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Novelle Brevi di Sicilia di Andrea Giostra. La recensione di Fattitaliani: ogni racconto è un mondo nuovo

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di Sara Tacchi* - "Gli auguri di mia nonna ottantenne". Questa è la prima breve novella. E da qui tutto deve partire per comprendere Andrea Giostra, il suo mondo, il suo essere, la sua scrittura. È un inizio crudo, dissacrante. Ci si aspetterebbe un augurio tipico di una nonna. Invece si assiste a qualcosa di assolutamente inaspettato.
"Goditi la vita e le donne visto che sei un bel ragazzo.  E  quando sarai sazio trovati una donna molto bella e ricca così godersi dei suoi soldi e non dovrai lavorare. Fai tanti figli e occupati della famiglia così quando sarai vecchio non sarai solo. Solo così avrai goduto la vita e non rimpiangere nulla". A questo punto mi fermo. È un augurio delirante. Certo si evince un attaccamento alle proprie origini ma in che modo? Non è l'uomo ad occuparsi realmente della propria famiglia come vorrebbe la tradizione familiare in particolare del sud. Ma l'uomo che attraverso la donna si occupa della famiglia. È molto psicologico questo augurio. Mi ha bloccato. Da qui decidi se proseguire la lettura. Perché da qui se vai oltre il velo scopri  una scrittura vera, senza retorica, cruda. Giostra è dentro alle sue novelle. Allora prosegui con "agosto a Palermo" la novella successiva e scopri la Sicilia, maestosa, architettonica, aristocraticamente distaccata. Città imponente e decadente. L'autore con la sua scrittura non fa leggere le novelle, le fa sentire. Si sentono gli odori, i sapori, la graniticita' di questa terra. I personaggi sembrano caratteristi di un film. Poi improvvisamente la novella " la bigliettaia". Apparentemente un racconto similmente erotico ma che si rivela estremamente sensuale. Giostra ti rapisce senza darti modo di prendere fiato e ti trascina per tutto il racconto concedendoti di respirare solo alla fine. É una narrazione erotica precisa nella descrizione di questo corpo femminile e di come questo corpo dovrebbe essere avvicinato e preso. È intenso, dolore e piacere. Nulla viene trascurato.  E qui scopri un altro aspetto dell'autore."...lei s'infilò il vestitino nero...". Poi taglia di netto senza remore quest'eccitazione e prosegue riportandoti di nuovo  nella realtà siciliana. Come se gli piacesse questo darti e toglierti. È ritorna con la novella "doccia" secondo racconto sensuale in chiave più moderna semplicemente per l'utilizzo  di terminologie dei nostri giorni ma con la stessa intensità  della "bigliettaia". Scorci di vita vera raccontata attraverso queste novelle.  Giostra non descrive e basta. È perentorio. Ha forti radici, passione dell'uomo verso la femmina. È lui che descrive e quindi descrive anche una parte di sé.  Ogni racconto è un mondo nuovo. L'inizio è  talmente fluido, libero che si arriva alla fine rapiti. Giostra si concentra su particolari apparentemente insignificanti, ma come nella vita, sono questi  piccoli particolari non quelli visibili a tutti che contano. L'autore insegna al lettore cosa deve osservare. Uno sguardo ad una Sicilia assolutamente affascinante come una donna altera, di classe. E come una donna di classe quando entra in una stanza non fa fischiare ma crea silenzio, così Andrea Giostra mostra la sua magnifica Signora.

*influencer, scrittrice 3/09/2017
http://www.facebook.com/Sara.Tacchi.33?_nodl


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L'intervista canzonata, Silvia Salemi a Fattitaliani: la musica mi salva, mi culla, mi dà vita

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Protagonista oggi dell'Intervista canzonata di Fattitaliani è la cantante siciliana Silvia Salemi: fra i titoli utilizzati per le domande ci sono quelli delle canzoni di "23", il nuovissimo cd uscito a luglio, ma anche di brani che risalgono agli anni Novanta. Ecco l'intervista. 

Senza la musica, Silvia Salemi in che senso "Potrebbe essere" diversa da quello che è?
Senza la musica non so cosa "sarei". La musica mi salva, mi culla, mi dà vita. Come credo alla maggior parte degli esseri viventi. I suoni fanno parte della nostra vita da quando veniamo concepiti ... come "potrebbe essere" diversamente.????
Cantando oggi "A casa di Luca" provi sensazioni diverse rispetto a vent'anni fa?
Sì, certo. Oggi per me quella canzone è un punto fermo, un ricordo, un'emozione. Nel '97 ha portato un grande cambiamento di vita, oggi è parte della mia vita.
Quanto un momento/un periodo di "Silence" può essere produttivo per un artista?
Credo sia fondamentale alternare momenti di silenzio a momenti di rumorosa creatività perché l'anima ha bisogno di entrambe le cose per respirare aria nuova e riprendere il cammino. È un mio punto di vista ma credo possa essere applicabile a qualsiasi forma d'arte e di mestiere.
A quale "Credo" rimani sempre ancorata?
Il "Credo" più forte della  mia vita sono i valori che mi porto dentro e che non tradirei per niente al mondo. In primis ovviamente la stabilità affettiva e familiare.
Per ognuno esiste "Quel ricordo" felice o triste che torna in ogni occasione. Per te qual è?
Il mio ricordo triste che torna sempre non c'è. Ho una mente che dimentica. Mentre non riesco a "rimuovere" l'ansia del futuro. 
Ci descrivi "L'ultimo""Bellissimo viaggio" che hai fatto?
Sono due i viaggi del cuore. Nel '98 Tibet. Esperienza che mi ha cambiata, mi ha permesso di vedere davvero il mondo con altri occhi tanto che al ritorno ho messo tutto neri su bianco e ho inciso l'album  "Pathos". E poi il viaggio di nozze... Polinesia. Pane amore e fantasia... (ride, ndr).
"Le canzoni" che preferisci in assoluto quali sono? Le prime tre che ti vengono in mente...
Le mie canzoni e quelle di altri. Comunque per trovare la mia canzone del cuore basta scomodare Barry White, i Quenn o i Beatles ... miei grandi amori. 
Quali sono "Le cose importanti" e imprescindibili per Silvia Salemi?
Senza dubbio...la famiglia. La coscienza pulita. Vivere con il sorriso. O almeno provarci. 
In te "Quando il cuore" accelera i suoi "Battiti"...?
Adesso quando il cuore accelera i suoi battiti è un momento felice di musica e suoni... cioè sto prendendo in mano il microfono.
In quali momenti pensi di dare sempre "Tutto il meglio" di te come persona? e come artista?
Io credo di dare il meglio di me quando sono solare e pronta ad aiutare il prossimo e questo avviene spesso ma non sempre... a volte posso essere preoccupata e distratta e non mi accorgo di sbagliare, ma credo succeda a tutti: boh...
Come artista do il meglio quando sono sotto stress. Soprattutto dopo che ho sciolto il ghiaccio... allora canto a cuore aperto e mi godo anche l'emozione che è il privilegio del nostro lavoro. 
Come vivi ogni volta "Il ritorno" alle origini, in Sicilia?
Io torno in Sicilia spesso. Mi carico di tutto il bello ... e rivivo il mio mondo prezioso delle origini. Per me ogni viaggio in Sicilia è un viaggio di catarsi.
"L'arancia" potrebbe rappresentare la Sicilia, Siracusa...?
L'arancia è soprattutto la Sicilia, in quanto terra di succosa e abbondante bellezza. L'arancia per me è un viaggio in quello che sono e la Sicilia come l'arancia ha un valore identitario e simbolico fortissimo.
Ricordi una tipica "Domenica siciliana"?
Certo, la mia. Pranzo in famiglia con tutti. Passeggiata per le vie con il Santo in processione... fuochi d'artificio e colori della Festa. Il Paese che vive unito un giorno speciale... di tradizione irrinunciabile.
Una definizione di "Pathos"è la seguente: Capacità di suscitare un'intensa emozione e una totale partecipazione sul piano estetico o affettivo. C'è un'opera d'arte, uno spettacolo, un evento che te lo ha procurato in modo particolare?
Come dicevo prima la rispettosa eppure esuberante bellezza del Tibet.
C'è stato un particolare periodo in cui la tua vita era piuttosto "Caotica"? 
"Caotica" fino a 25 anni... successo, viaggi, lavoro tutto veloce... poi ho deciso di seguire l'istinto di avere una famiglia tutta mia e allora dal caos al cosmo... ordine.
"1 cosa è il sesso, 1 cosa è il cuore": sei d'accordo?
Oggi non più.  Per me coincidono. E se non coincidono ... non resto.
"Nel cuore delle donne" si trova/si sente qualcosa in più rispetto a quello degli uomini?
Nel cuore delle donne come nella testa delle donne è tutto più complicato. Noi siamo analitiche e tendiamo a spaccare il capello in due e questo ci rende la vita faticosa. Ma poi siamo anche sensibili e spassose... bisogna trovare il momento giusto  del mese... (ride, ndr).
A quale domanda risponderesti "Sì, forever"?
Oggi "sì, forever" a nessuno... l'ho già detto una volta.
Per una persona è "Impossibile non cambiare"?
Purtroppo è impossibile non cambiare. Tutto vive nel segno di una irreversibile evoluzione, nel bene e nel male. Credo solo non si possano cambiare le persone. Tutto il resto muta...
Qual è stato "Il primo volo" in senso metaforico che non dimenticherai mai?
Prima volta a scuola... non dimenticherò mai quel ciao detto alla mia mamma che andava via e io che entravo in fila per due.
Per fare la cantante quanto conta avere "Ostinazione"?
Ostinazione per riuscire in qualunque impresa. Ma solo se si ama davvero ciò che si fa sennò è condanna alla sofferenza. Perché chi la dura la vince ...
Giovanni Zambito
©Riproduzione riservata

Venezia74, Claudia Catalli torna con i CineCocktail. Ospite il 5 settembre Micaela Ramazzotti

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Da un po' di anni a questa parte, non c'è manifestazione cinematografica di prestigio che non faccia a gara per ospitare i CineCocktail di Claudia Catalli. E la 74esima edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia non poteva esserne da meno.
Il 5 settembre, infatti, torna per la sesta volta a Venezia Lido il format-live condotto dalla poliedrica giornalista romana con un appuntamento d'eccezione. Al centro dell'incontro il film-caso della Mostra d'Arte Cinematografica di quest'anno: Una famiglia del regista Sebastiano Riso che sarà ospite del CineCocktail insieme alla protagonista Micaela Ramazzotti.  "Che un format sia libero e indipendente va dimostrato costantemente, anche scegliendo autori e attori che hanno il coraggio e la voglia di puntare su storie e personaggi complessi e anticonvenzionali - sostiene Claudia Catalli - L'idea resta la stessa da sei anni: allargare il dibattito sul cinema, creare un momento di incontro collettivo aperto a tutti, artisti, critici e appassionati insieme, in un'atmosfera informale in cui non esistono celebrities. Esiste la voglia di condividere e confrontarsi in piena libertà, senza censure né vippismi, al di là degli schermi e degli schemi".
Appuntamento il 5 settembre alle ore 17.45 presso lo Spazio Fondazione Ente dello Spettacolo (Sala Tropicana 1, Hotel Excelsior - Lungomare Marconi, Venezia Lido).  Previsti Cocktail + Light Buffet a inizio incontro - Ingresso libero fino ad esaurimento posti. Il CineCocktail @ Venezia 2017 è reso possibile grazie a Cybex ed è in collaborazione con Fondazione Ente dello Spettacolo. Mediapartner: Cinematografo.it. a proposito di Cybex: fondata nel 2005 in Germania, l’azienda CYBEX sviluppa prodotti per neonati e bambini caratterizzati da sicurezza, innovazione e design. Il mondo CYBEX si caratterizza per il desiderio di pensare non soltanto a ciò che apparentemente sembra impensabile ma anche di realizzarlo. Tutto ciò trova espressione nell’innovativo principio CYBEX D.S.F. che mira a combinare Design unico, sicurezza ineguagliabile e funzionalità intelligente. CYBEX distribuisce seggiolini auto, marsupi e passeggini in oltre 100 paesi, impiegando oltre 300 collaboratori di talento in tutto il mondo. Per maggiori informazioni 
www.cybex-online.com .

Suburra, "7 Vizi Capitale" di Piotta è la sigla della serie

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"7 Vizi Capitale" di Piotta è il brano scelto come sigla di Suburra - La serie, prequel dell'omonimo film del 2015, a sua volta ispirato dal romanzo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini.
I primi due episodi della serie, prodotta in Italia da Netflix e presentati in anteprima alla 74ª Mostra del cinema di Venezia, hanno svelato la scelta del brano "7 Vizi Capitale", brano che racchiude perfettamente lo spirito di Suburra, con il suo testo rap sociale e allo stesso tempo struggente, racchiuso in un'atmosfera crepuscolare e malinconica.
La canzone è contenuta nel disco "Nemici", ultimo album di Piotta, che così commenta: "È un brano a cui tengo moltissimo, in linea con la mia recente produzione, soprattutto per le tematiche. Racconta la Roma di oggi, e non è un caso che sia così scuro, notturno, tagliente. Il punto non è solo pensare a chi ha ridotto Roma in questo stato, ma, chi sarà in grado di risollevarla. Accanto a me, per l'occasione, ho voluto gli amici de Il Muro del Canto, con l'inconfondibile voce di Daniele Coccia e la poesia di Alessandro Pieravanti. Sono davvero contento che una produzione così importante, e una firma quale quella di Michele Placido, abbiano colto appieno lo spessore di questo brano".    
La prima serie, composta di dieci episodi, sarà distribuita da Netflix dal 6 ottobre 2017. Per l'occasione, il 13 ottobre, uscirà una versione speciale dell' album "Nemici", nonché l'edizione limitata in vinile 7" pollici della sigla, con una copertina disegnata dallo street artist Diamond. Entrambi i dischi saranno pubblicati da La Grande Onda e distribuiti da Artist First.


La Jaguar verde

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Jaguar cj 4000 1968.

Le auto d'epoca sono una vera passione. Ricordi, eleganza , stile. Scenografia spettacolare verde scuro e interni pelle chiara. Ho voluto un outfit di contrasto ma che in realtà si abbina a questo gioiello. Minidress in pelle color nude come l'interno dell'auto.Sandali rossi per far risaltare il vestito e dargli un tocco di eccentricità sempre con stile. Un solo gioiello. Una collana lunghissima che si conclude a ventaglio rosso. Borsa total oro. Qualcuno mi ha regalato delle splendide rose. Particolare che ha completato questa scena cinematografica. 
SARA TACCHI

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        Instagram  saratacchii

La pedofilia nella Chiesa. Il libro "La perdono, padre" di Daniel Pittet e la prefazione di papa Francesco

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In realtà non si tratta di un libro, ma di una confessione in pubblico, espressa con la massima sincerità e la massima carità.
Il titolo è di per sé significativo, “La perdono, padre”. Daniel Pittet racconta la sua esperienza di stuprato, da quella prima volta avvenuta nel mese di luglio 1968, nel convento dei Cappuccini, dopo la celebrazione della Messa nella cattedrale di Friburgo. Il prete cappuccino si chiama Joёl Allaz. Il  ragazzo ha nove anni: “Mi ordina: tirati giù le mutande”. E subito è costretto ad una “fellatio”. Il rapporto durerà quattro anni. Ma saranno centocinquanta i bambini vittime di padre Allaz.
Il libro è d’una franchezza di linguaggio che sconvolge. E papa Francesco annota: “la testimonianza di Daniel Pittet è necessaria, preziosa e coraggiosa”. 
Con la pubblicazione di questo libro, la Chiesa cattolica apre le porte alla ricerca della verità e all’indagine statistica sul fenomeno della pedofilia tra le fila del clero, regolare e secolare. In America il problema ha creato enormi inconvenienti di carattere giuridico-economico. Perfino un film come “Spotlights” è una denuncia che ha posto freddamente  il dito sulla piaga. Purtroppo in Italia una inchiesta sul clero e sulle sue devianze sembra impossibile. Eppure problemi di pedofilia e casi di preti pedofili ce ne sono tanti. Anche clamorosi. 
Non si nasce pedofili, anche se a volte emergono tendenze innate o derivanti dall’infanzia, come nel caso del protagonista del libro di Pittet. Nell’incontro del 15 luglio 2016 col vescovo di Friburgo, di fronte alla domanda: “Che cosa, nella sua vicenda personale, l’ha portata a violentare così tanti bambini?”, padre Allaz risponde: “È la domanda fondamentale, la domanda che mi pongo incessantemente. Ancora oggi non lo so. Non ho risposte. Fin da ragazzino ho sentito in me una tendenza omosessuale…”
Si diventa pedofili nel corso della propria esistenza, spesso proprio a contatto con i ragazzi. La grande colpa dell’istituzione ecclesiastica è privare i giovani seminaristi della possibilità di scegliere altre vie. Ad ogni seminarista dovrebbe essere data la possibilità di acquisire un titolo di studio statale, per non trovarsi “sbandato”, qualora dovesse scegliere una vita laicale. Una alternativa concessa e suggerita per amore, come deve essere tra cristiani. Se già ordinato, un  giovane senza altra professione o titolo di studio   riconosciuto dallo Stato, non ha altra via che il sacerdozio come “professione”.  L’impossibilità di non poter essere liberi diventa schiavitù.  Si resta  prete come una condanna. Un prigioniero di se stesso. Con il peso enorme della crisi di coscienza che lacera interiormente, frutto d’una assurda fede-capestro.
Solo abolendo i seminari e tornando all’antica formula della formazione in itinere, o di piccole comunità tra preti, vescovi e seminaristi potrebbe essere eliminata la piaga della pedofilia. Un esperimento realizzato vari anni fa in Francia, a Lione, dal vescovo Ancel. Una rarità, purtroppo. Suggerimenti e proposte che già nel 1832 venivano esposti in un famoso libro, condannato, dal titolo “Le cinque piaghe della Chiesa”, scritto dal prete filosofo Antonio Rosmini.
Scrive Rosmini: “Nei primi secoli, la casa del vescovo era il seminario dei preti e dei diaconi”. Oggi il vescovo è prigioniero nel suo palazzo vescovile, come faceva notare già don Lorenzo Milani. Non esiste più vita comunitaria tra vescovo e preti. C’è solo un rapporto gerarchico, tra superiore e inferiore. Quanta distanza dall’esempio di Cristo: “Non vi chiamo più servi… ma amici” (Gv. 15.15).
La pedofilia, come fenomeno sociale, è antichissimo. Un problema mai risolto e sempre ricorrente. Anche oggi esistono ragazzi di strada e ragazzi di casa. Gli uni, i cosiddetti “marchettari”,  vendono il proprio corpo a clienti di passaggio, a prezzi ridotti. A questa prostituzione che potrebbe definirsi  “proletaria”, con caratteristiche di anonimato e di provvisorietà, si contrappone un’altra forma di prostituzione giovanile, detta dei “baby caramel”. Si tratta di ragazzi mantenuti da ricchi notabili, da vip dell’high society, da artisti, politici e diplomatici. Ragazzi che abitano in appartamenti lussuosi, come “amanti” a disposizione del loro protettore. Veri efebi,  che spesso hanno ricevuto una specifica educazione per il look: capelli ricci, viso trattato con latte detergente, occhi languidi. 
Un’inchiesta  accurata nel settore della prostituzione giovanile è estremamente difficile, per le difficoltà nello stabilire contatti con persone di questo genere. I giovani si rinchiudono nel loro mondo problematico ed è praticamente impossibile far emergere le contraddizioni che si annidano  negli ambienti della devianza. 
Gerardo Lutte, ex-salesiano e docente di pedagogia all’Università di Roma, oggi prete tra i giovani di strada in America Latina, sottolinea: “L’adolescenza è una condizione di emarginazione e di subordinazione imposta ad una classe d’età, i giovani, non già per il loro bene, bensì in funzione delle esigenze di una società che si sviluppa nel senso di una crescente ingiustizia ed inuguaglianza”. 
Mario Setta

Mario Setta, ha studiato e conseguita la licenza in Scienze Sociali alla Pontificia Università Gregoriana; si è laureato in Sociologia e Filosofia all’Università di Urbino; ha pubblicato articoli su “L’Osservatore Romano”; ha curato il libro sul periodo di vita a Scanno e in Abruzzo del Presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, “Il sentiero della Libertà, un libro della memoria con Carlo Azeglio Ciampi” (Laterza 2003); ha curato con Maria Rosaria La Morgia il libro “Terra di Libertà”. 

NICHI VENDOLA e il corto ARIANNA a Venezia74: "la transfobia ha fatto davvero male in Italia”

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“Viviamo in una giungla di discriminazioni, la transfobia ha fatto davvero male in Italia”

La denuncia di Nichi Vendola alla presentazione del cortometraggio Arianna (trailer) di David Ambrosini, Evento Speciale all'interno della 74. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia

“Viviamo in un conflitto, come se vivessimo schiacciati tra il ritorno del Medioevo e i valori della rivoluzione francese. Mai come oggi c'è una rivendicazione dei diritti individuali, ma mai come oggi si rischia di esserne privati”. Queste le parole di Nichi Vendola all’anteprima del cortometraggio Arianna di David Ambrosini, presentato oggi, 3 settembre, presso l’Italian Pavillion - Hotel Excelsior Venezia Lido come Evento Speciale all'interno della 74. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Il corto porta sul grande schermo “un’ordinaria” vicenda di discriminazione lavorativa nei confronti dei transessuali. 
“Ciascuna discriminazione è come un seme cattivo – ha proseguito Vendola nell’ambito dell’incontro moderato da Angela Prudenzi – Non si ha idea di quanto la transfobia abbia fatto male in Italia e faccia male anche a noi che ci priviamo della ricchezza di persone che hanno lottato più degli altri che preferiscono vivere in una campana di vetro. Ho amato il cortometraggio Arianna perché è militante, denuncia questa esclusione e dà un'indicazione sul percorso da compiere. La libertà e la dignità delle persone non possono essere fatte a fette. Dobbiamo trovare insieme il filo di Arianna”.

“Arianna è una persona che vuole semplicemente essere un avvocato – ha spiegato il regista David Ambrosini – Intorno a lei, una società che la rifiuta perché trans, con tutti gli stereotipi che purtroppo conosciamo”. 
Il protagonista Andrea Garofalo sottolinea come Arianna abbia tratto ispirazione da una storia vera, quella di Francesca Busdraghi. “L’ho conosciuta dopo che aveva fatto la transizione e lei pensava di finirla lì perché non riusciva a trovare un lavoro vero. Lei mi ha aiutato molto, girare nei panni di Arianna a Roma mi ha cambiato la prospettiva”. 
Stella Egitto, che nel corto interpreta Beatrice, la fedele amica di Arianna, punta l’attenzione sui numeri: “Andrea lo avevo conosciuto su un altro set, mi aveva parlato di questo progetto e lo abbiamo preparato davvero in fretta. Un'effettiva esperienza di discriminazione non l'ho mai avuta. Lavorando a questo corto, ho scoperto dei dati spaventosi – ha sottolineato – Il 45% delle persone transessuali ha visto respinta la propria candidatura sul lavoro a causa della propria identità sessuale. È inspiegabile, stiamo raccontando la storia di un persona che voleva farla finita”. 
Giampiero Judica parla così del suo ruolo di avvocato: "Mi diverte fare il cattivo, mi permette di fare nella finzione quello che non ho il coraggio di fare nella vita. Abbiamo cercato di dargli un po' di umanità ma in realtà alla fine non sono neanche il vero cattivo. Cerco sempre di difendere i miei personaggi, ma qui è difficile farlo".

Arianna di David Ambrosini è la storia di un fenomeno diffuso ma ancora poco noto: secondo una ricerca dell’Arcigay, il 45% delle persone transessuali ha visto respinta la propria candidatura per un posto di lavoro a causa della propria identità sessuale. Secondo alcuni dati raccolti negli Stati Uniti in una ricerca condotta da American Foundation for Suicide Prevention e dal Williams Institute, UCLA School of Law, il tasso dei tentati suicidi della popolazione transessuale è pari al 44%. Fra questi, il 53% ha dichiarato di averlo fatto dopo aver visto respinta la propria candidatura di lavoro. I numeri sono sconvolgenti, tuttavia Arianna intende lanciare un messaggio positivo: nonostante l’ennesima forte delusione, la protagonista troverà la forza per reinventarsi e ripartire, schierandosi al fianco di chi quotidianamente combatte contro qualsiasi forma di discriminazione. 

Arianna
di David Ambrosini, Italia, 2017, 13’
Con Andrea Garofalo, Stella Egitto, Giampiero Judica
Produzione: Associazione Culturale LA STRADA | Distribuzione: Caroline D'Andrea
Arianna, una giovane e brillante avvocatessa transessuale, è pronta per affrontare un colloquio che le permetterà di esercitare la professione che desidera. Dopo un lungo percorso di accettazione personale ora le manca solo un lavoro che le permetterebbe di essere indipendente e avere una vita normale.



Incubo primo giorno di lavoro, come tornare ad affrontare la routine: 10 consigli

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Il rilassante rumore delle onde, le passeggiate sui sentieri montani e i tour spensierati per le più belle città d’arte si sono trasformati in lunghe riunioni, appuntamenti con i clienti e tour de force per recuperare il lavoro arretrato. Le vacanze sono finite, e milioni di italiani si trovano sul posto di lavoro ma, con la testa, viaggiano ancora sugli itinerari agostani.
I pensieri si accavallano come le responsabilità, e l’angoscia di dover rincorrere clienti e scadenze rischia di far impazzire manager e impiegati di ogni livello. Si chiama “august blues”, una tristezza simile a quella che si prova la domenica sera quando sale l’angoscia da lunedì e l’impressione che il weekend sia stato molto più breve di quanto desiderato. Per non parlare dell’eventualità in cui qualcosa sia andato storto durante la vacanza o il week end: lo stress emotivo aumenta esponenzialmente.

Uno stato d’animo così definito da Stephen Ferrando, direttore di psichiatria al Westchester Medical Center, che chiama questa atmosfera malinconica "sunday blues", cioè la tristezza della domenica sera che segna la fine del weekend e anticipa l'inizio di una nuova intensa settimana. L'effetto dell'august blues non fa distinzioni d'età. Secondo la professoressa di psicologia alla Fordham University Rachel Annunziato infatti, sia i bambini sia gli adulti accusano, seppur per cause diverse, una sensazione di tristezza che caratterizza gli ultimi giorni dell'estate. Secondo Ferrando, infine, una delle cause che provocano questa malinconia estiva è l'avvertimento di un senso di colpa o insoddisfazione per non essere riusciti a "dare il massimo" durante l'estate, così come impongono alcuni stereotipi legati alle attività "estreme" da fare in questa stagione. 

Come fare, quindi, per ritrovare carica ed equilibrio e tornare a performare sul posto di lavoro? Lo svela Marina Osnaghi, prima Master Certified Coach in Italia: “Inizia settembre. Il rientro si avvicina. Affiorano pensieri quasi inevitabili come ‘ora torno e ricomincia tutto uguale a prima’ e ‘le vacanze diventeranno presto un lontano ricordo’, e se per caso avevi del lavoro arretrato che non hai svolto durante le vacanze, l’angoscia comincia sottile ed anche più forte ad impossessarsi di te. Sei in ritardo ed hai sprecato il tuo tempo. Per non parlare delle abitudini: forse in vacanza hai assaporato la libertà di fare cose per te stesso e ora temi che appena torni, tutto sarà come prima di staccare, e tornerai nel gorgo dei soliti comportamenti. In una strofa profetica della famosa canzone “The same old Blues”, Brian Ferry canta “It's the same old story, tell me where does it end?”, e mai frase fu più vera proprio alla fine dell’estate. Siamo vittime dell’august blues e nemmeno lo sappiamo. Esattamente come non ci rendiamo conto del processo che il nostro cervello vive ogni domenica sera quando deve elaborare il lutto della fine del week end ed iniziare la nuova settimana lavorativa”.

Che fare allora per potersi ‘sfilare’ da questo blues che appesantisce il cuore? Ecco il decalogo d’oro da seguire al rientro al lavoro stilato dalla master coach Marina Osnaghi:

1.    EVITA LA FISSITÀ DI PENSIERO.
Rimuginare sul rientro e sulla negatività che incontrerai nel soccombere alle vecchie abitudini è un potente stimolo per la tristezza e l’insoddisfazione.

2.    STABILISCI UN TEMPO PER TE OGNI GIORNO
Devi inserirlo in agenda, altrimenti non riuscirai a rispettarlo. Basta un quarto d’ora al giorno, anche se col tempo sarebbe ideale allungarlo fino ad almeno 30 minuti. Deve essere un’attività piacevole e solamente dedicata a te, qualcosa fuori dagli obblighi. A volte possono essere cose apparentemente banali, come leggere il giornale in santa pace con una bella tazza di caffè. 

3.    CAMBIA L’ABITUDINE DI MANGIARE IN PIEDI E DI CORSA
Il caffè o il tè, bevilo seduto e comodo: ti riporterà la testa all’atmosfera della vacanza. È fondamentale iniziare la giornata senza correre, prendendoti una pausa già da inizio giornata. Questo ristoro vale la pena di un quarto d’ora di sonno in meno la mattina. Offre al cervello un senso di rilassatezza, invece di farlo correre ancora prima di uscire di casa. Mangiare di fretta spostandosi continuamente costringe l’organismo a inviare il sangue agli organi in quel momento più impegnati, ovvero i muscoli delle gambe: un problema per la digestione. Infatti una quantità modesta di sangue operante nello stomaco diminuisce la disponibilità di succo gastrico e, di conseguenza, l’insorgere di difficoltà digestive.

4.    SEGUIRE I PRINCIPI DEL COACHING
Ognuno di noi ha una ‘Mission’ nel cuore, uno scopo che persegue a volte inconsapevolmente nella vita quotidiana. Chiediti: qual è il contributo che voglio dare col mio lavoro? Cosa tendo a realizzare nelle differenti situazioni? Come posso realizzare al meglio ciò a cui tendo?

5.    FOCALIZZA VALORI E LINEE GUID
Soprattutto quelle dei tuoi collaboratori, che molte volte non vengono veramente consapevolizzati, travolti dalla frenesia quotidiana. Rifletti su di te e su chi ti circonda in senso positivo e costruttivo.

6.    UTILIZZA GLI INDICATORI DELLE TUE REAZIONI 
Un indicatore molto utile lo trovi in quelle situazioni quotidiane che spesso ti infastidiscono, come mancanza di precisione, puntualità o dedizione da parte di qualcuno, problemi organizzativi cronici, incoerenza. Dietro al tuo fastidio potrebbe esserci un vero tesoro: trova il tuo valore, la buona ragione per cui ti infastidisci, ciò che persegui ed il modo in cui lo vorresti realizzato. Una volta che lo hai trovato, invece di combattere chi non lo rispetta, comincia a chiederti cosa potresti fare tu stesso per viverlo e realizzarlo meglio. Alcune domande potrebbero aiutarti: cosa mi infastidisce? Cosa vorrei realizzare di buono che non accade? Qual è il valore nascosto dietro al fastidio? Che comportamento applico per realizzarlo? Che comportamento nuovo mi serve per realizzarlo al meglio?

7.    COMINCIA A DIRE NO UNA VOLTA PER TUTTE
Apri le braccia a te stesso e smetti di voler subire. Non serve ribellarsi urlando, basta stabilire il proprio limite con tranquilla fermezza.

8.    RINUNCIA A SUBIRE SITUAZIONI CHE SI TRASCINANO DA TEMPO
Spesso sono favorite da abitudini che ti portano nei guai prima ancora che tu te ne accorga. Sono le vecchie abitudini distruttive che ci portano sempre nelle solite situazioni.

9.    SEI UN CAPO? ORGANIZZA RIUNIONI CON UN APPROCCIO COACHING
Sono sempre molto utili ad ottenere risultati efficaci su temi collegati al quotidiano e al gruppo. Per potenziare e trasformare situazioni e comportamenti valuta la qualità della collaborazione a favore degli obiettivi secondo fattori qualitativi e non solo quantitativi. Utilizza il feedback con i tuoi collaboratori e celebra i cicli intermedi, chiedendoti cosa è stato realizzato fin qui di positivo anche se la meta ancora non è raggiunta, e come sia possibile arrivare al traguardo con rinnovata energia. Infine applica la revisione dei processi che formano la sequenza di attività su cui i tuoi collaboratori devono misurarsi e lavorare insieme per arrivare alla meta senza confliggere inutilmente. Spesso ci sono accordi non chiariti che portano alla famosa ‘confusione’ di ruoli o ‘mancata comunicazione’.

10.  NEL WEEKEND METTITI IN VACANZA
Anche se devi svolgere delle commissioni, cerca di staccare sul serio. Ritrovando il gusto di stare con gli amici, la famiglia, i figli, senza vivere il tuo tempo come se fosse ‘rubato’ ai tuoi doveri o come se il tempo libero fosse un altro lavoro in cui dover fare cose. Quindi focalizza le cose essenziali e dedicati per prima cosa a quelle. Tutto il resto può attendere. Tu sei più importante, insieme a quelli che ami. 

Rai1, Dario Aita racconta "Piersanti Mattarella" per il ciclo "Nel nome del popolo italiano". L'intervista di Fattitaliani

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Intervista a Dario Aita. Stasera in seconda serata su Rai 1, va in onda il secondo appuntamento con il ciclo “Nel nome del popolo italiano” 4 docu-film da 60’, prodotti da Gloria Giorgianni per Anele con Rai Cinema e Rai Com, che racconta le vicende di quattro eroi nazionali: il giudice Vittorio Occorsio, il presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, il professor Marco Biagi, il capitano Natale De Grazia.

Dario Aitaè l’attore-narratore del docu-film “Piersanti Mattarella”, diretto dal regista Maurizio Sciarra e dedicato al Presidente della Regione Sicilia ucciso il giorno dell’Epifania del 1980 a Palermo, mentre si recava a Messa insieme alla famiglia: uno dei primi “delitti eccellenti” della Regione, che segnarono l’inizio della stagione di sangue che avrebbe visto cadere magistrati, poliziotti, esponenti politici durante la “guerra di mafia” fra corleonesi e palermitani.

Tra documenti d’archivio e visite ai luoghi cardine della vicenda, il racconto si snoda anche attraverso le testimonianze di Pietro Grasso, Achille Occhetto, Leoluca Orlando, stretti collaboratori di Mattarella come Salvatore Butera e Mariagrazia Trizzino, rispettivamente Consigliere economico e Capo di gabinetto del Presidente, ed ancora Gero Grassi, Vice-presidente gruppo PD Camera dei Deputati, Giuseppe Pignatone, Procuratore della Repubblica di Roma, il regista e scrittore Roberto Andò e il giornalista Francesco La Licata, che ha fornito anche la sua consulenza per la realizzazione del docu-film. Arricchisce il docu-film la speciale partecipazione di Mimmo Cuticchio, che attraverso l’antica arte dell’Opera dei Pupi, fornisce un’ulteriore interpretazione su questa storia di vita e di sacrificio, al servizio della legalità e della democrazia.

“Questo docu-film ha un format particolare, non avevo mai partecipato a nulla di simile prima d’ora. Ho fatto un’indagine dell’anima, sulla vita e sull’eredità lasciata da Mattarella ai suoi diretti parenti – racconta Dario Aita, che nell’inchiesta ha intervistato anche i nipoti del Presidente: Giorgio Mattarella, Piersanti Mattarella, Andrea Mattarella e Giovanni Argiroffi – Ho parlato a lungo con loro. Sono diventato un testimone, il medium tra la storia e il pubblico. Siamo abituati a vedere documentari in cui il medium è il mezzo televisivo, in questo ci sono io come un testimone in carne e ossa e il pubblico vedrà la storia attraverso i miei occhi, diventando così erede del racconto stesso”.


Nel Nome del Popolo Italiano è un ciclo di 4 docu- film prodotti da Anele con Rai Cinema e Rai Com e in onda 4, 5, 6 e 7 settembre in seconda serata su Rai 1, in prima tv assoluta.
Gian Marco Tognazzi (per il docu-film “Vittorio Occorsio”), Dario Aita (per “Piersanti Mattarella”), Massimo Poggio (per “Marco Biagi”) e Lorenzo Richelmy (per “Natale De Grazia”) sono gli attori-narratori di questi quattro racconti originali che, attraverso una struttura narrativa innovativa, coniugano il linguaggio classico del documentario a quello appassionante e contemporaneo della narrazione drammaturgica, la riflessione giornalistica allo spunto romanzesco. Diretti dai registi Gianfranco Pannone (Vittorio Occorsio), Maurizio Sciarra (Piersanti Mattarella), Gianfranco Giagni (Marco Biagi) e Wilma Labate (Natale De Grazia), i 4 docu-film vogliono restituire al pubblico lo sfondo storico, culturale e sociale in cui i quattro personaggi  hanno vissuto e operato andando incontro al loro destino, nel ventennio che va dalla fine degli anni ’80 ai primi anni del 2000.

ROMA COMIC OFF TERZA EDIZIONE DAL 7 AL 17 SETTEMBRE 2017: CALENDARIO SPETTACOLI

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Per il terzo anno consecutivo, il festival ROMA COMIC OFF porta in scena una lunga serie di spettacoli comici, dal 7 al 17 settembre. Dieci giorni di spettacoli, ciascuno dei quali replicato per due sere consecutive, portati in scena da attori, attrici e compagnie provenienti da tutta Italia.
Numerose le sale coinvolte, per lo più localizzate nel quartiere Testaccio, particolarmente vocato all'arte del teatro: Teatro Antigone, Teatro dei Conciatori, Teatro di Documenti, Teatro Petrolini, Teatro Portaportese, Teatro Testaccio, Teatro Tordinona e Teatro Trastevere, per un totale di 8 teatri e 12 sale. Tra le importanti novità della terza edizione figura la ricca serie di premi previsti (20): - il Premio 3570, che istituisce un montepremi di 3000 € per i primi tre classificati, così ripartiti: 2000 € al primo classificato, 700 € al secondo e 300 € al terzo classificato; al conferimento di tale premio concorrono i giudizi espressi dagli spettatori su apposite schede di valutazione, assieme ai voti dati a ciascuno spettacolo dai direttori artistici dei teatri ospitanti, che formano la giuria dell'edizione 2017; - i premi Teatro de' Servi, Teatro Roma, Teatro Tirso de Molina e Teatro Marconi, che permetteranno agli spettacoli vincitori di essere inclusi nelle stagioni teatrali dei rispettivi teatri romani; - i premi Le Nuvole Teatro (Teatro Vittorio Gassman di Castro de' Volsci, FR), Palinuro Teatro Festival, Benevento Città Spettacolo e Teatro Agricantus (Palermo), che permetteranno agli spettacoli vincitori di essere ospitate nei rispettivi eventi/teatri; - la coppa Julio Solinas, assegnata dall'organizzazione a un'attrice o attore particolarmente distintasi/distintosi; - una serie di dieci encomi (miglior spettacolo; miglior testo; miglior regia; miglior attore protagonista; migliore attrice protagonista; miglior attore non protagonista; migliore attrice non protagonista; migliori scenografie; migliori costumi; migliori musiche) il cui conferimento sarà determinato dai voti assegnati dal pubblico stesso ai vari spettacoli, tramite apposite schede di valutazione. Il festival si innesta felicemente sul ricco tessuto teatrale del vivace rione e delle zone immediatamente cirostanti: una fitta rete di teatri di piccole e medie dimensioni che negli ultimi anni ha saputo fidelizzare un numero sempre maggiore di persone all'arte del teatro, e che aderisce ora con entusiasmo al progetto comune di un festival interamente dedicato all'universo del comico. L'evento si struttura in una serie di spettacoli contemporanei (fino a 13 spettacoli ogni sera, ciascuno dei quali replicato per due sere consecutive), ospitati in ognuna delle numerose sale aderenti. Svariate le possibilità di scelta: dalla commedia al cabaret, dal monologo comico alla commedia musicale. Il prezzo dei biglietti, fisso per tutte le sale coinvolte, è di 10 € + 2 € di tessera. Il calendario, in fase di allestimento, sarà disponibile all'indirizzo www.romacomicoff.it, dove è inoltre possibile consultare il bando della terza edizione e i moduli necessari per proporre la propria candidatura.

Antonio Pisu in “Lettere di Oppio”: mi sento ancora il ragazzo che vuole fare il mio mestiere. L'intervista di Fattitaliani

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Il 6 settembre ai Giardini della Filarmonica Romana, per I solisti del Teatro, “Lettere di Oppio” di Antonio Pisu che ne è anche interprete insieme a Tiziana Foschi (intervista di Fattitaliani).Regia di Federico Tolardo.Scene di Tiziana Massaro, Costumi di Gisa Rinaldi e luci di Marco Macrini.

In solitudine pur vivendo insieme, Margareth e Thomas dividono la stessa casa pur non sopportandosi a vicenda. Lei è una signora eccentrica, lui è il fidato e cinico maggiordomo che legge le lettere scritte dal marito in guerra, fino a quando non è costretto anche a scriverle perché il marito di Margareth muore e lui non svela la verità perché altrimenti perderebbe il posto. Lui si innamora di Margareth ma non si dichiara, quindi gli scontri ed i battibecchi continuano e scaturiscono in una serie di eventi divertenti con risvolti a sorpresa.  
Per fattitaliani.it abbiamo intervistato Antonio Pisu.

Chi è Thomas? 
È un maggiordomo di fine 800 in una Londra che ormai si sta affacciando alla modernità perché c’è la Rivoluzione industriale. Si ritrova solo in questa casa con questa donna, non si sopportano a vicenda e vivono un rapporto di solitudine. L’unica cosa che li accomuna è la presenza del marito della donna che ha voluto fortemente Thomas in casa. Questo rapporto di solitudine con la donna si evolve quando il marito della donna muore in guerra. Thomas sarebbe costretto a perdere il lavoro a cui non vuole rinunciare e finge di scrivere la corrispondenza del marito ma non ha le capacità culturali per farlo. Scaturiscono una serie di eventi divertenti e ci sono dei risvolti a sorpresa che non sveliamo visto che lo spettacolo andrà in scena il sei settembre.    
Lo spettacolo è stato fortemente voluto dalla stessa Foschi ma ne eri un po’ spaventato perché la Foschi è nota al grande pubblico soprattutto come attrice comica. Cosa ti ha convinto? 
Tiziana l’ho conosciuta in un altro spettacolo dove casualmente ci siamo ritrovati a lavorare insieme. In lei ho visto una brava attrice, dotata di una sensibilità che molti non hanno. E’ che lei probabilmente è stata incastrata per molti anni a fare una cosa televisiva chiaramente molto etichettabile e si ha difficoltà ad essere presi per altri tipi di progetti. Purtroppo questa è una cosa molto italiana. Avevo scritto insieme al Regista una cosa televisiva e lei mi ha detto “perché non facciamo uno spettacolo teatrale?” Questo spettacolo nasce con la voglia di fare qualcosa insieme, fortemente voluto da Tiziana. Se non fosse stato per lei, probabilmente non l’avrei neanche mai scritto.
Solo in Italia esiste la differenza tra attori comici e non. È un bene o un male? 
È un male perché non è assolutamente così. Esistono buoni e cattivi attori. E’ come quando nelle interviste ti chiedono “che ruolo preferisci comico o drammatico?” Cosa significa? Un attore deve saper fare di tutto. È ovvio che poi delle cose ti possono venire meglio delle altre. Tiziana era perfetta per questo ruolo tant’è vero che lo scritto pensando a lei e a me. Uno spettacolo cucito addosso alle persone che lo faranno, è anche meglio.
In Lettere di oppio c’è un certo senso dell’impalpabile, il c.d. “amaro romano”, il sogno, le voci- pensiero. Ingredienti che catturano un certo tipo di pubblico o non c’è differenza? 
Purtroppo catturano un certo tipo di pubblico anche se chiunque è venuto a vedere Lettere di oppio lo ha apprezzato molto. Nonostante sia uno spettacolo ambientato nel 1860, ha un taglio moderno sia di scrittura che di Regia. Funziona molto con il giochino delle voci pensiero che permettono al pubblico di capire cosa sta pensando il personaggio, siamo riusciti anche ad usare un linguaggio che non è quello dell’epoca. Secondo me è molto divertente e non è una situazione tutta imbellettata dove due persone sono costrette a parlare in un certo modo perché ci sono dei canoni di educazione ma c’è una situazione molto divertente che serve ad aggraziarsi il pensiero del pubblico. Secondo me è anche questa la chiave di successo dello spettacolo. 
“Un po’ di cultura nella vita non nuoce. Perchéin Italia che ne è la culla viene spesso bistrattata? 
Non lo so, forse perché a volte viene fatta male. Il mio pensiero è che la Cultura molto spesso viene vista come una cosa noiosa ma non è così. Secondo me se i giovani non apprezzano determinate cose è perché non le hai mai viste. Sono venuti molti ragazzi a vedere Lettere di oppio e sono quelli che colgono molto di più le cose. Sono sicuro che ragazzi di sedici anni non abbiano una cultura teatrale. È venuta anche la figlia quindicenne di Tiziana con un po’ di amici, alcuni non erano mai andati ma ridevano tanto. Molti non sono educati ad andare a Teatro ma non è vero che non è apprezzato. Bisogna forzarli e non obbligarli a vedere una cosa che è noiosa, non è divertente, è fatta male, la visione del Teatro diventa una noia. Un po’ di colpa sta da entrambi i lati, non sta solo da un verso
Quanto sono importanti oltre alla scrittura, la scenografia, le luci per la buona riuscita dello spettacolo? 
Sono complementari, sicuramente può essere fatto un buono spettacolo se non ci sono delle belle scene ed una buona musica ma il testo è forte e gli attori sono bravi. È come mettere la cornice ad un quadro, dare un sapore estetico, particolare che va a completare il tutto. Il lavoro fatto tutti insieme, per uno spettacolo è vincente. 
Cosa consiglieresti ad un ragazzo che vorrebbe fare il tuo mestiere? 
Mi sento ancora il ragazzo che vuole fare il mio mestiere. È un lavoro molto faticoso, se non si ha intenzione di andare veramente fino in fondo si deve lasciar perdere. Ho iniziato molto tardi a fare le cose da solo e questo lo devo soprattutto a Tiziana. Facevo l’attore di teatro, i provini, lavoricchiavo però è sempre una situazione d’instabilità sia lavorativa e di mancanza di libertà di espressione perché non esprimi mai qualcosa di tuo. Mentre facendo delle cose mie ho veramente la possibilità di lavorare in maniera indipendente. 
Credo che le persone dovrebbero seguire necessariamente il loro destino. Pensi di averlo fatto? 
Se uno capisce qual è il proprio destino che è la cosa più difficile, sicuramente sì. Diciamo che lo sto facendo. Elisabetta Ruffolo.

NOVE, GIOVEDÌ 7 SETTEMBRE TORNA "TOP CHE ITALIA": AFFILATE I COLTELLI...

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Dal 7 settembre appuntamento in prima serata con la seconda edizione di “TOP CHEF ITALIA”, in onda alle 21:15 su NOVE (tasto 9 del telecomando).

Dopo le 8 puntate del 2016 il programma ripartirà con 10 prime serate che culmineranno con l’elezione del secondo Top Chef italiano.

A contendersi il titolo 16 talenti della cucina italiana: personalità diverse con un carattere distintivo e una storia da raccontare attraverso i propri piatti. Chef professionisti che hanno punti di forza, debolezze e una fortuna in comune: fanno un lavoro che amano!

A giudicarli 3 chef di respiro internazionale: ANNIE FÉOLDE (3*), madrina del gruppo e prima donna in Italia - quarta al mondo - ad aver conquistato le tre stelle Michelin, Chef–Owner di Enoteca Pinchiorri di Firenze, dove ha saputo imprimere la sua cucina, il suo charme e uno stile inconfondibile; GIULIANO BALDESSARI (1*), chef del ristorante Aqua Crua, sperimentatore estremo, enfant terrible che con la sua vitalità vuole portare scompiglio nell’alta cucina italiana; MAURO COLAGRECO (2*), impetuoso chef italo-argentino che ha portato quest’anno il suo Mirazur di Mentone al quarto posto dell’autorevole classifica mondiale “The World's 50 Best Restaurants”.

“TOP CHEF ITALIA” è uno show appassionante che dimostra come gli ingredienti più semplici della nostra dispensa possano trasformarsi in alta cucina e anche la classica lasagna possa diventare un piatto da ristorante stellato. Un livello di cucina mai visto prima, un’impegnativa gara ai fornelli che, importante novità di quest’anno, vedrà anche i giudici “con le mani in pasta”: infatti in alcune prove i concorrenti dovranno vedersela con l’esperienza e l’estro di chi li giudicherà nel loro percorso verso la vittoria.

Prova dopo prova i cuochi dovranno lottare e alla fine ne rimarrà soltanto uno che si aggiudicherà 50.000 euro in gettoni d’oro e il titolo di seconto Top chef italiano

L’hashtag dello show è  #TopChefItalia
I canali social ufficiali sono:


Radio Monte Carlo è radio ufficiale del programma.

Top Chef, format internazionale ideato da Bravo Media LLC, è un programma scritto da Luca Busso con Valentina Massouda. Per Magnolia il produttore esecutivo è Alessandro Tedeschi; la regia di Alessio Muzi; la scenografia di Susanna Aldinio; il direttore della fotografia è Marco Brindasso. Per Discovery Italia, Nicole Morganti è VP Talent & Production, Giovanni Bossetti è il produttore esecutivo.

Jazz e magia nel nuovo disco di Marilena Paradisi e Kirk Lightsey "Some Place Called Where": l'intervista

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Pubblicato dalla norvegese Losen Records, Some Place Called Where non è un disco solista con un "featuring", lo straordinario pianista di Detroit non fa da "special guest": si tratta infatti di un'opera nata da un duo, forte di un repertorio condiviso, di una comune sensibilità, della stessa visione magica e "olistica" del fare musica. Un senso di scoperta e di luminosità pervade l'intero album, con lo stesso stupore di quando Marilena vide per la prima volta Kirk dal vivo.
Il titolo dell'album proviene dall'omonimo pezzo di Wayne Shorter, scelto da Marilena insieme agli altri che compongono una scaletta profondamente sentita e condivisa con Kirk. Come dichiara David Fishel nelle note di copertina, «Portrait (Charles Mingus), Little Waltz (Ron Carter) e Like A Lover (Dori Caymmi) sono un buon esempio di questa musica scelta per profondità e sincerità, Fresh Air è un brano di Kirk che rappresenta bene il dialogo tra i due, Kirk ci regala anche un solo di flauto incantevole e lirico. Il suono complessivo è molto più pieno di quanto si possa aspettare da un duo, con la progressiva gamma armonica di Kirk e la qualità del tocco, quasi da accompagnamento orchestrale. Ma è l'intimità dell'interazione tra i due che più colpisce». 
Some Place Called Where contiene otto brani meno noti, un "repertorio di nicchia" utile però all'espressività diretta, immediata e toccante di Marilena e Kirk, che in soli quaranta minuti trasportano il loro mondo: quello dell'improvvisazione, degli studi in India, della voce come strumento per la Paradisi, quello degli anni passati con Chet Baker, Dexter Gordon, Pharoah Sanders e Lester Bowie, ma anche dell'amore per la musica classica, per Lightsey.
Una conversazione con MARILENA PARADISI
Ricerche, scoperte, luoghi, sensazioni: i tuoi dischi ci hanno sempre abituato a delle sorprese. Dopo una parte significativa della tua storia dedicata alla musica contemporanea e all’improvvisazione totale, si materializza il jazz con un progetto affascinante, in duo con il grande Kirk Lightsey. È un ritorno alla prima fase della tua attività o qualcosa di nuovo?
Spero vivamente che sia qualcosa di nuovo, spero sempre in un miglioramento, in un divenire. Dopo una lunga fase dedicata all’improvvisazione totale, alla ricerca e al rapporto col “suono” sviscerato in ben quattro album, ognuno con una particolarità come improvvisazione sulle immagini, la dialettica col silenzio, l’improvvisazione del testo, la dialettica con la risonanza, è come se sentissi di aver concluso un grande capitolo della mia storia, e ho sentito l’esigenza di tornare ad ”interpretare”, a cercare di raccontare storie attraverso l’uso della parola, e in questo senso sì, forse è un ritorno ai miei primi tre album. Ma sono passati anni, sono accadute così tante cose che sicuramente ora sento una differente maturità, un differente approccio alla musica e ai testi, inoltre sento che la mia voce è molto cambiata.
Sarebbe facile rispondere “Perché è un gigante”, ma noi vogliamo altro da te: perché hai scelto Kirk Lightsey?
Kirk è un musicista che ho avuto la fortuna di ascoltare live, varie volte e con differenti formazioni, e sono sempre rimasta colpita e affascinata dal suo pianismo, dal suo stile, oltre che dalla sua energia e vitalità vulcaniche. È un polistrumentista. Suona oltre al pianoforte, il flauto e il violoncello. Ha uno stile inconfondibile e anche una scelta armonica che si rifà molto più alla musica classica che al jazz vero e proprio, “jazz” è una parola che lui stesso non riconosce. Per lui esiste una musica “magica” oppure non è musica!
Ecco lui cerca costantemente la magia quando suona, e ti invita a cercarla anche in te. Poche note e crea subito un’atmosfera, fa delle scelte armoniche davvero inusuali che ti portano sempre a nuova ispirazione.
Credo sia importante sottolineare che la sua presenza non è un semplice “featuring”: Some Place Called Whereè il lavoro di una coppia.
Più che un lavoro di coppia è una formazione “duo”, un mio progetto che poi nello sviluppo e nella riuscita è stato naturalmente riconosciuto da entrambi, peraltro senza troppe formalità. Se la musica funziona, questo è veramente importante.
A proposito dell’ultimo brano Fresh Air, quello scritto da Kirk, ci racconti com’è nato?
Fresh Airè un brano che Lightsey aveva già scritto, un brano in 6/8 la cui melodia è stata da lui scritta e pensata per flauto, e che lui mi ha proposto chiedendomi di provare a metterci le parole! “Sarebbe bello se riesci a cantarla!”, mi ha detto… E così ho accettato la sfida ed è nata questa nuova versione, che io canto in tonalità originale, dove alla fine Lightsey sovraincide, regalandoci un bellissimo assolo di flauto.
Prima di Fresh Air, il pezzo di chiusura, ci sette brani importanti, una sorta di carrellata sul mondo del jazz classico e contemporaneo, da Mingus a Shorter passando per Mal Waldron e Ron Carter. In base a quale criterio li avete scelti?
Tutto il repertorio è stato scelto da me, nel senso che sono stata io a proporre a Lightsey una dozzina di brani tra quelli che più amavo cantare, scelta che lui ha apprezzato moltissimo. Ovviamente poi abbiamo scelto quelli che ci sembravano perfetti per la formazione duo piano-voce. In particolare sottolineo che Lightsey non conosceva il brano di Shorter che da il titolo al cd, ne è rimasto folgorato. È lui che ha voluto che fosse il titolo dell’album!
Poteva essere più agevole scegliere brani dai dischi di Kirk con Chet Baker, Clifford Jordan, Dexter Gordon, i Leaders e i tanti altri giganti con cui ha suonato, invece è un repertorio meno noto…
Indubbiamente, sono brani forse poco sentiti, un repertorio di nicchia che io avevo già ascoltato in cd che amo, per esempio Little Waltznel cd Duetsdi Helen Merrill e Ron Carter, oppure Soul Eyes, interpretato da Jeanne Lee e Mal Waldron, il Some other timesuonato da Bill Evans o il brano di Shorter da un suo cd del 1988 Joy Rider. Un altro tipo di scelta poteva essere più agevole ma invece, in realtà, la cosa che Kirk ha apprezzato di più è stata la scelta del repertorio abbastanza inusuale anche per lui.
Avete registrato a Roma lo scorso maggio: toccata e fuga in studio o c’è stato un lavoro preparatorio?
Intanto già riuscire ad incontrare un musicista del genere, impegnato sempre in tour in giro per il mondo, è abbastanza una “coincidenza astrale”… Le decisioni ruotano sempre intorno alle disponibilità, ai giorni liberi, per cui da questo punto di vista è sempre una toccata e fuga! Non hai modo di avere tanti giorni di prove insieme, ci devi lavorare da sola e arrivare con le idee ben chiare ma con una mente aperta a tutto. Ecco, questo è il giusto approccio. Quindi il progetto è stato deciso a metà aprile e preparato, da me, in un mese. Poi chiaramente tutto quello che avevi in mente, tutte le certezze, saranno puntualmente azzerate, e il bello è questo, che il brano viene ricreato da capo, nel momento in cui sei in rapporto e tutto diventa nuovo. Esperienza musicalmente ineguagliabile.
Cosa hai trovato di diverso e di unico nel pianismo di Kirk? Cosa pensi abbia trovato lui di speciale nella tua voce?
Sicuramente la ricerca delle atmosfere, della magia, della poesia, ma volendo approfondire nel concreto del lavoro svolto insieme, posso dire che non è certamente un pianista “facile”, ti propone una sfida continua ad innalzare i tuoi limiti, sia nelle scelte armoniche che più propriamente nella narrazione. Pretende tantissimo, vuole che vai a fondo, devi stare sempre nella musica. E quello che più mi ha colpito è l’umiltà nel cercare sempre qualcosa di vero e di onestamente estemporaneo, mai qualcosa di precostituito ma direi semplice nella sua bellezza.
Cosa credo abbia trovato lui in me? Non saprei, non è un musicista che ti fa i complimenti! Ma so per certo, dal risultato, che il mio modo di esprimermi su questo repertorio lo ha convinto molto.
Hai avuto modo di studiare Scelsi con Michiko Hirayama, hai praticato improvvisazione totale e musica contemporanea: quanto c’è di questo percorso in Some Place Called Where?
Domanda difficilissima… Quello che ho preso dalla Hirayama e dalla mia esperienza diciamo contemporanea è incommensurabile, so che è nelle mie corde più profonde e che ha cambiato tantissimo il mio modo di cantare ma soprattutto il mio modo di pensare la musica e il mio rapporto ancora più viscerale col mio strumento voce. Sicuramente in Some Place Called Wherec’è tutta la mia esperienza precedente anche se trasformata, una essenzialità che cerco da sempre, poi ridurre al minimo, togliere i fronzoli, andare all’essenziale di quello che voglio esprimere.
Questo nuovo disco avrà uno sviluppo live? Potremo vedere te e Kirk dal vivo?
Assolutamente sì, ci stiamo lavorando, molto presto tutte le novità.



Alcune domande a Kirk Lightsey:

Mister Lightsey, cosa pensa di questo progetto in duo con Marilena Paradisi e della scelta del repertorio?
È un progetto davvero speciale per me perché suonare in duo e con questa scelta di repertorio mi fa trovare un suono orchestrale dal pianoforte che è molto importante per me. La scelta dei brani mi ha molto colpito, un repertorio magico e futuristico, come in Some Place Called Where, la canzone di Shorter che non conoscevo e che mi è davvero piaciuto suonare. Trovare in quella musica il suono di suspense, mistero, senso di spazio infinito, affetti e sentimenti è importante per il mio feeling nella musica. Mi piace suonare in formazione duo perché è una sfida per cercare cose profonde, e mi piace farlo con una cantante come Marilena. Questo repertorio mi dà molta gioia.
Cosa ha trovato di peculiare nella voce di Marilena Paradisi e nel suo modo di cantare?
Marilena ha una voce molto speciale e con molto talento, potrei dire tecnicamente per il suo particolare timbro, per intonazione, musicalità, flessibilità, espressività e il suo stare sul tempo, ma in una sola parola è "molto artistica", e con questo intendo dire che è in grado di cantare profondamente i suoi sentimenti e per questo è espressiva e perfetta per questo repertorio. E quando riascolto il cd, penso che se avessimo avuto più tempo per lavorare insieme il progetto sarebbe stato ancora più grande di quello che è.
Ci racconta la composizione di Fresh Airche conclude l'album?

Scrissi Fresh Airnei primi anni '70, forse 71-72, per il duo pianoforte e flauto. È stata registrata diverse volte, forse la mia versione preferita è stata la prima volta che ho registrato suonando sia il flauto che il pianoforte. La mia seconda registrazione preferita è l'album trio con Steve Watts e David Wickins intitolato If You Are Not Having Fun by Now. Questa con le parole scritte da Marilena è una nuova e molto speciale versione della mia vecchia canzone, perfetta con il testo che ha scritto. Sono molto felice di questo progetto con Marilena Paradisi.

La Maison di Alta Moda Celli a Miss Italia 2017

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Candidi pizzi, un trionfo di tulle e organza, trine e ricami in preziosi cristalli. La grande tradizione sartoriale, unita all'innata eleganza della stilista Maria Celli, ritornano a illuminare il palco del Pala Arrex di Jesolo in occasione della finale di Miss Italia 2017 by Patrizia Mirigliani che si terrà Sabato 9 Settembre, in diretta tv su La7.

La serata conclusiva del concorso di bellezza - giunto alla sua 78° edizione - sarà condotta per la seconda volta da Francesco Facchinetti.
Ad assegnare la fascia alla più bella tra le ragazze in gara saranno i giurati Francesca Chillemi – eletta Miss Italia nel 2003 - e Gabriel Garko, mentre Christian De Sica, Manuela Arcuri e Nino Frassica, che indosserà un completo in stile Rococò in broccato blu dell'ultima collezione da uomo della maison Celli.

Maria Celli ha selezionato le creazioni per le 12 finaliste che si contenderanno la corona di Miss Italia 2017, che verrà consegnata alla vincitrice dalle mani della miss uscente Rachele Risaliti. Le ragazze sfileranno indossando i preziosi abiti da sposa della casa di moda dalle linee diverse, tutti caratterizzati dalla passione, dal lavoro sapiente di mani esperte,  dalla costante ricerca, dallo studio della figura e dei tessuti.

Alla sua quarta partecipazione al Concorso di Miss Italia, la stilista Maria Celli - accompagnata dai figli Giampaolo e Alessia e il press agent della maison Emilio Sturla Furnò - promette di raccontare ,anche quest'anno, le ultime tendenze della moda sposa, senza dimenticare lo stile della tradizione: linee a sirena che disegnano la figura, romantici corpetti in seta ricamata con generose scollature, ampie gonne realizzate con sovrapposizioni di tessuti dalle raffinate trasparenze.

Ieri Sposi/2: buon anniversario a Rita Sainato e Domenico Logozzo. Sfogliamo l'album di nozze

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Gioiosa Jonica (Reggio Calabria), 6 settembre 1975. Chiesa della Madonna del Rosario. Matrimonio di Rita Sainato e Domenico Logozzo.
Hanno tre figli (Francesco, Erica e Alessandra) e quattro nipoti (Marco, Helena, Amelie e Sophie). Nello stesso anno Domenico Logozzo è stato assunto dal quotidiano il Giornale di Calabria del quale è stato Capo Redattore. Successivamente è stato assunto dalla Rai, ricoprendo prima il ruolo di Capo Redattore della Sede Regionale dell'Abruzzo e poi a Roma quello di Capo Redattore Centrale nella Direzione Tgr della Rai.
Sfogliamo l'album di nozze




Libri, "Ultima Madre" di Sonia Ambroset per capire e 'vivere' la morte con intensità. La recensione di Fattitaliani

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Sonia Ambroset, "Ultima Madre", Ed. Europa, Roma, 2016. Recensione di Andrea Giostra.

Sonia Ambroset, col suo Romanzo, tratta un tema assai delicato, una questione umana che per la cultura occidentale del XX e del XXI secolo è diventata interdetta, indicibile, per certi versi ripugnante, o peggio ancora, superstiziosamente rinnegata: la morte, ovvero, l'approssimarsi repentino della morte a causa di una malattia terminale!
Coloro che per una malattia letale sanno che la loro clessidra ha cominciato velocemente a far scorrere la sabbia bianca dall'ampolla superiore verso quella inferiore dando loro la sola possibilità di guardare dolorosamente ed impotentemente quello scorrere repentino ed inesorabile del tempo che li condurrà ad un riposo eterno per chi ha fede in Dio … al nulla perpetuo per chi non crede nell'anima o in un'altra vita, seppur diversa, dopo la morte terrena.
Il romanzo, che sprizza piacevolmente di contenuti autobiografici e quindi neorealisti, è molto interessante perché sfata inesorabilmente, con raffinata eleganza narrativa, questo blocco psico-culturale e sociologico-mentale che noi occidentali ci portiamo appresso da troppo anni, da secoli probabilmente. Ma se abbiamo modo di vivere parte del nostro tempo accanto a queste persone, come Cristina, la psicologa protagonista del Romanzo, che per decenni assistette tantissimi malati terminali di una Clinica specializzata nell'accompagnare nell'aldilà queste fragili vite alle quali la medicina non aveva lasciato più alcuna speranza; se, come Cristina, avessimo modo di vivere questa particolare forma di “farsi-carico-psicologico”, di “prendersi-cura” di queste vite divenute gracili e definite dalla medicina ufficiale terminali, dando loro conforto, per esempio, col semplice ascolto attento ed empatico dei racconti della loro vita che hanno vissuto da giovani donne o da giovani uomini - come avviene nelle storie raccontate nel Romanzo di Cristina, o forse di Ambroset! - allora ci renderemo inesorabilmente consapevoli che la morte, per chi sa che vedrà la luce del sole ancora per pochi giorni, al massimo per qualche mese, non è più un momento da rinnegare o da misconoscere, ma da capire profondamente, e, paradossalmente, da vivere con intensità, da vivere con una dolcezza triste ma interessante, che allontana l'apatia e lo scoramento più tetro, perché è proprio nella fase terminale della nostra vita - che sia naturale o per una tragica malattia - che ci dobbiamo occupare della nostra morte, fugando la depressione che cattura ed imprigiona coloro che rinnegano inconsapevolmente la verità della nostra vita: siamo venuti al mondo il tempo di un solo battito di ciglia della storia dell'universo.
Probabilmente la consapevolezza quotidiana della morte ci rende più umani, più generosi, più altruisti, più vicini ai bisogni del nostro prossimo; la morte non la possiamo fuggire, possiamo ingenuamente e stupidamente ripudiarla finché non ci sorprenderà; oppure, come Cristina nel Romanzo, farcela amica: «Meglio cercare di cogliere anche la bellezza e l'armonia. Meglio incontrarla ogni giorno, piuttosto che trovarsela davanti di sorpresa come una sconosciuta» (pag.12).
In fondo siamo degli esseri umani programmati geneticamente per nascere; per vivere la nostra vita attraversando e affrontando con dolore ma anche con determinazione tutti gli ostacoli che si pongono davanti al nostro cammino; ovvero, godendo di quelle poche e rare gioie che la vita ci riserva lungo il nostro percorso vitale, per poi arrivare alla fine del nostro viaggio, anche se non si è malati terminali. E questa fine non è altro che la morte.
È anche vero, scrive Ambroset, ricordando l'inizio della carriera di psicologa di Cristina, che: «Sentivo che la morte è nelle cose e porta la pace ... quando ho iniziato a frequentare il mondo della meditazione, appresi che veniva teorizzato e praticato normalmente. I monaci, nei ritiri, ci insegnavano a meditare sulla morte e c'era un mantra che recitava "nella cessazione c'è la pace"» (pag. 12).
È chiaro che tutto ciò non ha nulla a che vedere col piangere coloro che ci lasciano per sempre - fisicamente ovvero relazionalmente - anche se si è uno psicologo, anche se si è un “operatore sociale”, come vengono chiamati coloro che si occupano professionalmente di chi ha bisogno di aiuto umano e sanitario: piangere chi ci lascia è un atto liberatorio e naturale al contempo che ci consente di essere vicini fino in fondo a colui che va via; ma al contempo è un atto catartico di un dolore che accompagnerà per sempre chi resta, ed è per questo che «quando ti si strappa l'anima le lacrime sono indispensabili!» (pag. 36).

Sonia Ambroset, alcuni link:

ANDREA GIOSTRA

Per un giovane su 2 il lavoro del futuro arriverà dal web

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In un periodo in cui l’Italia si trova al terzo posto in Europa dopo Grecia e Spagna per  disoccupazione giovanile (fonte Eurostat), il futuro lavorativo che immaginano i ragazzi italiani è sempre più digitale.
Per il 52% di loro, infatti, sono le cosiddette professioni del web ad essere più ambite. In cima alle preferenze social media manager (59%), esperti SEO (46%), analisti (41%) ed esperti di e-commerce (36%) prendono il posto di avvocati, ingegneri e commercialisti, soprattutto perché per accedere al mercato del lavoro vengono riscontrate diverse difficoltà: da un ricambio generazionale lento (35%) a un sistema percepito come vecchio (32%) e non in grado di innovarsi (37%).

E’ quanto emerge da uno studio promosso dal Sanpellegrino Campus condotto con metodologia WOA (web opinion analysis) su circa 2.000 giovani – studenti e studentesse tra i 18 e i 30 anni – attraverso un monitoraggio sui principali social network, siti internet e community dedicate, per indagare le loro aspettative nei confronti del mondo del lavoro.

Quali sono le aspettative personali? I giovani si dividono sostanzialmente a metà tra chi si augura un'esperienza soddisfacente dal punto di vista professionale (48%) e chi, invece, preferirebbe un lavoro in grado di far guadagnare molti soldi (51%). La maggioranza gradirebbe un lavoro prevalentemente concettuale più che pratico (63%) anche se appena il 37% si dimostra ottimista sul fatto di poter trovare il lavoro ambito o comunque in linea con il proprio titolo di studio. In generale, ad ogni modo, l’82% dei monitorati avverte come primario il desiderio di sentirsi autonomi ed indipendenti.

Quali difficoltà impediscono ai giovani di trovare un posto di lavoro? Il 35% dei monitorati pensa che la prima difficoltà è dovuta al ricambio generazionale, troppo lento nel nostro Paese soprattutto perché il sistema italiano viene percepito come vecchio (32%) e non in grado di innovarsi (37%). Un ragazzo su 2 (49%) ritiene invece che non c’è un incontro fra quello che il mondo dell’Università offre al mercato e le aziende stesse. Infine, solo il 21% ritiene che la mancanza di collocamento sia dovuta ai costi che le aziende sono chiamate a sostenere per le assunzioni.

Lasceresti l’Italia per andare all’estero? Anche in questo caso gli atteggiamenti dei giovani italiani sono polarizzati. Il 47% di loro andrebbe volentieri all’estero soprattutto perché non riesce a vedere un cambio di passo nel nostro Paese in grado di far intravedere opportunità di lungo termine. Il 52%, invece, non lascerebbe l’Italia perché ritiene che le professioni del futuro saranno prevalentemente influenzate dal web e, quindi, si potrà lavorare con importanti aziende anche “da casa”.

Ma quali sono le professioni a cui ambiscono i giovani oggi? Se prima a farla da padrone – anche dietro i solleciti e gli stimoli dei genitori – erano professioni quali avvocato, ingegnere, commercialista e poliziotto, oggi posizioni di questo tipo scendono di molto nella scala delle preferenze dei giovani. Ad appassionare maggiormente sono le cosiddette professioni digitali, desiderate dal 63% dei monitorati. Il web ha infatti aperto più strade e oggi il 59% dei giovani si augura di poter diventare un social media manager o content manager, vale a dire lavorare nella gestione creativa dei contenuti per profili e pagine social di aziende (47%) o personaggi pubblici (52%).

Quanti invece studiano materie più tecniche ambiscono a specializzarsi nel mondo dell’Information Technology e diventare esperti di SEO (46%) – ovvero aiutare le aziende ad indicizzare i propri siti internet sui motori di ricerca per essere trovate più facilmente dagli utenti – sviluppare app o aprire siti di successo (43%); diventare analisti (41%), figure strategiche molto ricercate perché capaci di studiare gli andamenti dei mercati grazie alle loro competenze informatiche e matematiche.

Non mancano poi quanti sognano di diventare degli influencer (38%) – ovvero personaggi che “dettano” le regole di ciò che è più cool – o dedicarsi alle nuove modalità di commercio online (36%), cavalcando così dei trend che stanno cambiando sempre di più il rapporto tra aziende e consumatori.

Per arrivare a professioni più tradizionali, i giovani di oggi sono ispirati soprattutto dai format televisivi italiani e internazionali: ecco dunque che tra le preferenze spiccano il desiderio di diventare chef stellati con un ristorante iper ricercato (36%); interior designer in grado di ristrutturare casa con stile e raffinatezza (34%); meccanici con officine super accessoriate per la messa a punto o il restauro di auto e moto d’epoca (24%).
Infine, la disillusione porta anche a fantasticare con la mente ed ambire – come ultima spiaggia a metà tra divertimento e surreale – in professioni quali diventare i fortunati custodi di isole tropicali incontaminate (21%); viaggiatori alla scoperta di posti inesplorati da recensire (16%); tester di luoghi e oggetti extralusso come auto o hotel (6%).

VENEZIA74, ELENA RUSSO GRANDE PROTAGONISTA GLAMOUR DEL RED-CARPET

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La settantaquattresima edizione della Mostra Internazionale Cinematografica di Venezia è entrata nel vivo e tra gli ospiti più applauditi lunedì scorso, 3 settembre, ha spiccato il nome di Elena Russo.
L’attrice di origini partenopee, nota al grande pubblico per le numerose partecipazioni legate a cinema, fiction e teatro, sin dal suo arrivo a Venezia Lido è stata accolta dai flash di tantissimi paparazzi, che  l’hanno valorizzata anche quando, in serata, ha calcato la passerella del prestigioso red-carpet, incantando il folto pubblico accorso per chiederle autografi e foto ricordo.  Apprezzata la sua immagine glamour, il cui punto di forza è stata una creazione della stilista Gabriella Bolero,  un abito bianco con reverse in pizzo nero impreziosito da sandali Le Capresi. Dei capelli di Elena, ancora una volta, se n’è occupato il personal hair-stylist Antonio Morici, che, per l’occasione, ha realizzato onde morbide di ispirazione retrò, sapientemente acconciate dietro la nuca. Durante la sua presenza al Festival del Cinema di Venezia, Elena Russo ha rilasciato numerose interviste, dalle quali sono emersi i suoi prossimi impegni professionali: in attesa di rivederla su Canale5 nella fiction campione d’ascolti Furore, in autunno tornerà al Teatro Brancaccino di Roma con uno spettacolo che si preannuncia intenso e drammatico, “La Reggente” e attualmente è anche in trattative per un ruolo importante in una serie internazionale.


"BAD NEWS" COMMUOVE CRITICA E PUBBLICO AL FESTIVAL DEL CINEMA DI VENEZIA

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Grandi consensi alla 74ª edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica per il cortometraggio "Bad News".
Tanti gli applausi, nella gremita Sala Tropicana (Italian Pavillon) dell'Hotel Excelsior, per il nuovo progetto diretto dal regista Matteo Petrelli e interpretato da Daniel Bondì. A introdurre impeccabilmente la proiezione del cortometraggio, il conduttore televisivo e radiofonico Claudio Guerrini, che ha saputo coordinare al meglio i vari interventi del cast. A commuovere critica e pubblico è la storia di Daniel, un trentenne imprenditore che nel corso degli ultimi due anni ha inventato un lavoro insolito ma di forte impatto: la gente lo paga per far credere a qualcun altro di essere malato e con pochi mesi di vita. Persone in difficoltà, bloccate, che non riescono più a vivere veramente e che vengono così convinte a spendere al massimo il poco tempo rimasto e, senza accorgersene, a innamorarsi nuovamente della vita. "Il concetto fondamentale su cui far ruotare la storia era il valore del tempo, quando ti rendi conto con il senno di poi di non aver fatto abbastanza" ha dichiarato il regista Petrelli nel corso della conferenza stampa. Presente in sala anche il protagonista Daniel Bondì che ha raccontato: "Ho interpretato un tipo di lavoro atipico, delicato, che viene commissionato di volta in volta, aiutando le persone a riprendere in mano la propria vita. E così quello che sembrava la fine, in realtà, non è altro che un nuovo inizio". Presenti all'incontro, inoltre, gli attori Pino Calabrese e Fabio Aquilone, oltre ai produttori Paolo Bernardini e Diego Panadisi e Giuseppe Mercadante. Gran finale, in serata, all'insegna di un affollato dinner-party presso la Terrazza Biennale, caratterizzato da esclusivi piatti e vini pregiati, a cura dello chef Tino Vettorello

Venezia, Sebastiano Riso al CineCocktail: "Fischi e comportamento da stadio nei festival sono inaccettabili”

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Si è svolto ieri l’appuntamento veneziano dei ‘CineCocktail – Incontri ravvicinati del miglior tipo: cinema, cocktail e chiacchiere in libertà’ ideati e condotti da sei anni dalla giornalista e scrittrice Claudia Catalli. Al centro dell’incontro, svoltosi in collaborazione con Cybex nello Spazio Fondazione Ente dello Spettacolo, il film-caso della Mostra: Una famiglia di Sebastiano Riso.

Il suo protagonista, il cantante e attore francese Patrick Bruel, si è concesso alle domande del pubblico e ha rivelato: “Mi è stato affidato il personaggio più oscuro e complesso di tutta la mia carriera. Sono contento di essere stato scelto per un ruolo che mi ha permesso di mettermi alla prova lavorando a lungo su me stesso. Per entrare nel ruolo ho immaginato questo personaggio come un uomo che vede nei figli un pericolo per la coppia. Ho provato a non giudicarlo, a non pensare a come avrei agito io al suo posto. Con un personaggio così controverso non è stato semplice”.

Ospite di CineCocktail anche il regista Sebastiano Riso, che ha dichiarato: “Questo film non parla di uteri in affitto, ma di una coppia legata in maniera viscerale. Una coppia che conduce un business terribile, la vendita illegale dei figli. Il tema è tratto da una realtà purtroppo radicata in Italia, abbiamo condotto molte ricerche al riguardo. Ovviamente abbiamo alleggerito l’approccio per dare un senso poetico alla storia, non volevamo fare un film d’inchiesta”.

Tanti i temi sviscerati tra un cocktail e l’altro: “L'omosessualità com'è raccontata in Italia è insopportabile – continua Riso - perché trasuda di finto perbenismo e omofobia: la realtà è che esistono persone, il loro orientamento è un discorso a parte. Persone che si amano. E che magari vogliono avere un figlio. Il mio film pone una domanda: che cos'è una famiglia? Una donna sola con il suo bambino, come nel manifesto, o due papà che vogliono diventare genitori, sono una famiglia?”. 

Non poteva mancare una domanda sulle reazioni di stampa e pubblico in queste giornate di Venezia: “Un film è sempre frutto di un lavoro complessivo. Ormai ai festival si ha la malsana abitudine di vederlo con l'atteggiamento di un cecchino pronto a sparare lì dove è possibile”, conclude Riso riferendosi anche alla bordata di fischi che ha accompagnato l’anteprima di Mother di Darren Aronofsky: “Dovremmo concordare tutti nel ritenere l'accanimento, i fischi e il comportamento da stadio nei festival del tutto inaccettabili”.

In allegato qualche scatto del CineCocktail di ieri, per l'invio di ulteriore materiale (anche fotografico in alta risoluzione) non esitate a contattarci.

Grazie e buon lavoro!
CineCocktail 


Definiti "il salotto cinematografico d'eccezione" da La Stampa, "i migliori faccia a faccia del panorama cinematografico" da Cinema Italiano e "tra i migliori eventi della Mostra di Venezia" da Huffington Post, tornano per il sesto anno a Venezia i CineCocktail - Incontri ravvicinati del miglior tipo: cinema, cocktail e chiacchiere in libertà, un format indipendente per parlare di cinema in modo libero e informale. 


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