di Antonio Giampaoli L’AQUILA - In occasione del 73° anniversario del blitz dell’esercito tedesco che portò alla liberazione di Mussolini dalla prigione di Campo Imperatore, il Centro Turistico Gran Sasso d’Italia ha voluto ricordare il 12 settembre scorso il carabinere Giovanni Natale e la guardia forestale Pasquale Vitocco, che persero la vita in quella circostanza.
Due vittime dell’Operazione Quercia dimenticate dalla Storia che ritrovano la dignità del ricordo, attraverso l’intitolazione a loro delle stazioni di Monte e di Valle della Funivia del Gran Sasso, con due targhe che sono state scoperte dai parenti delle vittime e benedette dal parroco don Giovanni Gatto. Una bellissima cerimonia con la presenza di autorità civili e militari, con l'omaggio doveroso alle famiglie del carabiniere e del forestale uccisi nell'assolvimento del loro dovere.I parenti delle vittime si sono incontrati e abbracciati per la prima volta, con gli onori dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo Forestale dello Stato. I dettagli di quella giornata sono stati ricostruiti grazie agli storici Walter Cavalieri e Goffredo Palmerini. Il prof. Cavalieri, nel suo intervento, ha parlato di presunta "liberazione" di Mussolini dal Gran Sasso, con un ampio intervento ricostruttivo di quel periodo e di quegli eventi, ha così concluso:
“… qualche storico dell'ultim'ora pare aver scoperta l'acqua calda, cioè che esistesse un accordo segreto italo-tedesco che prevedeva la consegna del duce in cambio della fuga del re e di Badoglio. Per la verità, la tesi dell'accordo Ambrosio-Kesselring fu sostenuta per la prima volta da Ruggero Zangrandi ("L'Italia tradita", Mursia, 1971) e più recentemente rilanciata dal giornalista Marco Patricelli. Come si sa, l'accordo fu pienamente eseguito a Campo Imperatore, ma qualcuno dimenticò di avvertire i pochi carabinieri di Assergi e ogni altro uomo in divisa. Per questo a valle furono uccisi dai tedeschi il carabiniere Giovanni Natale e il forestale Pasqualino Vitocco. Vittime della ragion di Stato di cui oggi è stata finalmente onorata la memoria”.
Dopo Cavalieri, l'intervento di Goffredo Palmerini.
"Farò un intervento breve, dopo l’ampia relazione sul contesto storico di quei giorni che con la sua competenza ha fatto il prof. Cavalieri. Cercherò, per quanto mi riguarda, dai fatti che ricordiamo di trarre un giudizio e un ammonimento - da modesto uomo delle istituzioni fino a qualche anno fa - che valgano per allora, per l’oggi e sopra tutto per il futuro. Mi sono interessato a queste vicende leggendo pubblicazioni che l’hanno analizzate – i libri di Marco Patricelli, Walter Cavalieri, Aldo Rasero, Vincenzo Di Michele – ma ancor più ultimamente scrivendo la Presentazione a un bel libro di Antonio Muzi, “L’ala tedesca sul Gran Sasso”. Antonio Muzi, studioso di storia per pura passione, ha scritto un volume di forte interesse e di grande utilità specie per le giovani generazioni, per far conoscere meglio uno dei periodi più bui e penosi della nostra storia nazionale. E quello del quale qui e ora stiamo parlando resta un buco nero della nostra storia nazionale, con la quale ancora non facciamo del tutto i conti. Parliamo degli avvenimenti che interessarono l’Italia dal 25 luglio 1943, con il voto del Gran Consiglio e la conseguente caduta del regime fascista, fino alla “liberazione” di Mussolini dalla “prigione” di Campo Imperatore, il 12 settembre, che poi portò alla nascita della Repubblica di Salò e alle drammatiche conseguenze che ne seguirono.
Fu un mese e mezzo, o poco più, denso di avvenimenti che cambiarono il corso della nostra storia, tra miserie morali e fughe dalle responsabilità, culminate in quell’8 settembre 1943, quando l’Italia andò allo sbando per l’inqualificabile comportamento del Re, del capo del Governo generale Badoglio e del capo di Stato Maggiore generale Roatta, fuggiti dalla capitale ad Ortona, da qui imbarcatisi per Brindisi, senza aver lasciato ordini chiari e precisi alle nostre Forze Armate, rimaste in balia della reazione tedesca in Italia e nei diversi fronti di guerra. La pagina più nera della nostra storia patria, dalla quale tuttavia sarebbe nata la Resistenza e la lotta di Liberazione, con il riscatto della dignità del Paese, prodromo alla riconquista delle libertà democratiche e alla nascita della Repubblica.
Torniamo, per un momento, a quei giorni, quando dall’isola della Maddalena il prigioniero Mussolini il 28 agosto fu tradotto sul Gran Sasso, dapprima alla “Villetta” di Fonte Cerreto e qualche giorno dopo all’albergo di Campo Imperatore. Accanto e intorno al Duce, nel corso della sua prigionia e fino alla sua “liberazione”, avvenuta il 12 settembre di 73 anni fa, con la proditoria “Operazione Quercia” dei Tedeschi, concertata dal generale Student con il maggiore Mors, si aggira una fioritura di varia umanità, personaggi che sembrano più adatti al teatro delle maschere, tanto sono capaci di recitare a soggetto. Funzionari dello Stato ciascuno dei quali, rispetto ai propri doveri e alle proprie responsabilità, opera a suo piacimento, omettendo o modificando le disposizioni ricevute, a seconda delle personali convenienze o convinzioni. Oppure adottando comportamenti non del tutto compatibili o appropriati a quelli che la propria funzione dovrebbe osservare. Eccone un campionario: Polito, Meoli, Senise, Gueli, Faiola, ma anche altri.
Sicché la catena di comando risulta svilita, praticamente aleatoria, come dimostrano i fatti susseguitisi dal 25 luglio al 12 settembre ’43. E l’ordine di Badoglio di non far cadere vivo il prigioniero in mani tedesche, dunque all’occorrenza di sopprimerlo – ma Badoglio sapeva pure che Mussolini, in base al patto d’armistizio firmato a Cassibile il 3 settembre dal generale Castellano, avrebbe dovuto essere consegnato vivo agli Alleati! – non ha praticamente alcun séguito. Come non ha praticamente séguito per tentennamenti nell’esecuzione l’ordine superiore, ribadito dal prefetto dell’Aquila all’ispettore Gueli, di trasferire Mussolini da Campo Imperatore a Fano Adriano, nel versante teramano, in vista d’un possibile imminente attacco tedesco. O come Gueli interpreta a suo modo la raccomandazione del capo della Polizia Senise di regolarsi “con prudenza” in caso d’attacco tedesco, tradotto praticamente nell’ordine “non sparate” quando il capitano delle SS Otto Skorzeny, sceso dal primo degli alianti tedeschi atterrati a Campo Imperatore e precipitatosi verso l’albergo, va a “liberare” Mussolini.
Il “fortilizio inespugnabile”, così definito dal medesimo Gueli per rassicurare Badoglio, non produce difesa o reazione alcuna in chi è a sua difesa, diventa una casa aperta ai militari del commando tedesco venuto dal cielo che in pochi minuti “liberano” Mussolini, fanno persino foto di gruppo con i militari italiani, caricano Mussolini su un monomotore biposto Fieseler Storch – sul quale pretende di salire e sale anche Skorzeny, l’avventato capitano delle SS fatto poi passare per eroe, mettendo a serio rischio il decollo – lo portano a Pratica di Mare e da quell’aeroporto un aereo trasferisce il Duce e Skorzeny al cospetto di Hitler.
Da questo quadro viene fuori - per quel periodo e per quegli avvenimenti - un’Italia che non vorremmo mai più vedere, uno Stato liquefatto, le sue istituzioni sfarinate, dove imperano sotterfugi e menzogne, furbizie e fughe dalle responsabilità, mancanze di lealtà o insufficienze verso i propri doveri. Un cercare di arrangiarsi, di adattarsi agli eventi secondo convenienza, dove il rigore del dovere è perso, il senso del rispetto verso la nazione e il suo destino, in una congiuntura così drammatica, viene declinato secondo la personale utilità. Il segno d’una decadenza etica, nel corpo stesso dello Stato, terrificante. Solo alcuni giorni dopo quel 12 settembre inizierà la riscossa dell’Italia, il recupero della dignità nazionale.
Questa decadenza etica del senso dello Stato e dei propri doveri trova qui a Campo Imperatore il suo apice. E di fronte alla vergogna d’una simile condizione il comportamento del carabiniere Giovanni Natale e della guardia forestale Pasquale Vitocco, due umili persone in divisa che erano al posto di blocco nei pressi di Assergi o nelle immediate vicinanze a fare il loro dovere, furono le sole a lasciarci la vita, sotto i colpi della mitragliatrice sparati dalla colonna motorizzata tedesca al comando del Maggiore Harald Mors che procedeva verso Fonte Cerreto. Due persone, due uomini dello Stato, due padri di famiglia che stavano facendo il proprio dovere, morti nell’esercizio del proprio dovere. Il loro comportamento, nel contesto di tradimento dei valori di lealtà verso lo Stato e delle responsabilità, li fa assurgere a semplici eroi. A loro va il nostro rispetto, la nostra gratitudine e l’onore che a loro compete per la dignità del loro comportamento. L’onore che oggi, seppure tardivamente, gli tributiamo, facendone memoria con l’apposizione di queste due targhe, nelle stazioni di partenza e arrivo della Funivia del Gran Sasso.
Quel loro comportamento ci riscatta in parte dalla vergogna di quei giorni. Un riscatto che sarebbe poi cresciuto proprio dall’Aquila, con i partigiani che s’erano organizzati sulle nostre montagne, cui s’aggiunsero alcuni giovani. Nove di essi furono catturati dai tedeschi e fucilati, dopo essere stati costretti a scavarsi la fossa. Accadde il 23 settembre. Sono anche loro i nostri eroi, i 9 Martiri Aquilani. Il loro sacrificio nello stesso giorno dell’eccidio di Cefalonia. Per questo andiamo orgogliosi e come Abruzzesi ancor più per il contributo rilevante reso dall’Abruzzo alla lotta di Liberazione dal nazifascismo, con la nascita della Brigata Maiella, nel dicembre ’43: il primo reparto partigiano militarmente inquadrato, l’unico insignito di Medaglia d’Oro al valor militare, la formazione combattente con il più lungo e ampio ciclo operativo, dall’Abruzzo alle Marche, all’Emilia Romagna e al Veneto, fino alla completa liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Se dunque c’è un ammonimento da trarsi per l’oggi e per il futuro dal sacrificio di Giovanni Natale e Pasquale Vitocco, esso risiede nel richiamare in ciascuno di noi il senso dello Stato, nel rispetto dei propri doveri, ciascuno nell’ambito delle proprie responsabilità piccole o grandi. In ogni condizione o circostanza, ordinaria o eccezionale. L’unico modo, qusto, per dare dignità alla nostra vita e un futuro migliore alla nostra comunità e alla nostra Italia".
Il prefetto dell’Aquila, Francesco Alecci, in un intervento molto intenso e toccante, ha infine sottolineato che «lo Stato all’epoca non fu capace di governare la situazione. Ingloriosa fu la vita di Mussolini, come ingloriosa fu la sua fuga. Non fu una liberazione».
Il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, ha parlato di due persone che la storia ha voluto nascondere.
«Una delle vittime più grandi è la verità di quel giorno», ha osservato il presidente del Ctgs, Fulvio Giuliani, che ha avuto il merito di promuovere questa significativa manifestazione.
Con un pizzico di orgoglio e con tanta commozione Giocondina Giusti, nipote di Pasquale Vitocco, ha voluto ringraziare gli organizzatori della cerimonia, anche a nome della mamma (figlia della vittima), degli zii e cugini residenti in Australia ed in America:
«Ringrazio l’amministrazione del Centro Turistico, le Autorità militari, civili e religiose che hanno voluto onorare la memoria di nonno Pasquale, uomo onesto e ligio al dovere che esercitò la sua professione di guardia forestale ai piedi di queste nostre bellissime montagne. L’occasione mi suggerisce l’augurio che le generazioni future non possano mai più conoscere le sofferenze della guerra e che questo nostro bellissimo Gran Sasso sia fonte di benessere per le popolazioni che vivono nei suoi dintorni. Grazie ancora».
Un episodio storico che si consumò ad Assergi, che scosse la nostra comunità. Il sito web "Assergi Racconta" ha ricostruito la vicenda, attraverso le testimonianze dei figli del Vitocco e del soccorritore Costanzo Alloggia. Si trattò di un'azione di guerra, un'azione coordinata nella quale reparti di terra si incaricarono di spianare la strada per facilitare l'atterraggio a Campo Imperatore degli alianti che portavano i soldati che avevano il compito di liberare il Duce. Le truppe tedesche al comando del Maggiore Mors, viaggiavano sulla strada che porta a Fonte Cerreto dove è situata la stazione di partenza della Funivia per Campo Imperatore. L’avanguardia della lunga colonna motorizzata, costituita da motorette munite di mitraglia, costrinse alla resa un drappello di carabinieri che presidiava la strada verso la Base della Funivia. Un carabiniere, per l'appunto il Natale, rimase ucciso, non essendosi accorto che tutto il drappello si era arreso senza nemmeno sparare un colpo. In un pagliaio poco distante una guardia campestre, Pasquale Vitocco, avvedutosi del trambusto e temendo forse per sé e per la sua famiglia, pensò di uscire e di allontanarsi attraverso un viottolo che conduceva al paese (alla Porta del Colle, per essere precisi), ma alcuni soldati tedeschi lo avvistarono e, temendo, a motivo della divisa di guardia forestale che indossava, che avesse intenzione di chiamare rinforzi, gli spararono, ferendolo gravemente. L'episodio avveniva ad Assergi, all'altezza della località detta Fraunil. Soccorso poi da Costanzo Alloggia e dalla moglie che subito lo raggiunse, fu condotto alla casa della maestra Battista Sacco, in prossimità della Porta dell'Orologio. Successivamente fu portato all'ospedale dell'Aquila su di una camionetta degli stessi soldati tedeschi, che nel frattempo si erano resi conto del tragico errore, ma il mattino dopo Vitocco spirò.
*direttore Assergi Racconta - http://assergiracconta.altervista.org/