Fatti e retroscena di tutti i viaggi internazionali di Papa Francesco fino ad oggi, raccontati da chi li ha vissuti in presa diretta come cronista. E’ quanto si propone il libro “In Viaggio” del vaticanista de “La Stampa” Andrea Tornielli, edito da Piemme. Il volume, arricchito da un’intervista con il Papa, è stato presentato ieri a Roma. Il servizio di Michele Raviart:
Dalla Giornata Mondiale della Gioventù in Brasile nel 2013 alla visita a Lund per i 500 anni della riforma luterana lo scorso autunno, i sedici viaggi apostolici del Papa raccontano la metamorfosi di un Pontefice che all’inizio non amava lasciare la diocesi di Roma – “la sua sposa”. Spiega mons. Giovanni Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato:
“Il Papa viaggia perché adesso ama viaggiare: lo dico in maniera così, provocatoria, perché agli inizi non voleva viaggiare, ma ha visto il bene enorme che fa, e come facilmente riesce a trasmettere il Vangelo. E quindi io penso che lui senta questa responsabilità di poter spezzare il pane con la gente. Già il modo di viaggiare, già la poca gente che va con lui; lo stile che ha assunto; è il vicario di Gesù: gli interessa predicare il Vangelo, non gli interessa la pompa, non gli interessano gli applausi.”
Per Francesco il momento più bello è stato quando in Armenia ha riconosciuto un’anziana signora georgiana, dalla “pelle come pergamena”, che lo aveva continuato a seguire per chilometri nei vari incontri del suo viaggio. O quando nello stadio di Kasarani in Kenya, ha invitato i settantamila presenti ad alzarsi in piedi contro il tribalismo che divide il Paese, invece di leggere il discorso che aveva precedentemente preparato. Una spontaneità che è diventata uno dei segni distintivi dei suoi viaggi. Andrea Tornielli, autore del volume:
R. - Ogni Papa ha un suo stile. La caratteristica di questo Papa è quella di scegliere là dove può scegliere, perché alcuni appuntamenti sono – diciamo così – dovuti: la Gmg, la Giornata delle Famiglie… Però, là dove può scegliere, sceglie realtà talvolta un po’ di periferia, ma dove pensa che la sua presenza possa in qualche modo essere di aiuto per favorire processi di dialogo, processi di pace, processi di sviluppo. Lo abbiamo visto nei tre Paesi periferici dell’America Latina: Ecuador, Bolivia e Paraguay. Lo abbiamo visto a Sarajevo; lo abbiamo visto a Tirana. L’altra caratteristica è come lui, così com’è, riesce ad esprimere e a testimoniare una grande prossimità nell’incontro con la gente: che questo, però, è ciò che si vede in Piazza San Pietro; e, durante i viaggi, semplicemente continua a essere se stesso.
D. – Dall’altro lato, dal lato del giornalista e dell’addetto ai lavori che segue costantemente il Papa nei suoi viaggi, qual è l’impressione?
R. – Sempre viaggiando con il Papa si riceve molto. Direi che però la cosa più bella è vedere quando il Papa, nel caso di Francesco, decide, sentendosi sfidato dalla realtà che ha di fronte, di lasciare perdere il discorso, magari pur bello, preparato per l’occasione, per rispondere con le parole che gli vengono dal cuore di fronte alla realtà che incontra in quel momento. E questo credo che sia la più bella lezione: cioè che bisogna lasciarsi ferire dalla realtà ed essere in grado di reagire, di rispondere, di dialogare e di interloquire, non attraverso schemi preparati, perché la realtà ti supera, ti fa commuovere, vedi la sofferenza, delle domande a cui non c’è risposta, come la sofferenza dei bambini… E allora lì, un gesto, una parola detta improvvisando, dal cuore, vale mille discorsi - pur se teologicamente perfetti - vale molto di più! Ed è per questo che per me l’omelia più bella di tutti i viaggi resta quella a Tacloban, nelle Filippine, quando parlò sotto la pioggia a dirotto di un minitifone in arrivo ai parenti delle vittime del tifone Yolanda. Michele Raviart, Radio Vaticana, Radiogiornale del 28 gennaio 2017.