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Iraq: 600 mila civili tornati a casa nelle zone riconquistate all'Is

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Secondo l’Onu sono 600 mila i civili che in Iraq sono ritornati nelle loro case, in zone tolte al controllo delle milizie del sedicente Stato islamico, anche se le fonti e le informazioni dal Paese risultano frammentarie. Un segnale di normalità che però rischia di essere oscurato dal presunto attacco da parte dei combattenti di Daesh ad un giacimento petrolifero di Ajil, a 40 chilometri da Tikrit. La notizia arriva da una fonte delle forze di sicurezza irachene. Sulla strategia adottata dalle truppe del sedicente Stato islamico, Valentina Onori ha intervistato il giornalista e inviato di guerra del quotidiano 'La Stampa', Domenico Quirico

R. – In questi giorni arrivano dalle “terre del Califfato” - chiamiamole così - delle notizie abbastanza contraddittorie. Ogni giorno sembra che l’offensiva contro la parte siriana e la parte irachena del Califfato sia ormai arrivata alla fase finale; il giorno dopo scopriamo, invece, che le truppe non riescono a riprendere la città e hanno conquistato magari un villaggio. C’è una quantità enorme di disinformazione a causa del diffondersi di queste guerre cosiddette "del fanatismo". Sono diventate terre vietate agli occidentali e anche ovviamente agli occidentali che le dovrebbero raccontare. Occorre un’estrema prudenza. Il dato certo è che gli uomini del Califfato occupano ancora - da due anni - due luoghi centrali di quella parte del mondo, che sono Raqqa in Siria e Mosul in Iraq. Allora fino a quando non ci sarà la prova evidente che sono stati espulsi da questi due luoghi, è inutile fare dei ragionamenti se il Califfato sia in ritirata o se sia stazionario, perché non ci sono gli elementi sufficienti per dire queste cose con un minimo di credibilità. Il Califfato al momento sta cercando di mantenere le sue posizioni. La constatazione che si può fare, ed è una constatazione purtroppo negativa, è che il Califfato - quando decide che il prezzo da pagare per mantenere una certa postazione, una certa città e un certo luogo è troppo elevato rispetto ai vantaggi che potrebbe trarne - cerca di portare il maggior danno all’avversario e quindi si ritira. La ritirata è l’operazione militare più complicata che ci sia: se riescono a farla in ordine – come sono riusciti a farla, ad esempio, a Palmira – vuol dire che hanno una capacità militare assai elevata. In altri luoghi, invece, decide di combattere – facciamo l’esempio di Falluja – perché ritiene che quell’obiettivo sia militarmente o simbolicamente importante. Questo dimostra che il Califfato non è una banda di dilettanti della guerra, ma dispone di forze militari tecnicamente competenti e di una strategia complessiva che viene disegnata con grande attenzione rispetto ai vari luoghi in cui la battaglia si dipana. E questo ne dimostra la straordinaria pericolosità, al di là invece dei racconti 'scalcagnati' che ne vengono fatti. Gruppi di giovani che vanno lì perché gli è stato fatto il lavaggio del cervello: sono dei combattenti professionali, che si battono per uno scopo terribile – la costruzione di uno stato totalitario – ma che hanno una capacità di nuocere e di difendersi estremamente elevata. Ciò dimostra che questa non è una guerricciola contro una banda di assassini, ma è una guerra complessa, che richiederà tempo, sforzi e – ahimè – molto vittime.
D. – E rispetto alla Siria, la situazione in Iraq com’è?
R. – Apparentemente più semplice, perché a battersi contro le forze del Califfato ci sono le forze sciite e i curdi. Ma il territorio del Califfato – a parte il centro che controllano direttamente, Raqqa, Mosul – è qualche cosa che non è misurabile. La eliminazione del Califfato dalle zone che controlla da due anni è qualcosa che richiederà un'enorme quantità di tempo e che non necessariamente significherà – purtroppo – la fine di questa vicenda terribile.
D. – Quindi non si tratta di un esercito che apre più fronti e che non è in grado di fronteggiare una milizia regolare?
R. – E’ in grado di combattere vari tipi di guerre: una guerra tradizionale, in cu si batte fronte contro fronte, contro un altro esercito; può combattere la guerriglia, cioè disperdersi nel territorio, colpire alle spalle; può combattere una guerra tradizionalmente di tipo terroristico - autobombe, attentati kamikaze - che serve per disorientare l’avversario e intimorirlo,  in funzione tattica per sfondare e aprire le linee avversarie perché, non avendo spesso una artiglieria pesante e particolarmente forte, utilizzano i kamikaze per aprirsi la strada e poi arrivare con le forze tradizionali. E’ in questa loro duttilità la loro forza.
D. – La tattica dell’esercito del sedicente Stato islamico qual è?
R. – Quella di tenere il territorio il più possibile. Lo scopo è quello di mantenere il Califfato: il Califfato è il loro riferimento strategico e controllano il quotidiano di 6-7-8 milioni di persone. Radio VAticana, Radiogiornale del 4 giugno 2016.

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