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Cosenza, PREMIO SPECIALE PER BRUNORI SAS ALLA “5 GIORNI DI MUSICA CONTRO LE MAFIE"

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L’Associazione Musica contro le mafie ha presentato ufficialmente in conferenza stampa lo scorso giovedì 5 ottobre - nella Sala Fare del MERCATO CENTRALE ROMA in via Giolitti, 36 - l’8^ edizione del “Premio Musica contro le mafie”, il concorso nazionale che premia la musica socialmente impegnata a sostenere i valori dell’anti-mafia.

Durante l’incontro sono stati illustrati gli aspetti principali del Premio, anticipando pure alcune novità e ospiti alla manifestazione finale “5 Giorni di Musica contro le mafie” prevista dal 12 al 16 dicembre a Cosenza.
La premessa necessaria ad ogni discorso sul premio riguarda il codice etico cui si ispirano le attività dell’associazione promotrice: il rispetto delle regole, della responsabilità e del bene comune come motore unico per favorire la serena condivisione di diritti e doveri nella comunità. Definito questo fondamentale assunto, è semplice comprendere che le modalità di partecipazione, selezione e premiazione dei partecipanti si svolgono all’insegna della totale trasparenza. Le iscrizioni sono gratuite e ammesse fino alla mezzanotte del 5 novembre dal link www.musicacontrolemafie.it/8edizione. Dopo una prima fase di giudizio popolare realizzato tramite social network Facebook fino al 27 novembre, tre differenti giurie (social, studentesca e tecnica-responsabile) stabiliscono i nomi dei dieci finalisti, chiamati ad esibirsi dal vivo alle finali nazionali a Cosenza nei giorni 15 e 16 dicembre 2017. La giuria tecnica-responsabile è composta da 20 esperti, attivi nel campo dell’informazione musicale, artistico e sociale, come giornalisti, critici musicali, artisti, produttori, operatori sociali e altre personalità (vedi lista in allegato). Le premiazionisi svolgono a febbraio 2018, durante il Festival della Canzone Italiana a Casa Sanremo presso il Palafiori.

I premi messi in palio dai partner sono vari e più importanti delle scorse edizioni: Premio Winner Tour(realizzato con fondi dell’Art.7 L93/92 con bando diramato da Nuovo Imaie), € 15.000 per un tour di concerti (primo classificato); borsa di produzione o studio di € 1.000 (secondo classificato); Menzioni specialidal Club Tenco, di Casa Memoria Peppino e Felicia Impastato e dall'Associazione "Musica contro le mafie";Targa SIAE e borse di studio per giovani autori (un riconoscimento concreto per la costruzione della carriera artistica dei nuovi talenti); altri premi speciali dai partner Casa Sanremo, Acep, Unemia, I-Company, Muzi Kult, On Mag Promotion.

PRIME NOVITA’ e OSPITI della “5 Giorni di Musica contro le mafie” 12-16 dicembre 2017, Cosenza:

Il cantautore Dario Brunori (BRUNORI SAS, foto di Mattia Balsamini) riceve il Premio Speciale "Musica contro le mafie", da quest'anno assegnato per la prima volta ad artisti affermati del panorama musicale nazionale. Il brano per cui viene attribuito il riconoscimento straordinario è "Canzone contro la paura", dall’album “A casa tutto bene” (Piccica Dischi). L'artista ritira il premio durante il concerto finale dellakermesse "5 giorni di Musica contro le mafie" il 16 dicembre 2017.
Il giornalista Sandro Ruotolo è protagonista di uno degli incontri con gli studenti in programma alla “5 Giorni di Musica contro le mafie” per affrontare l’argomento Giornalismo di inchiesta e investigativo: quando il cronista viene minacciato – scorta armata e "scorta mediatica”.
Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, incontra gli studenti per dialogare sulle parole chiave delcambiamento.    

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#lamusicapuò

YATO, “POST SHOCK” IL NUOVO ALBUM DEL CANTAUTORE ELECTRO VOCAL

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“Post shock” è un disco denso di emozioni e coloriture, un amalgama musicale che segue pedissequamente gli otto brani della track list nelle loro varie sfumature e diversità.

L’album affonda la propria emotività nel synth rock e nel synth pop con le loro varie derive newyorkesi e di casa europea, londinese e berlinese. Un progetto solista quello di YATO, cantautore electro vocal, che ci rimanda alle dimensioni caratteristiche della sua musica e della sua editoria in ogni minima sfaccettatura.

“Post Shock” è un lavoro autoprodotto anche grazie alla campagna di raccolta fondi e promozione realizzata attraverso il portale Music Raiser.
TRACK BY TRACK

ELECTRO HARDORE: Primo singolo lanciato, una musica aliena che si carica di un beat ed un mood etereo e leggero, quasi da viaggio in barca, quando si è pronti a salpare verso l’affascinante ignoto che esiste solo nei propri sogni.
IDOLATRINA: L’idolatrina è quella “sostanza immaginaria” che senza coscienza assumiamo quotidianamente nel continuo rapporto con il virtuale. Gli effetti possono essere molteplici: incanala e direziona tutte le nostre energie, i nostri pensieri ed emozioni verso l’estremo tentativo di raggiungere un’immagine o un’idea che ci affascina e seduce. Il brano musicale ha sonorità ed atmosfere rock e dell’elettronica, una fusione mediterranea dell’electrorock inglese, con un testo diretto e ricercato: chitarre distorte e synth sotto e sovra pelle su un beat dance e sincopato ed una vocalità con un pizzico di “graffio” in più!
DUB-BI SONG (instrumental): brano strumentale n.1 nella tracklist di “Post Shock” ed alla sua posizione n. 3. Parte con un beat ed una groovy profonda, ben cadenzata, che si satura e desatura oscillando fra queste due polarità fino a riassorbirsi in un nuovo nucleo di suoni ed immagini…per riesplodere, poi, nella sua seconda parte: una dub-bi song che non ha dubbi su come e dove spingere l’acceleratore.
LE TEORIE POSSIBILI: Tinte darkrock con una spunta di prog messa solo ad evidenziare un particolare stato d’animo, un beat, un vero e proprio cross over rock e dance. “Le Teorie Possibili” si aggiudica il titolo di singolo vorticoso, estraneo e così vicino allo stesso tempo all’amalgama sonora di “Post Shock”. Una canzone che parla degli “alibi”, di quelle maschere e giustificazioni che diamo per fuggire via da una verità che tocca, che può far male e che, poi alla fin fine, non ci fa neanche “…volare dentro i nostri guai”.
CONSCIOCK: Consciock è un brano dal caldo beat dance su una groovy funk e rock che si dipana lungo tutto il brano in una maglia calda ed avvolgente. Un brano dalle atmosfere sonore calde, dolci e a tratti spigolose, taglienti. Il testo parla di quell’istante, di quei momenti in cui la pressione è talmente alta da inondare tutto lo spazio dove siamo, un istante di spaesamento totale in cui quel che ci circonda non ci riguarda, lo percepiamo come diverso, estraneo…pronti per uno shock che sta per arrivare.
INTRO ME (instrumental): Vivere uno shock, in quel tempo, senza tempo che ci pone sempre di fronte a quel che, in realtà, non possiamo aspettarci perché sfugge al controllo, ai nostri, anche quotidiani, “sistemi di controllo” del mondo. “Intro Me” coinvolge le sonorità pop di questo album in un amalgama misteriosa di rock, pop e prog, con sapienti coloriture elettroniche. La sua latitudine è decisamente quella del nord europa ed abbraccia sonorità eteree dei Sigur Ross fino ai crescendi electro-pop dei Coldplay, il tutto con una spinta ed un’accelerata potente verso un rock che si fa anche descrittivo, colora e ricolora la stanza o il luogo dove lo stiamo ascoltando.
POST: Una settima canzone dell’album che è un vero e proprio “Post”. Un testo incisivo, ammaliante, che scava la mente ed il cuore, con una voce così grave e rude, nelle strofe, da ricordarne alcune note importanti del panorama cantautorale internazionale, nella loro intenzione di raccontare cose non comuni di un’esperienza, di non offrire una sua didascalia ma un suo taglio, unico, un racconto totalmente soggettivo. Basti pensare ai grandi maestri ed alle voci segnate dalla propria vita e dalla propria esperienza tanto da darne un colore ed un timbro magistralmente unico come quello di Tom Waits e Leonard Cohen. 
ORMONAUTI remix: YATO feat. Dj Bassound. Take di chiusura di questo nuovo album 2017, un featuring che remixa il singolo “Ormonauti” uscito nel primo album “Fuck Simile” del 2016 (Regia Video: Jacopo Jenna, French Friess Studio). Brano con una groovy ripetitiva, ipnotica e tirata, con stop and go che affondano il loro sound nel cuore dell’Europa fra Berlino, Londra, Copenaghen! Una featuring groovosa che coinvolge lo YATO-J-Set al beat sincopato di DJ Bassound.

Autoproduzione
Pubblicazione album: 9 ottobre
BIO
Stefano Mazzei, è di origini versiliesi e marine, adottato da Firenze.
Suona fin dalla giovanissima età in band locali del panorama versiliese tutte volte alla scrittura e composizione di brani inediti dall’hard rock, al cross over ed al pop-rock, in inglese ed in italiano, mentre persegue in privato le lezioni di canto lirico sotto la docenza di Marta Pini.
Successivamente, con l’avvicendarsi della vita di città, a Firenze, si dedica alle varie forme della canzone d’autore, in italiano ed in lingua straniera collaborando anche con Tommaso Talarico, autore calabrese adottato fiorentino, in progetti di trio acustico ed elettronico sperimentale. Nel panorama di Firenze continua la sua formazione canora, in privato, sotto la guida di Stefania Scarinzi e le varie attitudini della Vocal Power Accademy di Los Angeles (Elizabeth Howard).
Coltiva gli studi legati al jazz ed ai gruppi di armonia vocale, nonché all’impiego della voce come strumento ponendosi in scia con voci e sperimentalisti quali Stratos, Mcferrin, Sajncho.
In questo periodo partecipa attivamente come cantante nella zona di Firenze in band alternative rock come La Fabbrica e Mood Garden Celluloid e si dedica alla scrittura e composizione di colonne sonore per reading di poesia e teatro.
Nel 2011 torna in Versilia e fonda il progetto “Sea Sound Radio”, un primo importantissimo passaggio in cui Mazzei integra una composizione ed un arrangiamento che si rifà alla dance e ad atmosfere maggiormente surreali come quelle dei Sigur RÓs fino ad alcune derive del synth rock. Di questo progetto viene pubblicato il primo ed unico album in limited edition e con il suo successivo mini tour che va dall’open live set di Richard Dorfmeister alla partecipazione al Festival Internazionali di Surf (SingleFinn) e raduni motociclistici fino ai concerti propri nell’area versiliese e fiorentina in locali, club ed anche location suggestive quali Rocca d’Aghinolfi (MassaCarrara), Piazza del Duomo (Pietrasanta), “Le Murate” (Firenze).
Dopo alcune vicende gruppali, inizia un periodo tormentato dell’artista in cui riemerge presentandosi al pubblico sotto la veste di YATO, cantautore electro vocal, ed un cortometraggio dal titolo “Città Aperta in un Mondo Corrotto” in cui dieci giovani parlano dai propri angoli della città di Firenze, da quelle prospettive e luoghi intimi cari perché vissuti da stranieri, non nativi, bensì quasi da “adottati” chi per un motivo chi per un altro. Una nuova età iniziava.
Quel che aveva vissuto fino ad allora in tutti I vari progetti diventavano forme canzoni con una struttura dei brani non convenzionale! Così nascono “In-Nocuo” e “Servo di un’idea” e le varie takes che usciranno in “Fuck Simile”, primo album autoprodotto (2016), con testi e sonorità ricercate per un’espressione viva sulla sua generazione. Dalle vocal version ad un’elettronica raffinata come un vero e proprio life motif per testi con riferimenti a condizioni sociali e soggettive della ”X” generation!
Un primo album autoprodotto con cui si presenta nelle città di Trento, Verona, Mantova (Festival Nazionale-Mantova, Capitale Europea della Cultura 2016 di MEI ed ExitWell, con Ministero dei Beni Culturali), Firenze, Massa-Carrara, Pistoia (ospite semifinali nazionali del Pistoia Blues Festival), Roma sia attraverso performance live con altri musicisti che in versione YATO-J-set. 
In attesa del nuovo album 2017, in uscita subito dopo l’estate, la pubblicazione del singolo “Electro Hardore”, contenuto al suo interno.
Contatti e social

Luca Piscopo, La pizza "ANEMA & PIZZA" alla conquista dello showbiz

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Lo straordinario estro del maestro pizzaiolo Luca Piscopo, ha conquistato anche il mondo dello spettacolo e dello star system.
Infatti, la sua pizzeria “ANEMA & PIZZA” oltre ad essere frequentata dai clienti habituè che hanno scelto di mangiare questa pizza dal sapore eccezionale, fatta con prodotti genuini, scelti ed anche biologici e con un impasto di una leggerezza fuori dal comune. Ecco spuntare anche alcuni personaggi e vip che hanno scelto di passare una serata diversa ed assaporare la pizza di Luca dal gusto inconfondibile. Tra questi possiamo citarne alcuni come Gianni Fiorellino, il bello e affascinante Mister Universo 2017, Michele de Falco Iovane, I Ditelo Voi, l’attore Nunzio Bellino e l’ Oscar italiano del Web Giuseppe Cossentino e Gianni Di Marzio, allenatore del Napoli.
Di certo non è un caso, infatti il personale è sempre accogliente e gentile, il locale sobrio ed elegante e le creazioni di Luca Piscopo, non sono solo buone da gustare ma anche da vedere, tanto che, quando vengono messe a tavola le pizze, sembrano delle opere d’arte moderne. Insomma, un motivo in più per scegliere questa straordinaria pizzeria sita in Corso Durante a Frattamaggiore, in provincia di Napoli, dove Luca Piscopo e il suo staff qualificato vi aspetta per farvi mangiare una pizza davvero buona che vi stregherà inevitabilmente l’anima. Provare per credere!

Fotografia, Sebastião Salgado con "Genesi" al PAN di Napoli fino al 28 gennaio 2018

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Salgado, ritenuto il documentarista/fotografo contemporaneo vivente più importante, approda al PAN (Palazzo Arti Napoli), con Genesi da oggi, 18 ottobre 2017, al 28 gennaio 2018 con le sua suggestive immagini in bianco e nero che trasmettono con grande potenza una testimonianza e un atto di amore verso la Terra consentendoci di scoprire la bellezza dei luoghi più remoti del Pianeta, che lo stesso Salgado ha ritratto durante il suo viaggio durato 8 anni.

Genesiè infatti l'ultimo importante realizzazione di Sebastião Salgado, il fotografo Brasiliano che con passione ci svela il suo punto di vista e ci esorta urgentemente a modificare il comportamento e stile di vita di ognuno di noi a salvaguardia della nostra madre Terra e nostra casa che scelleratamente stiamo distruggendo.

Sebastião Salgado ci porta così ad un tema quanto mai straordinariamente attuale e che impelle sempre più, nel trovare forme per vivere in “nostro ambiente” con un rapporto maggiormente armonico e sostenibile quindi un monito e un grido di allarme per non far si che sviluppo non sia corrispondente a devastazione e deflagrazione.

La mostra Curata da Lélia Wanick Salgado su progetto di Contrasto e Amazonas Images, è frutto della collaborazione di Civita Mostre con l'Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli portando più di 200 foto alla visione del pubblico con eccezionali immagini che compongono un itinerario fotografico che condurrà in luoghi in cui natura ed esseri viventi sono ancora in equilibrio con l'habitat.

Sarà possibile osservare attraverso le foto scattate da Salgado la parte dedicata agli animali e quella riservata alle popolazioni indigene come ad esempio quelle dell’Amazzonia con gli Yanomami e i Cayapó o delle foreste equatoriali nel Congo con i Pigmei o ancora trasportandoci del deserto della Namibia per scoprire le tribù Himba.

Un’imponente mostra dunque che per la prima volta simpaticamente invade l'intero Palazzo Roccella sede del PAN.

Link:
Ester Campese

Palermo, alla RizzutoGallery la mostra “Nyctografie. Scritture tra il visibile e l’invisibile” con opere di Stefano Cumia, Nunzio e Turi Rapisarda

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di Andrea Giostra - La “RizzutoGallery” di Palermo presenta la mostra da titolo “Nyctografie. Scritture tra il visibile e l’invisibile”. È una mostra a tre voci che vede esporre opere di Stefano Cumia, Nunzio e Turi Rapisarda, che resterà aperta fino al 18 novembre 2017. La cura è affidata a Helga Marsala.

Stefano Cumia è artista palermitano con base a Milano, classe 1980, tra i più raffinati e interessanti esponenti della nuova astrazione pittorica italiana.
Nunzio, classe 1954, è tra le voci italiane più autorevoli nel campo della scultura.
Turi Rapisarda, catanese di nascita e torinese d’adozione, è un talentuoso sperimentatore della fotografia contemporanea.
La mostra sperimenta la fruizione di tre linguaggi diversi quali la pittura, la scultura, la fotografia.

L’incipit della mostra a cura di Helga Marsala, allestita negli antichi magazzini del palazzo di via Maletto che alla sua sinistra affianca la splendida basilica di San Francesco d’Assisi nel cuore del mandamento della Kalsa della Palermo antica, recita così: «Chiunque abbia avuto, come spesso ho fatto io, la necessità di uscire dal letto alle 2 del mattino in una notte invernale, accendere una candela, e appuntarsi alcuni pensieri che avrebbe altrimenti dimenticato, converrà con me quanto scomodo possa essere» … aggiungiamo all’incipit … «Tutto ciò che devo fare adesso, se mi sveglio e penso qualcosa che desidero appuntare, è prendere da sotto il cuscino un piccolo taccuino contenente il mio nyctografo, scrivere alcune righe - o alcune pagine - senza nemmeno dover mettere le mani fuori dalle coperte, rimettere a posto il libretto, e tornare a dormire.» (Lewis Carroll, da una lettera alla rivista The Lady, ottobre 1891).
Qual è il percorso che vogliono far seguire al visitatore della mostra le parole dello scrittore Charles Lutwidge Dodgson divenuto famoso al mondo intero per il più noto dei suoi racconti “Alice nel paese delle meraviglie”?
Charles Lutwidge Dodgson, in arte Lewis Carroll, oltre ad essere uno scrittore controverso e molto famoso, fu anche un ottimo fotografo fin dagli albori dell’arte della fotografia che praticò dalla seconda metà dell’800. Fu anche l’inventore della “nyctografia” (nyctography), ovvero un sofisticato sistema per scrivere al buio – ovvero sotto le coperte di notte come racconta nell’appena citata lettera - che prende il nome dallo strumento utilizzato da Carroll che fu il nyctografo (nyctograph), una piccola griglia ricavata da un tassello rettangolare di legno.
Ebbene, il titolo della mostra è Nyctografie, e uno degli artisti che espone, Turi Rapisarda, è fotografo raffinato e fuori dagli schemi ortodossi utilizzando una tecnica analogica su pellicole molto simili a quelle utilizzate nelle radiografie mediche a RX.
La luce e le ombre, il bianco e il nero, il buio e il luminoso, la notte e il giorno, metaforicamente sono i protagonisti della mostra della RizzutoGallery, che vede esposte, oltre alle opere del Rapisarda, i dipinti monocromi di Cumia che impongono al visitatore un esercizio percettivo per scorgere il nero dal nero e il bianco dal bianco, e le interessanti sculture di Nunzio che tracciano linee e rilievi che si proiettano nell’invisibile da un nero carbonico per certi versi ancestrale.
I ritratti di Rapisarda, dal titolo Unt Hitler (2011), sono visibili all’interno di una cabina buia che certamente arricchisce la percezione selettiva del visitatore verso una dimensione da camera oscura.
Nei suoi quadri Cumia impone un tocco pittorico composto di gradienti, di ingegnose patine di bianco e di nero che si armonizzano in interessanti velature di luce e di chiaroscuro.
Le sculture di Nunzio giocano tra spazio e luce con proiezioni e profondità metaforiche di ricercate e nuove forme espressive della materia.

Nyctografie. Scritture tra il visibile e l’invisibile
Stefano Cumia | Nunzio | Turi Rapisarda
a cura di Helga Marsala
Inaugurata sabato 23 settembre 2017, ore 18
dal 26 settembre al 18 novembre 2017
dal martedì al sabato | 16.00-20.00
RIZZUTOGALLERY
Palermo, via Maletto, 5
+39 091 7795443 – +39 347.1769901
www.rizzutogallery.com
www.facebook.com/rizzutogallery/

GLI ARTISTI:
Esponente di una new-wave pittorica radicata nella grande tradizione italiana, STEFANO CUMIA è tra gli artisti siciliani più interessanti delle ultime generazioni. La sua ricerca artistica è caratterizzata da un lavoro pittorico di sintesi e di astrazione in cui l’oggetto di principale interesse è la pittura medesima.  Nei suoi lavori, Cumia si propone di analizzare i processi primari che stanno alla base del discorso sulla pittura, e di riorganizzarne la sintassi sovvertendone i codici peculiari che la strutturano, partendo dal "mezzo", e attraverso il "mezzo" entrare ed uscire, penetrando la pittura fino alla sua struttura chimica e molecolare. Nelle sue opere il modello strutturale generativo è la traccia del telaio calcato sulla tela ribaltata, asse genetico sul quale si organizzano e si innestano gli stadi successivi.  Dopo la laurea in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo, nel 2007 si trasferisce a Milano, dove oggi vive e lavora. Nel 2009 è tra i protagonisti di Palermo/Babilonia/Palermo, collettiva curata da Francesco Gallo, che ha fatto tappa prima al Palazzo Ziino di Palermo e poi al The Union of Bulgarian Artists (UBA) di Sofia. Nel 2013 inizia la sua collaborazione con RizzutoGallery, che ospita "SCP-14", mostra personale curata da Helga Marsala. Sempre nel 2013 vince il bando del Museo Riso per un programma di residenze all’estero, venendo ospitato dal Kunstverein zur Kunstausstellungen von Veranstaltungen di Düsseldorf. I lavori realizzati durante la residenza verranno esposti ed acquisiti dal Museo Riso di Palermo. Nel 2014 è finalista al "Premio LISSONE 2014", Museo d'Arte Contemporanea di Lissone, e nel 2015 è finalista al 16° Premio Cairo e partecipa alla mostra finale al Museo della Permanente, Milano. Nel 2015 è di nuovo in Residenza artistica, a Cosenza, a cura dell’associazione culturale I Martedì Critici. Le sue opere si trovano in collezioni private e pubbliche, come la Galleria d'Arte Moderna Achille Forti di Verona, Palazzo della Ragione, e il Museo RISO - Museo regionale d'Arte moderna e contemporanea, Palermo.

Tra i maggiori esponenti della scultura italiana, NUNZIO si è dedicato a indagare le possibilità espressive e formali della materia e le sue interrelazioni con lo spazio e la luce attraverso opere spesso cariche di significati metaforici. Ha ottenuto significativi riconoscimenti, dal premio Duemila per i giovani della Biennale di Venezia del 1987 alla Menzione d'onore della stessa Biennale del 1995. Dopo gli studi all'Accademia di belle arti di Roma con Toti Scialoja, ha esordito nel 1980 con serie di grandi superfici ondulate e irregolari di gesso dipinto, composte da due o tre elementi ancorati alla parete, che segnano subito il percorso dell’artista, sempre orientato a esplorare le possibilità espressive della materia e del suo rapporto con la luce e lo spazio. Dalla metà degli anni Ottanta ha cominciato a utilizzare nuovi materiali (ferro, lamine) creando forme più strutturate e di rigore geometrico e ha iniziato le combustioni su legno, talvolta insieme all’uso del piombo, che caratterizzano la sua produzione matura. Dopo la prima personale a Bolzano (Galleria Spatia, 1981) e le collettive dei primi anni Ottanta con i cosiddetti artisti della “Nuova Scuola Romana”, operanti nel quartiere San Lorenzo di Roma, presso le gallerie La Salita e soprattutto l’Attico, ha continuato a esporre in importanti mostre sia in Italia sia all'estero (New York, Annina Nosei Gallery, 1985; Darmstadt, Mathildenhöhe, 1990-91; Perugia, Rocca Paolina, 1992; Spoleto, Festival dei due mondi, 1993; Osaka, Kodama Gallery, 1994; Bologna, Galleria d'arte moderna, Villa delle Rose, 1995; Bergamo, Galleria Fumagalli, 2000). Nel 2005 il Museo d'arte contemporanea di Roma (MACRO) gli ha dedicato una grande antologica. Nel 2007 prende parte alla collettiva San Lorenzo di Roma, presso Villa Medici e due anni dopo partecipa al MartRovereto Italia Contemporanea. Le sue opere sono presenti in collezioni permanenti pubbliche e private, tra cui la GAM di Torino, la GNAM e il MAXXI di Roma, il Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwig di Vienna, la Fondazione Maramotti di Reggio Emilia, il Museo Biedermann a Donaueschingen. Nel 2016 espone al Madre di Napoli, e il Museo Riso di Palermo gli dedica la più recente mostra personale; Nel 2017 è tra i protagonisti della mostra “YTALIA - Energia Pensiero Bellezza. Tutto è connesso”, al Forte di Belvedere e altre sedi, a Firenze.

TURI RAPISARDA, catanese di nascita, torinese d’adozione, è artista fuori dagli schemi, che scardina i luoghi comuni dell'idea di ritratto fotografico, eludendo la separazione tra pubblico e privato, coniugando espressione artistica, diversità e relazioni personali. Le sue grandi fotografie analogiche stampate a mano, nascono dalla condivisione e da una riflessione su temi legati all’etica, alla rappresentazione, ai sentimenti, alla comunità. Una visione pura e romantica che torna costantemente in tutto il suo percorso dove, con la cura e la leggerezza di un approccio libero ed anarchico, svela la drammatica complessità di un mondo scomodo. Vi è in Rapisarda la sottile convinzione che “la peggior realtà è sempre meglio della migliore utopia”, proprio perché è reale e costituisce la premessa di un pensiero che vuole restare, ad ogni costo, in presa diretta con la realtà, senza rinunce e rassegnazioni. La foto risulta intensamente espressiva, e soprattutto nei ritratti l’effetto luministico diventa co-protagonista: contrasti intensi, luci ed ombre innaturali, improvvise, impreviste, colpiscono i volti sorpresi da una luce accecante che porta in superficie la simbolica manifestazione del bene e del male, del positivo e del negativo, che è in ognuno di noi. Ha preso parte a numerose esposizioni in Italia e all’estero, tra le quali “Turi Rapisarda” (Centro d'Arte Contemporanea L. Pecci, Prato, 1995), “Il tempo di Beuys” (Galleria Nova, Roma, 1995), “Equinozio” (Castello di Rivara, Torino, 1997), “Rave Mutation 001” (Galleria Siberie, Amsterdam, 1999), “I Sovversivi, l’arte a prezzo di Cd” (Galleria La Veronica, Modica, 2007; Galleria Art Up, Viterbo, 2008); “Entourage” (Galleria Dieffe, Torino, 2009). Nel 2013 la RizzutoGallery presenta la personale “Corpi speciali”, a cura di Francesca Alfano Miglietti. Nel 2016 è invitato nel progetto espositivo “Corpo. Gesto. Postura” all’interno di Artissima Art Fair. Nello stesso anno è impegnato nella personale "Famiglia", alla Azul Art Gallery di Tel Aviv. Sue opere sono in collezione presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e alla Fondazione 107 di Torino.




DOV’È FINITO IL TALENTO?

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Pochi giorni fa ho assistito ad un’altra sfilata di moda dove oltre agli outfit si presentava il total look che comprende la parte estetica del fashion: trucco, make-up, acconciature ecc….

Il termine “talento” andrebbe usato sapendo cosa significa. L’etimologia  del termine “Talento” dal latino” Talentum “significa: dote, capacita, attitudine, indole, estro, valore, ingegno, genialità.
Ho letto cari articoli in merito a questa Sfilata, e come nella precedente di Milano, Blogger varie, pseudo giornaliste, influencer hanno abusato di questo termine, io proprio non l’ho visto.
Credo dovrei a questo punto andare da un buon oculista o credo che si abbia paura nel dire le cose come stanno. Poi guardo chi scrive questi elogi e mi fermo. È sufficiente vedere il loro outfit. Dice tutto.
Torniamo a questa Sfilata. Non ho visto niente. Intanto vorrei analizzarla in tutti i suoi aspetti per farvi capire che il meccanismo dietro un defilé è complesso.  Parliamo comunque di un’azienda che produce abiti o prodotti cosmetologici. Prima cosa da valutare il budget. Qui hanno proprio superato i limiti per il tipo di Evento. Hanno risparmiato dove occorreva investire ed elargito dove si poteva evitare.
Questa è politica aziendale e dato che io ho una costruzione professionale imprenditoriale osservo anche questo. Secondo voi è consono che io chiami la casa di moda per avere un tavolo vicino alla sfilata e che questi mi rimbalzino direttamente alla PR del locale per avere il tavolo? Non ho interpellato Chanel, Dolce & Gabbana, Armani e via dicendo. È una piccola stilista di un paese di Provincia.
Tutti parlano male del mondo dei rapper. Io ho assistito a varie mostre di Street Art di persone che vendono per davvero. Ho trovato gentilezza, disponibilità, umiltà, disponibilità a fare foto di ogni tipo.
Certo non è lo stilista che si deve occupare della parte professionale. È lo Staff dirigenziale il responsabile. I vestiti da presentare erano quattro o cinque. Teniamo presente che ci troviamo in Provincia non a Milano. La location era eccellente, eccessiva per una Sfilata cosi misera di outfit. Hanno fatto sfilare le modelle su e giù da una scala. Nessuna camminata. Locale più per feste, Party, intrattenimento, non Sfilata di moda. Nessun omaggio alle Signore invitate. Questo è un errore gravissimo. Un omaggio anche di poco valore è sempre gradito.
Le modelle non erano modelle ma ragazze che probabilmente sono state reclutate per la serata. Non sapevano camminare, non sapevano arrivare al punto fermo in cui il corpo si deve voltare, non sapevano interpretare l’outif. Ma cosa avrebbero dovuto interpretare? Abiti da discoteca, abiti che indossano donne che vogliono sembrare ridicole ragazze. Abiti di un’assimetria non giustificata, incomprensibili.
Non siamo tutti stilisti, scrittori, artisti in Italia, ma sembra che tutti credano di esserlo solo perché sul passaporto c’è la cittadinanza italiana!
Scarpe terrificanti. Zatteroni, un “omicidio premeditato” alla sensualità delle modelle in questione ed aggiungo delle donne in generale. Il tacco a spillo da quella naturale ondulazione dei fianchi che un tacco grosso non potrà mai dare.
Ho salvato un capo. Un Kaftano nero in chiffon indossato però sopra dei bikini. Raffinato ma non come beachwear. Voi andreste in spiaggia con un Kaftano in chiffon nero lungo fino ai piedi con cappuccio? Come l’avrei valorizzato? Semplice facendolo diventare un capo stilosissimo da sera. Modella alta, gambe lunghe e nervose, jeans nero slim, t-shirt bianca, decolleté nera tacco 12 e sopra il Kaftano. Non mi pare complicato.
Quando ho chiesto del Kaftano mi è stato risposto dalla Responsabile dello Staff che mi ha invitato alla sfilata che avrei potuto acquistarlo su ordinazione in un negozio che in realtà è un grande atelier di acconciature. Ho risposto che se vado da Coppola è per fare i capelli, non comprare un vestito. Voi andreste da un parrucchiere ad acquistare abiti? Questa è la politica aziendale di una “casa di moda”? Io trovo tutto ciò privo di classe e buon gusto. La risposta esatta era “ ti è piaciuto, un omaggio per te “. Avrebbero fatto un gesto di classe ed un investimento insignificante per essere elevate. Ma la classe ormai è in via d’estinzione.
Passiamo ora al total look. Scusate ma proprio io non riesco più a vedere queste lunghe chiome “boccolose” artificiali. Sono cofane vere e proprie, non esiste altro nome. Perché non ci sono modelle, donne, ragazze con tagli corti? Il corto è sexy. Se pensate alle donne più sensuali ad esempio del cinema, tantissime non avevano queste capigliature orripilanti. Grace Kelly, Haudrey Hepburn, Ingrid Bergman, MARYLIN MONROE, fino ad arrivare a Charlize Theron, Sharon Stone e potrei andare avanti all’infinito.
Passiamo alla moda: Linda Evangelista. Anche la Schiffer. La Crawford avevano capelli mediamente lunghi ma semplici.
Make-up pesantissimo.
Le mani. Come è possibile che sia stata “legalizzata “questa terrificante manicure con unghie lunghe, a punta dai mille colori.
Allora sapete cosa vi dico. Un brindisi a chi ancora ci crede come me che la classe deve essere sempre messa al primo posto. È la Regina unica e incontrastata del giusto stile di vita.

SARA TACCHI

Teatro Roma, "I Bonobo" fino al 19 novembre. Fattitaliani intervista Gianluca Ramazzotti, Fabio Ferrari e Giorgio Borghetti

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I Bonobo di Laurent Baffie, autore geniale, dissacrante e spregiudicato della drammaturgia francese che fa ridere sfidando i tabù. 

In Prima Nazionale al Teatro Roma fino al 19 novembre. Con Gianluca Ramazzotti, Fabio Ferrari e Giorgio Borghetti, Milena Miconi, Jun Ichicawa, Stefania Papirio. Adattamento e Regia di Virginia Acqua. Scene di Alessandro Chiti. Costumi Maria Gentile. Una produzione di Gianluca Ramazzotti Per Ginevra Media prod srl.

Il sipario si apre con una grande scommessa, quella di tenere gli spettacoli in scena per un lungo periodo, quasi tre mesi, come succede in quasi tutti gli altri Teatri europei, in modo da permettere a più persone di vederlo. L’idea è stata dei due Direttori Artistici, Pietro Longhi e Gianluca Ramazzotti. 

"I Bonobo"è una delle commedie francesi più brillanti e di successo ed è la prima volta che viene proposta in una versione italiana. I Bonobo sono le tre scimmiette sacre del Santuario scintoista di Toshugu in Giappone che coprendosi gli occhi, le orecchie e la bocca rappresentano il fatto di non voler vedere, non sentire e non parlare del male. Ed è proprio da loro che prende spunto la commedia, con i tre personaggi. Andrea cieco, Daniele sordo e Leonardo muto. Tre amici che per fare sesso, il sabato sera vanno a prostitute. Andrea è il deus ex machina della storia, inventa degli stratagemmi per permettere a lui di vedere, a Daniele di sentire e a Leonardo di parlare e adesca con una chat delle ragazze che non sono a conoscenza del loro handicap. 
Si ride di gusto anche se la battuta spesso è amara, si riflette e ci si confronta.

In maniera straordinaria, i tre maschi italiani, sono interpretati da Gianluca Ramazzotti, Fabio Ferrari e Giorgio Borghetti che li hanno rappresentati con le loro pulsioni, le loro paure, sfatando il mito delle persone angelicate com’è nell’immaginario collettivo. Li abbiamo intervistati per Fattitaliani.
Chi sono i Bonobo? Gianluca Ramazzotti (Leonardo):È una razza di scimpanzé che qualunque cosa facciano, dal litigare ad atro, risolvono tutto, facendo sesso. E’ questa la loro particolarità, ai Bonobo appartengono le tre scimmiette “Non vedo”, “Non sento” e “Non parlo. A loro corrispondono i personaggi di Andrea, Daniele e Leonardo.  Vengono paragonati ai Bonobo perché sono tre amici che hanno queste disabilità, uno è cieco, l’altro è sordo e Leonardo il mio personaggio è muto. 

Invece di continuare a fare sesso a pagamento, decidono di aprire una chat ed abbordano tre ragazze, alle quali nascondono la propria disabilità, per cui il cieco vedrà, il sordo sentirà ed io parlerò, attraverso degli escamotage molto esilaranti ed anche molto credibili.
Chi è Daniele? Fabio Ferrari: E’ un sordo “arrapato”. Non è sordo dalla nascita ma lo è diventato dopo, ha questi due amici, Leonardo che è muto ed Andrea che è cieco, insieme formano un trio di simpatiche canaglie, di “zozzoni”, uomini assolutamente normali che vogliono avere delle donne e siccome sono handicappati hanno dei problemi ad averle. La loro attività ludica è che il sabato sera vanno tutti insieme a “puttane”. Ad un certo punto cercano di avere dei rapporti con delle persone normali e fingono di essere normali. Questo dà luogo ad una serie di inconvenienti molto divertenti. E’ un classico del “Maschio italiano” che con gli amici fa lo sbruffone e si atteggia ad uomo “navigato” ma con le donne si paralizza, è timido ed avendo questo handicap, la sua timidezza e la poca attitudine a rapportarsi con le donne diventa più importante.
Chi è Andrea? Giorgio Borghetti:E’ la mente del gruppo, colui il quale trova l’escamotage per far sì che lui e gli amici possano incontrare delle ragazze “normali” e smettere di avere dei rapporti a pagamento. Apparentemente è un cinico e nel suo cinismo, raccoglie la difficoltà di avere rapporti con le donne. Cinismo che poi in qualche modo gli si ritorcerà contro e come tutti i cinici dovrà fare i conti e si ritroverà di fronte ad una realtà che è molto più bella rispetto a quella che si era prefissata e rimarrà per sempre nella sua vita. Tra i tre è quello più scientifico e quello che va più per linee diritte. Anche nel suo modo di camminare, nella sua cecità, lui fa di tutto per raggiungere il suo obiettivo. 
Come siete entrati nel personaggio?Ramazzotti (Leonardo): Attraversola lingua dei segni, ho imparato le battute. 
Ferrari (Daniele): E’ stato molto difficile perché istintivamente quando senti un rumore, ti giri verso la fonte che lo ha prodotto. Imparare a non farlo, non è semplice. Se nessuno parla e non c’è labiale, diventa tutto più complicato.   
Borghetti (Andrea): Ho pensato che l’unico modo per entrare in questo personaggio, fosse quello di stare sempre ad occhi chiusi. Conosco il personaggio e lo spettacolo ad occhi chiusi, ad occhi aperti perdo tutti i riferimenti e non saprei muovermi all’interno dello spazio. Adesso anche parlando con te, se penso ad Andrea mi viene da chiudere gli occhi. Come ogni estate ho studiato il testo al mare con gli amici che mi supportano da tempo. L’unico modo era di chiudere gli occhi e non vedere per immedesimarmi nel personaggio.
Siete risultati naturali e credibili, come avete fatto?Gianluca Ramazzotti (Leonardo) E’ un po’ lo stile recitativo della commedia, bisogna cercare di essere il più credibile possibile per far comprendere al pubblico la situazione. Abbiamo lavorato in modo da cercare di essere il più vicino possibile a queste persone che hanno un handicap ma vivono una vita assolutamente normale. Abbiamo lavorato come se non avessero l’handicap ma mantenendo l’handicap. Li abbiamo resi come sono nella vita. Conosco personalmente delle persone che hanno degli handicap e che come persone non sono affatto angelicate, hanno le stesse pulsioni degli altri.
Fabio Ferrari (Daniele): Con l’allenamento tipico degli attori, a non girarsi quando senti un rumore, a far finta di non sentire quando senti un campanello.   
Come si fa a sfiorare con delicatezza, tanti tabù tutti insieme? Ramazzotti (Leonardo): L’autore è molto noto in Francia per trattare argomenti delicati con estrema trasgressione mantenendo la delicatezza. Non è facile perché si potrebbe rischiare di fare un pastrocchio, invece lui riesce a mantenere altalenante questo equilibrio. 
Fabio Ferrari (Daniele): Non è facile, abbiamo faticato parecchio, nel senso che abbiamo dovuto ammorbidire anche la traduzione. Ad esempio, in francese, il verbo “baiser” vuol dire scopare ma nella loro lingua si ammorbidisce, da noi lo stesso termine è una brutta parola. Trattare l’handicap ed il sesso è senz’altro molto difficile ma devo dire che il pubblico anche quello meno giovane ed anche quello più borghese, all’inizio è molto perplesso, però dopo se la godono molto. Tenere in scena lo spettacolo per nove settimane è una scommessa. In Europa, gli spettacoli hanno tutti questa durata, speriamo che anche noi abbiamo una buona riuscita. Lo spettacolo comico ha bisogno di risate, elemento essenziale nella partitura della Commedia. Quando non ci sono o c’è poco pubblico, dispiace. 
Quanto è importante trovare un canale comunicativo, nella diversità? Dire diversità ha un senso ma chi è sordo ha un Handicap, vuole che si dica di lui che è sordo e non che è diverso, così come il cieco non vuole essere chiamato ipovedente. Una delle cose belle di questo spettacolo è che chiama le cose con il suo nome. Infatti usiamo spesso la parola handicappato non è per discriminare ma personalmente ritengo che dire le cose a metà che secondo qualcuno serve a non offendere, in realtà complica solo le cose.
Borghetti (Andrea): E’ fondamentale perché è dettato dal reciproco ascolto. Spesso quado non vengono ascoltati hanno una maggiore difficoltà. E’ bene che vengano messi nella condizione di ascoltare e di essere ascoltati.
C’è una grande complicità tra di voi?Fabio Ferrari (Daniele): C’è sicuramente una grande complicità ma anche una cattiveria come si fa con gli amici con i quali si gioca, si scherza ma ci si prende anche in giro. E’ un po’ come in “Amici miei” in cui si vogliono molto bene ma si dicono delle cose spaventose. 
Borghetti (Andrea): Non conoscevo affatto Stefania Papirio, gli altri sapevo chi fossero. Ramazzotti era l’unico con il quale avevo avuto quantomeno uno scambio di opinioni. Ciò che dici è vero perché si respira un’aria “bella”. La bellezza di questo testo è che riesce a raccogliere tante dimensioni. 
Come reagisce il Pubblico?Gianluca Ramazzotti (Leonardo): Si diverte tantissimo. Più si va avanti e più diventa divertente. Ride e riflette.  
Fabio Ferrari (Daniele): Prima ride e poi riflette. Ci sono anche delle risate molto cattive. Ci sono delle battute toste. La gente sghignazza però poi riflette. Anche i tre personaggi si massacrano tra loro, senza pietà, sui loro handicap. 
Come sta andando l’esperimento della lunga tenuta dello spettacolo?Giorgio Borghetti (Andrea): Per il momento sta andando bene, certo una lunga tenitura è molto difficile, però noi teniamo duro e siamo molto contenti. 

Elisabetta Ruffolo

Villa Miani Roma, “Experience Firriato”: esclusività, glamour e grandi vini con le eccellenze siciliane

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È nella stupenda ambientazione di Villa Miani, un elegante edificio neoclassico, costruita per i Conti Miani nel 1837 con un panorama mozzafiato su Roma che si è svolta il 16 ottobre scorso l’evento “Experience Firriato” che ha permesso ai convitati di fare un viaggio nella Sicilia del grandi terroir per promuovere il forte legame tra prodotto e territorio.

L’evento è stato fortemente voluto dalla Famiglia Di Gaetano anche per celebrare il legame con Roma e la presenza di Firriato nella Capitale.
Esclusività, glamour e i grandi vini di Firriato per un wine testing in abbinamento ad assaggi gastronomici siciliani di grande pregio ed eccellenza in perfetto accordo con questi prestigiosi vini.
Come si legge dallo stesso invito esclusivo agli ospiti “Firriato racchiude l’intero panorama enologico della Sicilia. Dalle terre nere dell’Etna sino alle colline che guardano il mare di Trapani e poi l’isola di Favignana, nelle Egadi. Sicilie diverse raccontate dalle sei tenute agricole a cui corrispondono sei caratteristici terroir dell’Isola”.
Sei infatti le tenute Firriato: Baglio Sorìa, Borgo Guarini, Dàgala Borromeo e Pianoro Cuddìa nell’Agro di Trapani, Cavanera Etnea alle pendici dell’Etna e infine Calamoni a Favignana.
Attraverso questa “Experience” gli ospiti hanno potuto fare un viaggio di esplorazione e scoperta di vini premiati dalla critica e apprezzati dai winelover di tutto il mondo ed apprezzare come dietro ogni singola bottiglia, ogni singolo calice sia trasmesso l’amore, la filosofia ed il rispetto del territorio ed il percorso intrapreso dai titolari Salvatore e Vinzia Di Gaetano, ed oggi dalla figlia Irene e dal marito Federico Lombardo di Monte Iato.
In scena quindi la migliore Sicilia con degustazioni accompagnate anche dai sapori e dalla cucina di qualità con la presenza di ben due cooking show attraverso lo chef bistellato Vincenzo Candiano, del ristorante La Locanda Don Serafino di Ragusa che ha fatto assaggiare agli ospiti una rivisitazione di un tipico piatto con dei corallini risottatti mantecati al caciocavallo ragusano e maiale brasato al rosmarino, mentre la cooking show Valentina Chiaromonte, del ristorante FUD OFF di Catania, ha preparato il baccalà con spuma di bagna cauda, rosa stellata, spolverizzati di olive e capperi.
Un’esperienza intensa, un viaggio sensoriale ineguagliabile tra i saloni della stupenda villa Miani, che Firriato ha voluto offrire a Roma e che di calice in calice ha fatto trascorre a tutti una stupenda serata brindando ed assaggiando tante prelibate ricercatezze come i salumi dell’azienda La Paisanella, i salami di asino ragusano de Il Chiaramontano, le specialità di tonnara di Favignana dell’azienda Nino Castiglione, ed il caviale di lumache dell’azienda La Lumaca Madonita ed altre ancora.
Tra i vini che si sono potuti degustare le bollicine del Gaudensius Blanc de Noir (Etna Doc) e del Gaudenisus Blancs de Blancs, e quelle del metodo charmat Saint Germain ma anche i Petillant Charme Bianco e Charme Rosé, poi i Grandi Classici Bianchi e Rossi, con le etichette che hanno scritto negli anni la storia del brand.
Per i vini di Favignana la scelta di presentazione è andata la linea Favinia, e del Vulcano, con i vini Cavanera e Sabbie dell’Etna, massime espressioni della viticultura di mare e di montagna.
Presenti anche i top wine che hanno consacrato il nome di Firriato tra i grandi nomi dell’enologia italiana quali Harmonium, Ribeca e Camelot ed non sono mancati i passiti l’Ecrù e il Favinia Passulè e il moscato l’Ocra, veri gioielli per gli amanti dei vini dolci.
Ester Campese

Teatro Studio Uno, dal 26 ottobre "Domani i giornali non usciranno" della Compagnia Barone Chieli Ferrari: anteprima nazionale

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Dal 26 ottobre al 5 novembre al Teatro Studio Uno debutta in anteprima nazionale Domani i giornali non usciranno, il nuovo lavoro della Compagnia Barone Chieli Ferrari.
Dopo la trilogia di spettacoli incentrata intorno alla figura dello scrittore argentino Julio Cortázar, la compagnia porterà in scena una drammaturgia originale della scrittrice Veronica Raimo; una collaborazione avviata nel 2015 con l’audiodramma Io amo le grandi navi bianche presentato all’interno del Festival Ritratti di Poesia di Roma. Le musiche originali del lavoro sono composte dal musicista Toni Virgillito mentre la parte visuale è affidata all’artista finlandese Elisabeth Mladenov.

Breve dramma per aeroporti.
Una donna ha appena perso la coincidenza per il suo volo e non sa quando potrà imbarcarsi sul prossimo. Sono mesi che si sta preparando a questa partenza: vuole essere perfetta per raggiungere l’uomo che la sta aspettando. Nell’infinito tempo dell’attesa avrà finalmente modo di perdere tutto ciò che l’ha portata lì, a cominciare dalla sua perfezione.

La messa in scena prevede la presenza di una sola attrice. Uno spazio spoglio, privo di qualsiasi connotazione temporale o geografica, accoglie il suo monologo. Ci troviamo in un non-luogo in cui un discorso interiore frammentario e discontinuo viene continuamente interrotto da altre voci, presenti e passate, concrete e metaforiche. Il suono, la musica e le immagini si mescolano alle voci in una partitura straniante. La recitazione, dai toni naturali e concreti, si appoggia su un lavoro di ricerca sul ritmo e la sospensione temporale, sulla sintesi e la sottrazione.
DOMANI I GIORNALI NON USCIRANNO
Di Veronica Raimo

Con Alessandra Chieli

Musiche originali Toni Virgillito
Visuals Elisabeth Mladenov
Costumi Alice Pacciarini
Progetto grafico Caterina Loffredo
Foto di scena Alessandro Gallo

Regia Emilio Barone | Massimiliano Ferrari

Una coproduzione  Compagnia Barone Chieli Ferrari | Teatro Studio Uno 
Durata 50’

Teatro Studio Uno, via Carlo della Rocca 6, Roma
Da giovedì 26 Ottobre a domenica 5 Novembre 2017

Orario Spettacoli
Giovedì, venerdì e sabato ore 21.00
Domenica ore 18.00

Ingresso 12€

Info e prenotazioni 
349.4356219 -329.8027943
info.teatrostudiouno@gmail.com
www.teatrostudiouno.com 

MONTE-CARLO, XVII EDIZIONE SETTIMANA LINGUA ITALIANA NEL MONDO: SUCCESSO DI "UNA FINESTRA SUL CINEMA"

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“Un evento che non poteva iniziare sotto gli auspici migliori e che ha incontrato un grande favore del pubblico - commenta soddisfatto l’Ambasciatore d'Italia nel Principato di Monaco S.E. Cristiano Gallo, organizzatore di “Una finestra sul Cinema italiano”, serata inaugurale della XVII edizione della Settimana della Lingua e della Cultura italiana a Monaco, che gode dell’alto patronato di S.A.S il Principe Alberto II e del Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, in collaborazione con la Movie On Pictures, di cui Enrico Pinocci è Presidente e CEO. Momento clou dell’evento, ospitato nel centralissimo ed elegante Salon Bellevue del Cafè de Paris di Monte-Carlo e presentato da un brillante Vincenzo Bocciarelli, è stato l’assegnazione di un riconoscimento alla carriera cinematografica agli attori Barbara Bouchet, Flavio Bucci,  Fabio Testi e al giovane regista Francesco Felli.

“Abbiamo tenuto alto il ritmo, proiettato cortometraggi molto apprezzati che danno il senso dell’italianità, - ha concluso l’Ambasciatore - il tutto alla presenza di straordinari artisti che siamo stati onorati di celebrare”.
Nel nutrito il parterre delle personalità presenti anche il Segretario di Stato, Jacques Boisson, l’Ambasciatore Henri Fissore, Chargé de Mission auprès du Ministre d’Etat, Andrea Stratta, Presidente UCI Cinemas, lo sceneggiatore Francesco Malavenda e le due giovanissime attrici, protagoniste di tre film internazionali Letizia e Rebecca Pinocci.

Bruxelles, 19 e 20 ottobre convegno "L'Italiano che parliamo e scriviamo"

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Il convegno, che si svolge nell’ambito della «Settimana della lingua italiana nel mondo», si propone di offrire una panoramica sui mutamenti avvenuti nella lingua dagli anni Ottanta fino ai nostri giorni e di analizzare nello specifico lo stato dell’italiano contemporaneo, scritto e parlato, in vari ambiti : dalla canzone al fumetto, dal cinema alla letteratura ai social network, passando attraverso la questione del genere e dei nuovi usi della punteggiatura. (programma).

Scarica qui il programma
In occasione della XVIIa Settimana della lingua italiana nel mondo – con tema: L'italiano al cinema, l'italiano nel cinema.
Sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica.
Data: da Gio 19 Ott 2017 a Ven 20 Ott 2017
Orario: Dalle 09:30 alle 12:00
Organizzato da : ULB e Istituto Italiano di Cultura
Ingresso : Libero

Settimana della Sociologia Italiana alla Sapienza: intervento della giornalista e studiosa di migrazioni Tiziana Grassi

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di Mimma Cucinotta - All’interno del palinsesto composito della Settimana della Sociologia Italiana (www.settimanadellasociologia.it/) si è svolto ieri  al Centro Congressi di via Salaria a Roma ''Un paese ci vuole: la Sociologia di fronte alla crisi italiana'' .
Il convegno  a cura del  Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza, ha messo in luce attraverso i risultati della ricerca temi e fenomeni come fiducia/sfiducia nelle istituzioni, paure, terrorismo, migrazioni, l’innovazione sociale e tecnologica, creatività e trasformazioni dello spazio urbano. Istituzioni, esperti e opinion leader hanno interloquito con i ricercatori sui temi dei singoli panel, in un tentativo di sinergia tra saperi sociologici e interessi istituzionali, sulle  nuove dinamiche socio-culturali, innovazione e nodi critici della società italiana del terzo millennio.

A chiudere i lavori della giornata sulle nuove morfofologie urbane che ospitano comunità di immigrati, la giornalista Tiziana Grassi, invitata dalla Sapienza nel ruolo di 'discussant' sull'intervento di Marco Bruno, docente di Sociologia dei processi culturali. La studiosa di migrazioni ha portato la sua esperienza di autrice per molti anni di programmi di servizio per gli italiani all'estero a Rai International e attualmente referente della comunicazione dell'INMP Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà, ente pubblico del sistema sanitario nazionale con sede a Roma presso l'ex ospedale S. Gallicano. "Essere stata a contatto con i nostri connazionali all'estero, con il loro vissuto di emigrazione, e quindi dolore, sogni e conquiste - ha dichiarato Tiziana Grassi - mi ha permesso di ampliare la percezione del vissuto lacerante di chi oggi viene in Italia alla ricerca di una vita migliore. Essere a contatto diretto con i migranti di ieri e di oggi, dal di dentro, in una sorta di patto di fiducia empatico, mi permette di cogliere i loro bisogni espressi e inespressi e di cercare di sensibilizzare alcuni colleghi giornalisti a trattare con il dovuto tatto, anche nell'uso del lessico, delle informazioni e della titolazione meno ad effetto, la delicata questione migratoria. Ed è necessario, nelle sfide del nostro tempo, riconoscere formalmente la figura del mediatore transculturale in ambito sanitario, figura professionale che opera presso l'Inmp, fondamentale per cogliere e accogliere le persone immigrate comprendendone non solo in senso stretto la lingua, ma tutto l'ampio universo culturale di cui è portatore. Diversi infatti sono i modi per esprimere il dolore, i sintomi, nelle culture dei Paesi dell'Africa, e noi dobbiamo essere preparati a rispondere adeguatamente. Per queste persone che vengono dall'altrove, anche le necessarie visite mediche di controllo sanitario durante la gravidanza, o la prescrizione dei farmaci, sono 'eventi' che vanno spiegati in un accompagnamento consapevole". Sottolineando ruolo e responsabilità dei media nella narrazione dei fenomeni in corso, che plasmano l'opinione pubblica, la Grassi ha auspicato un racconto che non si fermi all'emergenza, agli sbarchi, ma anche tutta quell'Italia che accoglie e integra, che è ancora sottaciuta. Le riflessioni su Roma - focus della giornata - hanno poi toccato anche i nuovi paesaggi con cui i nativi si confrontano nelle resistenze verso il nuovo, osservando che sono certo di tipo semiotico - pensando alle attività commerciali degli immigrati in zone della città come l'Esquilino che ricordano le Little Italy negli USA - ma anche di tipo olfattivo, linguistico e acustico, fonetico - pensando ai nuovi cognomi delle persone immigrate - quindi onomastico. Ma che in futuro potranno riguardare anche l'aspetto della toponomastica: come i nostri connazionali all'estero, dopo anni di impegno, coinvolgimento delle comunità di origine e di destinazione, ostacoli burocratici e numerose resistenze, hanno ottenuto con orgoglio di vedere istituite le varie "Via Italia" nel mondo, cambiando così il nome dei luoghi che riconoscevano la loro presenza e il grande contributo allo sviluppo dei Paesi di accoglienza, altrettanto dobbiamo ipotizzare nel futuro nei nostri contesti cittadini. "Siamo pronti, nei prossimi anni, a ricevere queste istanze?", è stata la domanda che ha scosso i presenti. "Perché - la studiosa ha evidenziato - dobbiamo fare un salto cognitivo e superare le immotivate paure verso l'Altro, come ci insegna questa città di antica vocazione ecumenica e cosmopolita, accogliendo le persone immigrate e le differenze, ma non in maniera rassegnata - Grassi ha proseguito ricordando il monito del padre dell'Illuminismo tedesco Lessing - ma, nella lungimiranza del superamento della dicotomia noi/loro, nel superamento dell'equivoco su un'emergenza che non c'è perché la mobilità è un processo endemico delle società, conquistare la consapevolezza che apparteniamo, tutti, alla comunità umana, e non c'è un'umanità in eccesso o di serie B, da tenere fuori dal banchetto della vita e dei diritti. L'augurio è quindi – ha concluso la studiosa di migrazioni  - quello di tesaurizzare la natura diasporica del nostro tempo quale fattore di sviluppo, di ampliamento degli orizzonti, di conoscenza e dialogo con l'Altro, un'occasione che rivela un potenziale creativo senza precedenti".  

Il convegno ha anche coinvolto esperti degli altri Atenei romani e rappresentanti di istituzioni come Prefettura e Comune di Roma, Associazioni e Fondazioni, Istituti di ricerca, giornalisti e manager di testate nazionali e locali. 

Paolo Isotta, Il canto degli animali. I nostri fratelli e i loro sentimenti in musica e in poesia

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Gli animali non sono macchine.

Provano sentimenti profondi solo in parte determinati dall’istinto. E li esprimono secondo rituali dell’istinto ma anche con una soggettività che nasce dalle esperienze e dall’intensità con la quale li sentono. Ogni animale ha la sua personalità, e lo sanno tutti quelli che vivono con un cane, un gatto, un uccello. La poesia - verso, narrazione, musica, immagine - è un altissimo strumento per capire, oltre che per affrontare, il mondo e la vita: manifesta e narra tale verità. Nel libro incontriamo delfini, balene, orche, cani, lupi, gatti, asini, cavalli, volpi, elefanti, cervi, giovenche, buoi, vacche, maiali, cinghiali, caproni, capre, agnelli, tigri, leoni, pantere, linci, furetti, scimmie, scoiattoli, foche, cammelli, canguri, topi, ricci, tassi, donnole, pipistrelli, usignoli, allodole, cuculi, cigni, upupe, albatri, falchi, aquile, gufi, civette, gazze, cardellini, anatre, oche, galline, galli, capponi, pappagalli, corvi, colombe, rondini, alcioni, gabbiani, pavoni, merli, tacchini, api, formiche, zanzare, ragni, libellule, rane, rospi, serpenti, tartarughe, pesci, seppie. Draghi e creature fantastiche che condividono le due nature: centauri, fauni, driadi, cavalli alati. Dei e le loro metamorfosi. Cantori divini che ammaliano bestie, piante, pietre.
Questo è un racconto sulla reincarnazione poetica del mondo animale: ma un racconto non sistematico. L’autore lo ha scritto liberamente, passeggiando fra le arti lungo un’intera vita. La pagina di Paolo Isotta dipinge una Natura eterna e sempre nuova, pur se mai come ora minacciata; e i simboli antichi che in musica e in letteratura accompagnano gli animali. E mostra che la grande arte canta, con la comune origine, la nostra fratellanza. Il libro è dedicato “A tutti quelli che lottano contro la caccia, in cielo, sulla terra, nel mare”.

Il canto degli animali

I nostri fratelli e i loro sentimenti in musica e in poesia
pp. 448, 1° ed.
978-88-317-2827-0
Paolo Isotta(Napoli, 1950) ha insegnato dal 1971 al 1994 Storia della Musica nei Conservatori di Torino e Napoli. Dal 1974 ha esercitato la critica musicale: per cinque anni al «Giornale» e trentacinque al «Corriere della Sera». A ottobre del 2015 ha abbandonato quest’attività per dedicarsi allo studio, alla lettura e a comporre libri che gli diano l’illusione di scrivere qualcosa di meno effimero di articoli giornalistici. Le sue opere principali sono: I diamanti della corona. Grammatica del Rossini napoletano (1974), Dixit Dominus Domino meo: struttura e semantica in Händel e Vivaldi (1980), Il ventriloquo di Dio. Thomas Mann: la musica nell’opera letteraria (1983), Victor De Sabata: un compositore (1992), La virtù dell’elefante: la musica, i libri, gli amici e San Gennaro (Marsilio 2014), Altri canti di Marte (Marsilio 2015), Les Vêpres siciliennes: Verdi e il trionfo dell’amor paterno (Zagabria 2015), Otello: Shakespeare, Napoli, Rossini (Napoli 2016), Paisiello e il mito di Fedra (Napoli 2016), Jérusalem: Verdi et la persécution de l’honneur (Liegi 2017). A settembre 2017 gli è stato attribuito il Premio Isaiah Berlin alla carriera. Fuori della musica le sue passioni sono la letteratura latina, con Lucrezio, Virgilio, Livio e Tacito al vertice, la storia romana, Petrarca, Gibbon, Manzoni, Leopardi, D’Annunzio, Flaubert, il teatro popolare in lingua napoletana e i film di Totò. È iscritto al Partito radicale e all’associazione Luca Coscioni.

“Tale e Quale Show”, quinta puntata: Bisciglia sarà Jovanotti, Carta farà Seal, Minetti ricorda Mia Martini

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Dopo aver vinto la sfida del prime-time la settimana scorsa, venerdì 20 ottobre torna “Tale e Quale Show”, il varietà di punta di Rai1 condotto da Carlo Conti e prodotto in collaborazione con Endemol Shine Italy. 

La quinta puntata vedrà sul palco dello studio 5 della Dear di Roma i 12 protagonisti che fino a questo momento si stanno dimostrando veri “alter ego” dei big della musica nazionale e internazionale chiamati a interpretare, sempre in diretta e dal vivo. Da ricordare che 7 giorni fa Dario Bandiera è entrato a far parte del cast: ha sostituito Donatella Rettore costretta al forfait a causa di un virus (l’attore ha ereditato i punti conquistati dalla cantante).

Vincitrice della quarta puntata, Annalisa Minetti con la sua interpretazione di Lp, seguita da Marco Carta (Michele Zarrillo), da Valeria Altobelli (Fiorella Mannoia) e Filippo Bisciglia (Eros Ramazzotti) terzi ad ex aequo. Curiosità: Loretta Goggi, Enrico Montesano e Christian De Sica, i tre giurati doc della trasmissione, hanno dato tutti il massimo delle preferenze a Carta: ma alla fine ha avuto la meglio la cantante milanese grazie ai voti (sommati) dei protagonisti di “Tale e Quale Show” che hanno in qualche modo stravolto appunto la valutazione della giuria.

Una classifica, questa, davvero equilibrata e per niente decisa: sono pochissimi infatti i punti di differenza tra una posizione e l’altra. E la quinta puntata potrebbe davvero ribaltare i pronostici e cambiare le carte in tavola. Vediamo in quali star dovranno “Immedesimarsi” i 12 protagonisti dello show: Valeria Altobelli avrà le sembianze di Anna Oxa, Edy Angelillo si trasformerà in Nancy Sinatra, Federico Angelucci sarà impegnato nel pop latino di Ricky Martin, Dario Bandiera se la vedrà con i Cugini di Campagna, Filippo Bisciglia si scatenerà con Jovanotti, Marco Carta vestirà i panni di Seal, Claudio Lippi omaggerà la classe di Dean Martin, Alessia Macari sarà alle prese con il pop di Christina Aguilera, Benedetta Mazza sarà Elisa, Piero Mazzocchetti ricorderà il mito di Luciano Pavarotti e Annalisa Minetti quello di Mia Martini, Mauro Coruzzi (Platinette) interpreterà Ornella Vanoni.

Ma senza il dietro le quinte non potrebbe esserci “Tale e Quale Show”. Già, perché qui vi lavora un team di professionisti composto da costumisti, truccatori, parrucchieri e “vocal coach” (Maria Grazia Fontana, Silvio Pozzoli, Dada Loi e la “actor coach” Emanuela Aureli) che segue passo dopo passo tutte le “evoluzioni” dei 12 protagonisti.

Dopo la quarta puntata, ecco la classifica provvisoria: Filippo Bisciglia, Marco Carta, Annalisa Minetti, Piero Mazzocchetti, Federico Angelucci, Dario Bandiera, Valeria Altobelli, Platinette, Alessia Macari, Benedetta Mazza, Edy Angelillo, Claudio Lippi.

Da ricordare che al termine di ogni esibizione, nel corso delle varie puntate, tutti gli ospiti si “sottoporranno” ai voti della giuria, che avrà il compito di valutarne le prestazioni con un voto che si sommerà a quello che ciascun sfidante, esprimendo la propria preferenza, sceglierà di assegnare a un concorrente rivale.

Oramai è una presenza fissa e costante del varietà, le sue missioni “impossibili” sono diventate un cult per i telespettatori. Quest’anno lui, Gabriele Cirilli, si è messo alle prove anche imitando i personaggi dei cartoni animati: in questa puntata sarà “impegnato” con i sette nani.

Tutti gli arrangiamenti saranno curati dal maestro Pinuccio Pirazzoli, con la consulenza musicale di Fabrizio Bigioni.

“Tale e Quale Show” è su Facebook e Twitter con l’hashtag #taleequaleshow.
Il sito ufficiale è www.taleequaleshow.rai.it

Prodotto da Rai1 in collaborazione con Endemol Shine Italy e basato su “Your Face Sounds Familiar”, format originale di Gestmusic Endemol S.A., licenziato da Endemol Shine IP B.V., “Tale e Quale Show” è scritto da Carlo Conti, Ivana Sabatini, Emanuele Giovannini, Leopoldo Siano, Mario d’Amico e Francesco Valitutti. Le musiche sono del maestro Pinuccio Pirazzoli, le coreografie di Fabrizio Mainini, la scenografia di Riccardo Bocchini. La regia è curata da Maurizio Pagnussat.

NAZIM HIKMET "IL POETA SEDUTTORE"

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AMO IN TE

Amo in te
l'avventura della nave cha va verso il polo
amo in te le cose lontane
amo in te l'impossibile
entro nei tuoi occhi come in un bosco
pieno di sole
e sudato affamato infuriato
ho la passione del cacciatore
per mordere nella tua carne.

Il 13 giugno del 1963 si spegne Nazim Hilmet uno dei più importanti poeti del Novecento ricordato principalmente per il suo capolavoro "Poesie d'amore" che testimonia il suo grande impegno sociale ed il suo profondo sentimento poetico.
Nasce a Salonicco all'epoca parte dell'Impero Ottomano (ora Grecia ) il 20 novembre del 1901 da una famiglia aristocratica. Padre console, nonno diplomatico, madre pittrice e poetessa appassionata di poesia francese, in particolar modo da Baudelaire e Lamartine.
Hikmet inizia a lavorare come insegnante ma subito viene costretto ad espatriare per le sue forti idee politiche denunciando platealmente il genocidio armeno. Arriva in Unione Sovietica dove si sposa per la prima volta. Grande amante delle donne certo non si fermerà alla prima consorte. Difatti anulla quasi immediatamente il suo primo matrimonio e torna in Turchia. Viene nuovamente condannato alla prigione nel 1929 e trascorrera' cinque anni in carcere. Questo sara' per lui un periodo pero' estremamente prolifico. Scrive nove libri di poesie che avrebbero rivoluzionato la lirica moderna con l'uso di versi liberi.
Si sposa per la seconda volta con una donna vedova con figli e per mantenere la nuova famiglia lavora come rilegatore di libri.
Nel 1938 scrve un poema per il quale viene accusato di rivolta contro il Governo Turco. Viene arrestato, processato e condannato a ben 28 anni e 4 mesi di prigione anche per le sue idee anti-razziste e anti-franchiste. Nel frattempo divorzia dalla seconda moglie.
La sua carcerazione sara' lunga e dolorosa tanto che in questi anni viene colpito dal primo infarto.
E' l'intervento forte di una commissione internazionale di artisti composta da Pablo Picasso, Tristan Tzara, Paul Robenson e Jean-Paul-Sastre che riesce nel 1950 a farlo scarcerare.
Si sposa per la terza volta con Munevver Andac traduttrice in lingua polacca e francese conosciuta quando lei lo visitava in prigione e a cui lui dedica meravigliose poeie.

SEI LA MIA SCHIAVITU', SEI LA MIA LIBERTA'
Sei la mia schiavitu' sei la mia liberta'
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d'estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e virtuosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro.

Parole forti, passionali, carnali che inesorabilmente seducono, perche' Nazim Hikmet e' il poeta seduttore.
Da questa donna avra' un figlio, Mehmet.
Viene candidato al premio Nobel per la pace ma nel 1951 la sua odissea continua. E' costretto a tornare a Mosca senza la sua famiglia e la sua vita sara' un continuo esilio viaggiando in tutta Europa.
Arriva a Roma, attraversa di notte il Bosforo su una piccola barca fino a che una nave bulgara lo salva.
Nello steso anno chiede asilo politico in Polonia, rinunciando alla cittadinanza turca, ma il Governo turco gli rifiutera' per tutta la vita di poter rivedere la moglie ed il figlio.
Ha un secondo infarto.
Nel 1962 s'innamora della giovane Vera Tuljakova annullando il terzo matrimonio e sposandosi per la quarta volta.
Morira' di una nuova crisi cardiaca sulla porta di casa. E' il 13 giugno del 1963.
Tra i piu' importanti riconoscimenti ricordiamo la giornata mondiale della poesia istituita dall'Unesco per cui nel 2002 gli viene reso omaggio.Sempre nello stesso anno il Governo Turco gli restituisce simbolicamente la cittadinanza.
Nazim Hikmet rimane uno dei piu' grandi poeti del Novecento, ma pochi lo conoscono. Vi ho voluto rendere partecipi di questo grande genio della poesia. Il libro "Poesie d'amore" e' un capolavoro perche' Nazim fa capire il senso della vita, della lotta e sopratutto l'importanza dell'amore come cibo per vivere. A chi dice che per diventare una " STAR" occorre scegliere tra il lavoro e l'amore, Nazim Hikmet e' la risposta a questa insensata idea della scelta. Non si sceglie, si vive.

SARA TACCHI

Libri, Fattitaliani consiglia “Mia lingua italiana" di Gian Luigi Beccaria. La recensione

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Gian Luigi Beccaria, “Mia lingua italiana”, Ed. Einaudi, Torino, 2011. Recensione di Andrea Giostra.

Cos’è che unisce veramente un Popolo? 
Qual è l’elemento aggregante che tiene insieme all’interno di confini fisici, culturali, etici e morali un Popolo? 
Da cosa nasce veramente la “Nazione Italia” voluta fortemente e col sangue dai nostri padri fondatori? 
Perché oggi, nell’anno del Signore 2017, ha ancora senso porsi queste domande? 
Perché è sempre importante ed attuale non perdere mai il senso dello stretto legame che tiene insieme la “res” e il “nomen”, la “cosa” e il “nome”, che convenzionalmente attribuiamo alle cose attraverso la nostra lingua?
Oggi più che mai, in un periodo storico e culturale nel quale il confine, il “limite” (come lo definisce Serge Latouche nel suo omonimo ed interessante saggio del 2012), hanno assunto un’accezione negativa sopraffatti dall’incosciente corsa verso la globalizzazione, che spesso si trasforma in inevitabile omogeneizzazione di identità e di culture, è interessante leggere questo saggio.
Non a caso nella “Etymologiae”, conosciuta anche come “Originum sive etymologiarum libri viginti”, considerata dagli storici della letteratura come la prima Enciclopedia della cultura occidentale, scritta nel 1472 da Isidoro di Siviglia, definito dalla Chiesa Cattolica “Dottore della Chiesa”, e designato nel 2002 dal Papa Giovanni Paolo II “Patrono di Internet” in quanto vero antesignano dell’accesso facilitato a tutto lo scibile umano, è scritto che “ex linguis gentes, non ex gentibus linguae exortae sunt” (sono le lingue che fanno i popoli, non i popoli già costituiti che fanno le lingue).

Ebbene, questo piccolo e interessante saggio trova oggi ancora più vigore culturale alla luce delle politiche sociali e di integrazione del nostro Paese. Le radici culturali di un popolo sono depositate nella lingua che parla. 
Spesso non ci rendiamo conto di essere portatori di cultura attraverso il linguaggio e le parole che utilizziamo nella nostra vita quotidiana. 
Spesso non ci rendiamo conto che siamo parte dell’evoluzione culturale e sociale di un popolo che esprimiamo con la parola condivisa con i nostri fratelli, amici, concittadini, insomma, con tutte le persone che come noi vivono e sperimentano quel contesto sociale e relazionale.
È da queste basi che una sana integrazione deve partire: dalla lingua portatrice di cultura e di tradizioni.
Se il processo di integrazione che si vuole avviare non tiene conto della lingua e di tutto quello di cui è portatrice, allora è lapalissiano che non si può parlare di sana integrazione culturale e sociale, ma semplicemente di prepotente e forzato innesto di “culture altre” in una lingua e in una cultura che hanno una storia e una tradizione radicata e millenaria.

Ecologia, Moda ed innovazione: con le arance si può fare

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L’iniziativa è partita dal genio di due donne Adriana Santonocito e Enrica Arena che nel 2014 hanno creato l’azienda Orange Fiber che risulta registrata a Catania ma la cui  produzione è a Rovereto (Trento).

L’idea è genale ed anche ecologica! Recuperare gli scarti delle arance per creare degli outfit di moda con tessuti che risultano setosi ed impalpabili.
L’iniziativa è partita dal genio di due donne Adriana Santonocito e Enrica Arena che nel 2014 hanno creato l’azienda Orange Fiber che risulta registrata a Catania ma la cui produzione è a Rovereto (Trento).
La siciliana Adriana Santanocito è esperta in nuovi materiali e tecnologie per la moda e nel corso degli studi di design a Milano ha avuto questa folgorante idea nel recuperare gli scarti della arance prodotte dalla sua terra di origine. Seguita e sostenuta anche dalla sua amica Enrica Arena, laureata in Cooperazione internazionale, hanno insieme studiato e sviluppato il progetto in collaborazione con il Politecnico di Milano e quindi fondato Orange Fiber, azienda in cui attualmente lavorano 12 persone.
Le fibre nel processo produttivo sono fuse al poliestere e cotone con dei reagenti chimici ed il risultato è proprio la fibra d’arancio.
Orange Fiber risulta attualmente l’unico brand al mondo a produrre questo tipo di tessuto sostenibile e realizzato dalle fibre degli agrumi i cui tessuti sono prodotti proprio a partire da tonnellate di sottoprodotto delle arance, realizzando così tessuti per il settore moda-lusso. Tra i cui marchi con cui collabora l’azienda ritroviamo anche il brand di Salvatore Ferragamo.
Ester Campese

Teatro Manzoni di Roma, "La cena dei cretini": intervista a Paolo Trestino, Nicola Pistoia e Simone Colombari

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Dopo il debutto al Ghione nella scorsa stagione, l’esilarante Commedia “La Cena dei cretini” di Francis Veber sarà al Teatro Manzoni di Roma fino al 22 ottobre. Interpreti: Nicola Pistoia e Paolo Triestino e con Simone Colombari, Maurizio D’Agostino, Loredana Piedimonte e Silvia Degrandi.
Scene Giulia Romanelli. Costumi Lucrezia Farinella. Luci Luca Palmieri. Regia Pistoia Triestino.
Una delle Commedie francesi più rappresentate e più applaudite al mondo.

Su segnalazione dell’amico Jean Cordier, l’Editore Pierre Brochant invita a casa sua per un aperitivo il Signor François Pignon, un contabile del Ministero delle Finanze e dedito alla costruzione di modellini con i fiammiferi. E’ la vittima prescelta per la cena del mercoledì che amici borghesi ed annoiati organizzano per prendere in giro il cretino di turno. Non sempre però le cose vanno come ci si aspetta… 
La Commedia è esilarante ma ancora più esilaranti sono i due protagonisti, interpretati da Nicola Pistoia e Paolo Triestino, rispettivamente nel ruolo della vittima ed in quello del suo aguzzino. 
L’autore con ironia riesce ad analizzare perfettamente la nostra società e partendo da un falso perbenismo, mette in luce il cinismo, la spietatezza e la mancanza di sensibilità che ognuno di noi ha. Dimostrando che l’arroganza può diventare oggetto di scherno e di comicità come ai tempi di Moliere.      



Puoi parlarci del perbenismo costruito ed ingannevole attorno al quale ruota l’intero spettacolo?Paolo Triestino: La Cena dei Cretini è una macchina teatrale formidabile, rappresentata ovunque nel mondo. L’autore ha avuto un’intuizione semplice ma di grandissima efficacia, quella di considerare che l’arroganza possa diventare oggetto di scherno e di comicità, come ai tempi di Moliere. In questo caso, c’è chi si arroga il diritto di prendere in giro i sogni degli altri e che sono la parte più bella che ognuno ha o che almeno dovrebbe conservare gelosamente, far vivere e far crescere il bambino che è in noi. In questo caso c’è un ribaltamento finale che è quel messaggio “da portarsi a casa”. E’ il tipo di comicità che piace a noi. Fa ridere ma con un pensiero da portarsi via.
E’ la prima volta che approcci un Autore francese o sbaglio?  Con Nicola Pistoia è la prima volta che approcciamo un Autore francese rispetto agli spettacoli che facciamo noi. Sono in dialetto romano ma la cattiveria è molto simile. Gianni Clementi scrive cose completamente diverse ma la cattiveria di questo testo è latente, sottile, è tagliente ed è una satira feroce verso quel tipo di arroganza. 
Come ti sei approcciato al personaggio?Ho pensato che i capelli mi avrebbero aiutato molto, questi capelli un po’ cotonati mi avrebbero dato un’andatura un po’ dinoccolata, vagamente arrogante e credo di averci preso perché dà una fisicità al personaggio un po’ da nobile e anche un po’ da dandy. 
Il meccanismo funziona perché siete tutti attori fantastici e molto in sintonia tra di voi. Ogni volta che costruiamo uno spettacolo, cerchiamo sempre di avere degli attori bravi. “Non si sa chi è più bravo” è il miglior complimento che possano fare ai nostri spettacoli e per noi costituisce motivo d’orgoglio. Ho visto a Milano un Amleto con un primo attore di cui non farò il nome, se un marziano fosse stato lì avrebbe detto “questo Shakespeare non sa proprio scrivere, non farà nessuna carriera”.  Era veramente vergognoso. Gli attori erano veramente imbarazzanti. Odio i microfoni a teatro. Una volta recitavo al teatro greco di Siracusa e non usavo il microfono. Non è possibile che un attore non sappia farsi ascoltare in una sala di quattrocento persone. Gli attori che vengono dalla TV durano poco.
Nella Cena dei cretini qualcuno si arroga il diritto di prendere in giro un altro, perché? 
Simone Colombari: Non sono io ma do man forte! Partecipando alla Cena dei cretini mi trovo in mezzo a questa situazione dove c’è l’organizzatore ed il cretino di turno, interpretato da Nicola Pistoia. Per me è uno spunto per divertirmi perché poi alla fine assisto senza subire in prima persona tutte le malefatte che il personaggio di Nicola fa involontariamente al personaggio di Brochant. E’ assolutamente divertente da vivere come personaggio ma anche come attore.
François Pignon chi è?Nicola Pistoia: L’ho sempre immaginato come una persona ingenua, pulita, rimasta ancora un po’ infantile, infatti questi suoi modellini che costruisce con i fiammiferi lo appassionano e lo eccitano al punto tale da trascurare anche la moglie che lo lascerà e scapperà via di casa. E’ un bambino che crede in quello che gli dicono gli altri ed arriva al punto di credere che l’Editore Brochant, possa essere interessato invece è una scusa per le cene del mercoledì dove dei ricchi e borghesi annoiati, ogni mercoledì passano le serate invitando le persone più sprovvedute, ingenue, per sbeffeggiarle. “Cretini” che non sono altro che persone che non fanno male a nessuno e che coltivano nel loro privato tutta una serie di passioni. In questo caso io costruisco qualsiasi cosa con i fiammiferi che è un lavoro anche d’ingegno perché solo costruire la Tour Eiffel, il Ponte di San Francisco, non è una cosa semplice. Evidentemente saranno delle persone cretine ma anche molto intelligenti.
Hai preso spunto da qualcuno per il personaggio?Da me…ridiamo tutti! Scherzo! Sono un collezionista di modellini fin da bambino.  Ho circa 600 modellini ed è come se volessi recuperare tutti i modellini che ho distrutto nell’infanzia e adesso me li metto da parte. Li metto nelle vetrine, sono maniaco e quindi c’è un po’ di me in questo François Pignon in scena. 
Ritorni spesso sulla parola Bambino, è un invito a non lasciare mai la nostra parte bambina?  Assolutamente. Un po’ il segreto di qualsiasi attore è quello di attingere a quando si era bambini quando si inventavano i giochi: il dottore, i western, gli indiani. Liberi di abbandonarsi e giocare. Il segreto per un attore è di non fingere mai, essere se stesso come quando era bambino, abbandonarsi e divertirsi ed è quello che faccio io con questo Francois! La commedia è talmente scritta bene che diventa semplice farla. 
Nel personaggio d Just Le Blanc hai portato qualcosa di tuo?Simone Colombari: E’ un personaggio che ha subito un torto perché la mia ex compagna è diventata moglie di Brochant. Tanto è vero che nella commedia si dice che sono due anni che non ci sentiamo.  Just Le Blanc è un buono ed ha già perdonato ma Brochant questo non lo sa. Quando per telefono a causa di un equivoco generato manco a dirlo dal personaggio di Pignon, sente che l’amico sta in difficoltà, non ci pensa su due volte ad andare a trovarlo. Si trova quindi coinvolto in questa vicenda di cose strane tutte generate da Pignon e ci si diverte perché poi alla fine non vanno a toccare lui personalmente. Forse c’è anche un gusto nel vedere l’amico che adesso sta soffrendo per colpa della donna che gli ha rubato. C’è un detto che dice “se il miglior amico ti porta via la moglie, il miglior modo per vendicarsi è lasciargliela”.  Probabilmente in questo caso io gliel’ho mollata e questo alla fine lo fa soffrire a sua volta.
Fino alla fine siete tutti spietati e privi di sensibilità ma poi i ruoli si ribaltano…  PaoloTriestino: E’ questa la bellezza del testo, l’Autore Veber è riuscito a costruire una macchina straordinaria.  Alla fine ogni cosa trova il suo posto. Io mi redimo e questo rende anche un po’ simpatico il personaggio.
Nicola Pistoia: Si inverte perché alla fine Pierre Brochant si accorge dello schiaffo che riceve perché all’ultimo tento di salvarlo e tento di farlo riappacificare con la moglie ma per un piccolo colpo di scena non ci riesco. Lui si accorge di che uomo sia e probabilmente dopo quello che è accaduto, lui si ritirerà dalla cena. Ha capito di essere un uomo sbagliato, approfittatore, cinico, si sente quasi in colpa. Sicuramente da quella sera, i mercoledì non ci saranno più per lui. Come idea sarebbe bello se venisse a casa ad aiutarmi nella costruzione dei miei modellini.
Simone Colombari: Alla fine lui te lo dice: “Mercoledì andremo alla cena ma il cretino sarò io”. 
Il Pubblico come accoglie lo spettacolo? Il pubblico risponde abbastanza bene e partecipa con entusiasmo. 
C’è anche una partecipazione di ragazzi?Nicola Pistoia: Sbigliettiamo molto, non so quanti siano i ragazzi che vengono ma li abbiamo comunque visti e vediamo che ne sono compiaciuti. Certo i giovani a volte vengono coinvolti con le scuole che li portano a vedere dei mattoni e quindi pensano “se questo è teatro, io non ci vado!” Mia figlia che ha venti anni e ci fa da direttrice di scena, ha portato delle sue compagne e si sono divertite. Elisabetta Ruffolo.

STELLA JEAN, METISSAGE TRA HAITI E L’ITALIA

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Stella Jean nasce a Roma. Madre Haitiana e padre Torinese.
Il suo stile è matriarcale, artigianale, pirandelliano e antitetico.

Riflette il suo metissage creolo/italiano. Linee di alta sartorialita'artigianale italiana. Un mood la cui unicita' si rivela riflesso nel percorso personale multirazziale della stilista.
Le sue magnifiche gonne, abiti, camicie... hanno una struttura narrativa propria di un racconto. Un viaggio attraverso fantasie, colori che emozionano.
Stella Jean ha uno styling che rende leggibile ogni suo look come fosse un libro. In un crossover culturale che non sfocia mai in parodia, né in caricatura, ricordando che l'eleganza deve sempre costituire un "a priori".
"Ho scelto di rimanere a Roma ricordando la miglior definizione di questa città che diede Fellini a colei che ne era il simbolo: Anna Magnani. Lupa, aristocratica, stracciona ".
Ho scoperto Stella Jean quando ancora era una nicchia per pochissimi. Mi sono innamorata subito delle sue splendide gonne, fantasie, colori. Sembrano capi difficili da indossare perché escono da alcuni schemi di un'eleganza che parrebbe poco seria, anzi effimera. Sono capi talmente sofisticati che in verità solo se una donna ha una forte personalità può indossare perché vanno raccontati.
Occorre avere una creatività tale da poterli abbinare a perfetti accessori che rendano il capo unico. La camicia qui e' fondamentale e non deve essere solo bianca, ma anche con altre fantasie che sposano creando contrasto, il capo Stella Jean.
In questo caso io indosso due gonne creando per ognuna una storia diversa. Nell'immagine del gonnellone fucsia e blu, ho voluto abbinare una camicia bianca completamente chiusa, sormontata da un maglioncino blu legato ad incrocio per evidenziare la vita e le meravigliose righe orizzontali rosso e blu.
Un grande gioiello che chiude per la seconda volta la camicia in modo da creare un'austerità assoluta che diviene sensualità estrema. Uno scialle color ocra che riprende la gonna, ma osservate, appoggiato mai indossato. Non s'indossano gli scialli .

Nella seconda immagine sono voluta tornare al passato. Il gonnellone ha una fantasia con grandi fiori e l'ampiezza è esasperata da una sottogonna blu. Qui indosso una camicia a quadretti bianco/azzurro con collo e polsini bianchi ed un grande gioiello questa volta sotto la camicia per esaltare il decolté.
Adoro questo stile. Adoro sentirmi unica, sofisticata. Vorrei far comprendere che tutto questo è molto più sensuale di un "vedo tutto".
Credetemi e osate perché io con questi outfit trascorro le mie giornate dall'ufficio, al giro in città, alla sera.
Siate femmine e diventerete donne meravigliose.

SARA TACCHI


EPATITE C: "PROSSIMI ALL'ERADICAZIONE, FORSE UN PAIO DI ANNI". LA CONFERMA DAGLI ULTIMI STUDI

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L'eradicazione dell'infezione da HCV (Epatite C) è possibile.
E potrebbe mancare molto poco, forse un paio di anni. "Abbiamo dei farmaci talmente efficaci, da utilizzare in maniera semplice, con brevi periodi e con una sola pasticca al giorno, che si pensa sia possibile trattare un numero sufficientemente ampio di persone per raggiungere questo obiettivo".  Lo dichiara il Prof. Massimo Andreoni, Ordinario di Malattie Infettive all'Università Tor Vergata di Roma, in occasione del Congresso Nazionale di Salerno della SIMIT – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali.

"Circa il 90% delle nuove infezioni colpisce persone che fanno uso di sostanze in via endovenosa - spiega il Prof. Andreoni -  Inevitabilmente, quindi, in termini epidemiologici, dobbiamo iniziare a concentrarci su questi soggetti, perché si possa evitare di mantenere vivo questo focolaio epidemico in Italia".

I RISULTATI DEGLI ULTIMI STUDI - Secondo studi recenti, che hanno coinvolto anche la Regione Lazio, alcune campagne finalizzate a test rapidi condotti in questa tipologia di pazienti hanno dimostrato che più del 30% dei soggetti si sono dimostrati positivi all'HCV. Questo sistema aiuta a far emergere il sommerso e potrebbe funzionare. Un altro dato interessante è relativo ai soggetti che fanno uso di sostanze per via endovenosa, la percentuale di risposta al trattamento  è virtualmente equivalente a quello della popolazione. Quindi il 90% di queste persone rispondono positivamente al trattamento.

"Questi risultati - conclude il Prof. Andreoni - ci fanno capire che dobbiamo andare verso questa direzione. E che servono campagne mirate all'individuazione di infetti appartenenti a questo gruppo. E' importante, inoltre, creare dei modelli di esempio e di riferimento che stimolino questi individui a sottoporsi al trattamento. Questi, infatti, scarsamente  aderiscono correttamente alla terapia. Ma prestando una particolar attenzione si potrebbe giungere finalmente all'eradicazione della malattia".

L'EPATITE C IN ITALIA - Nel 2016, secondo i dati dell'Istituto Superiore di Sanità, l’incidenza è stata pari a 0,2 per 100mila. Non sono stati osservati casi nella fascia d’età 0-14 anni, mentre l’incidenza maggiore si ha nella classe di età 25-34 anni: 0,3 x 100mila abitanti. La diminuzione di incidenza ha interessato in particolar modo i soggetti d’età compresa fra i 15 e i 24 anni. L’età dei nuovi casi è in aumento, e già da tre anni la fascia di età maggiormente colpita è stata quella di mezzo tra i 35 e i 54 anni.

SINTOMI E CONSEGUENZE - In coloro che manifestano clinicamente sintomi, l’esordio della malattia è insidioso con anoressia, nausea, vomito, febbre, dolori addominali e ittero. Un decorso fulminante fatale si osserva assai raramente (0,1%), mentre un’elevata percentuale dei casi, circa l’85%, arriva alla cronicizzazione. Il 20-30% dei pazienti con epatite cronica C sviluppa, nell’arco di 10-20 anni, cirrosi e, in circa l’1-4%, successivo epatocarcinoma. Il periodo di incubazione va da 2 settimane a 6 mesi, per lo più è compreso fra 6 e 9 settimane.

IL TASSO DI FALLIMENTO SI RIDUCE - "Da gennaio 2015 ad oggi - conclude il Prof. Massimo Andreoni - abbiamo trattato in Italia più di 94mila pazienti con i nuovi farmaci antiretrovirali, con un alto tasso di successo. Mentre il numero dei casi che non ha risposto alle cure si assesta intorno al 3-5%. Prevediamo di trattare nei prossimi due anni altri 160mila pazienti, perché questa è la disponibilità che l'Agenzia Italiana del Farmaco ha dato ai clinici italiani per trattare questa patologia. Stiamo procedendo in maniera rapida ed efficace".

L'EPATITE NELLE CARCERI - Nel corso del 2016 sono state detenute 101.995 persone, di cui il 50,3% aveva meno di 40 anni, il 34,5% erano stranieri, il 33,2% tossicodipendenti ed il 4,2% donne. Le stime sulla diffusione dell’infezione da HCV tra le persone detenute indicono tra il 25% ed il 38% i positivi ai test ematici, con 25-38.000 pazienti potenzialmente transitati nei 190 Istituti del Sistema Penitenziario Italiano nel corso del 2016. Di questi sono malati con viremia ematica e, quindi da sottoporre a terapia eradicante con i nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA) circa 2 pazienti detenuti su 3.

"Si tratta - spiega il Prof. Sergio Babudieri Direttore delle Malattie Infettive dell’Università degli Studi di Sassari e Direttore Scientifico di SIMSPe – Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria - di una massa di pazienti compresa tra le 18 e le 25.000 unità; fra questi i comportamenti a rischio per la diffusione dell’infezione, quali scambio di siringhe e/o e taglienti, tatuaggi con punte ed inchiostro infetti, rapporti sessuali promiscui e violenti, condivisione di rasoi da barba all’interno di celle sovraffollate, episodi di violenza con ferite e commistione di sangue, possono essere particolarmente diffusi e, pertanto, rappresentano uno dei gruppi che maggiormente può alimentare la diffusione della malattia sia durante la detenzione che al rientro in libertà"
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