È un film italiano ad aver aperto questa mattina la Semaine de la Critique al Festival del cinema di Cannes e che oggi arriva nelle sale cinematografiche. “Sicilian Ghost Story” di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza compie una straordinaria operazione narrativa: trasformare un orrendo fatto di cronaca avvenuto in Sicilia in una fiaba. Il servizio di Luca Pellegrini:
Come nelle favole, ci sono le fate e gli orchi, i principi buoni e i maghi cattivi. Come in una favola scorre la storia di Luna e Giuseppe, due ragazzini che in un paese siciliano circondato da una natura misteriosa e ammantato di silenzi, si incontrano, si vogliono bene, un bene che andrà ben oltre il sangue e la morte. “Sicilian Ghost Story” compie una operazione straordinaria e rischiosa: raccontare come fosse una favola ciò che realmente successe a Giuseppe di Matteo nel 1993: rapito dalla mafia per costringere il padre pentito a ritrarre le rivelazioni sulla strage di Capaci, passò 779 giorni in prigionia e dopo essere stato strangolato venne sciolto nell’acido nel gennaio del 1996. A lui i due registi siciliani dedicano il loro lavoro, che ha momenti di profonda bellezza, pur dovendo affrontare l’orrore della realtà, che snatura la vita di persone e paesi in Sicilia. Come è nata questa idea così forte e originale? Ci risponde Fabio Grassadonia:
“Il punto iniziale di questa scommessa narrativa è stato il fatto realmente accaduto a metà degli anni Novanta. E’ un fatto che in qualche modo sintetizza e sublima l’orrore vissuto in Sicilia negli anni Ottanta e Novanta, l’ignominia e la disumanità che in quegli anni il vivere assieme ha raggiunto. Per noi, quella era una storia irraccontabile perché è una storia senza catarsi, per nessuno; e quindi eravamo convinti a essere destinati a conviverci con frustrazione, con sentimenti sempre molto negativi – risentimento anche rispetto alla società che quell’abominio aveva prodotto. Poi, nell’estate del 2011, abbiamo letta una raccolta di racconti intitolata “Non saremo confusi per sempre”, di Marco Mancassola. Questa intuizione di una collisione tra un piano di realtà e un piano fantastico, è quello che ci ha fatto scattare immediatamente, in me e in Antonio, la molla per dire: “Forse questa è la chiave grazie alla quale noi possiamo raccontare la storia di un bambino che è chiuso nel buio delle nostre coscienze, un bambino la cui storia tende anche a essere un po’ rimossa, rispetto a tanti altri tragici eventi di mafia accaduti negli anni Ottanta e Novanta. Naturalmente, senza tradire la verità storica del fatto, senza tradire la verità profonda di questo episodio e la disumanità che l’ha reso possibile ma opponendo a questo piano di realtà un piano fantastico dove mettere in campo la possibilità di tornare a vivere e a relazionarsi con il prossimo secondo una legge d’amore, e riuscire a raccontare una storia che – avendo per protagonisti dei ragazzini – apra a una speranza per un futuro da viversi nel pieno di una realizzazione umana”.
Per Antonio Piazza, in questa Sicilia misteriosa, l’acqua è una presenza importante:
“Per noi, il tema dell’acqua – molto ricorrente nel film – è determinante: il rapporto con l’acqua, il rapporto con i mare per noi racconta un po’ il rapporto con la dimensione dell’assoluto, del trascendente nel senso di ciò che trascende i rapporti di ogni giorno, la quotidianità e che racconta un amore più forte della morte”.
Grassadonia spiega, infine, chi sono i fantasmi siciliani:
“I fantasmi, prima di tutto, sono i fantasmi della nostra coscienza, proprio personale: mia e di Antonio. Sono fantasmi che si sono incancreniti dentro di noi, che hanno generato negli anni sempre sentimenti molto negativi: risentimento, rabbia, disamore nei confronti del luogo, della civiltà da cui provieni. Il fatto di avere poi noi, in anni recenti, deciso di assumere personalmente il rischio di diventare autori portando fuori i nostri sentimenti e cercando le storie grazie alle quali fare evolvere questi sentimenti, ecco: questi fantasmi cerchiamo di portarli da una regione di buio a una regione di luce, cioè: l’obiettivo nostro è mostrare quale può essere la via perché un umanesimo torni a riaffermare le proprie ragioni in quella terra che è avvolta in una metastasi cancerogena, che ha annichilito le possibilità di connessione tra gli esseri umani, se non sotto il segno della morte e della sopraffazione. Questa storia, per noi, segna un po’ – come dire – la conclusione ideale della nostra riflessione sui nostri fantasmi, legati a un’esperienza di vita in un contesto violentemente mafioso”. Luca Pellegrini, Radio Vaticana, Radiogiornale del 18 maggio 2017.