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Intervista al procuratore nazionale antimafia Franco Roberti: non temo ritorno stragi mafia, prevenire terrorismo

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La lotta al terrorismo in Italia e in Europa richiede attenzione ai luoghi dello scontento, alle periferie, ma anche alle infiltrazioni possibili nei flussi migratori. Così il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti che, alla vigilia dell’anniversario della strage di Capaci del 23 maggio 1992, torna sulla questione sicurezza dei magistrati e sul ritorno alle forme più violente dell’azione mafiosa. L’intervista è di Gabriella Ceraso

R. – In base agli elementi che abbiamo, e che abbiamo anche raccolto in questi mesi di indagini e di interventi giudiziari, a volte anche significativi, possiamo ben dire che i potenziali terroristi o “foreign fighters” sono già nel nostro Paese e magari ci vivono da una vita, come è emerso dalle indagini milanesi. Quindi è giusto guardare le periferie per prevenire percorsi di radicalizzazione, che poi possono sfociare in scelte di violenza o addirittura di jihad, ma è giusto anche - secondo me - controllare nei flussi migratori l’arrivo di potenziali terroristi, perché siamo certi che con i flussi migratori non arrivino per forza terroristi già predisposti a commettere attentati in Italia, però non c’è dubbio che tra i rifugiati potrebbero esserci dei soggetti predisposti ad avviare percorsi di radicalizzazione.
D. – Minacce ai Pm antimafia, il piano contro il procuratore di Napoli, Colangelo ... C’è stata un’assemblea dei Pm sulla questione sicurezza. Le posso chiedere se c’è un problema in tal senso e quali sono le vostre preoccupazioni?
R. – Io ho sempre pensato che la protezione ai magistrati debba essere assicurata sulla base di un’analisi molto attenta del rischio che ciascuno di essi corre in relazione alle attività giudiziarie che svolge. Quindi, anche indipendentemente da minacce esplicite, si può arrivare ad assicurare la protezione ai magistrati quando si ritenga che essi siano esposti al rischio. Nel caso del procuratore Colangelo, è stato accertato un progetto serio di attentato: era un progetto concreto ed esiste ancora l’attualità del pericolo, perché recentissimo è stato il mandato conferito dai napoletani ai pugliesi per l’esecuzione materiale dell’attentato. E quindi bisogna intanto sviluppare un’indagine molto attenta per arrivare ai responsabili – ed è quello che si sta facendo – e poi assicurare al procuratore Colangelo la necessaria tutela.
D. – Siamo a pochi giorni dall’anniversario, 24 anni, dell’attentato al giudice Falcone. Abbiamo appena ricordato l’uccisione di Massimo D’Antona, ci dobbiamo aspettare episodi simili?
R. – Io non penso alla possibilità concreta di un ritorno alla stagione delle stragi, anche perché le organizzazioni criminali sono ben diverse. Non esiste più l’ala stragista di Cosa Nostra che eseguì gli attentati del ’92 e del ’93. Penso però che bisogna guardare con estrema attenzione a questi fatti e alle vicende degli ultimi giorni. L’attentato al direttore del Parco dei Nebrodi mi sembra un elemento estremamente preoccupante di un possibile ritorno, se non dello stragismo, comunque di attività violente delle organizzazioni mafiose. È quindi una cosa che va valutata con estrema attenzione.
D. – Proprio nel caso del presidente Antoci del Parco dei Nebrodi lei ha detto: “Si colpisce di solito chi si impegna di più”. Qui parliamo di un impegno a togliere terre, agricoltura alla mafia, no?
R. – Parliamo dell’impegno del presidente Antoci nel ripristinare condizioni di legalità in un territorio ad alta densità mafiosa, quindi un impegno e una sfida estremamente importanti. E sono sicuro che il presidente Antoci, e anche gli altri sindaci che in quel territorio con lui hanno sottoscritto il “Patto di Legalità” per quel territorio, vadano protetti e debbano continuare serenamente le loro attività all’insegna della legalità e della trasparenza.
D. – Quanta ce n’è di società civile disposta a rischiare tutto per l’onestà e la legalità?
R. – Io ricordo sempre il pensiero di Giovanni Falcone, che diceva che non possiamo pretendere l’eroismo da inermi cittadini. Possiamo però aspettarci che i cittadini onesti – e sono tanti – recuperino la fiducia nelle istituzioni e con essa anche la voglia di collaborare e di perseguire le strade dell’onestà. Ma ugualmente, questa fiducia le istituzioni devono meritarsela, dimostrando ai cittadini onesti di fare sul serio contro le mafie.
D. – Questo Patto della Legalità per il Parco dei Nebrodi, alla Camera si dice che c’è l’intenzione di farlo diventare legge e quindi di estenderlo.Che significherebbe nella lotta alla mafia?
R. – Sarebbe indubbiamente un passo avanti. Significa innanzitutto verificare che coloro che aspirano ad avere appalti e commesse pubbliche non abbiano alcun tipo di legame con le organizzazioni mafiose. E inoltre che abbiano dimostrato in passato di praticare la strada della legalità nella loro attività imprenditoriale.
D. – E questo, esteso, sarebbe uno scudo per la diffusione della mafia o no?
R. – Sarebbe molto importante e anche uno scudo contro le infiltrazioni mafiose nella Cosa pubblica, in particolare negli appalti pubblici.
D. – I fatti di queste ore raccontano del volo dell’Egyptair precipitato: la pista del terrorismo si fa sempre più pregnante. In Italia potrebbe succedere la stessa cosa? Quali sono i rischi che corriamo?
R. – Mi auguro ovviamente di no, ma non posso prevedere il livello di rischio. So che l’Italia è un Paese a rischio, come anche gli altri Paesi europei, ma noi stiamo adottando tutte le misure necessarie a prevenire. Gabriella Ceraso, Radio Vaticana, Radiogiornale del 21 maggio 2016.

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