È un volume che affronta a tutto tondo i nodi cruciali dell’attività internazionale di Papa Francesco, quello scritto da Pasquale Ferrara, diplomatico di carriera e docente di Diplomazia alla Luiss di Roma e all’Istituto universitario “Sophia” di Loppiano. “Il mondo di Francesco. Bergoglio e la politica internazionale” è il titolo del saggio appena pubblicato dalla San Paolo, porta la prefazione del ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni. Fatti, viaggi, incontri, iniziative di questi primi tre anni di Pontificato evidenziano il forte ruolo di Francesco sullo scenario mondiale, ma che cosa c’è di peculiare nel suo approccio alle sfide planetarie poste dal nostro tempo? Adriana Masotti lo ha chiesto allo stesso Ferrara:
R. – Ci sono diverse chiavi di lettura. Innanzitutto la questione delle periferie, cioè guardare il mondo dal basso, non dall’alto, non dai centri di potere. Questo spiega tante cose: spiega, ad esempio, il viaggio a Lampedusa, quello a Lesbo. La seconda questione è mettersi nelle fratture, nelle criticità del mondo contemporaneo per svolgere un ruolo possibilmente in funzione di una riconciliazione.
D. - Ma è corretto affermare che il Papa fa politica estera? Sappiamo che Francesco è molto attento nei suoi rapporti con le autorità, con i politici …
R. - Il Papa non fa politica nel senso comune del termine, soprattutto non fa politica estera, perché quest’ultima è propria degli Stati. Certo, c’è anche lo Stato del Vaticano, ma questo c’entra poco con la proiezione mondiale di Francesco. La prospettiva è proprio quella della famiglia umana universale da rendere, però, concreta. Quando si passa dalle dichiarazioni di principio alle azioni concrete non sempre le questioni sono semplici e per molti aspetti Papa Francesco è anche un Papa “scomodo”; la sua è una dimensione che non utilizza i canoni della prudenza diplomatica, al contrario utilizza quella che si chiama “parresia”, cioè dire forte e chiaro quello che si pensa indipendentemente poi da come questo viene letto, spesso poi in modo strumentale.
D. - Un’altra cosa che colpisce nello sguardo del Papa alle cose del mondo è che certamente usa le parole, ma organizza, inventa dei gesti. Ad esempio, la Giornata di preghiera per la Siria, oppure l’incontro tra leader palestinesi e israeliani in Vaticano, il suo andare in Centrafrica e l’ultima cosa, portare con sé da Lesbo alcune famiglie migranti …
R. – Sì, sicuramente la lista è molto lunga. Per esempio, l’apertura della Porta Santa a Bangui è un gesto di grandissimo significato politico, come a dire, se l’idea è quella di rendere operativa la Misericordia, la comunichiamo proprio dal cuore di un continente che è stato martoriato. Altrettanto importante è il fatto che i siriani che sono stati portati da Lesbo in Vaticano sono musulmani. Questo sta a sottolineare il fatto che i cristiani non si preoccupano solo di altri cristiani, ma ai cristiani sta a cuore la dignità e la preservazione della vita di tutte le persone che soffrono per un conflitto.
D. - Venendo al suo libro “Il mondo di Francesco”, qual è la tesi di fondo? Che cosa vuole essere?
R. - Innanzitutto non è il libro di un vaticanista. Piuttosto è il libro di un osservatore esterno delle relazioni internazionali che vede questo attore mondiale, Papa Francesco, operare su una scena molto complessa come quella del mondo contemporaneo. Quindi l’idea è quella di identificare delle linee guida che ormai sono abbastanza chiare. Sicuramente, come dicevo prima, la questione delle periferie; il discorso dei muri, quelli fisici, quelli culturali e politici; la riflessione sulla guerra e sulla pace. Il Papa parla della “Terza Guerra mondiale a pezzi”, un’altra metafora molto potente.
D. - Lei poi scrive che questo non è un libro celebrativo, perché intende anche segnalare alcune problematiche, alcune conseguenze magari di questo modo di affrontare le sfide del mondo …
R. - Infatti parlavo prima di questa libertà del Papa di dire esattamente quello che pensa, è un Papa che non ha paura di assumersi le proprie responsabilità, non in un modo antagonistico, ma in modo dialogante e ben argomentato. Il fatto che il Papa, ad esempio, sia andato negli Stati Uniti e abbia detto forte e chiaro che il capitalismo contemporaneo così com’è non funziona, ha creato certamente qualche mal di pancia. Quindi posizioni molto chiare e molto precise che non sempre trovano il consenso. Adriana Masotti, Radio Vaticana, Radiogiornale del 1° maggio 2016.