Domani ricorre il quinto anniversario della morte di Osama Bin Laden. Il leader e fondatore di al Qaeda fu ucciso in un blitz dei Navy Seal statunitensi nel suo covo fortificato nei pressi di Islamabad, in Pakistan. Al fondamentalista islamico di origini saudite e alla sua rete sono attribuite molte azioni terroristiche che hanno causato migliaia di morti, su tutte l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Ma cosa è diventata al Qaeda dalla scomparsa della sua guida? Marco Guerra lo ha chiesto ad Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici all'Università di Trieste:
R. – Possiamo dire che al Qaeda con Bin Laden - il suo ideologo – sia stato un grande movimento terroristico nel mondo islamico, ma anche un movimento terroristico transnazionale, come non se ne erano conosciuti prima. Questa orribile eredità presenta degli aspetti sicuramente di discontinuità, ma anche degli aspetti veri e propri di continuità. Anche se al Qaeda oggi lotta con l’Is, ed è in qualche modo messa ai margini, l’idea di un grande Califfato che superasse l’eredità degli Stati è rimasta nel dna anche dell’Is, che poi l’ha sviluppata tatticamente. Comunque la grande idea era nata dall’incontro dei due terroristi - Bin Laden e Azzam - al tempo della prima guerra in Afghanistan contro l’Unione Sovietica. Sicuramente, quindi, ci sono delle differenze. La differenza più grande sta nel fatto che al Qaeda era rappresentata da un gruppo di terroristi guerriglieri, che tentavano prima di tutto di far fallire gli Stati nei quali essi combattevano, mentre l’Is, con un salto - se si può dire - di qualità, oggi tenta di fondare uno Stato terrorista. Gli elementi di continuità, comunque, a mio parere, sono molto forti.
D. – La figura di Bin Laden ancora oggi esercita un certo "fascino" nell’ambiente del radicalismo islamico? Questi giovani miliziani che si arruolano guardano a Bin Laden come un punto di riferimento?
R. – Non più come un punto di riferimento, ma certamente come uno dei riferimenti anche dei nuovi miliziani, dei nuovi terroristi. Nessuno tocca Bin Laden, questa è la verità. Può non essere più la guida, ma comunque è sempre un terribile esempio da imitare. In questo senso, io credo che la sua immagine sia presso i foreign fighters e presso coloro che combattono in questo momento in Medio Oriente ancora un’immagine di riferimento.
D. – Afghanistan e Pakistan sono state per Bin Laden le aree di azione. Il governo afghano in questo momento sta cercando di instaurare colloqui di pace con i talebani, ma la stabilizzazione stenta a partire sia in Afghanistan sia in Pakistan…
R. – Quell’area è un’area assolutamente di frontiera tra l’Occidente, l’Asia e l’interno del mondo islamico. E’ una faglia dove difficilmente si potrà ricostituire un territorio ordinato e di pace. L’Occidente, nel tentativo di entrare in quella frontiera avanzata, ha sicuramente compiuto molti errori. Spesso la guerra è stata fatta dove andava fatta la pace e viceversa. Penso che quello del rapporto con il Pakistan rimanga un punto centrale, anche per sistemare le vicende afghane che sono strettamente collegate.
D. – In Pakistan è stata data copertura a Bin Laden per diverso tempo…
R. – Sì, poi lo ha venduto. Il personaggio ingombrante, ad un certo punto, è stato “passato di mano”. Ma questo, nonostante quello che credevano alcuni della classe dirigente pakistana, non è servito comunque a stabilizzare il Paese. I problemi, quindi, evidentemente sono più profondi, addirittura più profondi di quelli del terrorismo creato da Bin Laden. E’ per quello che dico che la situazione va affrontata con una strategia diversa, forse anche radicalmente cambiata. La visione adesso è di un’area che è al confine con un mondo assolutamente in evoluzione e sviluppo, che è quello asiatico, e non è più una visione che guarda all'Occidente. Se non cambiamo questa strategia, credo che da lì non se ne venga fuori. Marco Guerra, Radio Vaticana, Radiogiornale del 1° maggio 2016.