angélique Cavallari ama da sempre mettersi in gioco. E così, qualche mese fa, ha deciso di realizzare un sequel della sua raccolta poetica “Universo A - Nutrici di nuvole e Terra”, associando però i versi (in tre lingue francese italiano e inglese) a dei tappeti sonori, principalmente di stampo elettronico. Un progetto sperimentale, che lei ha deciso di chiamare “Collection A” e per il quale sta collaborando con il compositore e arrangiatore Alexis Bret.

Angélique si cimenta non solo con la voce, ma anche con tastiere, sintetizzatori e biblioteche di suoni raccolti nel corso degli anni.
I primi brani hanno avuto ottimi riscontri, sia da parte del pubblico che degli addetti ai lavori, tanto che la scorsa estate Angélique è stata ospite della residenza artistica Crocevia a Scicli (in provincia di Ragusa) insieme ad altri nomi importati come Chrysta Bell (musa di David Lynch), con la quale condivide non solo il percorso artistico ma anche la passione per un certo mood onirico.

È stata anche protagonista e autrice di una particolarissima processione, che lei intitola "Processione Poetica" per le strade cittadine: una performance suggestiva in cui, mentre camminava sotto luna e stelle recitava i versi de "La poesia ininterrotta" di Paul Elouard, portando con sé per le vie della città persone inebriate dal momento. Esperienza affascinante, piena di incanto ed ispirazione che lascia spazio all'estraniamento e al sogno.
A proposito di sogno.. a seguito di una recente "visione onirica" si è messa subito al lavoro per nuova musica, che potremo finalmente ascoltare a breve.

Ricordiamo comunque che il primo amore di Angélique rimane la recitazione, il cinema e infatti presto tornerà sul grande schermo in “Seguimi”, film di Claudio Sestieri che la vede assoluta protagonista in un ruolo particolarmente intenso ed emozionante.
Invece, i Netflix's addicted, possono ammirarla nel film “Fantasticherie di Un Passeggiatore Solitario” di Paolo Gaudio che due anni fa aveva avuto un grande successo al celebre Fantafestival di Roma (dove aveva vinto il premio Bava), oltre che poi in Francia e in America.
Non dimentichiamo inoltre che l'attrice italo-francese (di origini torinesi) è protagonista di “Mancanza”, la trilogia di Stefano Odoardi. Una performance così coinvolgente e convincente da essere a dir poco esaltata dal celebre critico Adriano Apra.

Kaos 2017, Ignazio Bascone a Fattitaliani: la scrittura è un’architettura sulla carta. L'intervista su "La spiaggia insanguinata"

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Il 9 e 10 dicembre si svolgerà l’edizione 2017 della manifestazione Kaos festival dell’editoria, della legalità e dell’identità siciliana nei locali dell'Accademia Michelangelo di Agrigento. Ci saranno come ogni anno ncontri con autori, mostre e performance teatrali e musicali, per una contaminazione culturale ricca di appuntamenti. Fra i cinque finalisti per la narrativa c'è Ignazio Bascone con il romanzo La spiaggia insanguinata edito da Libridine. Fattitaliani lo ha intervistato: "Quando mi sono ritrovato tra i finalisti del premio Kaos - ammette l'autore - la gioia è stata immensa. Per la prima volta ho avuto un riconoscimento".

Non se l'aspettava proprio...
“La spiaggia insanguinata” non è il mio primo romanzo, segue “Tommaso l’Omu cani” e “Petralia”, entrambi editi da Libridine. Sebbene i primi due libri, ritengo, siano stati importanti per Mazara in quanto, grazie a loro, la vicenda del barbone Tommaso, sotto le cui spoglie poteva nascondersi Majorana, e di Vincenzo Modica, partito fascista per la guerra e diventato comandante partigiano in Piemonte, abbiano assunto la dimensione di storia ed entrati nella memoria collettiva della città, (a Petralia, prima sconosciuto, è stata intitolata la sede locale dell’ANPI), sono stato sempre guardato con diffidenza e trattato con scarsa considerazione. Non che avessi pretese, però un minimo di soddisfazione…
Se dovesse presentare ai futuri lettori il suo romanzo in tre frasi che cosa scriverebbe? 
La mia è una scrittura d’istinto con un vago pensiero preordinato. Solo in un secondo, terzo, quarto… tempo, faccio ordine. Per presentare il mio romanzo, sforzandomi, direi:
- “La spiaggia insanguinata” parla della Sicilia e di certi Siciliani.
- È una storia raccontata con uno schema inconsueto che non si pone sulla scia attuale dei romanzi noir.
- È scritta con uno stile moderno ma che sa d’antico, con una fluidità che spinge il lettore a consumare i capitoli. 
Quali sono le sue fonti d'ispirazione? 
Mazara è la mia prima fonte d’ispirazione, a seguire un po’ la mia vita, la lettura dei classici moderni siciliani, Sciascia, Bufalino, Consolo. Camilleri non lo leggo perché ne temo l’influenza.
"La spiaggia insanguinata"è un luogo preciso, reale o solamente della fantasia? 
La spiaggia insanguinataè l’enigmatico e reale Capu Fetu, al fondo della spiaggia di Tonnarella, Mazara. Luogo di incontri segreti, come descritto nel prologo.
La sua professione di Ingegnere in che maniera si riversa sulla scrittura? 
Considero la scrittura un’architettura sulla carta. Tutte le mie storie hanno schemi, costrutti, vicende che a fronte di una apparente frammentarietà, si ricongiungono ponendosi uno accanto o sopra o sotto all’altro e reggendosi tra loro costruiscono la vicenda, che pian piano diventa Storia.  
Le piace mettere disseminare nei personaggi un po' di se stesso, delle sue manie, delle sue qualità?
Nello scrivere metto la mia passione per la vita, l’inquietudine che avverto ogni volta che ritorno nella mia città, talvolta fatti che ho vissuto.
Qualche esempio?
Vanni mai aveva visto una cerimonia tanto intensa. Forse una volta, a San Miniato, sopra Firenze, dove un pomeriggio d’aprile si commosse assistendo ai canti gregoriani vespertini dei monaci e fu l'ultima volta che pigliò la comunione.
Oppure:
Presero la macchina e, senza dire una parola, traversarono la città. Giunti sulla litoranea di Fata Morgana trovarono un traffico così intenso che l’aria era irrespirabile. Una fiumana di auto si trascinava a passo d’uomo tra migliaia di persone che passeggiavano. I falò illuminavano la spiaggia. Pareva che tutti gli abitanti di Amhria ci si fossero riversati.
Oppure:
La donna non si fece attendere. Ritornò con un asciugamano attorno al seno, lungo appena da nascondere il pube, il viso senza lacrime, gli occhi con un filo di trucco, i capelli neri sciolti, più corti rispetto due anni addietro.
Quando ha iniziato la stesura del romanzo aveva già presente la fine oppure questa è arrivata come logica e naturale conclusione?
No, non conoscevo la fine. Sebbene la storia tragga spunto da una vicenda realmente accaduta, i fatti che si susseguono hanno avuto vita propria. La conclusione è un po’ la stessa degli altri racconti: tanto scannamento per cosa? Tanto alla fine tutto si conclude sempre alla stessa maniera. Giovanni Zambito.

FANTAFESTIVAL, i vincitori della XXXVII edizione: “Almost Dead” e “Matar a Dios”

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Annunciati i vincitori della XXXVII edizione del FANTAFESTIVAL: Miglior lungometraggio italiano “Almost Dead” di Giorgio Bruno, Miglior lungometraggio straniero “Matar a Dios” di Caye Casas e Albert Pintó. Premio Mario Bava a “The Antithesis” di Francesco Mirabelli.

Sono stati svelati i vincitori della 37^ edizione del FANTAFESTIVAL (Mostra Internazionale del Film di Fantascienza e del Fantastico), diretta da Alberto Ravaglioli. A decretare i vincitori del Pipistrello d’oro, una giuria di esperti del settore composta dal regista, sceneggiatore e critico Luigi Cozzi, Paolo Gaudio (regista e critico cinematografico) e Fabio Babini (critico cinematografico e musicale).

A vincere il Pipistrello d’oro come Miglior lungometraggio Italiano è stato il thriller horror di Giorgio Bruno Almost Dead, mentre il miglior lungometraggio straniero è andato a Matar A Dios firmato da Caye Casas e Albert Pintó. Per la sezione cortometraggi, il premio per il miglior corto italiano è stato vinto da I vampiri sognano le fate d’inverno? di Claudio Chiaverotti, quello per il miglior corto straniero da Cuerno Oe Hueso di Adrián López. Infine, il Premio Mario Bava, assegnato alla Migliore Opera Prima di produzione italiana, è stato assegnato dalla giuria composta da Carlo Modesti Pauer e Leopoldo Santovincenzo a The Antithesis di Francesco Mirabelli.

Tra gli incontri attesi al Fantafestival si è tenuto quello con Luigi Cozzi, regista di Star Crash – Scontri Stellari Oltre la Terza Dimensione e protagonista del documentario a lui dedicato Fantasticozzi, diretto da Felice M. Guerra, e con l’effettista e regista Sergio Stivaletti, che ha presentato in anteprima una clip tratta dalla sua ultima fatica dietro la macchina da presa: Rabbia Furiosa, liberamente ispirato al terribile fatto di cronaca riguardante il cosiddetto “Canaro della Magliana”.

La giornata di chiusura del festival ha visto numerosi incontri interessanti. Tra questi, oltre a Cozzi e Stivaletti, la proiezione speciale fuori concorso del mediometraggio “L’uomo nella macchina da presa”, di Michele De Angelis interpretato da Maurizio Merli, Paolo Triestino e Cristiana Astori, alla presenza del regista e del cast.

Senza contare Dan Perri, che, ospite internazionale del Fantafestival, ha presentato nei giorni scorsi il suo mafia movie in salsa commedia Sharkskin. Perri vanta una lunghissima carriera in qualità di title designer di famosi film, da L’esorcista a Guerre stellari, fino a Gangs of New York e First house on the hill, incluso nella programmazione del festival.  

Infine, si è tenuto un omaggio al recentemente scomparso maestro del cinema horror George A. Romero: la proiezione su grande schermo della versione restaurata del cult Zombi. Il film è stato proiettato nella versione europea della pellicola, con il montaggio di Dario Argento e le musiche originali dei Goblin. L’omaggio a Romero è stato preceduto da un’intervista esclusiva allo stesso Romero realizzata da Leopoldo Santovincenzo e Carlo Modesti Pauer.

Mimì, Mario Incudine: Modugno è attuale anche musicalmente. Alla Sala Umberto. L'intervista di Fattitaliani

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Prima Nazionale il 28 novembre ed in replica il 29 al Teatro Sala Umberto di Roma “Mimì” uno spettacolo di e con Mario Incudine. Regia di Moni Ovadia e Giuseppe Cutino.
Antonio Vasta (pianoforte, fisarmonica e organetto) Antonio Putzu (fiati) Manfredi Tumminello (chitarre e bouzouki) Pino Ricosta (Contrabbasso) Emanuele Rinella (batteria). 

Testi Sabrina Petyx; Suono: Ferdinando Di Marco; Disegno luci: Giuseppe Cutino; Costumi: Daniela Cernigliaro.
Arrangiamenti musicali: Mario Incudine e Antonio Vasta.

Tutti sogniamo di trovarci al posto giusto nel posto giusto al momento giusto ma non a tutti accade. Modugno aveva un piccolo ruolo in un Film e cantava in siciliano, Sinatra lo notò e scoprendo che era pugliese gli consigliò di fingersi siciliano perché la Sicilia era conosciuta in tutto il mondo. Da lì cominciòla sua ascesa che lo portò in giro per il mondo come aveva sempre sognato. 

Fu un precursore dei tempi, inventò il Teatro canzone e fece parlare gli animali prima di Walt Disney, usandoli per parlare dei vizi e delle virtù degli uomini ma anche per denunciare lo sfruttamento dei minatori, il lavoro nero, i pregiudizi. Cantò la diversità, l’amore impossibile, l’universo femminile Era un migrante con la valigia di cartone ma la sua grande genialità, la sua voce e le sue canzoni gli fecero conquistare il mondo. Cantando il suo villaggio è diventato universale.
Mario Incudine compie a ritroso il viaggio di un uomo ma anche di una generazione, quella del dopoguerra, della ricostruzione e del boom economico. Attraverso le canzoni di Modugno analizza i sentimenti.
La genialità di cui era dotato lo ha portato ad essere all’avanguardia. Oggi i temi trattati sono ancora attuali. Lo spettacolo nasce oltre che per omaggiare “Mister Volare” anche per far nascere la curiosità alle nuove generazioni di chi fosse Mimì ed imparare ad amarlo.

Domenico Modugno cantava una nenia della sua terra, fu interrotto da Frank Sinatra che gli chiese cosa stesse cantando. Come andò a finire? 
Modugno rispose che era una nenia della Puglia, il suo Paese. Sinatra gli disse che nessuno sapeva dove fosse la Puglia e gli consigliò di fingersi siciliano per conquistare il successo perché la Sicilia la conoscevano in tutto il mondo. Modugno era non solo molto intelligente ma anche un grande comunicatore, si finse siciliano ma cantando nella sua lingua che è molto simile al siciliano. Grazie all’intuizione di Sinatra, cominciò la carriera di Modugno che scrisse molte belle canzoni del suo repertorio in siciliano ma lasciò una letteratura incredibile. Furono gli anni precedenti al grande successo di “Volare”, “L’uomo in frack”. Inventò il Teatro-Canzone aprendo i concerti di Gilbert Becaud in Francia, fece parlare gli animali prima di Walt Disney. In tutti i pezzi in siciliano di Modugno, troviamo gli animali che parlano. “U pisci spada” una delle sue più famose canzoni in siciliano parla di una sorta di Romeo e Giulietta degli animali. Prendendo esempio da Esopo, parlando degli animali, sottolineava vizi e virtù degli uomini. Altri esempi sono “U sciccareddu m‘briacu”. “Cavaddu cecu di la miniera” parlando dello sfruttamento sul lavoro dei minatori. Il cavallo è cieco perché era da anni chiuso nella pancia della terra ed aveva perso la luce degli occhi, quando diventa vecchio e non può più caricare carrelli di carbone sulla schiena, viene ucciso dall’uomo. E’ l’unica volta che potrebbe vedere la luce ma non può farlo perché è cieco. “Musciu niuru” contro la diversità ed il pregiudizio. Fu il primo a portare in palcoscenico la pizzica che fino a quel momento era un fenomeno antropologico, scrivendo “Lu tambureddu. Pizzica pizzica po”. “Lu grillu e la luna” parla dell’amore. Il grillo muore perché si tuffa nel pozzo dove si specchia la luna. Pezzi meravigliosi.

L’urgenza di doverlo raccontare, mi ha portato a fare questo spettacolo. Modugno si conosce da un certo punto in poi ma tutto quello che ha fatto prima e che costituisce la spina dorsale di tutta la sua carriera, andava portato in palcoscenico. Lo faccio con una Band straordinaria, con dei nuovi arrangiamenti e con una Regia firmata a quattro mani da Moni Ovadia e Giuseppe Cutino che mettono al centro dello spettacolo non solo le canzoni di Modugno ma anche la storia dell’Italia ed il racconto di un sogno. “Noi siciliani o noi del Sud abbiamo un grave destino, vogliamo andare al Nord ma c’è qualcosa che ci riporta al Sud”. Modugno ha avuto successo quando si è finto del Sud anche se lui era partito con la valigia per andare a studiare al Centro di Cinematografia a Roma. Come Tolstoy faceva dire a Caetano in “il Fantasma di Vadinho “canta il tuo villaggio e sarai universale”, Modugno ha raccontato un Sud generico dal quale tutti vogliamo fuggire ma dobbiamo necessariamente tornare perché ci darà spessore. In questo mi ritrovo molto anch’io e questo spettacolo me lo sento cucito addosso. Sono di Enna che è al centro della Sicilia, volevo conquistare il mondo ed in questo momento sono in tournée in Madagascar, mi rendo conto che è sempre stata la mia lingua a portarmi in giro. E’ raccontare all’incontrario il viaggio di un uomo e anche di una generazione. Sono molto contento di come sia rappresentato lo spettacolo. Si parla della partenza, dell’abbandono, dell’amore. Tutta una serie di sentimenti umani che poi vengono analizzati attraverso le canzoni di Modugno. 
Credo che Modugno sia stato intelligente anche a precorrere i tempi perché ha cantato la diversità, l’amore impossibile, lo sfruttamento sul lavoro. È per questo che è ancora così attuale? 
Assolutamente! È attuale anche musicalmente! La sua genialità innata, lo portava ad essere all’avanguardia. Volare è stata una rivoluzione. Una canzone che cominciava con la stessa nota ripetuta nove volte di fila, non si era mai sentita. Ha portato la canzone italiana ad un certo livello, come faranno poi Bob Dylan, Gilbert Becaud, Lyon Cohen. Modugno si piazza in quell’affresco dei grandi cantautori contemporanei che lo renderà unico. Tutti devono a lui la lezione di raccontare in un certo modo.
Cantava l’Italia ed i sogni degli italiani. Quanto sono cambiati i sogni e l’Italia oggi? 
Non sono cambiati per nulla perché come dicevo, le sue canzoni sono di un’attualità disarmante. E’ attuale anche il viaggiare per cambiare le cose. Forse è cambiata la migrazione, non siamo più noi ad emigrare ma accogliamo. Il destino dell’uomo è quello di andare ma i sogni non cambiano. Sognare di avere un posto nel mondo è un sogno ricorrente. Prima si partiva con la valigia di cartone, oggi si parte con l’I-Phone. Prima si scrivevano le lettere oppure si comunicava attraverso la nostalgia del ricordo. In una tournée ho incontrato dei migranti siciliani che erano specializzati come muratori. Il fatto di dover partire è una necessità ma anche il dover tornare. Ibsen diceva nessuno se ne sarebbe voluto andare ma nessuno sarebbe voluto rimanere. E’ quello che con Modugno si ripete, bisogna trovare il proprio posto nel mondo anche con la poesia e la musica ma lo si può trovare anche portando dentro di sé un pezzo della propria cultura che è quella che vince su tutto. Quando noi andiamo fuori dall’Italia, comunque portiamo quello che siamo. I vecchi migranti esportavano l’arte mineraria, la muratura, Modugno ha esportato la canzone e la sua tradizione. Oggi esportiamo ciò che ci ha formato. Non cambiano i sogni, i desideri, le difficoltà che forse sono addirittura maggiori rispetto a quelle degli anni 40 e 50. Un periodo post guerra, la ripresa, il boom economico. Adesso invece non sappiamo come riprenderci per cui l’unica cosa è sognare e non lasciare mai una delle cose più importanti ma che può sembrare banale, la poesia, il sapere. Tutto può passare ma la vera essenza, la poesia, non cambierà mai. In cosa si emoziona l’uomo? Ascoltando una canzone, una poesia e no quando spunta un emoticon sul cellulare e devi anche interpretarla. Una poesia, una canzone, ti commuove. Modugno in cosa era geniale? Fare le canzoni con una voce stentorea e la chitarra e con la sua innata teatralità, incendiava qualsiasi tipo di palcoscenico. Bisogna ritornare ad essere immediati artisticamente senza usare grandi artifici, Mimì è uno spettacolo immediato, senza artifici, Ha la musica, le canzoni, le sue parole riesce ad arrivare diritto al cuore dei presenti. La poesia è l’unica cosa che non potranno mai sottrarci. 
Cosa ti aspetti dal pubblico nei due giorni alla Sala Umberto? 
Il pubblico della Sala Umberto è sempre molto esigente. E’ un Teatro di grande tradizione ma anche di grande innovazione. Sono molto emozionato e spero che il pubblico accolga bene lo spettacolo e che abbia voglia di ascoltare la storia di questo personaggio anche la meno conosciuta. In un’ora e venti non si può fare tutta la produzione di Modugno ma spero di accendere la miccia e incuriosire la gente e soprattutto i giovani a spingerli a ricercare la storia di Modugno. Abbiamo testato questo spettacolo in Sicilia durante una prova aperta ed è piaciuto moltissimo. Credo che sarà apprezzato allo stesso modo ovunque lo porteremo. 
Elisabetta Ruffolo

Segnalibro, Paolo Albani a Fattitaliani: ne "Il complesso di Peeperkorn. Scritti sul nulla" il gioco, il paradosso, il comico, il nonsenso. L'intervista

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Da pochi giorni in libreria Il complesso di Peeperkorn. Scritti sul nulla (pagg. 83, € 12) di Paolo Albani, ItaloSvevo edizioni, nella Collana Piccola Biblioteca di Letteratura Inutile. Lo scrittore, poeta visivo e sonoro, performer è ospite della rubrica "Segnalibro" di Fattitaliani. L'intervista.

Quali libri ci sono attualmente sul suo comodino?
Il mio comodino è un porto di mare, i libri vanno e vengono. Mi accorgo che sto diventando sempre più un collezionista di libri (non di libri antichi però) e sempre meno un lettore, ahimè. Ultimamente dal mio comodino sono passati il Discorso dell’ombra e dello stemma di Giorgio Manganelli (ristampa Adelphi), Breve storia del verbo esseredi Andrea Moro, Viaggio nella terra dei sogni di Maurizio Bettini, Conversazioni sulla cultura russa di Juri M. Lotman. Ecco, questi libri sono lì sul mio comodino, uno sopra l’altro, la sera leggo un capitolo di uno, un’altra sera un brano di un altro. Magari un’altra sera li tradiscono con un altro libro ancora, che sta su una pila di libri in un’altra stanza, in attesa di consultazione. Insomma avrete capito che sono un lettore disordinato.
L'ultimo "grande" libro che ha letto?
Un libro che ho letto (anzi riletto, anche se la nuova versione è quasi un nuovo testo rispetto alla prima versione) è Il mangiatore di carta di Edgardo Franzosini, uno scrittore straordinario che ha una capacità narrativa fuori dell’ordinario, un’invidiabile maestria nel trovare personaggi poco noti, minori o meglio laterali, per dirla con Borges, che ti affascinano. Davvero un grande libro, sia per la scrittura che per la storia, vera per altro, di un bibliofago, cioè un mangiatore di carta del Settecento.
Chi o cosa influenza la sua decisione di leggere un libro? 
Sono molto influenzato dalle mie passioni letterarie, perciò leggo in genere i libri degli scrittori che amo (ultimamente i Racconti impossibili di Landolfi, ristampati da Adelphi, un libro ormai introvabile, oggi con una bella cura di Giovanni Maccari), e poi mi lascio travolgere da letture curiose: una storia del tempo, un finto manuale scolastico di letteratura latina, un atlante di paesi che non esistono, le vite efferate dei papi. Roba di questo genere. Come molti, sono anche la recensione di un libro di cui ignoravo l’esistenza o il consiglio di un amico di cui mi fido a mettermi sulla buona strada per buone letture.
Quale classico della letteratura ha letto di recente per la prima volta?
Mi sono regalo il Meridiano, a cura di Flavo Gregori, dedicato al rivoluzionario La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo di Laurence Sterne, un autore che dovrebbe essere obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado. A suo modo un classico imperdibile. Un mio cruccio è piuttosto di non aver ancora letto, di non aver mai letto - mancanza gravissima - Moby Dick di Melville. Prima o poi dovrò prendermi una pausa da tutto, e mettermi a leggere questo capolavoro, recentemente ristampato in una nuova traduzione di Ottavio Fatica. Lo farò, giuro, prima o poi lo farò. È che sono anche un lettore pigro.
Secondo lei, che tipo di scrittura oggi dimostra una particolare vitalità? 
A me piacciono i romanzi e i racconti (non sono un lettore di poesia, salvo poche eccezioni, tipo Raffaello Baldini, scoperto da non molto) che mi stimolano in primo luogo dal punto di vista della scrittura, che riescono a sorprendermi, che mi spiazzano ma senza furbizia o giochetti da mestieranti. Trovo particolarmente vitale l’area di quegli scrittori, molti dei quali sono anche degli amici, che scrivono storie di gente strana, bizzarra, perdente, come fanno Celati, Cavazzoni, Cornia, Benati, Adrian Bravi, Paolo Morelli, Paolo Colagrande, tanto per citarne alcuni. Ecco con loro mi trovo bene, anche nella lettura dei loro libri.
Personalmente, quale genere di lettura Le procura piacere ultimamente? 
Un grande godimento ho provato a guardare i collages, del tutto sconosciuti ai più, di Wisława Szymborska pubblicati in un’edizione polacca e inglese: deliziosi, divertenti, di una leggerezza surreale che incanta. Poesia visiva allo stato puro. La Szymborska ha fatto questi collages per gli amici, senza alcuna velleità artistica, e forse proprio per questo risultano delle opere convincenti.
L'ultimo libro che l'ha fatta sorridere/ridere?
L’ultimo in ordine di tempo è l’antologia curata da Marco Rossari per Einaudi, intitolata Racconti da ridere. Con un titolo così si è indotti al sorriso. A parte alcuni testi ben noti (tipo Il nasodi Gogol’ o Nonita di Eco, scherzoso rovesciamento del romanzo di Nabokov), ci sono dei testi che non conoscevo, fra cui un inedito di Margaret Atwood. Operazione meritoria, questa antologia sul comico letterario, che mi ha ricordato un po’ quelle imbastite a suo tempo da Giambattista Vicari, mitico fondatore della rivista «il Caffè».
L'ultimo libro che l'ha fatta commuovere/piangere? 
Devo dire che, pensandoci bene, nessun libro mi ha fatto piangere davvero, del resto, per inclinazione, non leggo per piangere. Mi capita invece di farlo - di piangere, di commuovermi - al cinema, adoro le storie in costume, i film dove si narrano grandi storie d’amore, travagliate, tormentate e irrisolte, come forse sono tutte o quasi le storie d’amore nella vita reale. Chissà.
L'ultimo libro che l'ha fatta arrabbiare?
Mi ha fatto arrabbiare il libro di un autore che stimo molto, un libro uscito postumo: L’arte nella tempesta di Tzvetan Todorov che parla dell’«avventura di poeti, scrittori e pittori nella rivoluzione russa». Mi sono arrabbiato subito, fin dall’introduzione dove Todorov dipinge Lenin e Trockij come personaggi solo assetati di potere, incarnazioni della «volontà di potenza». Come si fa a sostenere una tesi del genere? Con tutti gli errori e i guasti provocati dalla rivoluzione bolscevica dopo il suo trionfo, non si può tuttavia non riconoscere che in quel periodo in Russia si combatteva contro una dittatura spietata e disumana, la dittatura zarista. Altro che «volontà di potenza», direi piuttosto «volontà di giustizia». No, caro Todorov, questa non dovevi farmela.
Quale versione cinematografica di un libro l'ha soddisfatta e quale no?
Quando scoprii che Il pranzo di Babette, sceneggiato e diretto da Gabriel Axel, era tratto da un racconto di poche pagine di Karen Blixen rimasi meravigliato. Il linguaggio cinematografico (altra cosa da quello letterario, come direbbe un soldato di La Palice) aveva valorizzato, e non di poco, il testo letterario, lo aveva reso più effervescente, dinamico, saporito. Vorrei aggiungere che a volte le trasposizioni di testi letterari sullo schermo sono il sintomo di una crisi di idee da parte degli sceneggiatori, senza contare un altro fatto: oggi molti scrittori scrivono già pensando a una possibile versione cinematografica, e questo non so se è un bene. Detto questo, ricordo che l’ultimo film di Fellini, La voce della luna, mi deluse; il libro che l’aveva ispirato, Il poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni, era di gran lunga più suggestivo.
Quale libro sorprenderebbe i suoi amici se lo trovassero nella sua biblioteca?
Non credo che i miei amici, che sanno che mi occupo di cose bizzarre (linguaggi inventati, pazzi letterari, umorismo involontario, istituti anomali, e via dicendo) si meraviglierebbero di trovare nella mia biblioteca libri strani. No, credo proprio che si meraviglierebbero di non trovarli.
Qual è il suo protagonista preferito in assoluto? e l'antagonista?
Non ho dubbi: il buon soldato Sc’vèik per la sua genuina carica ribelle, antimilitarista, antisistema, ma anche, se posso allargarmi un po’, Bouvard e Pécuchet per la loro nutriente stupidità (che nel loro caso sta per una felice propensione allo stupore).
Lei organizza una cena: quali scrittori, vivi o defunti, inviterebbe? Perché
Io sono una frana come cuoco, quindi dovrei appoggiarmi a un buon catering. Mi piacerebbe invitare due grandi, esigenti e forsennati mangiatori (il che si deduce bene dalle loro rispettive pance): Honoré de Balzac e Giorgio Manganelli, e farli dialogare sul cibo.
Ricorda l'ultimo libro che non è riuscito a finire?
Sono molti i libri che ho iniziato e non finito. Da giovane ero un lettore masochista (vedete quante facce presenta un lettore), se iniziavo un libro dovevo arrivare fino all’ultima pagina anche se non mi piaceva. Oggi no, se un libro non mi piace, se non s’instaura un feeling, dopo un certo numero di pagine, con il libro lo abbandono senza rimpianti, magari provo a riprenderlo in un altro momento. L’ultimo che ho abbandonato è, come ho già detto, L’arte nella tempesta di Todorov, infastidito dal suo giudizio superficiale sui protagonisti della rivoluzione d’ottobre.
Quale scrittore vorrebbe come autore della sua biografia?
Mi prenderei il lusso (davvero lussuoso) di assumere come biografo Georges Perec, per lo scrupolo classificatorio che metteva nelle sue ricerche, ma soprattutto per le finte citazioni disseminate nei suoi libri. Il massimo per uno come me che di “finzioni plausibili” si nutre costantemente.
Che cosa ritroviamo di Paolo Albani ne Il complesso di Peeperkorn. Scritti sul nulla?

Credo i tratti che più mi contraddistinguono e che ogni volta mi spingono a scrivere: il gioco, il paradosso, il comico, il nonsenso. Giovanni Zambito.
©Riproduzione riservata
IL LIBRO: IL COMPLESSO DI PEEPERKORN SCRITTI SUL NULLA 
Per scrivere di nulla, tentazione fortissima per qualsiasi scrittore dotato di un minimo di senno, amore per la propria lingua e cognizione sulla realtà in cui è costretto a vivere, ci vuole un certo coraggio. Niente di meglio, per una simile impresa, che un cultore di Letteratura Potenziale e di Patafisica. Dovrà metterci tutta la sua capacità di concentrazione, o d’astrazione, e scrivere dei riferimenti molto dotti riguardo a qualcosa che, in effetti, nonc’è. Ma il lettore non deve spaventarsi, questo librosi legge come se nulla fosse.
Questo libro non parla di niente, cioè parla del nulla nelle sue più autorevoli forme ed esemplificative espressioni. Ma lo fa, stranamente, con grande cognizione. Ci sono dietro Thomas Mann e Fred Buscaglione, ovviamente Manganelli, Cortázar, Mallarmé, Queneau e Jaroslav Haˇsek. Ma è come se non ci fossero.
L'AUTORE
Paolo Albani nato a Marina di Massa nel 1946, è autore, poeta visivo e membro dell’OpLePo (Opificio di Letteratura Potenziale) e Console Magnifico dell’Istituto Patafisico Vitellianense, emanazione autonoma del Collegio di Patafisica. Tra i suoi libri più importanti Aga magéra difúra. Dizionario delle lingue immaginarie, con Berlinghiero Buonarroti (Zanichelli 1994); Manualetto pratico ad uso di coloro che vogliono imparare a scrivere il meno possibile (FUOCOfuochino 2010); I mattoidi italiani (Quodlibet 2012); Umorismo involontario (Quodlibet 2016); Le cose che non so (Babbomorto editore 2017)

AMORE OLTRE LE BARRIERE. Matrimonio tra una cattolica e un musulmano in tempo di guerra

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di Mario Setta - Abdul Razak Al Kadi era nato a Derna, in Cirenaica, il 29.10.1921. Nell’ultima guerra, il 28.6.1942 viene fatto prigioniero a Gireula Marsa Matruk dai soldati tedeschi di Rommel e trasportato in Italia. L'8 settembre 1943, il giorno dell’annuncio dell’armistizio, è rinchiuso nel campo 78 di Fonte D'Amore, a Sulmona. 

In una intervista ha raccontato: «Conosco molto bene la lingua italiana per averla studiata in Libia. All’armistizio, il campo di Fonte d’Amore fu aperto. Io fui tra i primi ad uscire. Ero con un mio compagno, un palestinese. Ci eravamo procurati molti viveri, forzando la porta del magazzino. Ho saputo da altri prigionieri che era stato Santacroce a far aprire i cancelli. Io non l' ho  conosciuto, ma ricordo bene il nome, anche perché è facile da ricordare (Abdul fa un segno di croce con le dita). Ci siamo allontanati, nascondendoci sotto un cespuglio, in modo da tenere d'occhio la situazione. Passarono alcune donne di Bagnaturo recatesi al campo per vedere se c'era la possibilità di prendere qualcosa. Le ho chiamate, dicendo loro: “Ho tanta roba da mangiare, perché non mi procurate dei vestiti?” Le donne andarono a casa e tornarono con i vestiti. Prendo dagli zaini cioccolata, the, caffè, zucchero e glieli consegno. Ci dicono quindi di andare con loro a Bagnaturo, perché avremmo trovato più facilmente un posto dove nasconderci. Dormimmo in una cantina, Dal momento che parlavo bene l'italiano, nessuno poteva immaginare che ero straniero. Il mio amico palestinese, non sapendo parlare italiano, preferì unirsi ad un gruppetto di prigionieri che si diressero verso Popoli. Rimasto solo, vengo ospitato, sempre a Bagnaturo,  da Laurina Petrella. Nel frattempo, un pratolano mi aveva  procurato un documento falso, una carta di identità bianca che io stesso avevo riempito con un falso nome. Di falsi nomi ne ho avuti tanti.  Perfino lo scrittore sudafricano Uys Krige che parla di me nel suo libro  "Libertà sulla Maiella"  mi indica col nome falso di Achmed (cfr. pag. 87, n.d.r.).  Per il timbro, mi sono arrangiato con un turacciolo di sughero e ho falsificato la firma del podestà, tanto i tedeschi non ci capivano niente. Mi misi a lavorare proprio con i tedeschi, che mi ritenevano italiano. Imparai  anche un po' di tedesco. Mangiavo sempre in casa di Laurina. Una volta mi disse che mi avrebbe fatto conoscere una ragazza, sua parente. Bionda e molto bella. E che certamente mi avrebbe fatto impazzire.»
Maria Leondina De Dominicis, nata a Pratola Peligna il 26.11.1922, interviene raccontando la sua storia: «Un giorno del mese di gennaio del 1944, ero in piazza, a Pratola, e vedevo gente che piangeva. Stavano facendo un rastrellamento. Mia sorella chiedeva ai tedeschi che rilasciassero un ragazzo, perché troppo giovane. Era il cognato. Io mi avvicinai e dissi una parolaccia al tedesco, che capisce e mi risponde: “Tu perché brutta parola?” Aveva estratto la pistola e voleva spararmi. Mi misi a correre e mi nascosi in un vicoletto. Poi vennero le mie sorelle e mi portarono a Bagnaturo, in casa di Laurina Petrella, molto amica di mia madre. Ma in casa di Laurina ho visto per la prima volta Abdul.»
Abdul:  «La forza del destino ha voluto che questa ragazza venisse da Laurina. Io credo al destino. Io sono musulmano e credo che certi avvenimenti sono stabiliti da Allah! »
Maria Leondina: «Sono rimasta da Laurina otto giorni. E vedevo questo giovane. Volevo imparare l'inglese e chiesi ad Abdul di insegnarmelo. Accettò ben volentieri. Ci siamo frequentati. E così nacque l'Amore».
Abdul:  «Le guerre portano tante sorprese! Il 13 aprile 1944, mentre stavo in casa di Laurina, vicino al fuoco, bussano e sento dire in tedesco che cercano un prigioniero. Fui catturato e portato al carcere di S. Pasquale. Da qui trasferito  immediatamente a Laterina, da dove il 10 giugno 1944, saputo dello sbarco in Normandia, riuscii a fuggire e a ricongiungermi con l'esercito alleato. Restai in servizio fino alla fine del 1944.  Scrissi una lettera alla mia futura  moglie. Mi rispose. E mentre ero a Bengasi, per procura, ci sposammo. Era il 23 gennaio 1947». 
Abdul è stato funzionario del governo libico. Con la moglie, Maria Leondina De Dominicis, e due figli  ha trascorso il tempo  tra l'Italia e la Libia.  E’ deceduto a Pratola il 17.9.2002.
Questa storia d’amore sembra una delle tante che richiamano alla mente  “Le mille e una notte”. Il capolavoro della letteratura araba, il cui antefatto si fonda sulla vendetta di due fratelli califfi,  Shahriyar e Shahlzaman, contro le rispettive mogli, uccise per palese tradimento. Shahriyar, deluso e amareggiato dal comportamento delle donne,  decide di passare ogni notte con una donna diversa e ucciderla il mattino seguente. Ma due sorelle, la maggiore Shaharazad e la minore Dinazard, accettano di passare 282 notti con Shahriyar, raccontando storie fino al mattino, restando sane e salve. Un’opera, “Le mille e una notte”, in cui la donna viene presentata come merce di compravendita, ma anche come mito incorruttibile di bellezza e d’amore. 
Nella “duecentesima notte”  si racconta la fine tragica di due fidanzati, logorati reciprocamente dal mal d’amore e bloccati perfino dall’angoscia di trovarsi insieme. Il fidanzato, Ali ibn Bakkar “fece un profondo sospiro e l’anima gli uscì dal corpo”, udendo parole poetiche: “Quanto è amara la brama dell’amore…” e la ragazza, Shams al Nahar “proruppe in lacrime e cadde a terra priva di sensi”. Furono sepolti insieme a Baghdad. Perfettamente in linea con la celeberrima  storia, forse precedente  a “Le mille e una notte”, di Layla e Maynun, narrata da Nezami Ganjavi, dove gli amanti non riescono a sposarsi  a causa dei contrasti tra le loro famiglie. Alla fine Layla si ammala e muore, mentre Maynun impazzisce e viene ritrovato morto nel 688 accanto alla tomba di Layla.   

PREMIO LETTERARIO, AD ANDREA GIOSTRA LA "TARGA MILANO INTERNATIONAL" per le “Novelle brevi di Sicilia”

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Sabato 25 novembre presso la prestigiosa Sala Barozzi dell'Istituto dei Ciechi a Milano si è svolta la Prima edizione del Premio Letterario Milano International.

Roberto Sarra, che oltre ad aver ideato ed organizzato l’evento Premio Letterario Milano International presso il prestigioso Istituto dei Ciechi di Milano, ed essere il presidente dell’Associazione Pegasus che in Italia organizza tantissimi eventi culturali di altissimo livello, uno tra tutti il Premio Letterario Cattolica, ha chiamato sul palco Andrea Giostra per assegnare il premio fuori concorso “Targa Milano International” per la raccolta “Novelle Brevi di Sicilia”.
Roberto Sarra, dopo aver presentato al pubblico Andrea Giostra, si congratula con lui e lo invita a dire qualcosa sulla raccolta di Novelle brevi di Sicilia

«Grazie a Roberto Sarra e alla Giuria del Premio Letterario Milano International per aver omaggiato le “Novelle brevi di Sicilia” di un riconoscimento così prestigioso e importante, la “Targa Milano International”.
È vero quello che ha detto poco fa Pier Luigi Panza, in Italia si pubblicano oltre 60 mila titoli all’anno. È vero anche che si legge pochissimo nel nostro Paese. In tutto questo un dato interessante e sconfortante è che in Italia la vendita media dei nuovi titoli è di 50 copie complessive. Io queste Novelle le ho scritte circa dieci anni fa nei momenti di attesa prima di un meeting, di pausa durante convegni o conferenze, di noia durante congressi ai quali ho partecipato. Un anno fa le ho ritrovate e ho utilizzato un portale via web, StreetLib.com, che è editore online, per pubblicarle a bassissimo costo, e farle leggere gratuitamente dal mio Blog ai miei amici virtuali e reali. L’altro giorno, prima di partire per Milano, ho guardato il mio Blog dove ho caricato la versione gratuita, e i lettori delle Novelle hanno superato i 5 mila. Un numero per me davvero impressionante. Per questo ringrazio Roberto Sarra, la sua splendida organizzazione e la Giuria del Premio Letterario, per il grande riconoscimento che hanno voluto dare a questa raccolta. Colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente tutti i lettori che hanno dedicato il loro tempo alle letture delle Novelle brevi di Sicilia.»

Link ufficiale Premio Letterario Milano International:

Link per la lettura gratuita delle Novelle brevi di Sicilia:

Link per la versione cartacea:

Link Andrea Giostra:

LUCIA BOSÈ, in mostra le sue creazioni di découpage in "PIATTI" dal 2 dicembre al 14 gennaio alla PASTICCERIA GIOVANNI GALLI di MILANO

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Dal 2 dicembre al 14 gennaio 2018 la celebre attrice e artista milanese LUCIA BOSÈ esporrà le proprie opere in “PIATTI”, una mostra di quaranta opere di découpage, presso la storica bottega di Giovanni Galli a MILANO (via Victor Hugo 2).

Oltre alle opere di découpage della mostra “PIATTI”, con figure di donna, profili di statue classiche, luccicanti bijoux e perline, coloratissimi fiori e farfalle, saranno in esposizione anche alcuni ritratti fotografici dell’artista. Tra questi, una foto originale del 1947 di Federico Patellani, che la ritrae dietro il bancone proprio della pasticceria Giovanni Galli e uno scatto di Bob Krieger, dalla mostra del 2011 a Palazzo Reale di Milano.

Aveva solo 16 anni quando, LUCIA BOSÈ, giovane commessa della pasticceria, colpì con il suo sorriso Luchino Visconti. Consigliata dal regista intraprese la strada dello spettacolo attraverso Miss Italia e fu incoronata nel 1947 come reginetta d’Italia. Il concorso le aprì le porte di Cinecittà e del successo cinematografico internazionale.

Oggi LUCIA BOSÈ esprime il suo talento creativo in queste opere originali e personalissime in cui utilizza la tecnica del découpage per mettere in luce il suo mondo magico, popolato di immagini classiche, figure oniriche, personaggi dell’arte rivisitati, motivi floreali e naturali stilizzati.

Dal volume “Giovanni Galli, 1911-2011, 100 anni la storia”, testo di Christian Hill
Lucia Bosè, una celebrità in erba
Ha solo sedici anni e un visino estremamente grazioso. Il suo nome è Lucia Bosè. La giovane commessa, con il suo sorriso dolce ed educato, si fa subito ben volere dalla clientela. Non sono più soltanto i marrons glacés e i canditi ad attirare i milanesi nel negozio di via Victor Hugo.  Dopo tanti anni di brutture e tristezza, la gente ha voglia di essere accolta da un raggio di sole sereno e sorridente. (…) Non pochi clienti diventano presenze abituali tra i banconi di praline. Tra questi c’è un giovane regista famoso per aver inventato la corrente cinematografica del neorealismo italiano: Luchino Visconti. La sua passione per le noci di pasta di mandorle lo porta a frequentare i negozi Galli tutte le volte che si trova a Milano. Un giorno, siamo ancora nel 1947, appena entrato in negozio i suoi occhi si posano sul sorriso della giovanissima commessa. Il regista sa riconoscere le potenzialità della bellezza semplice e pulita di Lucia e subito si premura di consigliarle di intraprendere la carriera cinematografica. Come primo passo, la fa iscrivere al concorso di Miss Italia, che la giovane vince sbaragliando una concorrenza a dir poco agguerrita: a sfilare insieme a lei quell’anno ci sono anche Gina Lollobrigida, classificatasi terza, e Gianna Maria Canale, seconda, oltre a Eleonora Rossi Drago e Silvana Mangano, tutte future attrici di primo livello nel nostro cinema. Lucia prende il volo. Il successo la chiama e lei abbandona il suo lavoro dietro al bancone di via Victor Hugo. Ma resterà sempre legata alla famiglia Galli e ai negozi che le hanno permesso, letteralmente, di trovarsi al posto giusto al momento giusto.

LUCIA BOSÈ nasce a Milano – Porta Vigentina – il 28 gennaio 1931. A 16 anni partecipa al concorso di Miss Italia, anno 1947, e vince. Sottile e raffinata, Lucia Bosè non ha alcuna esperienza nello spettacolo. Lavora infatti come commessa nella celebre pasticceria Galli di Milano, dove l’aveva notata Luchino Visconti (“Lei signorina ha una faccia da cinema”). Valigie in spalla, Cinecittà chiama. Giuseppe De Santis la vuole sul set di Non c’è pace tra gli ulivi (1950): è il primo ruolo da protagonista. Nello stesso anno, Michelangelo Antonioni la dirige in Cronaca di un amore, dove Lucia interpreta con delicatezza e misura il personaggio di Paola Fontana, una donna borghese, ricca e insicura, delusa dalla vita e dagli amori. Nel 1952 arriva un’altra prova magistrale: il film è Le ragazze di piazza di Spagna, regia di Luciano Emmer. Per Antonioni è ancora nel 1953 La signora senza camelie. Luis Buñuel la chiama per il drammatico Gli amanti di domani (1955). Francesco Maselli la libera di vezzi e sorrisi nell’intenso Gli sbandati (1956). Lucia ha successo, è ammirata e corteggiata. Eppure decide di sposarsi presto, nel 1955. Per amore del marito, il torero Luis Miguel Dominguín, mette da parte ambizioni e popolarità. Si trasferisce in Spagna, dove per alcuni anni si dedica al ruolo di moglie e madre (di 3 figli: Lucia, Paola e Miguel). Il cinema continua ad aspettarla. Tornerà a recitare soltanto nella seconda metà degli anni Sessanta. Film d’autore (su tutti Metello, 1970, di Mauro Bolognini, L’ospite, 1972, di Liliana Cavani, Scene di un’amicizia tra donne, 1975, di Jeanne Moreau), che esaltano il fascino ormai maturo e profondo di Bosè. Compare anche in Fellini Satyricon e in Sotto il segno dello scorpione dei fratelli Taviani. Verrà diretta anche da Francesco Rosi, in Cronaca di una morte annunciata (1987) e da Ferzan Ozpetek in Harem Suaré (1999). Nel 2007 Lucia accetta di tornare sul grande schermo, ne I vicerè di Roberto Faenza, e nel 2009 si concede anche la fiction televisiva interpretando Donna Isabella nella serie Capri. In questi ultimi anni è stata inoltre ideatrice e promotrice del Museo degli Angeli di Turégano (vicino Segovia), la cui collezione è stata esposta anche a Castel Sant’Angelo e alla Basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma. Sempre vicina all’Italia e a Milano dove è tornata volentieri quando ha potuto e dove ha ancora i suoi ricordi più intensi, nel 2010 dà voce alla poesia di un’altra grande figlia di Milano, Alda Merini, affiancando sul palcoscenico il cantante e compositore Giovanni Nuti nel recital Una piccola ape furibonda, dedicato alla poetessa dei Navigli, di cui cura nel 2012 le versioni in spagnolo delle poesie-canzoni (Una pequeña abeja enfurecida). Con la sua voce recitante nel brano “Il pifferaio di Hamelin” è ancora insieme a Giovanni Nuti che duetta con Fabio Concato per il CD Il muro degli angeli, contenuto nel cofanetto Accarezzami musica - Il “Canzoniere” di Alda Merini pubblicato il 20 ottobre scorso.


LA STORIA DELLA DITTA GIOVANNI GALLI
Fondata nel 1911 a Milano, prende il nome dall'omonimo fondatore, il quale aveva dimostrato abilità e attitudine già alla fine del 1800 presso la fabbrica di dolciumi di Felice Squarciafico. Da allora i prodotti e la loro realizzazione sono rimaste le stesse, la lavorazione di marrons glacés e praline avviene quasi interamente a mano, senza l'aggiunta di alcun conservante. Il primo negozio di Corso Roma 5 (oggi Corso di Porta Romana), inaugurato nell’ottobre del 1912, venne distrutto nel 1942 a seguito dei bombardamenti inglesi della Seconda Guerra Mondiale. Lo stesso anno la ditta riceveva il brevetto della Real Casa, onorificenza riservata ai fornitori di casa Savoia.
Dalle macerie di quel primo negozio il figlio Ferruccio (successore del fondatore Giovanni alla guida dell'azienda) riuscì a salvare il bancone di legno e le vetrine in vetro e legno, tuttora presenti nella sede di Corso di Porta Romana inaugurata nel 1946. Oltre a Corso di Porta Romana, nel 1945 fu aperto il laboratorio di Via Vannucci e un altro punto vendita in Via Victor Hugo al 2, nel centro di Milano, che ricalcava anch'esso l’elegante atmosfera del tempo. I due negozi sono tutt'ora presenti e solo attraverso di essi vengono commercializzati i prodotti Giovanni Galli. Nel 2005 la ditta Giovanni Galli è stata iscritta all’Albo delle Botteghe Storiche, mezzo attraverso il quale l'Amministrazione Comunale di Milano ha voluto premiare e valorizzare quelle imprese che hanno operato nel territorio milanese per oltre 50 anni e che hanno saputo fare della tradizione il punto di partenza per la crescita e lo sviluppo. Oggi l'azienda è gestita dai figli di Ferruccio, Giovanni ed Edoardo, e proprio la tradizione familiare sembra essere il segreto che ha permesso di seguire fedelmente i processi di lavorazione centenari del fondatore Giovanni.

Bruxelles, giovedì 30 novembre incontro con Piero Fassino sul libro "Pd davvero"

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Giovedì 30 novembre dalle ore 19 incontro con Piero Fassino per la presentazione del suo ultimo libro Pd davvero (Nave di Teseo, 2017). 

Intervengono: Onorevole Sandro Gozi, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio e Andrea Bonanni, giornalista di La Repubblica. 
Piero Fassino è un noto politico italiano. Nel 1994 viene eletto come parlamentare della Camera dei deputati. Prosegue la sua carriera di politico divenendo vicepremier del partito ''L'Ulivo'' (ex Partito Democratico). Nel 1998, all'età di quarantanove anni, si laurea in Scienze politiche presso l'Università degli Studi di Torino. Dal 2001 al 2007 è segretario dei Democratici di Sinistra (Ds). Dal 2011 al 2016 è Sindaco di Torino. Dopo essere diventato presidente dell'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, si fa portavoce di tutti i sindaci d'Italia.
PD davvero Sono trascorsi dieci anni dalla fondazione del Partito Democratico. Fresca di allargamento l'Europa guardava con fiducia al suo futuro, oggi si interroga incerta su come uscire dall'impasse. Dieci anni fa iniziava la più lunga crisi economica conosciuta dal dopoguerra. Dieci anni segnati dal terrorismo di al-Qaida e dell'Isis e dagli attentati che hanno colpito l'Occidente nel cuore delle sue capitali. Dieci anni nei quali l'Italia ha visto succedersi governi guidati da Prodi, Berlusconi, Letta, Renzi e Gentiloni. Allora "populismo" era vocabolo per esperti, oggi è fenomeno che raccoglie vasto consenso, mettendo in tensione cittadini e istituzioni. Per un secolo, il Novecento, la sinistra ha affermato i suoi valori grazie a quattro parole - sviluppo, lavoro, protezione sociale, democrazia - che oggi appaiono lesionate. Di fronte a tutto questo, cosa deve fare una sinistra che non si rassegni a una condizione di minorità? Una riflessione necessaria, condotta da chi il Pd ha contribuito a fondarlo, ne ha vissuto in prima persona ogni passaggio ed è tuttora impegnato sul fronte del rinnovamento della sinistra italiana ed europea.
Prenotazione obligatoria qui
Informazioni

Data: Gio 30 Nov 2017
Orario: Dalle 19:00 alle 21:00
Organizzato da : Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles
Ingresso : Libero

Jazz, intervista a Gianni Savelli: la musica è esperienza di condivisione tra musicisti ed ascoltatori

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Il primo impatto incontrando Gianni Savelliè una grande compostezza ed equilibrio che esprime anche nella sua pacata voce, come un’armoniosa melodia, quella che possiamo ascoltare tra le morbide note della sua musica jazz che suona con il suo gruppo ‘Media Res’.  Gianni Savelli è un artista di tutto rispetto con un back ground molto ampio.
Un jazzista che vanta collaborazioni anche con il mondo pop tra cui Riccardo Cocciante, Ornella Vanoni, Luca Barbarossa, Marina Rei e negli anni successivi ha collaborato in studio con Renato Zero, Giovanotti, Chiara Civiello e, più recentemente con Antonello Venditti. Tra le molteplici ed importanti collaborazioni del mondo musicale jazz, di cui diverse internazionali, rammentiamo la partecipazione all'”Aarhus International Jazz Festival” in Danimarca, al “Malmoe Festival” in Svezia e collabora stabilmente con alcune interessanti e spregiudicate compagini tra le quali “Corvini & Iodice Roma Jazz Ensemble” e “Six Sax” di Javier Girotto.  Con queste ed altre formazioni ha l’occasione di suonare, in concerto e/o in sala di registrazione, con musicisti come Carl Anderson, Lester Bowie, Randy Brecker, George Garzone, Horacio Hernandez, Jimmy Knepper, Yusef Lateef, Ray Mantilla, Bob Mintzer, Alfredo Rodriguez, Gunther Shuller.
Un artista che attraverso le note ingaggia il pubblico portandolo in immaginifico percorso musicale, dalle note più classiche, ma anche dal sapore di luoghi e contaminazioni più lontane come quelle brasiliane. Proviamo a conoscerlo meglio attraverso questa intervista.
Buon giorno Gianni, grazie per la disponibilità per questo incontro, ci racconti chi è Gianni Savelli musicista?
Ho iniziato da piccolo a suonare il flauto poi sono passato al sassofono sui 15 anni. Da allora la passione per la musica mi ha completamente assorbito e  ben presto ho avuto la fortuna di poterne fare una professione. Ciò che mi ha sempre accompagnato è la curiosità di scoprire qualcosa di nuovo principalmente grazie alla collaborazione con musicisti di estrazione diversa. Non ho mai pensato a barriere o etichette. Certamente gravito principalmente attorno al Jazz ma non ho mai pensato a questa musica come un universo chiuso in sé stesso. Credo che ogni musicista abbia il diritto e il dovere di cercare di sintetizzare le proprie esperienze e costruire la sua originalità. Imparare continuamente dagli altri è l’altra faccia dello sviluppo della propria personalità. Un’altra cosa per me importante è suonare dal vivo. Non riesco a pensare alla musica se non come esperienza di condivisione tra musicisti ed ascoltatori.
Gianni Savelli persona invece, qual è il tuo stile di vita?
Sono una persona comune a cui piace incontrare gli altri. Amo molto viaggiare e soprattutto viaggiare per andare a suonare.
Ci racconti qual è stato il momento più importante della tua carriera?
Non saprei dirti un momento o un incontro in particolare, Ce ne sarebbero migliaia. Certamente c’è stato un momento in cui ho capito che avrei dovuto superare la paura di cimentarmi con cose  diverse da quello che conoscevo e che avrei dovuto letteralmente tuffarmi in quello che non sapevo fare o consideravo troppo difficile per me. In realtà è così ancora oggi in ogni cosa che faccio. La paura è lì ma non posso fare a meno di cercare continuamente di esplorare ciò che a me è ignoto.
Con quali parole descriveresti il tuo stile musicale, che per me avendoti ascoltato, va molto oltre il jazz?
Ti ringrazio di questa domanda. Credo che la musica, come tutte le arti, in un senso lato, esprima la vita delle persone. Questo va oltre tempo e il luogo in cui è stata concepita. L’essere umano vive esperienze molti simili aldilà delle diversità culturali. La musica forse in maniera più incisiva di altre arti, e soprattutto in assenza di un testo, riesce a toccare corde molto intime ed evocare sentimenti, ricordi, emozioni comuni a tutti noi. In un certo senso la mia musica e in particolare quella che scrivo per Media Res, cerca di mettere assieme  il ricordo degli stimoli che ho raccolto nella musica che suono, ascolto o studio. Ne viene fuori un qualcosa che mi è difficile etichettare ma in cui, con mia grande sorpresa, molti non fanno fatica a ritrovare qualcosa di sé stessi.
Credi che coltivare la musica, in qualche forma, possa aiutare le persone a vivere meglio?
Credo che coltivare la musica  sia una delle cose più importanti che si possa fare per migliorare la propria vita. Credo che andrebbe inserita, con leggerezza,  come disciplina formativa nella scuola primaria. Già soltanto il fatto che per suonare sia indispensabile ascoltare bene gli altri è una esperienza educativa fondamentale. In questa direzione ci sono esperienze incredibili in  Venezuela, a Barcelona in Catalogna e , di recente, nei quartieri più difficili di Napoli, che dimostrano l’impatto rivoluzionario dell’educazione musicale nella vita delle persone.
Tu sei anche insegnante al Conservatorio, cosa consiglieresti a chi desidera intraprendere  la strada della musica come professione?
Oggi il mondo cambia in maniera vorticosa e ovviamente lo stesso accade nel mondo della musica. Intraprendere la vita del musicista di professione non è mai stato facile e ora è diventato veramente difficile. Il modo in cui oggi si fa musica è completamente diverso rispetto a venti anni fa. A ragione molti musicisti sono disorientati ma in realtà non si intravede ancora quali e quante possibilità di fare e vivere di musica si possano aprire nel futuro. Certamente ci sarà un restringimento dal punto di vista numerico ma non si può neanche lontanamente immaginare si possa vivere senza musica. Probabilmente si apriranno molti sbocchi con la nascita di figure professionali che oggi si fa fatica ad immaginare. Non c’è dubbio che sia indispensabile padroneggiare le nuove tecnologie  ma non bisogna dimenticare che esse sono solo degli strumenti e non un fine. Il fatto che oggi con una certa facilità si possano apparentemente avere dei risultati che nel passato necessitavano di competenze superiori di per sé è un inganno. La strada per l’omologazione è la morte della cultura e a livello personale una prigione che sul lungo periodo non può garantire un futuro professionale. La tecnologia non sostituisce la musicalità. A volte addirittura la addormenta. Imparare a suonare bene uno strumento e voler continuamente espandere le proprie capacità  in un campo così largo come la musica continueranno ad essere fattori essenziali negli anni a venire per aprirsi una strada professionale nella musica. Di pari passo molto va fatto da parte dei giovani musicisti nell’imparare a comunicare e promuovere se stessi. In questo campo oggi ci sono molte possibilità, ma è il pensiero che sta dietro gli strumenti di comunicazione che conta non gli strumenti in sé. Bisogna che i giovani riflettano sul fatto che oggi molti artisti sono essi stessi degli usa e getta, cioè il loro successo dura al massimo una stagione per poi cadere nel dimenticatoio. Voler costruire un futuro nella musica è qualcosa che deve durare una vita intera.
Pensi che ci siano sufficienti sussidi da parte delle strutture pubbliche oggi per gli artisti in generale?
E’ una domanda interessante. Naturalmente credo che una società debba investire molte più risorse nella cultura e nell’educazione e che questo sia un fattore imprescindibile per vivere una vita migliore. Se, come immagino, ti riferisci all’Italia la mia risposta è si con dei distinguo. Mi spiego meglio. Per quanto riguarda il nostro paese, ridurre tutto a una questione di fondi credo sia un approccio limitato. Credo che, se non prima, almeno di pari passo, sia indispensabile che nelle strutture pubbliche e private che si occupano di arte e di cultura sia necessario investire molto di più nella formazione del personale. Un paese ha bisogno di una classe dirigente in possesso di competenze e capacità assai alte, non di dilettanti improvvisati o peggio di personaggi che accedono a ruoli apicali per altre vie. In Italia credo sia necessario un cambio di passo radicale nel campo dell’arte e della cultura. Non penso che il mondo dell’arte debba vivere solo di sussidi pubblici. Se non ci si pone ad esempio il tema del coinvolgimento del pubblico attraverso altre forme di partecipazione rispetto a quelle attuali oppure quello della necessità di mettere in moto percorsi virtuosi dal punto di vista finanziario siamo destinati all’inaridimento culturale. L’arte deve essere libera dal potere politico. Se ne è dipendente è quantomeno condizionata. Ci sono molte esperienze positive nel mondo. e non solo nel campo culturale. Perché non copiamo da altri Paesi quando fanno meglio di noi?
Se non avessi fatto il musicista cosa avresti voluto fare?
Difficile dirlo. Ho un certo talento per le lingue quindi forse sarei andato in quella direzione.
Hai un sogno nel cassetto o la massima aspirazione o desiderio che vorresti ancora realizzare?
O si, di sogni ce ne sono tanti. Devo fare in fretta perché non sono più un bambino.
Rammentiamo ai nostri lettori dove possono seguire Gianni Savelli
Sul sito di Gianni Savelli:http://www.giannisavelli.com/it/
Intervista di Ester Campese

Meli, "Capofitto" il nuovo singolo

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"Capofitto"è il nuovo e ultimo singolo di Meli (video).

A pochi mesi dall'uscita dell’ altro singolo "Niente da Aggiustare" (video), che in un solo mese ha già raggiunto più di 3900 visualizzazioni, Meli ci stupisce con un brano più orecchiabile ma che mantiene inalterata la sua cifra cantautoriale, esplorando però lidi più pop, già lambiti da autori come Coez e Calcutta. 
Nel nuovo singolo "Capofitto"si sente, anche grazie all' intervento del Producer milanese Mexico, qualche rimando hip pop, anche se Meli non abbandona il suo marchio malinconico e resta su suoni minimali, dove il piano rhodes la fa da padrone.
Il testo del brano rimane la parte più preziosa di questo nuovo gioiellino indie.
Meli è davvero la nuova voce dei turbamenti della generazione millennial?
Ai posteri l'ardua sentenza.

Pedigree di Babilonia Teatri sarà al Teatro Biblioteca Quarticciolo dall’1 al 3 dicembre

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Pedigree di Babilonia Teatri, la cui prima versione è stata concepita appositamente per Garofano Verde 2016, la rassegna romana di teatro omosessuale, ha debuttato nel 2017 nella forma definitiva prima al Festival Primavera dei Teatri e  successivamente a Colline Torinesi.

Lo spettacolo, con la scrittura di Enrico Castellani e la cura di Valeria Raimondi e in scena Enrico Castellani con la partecipazione di Luca Scotton, è al Teatro Biblioteca Quarticciolo l’1 e 2 dicembre alle ore 21.00 e il 3 dicembre alle ore 18.00.
Pedigree è la storia di un giovane uomo, della sua famiglia con due madri, del padre donatore e dei suoi cinque fratelli di sperma sparsi per il mondo.
Pedigree racconta le difficoltà di una nuova generazione alle prese con genitori biologici e genitori di fatto, con nuove problematiche di identità e di coscienza.

Pedigree riflette sulle prospettive di determinate scelte, dei diritti, dei desideri, delle aspettative di una generazione in provetta alla ricerca di nuove radici e alle prese con nuove paure. Un lavoro che è allo stesso tempo un pugno allo stomaco e una carezza, dotato di una scrittura che scivola leggera ma si attorciglia alle budella, carico di umanità.

Pedigree sono due uomini che abitano il palco, senza nessuna apparente relazione tra loro. A legarli le note di Elvis. Vivono un ambiente sospeso a metà strada tra una galleria d’arte e un locale di street food, paradigma di un mondo in cui è pretestuoso tracciare confini e linee di demarcazione.

Pedigree racconta di come le nostre dita corrano veloci su schermi e tastiere ma le nostre menti e i nostri costumi siano impregnati di quell’odore di naftalina che abbiamo ancora nel naso.

“L’iniziativa è parte del programma di Contemporaneamente Roma 2017 promosso da Roma Capitale Assessorato alla Crescita culturale”



Crediti
PEDIGREE
con Enrico Castellani e con Luca Scotton 
parole Enrico Castellani 
cura Valeria Raimondi 
direzione di scena Luca Scotton
organizzazione Alice Castellani 
scene Babilonia Teatri 
costumi Franca Piccoli 
foto Eleonora Cavallo 

un progetto di Babilonia Teatri 
produzione Babilonia Teatri, La Piccionaia centro di produzione teatrale 
coproduzione Festival delle Colline Torinesi 
produzione 2017 

Teatro della Cometa, LA SPALLATA di Gianni Clementi dal 6 al 31 dicembre con Elisabetta De Vito, Gabriella Silvestri e Stefano Ambrogi

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Sarà in scena al Teatro della Cometa, dal 6 al 31 dicembre, LA SPALLATA di Gianni Clementi, con Elisabetta De Vito, Gabriella Silvestri e Stefano Ambrogi e con Claudia Ferri, Alessandro Loi, Matteo Milani, Alessandro Salvatori. La regia è di Vanessa Gasbarri.

Commedia capace di coniugare con equilibrio ed originalità una graffiante ironia ed il calore delle atmosfere familiari più tradizionali e genuine. Lo spettacolo porta la firma di Gianni Clementi, autore di innumerevoli commedie teatrali che hanno conquistato sia il pubblico italiano che quello straniero (per citare alcune delle più amate “Grisu’, Giuseppe e Maria”, “Ben Hur”, “Sugo Finto” e “L’ebreo”). La regia è curata da Vanessa Gasbarri. Dopo il successo di “Finchè vita non ci separi”, viene dunque a ricostituirsi la sinergia artistica che durante la scorsa stagione ha regalato al pubblico del Teatro della Cometa risate, inediti spunti di riflessione e momenti d’emozione. Nel nuovo lavoro "La Spallata" l’intreccio narrativo denso di sorprendenti colpi di scena, viene contrappuntato dagli eventi storici di un'epoca divisa tra galvanizzanti rivoluzioni e drammi incombenti. Al centro dei fatti raccontati da questa spassosa commedia, il microcosmo di una famiglia e un difficile confronto generazionale. Da un lato due cognate, protettrici di questo nucleo familiare matriarcale, cercano di affrontare le asperità del quotidiano o si abbandonano al fluire di un'esistenza ancorata al passato ed ormai priva di stimoli; dall'altro i loro quattro figli, appaiono pervasi dal desiderio di riscatto sociale, realizzazione personale e successo economico tipico della gioventù ed in particolare della cornice storica offerta dagli anni Sessanta.
Uno spettacolo intenso, divertente, ricco di pathos e comicità. La tradizione della commedia d'autore all'italiana rivisitata con la giusta dose di modernità ed un entusiasmo trascinante.

SINOSSI: 1963. Pieno boom economico. E’ l’epoca delle grandi rivoluzioni su scala mondiale, delle prime missioni spaziali, dei grandi contrasti, Mohamed Alì contro Joe Frazier, del grande mito americano, Marylin e John Kennedy, l’Italia del dopoguerra, Giovanni ventitreesimo, Totò, Aldo Fabrizi ed Anna Magnani ... Mamma Roma, una mamma attenta, presente, attiva, come Lucia (Elisabetta De Vito), ma anche sognatrice, scanzonata e generosa, come Assunta (Gabriella Silvestri). Le due cognate affrontano in maniera opposta il grave lutto che ha colpito le loro famiglie, i rispettivi mariti sono infatti mancati in seguito ad un incidente sul lavoro. E mentre la Roma di allora si ricostruisce, anche la famiglia Ruzzichetti cerca di rinascere dalle proprie ceneri, e quale modo migliore in un momento come quello se non “mettersi in proprio”? Ci vuole un’impresa, un Ditta ...sì! Un’attività di pompe funebri!  L’idea geniale è di Benito (Alessandro Loi), detto Tito, intraprendente e confusionario figlio di Lucia, che insieme al rivoluzionario fratello Littorio (Matteo Milani), detto Vittorio, decide di fondare questa nuova attività, “L’Ultimo respiro”.
Come sostenere le prime spese? Il carro? Le corone? I vestiti? Entrare in società con Romolo (Alessandro Salvatori), cugino carabiniere stanco della divisa, la divisa sì ... quella della banda musicale! Il tippe tappe, gli anni d’oro di Cinecittà ... Edda (Claudia Ferri), la giovane e spigliata sorella di Tito e Vittorio, vive nel sogno Hollywoodiano di diventare una regina del grande schermo. A colorare ulteriormente la scena irrompe Cosimo (Stefano Ambrogi), fresco di sfratto, galante e attempato Vespillone, che tra un consiglio paterno sul duro “mercato dell’aldilà”, un occhiolino a Lucia ed una sviolinata ad Assunta spera finalmente di “sistemarsi” in casa Ruzzichetti.
Vanessa Gasbarri, torna a dirigere una commedia di Gianni Clementi dopo i successi di “Finché vita non ci separi” e “Clandestini”.
Protagonista di questa esilarante commedia è la vita, la vita che si confronta, che si contrasta, che si costruisce con una vita e per una vita si spezza, la vita che riflette, che dispera e che ride fragorosa.
Premio Fondi La Pastora anno 2003.

6 | 31 DICEMBRE 2017
LA SPALLATA
di Gianni Clementi
con Elisabetta De Vito, Gabriella Silvestri e Stefano Ambrogi
e con Claudia Ferri, Alessandro Loi, Matteo Milani, Alessandro Salvatori
regia Vanessa Gasbarri
scene Katia Titolo
costumi Velia Gabriele
luci Giuseppe Filipponio

Teatro della Cometa  - Via del Teatro Marcello, 4 – 00186
Orario prenotazioni e vendita biglietti:  dal martedì al sabato, ore 10:00 -19:00 (lunedì riposto), domenica 14:30 – 17:00 - Telefono: 06.6784380
Orari spettacolo: dal martedì al venerdì ore 21.00. Sabato doppia replica ore 17,00 e ore 21,00. Domenica ore 17.00. Costo biglietti: platea 25 euro, prima galleria 20 euro, seconda galleria 18 euro.
Riduzioni per lettori di MEDIA&SIPARIO, CULTURAMENTE, SALTINARIA eGUFETTO

Assisi, mostra "Recent Works on Ceramic" di Claudio Andreoli alla Minigallery 8-17 dicembre

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La Minigallery è lieta di presentare Recent Works on Ceramic, la prima personale in galleria di Claudio Andreoli. Dopo le sculture lignee esposte alla Terza Biennale di Scultura di Piazzola sul Brenta, l’artista propone ad Assisi la recente ricerca composta da 30 “tavole” (18x14cm circa) in ceramica naturale o verniciata, con impressa l’immagine di una figura umana sempre più astratta, rarefatta.

L’argilla è per sua natura duttile, incapace di resistere alla forza; facile da manipolare, ha una predisposizione intrinseca a essere messa in forma. Partendo da queste riflessioni Andreoli ne ribalta l’approccio: da un lato riduce al minimo l’energia utilizzata, sottolineando gli incidenti involontari del lavoro, che diventano cicatrici durature. La modellazione come testimonianza di un metodo processuale. Dall’altra interviene sulla resistenza del materiale, stravolto da azioni violente: le proprietà fisiche consentono a linee, graffi, incisioni di dissolversi gradualmente nella massa stessa. Così, quelli che sono dei corpi, la sottile umanità che ossessivamente l’autore racconta, viene diluita in segni impercettibili, sostituita dall’imprevedibilità e dal caso. Anche la rottura in cottura o essiccazione (l’errore) può trasformarsi in opera, ricomposta con barre di piombo e gomma. In mostra, infine, sono presenti due tele di grandi dimensioni che perdono il telaio e acquistano, nella deformazione, la capacità di farsi struttura nello spazio.

E’ il quarto Sottocosto di Claudio Andreoli, un appuntamento che si concentra sul tema dell’accessibilità dell’arte; un progetto nato nel 2012 con la Takeawaygallery di Roma e che dopo il legno, il cemento e la pittura, approda alla Minigallery per insistere sull’analisi dei ruoli di gallerista, critico, artista e collezionista e del complesso rapporto tra gli ultimi due. Ciascuna tavola, proposta a una cifra irrisoria, perde nel momento dell’acquisizione la sua aura, assumendo quella di semplice “oggetto”; un esperimento sui processi e i meccanismi dello scambio; un cortocircuito che fa saltare la regola non scritta della corrispondenza tra prezzo e valore.

Info:
Recent Works on Ceramic
Sottocosto 4
Di Claudio Andreoli


Minigallery, Assisi
8 - 17 dicembre 2017
Vernissage: venerdì 8 dicembre 2017 ore 18 
Orari: dal giovedì al martedì 10-18; mercoledì chiuso

MINIGALLERY
Di Stefano Frascarelli
Via Portica 26, Assisi PG
stefano.frascarelli@gmail.com | 3332946260 | www.minigallery.it

Ingresso gratuito

Evento Facebook: https://www.facebook.com/events/145225939533723/
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