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Spoleto, dal 25 Giugno all’8 Ottobre "Mutaforma" la mostra dell’Artista Camilla Ancilotto

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Immaginare l’arte come un gioco d’imprevisti e rivelazioni fulminee, d’immagini che si costruiscono e mescolano, di forme mobili tra leggenda e desiderio. Definire un mondo figurativo attraverso le fondamenta classiche che sostengono il peso liquido del contemporaneo. Inventare un codice linguistico tra pittura e scultura, sul crinale che aggiunge volumetrie plastiche alle epidermidi iconografiche della memoria. G.M. 

Palazzo Collicola Arti Visive presenta Camilla Ancilotto, protagonista estiva lungo la planimetria gentilizia del Piano Nobile dello storico palazzo nel cuore di Spoleto, dove gli occhi dialogano con la Storia abitabile.
La mostra Mutaforma - inserita nel programma ufficiale del Festival dei Due Mondi e patrocinata dall’Ambasciata di Svezia - inaugura Sabato 24 Giugno 2017 alle ore 12.00 ed è aperta al pubblico fino all'8 Ottobre 2017.
“Mutaforma” – spiega il curatore Gianluca Marziani - ”è parola secca e aderente, un abito di vento che veste a perfezione la filosofia dietro il progetto. Qui si parla di metamorfosi, ritrovando Proteo e il mondo di Ovidio, ascoltando echi sciamanici o versi animaleschi di animali esotici, scoprendo corpi denudati con epidermidi luminose… poi capisci che la metamorfosi ha ormai varcato miti e leggende, non appartiene solo alla cifra letteraria ma vibra lungo la Scienza, carezza il progresso tecnologico, dialoga con i materiali dell’innovazione. Esiste qualcosa di slittante nel lavoro di Camilla Ancilotto, un percorso di confini aperti, una dimensione magica che accosta metafora e senso. Non esisteva parola migliore di Mutaforma per raccontare la metamorfosi della metamorfosi”.
La logica d’ingaggio segue la regola d’uso del luogo: disporsi in silenzio con le proprie opere, calando con timida ma decisa ambientazione, senza modificare gli allestimenti d’origine, al contrario inventando confini di conversazione, abbassando la temperatura del passato, elaborando il paesaggio ideale di un linguaggio al presente. 
Camilla Ancilotto si esprime attraverso un codice mobile che è marchio autografo ma, soprattutto, schema linguistico. Le opere sono puzzle pittorici dalle molteplici chiavi compositive. In pratica, girando i singoli parallelepipedi (o altre forme geometriche) su un asse (il principio del pallottoliere) si completa una singola immagine o si mescolano assieme immagini diverse. Viene a crearsi un’interazione in cui il fruitore potrà cambiare l’ordine sequenziale e, soprattutto, entrare nel principio dinamico del pensiero originario, completando un’opera che richiede azioni manuali, tattilità, immaginazione attiva, orientamento della fantasia. Si recupera così una tensione “leggera” che riconduce l’arte nel cerchio del dialogo, nel motore cinetico dell’opera viva, nell’apertura ludica che amplifica il valore estetico e il suo esito concettuale. E poi si aggiunge quel tono da rebus e sciarada, definendo la natura misteriosa e alchemica dell’opera, la sua vertigine magica, il suo tenore muscolare che scatena visioni catartiche. 
Cosa accade nel mondo della Ancilotto? Per diversi anni spiccavano figure allegoriche e mitologiche che s’ibridavano con animali di varia provenienza. Giove, Venere, Adamo, Eva, Leda, Cupido sono stati compagni d’avventura, scelti per la loro empatia con il paesaggio naturale, le radici biologiche, l’origine degli archetipi. I riferimenti d’origine andavano a Michelangelo, Pontormo o Rosso Fiorentino, tra maestri di eros cromatico, di incarnati elegantemente moderni, di armonie che superavano fiaba e leggenda nel colpo plastico del teatro figurativo. Le silhouette d’origine rinascimentale s’ibridavano, nel caso della Ancilotto, con animali dalle vite letterarie, simboliche, ancestrali. Pappagalli, giraffe, calamari, piovre, iguane: catturavano subito l’atmosfera con quei pattern esplosivi, intriganti, tattilmente vivi, presenze armoniche di un mondo mitico che seguiva il principio filosofico di Leda. L’attitudine figurativa, sia negli ibridi uomo/animale che nella successiva statuaria classica, diventa metamorfica, avvolge la Bellezza, si avvinghia ai corpi in un abbraccio fetale. Un mondo d’energia in azione, di frangenti letterari insinuanti, di sinestesia e nuovi confini. Organico e inanimato che s’incrociano in un flessuoso rito armonico, animando l’eden di un luogo immaginario eppure immaginabile. 
Le immagini progettuali sono prelievi diretti (Bronzino, Michelangelo, Pontormo, Rubens, Bouguereau) che giammai nascondono la provenienza storica. L’artista parte da un codice sorgente che sposta la citazione sul piano della rigenerazione (che è cosa ben diversa dal semplice copiare). Il prelievo iconografico viene suddiviso in sezioni, mescolato con altre immagini, inserito in una griglia che permette il moto dei singoli elementi: da qui la soluzione linguistica che metabolizza le citazioni dentro “abiti” e dettagli inaspettati.
La mostra di Spoleto raccoglie le migliori opere degli ultimi anni, tra cui la monumentale scultura dal titolo “Deposizione”, collocata nel cuore del Salone. A ciò si aggiunga una sezione di ricerca che presentiamo in anteprima: si tratta del ciclo ispirato al Tangram, il rompicapo cinese a forma quadrata che si scompone e ricompone tramite cinque triangoli, un rombo e un quadrato. L’artista, pur mantenendone i colori primari e la sua filosofia geometrica, ha prima spostato la misura dal piccolo al grande, poi creato una versione a nove pezzi con lati arrotondati, così da realizzare forme organiche in modo più fluido. Il risultato sorprende e spiazza, oltre a confermare le ispirazioni metamorfiche dell’autrice. Perché anche il Tangram, spunto e radice iconica, implica una rigenerazione linguistica che diviene incipit teorico, dando forma a qualcosa di originale, intelligente, inaspettato. 
Grande spazio viene dato alle opere che s’ispirano ad una statuaria classica, selezionata tra le collezioni del Museo Nazionale Romano e del British Museum. Qui il busto d’origine, raffreddato nelle cromie, si trasforma nel ritratto di un’umanità oltre il tempo storico, quasi a riattivare l’implicito metafisico di August Sander o Robert Mapplethorpe, isolando il marmo su fondali monocromi che rigenerano gli archetipi. 
Il cocktail dell'inaugurazione è offerto da Villa Tolomei - Hotel & Resort Firenze.

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