PESCARA - Sono diversi gli indicatori che fotografano il declino del nostro Paese e non solo il PIL, indice cui si guarda con maggiore frequenza. I giovani, quando riescono a trovare un’occupazione, anche se in possesso di una laurea, sono impiegati in genere come commessi, camerieri, operatori di call center, baristi, pizzaioli, parrucchieri. E’ paradossale che questo accada mentre, secondo l’OCSE, l’Italia è in fondo alle classifiche per numero di laureati.
In un paese in flessione demografica, dove le iscrizioni universitarie tendono a diminuire, il problema non è costituito dal numero di laureati quanto da un’economia ferma, inceppata, con poche aziende operanti in settori dinamici, da insufficienti investimenti pubblici di stimolo per l’innovazione e l’internazionalizzazione, una pubblica amministrazione invecchiata e poco adeguata ai processi di modernizzazione e globalizzazione, e soprattutto affetta da diffusi livelli di corruzione che sembrano inarrestabili. E’ dello scorso mese di settembre scorso la denuncia dell’autorità anticorruzione sulle problematiche del reclutamento dei docenti universitari nel nostro Paese.
Per molti giovani che non riescono a trovare lavoro o che non si accontentano di quello che offre il mercato l’unica strada percorribile sembra quella di lasciare l’Italia e partire, non più soltanto dal meridione, alla ricerca di occupazioni professionalmente coerenti con le aspettative derivanti dai percorsi formativi seguiti. La fuga dall’Italia non emerge in pieno dai dati Istat, che assumono a riferimento i soli elementi desumibili dall’iscrizione all’anagrafe degli italiani all’estero (AIRE), che riflette in modo assai parziale il preoccupante fenomeno, in quanto sono molti a registrarsi anche a distanza di anni dall’uscita dall’Italia, in attesa di una stabilizzazione del lavoro e di scelte di vita che spesso maturano nel tempo.
Secondo varie stime, nel 2015 sarebbero stati oltre centomila giovani, prevalentemente laureati a lasciarsi alle spalle l’Italia, per dare una prospettiva al proprio futuro, spesso senza ritorno. Se un tempo si emigrava per sopravvivere alla miseria, oggi la necessità di lasciare alle spalle la propria terra è sempre più quella di poter realizzare obiettivi professionali ed economici non altrimenti raggiungibili nel nostro Paese.
In un recente saggio di Raffaella Quieti Cartledge, presentato nella sede della Fondazione Pescarabruzzo, che ha opportunamente sostenuto la pubblicazione della ricerca, sono stati studiati 24 casi di successo di abruzzesi in ambito internazionale, tre per ciascuna delle otto aree professionali considerate: economisti (Pierluigi Ciocca, Giammarco Ottaviano, Emanuela Sciubba), ambasciatori e diplomatici (Torquato Cardilli, Andrea Della Nebbia, Domenico Vecchioni), cooperazione internazionale (Marina Catena, Carlo Miglioli, Ernesto Sirolli), scienza e ricerca (Nicola Baccile, Giusy Fiucci, Giuseppe Montano), medici (Vincenzo Berghella, Elisabetta Iammarone, Marcello Maviglia), musica e creatività (Roberto Borriello, Rita D’Arcangelo, Paolo Russo), imprenditoria e management (Roberto Lorenzini, Daniela Puglielli, Filippo Tattoni Marcozzi), banche e investimenti (Luca De Leonardis, Fabio Di Vincenzo, Lily Lapenna). I loro nomi spesso non dicono molto al grande pubblico ma sono ben noti nelle rispettive aree professionali.
Il saggio, dal titolo “Eccellenze abruzzesi nel mondo”, pubblicato da Ianieri, è forse la prima ricerca che guarda all’Italia e all’Abruzzo dall’estero, essendo l’autrice una giornalista residente a Londra. E’ evidente che l’orizzonte di brillanti carriere è decisamente più vasto e forse impossibile da censire sugli scenari internazionali, ma il campione studiato è senz’altro rappresentativo del fenomeno della più recente emigrazione, che in parte comprende la c.d. generazione Erasmus. Un fenomeno che andrebbe meglio studiato.
L’autrice, che si è avvalsa della collaborazione del prof. Massimo Sergiacomo, spiega che lo scopo del lavoro “è quella di fornire ispirazione ai giovani abruzzesi”, che andranno ad ingrossare le fila di quanti sono in fuga dal nostro paese. Una prospettiva questa che sottrae il libro dall’orgoglio provinciale che caratterizzava alcune pubblicazioni del passato, per aprirsi piuttosto ad una lettura critica dei limiti del nostro paese.
Per ciascun personaggio, dopo il profilo biografico, seguono una serie di risposte rispetto ad griglia di domande comune a tutti gli intervistati. Tale circostanza permette di rilevare riflessioni spesso comuni tra gli intervistati, a cominciare dal concetto di “successo” ridimensionato, con modestia, in traguardi professionali di alto profilo, che potrebbero riservare ulteriori margini di crescita, soprattutto per i più giovani.
Tutti sono concordi nel riconoscere nei valori tradizionali della famiglia una spinta positiva insieme alla formazione primaria e secondaria, che poi ha finito per assumere un ruolo spesso fondamentale nell’affrontare i successivi studi, generalmente proseguiti all’estero. Frequenti sono i ricordi personali di docenti che hanno esercitato la loro influenza morale ed educativa. Tra i tanti merita di essere segnalato l’affettuoso ricordo che il compositore e musicista Paolo Russo, che vive in Danimarca, ha fatto della sua prima insegnante di pianoforte, Rachele Marchegiani, alla quale ha voluto dedicare alcuni mesi fa un suo concerto a New York, mentre l’anziana docente pescarese era morente.
Si può dire che per tutti le strade del mondo hanno rappresentato percorsi praticabili, conseguendo mete altrimenti molto difficili da raggiungere in Italia, o semplicemente impossibili rimanendo in Abruzzo. Tra i casi più emblematici è significativa la storia del giovane scienziato aerospaziale Giuseppe Montano. Dopo la laurea in ingegneria informatica e i curriculum inutilmente inviati qua e là, il neo ingegnere rientrato a Pescara non trovava altro che un lavoro precario in una “aziendina”, come tecnico riparatore di computer e stampanti, anche a domicilio. Poi la sua passione per la ricerca aerospaziale lo ha portato a positivi contatti con centri di ricerca internazionale al punto che la Rolls-Royce, che opera anche in questo settore, ritenne di finanziargli ulteriori costosi studi nella Università di York. Oggi Montano, a soli 34 anni, è leader del gruppo di studi spaziali avanzati di Airbus Defence and Space, la seconda azienda aerospaziale al mondo.
Un aspetto di particolare interesse è costituito dalle risposte alla domanda su possibili suggerimenti alla politica regionale. Risposte in genere diplomatiche e tese a sostenere l’esigenza di un miglioramento complessivo della formazione, compresa quella universitaria, che costituisce materia di competenza principalmente statale, ma anche critiche su un sistema che non riconosce sufficientemente il merito, sul ritardo culturale rispetto agli altri paesi occidentali e ancora su altri aspetti che meriterebbero un’analisi a parte, ammesso che ci sia una classe dirigente locale disposta ascoltare e far tesoro di tali riflessioni.
La presentazione ufficiale del libro è stata preceduta da un incontro informale nello scorso mese di agosto in un elegante ristorante sul mare pescarese, organizzato da Raffaella Quieti Carledge. Una piacevole occasione per un aperitivo tra i protagonisti coinvolti nella ricerca, provenienti da varie parti del mondo, che hanno potuto conoscersi e scambiare idee e opinioni, passando a discutere di Brexit, della vita a Singapore, Los Angeles, ecc.
Le conversazioni passavano frequentemente dall’italiano all’inglese, anche per coinvolgere familiari al seguito. Invitato all’incontro ho potuto confrontarmi con l’economista Ernesto Sirolli, stratega dello sviluppo locale, che si muove da Sacramento (California) per il mondo, accompagnato dalla moglie australiana Martha, pure economista, con il banchiere Fabio Di Vincenzo, “pendolare europeo” tra Londra, Lussemburgo e altri paesi, e quindi con la stessa autrice della ricerca e brillante organizzatrice del meeting, preziosa opportunità per cogliere anche la distanza con la realtà locale, ancora molto lontana dalla complessità degli scenari competitivi della società globale. Antonio Bini.