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Giornata nazionale delle persone con disabilità intellettiva. Parla Roberto Speziale

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Su iniziativa della Presidenza della Repubblica, è stata celebrata la Giornata nazionale delle persone con disabilità intellettiva con un incontro al Quirinale nel quale sono intervenuti il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin. Roberto Speziale, presidente nazionale dell’Anffas Onlus, l'Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale, ha raccontato a Maria Laura Serpico cosa significa avere una disabilità intellettiva oggi in Italia:

R. – Nascere con una disabilità intellettiva comporta una serie di difficoltà per tutto l’arco della vita, a partire dalla diagnosi ma anche dalla semplice comunicazione della diagnosi, e alla rete integrata dei servizi. Ancora troppo spesso sono le famiglie a doversi fare carico interamente della persona con disabilità all’interno delle famiglie: le mamme che sono spesso costrette a lasciare il lavoro e per tutto l’arco della vita costrette agli "arresti domiciliari" senza aver mai commesso alcun reato.
D. – Cosa succede alle persone disabili nel momento in cui il supporto familiare viene a mancare?
R. – Questo rappresenta un vero dramma: su questo bisogna assolutamente fare un salto culturale. “Durante di noi” non può essere la frenetica ricerca di un posto letto in emergenza, il “Dopo di noi” va costruito “Durante noi”. Le persone con disabilità intellettiva fin da giovani vanno portate al massimo livello di autonomia possibile, devono avere le loro capacità di indipendenza, di progressivo distacco dalla famiglia per poter rispondere – quando la famiglia divenuta anziana non ce la fa più a svolgere i propri obblighi familiari, oppure i genitori non ci fossero più – attraverso un percorso accompagnato, precostituito, a quella terribile condizione che è la domanda che tutti noi genitori ci facciamo: “Quando io non ci sarò più, di mio figlio chi si prenderà cura?”.
D. – “La presa in carico della persona è un percorso graduale”, ha affermato il presidente Mattarella, che ha sottolineato come l’inclusione scolastica non sia necessaria solo per le persone disabili, ma anche per gli altri studenti per interfacciarsi con la diversità…
R. – L’affermazione del presidente non può essere commentata, perché da sola rappresenta una verità assoluta. L’inclusione scolastica è un processo che non è soltanto dare i giusti supporti alla persona con disabilità. L’inclusione scolastica fa bene, prima di tutto, all’intero contesto-classe: istruisce i nuovi cittadini ad accettare le diversità, crea maggiore sensibilità laddove questo percorso sia fatto in modo positivo, dove la persona con disabilità all’interno della classe non venga vissuta in modo problematico ma, appunto, venga vissuta come una componente che, al pari degli altri alunni e studenti, con i giusti supporti, possa dare il proprio contributo e quindi venga accettata e aiuti a migliorare gli altri compagni senza disabilità.
D. – La normativa per l’inclusione socio-lavorativa di disabili viene rispettata, oggi, in Italia?
R. – Purtroppo, le persone con disabilità che lavorano in Italia sono una minoranza quasi a percentuale zero. Le norme ci sono, le opportunità sono tante: anche la recente legge sul "Jobs act" ha portato buone novità. Però, fino a quando il mondo dell’impresa, del lavoro, ma anche gli stessi enti pubblici considereranno le persone con disabilità come soggetti improduttivi, appunto come pesi, non come persone, le opportunità per entrare nel mondo del lavoro saranno veramente poche. Le leggi ci sono, basta attuarle bene.
D. – Il ministro Lorenzin ha detto che noi guardiamo, ma non vediamo i disabili. Perché è difficile riconoscere l’individualità di queste persone?
R. – La disabilità intellettiva è una disabilità complessa: molto spesso non è facile individuarla semplicemente con l’incontro, diversamente da una persona in sedia a rotelle o a una persona priva della vista. Oppure, ha una forma di disabilità talmente complicata per cui tendiamo a voltare lo sguardo da un’altra parte, piuttosto che guardare quella persona. Il ministro Lorenzin ha detto una cosa molto profonda: ha detto che noi spesso “guardiamo” le persone con disabilità ma non le “vediamo” in quanto persone. Questo mi riporta anche a un’altra considerazione: prima di tutto sono persone, siamo persone, non sono “malati”. Se si facesse questo salto culturale, si guarderebbe a ogni singolo individuo con occhi diversi, si accetterebbe la diversità come una componente della dimensione umana e questo cambierebbe la storia dell’approccio alla disabilitàMaria Laura Serpico, Radio Vaticana, Radiogiornale del 30 marzo 2016.

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