Oltre 34mila migranti nell’arco del 2016, in Italia, hanno beneficiato dei progetti del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Di questi, circa tremila sono i minori non accompagnati. Sono i dati del rapporto annuale Sprar, presentato oggi a Roma. Francesca Sabatinelli :
Sicilia e Lazio, le due regioni capolista per accoglienza. Entrambe hanno ricevuto oltre il 19% dei migranti inseriti nella rete Sprar, a seguire la Calabria e la Puglia: quattro regioni che assieme raccolgono complessivamente circa il 60% del totale. La maggior parte delle persone arriva dalla Nigeria, poi dal Gambia, dal Pakistan, dal Mali, dall’Afghanistan e dal Senegal. La rete degli enti locali che ha reso possibile l’accoglienza è stata di 555 unità: 491 comuni e 27 province. 2989 i minori stranieri non accompagnati inseriti nel 2016, una cifra importante, di molto aumentata rispetto agli anni precedenti, grazie soprattutto a 35 nuovi progetti, saliti in tutto a 99. Tra i minori, gli arrivi maggiori sono dal Gambia. Daniela Di Capua, Responsabile del Servizio Centrale dello Sprar:
R. – Questo risultato è l’incrocio di una modellizzazione positiva dei progetti Sprar e anche di una diversa scelta sia politica che strutturale da parte del governo e del ministero dell’Interno rispetto a quello che vuole raggiungere come obiettivo nell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati in Italia. Credo che in questo Rapporto, al di là dei dati che ogni anno dobbiamo dare – quanti posti, quante presenze, di quali età, da quali Paesi ecc. – ci sia una parte molto interessante di approfondimento, che riguarda le esperienze positive dei progetti. Noi abbiamo dedicato un capitolo alle esperienze positive: ne abbiamo raccolte 500, delle quali nel rapporto ne sono state raccontate solo dieci per ovvie ragioni di spazio. Ma credo che sia veramente molto, molto interessante, soddisfacente, e che dia anche molte speranze per il futuro, il fatto che così tanti progetti – 500 su 600 per quanto riguarda il 2016 – abbiano prodotto delle esperienze che possono essere valutate in maniera positiva, quindi al di sopra del minimo obbligatorio previsto dalle Linee guida dello Sprar. Si è quindi dimostrato uno sforzo di creatività, obiettivi, determinazione nel far muovere a livello locale delle iniziative di sensibilizzazione, informazione, costruzione di rete, che poi hanno un impatto a 360 gradi sulle comunità locali, sugli stranieri, sulla vera integrazione intesa come “interazione” tra le parti e quindi inevitabilmente come un processo positivo direi.
D. – I successi più importanti della Rete Sprar?
R. – Io credo che uno dei maggiori risultati sia proprio nel fatto di riuscire, nonostante tutto, sebbene gradualmente, sebbene con grandi difficoltà, ad attirare gli enti locali, i Comuni in particolare, nel farne parte, perché bisogna ricordare che l’adesione allo Sprar da parte dei Comuni è volontaria. E quindi il fatto che, in anni di crisi economica, politica e di aumento dei flussi migratori, anche di pregiudizi e paure nei confronti di questi ultimi, i Comuni continuino a confermare quelli che sono già storicamente parte della rete e a presentare nuove domande nello Sprar, non può che essere considerato un successo. Questo come primo dato. In seconda battuta, ormai abbiamo l’esperienza consolidata tale da poter dire che, con il modello nella progettazione Sprar e l’utilizzo qualitativo delle Linee guida che ne fanno parte, i processi di integrazione avvengono con molto maggior successo, e invece i fenomeni di frattura sociale, separazione, discriminazione e tensioni sociali, sono veramente residuali.
D. – Ciononostante, le tensioni sociali e le resistenze nell’accoglienza sono ancora forti…
R. – Lo sono, le resistenze sono forti. Devo dire che nei progetti Sprar queste tensioni sono – ribadisco – molto residuali proprio per il tipo di approccio messo in atto. Poi le resistenze sono tante a livello nazionale per due ragioni fondamentali. Da una parte perché l’informazione che viene data è ancora troppo sbilanciata sugli aspetti negativi, cioè sull’”invasione”; sugli stranieri; su sospetti di possibile coincidenza tra stranieri in quanto tali e terrorismo; su possibili - fortissimi direi - fraintendimenti sullo straniero che viene qui e porta via il lavoro; sulla cattiva informazione legata al fatto che se si spendono soldi per l’accoglienza degli stranieri ce ne sono di meno per quella degli italiani. Tutte non verità che però prendono piede, soprattutto quando si è in crisi sia socialmente, sia economicamente. Un altro motivo è sicuramente legato al fatto che, in questi anni, l’accoglienza è stata ovviamente necessaria proprio per rispondere all’aumento dei flussi, ma queste strutture temporanee, attivate tramite le Prefetture su tutto il territorio nazionale, spesso hanno dimostrato dei grandi limiti, soprattutto nell’essere grandi concentrazioni numeriche in piccoli Comuni o in territori con pochi abitanti. E questa cosa proprio come primo approccio, e anche poi come effettiva presenza degli stranieri sul territorio che magari non hanno attività da svolgere e non si integrano, diventa ovviamente controproducente. Francesca Sabatinelli, Radio Vaticana, Radiogiornale del 26 giugno 2017.