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Covid-19, Umberto Nizzoli (Sisdca) alla Dire: "Stress prolungato amplifica disturbi alimentari"

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Mentre piu' della meta' degli italiani in tempo di Coronavirus si diletta tra i fornelli e sperimenta pizze e piatti della tradizione italiana c'e' una fetta della popolazione che di questi tempi vive con maggiore sofferenza il rapporto con il cibo e con il proprio corpo.
E la tavola e lo stare in famiglia da momento di convivialita' si trasformano in un incubo in cui ci si sente sorvegliati speciali h24. Stiamo parlando delle persone che soffrono dei disturbi dell'alimentazione. Per capire meglio l'entita' del problema, di cosa vorra' dire anche per gli operatori tornare a lavorare nella fase 2 dell'emergenza e quante risorse dovrebbero essere stanziate per questo tipo di patologia 'la cenerentola del Ssn' l'agenzia di stampa Dire ha intervistato il Professor Umberto Nizzoli, Presidente della Societa' Italiana per lo Studio deiDisturbi del Comportamento Alimentare (Sisdca).
- Le persone affette da disturbi dell'alimentazione hanno un piu' alto rischio di peggioramento o ricadute durante questo periodo di emergenza?
'Certamente si poiche' quello che stiamo vivendo e' uno stato di stress prolungato e questo spiega l'incertezza rispetto al virus e ai suoi sviluppi e la possibilita' di intercettarlo e contrastarlo. Si vive una situazione simile ad un trauma che lascia esiti anche nei processi neurobiologici che possono essere anche simili a quelli di un grande trauma a cui le persone reagiscono in modo differente. Per questo potremo osservare che alcune persone possono essere piu' vulnerabili e altre meno. Questo e' l'esito alla base dei tanti enigmi del funzionamento dell'essere umano. Partiamo dalla certezza pero' che uno stress prolungato porta ad una serie di conseguenze psiconeurobiologiche che per alcuni, sulla base di esperienze precedenti, diventa un'opportunita' per divenire piu' autocontrollati e piu' sicuri di se'. Rispetto alla popolazione di cui stiamo parlando avremmo allora un esito multiplo. Avremo percio' un gruppo di persone con patologia ridotta che troveranno il modo per ridimensionare la sintomatologia e miglioreranno o addirittura guariranno, altri invece registreranno un aggravamento complessivo del quadro clinico. Insomma se avessimo la possibilita' di osservare 100 persone con disturbi dell'alimentazione sicuramente potremmo constatare che nel breve e medio periodo 6 o 7 persone come stima approssimata troveranno le ragioni per ridurre l'intensita' dei sintomi e alcuni addirittura per guarire. Dall'altra parte ci sara' un 30-40% orientativamente che potrebbero peggiorare.
Complessivamente vi e' un sostanziale aggravamento del quadro personale. E poi va anche considerato che uno stress prolungato puo' essere il fattore per dare vita ex novo ad un disturbo dell'alimentazione. Dunque il fenomeno disturbi dell'alimentazione e del peso in questo periodo di pandemia dovuto all'isolamento puo' globalmente aumentare. Bisognerebbe pero' fare il confronto tra questo gruppo di popolazione e altri gruppi di popolazione affetti da disturbi dell'area depressiva che allo stesso modo avrebbero delle ricadute maggiori in questo momento storico e potremmo allora constatare se i pazienti con disturbi alimentazioni si aggravano di piu' degli altri in queste condizioni di isolamento forzato. Sono condizioni che generalmente comportano un danno alla salute psicofisica'.
- La limitata possibilita' di allenarsi ma anche la prolungata vicinanza con i familiari per molte ore al giorno in casa possono essere un problema in piu' per queste persone?
'E' una condizione di esposizione pesantissima. I disturbi dell'alimentazione sono vari. La precarieta', il disgusto e la vergogna sono sentimenti cosi' diffusi che una pressione e una osservazione continua li amplifica. Si pensi a chi soffre di bulimia. Di solito e' una persona che si e' costruita delletattiche che le consentono di uscire ma anche di eliminare o vomitare in modo protetto, discreto. Questa convivenza 24h su 24 con il gruppo familiare puo' destabilizzare le abitudini creandogli grossa sofferenza. O se pensiamo anche a coloro che sono abituate a vivere con delle fobie sul cibo e/o su certi alimenti, se e' selettivo restrittivo: condividere la tavola sempre lo porta a stress e frustrazione aggiuntive. Per altri condividere a tavola puo' essere un rito piacevole,non lo e' per le persone affette da disturbi dell'alimentazione che all'opposto degli altri vivono lo sguardo dei familiari come persecutorio. Cosi' come i processi di stigmatizzazione interna sono destinati a crescere. C'e' grossa sofferenza insomma. Una serie di mie pazienti bulimiche o con condotte di binge eating che vivono da sole hanno trovato il modo di compensare la patologia e la loro vita relazionale o professionale; ora essere bloccate in casa e non poter uscire astrarsi da questa condizione di prigionia e' una condizione di sofferenza inimmaginabile. Anche le attivita' sportive mirate ad essere piu' resilienti per queste persone con condotte restistrittive, di area anoressica soprattutto, che arrivano a dedicare tra palestra e sauna tre o quattro ore al giorno venendo a mancare l'opportunita' generano maggiore rabbia e frustrazione in loro. Si potrebbe dire, era una condotta eccessiva ed ora viene regolata; ma la regolazione per imposizione suscita rabbia e incrementa il desiderio di evadere'.
- Come e' stato possibile mantenere in essere per persone che sono in analisi le sedute in questo periodo o anche i ricoveri. E poi anche pensando alla 'fase 2' che imporra' appuntamenti piu' diluiti come ci si dovra' organizzare?
'Quello che sta succedendo e' un'esplosione di attivita' online molto bene. Ma abbiamo enormi problemi di varia natura tra cui quello che non tutti i nostri pazienti hanno il pc per potersi collegare, la connessione non e' sempre buona. Immaginiamo la condizione che puo' vivere ad esempio un paziente anoressico che con il proprio terapeuta parla del rapporto con il cibo, la cucina e il proprio corpo e non ha riservatezza di farlo perche' non ha lo spazio e dialoga con la paura poi che i propri familiari possano ascoltarlo stando tutti a casa. La distanza inoltre e' un modo nuovo di concepire il setting porta ad un impoverimento della semeiotica; la capacita' di cogliere micro segni del funzionamento e dello stato della persona sfumano; eppure sono importanti per una corretta diagnosi. I legami poi si nutrono anche di affettivita'; sotto questo profilo la clinica online e' una semplificazione. Inoltre va ripensata allora anche la formazione degli operatori. L'effetto della distanza riduce la qualita' del lavoro e il supporto che si puo' offrire al paziente. Poi l'altro problema sono i ricoveri all'interno delle comunita' vere e proprie strutture residenziali mediche e psichiatriche, che in questo periodo di emergenza Covid hanno visto gli accessi sospesi e rinviati a non si sa quando; costoro possono perdersi. Mentre chi era gia' ospite deve vivere in una condizione non facile. Insomma molti piani assistenziali gia' definiti saltano o si pregiudicano. Si parla certamente di una popolazione limitata ma si era pensato e deciso un progetto assistenziale di integrare quel paziente in una comunita' e questo non e' accaduto a causa dell'emergenza originando un senso di abbandono nel paziente. Il risultato e' di avere una offerta clinica molto ridotta anche se non si e' potuto fare in maniera diversa. Si pensi alla solitudine del terapeuta; le linee guida dicono che il trattamento va condotto da una equipe multidisciplinare, ma quanto la pesantezza della situazione, il distanziamento, determinano in termini di perdita della pratica del lavoro di equipe? La societa' scientifica Sisdca, una delle piu' antiche al mondo e che presiedo, ha tra i suoi compiti principali quello della formazione cosi' come l'accompagnamento degli operatorie attraverso di loro degli assistiti e delle loro famiglie ancora di piu' oggi per cercare di fronteggiare questa situazione. Avverto che tra quello che ci sarebbe bisogno di fare e cio' che facciamo c'e' uno scarto. Ci sarebbe bisogno di
chiedere con piu' forza al Governo maggiore sostegno e formazione degli operatori perche' questa emergenza provoca un indebolimento dell'offerta di cure, il burnout degli operatori e conseguente peggioramento della condizione dei pazienti. Avremmo bisogno che il Governo ci desse una mano per finanziare anche la formazione di questi operatori per lavorare a distanza. La formazione ad oggi passa spesso davvero attraverso il volontariato puro della nostra associazione. Varrebbe la pena che le societa' scientifiche venissero sostenute in questo senso. Servono operatori aggiornati per fronteggiare il peggioramento dello stato salute mentale della popolazione che si registrera' alla fine di questa emergenza e che si sta gia' cominciando a registrare. Se si ha chiaro il fenomeno forse si ha la possibilita' di fronteggiarlo. I disturbi dell'alimentazione hanno una diffusione molto ampia, tra le patologie mentali sono le piu' diffuse; tuttavia ricevono finanziamenti, un'attenzione nel Ssn in termini di risorse, numero del personale e carriere molto inferiore aquello che servirebbe. I disturbi dell'alimentazione sono in definitiva la cenerentola del Ssn questo al di la' dell'epidemia e si registra un ritardo della politica, del Ssn e delle aziende sanitarie a prendere atto della diffusione del fenomeno e mettere in campo tutte le forze necessarie'.
- Ad ottobre e' previsto il vostro XIII congresso Sisdca ci puo' dare qualche anticipazione?
'Doveva esserci la settimana scorsa ma abbiamo dovuto spostarlo per l'epidemia in corso. Ad oggi stiamo riflettendo se ci saranno le condizioni a fine ottobre affinche' centinaia di iscritti si possano fisicamente assembrare. Il congresso ci sara' ma bisogna vedere se sara' svolto in maniera virtuale. Glielo faro' sapere'.

CLAUDIA CONTE, BRILLANTE GIOVANE PROFESSIONISTA, TRA RECITAZIONE E SCRITTURA

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Ciao Claudia, so che in questo periodo ti stai dando molto da fare per aiutare le persone colpite dal Coronavirus…

“Ci provo. È sempre poco rispetto a quello che fanno gli Enti, che sono impegnati in prima linea, però qualcosa sto facendo. Nei prossimi giorni, per esempio, andrò a Salerno con l’Humanitas a fare volontariato. Loro hanno delle ambulanze bio-contenitive, sono muniti di un’attrezzatura per portare i pazienti Covid dalle case all’ospedale, oppure per andare a portare i viveri. Fare tutto ciò che prevede un’esposizione in prima linea, però loro hanno gli strumenti per farlo”.
So anche di una riedizione speciale del tuo libro, che si intitola Soffi Vitali. Come mai questa scelta?
“Sì, è dedicata ed omaggiata a tutti i medici e gli operatori sanitari dell’ospedale Spallanzani di Roma. Un modo per stare vicino a loro con i mezzi che uno ha. Io ad esempio ho i libri, quindi ho pensato di fare questo. Noi artisti siamo i più penalizzati da questa situazione, per noi il lavoro riprenderà lentamente. Per cui, non potendo fare l’attrice, sto facendo volontariato e ho pensato di fare questa riedizione speciale del mio libro. Le copie in omaggio sono arrivate per Pasqua. Non è tanto, ma i medici hanno apprezzato perché ricevere un dono in questo momento li ha fatti sentire meno soli. Passano giornate interminabili per cercare di salvare le vite. Il mio è un gesto molto piccolo, simbolico, ma che può aiutare. All’interno ho fatto loro una dedica personalizzata perché così magari un giorno, quando sarà tutto finito, gli rimarrà questo ricordo positivo, legato comunque a giornate purtroppo strazianti”.
Pensi che questa emergenza cambierà delle priorità?
“Beh, penso che forse le priorità cambieranno. La sanità deve essere al primo posto perché, senza salute, non si può fare niente, è tutto bloccato. In situazioni del genere, la piramide delle priorità è rivalutata, rivista da ognuno di noi”.
Sei anche nel videoclip della nuova canzone di Davide De Marinis, ispirata proprio dalla pandemia…
“Corretto. Si intitola Io Resto a Casa. Anche io, insieme ad altri 70 artisti, ho fatto parte di questo video, ho cantato un pezzo della sua canzone e, in seguito, sono stati montanti le varie immagini degli artisti che, come me, si sono affacciati in questo progetto. L’idea era di portare un messaggio di speranza, tutti uniti, e ricordare che è importante resistere. Durante la guerra si doveva stare attenti ai vari bombardamenti, mentre noi l’unica cosa che possiamo fare, per tutelarci, è restare a casa. I contagi sono diminuiti, grazie a questo sforzo, ma ancora ci sono. Spesso mi viene da pensare che non tutti siano in quarantena, come invece dovrebbero fare”.
Secondo te, la nostra vita continuerà a cambiare?
“Dovremo stare ancora attenti, sia nella fase 2 e sia nella fase 3. Dovremo ancora utilizzare le mascherine per proteggerci. La nostra vita è già cambiata”.
Da artista, hai preoccupazioni su quello che sarà il tuo futuro?
“Innanzitutto, credo che tutto questo sia un monito della natura. Ci ha voluto dire fermatevi, state andando in una direzione sbagliata. E’ il momento che le vostre priorità cambino, che impariate tutti a rispettare l’ambiente, la natura perché non si sa questo virus come si è innescato. Si dice che forse l’inquinamento ha influito, così come gli allevamenti intensivi di animali. Penso non si debba mettere al primo posto l’economia, ma rivalutare il rispetto per l’ambiente. E’ il momento di cambiare, di vivere una vita più umana, avere dei ritmi più rallentati. Quest’anno io ho girato due film, un cortometraggio, sono stata spesso in giro per vari spettacoli di teatro, ma adesso la mia vita è cambiata. Sto cambiando, così come la mia vita. Questo periodo mi sta servendo molto per riflettere”.
Tutto questo avrà anche un impatto sull’economia…
“Quasi sicuramente ci sarà una crisi economica. Anche questo aspetto è molto difficile, ci sono tante persone che non hanno i mezzi per vivere, che non lavorando più si ritrovano anche senza cibo. In questo momento non bisogna lasciare indietro nessuno, sostenere chi è più debole. Non solo a parole. Purtroppo, si parla molto, ma si agisce poco. Per avere consensi, spesso si fanno delle promesse che non vengono mantenute, ma chi ne risente è sempre il più debole. In una vera democrazia, ci dovrebbero essere gli stessi diritti per tutti, quelli fondamentali come il principio di uguaglianza. Lo dice la nostra costituzione. Uno dei nostri maggiori problemi è anche la lentezza della burocrazia. Spero che nel prossimo futuro si aiutino anche le piccole e medie imprese, il made In Italy. Noi abbiamo le eccellenze. Il nostro paese ha tutto per essere eccellente. Siamo amati per questo: in tanti si fanno le vacanze da noi, nei mari e nelle spiagge più belle. Dobbiamo anche noi apprezzarli, fare investimenti in Italia. E per fare questo ci devono aiutare, snellendo la burocrazia, che spesso appesantisce ogni iniziativa”.
Veniamo un po’ al tuo lavoro. Hai dovuto interrompere qualche progetto a causa del Coronavirus?
“In questo periodo dovevo essere in Argentina, a portare in scena un one woman shows, intitolato La Nave Sbagliata, scritto e diretto da me nel teatro di Lobos a Buenos Aires. A me piace sempre raccontare storie vere, seppur romanzate. Non credo ci si possa allontanare troppo dalla realtà perché altrimenti non si arriva fino in fondo ai cuori, agli animi. E’ la storia dei miei zii che nel periodo difficile e drammatico del dopoguerra - come forse sarà la ripartenza nel post Covid19 - hanno acquistato dei biglietti per andare in Australia in cerca di speranza. Hanno però sbagliato nave e sono finiti in Argentina, un Paese sconosciuto dove non avevano né amici, né lavoro. Da lì, con loro talento italiano, si sono rimboccati le maniche, si sono reinventati fino a diventare persone di successo: hanno costruito autostrade, facendo del bene alla popolazione. Lì d’altronde ci sono pochi ricchi e tante persone molto povere. Mi viene da pensare ai nostri immigrati: sarebbe bello dare delle concrete opportunità anche a loro, farli arrivare non significa integrarli. La vera integrazione vuol dire avere una possibilità di crescere, di lavorare e diventare quello che vorrebbero diventare. Non di certo lasciarli parcheggiati, senza fare nulla”.
Prima mi accennavi di due film che avevi già girato. Quali sono?
“Sì, li ho girati a gennaio, ma non so quando usciranno. Dovevano andare a dei Festival. Vediamo se andrà a Venezia, che per ora pare si faccia. Il primo è Resilienza, con la regia di Antonio Centomani. Lì si parla di femminicidio, perché a me piace molto dedicarmi a temi sociali. Anche nel mio ultimo cortometraggio, Shall be the last, interpretavo una mendicante. Lì si parlava della vera ricchezza, che non è quella che appare bensì quella dell’anima, di cui la mendicante era davvero ricca. Ho tra l’altro preso parte ad un film drammatico con Alessandro Haber, Prima dello stop, avevo uno spettacolo a teatro con Pino Calabrese, Racconto di Amore di Angela Prudenzi. Siamo riusciti a debuttare a Roma, ma poi la tournee si è interrotta. E’ un testo che parla dell’amore, tematica che mi piace approfondire perché è la vera energia dell’Universo, muove tutto. Ed è attuale, perché ognuno lo vive a modo suo, secondo il suo vissuto”.
Parliamo anche un po’ dei tuoi libri. Immagino che anche in essi si rifletta la tua voglia di raccontare la realtà…
“Giustamente. In Soffi Vitali, che è uscito nel 2014 ma è stato rieditato nel 2019, parlo di una storia che mi è stata raccontata in confidenza da un conoscente, che mi aveva addirittura chiesto di tenerla per me. Io invece ne ho scritto un libro, perché penso che le storie belle vadano condivise, ovviamente senza nomi. Ne Il Vino e le Rose, (intervista) per Armando Curcio, parlo di tre donne che sono cresciute insieme ma che hanno dei percorsi differenti: c’è quella che ha problemi sul lavoro, un’altra che ha bisogno di ritrovare se stessa, mentre la terza ha dentro di sé un’inquietudine interiore. Tre storie che si intersecano tra loro, che prendono spunto dalla realtà. Parlo sempre di cose che ognuno di noi potrebbe vivere da un momento all’altro. Il sottotitolo de Il Vino e le Roseè “L’eterna Sfida tra il bene e il male” perché la nostra vita è fatta di momenti belli e difficili, anche se non ce ne rendiamo conto. E’ molto attuale: mentre scrivevo, all’epoca, c’era l’Isis, la costante minaccia di attentati, e mi è venuta l’idea di parlare del perché esistesse il male. C’era stato inoltre il dramma di Amatrice, che ha distrutto interamente il paese d’origine di mia nonna. Adesso invece questo discorso si può rapportare al Coronavirus. Il bene e il male sono come due lottatori eternamente in lotta, a volte predomina l’uno, a volte l’altro. Anche se il male ha la meglio, il bene riaffiora perché è insito nella nostra natura”.
Quando è nata in te la passione per la recitazione?
“Da piccola non ci ho mai pensato, perché non sono vissuta in luoghi dove l’arte è così presente. Prima facevo atletica leggera, mi allenavo duramente e sono sempre stata una molto caparbia. Sono stata anche campionessa regionale. Poi ho scoperto di avere il morbo di Osgood Schlatter che mi ha impedito di fare sport, perché sono dovuta stare ferma per molto tempo. Ho scoperto così il teatro per risollevarmi e me ne sono innamorata. Non l’ho più abbandonato. Ho fatto studi classici, il mio primo spettacolo è stato Cechov con Il Canto del Cigno. Scrivevo per passione, ho scritto un libro di poesie - Frammenti Rubati al Destino - che vinse un concorso e venne pubblicato. Per me lo scopo della vita è evolversi, dal libro di poesie è venuto poi fuori il primo romanzo epistolare e poi il saggio romanzato, ossia Il Vino e le Rose. In questi giorni di quarantena sto ultimando un altro romanzo, che parla di giustizia”.
Un’ultima domanda. C’è un sogno professionale che sogni di raggiungere?
“La speranza di continuare a fare il mio lavoro. Noi artisti a volte siamo lasciati un po’ soli senza garanzie e tutele. Spero che il mondo dello spettacolo sia più unito, riesca a fare più squadra per uscire dall’individualismo, di credere più nel rapporto umano. Mi piacerebbe ovviamente fare un film evergreen, cult, che rimarrà alla storia. E’ un sogno molto ambizioso, ma è giusto sognare in grande. Sognare è fondamentale. Walt Disney, d’altronde, diceva ‘Se puoi sognare, puoi farlo’. Io credo molto nella legge di attrazione universale, per cui il nostro pensiero crea la realtà, bisogna vivere ottimisti. Bisogna essere grati per quello che abbiamo ed in questo modo ci attrarremo soltanto cose positive e belle”.

Chiara Sani, l’eclettica attrice imitatrice e showgirl si racconta a Fattitaliani. L'intervista

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di Ester Campese - Quando pensi ad una persona ironica, bravissima, spumeggiante, imitatrice, attrice e showgirl italiana, il pensiero corre immediatamente a Chiara Sani. Chiara ha un’esperienza ultra trentennale nel campo dello spettacolo ma ha saputo mantenere nel tempo freschezza e semplicità.
I primi passi nel mondo dello spettacolo sono in TV ad Italia1  negli anni 90 come inviata del programma “Emilio ’90”. Da li si succedono molte altre partecipazioni sia a Mediaset a “Scherzi a parte” e “Forum” sia in RAI dove nel 2002 affianca Pippo Baudo in “Destinazione Sanremo”. Gli esordi cinematografici invece risalgono al 1993 con “Piccolo grande amore” di Carlo Vanzina e poi “Dichiarazioni d’amore” di Pupi Avati con cui girerà ben 11 film. Non mancano nel suo iter artistico le serie TV e il teatro, tra tutti rammentiamo lo spettacolo con Paolo Virzì “Se non ci sono altre domande”. Nel 2007 ha girato nel film “The movie!” di Luca Rea assieme a Lillo e Greg con cui più volte si incociano successivamente i destini lavorativi fino all’odierno “D.N.A.: Decisamente Non Adatti” il film uscito il 30 aprile scorso, in cui Lillo e Greg debuttano anche come registi.
Carissima Chiara benvenuta e grazie di esser qui in questo momento così particolare per tutti noi, tu come lo stai vivendo?
Che dirti, inaspettatamente per me è un periodo fortunato, proprio in questi giorni è stato lanciato il film “D.N.A.: Decisamente Non Adatti” che abbiamo girato a Roma lo scorso autunno. E’ una commedia divertentissima, scritta da Lillo & Greg e da Edoardo Falcone il cui spunto è stato attinto dal romanzo “Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde” di Stevenson. E’ il racconto di due ex-compagni di scuola elementare, interpretati da Lillo & Greg, esilaranti, che rincontrandosi da adulti decidono di scambiarsi i codici genetici per migliorare le proprie vite. Lillo e Greg in questa esperienza si cimentano, come dicevi, per la loro prima volta anche nell’esperienza di registi e devo dire che mi sono trovata benissimo con loro e reputo che abbiamo davvero una marcia in più. Mi hanno affidato un cameo, scritto appositamente per me perché volevano che nel film ci fosse questo personaggio “disegnato” come caricatura, creata da Greg, che nella sua follia e assurdità, risulta credibile, in quello che è il  mondo dello spettacolo italiano un modo per sottolineare questi aspetti “eccentrici” dell’attuale panorama televisivo.
Ma l’atmosfera sul set come è stata?
Professionale ma anche scanzonata e non potrebbe essere diversamente anche perché con Lillo e Greg è un continuo scherzare in un susseguirsi di battute spontanee. E poi loro sono affezionati al loro gruppo e come con grande maestria sono riusciti ad inserire tutti i lori amici nel film, valorizzando ogni personaggio a cui si sono ispirati, con una genialità e forza espressiva davvero uniche. Un clima leggero che aiuta a lavorare meglio. Se ti racconto per esempio delle “imbottiture” che sono state preparate per il mio personaggio tu stessa ti faresti una risata, nella mia scollatura sono finiti oggetti di sartoria di ogni specie forse ci mancava solo il mio cellulare, qualunque tipo di cosa per raggiungere le forme all’altezza della “dimensione” prosperosa voluta, davvero c’era di tutto”. Una sola cosa è dispiaciuta a tutti noi ovvero di non averlo potuto vedere assieme, come si fa, alla prima in sala.
Dove è stato distribuito “D.N.A.: Decisamente Non Adatti”?
Per mantenere la data programmata che era prevista in aprile e dato il periodo contingente, il film è stato lanciato lo scorso 30 aprile su circuito “on demand”. La produzione è della Lucky Red e Vision Distribution con la collaborazione di Sky e Amazon Prime Video ed è stato distribuito da Vision Distribution nell’ambito della campagna #iorestoacasa, sulle piattaforme Sky Prima Fila Premiere, TimVision, Chili, Google Play, Infinity, CG Digital e Rakuten Tv.
In questo fortunatissimo momento ti abbiamo vista anche in TV a “Striscia La notizia”, come è andata?
I miei inizi in questo pazzo e fantastico mondo mi riportano ad Antonio Ricci ed a quando ero l’inviata di “Italia 1 Sport”. Nel tempo ci siamo sempre tenuti in contatto. Succede che durante i primi giorni di quarantena andava in onda il Grande Fratello Vip e Valeria Marini stava litigando con Antonella Elia. Una domenica pomeriggio squialla il telefono, rispondo e una voce mi dice dall’altro capo che era il produttore di Striscia la Notizia”. Siccome ho tanti amici bontemponi ho pensato ad uno scherzo e non gli ho creduto. Poi dopo un lungo terzo grado qualche risata e accortami della “calata milanese” mi sono convinta. Dall’indomani ero in onda tutti i giorni per una settimana a “Striscia”. Il mio compito era  fare la parodia della Marini lamentandomi e sfogandomi nel corso di Striscia con la Hunziker e Gerry Scotti. Il bello è che il tutto è stato trasmesso dal mio bagno trasformato in un set con tanto di lucette al led. Una situazione assurda ed esilarante allo stesso tempo. Sono stata felicissima di questa occasione che non mi aspettavo.
Una somma di questo periodo dunque?
Ovviamente non viviamo un momento facile ne troppo positivo e molti sono i campi e le persone che ne stanno soffrendo, ma bisogna ricordarci che tutto passa ed anche questo passerà. Forse questa frenata collettiva ci ha un po’ ripulito i chakra, resettandoci e rifocalizzandoci sulle cose davvero importanti per noi. Ecco questi aspetti li terrei, compreso il quarto d’ora di ginnastica isterica che oggi faccio guardando i tutorial in salotto. Adesso quando guardo casa la scopro ricca di risorse come i gradini del palazzo sui cui ho fatto allenamento per mantenermi in forma. Ricordiamoci delle nostre potenzialità e di quando diamo per scontato mentre merita la nostra più accurata attenzione.

Internet Haters e Trolls di Andrea Giostra. La recensione di Maria Teresa De Donato

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“Internet Haters e Trolls” di Andrea Giostra: Come l’uso malsano di Internet ha trasformato i social in armi micidiali per attaccare chiunque venga preso di mira. Recensione di Maria Teresa De Donato.


Internet aveva già rivoluzionato il nostro Mondo, annullando di fatto le distanze e facilitando l’accesso alle informazioni. Il successivo arrivo dei social ha ulteriormente contribuito alla divulgazione delle notizie e alla possibilità di entrare in contatto, tramite un semplice click, più o meno con il resto dell’umanità. E benché internete i social, quando usati con intelligenza, educazione e senso di responsabilità siano strumenti estremamente utili per informare e comunicare, l’uso malsano che alcuni ne hanno fatto e ne stanno facendo, li ha trasformati in armi micidiali – a volte anche violente, se non dal punto di vista fisico, quantomeno da quello psicologico – atte ad attaccare chiunque venga preso di mira per una qualsivoglia ragione.
In maniera molto semplice, ma altrettanto accurata ed efficace, gli autori del saggio “Internet Haters e Trolls” a cura Andrea Giostra - che si può scaricare in pdfgratuitamente online da questo link di Google Drivehttps://drive.google.com/file/d/1pDxyYwEJ7vnOFMjfBSQDrI9olaMCz5lT/ - ci spiegano dettagliatamente chi sono, perché odiano e come difendersi dagli Internet Haters (I.H.), ossia “quelli che odiano su Internet”, e dai Trolls, cioè coloro che utilizzano Internet e i social manifestando, attraverso commenti, post e messaggi, una spiccata attitudine a provocare, irritare, offendere, intimidire, calunniare, delegittimare e danneggiare la persona che hanno nel mirino.
A queste due categorie va aggiunta quella degli “Internet Lovers”, ossia “quelli che amano su Internet” e che si distinguono in due gruppi: il primo composto di gente onesta che usa i social per cercare amicizia e, perché no, anche relazioni sentimentali e amore, ed il secondo, costituito da persone che, al contrario, sono prive di scrupoli. Queste ultime, esaminando attentamente post, video, messaggi e commenti pubblicati da altri, riescono a identificare il loro lato debole e, di conseguenza, a truffare, manipolare, plagiare e a volte anche a derubare le loro vittime.
Il mondo virtuale con i suoi “fake profiles”, “nicknames” e chats”funge da scudo proteggendoci – almeno apparentemente – dall’esporci direttamente al nostro interlocutore e, di conseguenza, dalla necessità di assumerci la responsabilità per le nostre azioni creando, di fatto, un’infinità di situazioni che, se non prevenute, diventano non impossibili, ma quantomeno difficili da gestire.
Alle vittime, come ai carnefici, possono appartenere individui di ogni etnia, strato sociale, cultura, professione, ideologia politica, religiosa e quant’altro.
A prescindere da quali siano i profili psicologici e, quindi, le conseguenti lacune personali di coloro che usano i social allo scopo di danneggiare il prossimo – quindi paura, noia, profondo senso di solitudine, di scarsa stima di sé stessi, di frustrazione per i propri fallimenti ed insuccessi e conseguente gelosia e/o invidia nei confronti degli altri – il modo migliore di procedere è usando cautela. Questo è il suggerimento che gli autori di questo saggio rivolgono ai lettori, soprattutto a coloro (generalmente donne) che possono facilmente cadere nella trappole di facili e sottili lusinghe con cui vengono abbindolati diventando spesso vittime di frodi non solo sentimentali ma anche finanziarie.
Le tattiche generalmente utilizzate dagli Internet Lovers, Haters e Trolls sono facilmente identificabili, così come lo sono i tratti sia delle loro personalità sia di quelli delle vittime. Essere informati, sviluppare consapevolezza che aiuti a riconoscere sin dall’inizio possibili segnali di un eventuale pericolo ed il conseguente giusto comportamento da adottare in ogni caso sono tutti aspetti che vengono considerati in questo libro la cui lettura, proprio per le sue tematiche e per le soluzioni pratiche che offre, consiglio a tutti. Prevenire è sempre meglio che dover poi curare.

SINOSSI:
"Internet Haters e Troll. Chi sono, perché odiano online, come difendersi".È un saggio che scritto nel 2017perché alcuni degli autori furono vittime di una Troll. Fu così che vollero capire e studiare questo fenomeno social. In letteratura italiana allora (nel 2017) non c'era quasi nulla e dovettero leggere decine e decine di articoli nord-europei e statunitensi, oltre a vedere diversi documentari su YouTube, di cui uno bellissimo e davvero molto interessante, che viene riportato nel libro, del regista svedese Kyrre Lien che fece un lavoro che durò 4 anni e produsse e realizzò questo interessantissimo documentario - https://www.youtube.com/watch?v=8JyTW4Rg2tE -. È un saggio, “Internet Haters e Trolls”, scritto a più mani che tratta fondamentalmente 3 tipologie di soggetti: Internet Hater, Troll, Internet Lover. Tre profili molto diversi tra loro, e leggendo il testo si capisce bene perché. Un capitolo è dedicato a come difendersi online da queste persone. È un saggio consigliato da Wikipedia alla voce Troll Internet ( https://it.wikipedia.org/wiki/Troll_(Internet) )

Questo a seguire il link della Cartella di Google Drive dal titolo “Libri x MobM_Andrea Giostra”dalla quale scaricare gratuitamente il saggio e altri 3 libri in pdf:

Oppure il saggio si può scaricare gratuitamente e separatamente da questo link di Google Drive:
Internet Haters e Trolls:

Pagina Ufficiale Facebook del saggio “Internet Haters e Trolls”:

Pagina Google Blogspot“Andrea Giostra FILM” per la lettura gratuita online del saggio “Internet Haters e Trolls”

Il documentario citato nel saggio: “The Internet Warriors” docu-film di Kyrre Lien, 2017

Maria Teresa De Donato, Ph.D.
Naturopath, Life Strategist, Author
Skype: dedoholistic


Biografilm Festival dal 5 al 15 giugno online: apre Faith di Valentina Pedicini

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Dal 5 al 15 giugno arrivano on-line grandi biografie e le migliori storie cinematografiche di vita. I meccanismi del potere, la potenza creativa del corpo, la Cina vista attraverso le realtà singolari di chi la abita sono alcuni dei filoni tematici proposti dalla sedicesima edizione del Festival.

Un'esperienza immersiva dentro un monastero tra le colline italiane, in una comunità̀ di monaci cristiani ex campioni di arti marziali, tra preghiere notturne e allenamenti massacranti. Con questo viaggio emozionante in un mondo ignoto proposto da Faith (Italia, 2020) di Valentina Pedicini, Biografilm apre l'edizione 2020 puntando su una regista italiana talentuosa e su un documentario coraggioso e atteso, dopo l'anteprima mondiale durante la scorsa Berlinale.
«Sono felicissima della grande qualità dei documentari che presenteremo nel programma di quest'anno e di avere l'opportunità di offrire al nostro pubblico un film di apertura come Faith di Valentina Pedicini, una regista italiana donna che merita la nostra attenzione» dichiara la direttrice di Biografilm Festival Leena Pasanen.
Dalla selezione dei film di questa edizione emergono diversi temi esplorando i quali è possibile riflettere sulla nostra contemporaneità. Ci saranno spunti per approfondire le caratteristiche e il funzionamento del potere e della leadership politica, innanzitutto con l'anteprima italiana di #Unfit - The Psychology of Donald J. Trump (Stati Uniti, 2020) di Dan Partland, un'analisi rivelatrice del comportamento, della psiche e  dello stato mentale del presidente Trump e dei suoi sostenitori.
Biografilm 2020 vuole inoltre affrontare la grande tematica della relazione umana con il proprio corpo, con l'immagine e la percezione di esso e le possibilità creative che ne scaturiscono. Una prospettiva potente e ispiratrice è offerta dal documentario Because of My Body (Italia, 2020) di Francesco Cannavà sulla vita di Claudia, ventenne con una grave disabilità motoria che può finalmente esplorare il piacere sessuale grazie a Marco, un “Love Giver” che secondo un protocollo sperimentale nei margini della legalità la assiste in un percorso con evidenti difficoltà emotive e relazionali.
Un ulteriore filo conduttore all'interno del programma sarà l'osservazione di alcune storie di vita quotidiane e straordinarie in Cina, per conoscere esperienze singolari in una realtà lontana di cui tendiamo ad avere immagini monolitiche e superficiali. Un primo titolo che affronta questo tema è Half Dream (Germania, 2020) di Dandan Liu documentario in anteprima internazionale su tre ex studenti d'arte cinesi e il loro profondo bisogno di espressione individuale e creatività in un momento di sconvolgimento economico e sociale in cui l'arte sta lentamente perdendo importanza.
Tra le grandi biografie a cui il festival da sempre si dedica, sarà presentato in anteprima italiana Margaret Atwood - A Word after a Word after a Word is Power (Canada, 2019) di Nancy Lang e Peter Raymont, un racconto a tutto tondo della vita della nota poeta e scrittrice, dalla produzione letteraria agli impegni in tutto il mondo, dalla visita sul set di The Handmaid’s Tale alle vacanze in famiglia. 
A causa della crisi sanitaria in corso che determina la chiusura dei cinema, Biografilm festival si sposta on-line mantenendo le sue date originarie, per offrire al pubblico contenuti di qualità, possibilità di approfondimento e “incontro” con storie di vita che possano essere motivo di ispirazione, confronto e crescita individuale, anche nelle attuali circostanze.

I film saranno disponibili in lingua originale con sottotitoli in italiano, gratuitamente, dal territorio italiano.

Oltre alle proiezioni, saranno proposte interviste video con gli autori dei film per approfondire il loro percorso cinematografico e i temi trattati.

«La mia prima edizione da direttrice non sarà come la avevo immaginata, ma sono colpita dal grande supporto che ci è stato dimostrato dalla comunità di professionisti e appassionati, dalla Regione Emilia-Romagna e dal Comune di Bologna. Sono convinta che sarà in ogni caso un festival molto forte – afferma ancora Leena Pasanen – e l'offerta dei titoli on-line diventerà una caratteristica fissa, che manterremo anche nelle prossime edizioni. Devo comunque sottolineare che sentiamo la mancanza del nostro pubblico e speriamo di trovare il modo per incontrarlo fisicamente al più presto».

Biografilm Festival si svolge con il patrocinio e il supporto dell’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia-Romagna, del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, del Comune di Bologna, della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e con la main partnership di Unipol Gruppo Finanziario.

Biografilm Festival fa parte di Bologna Estate 2020, il cartellone di attività promosso e coordinato dal Comune di Bologna.

COVID-19, L’IDEA DI MARCELLO MANCA: “ALLENAMENTO SOSPESO GRATIS PER TUTTE E TUTTI”

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La lunga quarantena che abbiamo vissuto per il Coronavirus rischia di avere effetti devastanti dal punto di vista fisico.
Anche in questo primo momento della fase 2 le palestre sono chiuse e fino a ieri era vietato fare allenamento all’aperto ma c’è chi nella Riviera del Corallo ha trovato la soluzione: Marcello Manca, algherese di 32 anni pugile professionista e istruttore di fitness. Il suo ragionamento è stato tanto semplice quanto utile “in questo periodo la solidarietà è ancora più importante, vedevo con piacere le persone lasciare la spesa sospesa a disposizione nei market, nelle macellerie e nelle rivendite di frutta e verdura” dice “e mi son chiesto cosa potessi fare io per gli altri, da qui l’idea degli allenamenti on line gratuiti per tutte e tutti”. 
È bastato davvero poco: una connessione wifi, una piattaforma web per le videochiamate di gruppo e una marea di smartphone sparsi nelle varie case. Avere un coach a disposizione è tutt’altra cosa rispetto ad un qualsiasi allenamento domestico in solitaria. Coach Marcello detta i ritmi, controlla le attività di ognuno ed è un continuo di consigli e indicazioni - “stai curvando troppo la schiena”, “bene così”, “non divaricare troppo le gambe”, “avanti, non mollare” - ma non sempre bastano e allora sbotta “ma dove hai la testa oggi, cerca di concentrarti altrimenti non ha senso e fai solo danno”. Insomma è quasi come essere in palestra, distanti ma uniti. L’idea è perfetta, funziona e cresce. Grazie ai social media e al passaparola le allieve e gli allievi sono sempre più numerosi.
L’allenamento sospeso è l’esempio della carriera sportiva di Marcello Manca in cui dedizione e disponibilità sono muri portanti. Il pugilato, il primo vero amore lo scopre da adolescente e il suo innato talento lo porta all’età di 17 anni a partecipare al Guantone d’oro, trofeo nazionale organizzato dalla Federazione Italiana. Poi tanti match, molte vittorie ma soprattutto una passione che cresce e la voglia di mettersi a disposizione degli altri. Ed è così che decide di lasciare la boxe agonistica per dedicarsi all’insegnamento. Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno nella tua vita diceva Confucio ed è esattamente quello che Manca vuole fare. Allora corsi su corsi, aggiornamenti su aggiornamenti, sudore su sudore, impegno su impegno e finalmente nel 2016 il taglio del nastro del suo progetto fitness: Training Sparta. I grandi campioni però non si fermano al raggiungimento di un obbiettivo, questo è solo il trampolino di lancio per la meta successiva. Marcello Manca torna la suo primo amore, non è più giovanissimo e dopo 6 anni di stop è davvero dura, solo lui sa quanto gli è costato ma l’anno scorso arriva addirittura il via libera al professionismo. Ad oggi Manca è l’unico pugile boxer professionista nella Riviera del Corallo - iscritto allo storico Gruppo Pugilistico Algherese - ultimo erede di quella meravigliosa scuola che vanta un campione mondiale, il grande Salvatore Burruni nel 1965.
Il debutto tra i professionisti sarebbe dovuto avvenire proprio in questi giorni ma è rimandato a data da destinarsi. Marcello Manca però non è uno che si abbatte facilmente, anzi sa che tornerà sul ring più forte di prima, con il cuore carico dell’affetto e della solidarietà che ha donato e ricevuto in questo periodo.

Nella foto: Marcello Manca in allenamento nella sua palestra Training Sparta (credit Giuseppe Esposito) 

Festa della Mamma, una crostata ricotta e cioccolato. La ricetta

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La mamma è quella persona che dona amore in maniera incondizionata ed è la vera protettrice della famiglia. Ecco perché a lei è dedicata una giornata speciale, festeggiata in tutto il mondo.
È la Festa della Mamma e per renderle omaggio in questa giornata non può di certo mancare un dolce in suo onore che sappia stupire e appagare tutti i sensi. Proprio per questo il Maestro della Scuola del Cioccolato Perugina Alberto Farinelli ha deciso di omaggiare tutte le mamme d’Italia con una deliziosa Crostata alla ricotta e cioccolato. Una crostata di frolla croccante con un doppio strato di ricotta con gocce di cioccolato e cioccolato, facile da replicare a casa, sorprendentemente golosa ed elegante al tempo stesso.
Ufficializzata in Italia nel 1958, la Festa della Mamma annovera tantissime ricette che in lungo e in largo sono state d’ispirazione in tutte le cucine d’Italia. Dai pan di spagna a forma di cuore alle creme guarnite con frutta di stagione, le idee sono davvero tante. 
Quest’anno direttamente dalla Scuola del Cioccolato Perugina il Maestro Alberto Farinelli svela la sua ricetta della Crostata Ricotta e Cioccolato Perché proprio la crostata? Perché questo dolce da forno tradizionale, irresistibile per molti e amato in tutta Italia, è adatto per essere condiviso da tutta la famiglia e per rendere dolce ogni momento della giornata.
La ricetta di questa crostata rimanda a sapori antichi e familiari in grado di emozionare oltre che appagare il gusto. La ricotta infatti è un ingrediente fortemente legato alla tradizione culinaria in maniera trasversale, dal dolce al salato, e legato alle mamme, alle mamme delle nostre mamme, e così indietro nel tempoRicotta e cioccolato poi, sono un binomio vincente in grado, da soli, di rendere un dolce autentico e davvero invitante. Il Maestro Alberto Farinelli della Scuola del Cioccolato Perugina ha deciso di unire il pregiato cioccolato Perugina alla ricotta in una crostata di pasta frolla, decorata a “fiori” per la Festa della Mamma.
Dopo aver preparato la pasta frolla con i tradizionali ingredienti e riposta in frigo, si inizia a lavorare la crema di ricotta semplicemente con zucchero e uova e l’aggiunta delle Perugina Gocce di Cioccolato Fondente. La Crostata del Maestro Alberto è resa sorprendente e ancora più golosa grazie ad uno strato di morbido cioccolato da stendere sulla base della frolla. Per prepararlo basta far sciogliere nel latte portato a bollore il Perugina GranBlocco Fondente Extra 50% fatto a pezzettini. Una volta stesa la frolla sulla tortiera bisognerà versare il cioccolato  sulla base, riporlo in frigo per qualche minuto, e procedere versando la crema di ricotta e cioccolato. A questo punto è possibile ultimare la torta col classico reticolato di strisce di pasta frolla. Per un tocco più creativo, si possono creare delle decorazioni con stampini per dolci come quelle a forma di fiore del Maestro.


Crostata ricotta e cioccolato
Ingredienti: per 8 porzioni Stampo per crostate da 24 cm diametro
Preparazione: 30 min + cottura e raffreddamento (50 min)

Ingredienti Frolla:
·         340 g farina 0
·         90 g Olio EVO
·         135 g zucchero (di canna o zucchero a velo)
·         2 uova 
·         4 g lievito per dolci
·         2 g sale
·         ½ Bacca di Vaniglia
·         Zeste ½ limone 

Ingredienti Crema ricotta e cioccolato:
·         500 g ricotta
·         90 g zucchero a velo
·         1 uovo
·         80 g Perugina® Gocce di Cioccolato fondente
·         150 g Perugina® GranBlocco Fondente Extra 50%
·         90 g latte

Preparazione della frolla:

1.    Mescolate le uova con l’olio, lo zucchero, il sale, la vaniglia e la buccia di Limone.
2.    Aggiungete la farina e il lievito per dolci dopo setacciati insieme per due volte, impastate bene tutti gli ingredienti.
3.    Con l’impasto ottenuto formate un panetto, coprite con la pellicola e riponete in frigorifero per almeno due ore.



Preparazione della crema di ricotta e cioccolato:

1.    Prendete la ricotta e passatela con un setaccio in una ciotola capiente, aggiungete lo zucchero, mescolate con una spatola.
2.    Aggiungete un uovo, mescolate per farlo amalgamare alla crema, infine aggiungete le gocce di cioccolato e mescolate di nuovo molto bene. Riponete in frigo fino al suo utilizzo.
3.    Per lo strato cremoso al cioccolato, prendete un pentolino e mettete a scaldare il latte, quando inizia a bollire togliete dal fornello e aggiungete il Perugina® GranBlocco Fondente Extra 50% tagliato a pezzi piccoli, mescolate e fate fondere il cioccolato, lasciate a temperatura ambiente.


Preparazione della crostata:

1.    Riprendete il panetto di frolla dal frigorifero, rimpastate la frolla con le mani, con un mattarello stendete la pasta ad uno spessore di 4-5 mm, rivestiteci la base ed i bordi di una tortiera da 24 cm di diametro, con i rebbi di una forchetta, bucherellate il fondo.
2.    Versate all’interno della base il cioccolato, stendete bene con una spatola, mettete qualche minuto in frigorifero per far rassodare il cioccolato.
3.    Riprendete la base dal frigo e versate la crema di ricotta, livellate bene con una spatola.
4.    Stendete la frolla rimasta ad uno spessore di circa 3 mm create delle strisce di circa 1 cm coprite la crema creando un reticolato.
5.    Infornate in forno ventilato già caldo a 165° per circa 35-40 minuti, fino a raggiungere un color nocciola dorato. (statico 175°stesso tempo)

Consigli del maestro:
Per evitare che la frolla si gonfi al centro durante la cottura, quando avete steso la frolla dentro lo stampo, prima di versare la crema bucatela con una forchetta.
Per avere un colore bello lucido della frolla, in una ciotolina sbattete un uovo e con un pennellino spennellateci la frolla prima di infornare.
Preparare la frolla il giorno prima tenendola in frigorifero, sarà più compatta e facile da lavorare.
Per un tocco più artigianale potete fare il reticolato sopra la crostata creando le strisce con le mani arrotolando la frolla creando dei bastoncini.
In alternativa al reticolato e per dare un tocco creativo, potete coprire la crema della crostata tagliando la frolla con degli stampini particolari (Fiore, cuore, stella ecc.)

Ca’ Foscari Venezia, Interpretariato e traduzione in Lingua dei segni

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VENEZIA - Si amplia l’offerta didattica dell’Università Ca’ Foscari Venezia per l’insegnamento della lingua dei segni italiana (LIS), presente nell’ateneo già dal 1999.
Nell’anno accademico 2020/21 la LIS viene infatti attivata nel curriculum inglese-spagnolo del Corso di Laurea Magistrale in Interpretariato e traduzione editoriale, settoriale (ITES) del Campus di Treviso, corso che già da oltre dieci anni si è specializzato nella formazione di interpreti e traduttori nella combinazione cinese-inglese-italiano. Gli studenti ora potranno scegliere anche la LIS come lingua di specializzazione, abbinandola all’inglese o allo spagnolo.
A chi non è diventata familiare la figura di Chiara Sipione, che dal 25 marzo traduce in lingua dei segni italiana la conferenza stampa quotidiana del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, sul tema coronavirus? Proprio a formare questo tipo di figure professionali è rivolta la nuova offerta didattica di Ca’ Foscari, una proposta unica in Italia. Garantire alla comunità sorda sempre maggiore accesso alle informazioni è stato l’obbiettivo che ha guidato fin dall’inizio il percorso dell’ateneo in questo ambito.
Ca’ Foscari ha da sempre investito molto nella lingua dei segni: dopo la nascita dell’insegnamento nel 1999, dal 2002 la LIS è diventata lingua di specializzazione nel Corso di Laurea in Lingue e scienze del linguaggio, ora Lingue, civiltà e scienze del linguaggio, e nel Corso di Laurea magistrale in Scienze del linguaggio, un progetto scientifico e didattico all’avanguardia in Italia, che prevede da un lato lo studio della LIS e dall’altro lo studio delle problematiche legate alla sordità e alla comunità sorda.
Un passo ulteriore viene fatto ora: l’ateneo dopo essersi occupato di didattica, cioè come imparare e come insegnare la lingua dei segni, sviluppa ancora di più questo ambito offrendo agli studenti, grazie anche alla lunga esperienza maturata nei precedenti percorsi formativi (Corso di formazione avanzata e Master) proposti negli anni scorsi, la possibilità di specializzarsi nel settore dell’interpretariato in LIS all’interno di una Laurea Magistrale in Interpretazione.
Corso di Laurea Magistrale in Interpretariato e traduzione editoriale, settoriale
“Si tratta di un traguardo importante per la formazione degli interpreti di lingua dei segni italiana – afferma la prof.ssa Anna Cardinaletti – che finalmente possono seguire un Corso di Laurea Magistrale specifico, come avviene per la formazione degli interpreti delle lingue vocali e come richiedono le direttive europee. Questo traguardo, tra gli obiettivi del progetto di sviluppo del Dipartimento di eccellenza DSLCC, è stato possibile anche grazie alla fruttuosa collaborazione con il Dipartimento DSAAM, che da anni prepara gli interpreti all’interno della Laurea magistrale ITES.”

Tutto questo nella più ampia sinergia con le realtà che si interfacciano col mondo dei sordi come Anios, l’Associazione interpreti di lingua dei segni italiana, di cui Francesca Malaspina è Presidente Nazionale. "Lavoriamo da anni per raggiungere questo obiettivo - afferma Malaspina - l'alta formazione per gli interpreti di lingua dei segni è finalmente realtà. La nostra professione infatti richiede solide competenze linguistiche, culturali e deontologiche e un risultato come questo ci riempie di orgoglio. Del resto anche la risoluzione UE del 2016 su interpreti e lingue dei segni prevede una formazione accademica corrispondente alla formazione che ricevono gli interpreti di lingue vocali. Ca' Foscari ha concretizzato il frutto di una lunga e proficua collaborazione e siamo certi che questa esperienza formativa sarà l'inizio di un percorso sempre più professionalizzante. - continua Malaspina - Il nostro è un lavoro importante per garantire il diritto delle persone sorde all’accessibilità in qualsiasi ambito della loro vita e per garantire la loro piena partecipazione alla vita sociale e politica del nostro Paese e merita una formazione di alto livello come quella sostenuta da un Ateneo prestigioso come Ca' Foscari".

Note sulla raccolta poetica “Come l’Araba Fenice” di Gianna Costa: le ceneri e la rinascita

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di Cinzia BaldazziCirca un anno fa Gianna Costa pubblicava “Come l’Araba Fenice”, raccolta poetica dove il tema della rinascita si estende vasto e penetrante: una sorta di epifania, di anticipazione svolta sul piano privato delle speranze di rinascita che oggi vediamo investire invece la sorte della collettività. 

Nella logica dei giorni nostri, diremmo piuttosto “ripartenza”: il 4 maggio? il 1° giugno? Speriamo presto… Letta con gli occhi di oggi, “Come l’Araba Fenice” sviluppa una immediata e inaspettata contiguità tra la storia personale dell’autrice, ricreata nei versi, e il contesto sociale nel quale gran parte del mondo è costretto a vivere. Tipico della poesia è anticipare i tempi, anche quelli difficili, e rimanere nell’anima del lettore. L’auspicio - comune a noi, all’autrice, a tutti - è che il mitico volatile, richiamato da Gianna nel titolo, possa infine, con il suo eterno e invincibile spirito di vita, prevalere sul caos.

***
Il contesto poetico della raccolta Come l’Araba Fenice già nel titolo stesso varca il mondo del mito, dove, precisa Umberto Galimberti, «le cose sono usate per dire il vissuto dell’uomo», mentre nel logos, come nella parola originaria, gli elementi giacevano nel loro esporsi, e così illustrate erano presenti. Nel mito i fenomeni vengono concretizzati attraverso la manipolazione umana: in greco, il verbo “produrre” coincide con ποιέω (poièo), dal quale il termine ποίησις (pòiesis), la nostra poesia. La poësisdi cui si alimenta la mitologia, conclude Galimberti, «è una produzione di significati che non lascia parlare le cose come sono, ma impone alle cose di parlare agli uomini» [I volume pag. 36]. L’insieme emerso, comunque, non equivale a costringere le idee, le fonti ispirative: implica, invece, un collaborare fecondo dell’essere-divenire, del reale-immaginario. I versi dedicati ai fiumi sono ben lontani dal puro stato contemplativo e presuppongono un’attività Infatti nella silloge:

«[…] Sotto l’arco
dello scaligero ponte
corre e va,
portando con sé
il mio pensiero per te […]» [da Guardo il fiume].

Ebbene, chi era l’Araba Fenice, la cui luce illumina l’intera antologia? La fenice, o uccello di fuoco, è una creatura mitologica nota per poter rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte: negli antichi egizi fu Bennu ed era raffigurata con la corona Atef o con l’emblema del disco solare. Agli inizi somigliava a un passero e non risorgeva dalle fiamme, ma dalle acque. Scrive dunque Gianna Costa dell’onda:

«S’avvicina alla riva
su bianca
finissima rena
dove s’infrange leggera
rumoreggiando appena.
[…]
Poi rientra verso il mare,
libera finalmente
di ripetersi
continuamente» [da Onda].

Nella filosofia indiana moderna, in qualunque momento li scrutiamo, il contesto della natura, dell’uomo, vivono una delle infinite esistenze che si ripetono senza se ne possa intuire l’ultima tappa, in quel risorgere e morire di nuovo indicato dagli indiani come samasara. Tuttavia – ritengo Gianna Costa lo condivida – il pensiero così trapelato è costituito dall’evento secondo il quale il divenire corrisponde solo a un’illusione provvisoria riconosciuta nel nome di Maja: sollevarne il velo significa soltanto conferire al reale vissuto una gamma molteplice adeguata e negare ogni presenza autoritaria a unità aprioristiche convenzionali. Da tutto ciò scaturisce un desiderio irrefrenabile di fuggire dagli schemi obbligati, sino a personificarsi nella pace del Nirvana:

«Mi sento in gabbia
ho voglia di evadere
rompere il sigillo
camminare sulla sabbia.

Lasciare che il mare cancelli
un’impronta frettolosa
che raggiunge la scogliera
dove l’onda è fragorosa […]» [da Evasione].

In Dentro il tempo e le stagioni primeggia la φύσις (fiùsis), di fronte al perpetuo senso temporale, dove affiora, ovviamente attualizzato dal carattere precario dell’atmosfera complessiva odierna, lo spirito della φιλοσοφία (filosofìa), nata nelle colonie elleniche dell’Asia Minore con Talete, Anassimandro, Anassimene da un lato ed Eraclitodall’altro. L’ambito naturale ospite dell’uomo, delle sue esperienze esplode, allora, in un:

«Un soffio,
un alito di vento
sento passare
dalle imposte
appena socchiuse […]» [da Esplosione].

Poi, in Cuore gioioso:

«Eolo gonfia le gote
per poter soffiare
dall’orizzonte lontano
sull’acqua
fino in riva al mare […]»

e avanza l’inputgenerativo dell’acqua e della “natura umida” («sulla candida rena / già umida, bagnata / dalla perenne onda / appena passata» [ibidem]), tanto ribadito dalla Metafisica di Aristotele: «Tutti i semi di tutte le cose hanno una natura umida e l’acqua è il principio della natura delle cose umide» [Pensiero occidentalevol. I pag. 73]. Del resto, in Φυσικής Ακροάσεως (fiusikès akroàseos, ossia “Sulla Fisica”) leggiamo: «L’aria si differenzia tra le varie sostanze a seconda del grado di rarefazione e condensazione […] e così dilatandosi dà origine al fuoco, mentre condensandosi dà origine al vento e poi alla nube; a un grado maggiore di densità forma l’acqua, poi la terra, quindi le pietre; le altre cose derivano, poi, da questa». Ed ecco:

«L’erba appena tagliata
lascia nell’aria
un aroma pungente
leggero come nuvola
che inonda il prato
giocando in girotondo.
[…]
Nelle narici dilatate
penetrano insieme
fragranze e aromi inebrianti
che ci riportano a gustare
gli antichi sapori
della terra madre» [da Odore d’erba].

In Noi donne, nella Metamorfosi della farfalla-donna, la Costa afferma:

«[…] Poi, all’improvviso
inavvertitamente
prendo il volo della vita
in un cielo dall’azzurro più intenso.

Mi libro nell’aria sospinta dal vento
e mi riposo sul profumo dei fiori
già in attesa
di confondersi con me
per formare il tutt’uno di un’anima» [da Metamorfosi].

Quasi il «tutt’uno di un’anima» eracliteo, dove da ogni cosa discende l’Uno, provenendo l’Uno proprio da esse. Nella sezione intitolata Spiritualità prevalgono, invece, la figura angelica, il tono elegiaco, l’atmosfera onirica, e il componimento finale dichiara:

«[…] I pensieri vagano
sulle dune del deserto
di sabbie in movimento
sospinte dallo scirocco.

L’anima che è in noi
vede miraggi soffusi
sospesi tra tempo e spazio
e respira il nostro respiro» [da Miraggi soffusi].

La parte di chiusura, Con amore, pur densa di apparato romantico, non smentisce il legame con la riflessione e con l’anima filosofica citata, quando recita:

«Graffio con unghie laccate
le onde del mare
fino a lasciare il segno,
fino a sentire
l’acqua salmastra
vibrare e scorrere tra le dita […]» [da Cristalli d’amore];

quindi:

«[…] la tua immagine
che rimane sospesa
ma entra
nel quotidiano modo di vivere
come la pioggia
che scende
e confonde le lacrime […]» [idibem];

per finire:

«[…] Dei dolci tuoi baci
rimangono solo i ricordi
divenuti ormai granelli di sabbia
che brillano
sotto i raggi del sole
come piccoli cristalli d’amore» [ibidem].

Concludiamo menzionando Empedocledi Agrigento, con i suoi quattro elementi (acqua, aria, terra, fuoco) tenuti insieme da un motore insito nelle forze divine del κόσμος-kósmos: da un lato Amicizia-Eros, dall’altro Odio-Discordia, la guerra, per mezzo di una ciclicità ininterrotta in un perenne alternarsi di vittorie a disfatte. Magari, lo suggerisce la Costa, (in) Tra presente e passato:

«Nudi,
distesi su un letto d’amore
tra lenzuola stropicciate
cerchiamo
tra le pieghe inzuppate
quello che resta di noi,
infinitamente mai sazi
dimentichi di un passato
incerti di un futuro
consapevoli
solo di un presente
che appartiene
esclusivamente a noi […]»,

sempre, di sicuro, nell’aura della mitica Araba Fenice, la quale speriamo, come in epoche remote, dopo la periodica inondazione del Nilo, tra di noi possa ancora manifestarsi in una sorta di Osiride rinato, prima ed eterna invincibile forma di vita, che alle origini dei tempi prevalse sul caos acquatico. Alla luce, lo sappiamo, della poesia immortale.

Ringrazio Adriano Camerini per la collaborazione alla stesura del testo.


Gianna Costa
Come l’Araba Fenice
Edizioni Adfgraf, Verona, 2019

LA SOLIDARIETÀ È SERVITA, La nuova iniziativa solidale rossoblu insieme agli chef stellati calabresi

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Dall’8 al 15 Maggio una nuova iniziativa solidale messa in campo dall’U.S. Vibonese Calcio insieme agli chef stellati calabresi.

7000 pasti da distribuire attraverso il Banco Alimentare Calabria alle famiglie calabresi in difficoltà. In Campo con gli Chef  un’iniziativa volta a promuovere attraverso i ristoratori  la possibilità di donare un pasto caldo alle migliaia di famiglie calabresi nelle loro necessità primarie prevalentemente alimentari. Questa l’idea, per cercare di ovviare al meglio alle esigenze dei concittadini calabresi in piena emergenza Covid-19, con la volontà di accogliere già nell’immediato la disponibilità  a sostenere le fasce deboli della popolazione

Per una settimana (dall’8 al 15 maggio) gli chef e le loro brigate si renderanno protagonisti, attraverso la loro cucina, di un ulteriore momento di grande solidarietà. Grazie al contributo di Enti ed aziende coinvolte dalla società rossoblu, che ha prodotto una straordinaria raccolta di generi alimentari per un importo pari a 67mila euro, i maestri della cucina prepareranno, nelle 4 sedi indicate di seguito, 7000 pasti da distribuire, attraverso il Banco AlimentareCalabria, alle famiglie calabresi in difficoltà.  Ad accompagnare le pietanze sarà la birra prodotta dal gruppo Caffo “Mount Lion”,birra dedicata al territorio ottenuta da pregiati malti e luppoli selezionati e lavorati nel birrificio artigianale CALABRÄU.

-  Vibo Valentia:  Istituto Alberghiero IPSEOA Enrico Gagliardi, via G. Fortunato, Vibo Valentia
-  Cosenza: Ristorante Agorà, Via Gioacchino Rossini, Rende
-  Reggio Calabria: Ristorante L'A Gourmet L'Accademia, via Largo Cristoforo Colombo, 6, Reggio Calabria
-  Catanzaro: Ristorante Abbruzzino, Via Fiume Savuto, Catanzaro

La solidarietà è servita. Al fianco della Vibonese ci saranno Luca Abbruzzino stella Michelin; Riccardo Sculli stella Michelin; Antonio Biafora menzione buona cucina Michelin; Giuseppe Romano menzione buona cucina Michelin; Filippo Cogliandro menzione buona cucina Michelin; Gaetano Alia menzione buona cucina Michelin; Pier Luigi Vacca menzione buona cucina Michelin; Agostino Bilotta menzione buona cucina Michelin; Michele Rizzo menzione buona cucina Michelin; Francesco Mastroianni, maestro gelatiere tra i cinque migliori al mondo, Paolo Caridi Maestro Pasticciere ; Luigi Longo; Luigi Ammirati; Ercole Villirillo; Luigi Quintieri; Antonio Fuoco; Salvatore Murano; Enzo Grasso; Michele Monteleone; Giuseppe Rombolà; Daniele Crigna; Alessio Argento, Valerio Laino, Giuseppe Mandaradoni, Abdou Dibbasey e Salihu Barrow, Arrigo Sebastiano; Pietro De Grazia; Veneruci Emanuele.

LA NEMESI DELLA STORIA E IL COSTUME CIOCIARO

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La pittura da sempre è stata occupata e dedicata ai Cristi  e alle  Madonne e ai Bambinelli e ai Santi o alla Mitologia o alla Accademia o ai paesaggi o ai ritratti cioè sempre alle varie forme di… potere, sia esso religioso sia esso politico sia esso economico; quando nei paesaggi  nel 1500 e 1600  apparivano, rarissimamente, i contadini o la gente comune, erano quasi invisibili, persi nel paesaggio ridondante.  

Nella veramente speciale e floridissima pittura fiamminga ed olandese del 1600, la sola ad aver dato spazio a  tutte le categorie sociali e a tutti i comportamenti, anche  ai più intimi,  l’ispirazione è differente: il popolo in tutte le sue emanazioni e i contadini sono rappresentati in primo piano sulla tela anche se deformi e minuscoli, dei brutti  nani, seduti attorno ai tavoli delle osterie o del matrimonio, che ballano sull’aia o pattinano sul ghiaccio! A Roma li chiamavano ‘bambocci’. Tale richiamo artistico al verismo sociale, dapprima respinto, ebbe successivamente  riconoscimenti e successo: altra musica quando si illustravano i personaggi della politica o della finanza  olandesi oppure i fiori e le nature morte. Era nata la pittura di genere. 
Il concetto espresso all’inizio e cioè che le categorie umili  non sono degne di apparire in pittura, si incontra confermato anche nel 1700 e quando  presente il contadino, esso è quasi invisibile nel paesaggio oppure è presentato sotto forma di idillio e di arcadia. La rivoluzione vera e propria equivalente ad un ritorno all’ordine,  al protagonista autentico, la nascita di un genere pittorico nuovo,  la cosiddetta pittura di genere all’italiana  nella definizione degli artisti stessi dell’epoca, prorompe all’inizio del 1800.  Si trattò di un fatto  clamoroso,  perfino destabilizzante: grazie ai  giovani artisti stranieri presenti a Roma tra fine 1700 e inizi 1800  per la prima volta appaiono sulla scena dell’arte addirittura   la figura del brigante, mai apparso in un quadro prima di allora quale protagonista e personaggio principale della composizione pittorica e la figura del bracciante e della bracciante ciociari, cioè gli ultimi della scala sociale,  ora divenuti attori primari della scena. Per molti cosiddetti  benpensanti e conservatori fu un trauma,  una offesa e una indecenza avere sotto gli occhi e in primo piano, un masnadiero o una contadina, in quelle vestiture così ignobili e indegne,  sconosciute  alla storia dell’arte europea , con quegli orribili colori: ma come, questi pezzenti  e questi delinquenti ora divenuti protagonisti! E avvenne, invece, che la quasi totalità degli artisti europei non rinunciò nella propria carriera  ad una  interpretazione di questi personaggi,  tanto l’innamoramento collettivo: il risultato è che oggi è arduo entrare in un museo o pinacoteca del pianeta e non trovarvi appeso almeno un quadro col personaggio ciociaro, i più diffusi! E anche i massimi artisti europei hanno dipinto i ciociari, tutti: non facciamo i nomi perché sarebbe una lunga lista: Manet, Corot, Cézanne, Van Gogh, Picasso, Severini….  
Una apoteosi e anche una nemesi della storia, la Storia cioè che ogni tanto  si vendica e ristabilisce le priorità, raddrizza le storture... Gradevole un episodio storico scoperto dallo scrivente: siccome questo genere di pittura,  appunto la pittura di genere all’italiana, era divenuta  una vera moda  per gran parte degli artisti europei nel corso del 1800, il povero grande Baudelaire che nel 1845 era il critico ufficiale del Salon di Parigi  -la manifestazione annuale più significativa dell’epoca, durata oltre cento anni-  osservando la quantità  di tali opere presentate anche quell’anno dagli artisti,  sbottò: “basta con questo genere di pittura! Torniamo all’origine!” E invece tale genere di pittura resistette fino alle prime decadi del Novecento, con ancora maggior  successo.
Solo in Ciociaria e in particolare nella provincia di FR che ne rappresenta lo zoccolo duro, siamo invece sempre agli antipodicioè veramente in un altro mondo, più esattamente nel mondo cementizio e asfaltista  e in questo mondo per gli addetti al lavoro, nella cabina di comando, l’arte è un fenomeno incomprensibile, perfino ridicolo, stando ai fatti….uesi soggetti”
 per gli addetti ai lavori, nella abna di comando.
                                                                                               Michele Santulli


Foto: Gon. CARELLI  (1818-1900) Ciociara in piedi. Olio su tela,  72x48 cm

Racconti in quarantena: QUELLE DI SANT’ANNA

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di Mario Narducci - L’AQUILA - Il giovane ricco le aveva sconvolto l’anima.
Improvvisamente le si aprirono gli occhi e l’orizzonte divenne sconfinato, più di quello che aveva davanti, spalancando la finestra della sua casa a Belvedere, disteso, da basso, con una vertigine da perdimento, oltre la strada per Roma. Aveva aperto il Vangelo a caso, come faceva spesso per bere qualche goccia di spiritualità. Ne usciva rinfrancata e proseguiva le mansioni del giorno, tra studio e faccende di casa, senza scotimenti di sorta. Lei del resto non aveva problemi, né sul piano della fede (la sua famiglia era molto pia) né su quello sociale (era benestante, con un padre ingegnere affermato e una madre di alto lignaggio).

Era l’ultima di dodici figli e la più coccolata. Davanti a sé aveva un avvenire tranquillo, da dipanare nella normalità di stagioni senza problemi di sorta. Era molto religiosa, questo sì, dedica alle pratiche di pietà con un trasporto magari singolare, ma niente di più. Anche sua madre lo era stata sin da piccola e lo era ancora, da ritrovarsi immersa in opere di carità verso i bisognosi. Maria probabilmente avrebbe avuto davanti un identico avvenire: sposa e madre e dedizione alle opere di bene. Ma qualcosa dentro la frenava. Un'ansia misteriosa da magone, l'attesa inspiegabile dell'ignoto. Era attorno ai trent’anni e nessun impegno sul piano sentimentale. E sì che di pretendenti ne avrebbe avuti a bizzeffe, solo se un po’ fosse stata come le altre giovani di buona famiglia del tempo, intente a confezionare corredi aspettando un marito di riguardo.

Lei vestiva di nero, adulta prima del tempo. La gonna gonfia di crinolina leggera, il corpetto stretto in vita come le donne di Scanno e chiuso al collo con merletto bianco, i capelli divisi al mezzo e raccolti in cerchio da una treccia. Sguardo penetrante e sereno, come se mai nube giungesse ad offuscarlo. Finché accadde l’irreparabile, secondo il sentire del mondo. Aprì dunque il Vangelo e lesse del giovane ricco che si presentò un giorno davanti al Nazareno: “Signore, che devo fare per ottenere la vita eterna?” “Osserva i comandamenti” gli rispose Gesù. “Li ho sempre osservati”, fece di rimando il giovane, forsanche compiaciuto. E Gesù: “Allora, se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che hai, danne il ricavato ai poveri e poi vieni e seguimi”. Una proposta, un programma, che al giovane parvero ostacolo insormontabile. Non se la sentiva di rinunciare a tutto. E allora abbassò gli occhi per non incrociare più quelli di Cristo, voltò le spalle e se ne andò deluso, senza ascoltare il commento di Gesù agli apostoli: “Quanto è difficile per un ricco entrare nel regno dei cieli. E’ assai più facile che un cammello passi per la cruna di un ago”. Non era la condanna della ricchezza, ma la dichiarazione della povertà come privilegio e della ricchezza come cosa da restituire ai poveri che ne furono espropriati.

Maria incominciò a dedicarsi subito ai bisognosi, senza sapere ancora quale fosse la sua strada. S’era intorno alla metà del secolo decimonono, nella pienezza dei moti rivoluzionari e anticlericali che costrinsero il Vescovo dell’Aquila Mons. Filippiall’esilio. Quando tornò trovò una realtà sociale in grave degrado. Ragazze di strada da recuperare. Una situazione sanitaria che escludeva i poveri, bambini abbandonati. Intuendone le grandi potenzialità, Filippi chiese aiuto a Maria Ferrari assegnandole la direzione della Pia Casa Sant’Anna per il recupero delle disagiate. Arrivarono le prime compagne, signorine di buona famiglia come lei desiderose di votarsi al bene altrui.

Nasceva a L’Aquila la prima forma di volontariato, prendeva vita la prima assistenza sanitaria domiciliare. Non c’era via, non c’era vicolo della città e della periferia più abbandonata che non fosse battuto da quelle pie donne, parche di cibo e di sonno e votate completamente agli altri, in gesti d'amore sconfinato. “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, sete e mi avete dato da bere, ero nudo e mi avete vestito, malato, carcerato e siete venuti a trovarmi...” “Ogni volta che avete fatto questo agli ultimi del mondo, lo avete fatto a me”. “E’ sull’amore che sarete giudicati”.

Le pie donne conducevano vita religiosa senza essere consacrate ancora. Alla morte della madre di Maria, si trasferiscono a Belvedere, nella casa ereditata dalla fondatrice. Hanno la consolazione di poter custodire in una cappelletta le specie Eucaristiche davanti alle quali sostano in preghiera nel tempo libero che lascia loro la carità. Consumata dalle fatiche, dopo tre anni di infermità, Maria Ferrari si spense a 72 anni, senza che il suo Istituto avesse avuto riconoscimento alcuno. Era l’undici febbraio del 1896, festa della Madonna di Lourdes che da allora le Suore Ferrari celebreranno con solennità insieme a quella del Sacro Cuore cui è dedicato l’Istituto, che entrerà ufficialmente nella Chiesa solo nel 1918. Due anni fa le Figlie di Maria Ferrari hanno celebrato il loro primo centenario. Sparse in tutto il mondo, le Suore Zelatrici del Sacro Cuore - questo il loro nome per esteso - continuano a testimoniare la potenza dello spendersi per gli altri in gratuità, concretizzando quello che fu il suo programma racchiuso in un motto di grande suggestione: “Tutto per amore”.


Un nuovo inizio, un passo alla volta

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Avevo un insegnante meraviglioso da cui ho imparato tanto. 

Ci diceva: “osservate la pubblicità in giro per strada e vi racconterà i segreti, i sogni, le paure, che ha nel cuore quel paese!”. Non ho mai smesso di ricordarmi di quel consiglio.
Oggi, muovendomi in una Milano silenziosa, spettrale e ferita, ho ascoltato i pesi che porta nel suo grande cuore ed è come se ci fossimo raccontate e riviste dopo tempo! E’ stato emozionante -
I pochi e nuovi messaggi pubblicitari si alternano a quelli vecchi eingialliti dal passare dei mesi.
C’è un PRIMA che oggi mi appare leggero e distonico col presente- La nuova stagione del Teatro Piccolo.
C’è anche qualche rimasuglio semi strappato di un PRIMA aggressivo. Sui brandelli penzolanti si legge ancora la marca di una famosa jeep “Non tutti i genitori guidano una jeep”.
C’è un DOPO, che è ADESSO.  
“un nuovo inizio, un passo alla volta" che lo racconta la nuova campagna di comunicazione che ci accompagnerà alla graduale riapertura della città, al rispetto delle regole, e soprattutto a non perdere la fiducia! -con la direzione artistica di YesMilano e l’endorsement di Ghali.
Qualche striscione W l’Italia qua e là, ma è già di qualche settimana! “Ce la faremo" non c’è più. 
Siamo stanchi e poi non ne siamo tanto sicuri. 
Meglio darsi piccoli obiettivi e raggiungerli, “Un nuovo inizio, un passo alla volta” appunto!
Ci sono le nuove segnaletiche in metropolitana che ci prendono, quasi per mano, e ci indicano chiaramente dove stare in piedi e dove sederci, per riposarci da questi primi piccoli passi. 
“Dovremo imparare dalle piccole cose e darci nuove priorità che sono cambiate” è un’altra campagna pubblicitaria.
E penso agli anni della “Milano da bere”.
Paola Palma

Musica, Matteo Faustini a Fattitaliani: spero che il mio messaggio arrivi a più persone possibili. L'intervista

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È in radio “Vorrei (La Rabbia Soffice)” il nuovo singolo del cantautore Matteo Faustini scritto insieme a Marco Rettani, estratto dal concept album di inediti “Figli delle Favole” (Dischi dei Sognatori, distribuito da Warner Music Italia). Il brano è uno sfogo delicato, una lettera a cuore aperto che esprime i sentimenti e lo stato d’animo del cantautore nei confronti della società odierna. Fattitaliani lo ha intervistato.

Il tuo nuovo singolo "Vorrei (la rabbia soffice)"è nato da un'intensa introspezione o da un evento esterno?
Questo brano è nato da un’intensissima introspezione, nella vita riesco a dire qualche bugia ma nella musica no. Mi sono detto: “tanto devo morire, devo lasciare questo posto quindi è meglio essere sinceri” e ho elencato tutte quelle qualità che mi piacerebbe avere per diventare un essere umano migliore e quei limiti che mi piacerebbe curvare.
Mi piace tanto il concetto di "rabbia soffice": implica un'accettazione di sé dopo la fase di autocritica?
La “rabbia soffice” è proprio qualcosa che vorrei. Implica un’accettazione dopo una fase di autocritica. Secondo me i difetti non sono solo da accettare ma da risolvere, o almeno provarci. Non bisogna arrabbiarsi per qualsiasi cosa ci capiti, almeno proviamoci a non farlo.
Hai affermato che "uno dei nostri obiettivi sulla terra sia quello di migliorarci dentro": credi che il confinamento e l'emergenza che stiamo vivendo possa aiutare in questa direzione?
Credo che questo confinamento e questa emergenza ci possano aiutare. Sfortunatamente l’essere umano non ha una buona memoria quindi ho paura che tutto ritorni come prima, ma ho notato molta più umanità e più apprezzamento della quotidianità e delle persone che hanno lavorato per noi per arrivare a questi risultati oggi. Sono positivo, scelgo di essere fiducioso.
Dopo Sanremo, è scoppiata la pandemia: hai avuto occasioni e modi di promuovere "Nel Bene e Nel Male”?
Per fortuna, prima che scoppiasse la pandemia, sono riuscito a promuovere il mio disco, “Figli delle Favole”, che contiene il brano di Sanremo “Nel Bene e Nel Male”. Sono partito immediatamente con l’instore tour e l’ultima tappa, fatta a Napoli, è stata qualche giorno prima del lockdown. Sono contento quindi di aver fatto i miei “abbracciacopie”, come li chiamo io, e di conoscere tanti essere umani che hanno dedicato il loro tempo ad ascoltare la mia musica. È davvero, per me, la cosa più bella del mondo.
Oltre all'amore, nel tuo disco affronti temi come il bullismo, razzismo, omofobia: facile mantenere l'equilibrio fra l'importanza del testo e la piacevolezza del suono?
È molto difficile tenere un equilibrio tra contenuto e contenitore, quindi tra l’importanza del testo e l’estetica del suono. Sarebbe più semplice scrivere cose più semplici su una melodia più facile, ma personalmente non mi sento molto utile, quindi scelgo di essere un po’ più pesante mettendo il contenuto in un contenitore più piacevole e interessante in modo che il mio messaggio possa arrivare a più persone possibili. È molto, molto difficile ma voglio vivere di questo, quindi sto cercando di farlo nel miglior modo possibile.
Parlando del concept album “Figli delle Favole”: tu che rapporto hai con la narrazione, il racconto, le fiabe? da piccolo qual era la tua storia preferita? con quale personaggio ti era facile identificarti?
Io sono un figlio delle favole, non mi hanno mai illuso ma mi hanno insegnato tanto. Anche nelle favole ci sono i cattivi, è un po’ come la vita. Più che una storia preferita, dove ti citerei almeno 25 film, ho un personaggio, nel quale mi sono sempre identificato: il gobbo di Notre Dame, con la sua gobba. Crescendo capisci che non ce l’hai tu ma chi te l’assegna. A lui voglio un po’ più bene.
C'è un insegnamento che nel tempo tieni sempre costante e segui per le tue scelte personali e artistiche?
Sono tanti gli insegnamenti che cerco di tenere dentro di me, con difficoltà. Il bene penso sia una scelta quotidiana. Io la mattina mi sveglio e scelgo di voler fare un sacco di bene oggi. La positività attrae altra positività, e anche quando il sorriso non c’è è da scegliere. Giovanni Zambito.

“Figli delle Favole” è un concept album incentrato sul mondo delle favole e sugli insegnamenti che possiamo trarre da esse. Prodotto da Enrico “Kikko” Palmosi e Mario Natale, il disco affronta, con l’utilizzo di metafore e giochi di parole, temi importanti come il bullismo, razzismo, omofobia e celebra l’amore nelle sue molteplici forme.
L’album contiene inoltre il brano “Nel Bene e Nel Male”, in gara al 70° Festival di Sanremo nella categoria “Nuove Proposte” e vincitore del “Premio Lunezia per Sanremo” per il suo valore musicale e letterario.

Questa la tracklist di “Figli delle Favole”: “La Bocca Del Cuore”, “Nel Bene E Nel Male”, “Si, Lei È”, “Vorrei (La Rabbia Soffice)”, “Il Cuore Incassa Forte”, “Figli Delle Favole”, “Un Po' Bella Un Po' Bestia”, “Come Lo Stregatto”, “Il Gobbo”, “Lieto Fine?”, “Nel Bene E Nel Male (Unplugged Version)”.
Matteo Faustini, classe 1994, è un cantautore bresciano che ha iniziato a muovere i primi passi nella musica fin da bambino, partecipando a diversi concorsi musicali. Nel 2007 entra a far parte del coro delle voci bianche della Scala di Milano, mentre negli anni seguenti si mette in gioco con il teatro, entrando così a contatto con un mondo a lui nuovo e allo stesso tempo stimolante. A 18 anni sente il bisogno di esprimersi attraverso la musica, intraprendendo così un percorso cantautoriale e sviluppando una forte esigenza di sperimentazione e ricerca musicale. Parallelamente agli studi in Scienze Linguistiche e Letterature Straniere, Matteo partecipa e vince vari concorsi musicali come "La VOCE di Lodi - The Tunnel" (incluso il premio della critica assegnato dalla cantautrice, compositrice e musicista Andrea Mirò) e il “Festival della Canzone – Città di Arese”, si classifica al secondo posto e vince il premio come miglior inedito al “Premio Franco Reitano” e si aggiudica una borsa di studio presso la “Lizard Accademie Musicali”Nel 2017 viene selezionato come finalista ad Area Sanremo ed è la voce della tribute band “Smooth Criminals”, con la quale ha portato in giro per l’Europa il mito di Michael Jackson. Negli ultimi due anni, Matteo ha intrapreso la sua carriera di insegnante di scuola primaria e ha scritto più di 50 brani (alcuni dei quali insieme a Marco Rettani) come “Nel Bene e Nel Male”in gara al 70° Festival di Sanremo nella categoria “Nuove Proposte” e vincitore del “Premio Lunezia per Sanremo” per il suo valore musicale e letterario.


Foto di Marco Piraccini

Cultura, giochi, interazioni, cura di se stessi, aiuto psicologico e servizi di sostegno a distanza: a Milano il welfare diventa social ai tempi del coronavirus

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MILANO - Un’offerta articolata di servizi di sostegno a distanza, grazie all’utilizzo dei social network e di piattaforme on line, per promuovere tra i cittadini milanesi buone pratiche culturali, individuali e collettive, e fronteggiare l’emergenza sanitaria e relazionale in atto, con un’attenzione particolare alle persone fragili e a quelle colpite da patologie degenerative e mentali come l’Alzheimer: è lo “Smart social welfare”, il nuovo progetto dell’associazione Le Compagnie Malviste, che da oltre dieci anni diffonde esperienze di comunità e di teatro sociale con lo scopo di stimolare i rapporti tra le generazioni, la coesione e la mobilitazione sociale.

La nuova iniziativa, fruibile gratuitamente e attiva fno alla fne di giugno, si pone l’obiettivo di rinsaldare i legami e le relazioni sociali e generare attività che stimolino le persone (giovani, famiglie, anziani e caregiver) a prendersi cura di sé attraverso percorsi culturali di coinvolgimento collettivo, esercizi, giochi, interazioni e suggestioni, per continuare a condividere passioni, interessi, abilità e talentio Combattendo così, oltre alla paura e alla sofferenza, anche il senso di isolamento e di segregazione causati dall’esplosione dell’epidemia da coronavirus. 
Afferma Alvise Campostrini, presidente delle Compagnie Malviste: «Prima dell’emergenza eravamo presenti sul territorio di Milano con iniziative di rigenerazione urbana, sociale e paesaggisticao Quando le cose si sono fermate, abbiamo attivato da subito un progetto per arrivare nelle case delle persone e continuare la nostra missione, ovvero favorire la mobilitazione sociale, la partecipazione attiva e la costruzione di un tessuto relazionale, utilizzando la cultura e la creatività come parole d’ordineo Così è nato e si sta sviluppando lo Smart social welfare».
Messo a punto con il sostegno della Fondazione di Comunità Milano, grazie alla raccolta fondi #MilanoAiuta, il progetto vuole favorire anche i servizi di prossimità, sostenendo, promuovendo e, se necessario, implementando quelli già offerti dalle 1 istituzioni, come per esempio la spesa a domicilio, l’acquisto di farmaci e medicine, la pulizia della casa ma non solo. 
“Smart Social Welfare” entrerà nel vivo venerdì 8 maggio con la prima “Lectio magistralis” on air, ciclo di incontri e momenti di approfondimento (visibili in live streaming sul canale Youtube dell’associazione Le Compagnie Malviste, con link diretto sulla pagina Facebook) da parte di professionisti che racconteranno e promuoveranno metodologie innovative per prendersi cura di sé, della comunità e dell’ambienteo Si comincerà con Letizia Dradi, danzatrice e coreografa di formazione classica, che affronterà il tema del distanziamento sociale da una prospettiva insolita: quella della danzao Tra gli esperti che prenderanno parte a questi appuntamenti, in programma tutti i venerdì (dalle 12o30 alle 13) fno al 26 giugno, fgurano Michele Farina, giornalista del Corriere della Sera che il 15 maggio affronterà un viaggio tra arte e medicina per raccontare le fragilità umane (con un focus sul festival Alzheimer Fest); il public historian Giorgio Uberti, che il 22 maggio si occuperà delle esperienze di teatro sociale e public history a Milano; il 29 maggio, Federico Ugliano, alla guida dello Spazio Teatro 89 di via Fratelli Zoia 89, parlerà di cultura, socialità, intrattenimento e sostenibilità e della funzione svolta dall’auditorium polifunzionale da lui diretto; il 5 giugno, lo studente del Politecnico Pietro Forconi, dell’associazione Resilient G.A.P., discuterà su “La Milano che vogliamo: verde, realmente sostenibile e solidale”; la settimana successiva, il 12 giugno, sarà volta di Matteo Moscatelli, docente di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano, che analizzerà le nuove connessioni tra le generazioni, partendo da concetti quali memoria, resilienza e riconoscenza; il 19 giugno, Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione italiana di psicogeriatria, interverrà sul tema “La partecipazione virtuale per la cura e il benessere della comunità”; infne, il 26 giugno, l’ultima lectio magistralis sarà affdata ad Alessandro Manzella, direttore artistico e fondatore delle Compagnie Malviste, con un intervento dedicato alle pratiche e agli strumenti teatrali con persone affette da patologia di Alzheimer e con chi si prende cura.
Dall’11 al 30 maggio, inoltre, grazie alla collaborazione con la rivista specializzata Perimetro, verrà attivata una open call fotografca: i partecipanti dovranno raccontare, inviando uno scatto, qual è la persona o l’attività che li sta aiutando ad andare avanti in questi giorni di diffcoltào La redazione di Perimetro si occuperà di selezionare le fotografe più rappresentative che confuiranno in un foto-racconto collettivo di questo periodo storico.
Le altre iniziative 
Oltre alle “lectio magistralis” e alla call fotografica, le Compagnie Malviste hanno messo a punto altre iniziative e altri servizi di comunità nell’ambito del progetto “Smart social welfare”, allo scopo di raggiungere e includere il più ampio numero di cittadinio Tramite Whatsapp sono già in funzione alcuni gruppi di supporto per chattare a distanza e mantenere vivi, con diverse proposte artistiche, i laboratori teatrali che erano attivi prima del lockdown e che avevano coinvolto un’ottantina di persone di età compresa fra gli 8 e i 93 annio Verrà poi realizzata un’Audiolibreria, una raccolta di storie personali e collettive che racconteranno la comunità e il suo territorio: si darà vita, così, a una narrazione legata anche alle abitazioni (case, condomini, palazzi) dei cittadini con aneddoti, curiosità e vicissitudinio Grazie a queste storie “dentro le mura”, raccolte con interviste telefoniche, scambi di email e con altre modalità da remoto, sarà possibile dare voce agli abitanti dei quartieri coinvoltio Ci sarà spazio anche per la musica: i promotori dello “Smart social welfare” si prefggono, infatti, di costituire una folk band on line che, a distanza, possa mettere in connessione tutte le persone che vorranno aggregarsi per contribuire a suonare insieme: il maestro artigiano Flavio Campi mostrerà come si può costruire uno 2 strumento musicale con oggetti e utensili da cucina e, con il contributo del maestro Gianpietro Marazza, fisarmonicista ed arrangiatore negli spettacoli di Moni Ovadia, tutti potranno entrare a fare parte dell’orchestra.
Un’attività, quella musicale, utile a rafforzare il valore della solidarietà, dell’impegno e del senso di comunità, come insegnano le neuroscienze socialio Chi si prende cura delle persone che danno cura? A partire da questo interrogativo, Le Compagnie Malviste hanno dato vita ai Web Alzheimer Cafèo Due volte la settimana, il lunedì e il giovedì, un’equipe di professionisti qualifcati conduce con persone affette da Alzheimer dei laboratori teatrali - con momenti di danza, musica, giochi verbali e non verbali - da cui ognuno possa trarre benefcio e benessere psicofisico.
Un altro punto qualifcante del progetto sono le “Pillole antisolitudine”, un gioco sociologico condotto da esperti di vari ambiti (storia, scienze sociali, editoria, scenografa, teatro sociale e di comunità)o Le “pillole”, adatte a persone di ogni età e anche a quelle con fragilità o disabilità, hanno l’obiettivo di stimolare il senso del fare e dell’agire: per esempio, il racconto di un frammento autobiografco o di un piccolo viaggio, la descrizione di una foto, di una canzone o di quello che si vede dalla propria finestra.
“C’è posta per tutti” è un’iniziativa pensata, in particolare, per quelle persone - spesso anziane - che si trovano in una situazione di emarginazione e di abbandono e che non vedono da tanto tempo parenti, amici o semplici conoscentio Grazie ai collaboratori delle Compagnie Malviste, chi lo vorrà potrà inviare una lettera a un parente, un amico o una persona cara con cui i rapporti si sono diradatio I destinatari delle missive saranno invitati a rispondere via email, sms, social network o tramite la posta ordinariao Un’altra delle proposte messe in campo riguarda l’attivazione di uno sportello di ascolto e sostegno psicologico leggero, rivolto ad anziani, familiari e caregivero Lo sportello (telefonico) sarà gestito da una psicologa iscritta all’Albo, che da diversi anni collabora con le Compagnie Malviste.
Inoltre, i volontari delle Compagnie Malviste promuoveranno e faciliteranno i servizi di prossimità (spesa a domicilio, consegna farmaci, piccole commissioni, servizi di assistenza e volontariato) messi in atto delle istituzioni per far fronte ai disagi causati dell’emergenza da Covid-19: l’associazione diventerà, così, il fltro tra il Comune e i cittadini, visto che molti di loro - soprattutto se anziani - possono avere delle diffcoltà nell’individuare i numeri telefonici da contattare, non conoscono i servizi offerti e faticano a presentare le proprie richieste.
Spazio, infine, alla “drammaturgia di comunità” ai tempi del Coronavirus: l’ambizione è quella di raccontare, grazie ai tanti messaggi audio e video che le persone si scambiano utilizzando i social network e i cellulari, le memorie e le aspettative delle comunitào I messaggi diventeranno così il flo conduttore per descrivere e raccontare lo stato di emergenza in cui tutti siamo coinvoltio Un tentativo per raccontare questa drammatica esperienza collettiva, rielaborando gli accadimenti e raccontando la segregazione vissuta all’interno delle nostre case. 


9 MAGGIO 1974, STORIA DI UN’EVASIONE

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di Mario Setta - “Lo statuto dei gabbiani” (ed. Milieu 2012) è il titolo d’un libro che raccoglie gli scritti e racconta la vita del famoso “bandito gentileHorst Fantazzini, curato dalla compagna Patrizia Diamante con prefazione di Pino Cacucci. In realtà, neanche il titolo riesce a dare l’immagine dell’idea di libertà incarnata da Fantazzini.
Forse, volendo parafrasare Rousseau, che nel “Contratto sociale” esordisce con l’affermazione “L’uomo è nato libero, ma dovunque è in catene”, Horst Fantazzini, paragonandosi al gabbiano, nega il concetto stesso di statuto, perché i gabbiani “sono nati per volare liberi e per loro non ci sono statuti, né leggi, né regolamenti”. In “Ormai è fatta!”, trasposto nell’omonimo film di Enzo Monteleone con Stefano Accorsi, mentre Horst Fantazzini sta raccontando dettagliatamente la sua evasione dal carcere di Fossano, cita Bernanos de “I grandi cimiteri sotto la luna”, la più lucida e tremenda denuncia contro la guerra civile spagnola. “Io credo inevitabile, in un mondo saturo di menzogna, la rivolta degli ultimi uomini liberi”, scriveva allora Bernanos. E Fantazzini ne riporta una frase lapidaria: “La minaccia peggiore per la libertà non consiste nel lasciarsela strappare - perché chi se l’è lasciata strappare può sempre riconquistarla - ma nel disimparare ad amarla e nel non capirla più”. Ma è lui stesso a sentirsi in colpa per quello che sta facendo: “Sì, c’è dell’egoismo in quanto sto facendo, ma se le circostanze me lo permetteranno, questo potrebbe anche essere il primo passo d’un cammino più lungo”.
Quel cammino, allora immaginato, lo conduce da un carcere all’altro, da un’evasione all’altra: 34 anni da gulag. Come nei racconti della Kolyma di Salamov o le lettere dalle Solovki di Florenskij. Una voglia di libertà frustrata, repressa. Una personalità mai domata, quella di Fantazzini, fino all’ennesimo ed ultimo tentativo di rapina in banca, quel 19 dicembre 2001, in via Mascarella, a Bologna. E, tre giorni dopo, la morte per aneurisma aortico. A 62 anni. “Nessuno muore mai del tutto finché c’è qualcuno che lo ricorda” ha scritto nella prefazione Pino Cacucci. Nel libro “Nessuno può portarti un fiore”, Cacucci descrive la figura di Fantazzini, ma tralascia la storia dell’evasione, che conoscerà attraverso una corrispondenza col sottoscritto: “Caro Mario, spero che ci possiamo dare del tu, ho appena divorato le pagine dove ricordi il tuo contatto e successivo rapporto epistolare con Horst. […] Come hai avuto modo di leggere, nel capitolo dedicato a Horst manca la parte che ti riguarda… mi sono basato sulle poche notizie trovate al riguardo”.  
9 maggio 1974, un giorno memorabile. Non solo per me. È il giorno dell’evasione dal carcere di Sulmona di Horst Fantazzini. Verso le dieci del mattino, come al solito, mi reco all’Ufficio Postale per rilevare la posta. Ci sono alcune lettere di persone che mi scrivono esprimendo dissenso e contrarietà alle mie e nostre posizioni sul referendum per il divorzio. Qualcuna è alquanto offensiva e minatoria. Non ci bado. Torno a casa. Mi preparo a scrivere a macchina i programmi delle persone che devono sostenere gli esami di licenza media. Tra alcuni giorni scade il tempo di presentazione delle domande e dei relativi programmi. Mi metto a battere i tasti della macchina da scrivere. Comincio col programma di Italiano. Non ho ancora finito la prima pagina che sento dei passi. Qualcuno apre la porta della stanza che fa da biblioteca della casa parrocchiale. Ha in mano una pistola. Resto impietrito. Pronuncio, o meglio cerco di balbettare qualche parola: “Non mi ammazzare! La campagna elettorale è ormai finita. Non faccio del male a nessuno se sostengo il NO al referendum”.

Sono certo che sia venuto per punirmi del mio NO al referendum che si terrà Domenica prossima, 12 maggio. Oggi è giovedì. La campagna elettorale è ormai conclusa. A che servirebbe un omicidio? Ad un prete, in una casa parrocchiale? L’uomo, intanto si dirige verso la finestra, tenendo in mano la pistola. Osserva. La giornata è piovigginosa. Lo vedo vicino a me ed ho addirittura l’intenzione di colpirlo al braccio per sottrargli l’arma. Ma è solo un’idea fugace. Lui è piuttosto giovane, sulla trentina, giubbotto di pelle color marroncino. Mi ordina di spingere il tavolo contro la porta già chiusa e di sedermi, mentre lui resta in piedi con la pistola accanto alla mia testa. Parla con un certo affanno.
“Sono fuggito dal carcere. Ce l’ho fatta. Da questo carcere non c’era mai riuscito nessuno. Le guardie mi stanno già cercando. Potrebbero arrivare qui da un momento all’altro. Sta zitto e non fiatare”.

Restiamo in silenzio. Guardo la pistola, a destra del mio viso. È una pistola a tamburo, canna bianca e impugnatura marrone. Passano i minuti. Si sentono dei passi per le scale. Poi niente. L’evaso guarda il foglio sulla macchina da scrivere, con un certo interesse. Poi chiede:
“Chi sei? Cos’è questa casa?”
Rispondo:
“Sono un prete e questa è la casa parrocchiale”. 
E lui:
“Un prete? In borghese? Una casa con queste scritte e questi poster? Cosa stai scrivendo? Ho sentito i battiti della macchina da scrivere e sono arrivato fin qui. Hai un’automobile per accompagnarmi nella fuga? Aspettavo, per l’ora fissata, la macchina davanti al carcere, ma non c’era. Sono saltato dalla finestra del corridoio che dà sulla strada. Quasi tre metri di altezza. Ora mi fa male una gamba. Per evitare che le guardie, dalle garitte sui muri di recinzione mi sparassero, sono corso qui. La porta era aperta e sono entrato, salendo le scale”.
“Sto scrivendo il programma di terza media per gli esami delle persone che vengono qui a scuola serale. Non ho l’automobile. Avevo una Fiat 500, ma ho dovuto darla allo sfasciacarrozze. Alcuni ragazzi, una sera, se ne sono impossessati e sono andati a sbattere contro un albero”.

Capisco di trovarmi di fronte ad un tipo particolare. Un detenuto intelligente e culturalmente interessato. Ha bisogno di parlare, di sfogarsi. Conosce molti libri. Dice di aver fatto un’altra evasione, a Fossano. C’era stata sparatoria, allora. Anche adesso avrebbe sparato, se qualche agente avesse tentato di ostacolargli la fuga. Ma tutto è andato liscio. Senza guai. Finora. Mi viene da pensare a Papillon. Ma anche a Jean Valjean. In questa casa parrocchiale, da quando ci sono io, altri ex detenuti sono rimasti qui, per qualche tempo, prima di tornare nei paesi d’origine, dopo aver scontato la pena. Un calabrese, condannato per omicidio, vi rimase una settimana. Veniva a scuola serale e commentavamo le pagine del romanzo di Victor Hugo, I Miserabili. Un breve passo del romanzo stava scritto a mano su un poster, attaccato alla porta. Ma l’evaso non era riuscito a leggerlo, per la fretta di entrare. Sono le parole che Victor Hugo pone sulla bocca del vescovo mons. Benvenuto Myriel, accogliendo l’ex-detenuto Jean Valjean: “Questa casa non è mia, ma di Gesù Cristo e la sua porta non domanda mai il nome a chi la varca, ma se ha un dolore. Che bisogno ho io di sapere il vostro nome? Prima ancora che me lo diceste, ne avevate già uno che io conoscevo… vi chiamate mio fratello”.

Tra me e il detenuto si instaura un colloquio pacato, sottovoce, fraterno. Mi dice che si chiama Horst Fantazzini, e che la stampa lo soprannomina “rapinatore gentile”, “rapinatore solitario”. Mi fa notare il busto ortopedico, un’ingessatura, e mi dice che proprio nell’ingessatura aveva tenuto nascosto la pistola. Parliamo dell’istituzione carceraria, dei suoi metodi antiquati e spersonalizzanti, della sua incapacità di realizzare le finalità previste dalla Carta Costituzionale. Ad un tratto, un rumore. Lo spostamento di reti metalliche. È la donna di servizio che si occupa della pulizia delle stanze dove dormono alcuni operai della FIAT. Dopo quel 9 maggio mai più operai avranno il coraggio di chiedere ospitalità nella casa parrocchiale! Avendo riconosciuto che si trattava della lavoratrice domestica, Francesca, una vedova di 55 anni con sei figli, la chiamo ad alta voce. Vedo girare la maniglia della porta e sposto leggermente il tavolo. La donna, vedendo l’uomo con la pistola, rimane allibita e si allontana in fretta giù per le scale. Constatando che non arriva nessuno, l’evaso mi chiede di trovargli un nascondiglio. Lo aiuto a salire sulla soffitta. Ma prima mi abbraccia, mi bacia, mi chiede di non tradirlo, vincolando la mia coscienza di prete e dichiarando che altrimenti avrebbe sparato o si sarebbe ammazzato.

Chiusa la botola, inizia la seconda parte del mio dramma. La più sconvolgente e traumatizzante. Mi reco in casa della donna di servizio per sapere come stava e per chiederle se c’erano operai che dormivano. Rassicuratomi, mi dirigo verso il Posto Telefonico Pubblico. Nel breve tragitto, circa trecento metri, vedo parecchie guardie che circolano con le armi in pugno. Sono profondamente consapevole della mia responsabilità nell’evitare a tutti i costi ogni spargimento di sangue. A venti metri dalla casa parrocchiale c’è l’asilo infantile. Una decina di bambini! A cinquanta metri, una costruzione per abitazioni popolari. Ho bisogno di aiuto e, soprattutto, ho bisogno di “personale qualificato”, per trovare la soluzione. So che nell’ambiente carcerario, in caso di evasione, è facile che si perda la testa e che si rischi di precipitare nel caos. Ricordo le considerazioni di Giulio Salierno, riportate nel libro La spirale della violenza: “Innanzitutto, togliere dalla mente dei direttori (e di tutto il personale dipendente) l’incubo dell’evasione. È una patente assurdità voler conciliare la rieducazione del condannato con la responsabilità penale (non consideriamo ora quella amministrativa) gravante sulle spalle dei funzionari (e degli agenti) preposti alla custodia, nell’ipotesi di una fuga”.

Sconvolto, tremante per il pericolo di vita superato, con una strana, paradossale sensazione che l’evasione rientrasse in un criminoso disegno per la mia eliminazione fisica o morale, penso subito di telefonare al medico del carcere, Alfonso De Deo.  Una persona qualificata, esperta, sensibile ai problemi umani dei detenuti. Ma, sfortunatamente, il medico non è in casa. Una speranza delusa. Compongo subito il numero telefonico del cappellano del carcere, don Antonio Di Nello. Gli espongo il caso, coinvolgendolo nella sua qualità di Assistente spirituale della Casa penale e vincolandolo telefonicamente al segreto confessionale. Il nuovo Regolamento Penitenziario, approvato dal Senato il 18 dicembre 1973, ratificato in seguito dalla Camera, accentua gli aspetti umani e psicologici della detenzione, dando un posto di rilievo al personale con compiti morali e sociali (art. 4). Tenuto conto della eccezionalità della situazione ed essendomi formato un giudizio articolato e complesso, sia pure affrettato ma sostanzialmente positivo su Horst Fantazzini, ritengo opportuno rivolgermi primariamente al medico e al cappellano, figure collaterali dell’istituzione carceraria, piuttosto che alla forza pubblica. Consapevole che l’intervento d’urto e massiccio della forza pubblica, tra l’altro non ancora presente in loco, se non con pochi agenti di polizia penitenziaria, non avrebbe evitato spargimento di sangue e si sarebbe incorso nel plausibile rischio della tragedia.

Il cappellano, comunque, non si sentì obbligato al rispetto del segreto confessionale, al quale lo avevo coinvolto telefonicamente, ritenendolo non valido a causa dello choc e dell’inquietudine in cui mi trovavo. Lo avevo pregato di venire subito, ma preferì avvertire la polizia penitenziaria, svelando il luogo dove era nascosto l’evaso. Don Antonio mi aveva consigliato di lasciar fare alla forza pubblica e di recarmi a casa sua. Non mi sembrava la soluzione migliore per risolvere il caso. Nel ripercorrere indietro il tratto di strada, vedo la casa parrocchiale circondata da agenti della polizia penitenziaria armati. E subito dopo l’arrivo delle camionette dei carabinieri. Cerco di rientrare in casa. Penso che sarebbe meglio consegnarmi come ostaggio all’evaso, per evitare spargimento di sangue. Fantazzini è armato e non teme di ingaggiare una sparatoria con le forze armate. L’ha già fatto e lo rifarebbe. Personalmente mi sento disposto a morire, pur di evitare la strage. Nell’inoltrarmi in casa, vengo trattenuto dagli agenti. Lo stress e la tensione hanno raggiunto il limite della sopportabilità. Mi vengono meno le forze. Moralmente sono a pezzi. Accompagnato presso l’abitazione di una famiglia amica, mi offrono del cognac. Non ricordo se sono svenuto. Dopo alcuni minuti di relax psico-fisico, cerco di recuperare la lucidità. Mi invitano a restare in casa, ma avverto terribilmente la gravità della situazione. Preferisco la mia morte, piuttosto che quella di altre persone.

Riprendo coraggio. Vado dal capitano dei carabinieri, Bonfanti. Mi oppongo alle minacce di far saltare la casa o di gettarvi bombe lacrimogene. Non permetterei che si verificasse una sparatoria nella casa parrocchiale, senza tentare di evitarla ad ogni costo. Si tratta di una specie di luogo sacro. Nel Diritto Ecclesiastico l’istituzione del “diritto d’asilo” proveniva dallo spirito di accoglienza e di carità da parte della Chiesa, fondato sulla ricerca di pentimento e di rifiuto della violenza (Codex Juris Canonici, can.1179; Concordato art. 9). L’evasione di un detenuto dal carcere non può essere posta sullo stesso piano della fuga di un leone dal serraglio. Il detenuto è sempre un uomo. Un essere recuperabile alla razionalità e alla riflessione. Anche se un uomo, braccato e minacciato, rischia di diventare peggiore di una belva. In una società culturalmente e socialmente avanzata dovrebbero crollare pregiudizi e stereotipi. Come quello di “detenuto” o di “carcere”, intesi spesso come valvole di sfogo o capri espiatori dei mali della società. Per di più, Horst era armato e avrebbe cercato di sparare, come d’altronde aveva già fatto nella precedente evasione. Assumo personalmente l’iniziativa di salire in casa, accompagnato dal capitano dei carabinieri e da un agente della polizia penitenziaria. Mi avvicino sotto la botola della soffitta. Chiamo l’evaso, senza ricordarne bene il nome tedesco:
“Horst, non sono stato io a tradirti. Ti hanno visto ed ora la casa è circondata”.

Cercavo di conservare la sua fiducia, di mantenere la captatio benevolentiae. Alla sua risposta ho un sospiro di sollievo. Mi accorgo che è sereno, calmo. Dice che vuole dialogare con i magistrati. Non ha intenzione di fare resistenza o di usare violenza. Inizia così un colloquio tra me e lui, tra lui e il capitano dei carabinieri. Nel frattempo le guardie e qualche tiratore scelto si dispongono lungo la scalinata con le armi puntate verso la botola. Parlo, parlo, parlo. Cerco di non dare spazio ai momenti di silenzio per non permettergli di tramare qualcosa di grave verso se stesso o verso gli altri. La mia angoscia si trasforma in euforia verbale. Intuisco che la situazione volge al meglio. Arrivano il giudice, il medico, il cappellano, e dopo alcune ore Horst Fantazzini consegna l’arma nelle mani del giudice e ottiene di essere trasferito nel carcere di Perugiaquel giorno stesso. Intanto col telegiornale delle tredici, qualche ora prima che l’evasione si concludesse, la notizia corre di casa in casa. Perfino il papa, Paolo VI, trovandosi in riunione con i vescovi italiani e apprendendo che l’evaso si era rifugiato nella casa parrocchiale di Badia di Sulmona, aveva cercato di informarsi sull’accaduto. Fortunatamente l’evasione si concluse senza spargimento di sangue. Purtroppo, quello stesso giorno, giovedì 9 maggio 1974, alle ore 9.50, nelle carceri di Alessandria, in Piemonte, si era verificato un tentativo di evasione che, dopo 32 ore, alle 17.10 di venerdì 10 maggio 1974, si concluse con un tragico epilogo: 7 morti (5 ostaggi e 2 detenuti) e 16 feriti.

Il 15 gennaio 1976, mi reco al Palazzo di Giustizia di Sulmona, davanti al procuratore che mi interroga sui fatti. Mi dà innanzitutto lettura del verbale, da me redatto e sottoscritto subito dopo i fatti, nella caserma dei carabinieri di Sulmona e rispondo che ri-sottoscrivo tutto quanto già dichiarato. Il procuratore mi assicura il non luogo a procedere nei miei confronti. Parliamo di politica in generale perché avevo con me il primo numero, appena uscito quel giorno, del nuovo quotidiano “la Repubblica”. Ci salutammo amichevolmente. Così ebbe termine il mio processo. Poco tempo prima, avevo ricevuto, una lettera di Horst Fantazzini, dal carcere di Lecce.  Eccola integralmente:

«Carissimo don Mario, ti sorprenderai senz’altro ricevere una lettera da me dopo un così lungo silenzio, ma il fatto è che oggi ho ricevuto una comunicazione giudiziaria per i fatti dell’anno scorso ed ho visto con sorpresa che tu sei imputato con me. Dico con sorpresa perché quando l’anno scorso fui interrogato dal procuratore, trassi l’impressione ch’egli s’era convinto della tua buona fede. Probabilmente, quindi, dovrai subire anche tu il processo e t’assicuro che di tutta quella vicenda ciò che maggiormente m’addolora sono i guai che ho causati a te. Come vedi, caro Mario, le nostre leggi vengono applicate con principi ferreamente meccanici che scattano automaticamente senza tenere minimamente in considerazione le motivazioni umane che sono all’origine d’azioni considerate reati. Tu sei imputato verso l’art. 378 C.P. Non ho un codice qui con me, ma immagino che si tratti di favoreggiamento. E’ indubbio che esaminando le cose formalmente, il favoreggiamento c’è perché tu, una volta fuori pericolo, avresti dovuto denunciarmi. Per legge un uomo può essere minacciato da un’arma, ma non dalla propria coscienza. Eppure io ho fatto mettere a verbale dal procuratore che t’avevo minacciato d’uccidermi o di farmi uccidere se tu avessi denunciato la mia presenza nella tua casa, creandoti così un grave problema di coscienza. Evidentemente il procuratore che ha condotto l’istruttoria non ha voluto confrontare la fredda realtà d’un articolo del codice con la calda presenza d’un problema di coscienza improntato ad umanità, preferendo rinviare la decisione ad un tribunale. Caro don Mario, nessun tribunale potrà condannarti, però il fatto che tu debba essere inquisito e giudicato per causa mia è una cosa che m’addolora moltissimo. Caro Mario prima d’ogni cosa fammi sapere se disponi d’un avvocato. Il mio, più che un avvocato, è un amico, e sarebbe sicuramente felice di difendere te piuttosto che me a questo processo. Sono certo che gli interesserebbe moltissimo, difendendoti, sviluppare innanzi ai giudici il concetto della lotta fra dovere morale e dovere civile che può verificarsi in un sacerdote che viene a trovarsi in una situazione come quella in cui ti sei trovato tu quel giorno. Fammi sapere il tuo parere in proposito e non fare complimenti: se il mio avvocato difenderà te io sarò difeso da un suo collega. Carissimo Mario, da allora ho pensato molto spesso a te, credo che non ti dimenticherò mai. Avrei voluto scriverti ma non l’ho fatto perché compresi che il procuratore era convinto che io e te ci conoscessimo da tempo. Gli era incomprensibile che tra un delinquente e un prete potesse crearsi, in momenti drammatici come quelli, una corrente fatta di simpatia, solidarietà, calore umano. Per questo non ti ho mai scritto. Ora da circa un mese la censura sulla corrispondenza è abolita e questo decreto di citazione mi ha spinto a scriverti. Mario, se ti fa piacere, se ritieni che questo rapporto potrebbe arricchirci entrambi, scrivimi. Io ho di te un ricordo bellissimo e io, che non sono credente, vorrei che ce ne fossero tanti di preti come te, sacerdoti che, più che per la bellezza dell’aldilà, sono disposti a battersi affinché il contenuto sociale presente nell’insegnamento del Cristo possa realizzarsi nell’esistenza terrena d’ogni creatura umana. Ciao, Mario. Non volermene troppo per le seccature che ti ho causate. T’abbraccio fraternamente, Horst.
P.S. Le gambe si sono aggiustate perfettamente».

Horst Fantazzini è morto in una caserma dei carabinieri, a Bologna, all’età di 62 anni, dopo essere stato catturato per l’ennesima rapina a mano armata, spesso con una pistola giocattolo, in una Banca. 


Da Gomorra al dream pop, Da Blonde pubblica il primo disco solista "Parlo ai cani"

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Parlo ai cani” è il titolo del nuovo EP della cantautrice napoletana Da Blondedisponibile in tutte le piattaforme digitali da venerdì 8 maggio, pubblicato da Octopus Records.

Dopo numerose collaborazioni con i rapper della scena partenopea a nazionale, la partecipazione alla colonna sonora della terza stagione di Gomorra con il brano “Sensibile”, ora Da Blonde ha deciso di voltare pagina. “Volevo realizzare questo progetto da anni, volevo semplicemente che le mie canzoni mi rappresentassero”. Con queste parole Da Blonde descrive la forte esigenza artistica che l’ha portata, finalmente, a realizzare il primo lavoro completamente solista composto da otto tracce.
Un disco melodicointrospettivointimo e sincero, essenziale negli arrangiamenti, lineare nelle produzioni ma emozionale e diretto. Un dream pop che flirta con il rock, dove le chitarre rincorrono linee vocali sensuali e graffianti. In questo viaggio dal mondo urban al pop rock è stata accompagnata dal produttore e chitarrista napoletano Giuseppe Fontanella, già membro dei 24 Grana. “Fare musica per me è come una terapia, mi aiuta ad accettare la realtà, avevo semplicemente voglia e bisogno di scrivere quello che sentivo senza che per forza qualcuno dovesse dirmi quanto andasse bene o meno”.
Atmosfere malinconiche, anche cupe e riflessive fanno da sfondo a testi che parlando della sua vita, delle esperienze di questi anni, dei suoi pensieri così come li sente nel profondo, senza forzature, senza dover per forza trovare la parola più accattivante.
Ma la grande novità con il passato risiede anche nella scrittura, dove prima veniva realizzata su beat preesistenti, mentre per il nuovo corso tutte le composizioni sono partite da sessioni di piano e voce.  “Volevo che fosse essenziale, che la gente potesse conoscermi semplicemente ascoltandomi, il mio intento era realizzare qualcosa che emozionasse me per prima, e che somigliasse alle cose che mi hanno sempre fatto appassionare”.

ULTIMO VIDEOCLIP “ABBAI”

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LUDOVICO EINAUDI: 12 SONGS FROM HOME, UNA SPECIALE RACCOLTA IN FORMATO DIGITALE

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Ludovico Einaudi pubblica oggi, 8 maggio 2020, una speciale raccolta di 12 tracce, "12 Songs From Home", disponibile solo in formato digitale su Decca Records e che presenta la copertina disegnata dal compositore stesso.
Registrata a casa sul suo pianoforte verticale durante il lockdown, questa pubblicazione arriva dopo una serie di live streams che sono stati visti da migliaia di persone sulla sua pagina Instagram.
Einaudi afferma “Ho registrato 12 Song From Home tra marzo ed aprile 2020.  A marzo ho cominciato a suonare regolarmente sui miei canali social dei concerti. Accendere il telefono per connettermi con il resto mondo per 30-40 minuti è stata un'alternativa intima al tour primaverile che purtroppo ho dovuto rimandare. Questo album rappresenta un ricordo di questi concerti a casa, il mio ricordo di questo periodo, di un'atmosfera strana e nuova che difficilmente dimenticheremo”.

Lo scorso marzo Einaudi ha pubblicato un video "At Home" per Greenpeace sulla sua pagina ufficiale Facebook, dedicata ai suoi fan, a quelli "che rimangono a casa per combattere l'emergenza sanitaria" e a quelli che continuano a fare campagna per agire sui cambiamenti climatici Intorno al mondo. Da allora questo video ha raggiunto oltre 250.000 visualizzazioni
Dopo l'enorme successo delle sue auto-trasmissioni, Einaudi si è sentito ispirato e pronto a registrare questo speciale set sul suo iPhone. Contiene alcuni dei lavori più noti della carriera di Einaudi tra cui "Nuvole Bianche" del 2004, "Ascent" dal suo gigantesco progetto Seven Days Walking uscito lo scorso anno e "Elegy for the Arctic", pubblicato nel 2018 per porre in evidenza la campagna di Greenpeace sui cambiamenti climatici.
L'uscita è disponibile dall’8 maggio sulle piattaforme digitali di streaming e download.
© Ray Tarantino

Tracklist
  1. A Sense of Symmetry
  2. Oltremare
  3. Berlin Song
  4. Tu Sei
  5. Elegy for the Arctic
  6. Ascent
  7. Gravity
  8. Nuvole Bianche
  9. Le Onde
  10. High Heels
  11. The Earth Prelude
  12. Walk

FRANCO PEZZETTI: uscito il nuovo singolo "IMMAGINA"

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Disponibile sulle piattaforme digitali e negli store “IMMAGINA” (etichetta VIVIR MUSIC RECORDS), il nuovo singolo di FRANCO PEZZETTI, che nasce dalla collaborazione con Angelica Fusè e Silvano Fossati. Il brano, accompagnato da un videoclip farà parte di un album contenente una raccolta di canzoni  scritte durante gli anni.

«L’intenzione del pezzo è quella di fare il punto sulla speranza di poter vivere, in maniera pulita e senza pregiudizio i rapporti umani, mantenendo la libertà fisica e di opinione, senza cadere nei pregiudizi, che la società impone attraverso gli schemi preconfigurati del conformismo, con la curiosità di un bambino e la saggezza di chi ha vissuto le varie fasi della vita tra alti e bassi ma conservando la voglia di andare ancora oltre come in un sogno dove tutto può essere perfetto», commenta il cantautore.

Un brano riflessivo, intimo dove i concetti enunciati dallo stesso Franco Pezzetti sono accompagnati da un sound acustico di facile e piacevole ascolto, volutamente aperto e con una presenza forte per enfatizzare il concetto di riflessione intima, quasi un sussurro per chi abbia la sensibilità di entrare in uno spazio illimitato dove collocare i propri sentimenti e le proprie emozioni.

Franco Pezzetti è un cantautore originario di un piccolo paese della bassa cremasca in provincia di Cremona.
Fin da ragazzo coltiva la passione per la musica e la scrittura del saggista e scrittore francese Marcel Proust al quale si ispira e di cui apprezza la particolare attenzione nella descrizione del vissuto e dei sentimenti umani nel realizzare i brani.
Attraverso studi privati e da autodidatta ottiene negli anni ottanta l’ammissione ai registri SIAE come autore e compositore di musica leggera.
Collabora a diversi progetti con artisti del parterre musicale tra i quali Stefano Cerri, i fratelli CarusoMax ZaccaroAngelo ZuterniLuca VerdeRaffaele ChecchiaRiccardo MaffoniAmbra MarieRoberto GiribaldiLuciano FavarinGiorgio CocoClaudio MorselliGiuseppe DAVILuisa CornaPaul NajSteve WoodJessica MorlacchiSilvano FossatiAngelica Fusè e molti altri, facendo anche produzioni per Warner come partner esterno. 
Nel corso della propria attività viene coinvolto in svariati progetti come autore, compositore, produttore; tra le più recenti collaborazioni l’album “Non si vive in silenzio” (L. Corna), “Latido de amor” (G.DAVI).

Dopo anni di  lavoro, nel corso del 2020 il cantautore presenterà alcuni brani intimi nati dalle collaborazioni coltivate nel tempo ponendo le basi per la realizzazione di una raccolta che si completerà strada facendo nel corso dei prossimi mesi a conclusione di una fase della propria esperienza professionale.


comunicazione e promozione RECmedia

MAKY FERRARI: esce venerdì 8 maggio il nuovo singolo "LATTE E BISCOTTI"

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Da venerdì 8 maggio in rotazione radiofonica e sulle piattaforme digitali “LATTE E BISCOTTI”, il nuovo singolo di MAKY FERRARI. Il brano scritto dal produttore discografico Diego Calvetti e da Giulio Iozzi, che hanno curato anche l'arrangiamento, insieme ad Alessandro Secci, è stato registrato presso il “Platinum Studio” di S. Gimignano in Toscana (SI) e prodotto dall’etichetta indipendente “Musica è Production” di Mimmo Mignogna (TA).

«Latte e biscotti è un brano cucito addosso a Maky; rappresenta la quotidianità moderna, nel bello e nel brutto di un amore tira e molla, un amore un po' statico e un po' eccitante. - commenta Diego Calvetti, autore della canzone - E' lo specchio di alcune domeniche milanesi, tra l'apatia e la voglia di stare insieme sul divano di casa per godersi la tranquillità senza porsi troppo il problema di cosa succede fuori. Maky interpreta magistralmente il brano, con ironia e carattere».

A proposito del nuovo singolo, Maky Ferrari racconta: «Ricordo che appena finii di ascoltare l’audio WhatsApp con il ritornello di “Latte e Biscotti”, già lo cantavo e non riuscivo a togliermelo dalla testa. La sensazione di spensieratezza e buonumore che mi procurava, mi faceva stare bene. Per questo motivo ho scelto di interpretarlo, per regalare a tutti quelli che lo ascolteranno qualche minuto di gioia e positività: se hai avuto una giornata pesante, ti tira su il morale! Rappresenta la versione di me più divertente ed ironica».

Il videoclip diretto da Angelo Cascione è stato girato a San Pietro Vernotico, in provincia di Brindisi.
«Creato con un grande team, in tempi veramente stretti, puntando su una tavolozza di colori pastello ed un mood molto pop. Ispirato alle note e al testo della canzone, il video rappresenta lo stato d'animo dell'artista, fiabesco e simpatico. - afferma il regista - La protagonista guarda la televisione mentre mangia i biscotti seduta sul suo divano in una domenica noiosa, danza, fa cyclette, passa l'aspirapolvere facendo passare il tempo mentre aspetta l’uomo dei suoi sogni».

Maria Chiara Ferrari in arte Maky Ferrari – nasce il 10 gennaio 1988. Già da piccolissima mostra interesse verso la musica. A soli 5 anni inizia a studiare pianoforte classico con il maestro Lorena Renna fino al 1998, l’anno dopo si iscrive ad un corso di danza classica-hip hop-jazz che frequenta fino al 2001. Scopre le sue potenzialità canore cantando nel coro parrocchiale, dove il papà suona l’organo. Ed è proprio lui, Carmelino Ferrari che le fa muovere i primi passi da cantante dandole modo di esibirsi con lui nei locali. Si diploma in Ragioneria presso l’ITC A. Olivetti di Lecce nel 2007.
Sviluppa e perfeziona le sue doti canore facendo numerose esperienze di musica dal vivo  grazie al supporto del maestro Nando Mancarella. Vincitrice di svariati concorsi canori salentini e nazionali.
Dal 2008 al 2015 collabora come corista con l'Orchestra Terra d'Otranto diretta dal M° Antonio Palazzo per le trasmissioni Rai, Premio Barocco (Gallipoli/Lecce) e Oscar Tv-Premio Regia televisiva (Teatro Ariston, Sanremo), con l’Orchestra Kallistos per il Premio Kallistos (Alliste) e il concerto di Franco Simone (Acquarica del Capo), con l’Orchestra del Mediterraneo per il Premio Casaranello (Casarano). Dal 2008 al 2010 collabora come vocalist al Locomotive Percussion Project con artisti del calibro di Giovanni ImparatoAprès La ClasseRoy Paci per diverse edizioni del Locomotive Jazz Festival (Sogliano Cavour). Nel 2010 registra come corista per Al Bano Carrisi la sigla del programma radiofonico di Alfonso Signorini in onda su Radio Monte Carlo, diversi suoi album ed i cori per l'artista greco Giannis Ploutarxos nell' album “Dio fones mia psihi”, che lo stesso ha realizzato con Al Bano Carrisi. Nel 2015 collabora come corista per Jean Michel ByronAida CooperRicky Portera ed Iskra Menarini nell’ambito della manifestazione “Quelli della Frisa & Friends” (Alezio – LE) e per Nello Daniele ed Audio2 ospiti della XVII edizione del Premio Battisti (Nardò – LE).
Nel 2008 si esibisce al Festival eco-culturale presso il comune di Aghnanta in Grecia. In occasione del Premio Mia Martini 2009 Nuove Proposte per l'Europa, tenutosi a Bagnara Calabra (RC), riceve il Premio Speciale Presenza Scenica con il brano “La mia inquietudine”. Nello stesso anno partecipa alla trasmissione televisiva I Raccomandati su Rai 1 condotta da Pupo, esibendosi con Aleandro Baldi e Francesca Alotta. Nel 2010 guadagna la semifinale al Festival di Castrocaro Terme (Castrocaro). Partecipa alle selezioni per Sanremo Social 2012 con il brano “Se vuoi se puoi” riscuotendo critiche positive da parte degli autori di molteplici recensioni delle canzoni in gara. Al Festival Show 2012 si classifica tra i primi 45. Apre come solista le edizioni del 2013 e del 2014 del Premio Barocco al Teatro Italia di Gallipoli supportata dal coro “Arca del blues” e la voce di Giorgio Mancarella. Nel 2015 è ospite alla manifestazione “Miss Progress International 2015” condotta da Angelo Mellone e Justine Mattera – Leuca (LE).
Partecipa in qualità di giuria tecnica a svariati concorsi e festival pugliesi tra i quali “Festival del Negramaro” – Cellino S. Marco, “Un, due, tre…stelle” – S. Pancrazio Salentino, “10^ edizione del talent Jujebox” – Oria.  Organizza festival, concorsi, masterclass ed eventi locali, tra cui: “Selezione provinciale del Premio Barocco Giovani” - Brindisi, “Festival del Negroamaro” - Cellino San Marco, “Kaledda Total White” serata a tema all’ insegna della musica e dell’ enogastronomia - S. Pietro Vernotico e Sogliano Cavour, “Action Singing – laboratorio di canto ed improvvisazione vocale” a cura della docente di canto jazz Cinzia Eramo – Marina di Casalabate (LE), “Fontanelle in Festival” concorso canoro (Ostuni – BR), “Art Piano Fashion” serata all’insegna della moda, della musica e dell’arte.
Dal 2008 al 2011 frequenta il triennio sperimentale in canto jazz, solfeggio e pianoforte complementare al conservatorio G. Paisiello di Taranto studiando con il maestro e musicista Mario Rosini. Nel 2016 si laurea in canto Jazz presso il conservatorio Tito Schipa di Lecce con la votazione 110 e lode.
Nel 2008 partecipa al MasterClass in canto Jazz tenuto da Sheila Jordan al Locomotive Jazz Festival (Sogliano C., Le). Nell’aprile 2012 partecipa al MasterClass “Vocal Jazz Concept” tenuto da Gegè Telesforo (Gioia del Colle - BA), nel 2014 al “Workshop Band Leading tenuto dal M° Bob Stoloff” – Soleto (LE) e nel 2015 al Master di alto perfezionamento di canto Vocalist in TV – La Maestà Eventi srl – Sannicola (LE). Nel 2017 partecipa al corso “ORFF-SCHULWERK – creatività di gruppo e percorsi artistici integrati” tenuto dai M° Barbara Haselbach e Andrea Sangiorgio presso l’International School of Bergamo (BG).
Dal 2010 al 2015 è docente dei corsi di musica per bambini ed adulti presso le associazioni musico-culturali: Settima Più (Felline – LE), Centro Studi The Best (Taviano – LE), Accademia di Musica Moderna (Maglie – LE), Dance Forever Academy (Castromediano – LE). Dal 2013 al 2015 collabora nel progetto “Musica dal Corpo” promosso dall’associazione KaleddaMusica presso gli istituti scolastici comprensivi di S. Pietro Vernotico – BR e Specchia – LE. Nell’anno scolastico 2015/2016 è esperto musicale esterno per il progetto “Musica dal Corpo 2” promosso dall’associazione KaleddaMusica presso gli istituti scolastici comprensivi di Specchia – LE e Castrignano di Greci – LE. Nell’anno scolastico 2016/2017 è esperto musicale esterno per i progetti “Musico-Teatrale e dei linguaggi espressivi” e “Potenziamento sensoriale e comunicazione attraverso la musica” presso l’istituto scolastico comprensivo di Carvico – BG. Nell’ anno scolastico 2017/2018 è docente di sostegno presso l’ ISISS “Carlo Anti” di Villafranca di Verona (VR) ed esperto musicale esterno per il progetto di canto corale “In…cantiamo” presso la scuola dell’infanzia paritaria “Maria Bambina” di Carvico (BG), docente del corso di canto e pianoforte complementare presso le scuole “Officina della Musica” di Bovolone (VR), “Epsilon” di Isola della scala (VR), “Kaleddamusica” sede di Carvico (BG).  Dal 2019 è docente di canto pop e jazz presso le scuole KALEDDA MUSICA (S. Pietro V.co/Corigliano D’ Otranto) e METROPOLIS MUSIC SCHOOL (Lecce).
Nel 2019 pubblica i brani “Ossessione” (prod Dj Dose Funk e Puni) e “Il passo giusto” (prod Dj Dose Funk).
Venerdì 8 maggio esce il nuovo singolo “Latte e biscotti”, scritto da Diego Calvetti con Giulio Iozzi e Alessandro Secci.


Comunicazione e promozione RECmedia

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