«Fare cinema è come lavorare in giardino, ci sono tanti fiori diversi da piantare e curare. Così nel cinema si possono fare tanti film diversi, come pure faceva Kurosawa che era eclettico e curioso come me. Solo che io, da qualche tempo, ho deciso di andare verso un’unica direzione, andare alla scoperta di cosa significhi veramente la cinematografia».
Così Andrej Konchalovsky in apertura della sua Masterclass al Teatro Petruzzelli, primo, attesissimo appuntamento del Bif&st2017, preceduto dalla proiezione del suo ultimo film “Paradise”, già vincitore del Leone d’argento per la Migliore Regia all’ultima Mostra del Cinema di Venezia. Poche battute sul film la cui uscita in Italia è prevista per il prossimo autunno («Mi interessava raccontare il collegamento che può esistere tra una brava persona e una ideologia terribile, ovvero il potere seduttivo del male».) e poi via a ruota libera sulla sua idea di cinema e di arte, interrotto solo da alcune domande del critico Marco Spagnoli.
«Oggi siamo bombardati da troppe immagini e troppi suoni, si è perso il vero significato del cinema. Il suono, in particolare, viene riprodotto a volumi altissimi e ciò perché il pubblico è troppo impegnato a rumoreggiare masticando popcorn. Per questo ho vietato la vendita dei popcorn alle proiezioni dei miei film. Io penso invece che si debba riscoprire il significato e il valore del silenzio. Ai giovani che sono qui dico di trovare il tempo per studiare il silenzio, per esercitare la contemplazione, per poter percepire sé stessi».
L’autore di “A trenta secondi dalla fine” e “Maria’s Lovers” (entrambi i film sono parte dell’omaggio del Bif&st al regista, che sarà premiato stasera sempre al Teatro Petruzzelli con il Federico Fellini Platinum Award), è notoriamente polemico con il cinema americano che pure lo ha visto attivo per quasi un decennio negli anni ’80. «David Mamet ha scritto un libro, Bambi vs Godzilla. Leggetelo e capirete che differenza passa tra l’arte e l’intrattenimento. C’è divertimento anche nell’arte, solo che un buon film d’arte non te lo dimentichi, anzi alla fine resti in silenzio. L’arte ci impone un po’ di silenzio, ci suggerisce la necessità di riflettere. Se tocca la pancia, anziché la testa, è perché è profonda».
Sulle sue influenze: «Da giovane avevo le idee molto chiare, con il mio amico Andrei Tarkovsky sapevamo fin dall’inizio quali fossero gli autori da seguire, quelli da copiare - Kurosawa, Bresson, Fellini, Buñuel, i registi del neorealismo. Un cinema eroico, loro erano veri giganti come oggi non ce ne sono più».
«Oggi il cinema viene fatto oggi per i bambini e i teenager, mentre i genitori se ne restano a casa. Invece io faccio film per i genitori, quelli che leggono i libri».
Sui suoi trascorsi hollywoodiani: «Ho fatto film anche per i soldi, come “Tango & Cash” ma li facevo per poi fare arte e quando faccio arte penso prima di tutto a emozionare. Non certo a veicolare messaggi. Però, ora che ci penso, c’è un messaggio che attraversa tutti i miei film ed è: provate a farvi piacere le persone, amatele e siate consapevoli che potranno diventare cattive, facendovi soffrire proprio perché le amate».
Nella foto: Andrej Konchalovsky al Bifest