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Bruciati vivi, il noir di Daniela Stallo che apre gli occhi sulla patologia del burnout dell’insegnante. L'intervista

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di Francesca GhezzaniUn noir dove fatti di sangue e indagini si intrecciano a un racconto di scuola, di donne, di desideri e ricerca della felicità. Con queste parole potremmo, sinteticamente, descrivere BRUCIATI VIVI, l’ultimo libro della scrittrice Daniela Stallo (ARKADIA, Collana Eclypse).

Daniela, hai scritto un noir e un libro sulla scuola allo stesso tempo. Come è arrivata l’idea?

Da una parte volevo scrivere una storia di scuola, dall’altra il genere noir mi appassiona, mi coinvolge, amo i suoi maestri, mi piace quello che consente di fare, raccontare una storia dietro un caso, parlare di una città, un contesto, un tema sociale dietro un delitto.

E poi il noir è crudo, disilluso, appunto nero. Quindi potrei dire di aver unito due passioni, scuola e noir.

La verità è invece che l’idea me l’ha data una collaboratrice scolastica di una scuola di qualche anno fa, una di quelle dove ho lasciato un pezzo di cuore. Grande lavoratrice, instancabile, accoglieva ogni richiesta, un’amica, un sostegno. Poi un giorno di particolare lavoro, uno di quei giorni febbrili, non ricordo se ci fossero scrutini, o consigli di classe, il centralino squillava in continuazione, gente che andava e veniva, Carmela, esasperata, mi disse: “Perché non scrivi un libro in cui muore qualcuno in una scuola?”.

E, così, ho rubato: lo scrittore è un ladro di idee, di storie, di emozioni. Quando non ne ha di sue, saccheggia altrove.

 

Ci presenti Luisa e la sua storia, con un accenno alla trama di BRUCIATI VIVI?

Luisa Marinai è un’insegnante pendolare da trent’anni e racconta, in una cronaca-diario, un anno scolastico. Vive in città, in un appartamento in zona 167 e viaggia ogni giorno su una strada tra nebbia e acqua, ondate d’acqua. Sente un suono nell’orecchio, un vuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu che la angoscia dentro il cuscino, crede che provenga dai cantieri navali, ma non ci sono cantieri navali, nelle vicinanze. Stanca, demotivata, disillusa, si sente non gratificata e malpagata, l’emicrania la trafigge come una spina di rosa conficcata in un punto variabile della testa.

Il marito, che gestisce un negozio di ferramenta, è ossessionato da una partita di trapani difettosi, non vede altro. Luisa non ama più gli alunni, l’amica, i genitori. Si nutre di pastina al burro e buste di funghi surgelati. Lo svilimento della sua vita sta anche nel suo frigorifero.

È inseguita da una Golf che la perseguita sulla superstrada, un tizio con gli occhi blu la spaventa, la tallona, la sorpassa, e lei vorrebbe, con un punteruolo, bucare quegli occhi di ghiaccio.

Luisa vorrebbe uno stipendio diverso, un uomo dirigente diverso. Vorrebbe un altro lavoro, ma le basterebbe un trasferimento, una sede più vicina, senza la strada e la pioggia, perché spera ancora che ci sia una scuola che possa renderla felice.

Crede, in fondo, che in un lavoro migliore stia la felicità e chiede ai suoi colleghi di esprimere i propri desideri, che cosa vorresti ci fosse nella scuola per essere felice? Li trascrive in liste ossessive, ha in animo di mandarle al ministro.

Viaggia con un bloccasterzo, le serviva, un tempo, come antifurto dell’auto, ora lo tiene nella bauliera, la fa sentire al sicuro.

Poi un giorno, a novembre, in maniera non del tutto lecita, Luisa viene in possesso di una somma di denaro, letteralmente e materialmente caduta dal cielo. Pensa che la sua vita finalmente potrà cambiare. E invece un paio di omicidi si mettono sul suo percorso: qualcuno muore, in questo viaggio di follia tra strada, camion, pioggia e persone invisibili.


Perché la struttura diaristica?

Diciamo subito che Bruciati viviè un diario non scritto. Luisa non scrive materialmente, non ne ha il tempo, la voglia, la costanza. È un diario raccontato, al lettore, a se stessa, la cronaca di un anno che Luisa fa mentre lo vive. Me la immagino che racconta la sua giornata mentre guida, guida e dice, sto guidando, spiega e racconta. Questo tipo di diario mi consentiva di scrivere di giorni spesso identici, di fotografare la routine, il flusso continuo come grani di un rosario.

Poi nella trama qualcosa si muove, iniziano a succedere gli eventi, uno importante in novembre, che darà la svolta alla storia, e c’era di nuovo la necessità di seguire i giorni, i pensieri di Luisa momento per momento, notte dopo notte.

Ci parli dello stile narrativo e linguistico che hai scelto per questo romanzo?

Posso affermare che il lavoro sulla lingua è stato quello più attento, più gravoso e anche più soddisfacente. Cercavo una lingua che fosse affilata, dura, a volte cruda, senza orpelli, senza punti di sospensione, nessuna esclamazione, rigida, pulita, pochi aggettivi. Le parole dovevano rispecchiare il pensiero, Luisa fa la cronaca del suo pensiero, senza alcun filtro. Peraltro nel libro non ci sono siparietti, scene di classe a cui spesso siamo abituati nei libri che parlano di scuola. Questa è un libro di diritto del lavoro e di diritto al lavoro, e la forma doveva rispecchiare la natura della narrazione.

Se dovessimo descrivere Luisa con solo tre aggettivi, quali useresti?

Invisibile, sarcastica, in fondo libera.

Inoltre, il libro è anche una denuncia? Ovvero, che cosa cambieresti nel mondo della scuola? C’è una tua lista dei desideri?

Il libro è una storia, è vero che esiste una questione sullo sfondo, ma resta una storia, una trama, qualcuno muore, non subito, ma muore, qualcuno indaga. Non ci sono soluzioni, il libro non è un saggio, non vuole dare risposte, e del resto sarebbe presuntuoso, vuole soltanto narrare una storia.

C’è, nel libro, a dicembre, una lista dei desideri di Luisa, lei ci mette di tutto, un’auto con l’aria condizionata, la pizza, un convegno di aggiornamento col buffet.

Personalmente, la mia lista non l’ho neppure cominciata.

In chiusura, una curiosità: ci dai il nome di uno scrittore che ami?

Simenon, un amore totalizzante.

 


Pasticceria, Antonella Di Maria: Passione e conoscenza, ingredienti fondamentali per formare un giovane. L'intervista di Fattitaliani

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Un corso di Pasticceria siciliana per gli studenti e le studentesse dell'IISS "Don Calogero Di Vincenti" di Bisacquino. Tradizione e prodotti del territorio, il giusto connubio proposto da
Antonella Di Maria, una Maestra pasticcera d'eccezione, una brillante cake designer e imprenditrice bisacquinese, intervistata da Fattitaliani.

Come nasce la collaborazione con l'Istituto Di Vincenti?
Da tanti anni ormai la nostra attività di Bisacquino, un piccolo spazio diventato moderno laboratorio di pasticceria, opera nel settore della produzione di pasticceria tradizionale e artistica distinguendosi per qualità  e unicità dei suoi prodotti. Il Di Vincenti ha individuato in noi una figura professionale che potesse apportare un  contributo formativo ai ragazzi dell'Istituto Alberghiero, applicando tradizione e innovazione nella lavorazione dei prodotti di eccellenza del nostro territorio. 
Automatico e facile trasferire ai giovani conoscenza e passione della cucina? 
Passione e conoscenza vanno di pari passo e sono gli ingredienti fondamentali per formare un giovane. Se il prodotto è convincente il coinvolgimento dello studente è assicurato!


Con quale approccio didattico si rapporterà agli studenti? C'è una cosa che sin d'ora sa che non farà/proporrà assolutamente? 

Il corso sarà teorico e pratico-dimostrativo. I ragazzi avranno la possibilità di assistere ai vari passaggi delle preparazioni, toccare con mano le consistenze dei materiali nelle varie fasi e di prodigarsi nella preparazione, nell'assemblaggio e nella decorazione, presentazione e degustazione del prodotto finito. 


Personalmente da chi è stata introdotta alle meraviglie culinarie della Sicilia? 
Fanno parte della mia identità, delle tradizioni di famiglia. Sono nata e cresciuta in Germania dove ho avuto la fortuna di venire a contatto con moltissime culture diverse e di conoscere e imparare tanto. Ma l'attaccamento della mia famiglia di origine alla sue terra ha fatto sì che le tradizioni rimanessero inalterate nel tempo per preservare la loro identità e portare così sempre con sé un pezzo di meraviglia di Sicilia.
C'è un dolce in particolare in cui Lei si riconosce appieno? 
Sono cresciuta bilingue, in mezzo a diverse culture e apprezzo moltissime specialità internazionali. Questo dualismo mi porta per convenzione a dividermi tra due dolci che per antonomasia rappresentano i due territori: la torta Foresta Nera e una mia specialità, la Regina dei Sicani, una soffice e profumata torta con la ricotta.



Aldilà della tecnica, cosa si augura che gli studenti possano recepire da Lei? 

Sarà soltanto un breve incontro, ma mi auguro che i ragazzi possano constatare che attraverso la conoscenza, l'impegno e la perseveranza gli si potrà aprire un mondo con tantissime opportunità.
La tecnologia come entra nelle ricette senza far perdere la genuinità e il candore dell'artigianato? 
La tecnologia oggi è importantissima non solo per migliorare e conservare più a lungo i nostri prodotti, ma, soprattutto, per dare qualità all'ambiente lavorativo, che oggi è l'aspetto fondamentale di ogni lavoro artigianale! Giovanni Zambito.

PREMIO VIRNA LISI 6 novembre: Ramazzotti, Cavani e Lucisano

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Giunto alla VI edizione torna, dopo la pausa forzata del Covid, il Premio Virna Lisi – Premio migliore attrice italiana, indetto dalla Fondazione Virna Lisi in collaborazione con Fondazione Musica per Roma e CityFest, il programma di eventi culturali della Fondazione Cinema per Roma presieduto dalla Presidente Laura Delli Colli e dal Direttore Generale Francesca Via.

Il Premio è nato sei anni fa per volontà del figlio della grande attrice Corrado Pesci e di sua moglie Veronica per alimentare ed onorare il suo ricordo nel cuore delle persone che l’hanno amata e seguita durante tutta la carriera.

Sul podio hanno ritirato la scultura del Maestro Ferdinando Codognotto, le eccellenze femminili del cinema italiano, attrici illustri che si sono contraddistinte per i ruoli che hanno interpretato come Margherita Buy, Paola Cortellesi, Monica Bellucci, Claudia Gerini ed Elena Sofia Ricci.

Quest’anno la premiazione si terrà sabato 6 novembre alle ore 19.30 (l’attrice nasce l’8 novembre ad Ancona) presso l’Auditorium Parco della Musica nella sala Petrassi e sarà presentata da Pino Strabioli, con la regia Luigi Parisi e la direzione artistica di Davide Minnella.

Tra gli ospiti eccellenti della serata la straordinaria Patty Pravo che si esibirà in alcuni brani iconici che fanno parte della storia musicale del nostro paese, un omaggio del corpo di ballo dedicato alla mitica e indimenticabile Raffaella Carrà e la musica del giovane Jacopo Mastrangelo.

Riceverà il premio di questa sesta edizioneMicaela Ramazzotti, attrice di talento capace di interpretare con la stessa intensità ruoli sia drammatici che comici, rivelando un’elevata gamma di colori e di sfumature che la rendono unica.

Dice emozionata la Ramazzotti: “Cara Virna Lisi, il tuo nome suona come quello di un fiore raro, forte e prezioso. Una volta ti ho incrociata in un corridoio della Fonoroma, sgranai gli occhi come quando ci si trova davanti a un mito. Magnifica. Quello sguardo limpido, regale. Quel sorriso amaro che sembrava prendere in giro la tua stessa bellezza. La malinconia elegante, attraversata dall’energia di una ribellione. Il tuo esser scappata dalla bambola seducente che Hollywood aveva in mente per te. Nei tuoi ultimi anni eri la madre e poi la nonna che avremmo tutti voluto. Sei stata di tutti, sei stata anche mia. Mi sono sempre portata nel cuore quel tuo sguardo di profonda umanissima comprensione delle persone e della vita. E nelle orecchie ho la tua voce, calda, intima, empatica. Quella volta che incrociai la meraviglia dei tuoi occhi, per un brevissimo istante, mi sentii guardata. E compresa e perdonata.

Grazie per questo bellissimo premio che porta il tuo nome”.

Nel corso della serata saranno assegnati anche il premio speciale alla carriera per la regia a Liliana Cavani e quello per la produzione cinematografica a Federica Lucisano. Ogni premio sarà consegnato da personalità del mondo della cultura e dello spettacolo italiano.

La Fondazione oltre a mantenere vivo il ricordo di Virna Lisi attraverso il Premio, sostiene progetti volti alla conservazione del patrimonio cinematografico e audiovisivo riguardante l’attrice, ma anche il restauro di quei film della storia del cinema italiano che si stanno perdendo, contribuendo così al riconoscimento del talento artistico italiano nel panorama internazionale.

Si propone anche l’obiettivo di consegnare ogni anno una borsa di studio a ragazzi meritevoli che vorrebbero studiare per entrare nel mondo dello spettacolo ma non hanno i mezzi economici per farlo, contribuendo a mantenere vivo il desiderio e la passione per il cinema nei giovani.

Virna Lisi nella sua lunga carriera ha vinto 2 David di Donatello, 6 Nastri d’Argento, un Globo d’Oro e 3 Grolle d’Oro oltre a diversi Premi onorari, David di Donatello speciale alla Carriera, un Globo d’Oro, una Grolla d’Oro e un Ciak d’Oro alla Carriera. Nel 1994 al Festival di Cannes ha vinto il Prix d’Interprétation Feminine per la sua interpretazione ne “La regina Margot” di Patrice Chéreau che le è anche valso, prima attrice non francese della storia, un César per la migliore attrice non protagonista.

 

AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA SALA PETRASSI

SABATO 6 NOVEMBRE ALLE ORE 19.30

 


ANTONIO LUPO: disponibile in radio "SOFFIO NEL TUO CUORE", il nuovo singolo dell'artista pugliese

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 GUARDA IL VIDEO

Dal 29 ottobre arriva in radio, negli store e sulle piattaforme digitali “SOFFIO SUL TUO CUORE” il nuovo singolo di ANTONIO LUPO composto da Enzo Mignogna con il testo di Don Cosimo Schena (Musica è/Believe).

 

Scrivo da tempo poesie che ho anche raccolto in alcuni libri e mai avrei pensato di scrivere il testo di una canzone e il testo di questo brano nasce dalle tante storie di Amore che la gente mi racconta nei social. Storie che trovano risposta nel grande amore di Dio - afferma Don Cosimo Schena - quella eternità di cui facciamo parte anche noi. Sono convinto che sarà un interprete bravo e molto apprezzato perché la voce di Antonio Lupo rende il testo questa canzone per me unico.

 

Il video di “Soffio sul tuo cuore” - regia di Parano!ds (Cesare Maria Solito & Gianfranco Frascella) - vede protagonista la modella Cristina Pastano ed è un vero e proprio intreccio di emozioni, una danza di sensazioni dettate dal tempo della melodia. Nel video si è voluto raccontare quanto sia forte il messaggio dell'amore, il riuscirsi a sfiorare senza allontanarsi più.


Antonio Borracci in arte “Antonio Lupo” nasce in Puglia, a Bari, nel 1987. È da sempre attratto dalla musica e
all'età di 17 anni inizia a scoprire una forte passione per il canto tanto che il karaoke diventa il suo passatempo preferito. Nel 2011 entra a far parte di un gruppo polifonico con il quale si esibisce in varie piazze e locali regionali sino al 2016, subito dopo questa esperienza inizia la carriera da solista, partecipando a vari contest e gare canore piazzandosi sempre tra le prime posizioni. Nel 2018 inizia a studiare canto in Inghilterra con l’insegnante, cantante lirica/jazz, Luciana Di Bella. La voglia di emergere è radicata in lui, tanto da mettersi alla ricerca di qualcosa e qualcuno che lo possa aiutare a fare musica seriamente. Nel 2019 avviene  l'incontro con il produttore e discografico Mimmo Mignogna che lo convoca per un provino in studio per un progetto di Don Cosimo Schena, superando l’audizione in modo eccellente tanto da offrirgli un contratto discografico per la realizzazione di un EP con un progetto discografico su misura per lui.

 

 

https://www.facebook.com/Antonio-Lupo-108969148226571/

https://www.instagram.com/antoniolupo1987/

https://youtube.com/channel/UC9L1lZr4PAkFKYU5AcOzlhw

Pupi Fuschi: non faccio l’artista, io lo sono sempre. L'intervista alla pittrice e ritrattista palermitana

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di Andrea Giostra - «La bellezza la vedi solo se qualcuno ti ha educato o stimolato a goderne, l’istinto gioca a favore solo se l’indole di ciascuno di noi è buona, delle arti visive altrui io non discuto…»Pupi Fuschi

Ciao Pupi Fuschi, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito. Nella vita professionale sei una nota pittrice e ritrattista palermitana che vive di questa arte e dedica la sua vita artistica al lavoro. Intanto come ti vuoi presentare a chi leggerà questa intervista come donna pittrice e artista? chi è nella sua quotidianità al di fuori dal suo lavoro? Cosa puoi raccontare ai nostri lettori perché possano avere qualche indizio in più su di te quando svesti i panni dell’artista di arti visive?

Io non faccio l’artista, io lo sono sempre, perciò non svesto dei panni, semmai li indosso quando devo obbedire ai doveri, qualsiasi essi siano... la quotidianità è fatta di cose comuni a tutti quelli che hanno una famiglia e dei figli perché li hanno desiderati. Io ho due bellissime ragazze.

Come e quando è nata la tua passione per la pittura e per le arti visive? Qual è e quale è stato il tuo percorso professionale, accademico, formativo ed esperienziale che ti ha portato ad essere riconosciuta oggi come una talentuosa e brava artista?

Grazie per il talentuoso e brava, ma temo siano degli appellativi da format stantio. Con un dono si nasce, poi, si ha il bisogno di svilupparlo, di estenderlo, di esprimerlo. L’accademia mi ha dato un titolo, ma non è fondamentale avere un titolo accademico per essere pittori. E infine non so se venga riconosciuta come un’artista brava o talentuosa, il pubblico per fortuna ha ancora una testa pensante… sono gli addetti ai lavori che troppo spesso influenzano positivamente o negativamente gli eventi e le occasioni.

Cosa vuol dire per una donna artista lavorare in Sicilia e a Palermo in particolare? Cosa vuol dire


aver fatto una scelto di vivere del tuo lavoro di artista in questa isola bellissima ma che non sempre riesce a riconoscere i pregi dei suoi talenti e dei suoi artisti? 

Cosa vuol dire essere una donna potrei anche spiegartelo, ma che senso avrebbe collegarlo alla professione di artista e per di più in questa città? Si sa che è una città complicata e chiusa, ma i meccanismi sociali sono uguali ovunque, l’essere umano è uguale ovunque, variano i livelli di educazione e cultura poi anche la sensibilità che è una conseguenza delle prime due caratteristiche.

Quali sono i punti di debolezza e quali quelli di forza in un lavoro come il tuo a Palermo? 

Palermo è molto luminosa e c’è il mare, per un pittore o un artista che lavora con le immagini è perfetta, i punti di debolezza coincidono con quelli di forza.

Ci racconti un paio di episodi che riguardano il tuo lavoro? Un fatto che ti è dispiaciuto ed uno invece che ti ha fatto molto piacere?

Mia figlia a tre anni racconta ad una estranea, in un museo, che sua madre è una importantissima pittrice famosa in tutto il mondo, la signora la guarda e sorride, era Paula Rego. Direi che questo breve episodio unico sia sufficiente ...

Quale consiglio daresti alle ragazze siciliane che volessero intraprendere la tua professione? Secondo la tua esperienza, da cosa dovrebbero stare in guardia e quali invece gli aspetti positivi di una carriera come la tua da fare in Sicilia e a Palermo in particolare?

Ma tu ce l’hai proprio con questa città eh? Il consiglio vale per qualsiasi luogo: viaggiare, studiare, osservare, tenere buoni rapporti con le persone, essere umili per i primi 10 / 15 anni di lavoro e poi osare con una buona dose di autostima e coraggio cercando di circondarsi di professionisti in buona fede; l’autostima è fondamentale anche se facessi ritratti a Piazza Navona...

«Appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come affrontarlo.»(Giovanni Falcone, “Cose di cosa nostra”, VII ed., Rizzoli libri spa, Milano, 2016, p. 25 | I edizione 1991). Tu a quale categoria di persone appartieni, volendo rimanere nelle parole di Giovanni Falcone? Sei una persona che punta un obiettivo e cerca in tutti i modi di raggiungerlo con determinazione e impegno, oppure pensi che conti molto il fato e la fortuna per avere successo nella vita e nelle cose che si fanno, al di là dei talenti posseduti e dell’impegno e della disciplina che mettiamo in quello che facciamo?

Punto ad un obiettivo solo se sento che la fortuna possa accompagnarmi, inutile negare che credo nella magia.

«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”»(Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te cos’è la bellezza? Prova a definire la bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza, e la bellezza delle arti visive, secondo te?

La bellezza la vedi solo se qualcuno ti ha educato o stimolato a goderne, l’istinto gioca a favore solo se l’indole di ciascuno di noi è buona, delle arti visive altrui io non discuto… certo però che la spigolatrice...

«C’è un interesse in ciò che è nascosto e ciò che il visibile non ci mostra. Questo interesse può assumere le forme di un sentimento decisamente intenso, una sorta di conflitto, direi, tra visibile nascosto e visibile apparente.» (René Magritte, 1898-1967). Cosa ne pensi di questa frase detta da Magritte? Nelle arti visive qual è, secondo te, il messaggio più incisivo? Quello che è visibile e di immediata comprensione oppure quello che, pur non essendo visibile, per associazione mentale e per meccanismi psicologici proiettivi scatena nell’osservatore emozioni imprevedibili e intense?

L’interesse è soggettivo, io personalmente mi concentro molto sullo stimolo alla libera associazione visiva.

«Ma, parliamo seriamente, a che serve la critica d’arte? Perché non si può lasciare in pace l’artista, a creare, se ne ha voglia, un mondo nuovo; oppure, se non ne ha, ad adombrare il mondo che già conosciamo e del quale, immagino, ciascuno di noi avrebbe uggia se l’Arte, col suo raffinato spirito di scelta sensibile istinto di selezione, non lo purificasse per noi, per dir così, donandogli una passeggera perfezione? Perché l’artista dovrebbe essere infastidito dallo stridulo clamore della critica? Perché coloro che sono incapaci di creare pretendono di stimare il valore dell’opera creativa? Che ne sanno? Se l’opera di un uomo è di facile comprensione, la spiegazione diviene superflua… »(Oscar Wilde, Il critico come artista”, Feltrinelli ed., 1995, p. 25). Cosa ne pensi delle parole che Oscar Wilde fa dire ad Ernest, uno dei due protagonisti insieme a Gilbert, nel dialogo di questa sua opera? Secondo te, all’Arte e alle arti visive in particolare, serve il critico? E se il critico d’arte, come sostiene Oscar Wilde, non è capace di creare, come fa a capire qualcosa che non rientra nelle sue possibilità, nei suoi talenti, ma che può solamente limitarsi ad osservare come tutti gli esseri umani?

Quando sali in un aereo l’assistente di volo ti indica le vie d’uscita e come raggiungere l‘ossigeno in caso di ipossia, il critico ha la stessa funzione, ti indica cosa fare, come fare e dove andare… non ho ancora trovato un critico che sa anche pilotare un aereo (anche se, ho accanto un professionista che di sé farà parlare). Conosco invece molti passeggeri che continuano a non tenere conto degli inviti da parte dei famosi assistenti di volo di cui sopra.

 

Da ragazzo ho letto uno scritto di Oscar Wilde nel quale diceva cos’era l’arte secondo lui. Disse che l’arte è tale solo quando avviene l’incontro tra l’oggetto” e la persona”. Se non c’è quell’incontro, non esiste nemmeno l’arte. Poi qualche anno fa, in una mostra a Palermo alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Riso, ho ascoltato un’intervista di repertorio al grande Gino de Dominicis che sulle arti visive disse questo: «Le arti visive, la pittura, la scultura, l’architettura, sono linguaggi immobili, muti e materiali. Quindi il rapporto degli altri linguaggi con questo è difficile perché sono linguaggi molto diversi tra loro … L’arte visiva è vivente … l’oggetto d’arte visiva. Per cui paradossalmente non avrebbe bisogno neanche di essere visto. Mentre gli altri linguaggi devono essere visti, o sentiti, o ascoltati per esistere.»(Gino de Dominicis, intervista a Canale 5 del 1994-95). Cosa ne pensi in proposito? L’arte esiste se esiste l’incontro tra l’oggetto e la persona, come dice Oscar Wilde, oppure l’arte esiste indipendentemente dalla persona e dal suo incontro con l’oggetto, come dice de Dominicis per le arti visive? Qual è la tua prospettiva sull’arte in generale?

“L’arte è un appello al quale troppi rispondono senza essere chiamati.” Leo Longanesi. Mi piace risponderti così… io sono una di quelle artiste anarchiche che spesso non sente squillare il telefono.

«Io vivo in una specie di fornace di affetti, amori, desideri, invenzioni, creazioni, attività e sogni. Non posso descrivere la mia vita in base ai fatti perché l’estasi non risiede nei fatti, in quello che succede o in quello che faccio, ma in ciò che viene suscitato in me e in ciò che viene creato grazie a tutto questo… Quello che voglio dire è che vivo una realtà al tempo stesso fisica e metafisica…»(Anaïs Nin, Fuoco”in Diari d’amore”terzo volume, 1986). Cosa pensi di queste parole della grandissima scrittrice Anaïs Nin? E quanto l’amore e i sentimenti così poderosi sono importanti per te e incidono nella tua arte e nelle tue opere?

Sono importanti certo, non al punto in cui hanno influenzato la vita di Anais... forse sì, ma solo all'inizio della mia carriera, se così si può definirla. All'inizio la componente erotica era prepotente, oggi presente, ma più nascosta al pubblico, diciamo. Più che l’amore nella concezione ristretta al sentimento condiviso in una coppia di individui, per me conta quello verso la vita, persino verso la vita delle cose, degli oggetti, delle case ad esempio. La vitalità che rimane negli oggetti appartenuti a qualcuno sono una collezionista di sentimenti oltre che di anticaglie, in poche parole, i sentimenti sono il mio metro di giudizio e il mio modus operandi soprattutto nel lavoro.

Se per un momento dovessi pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutato significativamente nella tua vita professionale e umana, soprattutto nei momenti di difficoltà e di insicurezza che hai vissuto, che sono state determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a prendere quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di ringraziare pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?

Ringrazio mio marito Giuseppe, io sono divorziata e noi non ci siamo mai sposati, ma credo che solo un vero compagno di vita, senza pezzo di carta e voti divini possa sostenere psicologicamente una vita così poliedrica come quella di un creativo e poiché anche lui a suo modo lo è direi che è la persona che mi sento unicamente di ringraziare perché non mi ha mai fatto scegliere tra la vita di famiglia e quella spesso totalizzante del lavoro di pittrice e creativa, e ormai con lui riesce a durare da tanti anni.

Se dovessi consigliare ai nostri lettori tre film da vedere quali consiglieresti e perché proprio questi?

Tre sono troppi ,direi uno, o forse due . Quel che resta del giorno con Anthony Hopkins, un film vecchissimo del ‘93 le cui tematiche, per me, sono sempre attuali: i credo, la fedeltà ad un ideale, il ricordo e la nostalgia. e poi: “A.I. Artificial Intelligence”, un film del 2001. Il sogno di essere amato che si avvera, anche solo per un eterno momento di gioia.

e tre libri da leggere assolutamente nei prossimi mesi, quali e perché?

Dando i titoli del film direi che mi sto, ma mi nutro di saggi e giudico doveroso tenere d’occhio le biografie autorizzate e non, non voglio svelare le mie letture di cui sono gelosa, preferisco svelare solo le mie opere e neppure tutte.

Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi impegni professionali che puoi condividere con i nostri lettori? 

Estero estero estero ed ancora estero. Ho bisogno di imparare cose nuove e di aria nuova e poi chissà ai sogni non si pongono limiti !

Dove potranno seguirti e dove potranno contattarti i nostri lettori?

Sui soliti social credo. Oramai sono d’obbligo, se non posti non esisti (risata ironica di sottofondo)...

Come vuoi concludere questa chiacchierata? Cosa vuoi dire alle persone che leggeranno questa intervista?

Seguitemi se vi sono piaciuta e ditelo ai vostri amici.

Pupi Fuschi

https://www.pupifuschi.it/

https://www.facebook.com/pupi.fuschi

Andrea Giostra

https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/

https://andreagiostrafilm.blogspot.it

https://www.youtube.com/channel/UCJvCBdZmn_o9bWQA1IuD0Pg

 


Alessandra Costanza: davanti alla telecamera io mi sento a casa. Intervista alla giornalista e conduttrice tv

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di Andrea Giostra - «Sono una persona assolutamente determinata, ma credo anche che qualcosa nella nostra vita sia deciso dalla dea Fortuna: è lei che tesse le nostre sorti. Sicuramente! Credo che ci voglia coraggio e non avere paura a lasciarsi andare. Davanti alla telecamera io mi sento a casa e questo viene avvertito dal pubblico» (Alessandra Costanza).

Ciao Alessandra, benvenuta e grazie per avere accettato il nostro invito. Se ti dovessi presentare ai nostri lettori, cosa racconteresti di te quale giornalista e conduttrice televisivo della tua emittente “Tele One” di Palermo?

Ciao Andrea, ti ringrazio per l’intervista e per il tempo che mi hai dedicato. Sono una giornalista e conduttrice tv . Da un anno lavoro presso l’emittente siciliana TeleOnevisibile sul Canale 19 e 519 del digitale terrestre ed in streaming su tutta la piattaforma multimediale, il sito teleone.it, l’app teleone e i social network YouTube, Facebook e Instagram. All’interno di questa rete mi occupo dei servizi giornalistici in onda al tg Medianews, della conduzione dello stesso 3 volte a settimana e della conduzione di programmi di approfondimento culturale, talent o intrattenimento. Durante questo anno di lavoro sono stata protagonista dei format Mirror One (Musica), 19 Play (spettacolo ed eventi), Cooking Rewind (cucina), Sweets King – La sfida all’ultimo dolce(pasticceria) e da sabato 23 ottobre alle 21.15 il fashion talent The Master Beauty ( Bellezza).

… chi è invece Alessandra Donna nella sua quotidianità? Cosa ci racconti della tua vita al di là del tuo lavoro?

Sono mamma di tre bambini tutti piccoli. Hanno rispettivamente 6, 4 e quasi due anni. Sono sposata con il cantautore e musicista Alfonso Moscato leader del gruppo Cordepazze che ho conosciuto nel 2008 grazie ad un’intervista. Sono una di quelle donne che tra mille difficoltà cercano di gestire, casa, lavoro e famiglia e vi posso assicurare che non è assolutamente facile. Dormo molto poco, circa 4 massimo 5 ore a notte. L’unico momento della giornata in cui ho un po’ di tempo per riflettere e pensare a me o leggere qualcosa è a fine giornate intorno alle 23.00. Questo è il mio momento magico dove cerco di riordinare le idee per il giorno seguente. Credo che nella mia vita privata si possano rispecchiare molte donne che nonostante la stanchezza fisica e lo stress al quale sono sottoposte non smettono mai di regalare un sorriso o una parola di conforto alle persone che gli sono care.

Come e quando è nata la tua passione per il giornalismo e qual è stato il tuo percorso accademico, professionale ed esperienziale che ti ha portato ad essere riconosciuta oggi come una bravissima professionista palermitana?

Inizio il mio percorso professionale a 18 anni con TGS con il programma TGS Giovaniche era un tg realizzato da un gruppo di ragazzi giovanissimi e trattava i temi legati alla scuola. La mia gavetta giornalistica nasce per gioco, con tanta inconsapevolezza. L’unica cosa di cui sono stata sempre sicura nella mia vita sin da piccolissima è che volevo fare la conduttrice televisiva ed iniziai con il giornalismo proprio per questo. Dopo qualche anno a Tgs sono passata alla conduzione di diversi programmi all’interno anche di altre tv regionali siciliane come TeleRent, 7 Gold Sicilia, CTS e poi ho  lavorato anche in progetti nazionali come Donna Moderna Experience Store nel 2012 ed in diversi magazine online come Sicilianews24, SonoDonna Magazine ed in ultimo Emmereports. Prevalentemente sono sempre stata una giornalista video anche se non mi sono mancate collaborazioni con magazine on line e canali web. 

Chi sono stati i tuoi Maestri d’Arte, se vogliamo chiamarli così, che ti hanno forgiato, che ti hanno trasmesso la passione per questa tua professione, che ti hanno trasmesso le tecniche e le competenze per essere una brava professionista, e che ti hanno accompagnato a fare i primi passi nel mondo del giornalismo?

Purtroppo non ho mai trovato una persona in particolare che mi abbia messo sotto la sua ala protettrice e mi abbia insegnato tutto. Sono sempre stata un tipo vivace ed ho appreso in maniera autodidatta. Ovviamente ho conseguito una laurea magistrale ma non credo che il mio percorso di studi abbia sostenuto il mio percorso professionale. Ho trovato diverse persone dalle quali ho appreso, ho ascoltato. Il primo sicuramente che ricordo con tanto affetto è stato l’ingegnere Cappello del Giornale di Sicilia che è stato l’ideatore di Tgs Giovani. Poi Paolo di Girolamo di Telerent che più altro è un amico al quale sono legata e che conosco anche lui da quando avevo 18 anni. In questo ultimo anno ringrazio Roberto Marco Oddo direttore di produzione di TeleOne e regista, nonché autore di diversi programmi che conduco ed ovviamente l’editore Giuseppe Speciale per avermi scelta all’interno della loro squadra. Credo fermamente invece che il metro per conoscere se facciamo bene o meno il nostro mestiere sia il pubblico. Al pubblico sono sempre grata ogni giorno e cerco di coltivare un dialogo continuo attraverso i canali social. 


Quali sono secondo te i punti di debolezza e quali quelli di forza in un lavoro come il tuo da fare a Palermo, e in Italia più in generale?

Palermo è distante dalle grandi emittenti nazionali: questo è il suo punto di debolezza. Secondo me vi è poca collaborazione tra colleghi, poco sostegno, poca voglia di fare squadra, assolutamente poco ascolto. Il punto di forza è che vi tanta creatività, arte ed ancora tanta voglia di produrre e sperimentare da parte degli artisti, cosa molto interessante per chi come me segue il settore spettacolo e vede nascere tanti talenti che poi vengono apprezzati e riconosciuti anche a livello nazionale. 

Cosa si potrebbe e dovrebbe migliorare nella tua professione per facilitare le donne a fare carriera e a crescere professionalmente, dal tuo punto di vista e alla luce della tua esperienza professionale?

Già aiutare le donne ponendo delle strutture che possano accogliere i propri figli accanto o all’interno del luogo di lavoro sarebbe una grande cosa. Un aiuto vero, concreto che darebbe una grande svolta al settore lavorativo femminile. Non aggiungo altro perché a me già andrebbe bene così. 

«Appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come affrontarlo.» (Giovanni Falcone, “Cose di cosa nostra”, VII ed., Rizzoli libri spa, Milano, 2016, p. 25 | I edizione 1991). Tu a quale categoria di persone appartieni, volendo rimanere nelle parole di Giovanni Falcone? Sei una persona che punta un obiettivo e cerca in tutti i modi di raggiungerlo con determinazione e impegno, oppure pensi che conti molto il fato e la fortuna per avere successo nella vita e nelle cose che si fanno, al di là dei talenti posseduti e dell’impegno e della disciplina che mettiamo in quello che facciamo?

Sono una persona assolutamente determinata, ma credo anche che qualcosa nella nostra vita sia deciso dalla dea Fortuna: è lei che tesse le nostre sorti. Sicuramente.

Credo che ci voglia coraggio e non avere paura a lasciarsi andare. Davanti alla telecamera io mi sento a casa e questo viene avvertito dal pubblico. 

«Un giornalista è la vedetta sul ponte di comando della nave dello Stato. Prende nota delle vele di passaggio e di tutte le piccole presenze di qualche interesse che punteggiano l’orizzonte quando c’è bel tempo. Riferisce di naufraghi alla deriva che la nave può trarre in salvo. Scruta attraverso la nebbia e la burrasca per allertare sui pericoli incombenti. Non agisce in base al proprio reddito né ai profitti del proprietario. Resta al suo posto per vigilare sulla sicurezza e il benessere delle persone che confidano in lui(Joseph Pulitzer, “Sul giornalismo”, Ed. Bollati Boringhieri, Torino, 2009). Cosa ti viene in mente leggendo queste parole di chi, negli Stati Uniti, alla fine dell’Ottocento, ha ideato e inventato il giornalismo moderno? Oggi, secondo te, i giornalisti fanno questo, gli interessi del popolo e dello stato, oppure hanno indossato le vesti di semplici servitori dei loro padroni-editori e delle lobby di potere che rappresentano le società per le quali lavorano? Qual è il tuo pensiero da donna che vive e lavora nel mondo della comunicazione e dell’informazione?

Esistono diverse tipologie di persone, come esistono diverse tipologie di giornalisti.

C’è chi va avanti solo per seguire i propri interessi e chi informa con professionalità e passione. Non giudico nessuno. Il giornalista dovrebbe esclusivamente raccontare cercando di essere il più obiettivo possibile. 

«Quale sarà la condizione della società e della politica di questa Repubblica di qui a settant’anni, quando

«I perdenti, come gli autodidatti, hanno sempre conoscenze più vaste dei vincenti, se vuoi vincere devi sapere una cosa sola e non perdere tempo a saperle tutte, il piacere dell’erudizione è riservato ai perdenti». (Umberto Eco, “Numero Zero”, Bompiani ed., Milano, 2015). Cosa ne pensi di questa frase del grande maestro Umberto Eco? Come secondo te va interpretata considerato che oggi le TV, i mass media, i giornali, i social sono popolati da “opinionisti-tuttologi”che si presentano come coloro che sanno “tutto di tutto” ma poi non sanno “niente di niente”, ma vengono subdolamente utilizzati per creare “opinione” nella gente comune e, se vogliamo, nel “popolo” che magari di alcuni argomenti e temi sa poco? Come mai secondo te oggi il mondo contemporaneo occidentale non si affida più a chi le cose le sa veramente, dal punto di vista professionale, accademico, scientifico, conoscitivo ed esperienziale, ma si affida e utilizza esclusivamente personaggi che giustamente Umberto Eco definisce “autodidatti”– e che io chiamo “tuttologi incompetenti” - ma che hanno assunto una posizione di visibilità predominante che certamente influenza perversamente il loro pubblico? Una posizione di predominio culturale all’insegna della tuttologia e per certi versi di una sorta di disonestà intellettuale che da questa prospettiva ha invaso il nostro Paese? Come ne esce la corretta informazione, la comunicazione onesta da tutto questo secondo te?

Questi tuttologi, come li chiami tu, fanno infotainment quindi è intrattenimento travestito da informazione e cerca di prendere il cosiddetto pubblico generalista che magari segue determinati personaggi prima nei social e poi in tv. Oggi si cerca di prendere più possibile pubblico da tutte le parti. L’offerta è vastissima dal web ai canali a pagamento al digitale, quindi, secondo me, la tv nazionale sta cercando ancora una nuova strada ed un nuovo modo per fare ascolti e per fare show.

«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te cos’è la bellezza? Prova a definire la bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza secondo te?

La bellezza è un concetto che riguarda l’estetica ma anche secondo me il modo in cui si riesce a rompere un filtro, quindi riuscire ad emozionare attraverso i sensi. Rompere una barriera tra ciò che viene visto e colui che lo guarda. 

«Io vivo in una specie di fornace di affetti, amori, desideri, invenzioni, creazioni, attività e sogni. Non posso descrivere la mia vita in base ai fatti perché l’estasi non risiede nei fatti, in quello che succede o in quello che faccio, ma in ciò che viene suscitato in me e in ciò che viene creato grazie a tutto questo… Quello che voglio dire è che vivo una realtà al tempo stesso fisica e metafisica…» (Anaïs Nin, “Fuoco” in “Diari d’amore” terzo volume, 1986). Cosa pensi di queste parole della grandissima scrittrice Anaïs Nin? E quanto l’amore e i sentimenti così poderosi sono importanti per te e incidono nella tua professione?

Io sono una donna di sentimento. Ho sempre e solo ragionato con il cuore. È la mia natura e non posso farci nulla. Seguo l’istinto, la passione e gli affetti. So che dovrei essere più pragmatica, sicuramente nel tempo e con l’età sono diventata molto diplomatica ma purtroppo mai fredda e calcolatrice. Non ho mai avuto paura di bruciarmi. Specialmente in questo periodo della mia vita desidero aprire tutte le porte e valicare le soglie. Mi innamoro sempre come una bambina di qualsiasi cosa e credo che ciò che è bello arriva inaspettatamente se il cuore è libero e la mente aperta. 

Se per un momento dovessi pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutata significativamente nella tua vita professionale e umana, soprattutto nei momenti di difficoltà e di insicurezza che avrai vissuto, che sono state determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a prendere quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di ringraziare pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?

Le persone in generale ti lasciano sola. Sempre. Specialmente nei momenti difficili: io sono caduta ed io mi sono rialzata, anzi ho sempre trovato persone pronte a buttarmi a terra, nonostante io abbia sempre avuto un pensiero carino per tutti. Le uniche persone che ci sostengono veramente con amore sono i genitori, sin dalla nascita. Sono decisamente testarda e seguo l’intuito. Quel poco che ho ottenuto e perché non ho mai perso la speranza nel mio percorso di vita ed ho curato sempre nei singoli dettagli ogni mio progetto. 

Gli autori e i libri che secondo te andrebbero letti assolutamente quali sono? Consiglia ai nostri lettori almeno tre libri e tre autori da leggere nei prossimi mesi dicendoci il motivo della tua scelta.

Adoro i libri di Paolo Coelho . Li ho letti quasi tutti. I miei preferiti sono L’alchimista, Brida e Undici minuti. Mi piace molto Gramellini ed il suo libro Fai Bei Sogni, forse perché anche io ho perso un genitore e capisco a pieno le sue descrizioni. Leggo poi molti libri di settore come Psicoanalisi della moda di Lemoine Luccioni. Credo che il più grande percorso che dobbiamo fare è dentro noi stessi, il nostro corpo, le nostre vicissitudini giornaliere sono uno star gate per arrivare a ben altro. Sono tutti libri che fanno riflettere sul proprio cammino interiore. 

Ti andrebbe di consigliare ai nostri lettori tre film da vedere? E perché secondo te proprio questi?

La la Land (2016), Father and Daughter (2015) e Metropolis (1927) di Fritz Lang. Adoro anche tutti i film di Gabriele Muccino e di Ferzan Ozpetek e naturalmente Kubrick. Il cinema lo amo tutto non a caso sono laureata al Dams. Sono film che emozionano o per musica, immagini estetiche o per il plot. 

Ci parli dei tuoi imminenti e prossimi impegni professionali? A cosa stai lavorando in questo momento che vuoi condividere con i nostri lettori?

Il 23 Ottobre alle 21.15 su TeleOne andrà in onda per 8 settimane il fashion talentThe Master Beauty . La conduzione è affidata a me, mentre la regia è di Roberto Marco Oddo anche autore del format insieme a Salvuccio Canfora, famoso Hair Stylist.

Le puntate :  4 di eliminazione diretta, 2 di semifinale, 1 finale e una rewind che racconterà dell'intero percorso del format, terranno compagnia il pubblico che si farà coinvolgere dai cambi look ideati dagli esperti acconciatori che hanno pensato anche agli outfit ed al trucco delle modelle.

Otto hair stylist  selezionati online grazie all’invio di video candidature si sfideranno  per contendersi l’ambito titolo “ The Master Beauty Hair.

The Master Beauty è stata una grande sfida portata a termine con tanto amore e passione da una ricca squadra di tecnici, autori,  fotografi professionisti ed hair stylist. È un piacere vedere nascere un’idea e metterla  in atto con impegno e determinazione. Non finirò mai di essere grata a tutte le persone con le quali lavoro per tutti i momenti condivisi insieme, per il rispetto e la professionalità che ci accomuna. Sono sicura che è un programma che piacerà molto al pubblico.

POTETE SEGUIRE THE MASTER BEAUTY SU:

Facebook: https://www.facebook.com/masterbeautycontest

Instagram: @themasterbeautytv

YouTube: https://www.youtube.com/channel/UClGkTbGh-aTXPjgFLwGRj-A

Dove potranno seguirti le persone he leggeranno questa intervista?

Il pubblico mi può seguire naturalmente su TeleOne o sui canali social scritti sotto. 

Per concludere, cosa vuoi dire chi leggerà questa nostra chiacchierata?

Abbiate cura di voi ed Amate e soprattutto grazie per aver letto tutta l’intervista sino alla fine!!!!!

Foto copertina: Tony Rappa

Alessandra Costanza

https://www.facebook.com/alex.costanza.3388

https://www.instagram.com/alessandracostanza7/

 

da YouTube:

https://www.youtube.com/channel/UCWlxq20CYwijtb-pk8gzgYA

 

Andrea Giostra

https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/ 

https://andreagiostrafilm.blogspot.it 

https://www.youtube.com/channel/UCJvCBdZmn_o9bWQA1IuD0Pg

Gianluca Petrella "Cosmic Renaissance": il tour del poliedrico e visionario artista tra i più celebri trombonisti

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GIANLUCA PETRELLA "Cosmic Renaissance" annuncia le date del tour. L'artista è uno tra i musicisti italiani più riconosciuti al mondo e suonerà per cinque imperdibili appuntamenti: 11/11 Milano al Biko, 12/11 a Venezia all’Argo 16, 13/11 a Macerata presso il Teatro Lauro Rossi (Macerata Jazz Festival), 14/11 a Bologna all’Estragon e chiude il 15/11 a Roma presso l’Auditorium Parco Della Musica (Roma Jazz Festival).

Ispirato dal jazzista afrofuturista SunRa, Gianluca Petrella "Cosmic Renaissance" riveste i panni dello skipper intergalattico, pronto a trasportare l’ascoltatore verso sentieri ignoti dell’Universo mettendo da parte le convinzioni più refrattarie sul jazz. Sarà affiancato da un quintetto d'eccezione: Mirco Rubegni (tromba), Riccardo Di Vinci (basso elettrico), Federico Scettri (batteria, laptop) e Simone Padovani (percussioni). 

Gianluca Petrella, strumentista, compositore e produttore pugliese, ha vinto per due anni consecutivi il Critics Poll della rivista Down Beat. In oltre vent’anni di carriera conta numerose collaborazioni di rilievo: oltre all’importante e ultra ventennale legame artistico con Enrico Rava, nel suo variegato percorso professionale ha affiancato un numero ampissimo di artisti italiani e internazionali di indiscusso prestigio: dalla Sun Ra Arkestra diretta da Marshall Allen a Carla Blay, da Paolo Fresu ai Matmos, da Lester Bowie a Manu Di Bango, da Pat Metheny a John De Leo, Dj Ralf, Ricardo Villalobos, Max Loderbauer e Moritz von Oswald.
Refrattario alle etichette e appassionato alle discipline artistiche negli anni si è cimentato in creazioni originali per il cinema, la danza e il teatro.

La “Cosmic Renaissance” questo novembre arriverà in cinque città italiane per degli appuntamenti imperdibili: 11/11 Milano al Biko12/11 a Venezia all’Argo 1613/11 a Macerata presso il Teatro Lauro Rossi (Macerata Jazz Festival)14/11 a Bologna all’Estragon e chiude il 15/11 a Roma presso l’Auditorium Parco Della Musica (Roma Jazz Festival).

PREVENDITE
Milano - BIKO - 11/11: link.dice.fm/bjdDlGOrKkb
Roma - AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA 15/11: link.dice.fm/NCiymnTrKkb

"Programmazione Puglia Sounds Tour Italia 2020/2021"
REGIONE PUGLIA FSC 2014/2020 Patto per la Puglia - Investiamo nel vostro futuro

Leonardo Sciascia, lectio di Pierfranco Bruni introdotta da Nello De Gregorio e letture di testi

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Alla Biblioteca Acclavio di Taranto.

Si è svolto a Taranto, con successo l'evento dedicato a Leonardo  Sciascia nel centenario della nascita, organizzato da Nobilissima Taranto e Museion soc. coop. presso la Biblioteca Acclavio, ricordando l'opera e il messaggio di Leonardo Sciascia a cent'anni dalla nascita.  

Sciascia è stato ricordato non per celebrare un momento rituale, di cui peraltro stranamente nel corso di quest'anno molti consessi culturali e media nazionali si sono dimenticati. Ma i personaggi scomodi, anche se immensi nel loro valore culturale, si tenta spesso a dimenticarli, anzi si tenta troppo spesso di non fare i conti con il loro messaggio. 

Sciascia lo si voglia o no non può essere relegato nel novero dei ricordi ma in un pezzo della nostra memoria, e dunque proprio perchè memoria, è un pezzo della nostra storia più recente. Sciascia non ha scritto solo storia o storie. Ha saputo leggere ciò che sarebbe stata la storia prima che la storia diventasse storia (dal "Giorno della Civetta:, alla :Scomparsa di Maiorana, all'"Affaire Moro"). 

Il suo sguardo è andato  oltre ogni cronaca e ogni qualsiasi momento dando al concetto di destino il significato greco e illuminante tra ragione, appunto da ragionare e verità. 

La Lectio su "Sciascia. La Ragione La Verità"è  stata svolta da Pierfranco Bruni, autore di "Sciascia. Nient'altro  che la verità" (Nemapress edizioni). Le letture dai testi di Sciascia sono state di Bruno Peluso e Adriana Capuano che hanno declamato alcuni passi delle principali opere dello scrittore. Ha introdotto e coordinato Nello De Gregorio. Intensa serata in cui la rilettura di Sciascia ha permesso di contestualizzare un Novecento tra letteratura e scrittura, tra tradizione manzoniana e pirandelliana e modello culturale contemporaneo.



Vasily Ladyuk: "il canto è la mia strada per scoprire il mondo". Una conversazione con il baritono

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di Giovanni Chiaramonte. (English version below)   Vasily Ladyuk, grande interprete di importanti ruoli del repertorio russo ma anche di Mozart, Strauss, Rossini, Donizetti, Verdi, Puccini, Leoncavallo, ha una magnifica voce baritonale, bella da ascoltare, ricca di sfumature che appoggia su una tecnica consolidata che dà ossatura e struttura alla sua sensibilità di artista. 
Ha cantato al Metropolitan  Opera di New York,  a La Scala,  al Houston Grand Opera, a l'Opéra National di Parigi, al Théâtre Royal de la Monnaie a Bruxelles. 

A Liegi è Eugenie Onegin, nell'omonima opera di Tchaikovsky (clicca per la recensione di Fattitaliani).

Un'opera russa ottocentesca, un amore non corrisposto, un duello, colpa e rimpianto, il formalismo sociale del tempo. Come ti sei sentito nel ruolo di Eugene Onegin? Per noia, Onegin flirta con la sposa del suo amico e lo uccide in duello, perché il l'etichetta e il codice morale dell'epoca richiedono che accetti la sfida. Lui altezzosamente rifiuta l'amore di una giovane ragazza romantica per infatuarsi di lei quando si trasforma in una dama desiderata nell'alta società e sposata con uno stimato generale, suo vecchio amico. È il suo turno di essere respinto. Questa è la sua punizione. Ricco, colto e ben educato non riesce però a trovare un posto giusto nella vita, tormentato da talenti non realizzati. Onegin è un personaggio molto complesso e controverso, pieno di passioni che lo fanno soffrire. Un ruolo da sogno per qualsiasi artista.

Quali sono le tue preferenze personali in Opera? Non credo di essere unico in questo - spesso ci piace quello in cui siamo assorbiti al momento. Ci concentriamo su un certo ruolo, una parte d'opera, e dotiamo il personaggio delle nostre emozioni, che si tratti di un malvagio o di un eroe: le amiamo, ci identifichiamo con esse. Ebbene, tra le mie preferenze ci sono, oltre a Onegin, Georges Germont, di Luna, Rodrigo.

Come hai scoperto la tua passione per il canto? Da bambino amavo cantare le canzoni che sentivo alla radio. Avendo capito di avere un buon orecchio per la musica i miei genitori mi mandarono alla scuola del Coro Maschile di Mosca. Fin da piccoli, i nostri insegnanti e gli istruttori hanno cercato di coltivare in noi il gusto per la buona musica, introducendoci alle vette della cultura musicale. Già da piccoli siamo apparsi sul palco con artisti eccezionali. Il mio interesse per la musica è cresciuto gradualmente e non mi sono reso conto di come il canto sia diventato una dipendenza e la musica una passione totale. Tanto che è diventata la mia professione.

Per te qual è il momento peggiore e qual è il momento migliore salendo sul palco? 
Cosa potrebbe esserci di peggio di un fallimento sul palco? Fortunatamente per il momento questo mi è stato risparmiato. E di momenti felici ce ne sono stati parecchi. Il mio debutto al Teatro Bolshoi nella parte di Il principe Yeletsky (La dama di picche) e il ruolo del principe Bolkonsky (Guerra e pace) al Metropolitan Opera, il mio Onegin al Palais Garnier, a La Scala e al Covent Garden – in due o tre anni la mia carriera è cresciuta rapidamente. L'anno scorso abbiamo festeggiato il 5° anniversario dell'OPERA Live Festival, di cui sono fondatore e direttore artistico. I colleghi russi e stranieri mi sostengono nei miei sforzi. Il mio caro amico Ildar Abdrazakov (Gremin nella nostra produzione) è uno di questi.

Che benefici ti ha portato il canto e cosa ti ha tolto... c'è stato un prezzo da pagare per cantare?
Il canto è solo una parte di un complesso di cose che fa un artista d'opera. Include l'arte di recitare, la tua capacità di relazionarti con l'orchestra, con il direttore d'orchestra, con il regista, con il tuo partner di scena. Cantare soltanto non è di assolutamente sufficiente, anche se senza un talento canoro tutto il resto è inutile. Il canto è un mezzo di comunicazione con il pubblico e con il mondo esterno. È la mia strada per scoprire il mondo. È il mio modo di vivere, rende la mia vita significativa. Non penso davvero che ci dovrebbe essere un prezzo che dovrei pagare per avere successo nella mia professione. La mia professione di cantante non limita o limita in alcun modo le mie altre attività. Faccio sport, gioco a tennis sull'erba. Il mio lavoro mi ha aiutato a farmi amici in tutti i ceti sociali: pittori, avvocati, medici, docenti, ecc. Mi piace cucinare per i miei amici. Sono un padre felice. A partire da quest'anno, mia figlia è una studentessa di teatro musicale. Temo di dover toccare velocemente ferro per mantenere tutto questo!

Ascolti lirica nel tuo tempo libero? Che musica ti piace ascoltare? L'opera è un lavoro e una vocazione, e la amo. È la mia vita; tuttavia, ci sono altre cose e interessi anche nella vita. Nel tempo libero mi piace ascoltare jazz e rock'n'roll. Amo Sting per esempio. Ci sono momenti però, soprattutto quando prepari una nuova parte, in cui hai voglia di ascoltare le registrazioni di, diciamo, Tito Gobbi o Leo Nucci o anche Maria Callas che non sono legate al ruolo su cui stai lavorando. Tutto questo perché in quel momento hai un bisogno da colmare con musica, canto e arte di alta classe.

C'è un'opera o un compositore che sogni di interpretare? Come mai? Quando si sceglie o si accetta un ruolo, bisogna adattare i propri desideri alle proprie capacità. Hai da considerare la maturità e le caratteristiche particolari, individuali, della tua voce, tessitura e molte altre cose. Sono un uomo felice, nella mia carriera professionale di cantante d'opera ho avuto la possibilità di esibirmi in opere di Tchaikovsky, Mussorgsky, Mozart, Bizet, Rossini, Leoncavallo, Puccini, Verdi e così via. Verdi con la sua musica è un intero universo, dove c'è posto anche per la mia voce. Mi piace questo compositore, sento la sua musica. Ce l'ho già nel mio repertorio, e ancora ne voglio di più – Rigoletto, per esempio. Tuttavia, per questo ruolo la voce deve maturare. Ma sono quasi pronto!



foto copyright © Opéra Royal de Wallonie-Liège – Jonathan Berger 


English version

A nineteenth-century Russian opera, an unrequited love, a duel, guilt and regret, the social formalism of the time. How did you feel in the role of Eugene Onegin?

Out of boredom, Onegin flirts with the bride of his friend and kills him in a duel, because the etiquette and moral code of the time demands that he should accept the challenge. He haughtily rejects the love of a young romantic girl to be infatuated with her when she turns into a dame favoured in high society and married to a merited general, an old friend of his. It is his turn to be rejected. That is his punishment. Rich, well-educated and well-mannered he can't however find a proper place in life tormented by unrealized talents. Onegin is a very complex and controversial character filled with and suffering from passions. A dream role for any performer.

What are your personal preferences in Opera?

I don't think I would be unique in this sense - we often like what we are absorbed in at the moment. We are focused on a certain role, opera part, and we endow the character with our emotions, whether it's a villain or a hero - we love them, we identify with them. Well, among my preferences will be, in addition to Onegin, Georges Germont, di Luna, Rodrigo.

How did you discover your passion for singing?

As a child, I loved to sing songs I heard on the radio. Having realized I had a good ear for music at that, my parents sent me to the Moscow Boys’ Choir School. From an early age, our teachers and instructors tried to cultivate in us a taste for good music, introducing to the heights of musical culture. As little boys, we already appeared on stage with outstanding performers. My interest in music grew gradually, and I did not notice how singing turned into addiction, and music became a total passion. So much so, that it became my profession.

For you what is the worst moment and what is the best moment going up on stage?

What could be worse than a failure on the stage? Fortunately, I have been spared from that so far. And of happy moments there was quite a lot. My debut at the Bolshoi Theatre in the part of Prince Yeletsky (Queen of Spades) and the role of Prince Bolkonsky (War and Peace) at the Metropolitan Opera, my Onegin at Palais Garnier, La Scala and Covent Garden - within two or three years my career boosted rapidly. Last year we celebrated the 5th anniversary of the OPERA Live Festival, of which I am the founder and artistic director. Russian and foreign colleagues support me in my endeavors. My close friend Ildar Abdrazakov (Gremin in our production) is one of them.

What goods did singing bring you and what did you take away from you.....was there a price to pay to sing?

Singing is only one part of a complex of things that makes an opera artist. It includes the art of acting, your ability to interrelate with the orchestra, the conductor, the stage director, your stage partners. Singing alone is by far not enough, though without a singing talent all the rest is of no use. Singing is a means of communication with audiences and with the outer world. It is my way to discover the world. It is my way of life, it makes my life meaningful. I don’t really think there should be a price I would need to pay to be successful in my profession. My singing profession in no way restricts or confines my other doings. I go in for sports – I play lawn tennis. My job helped me make friends in all walks of life - painters, lawyers, physicians,lecturers etc. I like to cook for my friends. I am a happy father. Starting this year, my daughter is a student of musical drama. I am afraid I have to quickly touch wood to keep that all.

Do you listen to opera in your free time? What music do you like to listen to?

Opera is a job and a vocation, and I love it. It is my life; however, there are other things and interests in life too. In my free time I like to listen to jazz and rock’n’roll. I love Sting for example. There are times though, especially when you prepare a new part, when you feel like listening to the recordings of, say, Tito Gobbi or Leo Nucci or even Maria Callas that are not related to the role you are working on. All that because at that moment you have a necessity to be filled with high class music, singing and artistry. 

Is there an opera or a composer who you dream of interpreting? Why?

When choosing or agreeing to a role one has to keep one’s wants to one’s capacities. You have to consider the maturity and individual particulars of your voice, tessitura and lots of other things. I am a happy man, in my professional career as an opera singer I had a chance to perform in the operas by Tchaikovsky, Mussorgsky, Mozart, Bizet, Rossini, Leoncavallo, Puccini, Verdi and so on. Verdi with his music is a whole universe, where there is a place for my voice too. I like this composer, I feel his music. I already have him in my repertoire, and still I want more – Rigoletto, for example. However, for this role the voice has to ripen. My time is coming. I am about ready.


Cellini, il 3 novembre a Verona presentazione dell'autoritratto per i 450 anni dalla scomparsa

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In occasione della nascita di Benvenuto Cellini e a 450 anni dalla scomparsa del grande scultore ed orafo fiorentino, la città di Verona, con il Patrocinio della Regione del Veneto, rende omaggio ad uno dei più noti rappresentanti della scultura manierista italiana. 

Mercoledì 3 novembre alle ore 17.00 avrà luogo all’interno della Sala Convegni del Palazzo di Gran Guardia di Verona un Convegno Internazionale curato da Annalisa Di Maria e Andrea da Montefeltro, membri della Commissione di esperti di Arte e Letteratura del Centro UNESCO di Firenze con la partecipazione e collaborazione del Club per L’UNESCO di Verona.

Dell’ “orafo sanguinario”, autore della celebre Saliera di Francesco I di Francia, nonché del bronzeo Perseo con la testa di Medusa, capolavoro della scultura manierista italiana, e dell’ autobiografia La Vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze - uno dei saggi più perspicaci della letteratura sulla vita quotidiana rinascimentale - verrà per la prima volta svelato in Italia l’ Autoritratto, - olio su carta di cm 61x48 - datato intorno alla seconda metà del Cinquecento.

Riapparsa nel mercato antiquariale parigino nel 2005, l’opera è rimasta sino ad oggi in collezione privata e grazie alle analisi scientifiche – condotte da Silvain Brams nel laboratorio dell’Istituto d’Arte di Conservazione e del Colore di Parigi (IACC) - e agli studi critici condotti sull’opera da Annalisa di Maria e Andrea da Montefeltro, nel corso di questi quindici anni è stato possibile attribuirne con certezza la paternità al grande Cellini, le cui poche opere autografe sono oggi nei musei più importanti del mondo, dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, agli Uffizi di Firenze, alla Biblioteca Reale di Torino.

La somiglianza fisica del Cellini è stata, fino alla scoperta e allo studio del ritratto, dimenticata nel tempo nonostante l’artista toscano fece di tutto per rimanere nella memoria. L’Autoritratto dipinto, di grande valore storico artistico oltre che autobiografico - rappresenta ad oggi l'unica opera d'arte pittorica sopravvissuta dell’artista, la cui fisionomia, ben nota attraverso il celebre affresco del soffitto di Giorgio Vasari a Palazzo Vecchio di Firenze del 1563 è di fondamentale importanza per l’identificazione del volto stesso del Cellini in alcune delle sue opere d’arte più note. 

Modalità di partecipazione

Palazzo di Gran Guardia,

Piazza Bra 1, 37121, Verona

Mercoledì 3 novembre ore 17.00

Ingresso contingentato previa prenotazione al

Mob: 334.9930016

Mail: celliniconference@gmail.com        

Proscenio, Lorenzo Collalti a Fattitaliani: un testo prende le sembianze di chi lo interpreta. L'intervista

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Con l'interpretazione di Grazia Capraro e Daniele Paoloni, torna in scena dal 2 al 7 novembre al Teatro Le Maschere di Roma, nell’ambito della Rassegna Nuova Drammaturgia - Incontri, BOLLE DI SAPONE, poetico spettacolo del giovane regista e autore Lorenzo Collalti, intervistato da Fattitaliani per la rubrica Proscenio.

"Bolle di sapone" in che cosa si contraddistingue rispetto ad altri suoi testi?
Rispetto agli altri testi io credo che con questo, la compagnia abbia trovato il coraggio di esporsi del tutto. Mentre nei testi precedenti c’erano sempre dei riferimenti, delle riscritture, delle citazioni, questo testo è nostro al cento per cento, senza il supporto di altri autori. Lo spettacolo prende come pretesto una trama semplicissima per presentare due personaggi apparentemente fuori dal comune. Apparentemente, sì perché poco alla volta, ci si rende conto che le loro manie ci appartengono, magari non tutte, ma alcune sicuramente. Pian piano lo spettatore viene portato all’interno della solitudine e dell’alienazione dei protagonisti che diventa il riflesso di una società sempre più efficiente e sempre meno umana; dove manie e nevrosi si contendono un bilancio esistenziale “claustrofobicamente" ironico. 
Quale linea di continuità, invece, porta avanti?
Bolle di saponeè anche un punto di arrivo del lavoro della nostra compagnia. Per lavoro non intendo i contenuti ma il processo che porta alla realizzazione di questi. In questo testo la drammaturgia, la recitazione e la regia credo abbiano trovato uno specifico equilibrio, frutto del lavoro portato avanti in questi anni. ConBolle di sapone abbiamo ottenuto una nostra maturità. Più che un vero e proprio esperimento, io personalmente credo che questo nel nostro piccolo sia il raggiungimento di un linguaggio personale, un nostro modo di fare teatro.
Quando scrive un testo nuovo può capitare che i volti dei personaggi prendano man mano la fisionomia di attrici e attori precisi?
Nella scrittura spesso è importante immaginare degli attori, altrimenti rimangono dei personaggi astratti che fanno fatica a prendere vita. Quindi ho sempre dei riferimenti di base, ma poi durante le prove, quando dalla pagina si passa alla messinscena, tutto viene sempre rimesso in discussione. Credo che un testo debba sempre trasformarsi e prendere le sembianze di chi lo interpreta, non il contrario.  Quando lavoro penso sempre che sia il personaggio ad entrare nella carne di un attore e non un attore ad annichilirsi diventando un concetto su pagina. È difficile da spiegare perché è un qualcosa di molto pratico e non so se so spiegarlo meglio di così.
Per un autore teatrale qual è il più grande timore quando la regia è firmata da un'altra persona?
Non lo so, è una sensazione che non ho mai provato. Immagino che non sia proprio la paura, piuttosto è il dolore di realizzare un’opera imperfetta. Tutto può nascere da te ma poi non sarai tu a concludere. Il compimento della tua opera spetterà ad un altro. Un po’ come organizzare una festa e poi non andarci. Devi avere il coraggio di fare un passo indietro proprio sul più bello. E’ molto faticoso, ci vuole un grande carisma. Io non ce l’ho.
Quanto condivide questo aforisma "Il buon insegnamento è per un quarto preparazione e tre quarti teatro" di Galileo?
Non lo condivido, o meglio non credo che mi riguardi direttamente. Non ho nulla da insegnare. Ho semmai qualcosa da raccontare; ma di questo qualcosa non so spiegare praticamente niente. Per cui posso dire che sono per quattro quarti teatro.
Il suo aforisma preferito sul teatro... o uno suo personale...
Gabriele Linari, il mio primo insegnante mi diceva “Il teatro è l’unica forma d’arte che risente drammaticamente delle leggi di natura. Nasce, cresce e poi con la sua ultima replica muore”. 
L'ultimo spettacolo visto a teatro?
PENG, al Teatro Vascello regia di Giacomo Bisordi e l’ho trovato un gioiello, sotto molti punti di vista. Affronta una tematica che da tempo volevo affrontare ma non avevo idea di come fare. Giacomo ci è riuscito sorprendendomi di continuo con trovate sempre più coraggiose, centrate e pensate. Raramente esco così spiazzato, confuso e soddisfatto da teatro. Ho infranto la mia regola di non parlare mai dei colleghi, né in positivo, né in negativo ma ogni tanto un’eccezione per il merito va fatta. PENG è uno di questi casi.
Degli attori del passato chi vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo? 
In linea con le parole di Linari che ho citato prima, io credo che il teatro sia presente. Credo sia qui ed ora. Anche portando in scena Eschilo, deve parlare di oggi, di questo momento. Altrimenti se ne può fare una lezione all’università, non serve uno spettacolo. E per parlare di questo momento e non di un altro, io, portandogli il massimo rispetto, non ho bisogno di attori del passato.
Il miglior testo teatrale in assoluto qual è per lei?
Non esiste. Il teatro ha parlato di qualsiasi argomento per secoli, in maniera sempre diversa, relativamente alla sua epoca. Chi sa rispondere a questa domanda penso abbia letto solo quel testo che premia; o ne abbia letti anche altri ma con poca attenzione.
La migliore critica che vorrebbe ricevere?
"Ho pianto, ho riso, ho mille pensieri e non ci sto capendo niente ma va bene, è una sensazione bellissima”.
La peggiore critica che non vorrebbe mai ricevere?
“Qual è il significato di questo spettacolo?".
Dopo la visione dello spettacolo, che cosa Le piacerebbe che il pubblico portasse con sé a casa?
Vorrei che il pubblico tornasse a casa con una piacevole confusione, attraversato da emozioni e pensieri in forte contraddizione tra loro. Un po’ come quando giochi a calcetto o qualcos’altro e pensi di non essere allenato, di non poterlo fare. Poi giochi, ti affatichi ma esulti, ti fai anche male magari. Alla fine tutto sommato pensi di aver sbagliato, era meglio starsene a casa e non fare niente. Però nonostante tutto stai bene perché hai retto, sei stanco ma c’eri anche tu, hai giocato; nonostante tutto hai giocato. Giovanni Zambito.


LO SPETTACOLO

Un racconto che con sensibilità si insinua nella profondità dell’animo alienato della società contemporanea. I protagonisti sono due personaggi timidi, ossessivamente timidi, che vivono le loro vite in maniera surreale, intrappolati in una visione fantasiosa del quotidiano. Quando uno scherzo del destino li mette in contatto, sono costretti a rivoluzionare la loro vita per ospitare l'altro, volenti o nolenti. L'incontro di queste due piccole solitudini in una periferia metropolitana è il cuore del racconto, di una storia semplice e comune.

Lorenzo Collati, dopo Nightmare N.7, Un Racconto d’inverno e Reparto Amleto, da vita, con Khora Teatro e la sua compagnia “L’Uomo di Fumo”, ad uno spettacolo che rivela una particolare attenzione alle parole e alla scrittura di un testo che va a ricreare sulla scena un affresco emotivo.

“Se vivi in un paese di quattromila abitanti conosci tutti, se abiti in una città di tre milioni di persone non conosci nessuno.”- annota Collalti. “È una riflessione paradossale ma descrive chiaramente la difficoltà di incontrarsi in una grande metropoli. La periferia è l'emblema di questa realtà, con centinaia di famiglie che vivono in pochi metri quadrati, a volte nello stesso palazzo, senza conoscersi affatto.

Migliaia di paure, gioie, angosce, emozioni diverse tra loro non si toccano per la parete divisoria di un appartamento; pochi centimetri di mattoni e cemento. Questa storia prende due di quegli universi per provare a metterli in contatto, mostrando tutte le loro fragilità.”

Novembre, riascoltiamo il successo di Giusy Ferreri

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Salutiamo il mese di Novembre con l'omonima canzone portata al successo da Giusy Ferreri (
video).
Scritto da Roberto Casalino e prodotto da Tiziano Ferro, è il secondo singolo estratto da Gaetana, album d'esordio di Giusy Ferreri. Novembreè stato contemporaneamente lanciato in versione digitale su tutte le piattaforme web e mobile ed ha raggiunto la 1ª posizione della classifica di iTunes nel primo giorno di emissione.

Questo il commento di Giusy sul singolo: «Roberto Casalino sa interpretare con grande sensibilità le mie emozioni, e nonostante non sia stato scritto da me, il testo di Novembre è molto autobiografico; è ispirato a vicende passate, perché adesso sto vivendo un periodo molto sereno e gratificante sia sul fronte artistico sia sul piano umano e sentimentale. Questo brano è più vicino al mio mondo rispetto al singolo precedente: parla sempre della fine di un amore, ma con minor romanticismo e maggior risolutezza nel riprendere il controllo della propria esistenza. È il mio atteggiamento quando devo affrontare situazioni simili nella vita reale».

A rendere vigoroso e incalzante il singolo Novembre contribuisce anche l’arrangiamento elettronico, che si divide fra dinamiche strofe dall’incedere percussivo e un inciso più poetico con gli archi ad aumentare l’enfasi del tema cantato dalla Ferreri con il suo personalissimo timbro vocale con echi retrò e melanconici. Giusy aggiunge: «Questa canzone rispecchia più fedelmente la mia identità musicale sempre alla ricerca di un’espressività vocale a tinte forti ma senza esagerazioni» .

Novembre è anche un suggestivo video dall’ambientazione cinematografica girato nelle vie di Parigi con la regia di Cosimo Alemà, che aveva diretto la giovane interprete palermitana di nascita e milanese d’adozione pure nel precedente clip di Non ti scordar mai di me.


Testo

Ho difeso le mie scelte

Io ho creduto nelle attese

Io ho saputo dire spesso di no

Con te non ci riuscivo

Ho indossato le catene

Io ho i segni delle pene

Lo so che non volendo ricorderò

Quel pugno nello stomaco

A novembre la città si spense in un istante

Tu dicevi basta ed io restavo inerme

Il tuo ego è stato sempre più forte

Di ogni mia convinzione

Ora a novembre la città si accende in un istante

Il mio corpo non si veste più di voglie

E tu non sembri neanche più così forte

E come ti credevo un anno fa a novembre

Ho dato fiducia al buio

Ma ora sto in piena luce e in bilico

Tra estranei che mi contendono

La voglia di rinascere

A novembre la città si spense in un istante

E tu dicevi basta ed io restavo inerme

Il tuo ego è stato sempre più forte

Di ogni mia convinzione

Ora a novembre la città si accende in un istante

Il mio corpo non si veste più di voglie

Tu non sembri neanche più così forte

E come ti credevo un anno fa a novembre

E tu parlavi senza dire niente

Cercavo invano di addolcire

Quel retrogusto amaro di una preannunciata fine

Novembre, la città si spense in un istante

Tu dicevi basta ed io restavo inerme

Il tuo ego è stato sempre più forte

Di ogni mia convinzione

Ora a novembre la città si accende in un istante

Il mio corpo non si veste più di voglie

E tu non sembri neanche più così forte

E come ti credevo un anno fa a novembre

Marco Aceti in Lettera H, dal 5 Novembre su Amazon Prime e Apple TV

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Lettera H è un film del 2019, diretto da Dario Germani.

Ci sono diverse storie che si incrociano in Lettera H, tutte ostiche da comprimere e troppo complesse da rievocare. Da una parte un’autovettura che non sarà mai soltanto una semplice macchina: la Fiat 127 è stata un simbolo dell’eccellenza industriale italiana, un confronto impietoso per le altre case concorrenti. Ha percorso gran parte del boom economico, dal ’71 fino alla fine degli anni ’80: in poche parole è parte fondamentale della nostra storia, tanto da apparire anche negli angoli più bui di quegli anni. Qui, infatti, inizia un’altra grande narrazione, quella che per un toscano come il sottoscritto ha tutti i connotati di una fiaba nera troppo vicina nel tempo: i delitti del Mostro di Firenze e il successivo processo ai cosiddetti “Compagni di Merende” sono stati eventi impossibili da raccontare esaurientemente, privi di risposte certe, capaci di lasciare soltanto una nube che nessun esperto di cronaca nera è mai riuscito a diradare. L’aver compreso la terribile incommensurabilità di quei fatti è il primo grande merito di Lettera H. La sceneggiatura scritta da Andrea Cavalletto potrebbe sembrare troppo flemmatica, ma si prende solo i suoi giusti tempi per raccontare i due protagonisti.

Seba e Patty sono due amanti sfortunati, soli contro tutti. Seba ha un passato turbolento, lavora e vive in un’officina; Patty è più giovane, in continuo contrasto con la sua famiglia per la relazione con uomo più grande di lei e dai trascorsi non proprio raccomandabili. Dopo una festa, i due salgono sulla 127 restaurata di lui e vanno ad appartarsi in un bosco fuori città. È qui che, sicuramente, a chi guarda si accenderanno tutte le lampadine, ma i risvolti che seguiranno sono davvero imprevedibili. Il film, diretto con sapiente mano da Dario Germani e fresco vincitore del premio di Miglior Lungometraggio all’Abruzzo Horror Festival, fa abboccare all’amo lo spettatore solo con la paranoia che inizia a serpeggiare tra i due protagonisti. Un meccanismo narrativo automatico che mette sull’attenti chiunque si aspetti la comparsa del convitato, o meglio dei convitati di pietra. Tuttavia, il piede non è ancora premuto sull’acceleratore, anche quando le prime sagome cominciano a muoversi nell’oscurità. È da questo momento che Lettera H compie una progressiva quanto incredibile trasformazione che lo porterà ad essere un vero e proprio gioiello, oltre che un horror finalmente dichiarato. Tutto ciò che viene in seguito è un perfetto esempio di tempistica narrativa e crudeltà visiva.


Una sequenza disturbante, dai dettagli macabri e sordidi, è il primo eccellente passo di un’escalation finale che porterà poi al colpo di scena e al violentissimo climax. Si possono spendere parole per i riferimenti cinematografici a cui essi si rifanno, oltre che a quelli appartenenti alla notissima vicenda di cronaca; tuttavia, anche per evitare spoiler, è meglio concentrarsi su considerazioni più generali.

Siamo davanti ad un prodotto filmico di qualità, dove le maestranze, tra cui gli effetti speciali di Sergio Stivaletti, fanno la differenza. In Lettera H si ritrova lo spirito e la forza di un cinema piccolo nei mezzi ma enorme nei risultati, in grado di essere quello che è sempre stato chiamato ad essere, ossia una macchina delle meraviglie. Con la volontà, inoltre, di osare, di oltrepassare quei confini che separano tante opere odierne che vogliono solo giocare, facendo l’occhiolino, da una che invece fa dannatamente sul serio e che quel cinema lo ama e lo rispetta.

NEFERTINA TORNA IN TV E IN LIBRERIA, SU RAI PLAY e RAI YOYO

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Dopo i primi ventisei episodi andati in onda ad aprile, ambientata nell’Antico Egitto, torna la serie animata Nefertina sul Nilo, protagonista una bambina di 8 anni dotata di inesauribile curiosità e grande coraggio, dal 1 Novembre su Rai YoYo dal lunedì al venerdì alle 18:25 e dal 4 Novembre tutti i giorni anche alle 11:25.

Ventisei nuovi episodi da 13 minuti, disponibili anche su Rai Play, per unire divertimento, avventura e qualche assaggio di informazione storica.

Le avventure mistery di Nefertina sono presenti anche in tutte le librerie d'Italia con i primi numeri della nuova collana pubblicata dDeAgostini: due story-book brossurati, contenenti ciascuno due racconti tratti dagli episodi della serie animata, e due sticker-album.

Un viaggio pieno di misteri e di divertimento, in cui la coraggiosa Nefertina e i suoi amici accompagnano i bambini alla scoperta dell’Antico Egitto.  Storie gioiose fondate su valori solidi come le pietre delle piramidi: amicizia, lealtà, senso di giustizia e desiderio di imparare.

Nefertina, figlia dello scriba del Faraone, dotata di una capacità unica per l’epoca: sa leggere e scrivere! Per questo aspira a diventare la prima scriba-reporter della storia dell’Egitto. Per esercitare questo talento, Nefertina riporta tutti gli avvenimenti nel suo papir-diario. Ma non è facile essere una giornalista in erba nell’Antico Egitto! Nefertina, sempre un po’ avventata, ha un particolare talento per mettersi nei guai. Per fortuna il suo fidato amico Piramses è sempre pronto a darle una mano. I due amici, accompagnati dal gatto Micerina, tra indagini, piccole paure e grandi scoperte vivono tante fantastiche avventure all’ombra delle Piramidi, tra mummie misteriose e rompicapo da Sfinge.

La serie è il frutto di una coproduzione internazionale tra la società romana Graphilm Entertainment di Maurizio Forestieri, la belga Waooh! e la francese Cyber Group Studios, in collaborazione con Rai Ragazzi, con il sostegno del MiC Ministero della Cultura, della Regione Lazio Attrazione Produzioni Cinematografiche (POR FESR LAZIO 2014-2020) e di Europa Creativa. Distribuita nel mondo da Cyber Group Studios.

ANDREA SANNINO in “Carosone, l’americano di Napoli” all'Augusteo di Napoli dal 5 novembre

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Al Teatro Augusteo di Napoli, Piazzetta Duca D'Aosta 263, da venerdì 5 a domenica 14 novembre 2021, Andrea Sannino, nel ruolo di Carosone, sarà protagonista con lo spettacolo “Carosone, l’americano di Napoli”. Il musical, in scena nel centenario della nascita del grande Maestro, ma sospeso causa restrizioni, torna finalmente a teatro con testo e direzione artistica di Federico Vacalebre e con la regia di Luigi Russo.

In scena con Andrea Sannino anche Raffaele Giglio, Giovanni Imparato, Claudia Letizia, Geremia Longobardo e Forlenzo Massarone.


C'era una volta l'americano di Napoli, c'era una volta un Maestro armato di sorriso, c'era una volta una canzone travestita da commedia all'italiana, o forse era il contrario. “Carosone, l’americano di Napoli” è un musical verace, ma internazionale, retrò, ma moderno, costruito intorno all'attualità della lezione del Maestro di "Torero", di cui nel 2020 è caduto il centenario della nascita.

Federico Vacalebre, biografo ufficiale del cantapianista, ha ripreso il suo musical di successo e l'ha rivisto senza tradirne gli assunti di partenza, che rendono lo show un viaggio al termine di uno stile, di un suono, di un'arte nazionalpopolare, eppure veracissima.

Una compagnia teatrale giovanissima, con band e DJ in scena, con un corpo di ballo electroswing, interpreta la storia del più moderno dei musicisti italiani, dei suoi complici Gegè Di Giacomo e Peter Van Wood, del suo amico Fred Buscaglione, di maggiorate di altri tempi pronte a ballare come novelle ‘Maruzzelle’.


Gli arrangiamenti musicali sono di Lorenzo Hengeller. Remix di Gransta MSV. Coreografie di Ferdinando Arenella. Scenografie di Massimiliano Pinto. Costumi di Antonietta Rendina. Disegno luci di Gianluca Sacco. Suono di Daniele Chessa.


Il Complesso Carosone è formato da Vincenzo Anastasio (Sax e clarino), Gaetano Diodato (Contrabasso), Luigi Patierno (Sax), Pino Tafuto (Pianoforte), Roberto Funaro (DJ).

Il corpo di ballo delle ‘Maruzzelle’ e dei ‘Sarracini’ è composto da Paolo Anzaloni, Gianluigi Cacciapuoti, Chiara Campochiaro, Federica Mosca, Francesco Sabella, Raffaele Siciliano, Marialucrezia Sorgente, Luca Squadritti, Lorena Zinno.



E’ una produzione Gestione Attività Teatrali di Roberta Starace e Giuseppe Caccavale, con la partecipazione del teatro Trianon Viviani.

 

Giorni e orari spettacoli, info per possessori biglietto e/o abbonamento: il turno A, recupero data 20 marzo, venerdì 5 novembre ore 21:00. Turno C, recupero data 21 marzo, sabato 6 novembre ore 21:00. Turno D, recupero data 22 marzo, domenica 7 novembre ore 18:00. Turno E, recupero data 24 marzo, martedì 9 novembre ore 21:00. Turno F, recupero data 25 marzo, mercoledì 10 novembre ore 18:00. Turno G, recupero data 26 marzo, giovedì 11 novembre ore 21:00. Turno H, recupero data 27 marzo, venerdì 12 novembre ore 21:00. Turno I, recupero data 28 marzo, sabato 13 novembre ore 21:00. Turno M, recupero data 29 marzo, domenica 14 novembre ore 18:00. 


Ticket al botteghino o su bigliettoveloce.it: platea € 35,00. Galleria € 25,00.


Informazioni sono disponibili su teatroaugusteo.it o telefonando allo 081414243 - 405660, dal lunedì al sabato dalle ore 10:30 alle 19:30.


NERI MARCORÈ e LEGA DEL FILO D'ORO PREMIATI AL FESTIVAL 'UNO SGUARDO RARO' CON IL PREMIO MAKE YOUR CHOICE

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Continuano le presentazioni della campagna di sensibilizzazione #MakeYourChoice (‘Fai la tua scelta’).
Ultima in ordine di tempo, alla sesta edizione di Uno Sguardo Raro Rare Disease International Film Festival, che si è tenuta alla Casa del Cinema di Roma. Al festival, nato con l'obiettivo di “rompere” attraverso il linguaggio del cinema quell'isolamento che circonda le persone con malattie rare, è stato inoltre istituito il Premio Make Your Choice, in collaborazione con Sobi Italia. Durante la cerimonia di premiazione del festival, sono stati premiati Neri Marcorè e la Lega del Filo d’Oro con le seguenti motivazioni:

Per Neri Marcorè: “L’aver amplificato il messaggio sulla missione della Lega del Filo d’Oro attraverso la sua notorietà è già meritorio, ma Neri Marcorè si è legato emotivamente alla Fondazione, partecipando attivamente alla vita della Lega del Filo d’Oro”.


Per la Lega del Filo d'Oro: 
“La tenacia e l’entusiasmo con cui è stata tessuta la storia della Lega del Filo d’Oro sono già caratteristiche da premiare, ma la Giuria l’ha selezionata per la coraggiosa scelta di dare speranza anche a chi, apparentemente, non ne ha e di aprire una finestra sul mondo delle persone sordo-cieche quando ancora la disabilità conviveva con molti tabù”.

Il 
Premio Make Your Choice, alla sua prima edizioneè dedicato a chi, associazioni, caregiver, protagonisti del mondo del cinema, dello spettacolo, della cultura, dell’arte, della scienza, dell’imprenditoria, abbia fatto la differenza nel mondo della solidarietà grazie alle proprie scelte.


#MakeYourChoice è uno ‘sliding doors’ in chiave social che ribalta la prospettiva, invitando gli utenti a mettersi nei panni dei protagonisti e decidere per loro. Coinvolge per l’autenticità dei contenuti e la capacità di attivare il pubblico. Caratteristiche che troviamo anche nei Premiati di questa prima edizione di Make Your Choice, cui rivolgiamo il nostro ringraziamento per la forza rara che mettono in campo per la comunità dei sordociechi”, afferma Sergio LaiVice-President & General Manager Italy, Greece, Cyprus & Malta di Sobi.


L'idea di questo premio – sottolinea Claudia Crisafio, co-fondatrice di Uno sguardo raro - nasce dalla consapevolezza che sono tantissime le persone nel nostro paese che scelgono di impegnarsi per aiutare gli altri. Riteniamo che sia importante far conoscere chi, scegliendo di non voltarsi dall'altra parte, cambia il corso delle cose”.

Il Premio prende lo spunto da una 
campagna di sensibilizzazione promossa da UNIAMO FIMR Onlus, la Federazione Italiana Malattie Rare, e Uno Sguardo Raro Rare Disease International Film Festival realizzata con il supporto di Sobi. Attraverso i social e un sito internet dedicato (www.make-your-choice.it), la Campagna racconta il punto di vista dei pazienti, le loro storie, le testimonianze e offre una serie di informazioni utili per approfondire la conoscenza delle malattie rare, a cominciare dall’emofilia, prima patologia rappresentata. Fulcro della Campagna #MakeYourChoice è un cortometraggio in cui i tre protagonisti, molto diversi per età, interessi, passioni, stili di vita, sono uniti dal dilemma di una scelta che può cambiare la loro vita: scegliere di rinunciare ai propri sogni o prendere in mano il proprio destino e liberare la vita.


Il video interseca e lega in modo emotivamente coinvolgente i destini dei tre personaggi. Non solo e non tanto perché tutti e tre vivono i rispettivi dilemmi nella hall dello stesso albergo, ma soprattutto perché gli effetti delle decisioni prese da ognuno di loro sono potenzialmente importanti per gli altri. E la vicenda di ciascuno – di per sé separata – di fatto può diventare ‘motore’ della scelta altrui. Figure differenti, quindi, ma unite dal dilemma di una scelta, che diventa allo stesso tempo una chiamata all’azione per lo spettatore. Il cortometraggio a scelta multipla consente infatti ai fruitori non solo di seguire il destino di ognuno dei protagonisti, ma anche di scegliere per ciascuno il finale della loro storia personale. Un invito a mettersi nei panni di chi è affetto da malattia rara ed è chiamato ogni giorno a scegliere per la propria vita.


Il VII Rapporto MonitoRare [https://uniamo.org/wp-content/uploads/2021/07/UNIAMO_2021_07_05_OK.pdfsulla condizione delle persone con malattia rara in Italia, redatto da Uniamo – Federazione Italiana Malattie Rare Onlus, ha fornito il quadro di riferimento sull’epidemiologia. Secondo i più recenti studi segnalati dal rapporto, il numero complessivo di persone con malattia rara in Italia sarebbe compreso fra i 2,1 e i 3,5 milioni di persone, dato di gran lunga superiore a quello delle sole persone con malattia rara esente. Si rileva quindi - nell’ultimo quinquennio - una costante crescita del numero di malattie rare testate nei laboratori clinici italiani considerati nel database di Orphanet, che aumentano di quasi 1.000 unità. Una persona con malattia rara su cinque di quelle inserite nei RRMR ha meno di 18 anni; All’inizio del 2020, UNIAMO Federazione Italiana Malattie Rare Onlus contava circa 130 associazioni affiliate, con un incremento del 12% circa rispetto all’anno precedente e di quasi il 30% rispetto al 2018. Il costante aumento delle affiliazioni dimostra la bontà dell’azione federativa, percepita a tutti i livelli. Sale infatti a 650 il numero di associazioni italiane di persone con malattia rara e a fine 2020, sono 15 le Regioni che hanno inserito il tema delle malattie rare nell’ambito degli strumenti generali di programmazione sanitaria (vigenti o in via di approvazione nel 2020) o che hanno definito un Piano Regionale Malattie Rare.


LE MALATTIE RARE

Sono definite rare le malattie che colpiscono un numero ristretto di persone e di conseguenza generano problemi specifici legati alla loro rarità. Il limite stabilito in Europa è di una persona affetta ogni 2mila. Una malattia può essere rara in una regione, ma essere frequente in un'altra. Si stima che siano oltre 6mila le malattie rare, caratterizzate da una grande diversità di disturbi e sintomi che variano non solo da malattia a malattia, ma anche da paziente a paziente nell'ambito della stessa malattia. Le malattie rare colpiscono attualmente il 3,5% - 5,9% della popolazione mondiale. Il 72% delle malattie rare è di tipo genetico, mentre altri sono il risultato di infezioni (batteriche o virali), allergie e cause ambientali, o sono degenerative e proliferative. Il 70% delle malattie genetiche rare iniziano nell'infanzia e se è vero che quasi tutte le malattie genetiche sono malattie rare, non è altrettanto vero che tutte le malattie rare abbiano un'origine genetica; esistono infatti malattie infettive molto rare, così come malattie autoimmuni e carcinomi rari. La causa di molte malattie rare non è oggi ancora nota. Le malattie rare sono gravi, spesso croniche e talvolta progressive. Possono presentarsi già dalla nascita o dall'infanzia, oppure comparire nell'età adulta. A causa degli aspetti anche degenerativi di queste malattie i pazienti possono non avere o perdere autonomia con un serio peggioramento della qualità di vita o, addirittura, rischiare di perderla. Solo allargando la conoscenza e sensibilizzando l'opinione pubblica si riesce a far scambiare buone pratiche, stimolare gli sforzi nella solidarietà sociale e, perché no, anche nella ricerca.

[CREDITS - Il cortometraggio è scritto e realizzato da Save the Cut]



ENTI PROMOTORI

UNIAMO
 è la Federazione delle Associazioni di Persone con Malattie Rare d’Italia. Con la missione di migliorare la qualità di vita delle persone affette e delle loro famiglie conduce attività di advocacy per la tutela e promozione dei diritti negli ambiti di ricerca, bioetica, politiche sanitarie e socio-assistenziali. Questa attività è svolta anche a livello europeo in qualità di Alleanza Nazionale di EURORDIS-Rare Disease Europe. UNIAMO è stata fondata nel 1999 per volontà di venti associazioni che avvertono la necessità di unire gli sforzi e condividere problemi e soluzioni per alleviare la condizione di disorientamento, solitudine e dolore. Rappresenta in Italia l’intera comunità delle persone con Malattia Rara, stimata in circa 1.200.000 individui, attraverso azioni di advocacy e riconoscimenti a livello istituzionale nei tavoli di lavoro specifici.

Uno sguardo raro 
(www.unosguardoraro.org) nasce nel 2016 dall’incontro di Claudia Crisafio, autrice e attrice, e Serena Bartezzati, malata rara e professionista della comunicazione, che hanno fatto propria una convinzione di Ingmar Bergman: “Non c’è nessuna forma d’arte come il cinema per colpire la coscienza, scuotere le emozioni e raggiungere le stanze segrete dell’anima.” Nel 2018 diventa il primo e unico festival internazionale di cinema sul tema, promuovendo i migliori cortometraggi, documentari e spot di sensibilizzazione ricevuti attraverso un bando di concorso internazionale. Macchina organizzativa del festival è l’associazione “Nove Produzioni”, fondata dalla presidente Claudia Crisafio con il sostegno di soci appartenenti al mondo del cinema e alla comunità dei malati rari, per organizzare la manifestazione cinematografica Uno Sguardo Raro.

In SOBI abbiamo fatto della ricerca nelle malattie rare la nostra missione. Ci siamo definiti pionieri, e ogni giorno ci rifiutiamo di accettare lo status quo. Perché aver assistito alle sfide che affrontano le tante persone con malattie rare ci ha insegnato a trovare nuovi modi per aiutarle e rendere la loro vita migliore. Ogni anno investiamo il 12% del nostro fatturato in ricerca e sviluppo per portare innovative nelle aree in cui siamo principalmente impegnati: ematologia, immunologia e specialty care. Siamo stati tra i primi a clonare il DNA per produrre un trattamento ricombinante per l’emofilia e abbiamo reso disponibili terapie per pazienti con malattie prima senza speranze, come la tirosinemia ereditaria di tipo 1. Portiamo qualcosa di raro alle malattie rare: la forza della nostra focalizzazione e agilità e nuove possibilità di vita per le persone cui dedichiamo il lavoro dei nostri oltre 1500 dipendenti in Europa, Nord America, Medio Oriente, Russia e Nord Africa. Una forza che siamo fieri di definire “rara”, incapsulandola nel nostro logo: “Sobi rare strength”. La nostra sede centrale è a Stoccolma, ma siamo presenti in 25 Paesi in Europa, Nord America, Medio Oriente, Russia e Nord Africa, e distribuiamo farmaci in oltre 70 nazioni in tutto il mondo. Sobi è quotata al Nasdaq di Stoccolma (STO:SOBI) e nel 2019 il nostro fatturato è stato di 15.3 miliardi di Corone Svedesi. In Italia siamo presenti dal 2008. Per maggiori informazioni: www.sobi-italia.it


Essere in 'zona', la dieta antifiammatoria che fa perdere peso. Intervista a Gigliola Braga

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I consigli nel libro della nutrizionista Braga per non rinunciare al gusto

Roma - La 'Dieta Zona'è uno stile di vita che promette di assicurare il benessere psicofisico e allo stesso tempo di contrastare molte patologie croniche. Il suo ideatore è il medico statunitense Barry Sears. L'obiettivo, più che un controllo delle calorie ingerite è quello di essere un protocollo alimentare antinfiammatorio che si basa sulla risposta ormonale al cibo. Mantenendo ogni volta che mangiamo il giusto equilibrio tra proteine, grassi e carboidrati non solo ci si sente meglio, non si accusa la fame e a medio e lungo termine si evitano le malattie croniche e degenerative. Per capire in pratica qual è un menù tipo, se questa dieta è adatta a tutte le età e se fa perdere peso senza mortificare il gusto, l'agenzia di stampa Dire ha raggiunto la professoressa Gigliola Braga, biologa nutrizionista e docente presso l'Università di Torino e autrice del volume 'La Zona Italiana' che vanta la prefazione proprio dell'ideatore della famosa dieta.

Si sente spesso parlare di 'Dieta Zona' ma quali sono I principi fondanti e soprattutto è per tutti?
"Per questo metodo non ci si basa tanto sulle calorie ingerite quanto piuttosto sulla risposta ormonale al cibo. Gli ormoni sono dei messaggeri chimici che intervengono in ogni funzione del nostro organismo e anche nella digestione. Questo equilibrio degli ormoni, prodotti in seguito alla digestione, si raggiunge attraverso l'assunzione di un pasto dove le proteine, I carboidrati e i grassi siano ben bilanciati. La risposta organica di benessere è sia immediata che a lungo termine perché controllando nel tempo l'infiammazione siamo in grado di prevenire molte malattie croniche. Si deduce quindi come questo modello alimentare può essere applicati a tutti: bambini, adulti e anziani".

- Come dimagrire restando 'in Zona' e in salute? Qualche consiglio pratico?
"Dimagrire restando in salute è un obiettivo prioritario. La Zona adottata da molti per dimagrire nasce invece come protocollo alimentazione antifiammatorio come ho già accennato. Se invece il
nostro obiettivo è dimagrire- precisa Braga- questo metodo è ottimo perché si basa sul metabolismo prevalente dei grassi anziché dei carboidrati. Promuovendo il metabolismo dei grassi si comprende che nel caso in cui questi sono in eccesso possono essere rimossi e consentire di conseguenza un dimagrimento. Ma ripeto la zona è per tutti. E' un valido strumento per chi desidera dimagrire e per coloro che vogliono affrontare meglio la vita in termini di performance ma anche di prevenzione".

- Quali sono allora questi cibi giusti per dimagrire e prevenire le malattie croniche e degenerative nella popolazione italiana, che non sono così infrequenti a causa di un'età media molto elevata?
"Se attraverso la 'Dieta Zona' il paziente riesce bene a controllare gli ormoni ogni volta che mangia l'obiettivo è raggiunto. Può sembrare un discorso complicato ma non è così. Basta ad esempio a colazione mangiare un toast salato, ben ripieno, in modo da bilanciare bene l'introduzione dei carboidrati, delle proteine e dei grassi. In questo modo, bilanciando gli ormoni, il paziente evita il fenomeno delle ipoglicemie che dà come risultato: una fame continua, che spesso si verifica dopo due ore dall'assunzione a colazione di fette biscottate e marmellata; cali di concentrazione e di lucidità mentale. Molte volte tutto questo viene ricondotto alla stanchezza cronica e si sottovaluta l'ipoglicemia reattiva che si verifica quando un soggetto mangia troppi carboidrati portando l'organismo a produrre gli ormoni che inducono la 'caduta glicemia', conosciuta anche come il 'calo di zuccheri' che origina stanchezza e sbadigli continui".

Inoltre, con la 'Dieta Zona'"si ha un controllo dell'infiammazione cellulare silente che nell'immediato non dà fastidi ma che a lungo termine porta a patologie corniche e degenerative che oggi sono in aumento. Nonostante abbiamo la fortuna, in una parte del mondo di avere molto cibo a disposizione forse non lo usiamo nel modo più corretto. Va compreso poi che molti alimenti oggi sono troppo processati e questo non fa bene al nostro organismo".

- 'Dieta' per molti è sinonimo di menù giornaliero povero di calorie e di restrizioni che penalizzano il gusto e la vista. Lei tra le tante cose è anche autrice del volume 'La Zona Italiana' che vanta la prefazione proprio dell'ideatore di questa dieta e cioè Barry Sears. Può regale a chi ci sta seguendo una ricotta che ci faccia stare 'in zona' senza rinunciare al gusto?
"Non rinunciare al gusto è un aspetto molto importante. E' un punto da non sottovalutare. Mangiare è anche gioia e la Zona assicura questo. Molte persone gradiscono molto di più un toast a colazione accompagnato da thè, caffè o latte. Sicuramente da donna di scienza ma anche di casa che cucina posso suggerire dei piatti gustosi e che consentono di restare in 'Zona', come il salmone al pepe rosa, le torte salate, il pesce che può essere preparati in diversi modi appetibili. L'accortezza da seguire è avere quella di preparare un pasto nel quale sia presente una quota di proteine pari ad un secondo, carboidrati che nel caso della 'Dieta Zona' sono soprattutto frutta e verdura e di grassi.
La frutta e la verdura contengono i polifenoli i quali concorrono, insieme agli Omega 3, a controllare sia l'infiammazione che gli ormoni di cui parlavo prima. Accanto a delle ricette semplici alla portata di tutti la 'Zona' contempla anche delle ricette molto elaborate. Ho collaborato con delle aziende ristoratrici di grandi alberghi che hanno preparato, sullo schema della 'Dieta Zona', dei menù gourmet eccezionali. Si può mangiare un po' di tutto, il segreto è dosare gli alimenti giusti in ogni pasto. Se capita di uscire dalla 'Zona' non è un problema basta recuperare al pasto successivo e il danno è praticamente inesistente", conclude Braga.


Fonte «Agenzia DIRE»

Segnalibro, Luca Angelucci a Fattitaliani: nel mio saggio la speranza che i giovani imparino ad ascoltare. L'intervista

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Il giornalista marchigiano Luca Angelucci ha pubblicato “Storie di bombe e di sogni” (Mursia, pagg. 154, Euro 15,00), un saggio straordinariamente toccante, dal valore universale, che attraverso il racconto in prima persona delle vite di otto illustri personaggi marchigiani che hanno vissuto da bambini la fame, la paura, e il dolore dettati dalla Seconda Guerra Mondiale apre una porta ad un futuro migliore. Oggi è protagonista della rubrica "Segnalibro": l'intervista di Fattitaliani.

Quali libri ci sono attualmente sul suo comodino?
Impilati, ho “I baffi” di Emmanuel Carrère, “Il tunnel” di Abraham Yehoshua, “Manuale d’esilio” di Velibor Colic e “Gli ultimi giorni di John Lennon” di James Patterson. E “Furore” di Steinbeck che ho appena finito.
L'ultimo "grande" libro che ha letto?
“Eccomi” di Jonathan Safran Foer. 
Chi o cosa influenza la sua decisione di leggere un libro? 
L’autore, i consigli di poche persone fidate e la quarta di copertina. Ma leggo anche quasi tutti i libri suggeriti da Alessandro Milan e Leonardo Manera a “Uno, nessuno 100 Milan”, su Radio 24: i nostri gusti coincidono.
Quale classico della letteratura ha letto di recente per la prima volta?
“Il conformista” di Alberto Moravia.
Secondo lei, che tipo di scrittura oggi dimostra una particolare vitalità?
La narrativa - che è anche quella che preferisco, soprattutto anglo-americana e israeliana - gode di buona salute, ma anche la saggistica, i fumetti e la scrittura destinata al cinema e alla televisione.
Personalmente, quale genere di lettura Le procura piacere ultimamente?
Quella che racconta il mondo in cui viviamo, i rapporti e i legami tra le persone, che riesce a intrufolarsi nei sentimenti dei personaggi, che in fin dei conti somigliano a tutti noi, uomini, donne, padri, madri, figli, lettori, scrittori… Due esempi: “4,3,2,1” di Paul Auster e “Tre piani” di Eshkol Nevo.
L'ultimo libro che l'ha fatta sorridere/ridere?
“Lenticchie alla julienne” di Antonio Albanese mi ha fatto ridere molto: è la migliore parodia possibile del mondo degli chef, un mondo costellato di improbabili esasperazioni.
L'ultimo libro che l'ha fatta commuovere/piangere? 
Ne metto due. “Le otto montagne”, di Paolo Cognetti, per il rapporto padre-figlio ancor più che per la storia d’amicizia del protagonista, e per come è tratteggiata la ricerca della solitudine, a volte dolorosa, a volte catartica. Cito nuovamente “Eccomi” (Safran Foer), un affresco dei rapporti familiari, tra marito e moglie in crisi e tra genitori e figli, e delle difficoltà del distacco dalle persone amate, difficoltà analizzate attraverso la lente d’ingrandimento del tempo che passa. Tra cinquant’anni uomini e donne dovranno leggere libri come “Eccomi” per capire com’era la società di mezzo secolo prima.
L'ultimo libro che l'ha fatta arrabbiare?
“La società signorile di massa” del sociologo Luca Ricolfi, che fotografa in modo impietoso un’Italia sprecona e sempre meno votata al lavoro.

Quale versione cinematografica di un libro l'ha soddisfatta e quale no?
Mi è piaciuto come Nanni Moretti ha portato sullo schermo “Tre piani”, è riuscito ad andare anche oltre il romanzo rispettandolo e anzi concludendolo magistralmente laddove lo scrittore si era invece fermato. Non mi ha soddisfatto “Unbroken”, diretto da Angelina Jolie: è la storia di Louis Zamperini, mezzofondista ed eroe di guerra protagonista di una vicenda pazzesca e bellissima da leggere, molto meno da vedere sul grande schermo, dove risente di tutti gli stereotipi hollywoodiani. 

Quale libro sorprenderebbe i suoi amici se lo trovassero nella sua biblioteca?
Un libro sul cinema horror: mi è indigesto.
Qual è il suo protagonista preferito in assoluto? e l'antagonista?
Il protagonista è Henry Perowne, il neurochirurgo capace di perdonare in “Sabato” di Ian McEwan. L’antagonista è Randall Flagg, perfetta personificazione del male ne “L’ombra dello scorpione” e in altri romanzi di Stephen King. 
Lei organizza una cena: quali scrittori, vivi o defunti, inviterebbe?
Inviterei Achille Campanile, genio assoluto dell’umorismo, e Domenico Starnone, altro fuoriclasse, così il divertimento è assicurato. Poi Woody Allen e Chaplin, autori delle rispettive autobiografie e di film che mi hanno dato una mano a capire un po’ meglio la vita. James T. McIntosh perché ha scritto il romanzo “Il mondo finirà venerdì”, la fantascienza che, insieme a quella di Arthur C. Clarke, più mi entusiasmava da ragazzo; e certo, inviterei anche Clarke. Dalla Francia farei arrivare Michel Houellebecq, che con “La possibilità di un’isola” mi ha fatto scrutare il futuro. Vorrei infine due grandi visionari: George Orwell e ai fornelli lo chef Alain Tonnè-Antonio Albanese.
Ricorda l'ultimo libro che non è riuscito a finire?
Capita di rado per fortuna. Ma “Tocca l’acqua, tocca il vento” di Amos Oz l’ho dovuto mollare dopo cinquanta pagine. Troppo complesso, poco lineare. O forse non era il momento giusto per toglierlo dalla libreria e posarlo sul comodino.
Quale scrittore vorrebbe come autore della sua biografia?
Stefano Benni, perché saprebbe cogliere anche gli aspetti profondi alleggerendoli con la sua ironia.
Che cosa c'è di Luca Angelucci nelle “Storie di bombe e di sogni”?
C’è l’ammirazione per quelle otto persone di cui racconto la vita difficile, quando erano bambini e avevano poco cibo, niente scarpe e dovevano cavarsela tra la guerra, i fascisti, i bombardamenti… E c’è il rimpianto per non aver approfittato dei ricordi dei miei nonni finché erano in vita. Loro provavano a raccontare e io, da ragazzino, scappavo. Infine c’è la speranza che i giovani imparino ad ascoltare.
In “Storie di bombe e di sogni” c'è un passaggio, una parte che lo potrebbe riassumere nella sua essenza?
Potrebbe essere questo passaggio in cui uno dei protagonisti ricorda la morte di un suo amico nel 1944: “Chissà se Fabio è riuscito a sentirle quelle parole prima che l’esplosione lo sbalzasse all’indietro con la violenza di mille calci in faccia. Fabio doveva compiere dieci anni, invece è insanguinato sulla polvere e i sassi e la terra, il respiro mozzato per sempre. Io ho camminato abbastanza per salvarmi, troppo poco per non morire di paura. Torno indietro. Fabio è steso lì, fragile angelo senza ali. Piange disperato Oreste e si chiude gli occhi con un braccio per non vedere più. Piero grida alla follia, alla sua mano destra mancano tre dita e nessuno gliele restituirà. Spuntano decine di persone. Vedo tutto sfocato, le macchie di sangue, le lacrime della gente, l’arrivo dei soccorsi. Maledetta guerra. Vorrei farti una carezza, amico mio”. Giovanni Zambito.

IL LIBRO

Come scrive Sandrone Dazieri nella prefazione del libro “Amadou Hampâté Bâ" scriveva <<Quando muore un anziano, è come se bruciasse una biblioteca>> ma, grazie al lavoro di persone come Luca Angelucci, il danno viene ridotto, la storia rimane.”
“Ciò che accomunava quasi tutti i bambini della guerra erano la fame e la mancanza di scarpe in primavera e d’estate soprattutto. A quei tempi erano tanti i nemici da fronteggiare, però i miei otto protagonisti potevano confidare nell’amore profondo dei genitori che, parole di Aldo Mancini, babbo di Roberto, <<meritavano un monumento per i sacrifici sopportati per proteggerci e farci crescere sani>>. Giorgio Rocchegiani, Giannetto Magrini, Giovanni Fileni, Aldo Mancini, Leonella Memè, Gennaro Pieralisi, Mario Sasso e Corrado Olmi, quei bambini, oggi sono diventati artisti, imprenditori, artigiani, attori, si sono sposati, hanno avuto dei figli. Due purtroppo ci hanno lasciato pochi mesi fa.”, dichiara Luca Angelucci, “Ritengo le loro storie straordinarie, perché straordinario è sopravvivere quando tutto ciò che ti circonda minaccia di stritolarti, di cancellarti. Allora resistere è più di un verbo all’infinito, è una predisposizione dell’anima che influenza il corpo e ogni azione per trasformarsi nella volontà di non arrendersi. Migliaia di italiani, in altre regioni, hanno vissuto durante la guerra vicende analoghe, a cambiare sono solo i nomi delle persone e i paesaggi sullo sfondo. Le storie di questo libro possiedono un valore universale, perciò mi è sembrato doveroso narrarle.” 
<<…Mentre mi avvicino agli alberi sento lo stomaco ribellarsi, sto svenendo dalla fame. Iniziamo a raccogliere le pesche in fretta, le mettiamo in un cestino di vimini…La tentazione però è travolgente, finisco per addentarne una e… i timpani mi si spaccano. Il rumore assordante è il saluto di due caccia sbucati all’improvviso…Ci sparano addosso con i mitragliatori, senza un perché…“Buttati Giorgio!” Ordina babbo e si precipita verso di me. Mi tuffo su uno dei grossi mucchi di erba medica abbandonati lì dai contadini, lui si stende sopra di me per farmi scudo…Non ci hanno colpito. Mai. Ma in pochi minuti, a cinque anni e mezzo, ho capito che la vita e la morte sono legate da un filo sottile e basta niente, magari un morso a una pesca, per spezzarlo. >>  Questo un estratto del racconto d’infanzia dell’artista jesino Giorgio Rocchegiani che nei giorni della guerra ha imparato che le difficoltà si affrontano e si superano e alla domanda di Luca Angelucci se la guerra abbia influenzato la sua vita o la sua arte, scuote con decisione la testa e risponde: <<Mi ha lasciato solo la soddisfazione di aver vissuto settantasei anni di pace>>.
Aldo Mancini, padre di Roberto, commissario tecnico della Nazionale campione d’Europa, pensa che il babbo sia stato ucciso dai fascisti  invece è nascosto in una buca scavata in un campo: non mangia, non parla, non può uscire. A Giovanni Fileni, fondatore dell’omonima azienda di carni avicole, si ferma il cuore quando due nazisti puntano i mitra addosso a suo zio. Mario Sasso, pittore e autore per oltre quarant’anni di sigle per la Rai, si sporge dalla finestra di casa perché il padre è lì sotto, faccia a faccia con un oscuro tenente delle SS che ordina la fucilazione di sette innocenti. Corrado Olmi, grande attore di cinema e teatro, «battezza» tre amici ebrei per proteggerli dalle leggi razziali. 
I protagonisti di questo libro, tutti marchigiani, hanno cresciuto i loro figli con questi e altri racconti degli anni della Seconda guerra mondiale, perché convinti che conoscere il passato sia la chiave che apre la porta del futuro.
Luca Angelucci è nato nel 1971 a Jesi, nelle Marche. Giornalista, è caporedattore del settimanale «Gente». In passato si è occupato di cronaca, attualità e sport per «Il Giornale», «Il Messaggero di Ancona» e il settimanale «Il Diario». Appassionato di cinema, musica e basket, ama raccontare storie.

ROSMY: esce il 9 novembre in radio il nuovo singolo "FAKE NEWS"

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Dal 9 novembre è in radio e disponibile sulle piattaforme streaming e in digital download “FAKE NEWS”, il nuovo inedito di ROSMY per dire STOP al sistema delle Fake News che la cantautrice stessa definisce: “un glitch, un'interferenza che disorienta”.

Rosmy, dopo essere stata colpita dal gossip che l’ha suo malgrado vista protagonista, ha deciso di lanciare un messaggio di denuncia e di farlo, come a suo dire ha sempre fatto, con la musica, e con uno slogan #fakenewsfuckyou.

Fake News”, brano in chiave Electro-House scritto dalla stessa Rosmy, narra i diversi scenari della finzione e le consente di muoversi divertita tra mortificazione e rinascita. Proprio come nel film “Il Corvo” dove il protagonista, un musicista rock, viene resuscitato non solo per vendetta personale, ma per purificare il mondo dal marcio della società.

In un mondo in cui la disinformazione sembra regnare sovrana, Fake News, dichiara Rosmy - potrebbe essere un vero e proprio esperimento sociale.”          

 

ROSMY è una cantautrice italiana. Artista poliedrica che si è distinta per il suo impegno nell'affrontare con la musica tematiche sociali importanti. Il suo percorso musicale come cantautrice inizia nel 2016. Con il brano “Un istante di noi”, si aggiudica il Premio Mia Martini 2016 e il premio FIMI “Miglior brano radiofonico”. Con il singolo “Inutilmente”, è stata finalista al Premio Lunezia 2018. A gennaio 2019 esce il suo album d'esordio “Universale”. Dopo aver conquistato il primo posto nella tappa di Pistoia è arrivata in finale a Sanremo Rock 2019 con il brano “Addormentarsi insieme”, esibendosi con una band tutta al femminile al Teatro Ariston di Sanremo. “Fammi credere all’ eterno” è il brano che vede Rosmy tra i protagonisti nelle tappe di Jesolo e Mestre del FestivalShow, il festival itinerante dell'estate italiana e a Faenza al M.E.I. (Meeting delle Etichette Indi- pendenti). Giovanni Storti, del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, è protagonista del video di “Fammi credere all’ eterno”, premiato alle “Giornate del Cinema”, per l'idea originale e definito “Short Music Movie”. Nello stesso anno, Rosmy in veste di attrice recita nel docufilm “Donne Lucane” di Nevio Casadio e il suo brano “Ho scelto di essere libera” è parte della colonna sonora. Grande successo il suo omaggio a Mango nel programma “L’anno che verrà” su Rai 1 prima sua esibizione live del 2020, impreziosita dall’orchestra diretta dal Maestro Palatresi. A giugno 2020 esce “Ho tutto tranne te”, brano che ha riscosso interesse da parte di pubblico e critica, grazie al testo che evidenzia l'importanza del volontariato e della solidarietà, con l'intervento nel video dei City Angels Italia e il Patrocinio della Regione Lombardia. A Gennaio 2021, distribuito da Universal Music esce “Controregola” e a giugno dello stesso anno pubblica “Giromondo” con il feat di Saturnino & Maurizio Solieri. Il 9 novembre arriva “Fake News”.

                    

www.rosmy.net 

 www.facebook.com/artista.rosmy

www.instagram.com/rosmyofficial


Elena Bonelli presenta il 5 novembre a Roma il suo libro "La Canzone Romana"

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Presentazione alle 17.30 presso la Società Dante Alighieri in Piazza Firenze 27 - Roma. Intervengono Ernesto Assante e Duccio Forzano.La storia insolita e straordinaria della tradizione musicale di Roma, da Balzani a Baglioni, da Venditti a Ultimo raccontata da Elena Bonelli, l’artista conosciuta anche come “La Voce di Roma”, che ha portato la tradizione canora romana nei più importanti teatri internazionali: dal Carnegie Hall di New York al Lincoln Theatre di Miami. 150 anni di musica romana, alla scoperta degli artisti e delle canzoni più importanti della capitale.

Si sa, le canzoni sono da sempre lo specchio di un luogo e di un tempo: rappresentano i sentimenti più profondi delle città in cui sono nate e raccontano segreti e contraddizioni dei periodi in cui si sono diffuse. E naturalmente Roma e il suo patrimonio musicale tradizionale non fanno eccezione. Elena Bonelli, “La Voce di Roma”, che ha dedicato la vita a far conoscere la canzone romana al mondo, ci conduce lungo un itinerario fatto di artisti e canzoni, raccontandoci la grande storia di Roma Capitale da un punto di vista inedito e coinvolgente. Da brani straordinari, come Le streghe, Tanto pe’ cantà e Valzer della Toppa, a figure artistiche di rilievo assoluto, come Ettore Petrolini, Anna Magnani e Pier Paolo Pasolini, fino ad Achille Lauro e i nuovi volti della musica romana contemporanea, questo libro è un’inestimabile raccolta di tesori, che saprà fare la felicità di tutti gli appassionati.

Tra gli argomenti trattati:

Tanto pe’ cantà di Petrolini e Simeoni (1932)

Quanto sei bella Roma di Bizio e Bonagura (1934)

Arrivederci roma di Rascel, Garinei, Giovannini (1954)

Il valzer della toppa di Umiliani e Pasolini (1960)

La società dei magnaccioni di compositore e autore ignoto (1962)

Roma nun fa’ la stupida stasera di Trovajoli, Garinei, Giovannini (1962) L’epoca dei cantautori

Roma capoccia di Venditti (1963)

Porta portese di Baglioni e Coggio (1972)

Via Margutta di Barbarossa (1986)

Nuova scuola romana

Per le strade di Roma di De Gregori (2006)

Poesia per Roma di Ultimo (2019)

Elena Bonelli  Conosciuta anche come “La Voce di Roma”, è un’artista di caratura internazionale che, con il suo progetto “Roma nel mondo”, ha portato la tradizione canora romana nei più importanti teatri: dal Carnegie Hall di New York al Lincoln Theatre di Miami, dal Teatro dell’Opera di Roma ai teatri dell’opera del mondo. Per il suo straordinario successo, è stata più volte chiamata a rappresentare l’Italia in manifestazioni internazionali. 

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