“Quando rivedo un mio film mi accorgo che è più cupo di come lo immaginavo, in contrasto con l’allegria vissuta sul set e la leggerezza che mi contraddistingue”. È un Matteo Garrone intimo quello che si racconta a Caserta per il primo appuntamento di “Maestri alla Reggia”, promossi dalla Sun (Seconda Università degli Studi), in collaborazione con Ciak, Reggia di Caserta e Cineventi.
La sua voce è confidenziale, forse perché respira un’aria familiare: a 19 anni nella città vanvitelliana ha fatto il servizio militare come atleta della squadra di tennis. Definito da Piera Detassis, direttore di Ciak e presidente della Festa del Cinema di Roma - che condurrà tutto il ciclo di incontri cinematografici -, “un autore mutante” per la sua capacità di cambiare, il regista romano colloca il suo cinema in una dimensione fiabesca, muovendosi sempre per archetipi ed immagini. Nei suoi film è partito sempre dal contemporaneo per arrivare ad una dimensione favolistica, onirica e visionaria, fino a quando non si è imbattuto ne “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile e ad aver compiuto l’operazione opposta: dagli elementi magici e soprannaturali è giunto al reale per dar vita a “Il racconto dei racconti”. “Più ha avuto successo un film, più ho una lunga gestazione per quello successivo”, rivela Garrone che è disarmante per la serenità con cui racconta del suo processo artistico alla ricerca non di “un altro” progetto, ma sempre “del progetto”. Anche ora ha appena terminato di scrivere una sceneggiatura ma non ne è pienamente soddisfatto ed ha cominciato a dedicarsi ad un nuovo soggetto. Non si apre molto su questo versante, dice “per scaramanzia”. Il suo lavoro di scavo sull’essenza dell’uomo e dell’artista è continuo ed incessante. Dalla pittura ad olio è passato al cinema e non crede tornerà alla pittura perché il cinema è stato l’approdo naturale dell’evolversi del suo linguaggio per immagini.
I film che lo hanno formato parlano di ricerca artistica. Sono “Andrej Rublëv”, un film del 1966 scritto e diretto da Andrej Tarkovskij, presentato fuori concorso al Festival di Cannes nel 1969. Il film è una parabola sul senso dell’arte che vince sulla politica sanguinaria degli uomini. In particolare, è l’episodio della campana che Garrone ama. Quello in cui un giovane finge che il padre prima di morire gli ha lasciato il segreto della fusione della campana per avere salva la vita. E quando il giovane riesce a fondere la campana si dà ad un pianto disperato. E poi “La palla nº 13” del 1924, diretto ed interpretato da Buster Keaton, in cui Il proiezionista di un cinema sogna di diventare un detective: la scena amata da Garrone è proprio quella dello sdoppiamento del protagonista. Un qualcosa che a Garrone capita nel sogno ricorrente che lo accompagna durante la preparazione di un film: si vede alla prima proiezione con il pubblico e trova che una scena è più lunga di quello che ricordava o che il montaggio non è come lo aveva realizzato, eppure quel film è il suo, lo riconosce… In ogni film Garrone mette tutto se stesso. La singolarità che lo ha contraddistinto nei primi lavori è che lui era il suo operatore di macchina: in questo modo riusciva a veicolare del tutto la sua carica emotiva. Tranne che ne “Il racconto dei racconti”, i suoi film sono girati in sequenza proprio per vivere tutto il trasporto emotivo dello sviluppo della storia. E sul set qualcosa può cambiare. Sempre. Il finale di “Reality”, ad esempio, nasce proprio sul set. In sceneggiatura il protagonista, Luciano, apriva tutte le porte della casa del Grande Fratello per poi ritrovarsi fuori, sulla Tuscolana. Ma qualcosa può cambiare anche al montaggio. “Se qualcosa non mi convince, torno a girare una scena”, rivela. Eppure ne “Il racconto dei racconti” ha dovuto accettare per forza di cose un “buona la prima” ed unica scena. Durante il ciak in cui l’orco assale la carovana del circo, l’orco involontariamente colpisce molto forte Massimo Ceccherini. L’attore fiorentino va subito a dire a Garrone che non avrebbe girato un’altra volta quella scena. Il regista pensava ad un piccolo capriccio, invece: “Era in corso uno psicodramma. Ceccherini piangeva da un lato consolato da Alba (Rohrwacher, sua compagna nel film, ndr), perché si era fatto male, e l’orco da un altro lato, perché era dispiaciuto avesse sferrato un colpo troppo forte”. La lavorazione de “Il racconto dei racconti” per Matteo Garrone è stata molto impegnativa. Lui non ama i registi che si prendono troppo sul serio sul set, ma in questo caso essendo anche produttore - “mi sono ipotecato la casa” - le energie impiegate al momento del ciak sono state maggiori del solito. Gli unici momenti più spensierati sono stati la giornata in cui tanti bambini, tra cui suo figlio di sette anni, sono venuti in visita, e quella in cui alle Terme dei Papi ha girato la scena sottacqua dei fratelli gemelli albini (due attori inglesi davvero gemelli, ma non albini) con i turisti incuriositi che facevano il bagno.
Per “Il racconto dei racconti” Matteo Garrone è in lizza ai David di Donatello per più categorie, in particolare miglior regia, miglior film, miglior produttore e miglior sceneggiatore. Fare una serie tv da questo film? “Materia ce n’è. Ma le serie tv sono di moda. Ed io non amo seguire le mode”. La cerimonia dei David è il 18 aprile. Prima, il 7, alla Reggia di Caserta ci sarà il secondo incontro cinematografico. Ospite Gabriele Muccino, che arriverà direttamente dagli Stati Uniti dove sta ultimando le riprese del suo nuovo film.
Ornella Petrucci