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Intervista a Chiara Albertini: “io e la magia della scrittura”

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di Laura Gorini

Sono a prescindere una “sognatrice”

Vede la scrittura come qualcosa di magico la dolce Chiara Albertini. E dopo averci fatto sognare con i suoi precedenti romanzi, ha deciso di deliziarsi con un saggio (Il Medioevo in giallo nella narrativa di Ellis Petters, ndr) dedicato espressamente alla figura di una grande scrittrice di romanzi gialli medioevali. Di questo e di molto altro ancora ci ha parlato l'autrice in questa chiacchierata a cuore aperto.

Chiara, sei autrice di romanzi e di saggi. Solitamente chi scrive i primi si definisce un sognatore e, per certi versi, romantico nel senso più etimologico del termine, mentre chi ama dedicarsi ai secondi più preciso e amante della Storia e della Scienza. A questo punto viene spontaneo chiederti: come stanno veramente le cose secondo te?

Partiamo dal presupposto che quando ci si approccia alla scrittura l’evoluzione della stesura rappresenta, a mio avviso, un atto talmente intimo, personale e relativo, che è difficile “incasellare”, schematizzare le dinamiche, le ragioni e gli stati d’animo che accompagnano e coinvolgono l’intero iter creativo di un’opera.

Comprendo bene cosa vuoi dire, applicando questa veduta antitetica, diciamo pure agli antipodi, credo sia vera solo in parte, perché molto dipende dalle tematiche, dagli argomenti che affronti in un’opera.

Al di là di tutto, se guardo bene nel profondo solo me stessa, nel momento stesso della creazione di un libro, se mi soffermo unicamente sul mio approccio, sulla mia “inclinazione”, allora posso dirti con assoluta certezza che sono a prescindere una “sognatrice”, al di là dei temi affrontati, una persona che si abbandona completamente alla magia - e per questo sogna - delle parole, al potere suggestivo che sanno esercitare, all’incontro magico, inedito e mai scontato tra loro. 

Ti sei occupata tantissimo anche di editing. Che cosa ti affascina in particolare di questo aspetto della scrittura?

Solo su me stessa, ovvero nelle mie opere, non in quelle di altri scrittori, di altre autrici. Ti direi senza dubbio la coerenza logica ed emotiva, l’equilibrio, quella sensazione di “simmetria musicale interiore” che riesci a raggiungere quando senti di aver espresso tutto ciò che provi dentro nella miglior forma possibile, quando la tua intima “melodia” creativa non presenta squilibri e disaccordi, stridori, stonature e sbavature di alcun genere.  

Da esperta e da amante dei libri, cosa provi quando ti accorgi che questa fase non è stata ben curata anche se ti trovi innanzi a un testo di un importante autore?

Non credo mai di aver riscontrato un disagio di questa portata, si parla sempre e soltanto di alcuni refusi rintracciati tra le pagine dei libri letti. Nulla di più. Se dovesse mai capitarmi di imbattermi in un editing grossolano, superficiale, allora penso proprio che la mancata scorrevolezza e linearità all’interno della prosa renda “menomato”, “irrisolto” lo stile stesso di un autore o di una scrittrice.


Nel tuo nuovo saggio hai deciso di parlare di una grandissima scrittrice, una giallista meravigliosa che ha a che fare con il Medioevo, un periodo che, soprattutto nel nostro Paese, non è considerato come si deve quando viene studiato a scuola. Perché hai fatto questa scelta?

Amo da sempre quest’epoca contraddittoria e complessa, per il mistero e il fascino che sa esercitare, un’epoca, per certi aspetti, simile alla nostra. Per cui, il “sentimento” ha giocato un primo ruolo fondamentale. A questo, si è aggiunta in seguito, per quanto riguarda la pubblicazione in sé, la semplice consapevolezza che in ambito italiano non esistesse ancora uno studio analitico, approfondito su questa autrice famosa. 

Ellis Peters ha talvolta deciso di firmare i suoi romanzi anche con il suo vero nome, ovvero Edith Mary Pargeter. Da sua estimatrice, hai notato sostanziali differenze, anche a livello di stile, a seconda della firma usata?

Purtroppo, non ho parametri di confronto, perché di lei ho solo letto e studiato i romanzi facenti parte del ciclo Le Cronache di Fratello Cadfael. Tuttavia, da tempo mi sono ripromessa che leggerò quelli incentrati sulla figura dell’ispettore Felse, una serie firmata sempre con lo stesso pseudonimo.

Per chi ancora non ha avuto il piacere di leggere le opere di questa acuta e meravigliosa autrice, scomparsa ormai 20 anni fa da questo mondo, come descriveresti in poche parole la sua arte? Per quale motivo andrebbe letta e quale suo romanzo consiglieresti di leggere per primo (e perché)?

Di lei amo la sua incisività, il suo acume, la sua ironia, l’estrema cura per i dettagli e i particolari. Andrebbe letta soprattutto per la profonda verità di intenti, l’audacia e il coraggio che è riuscita a trasmettere nelle sue opere.

Ho apprezzato moltissimo la prima cronaca, La bara d’argento, perché si presenta come un compendio di molte tematiche avvincenti, fra cui, a mio avviso, la più suggestiva e affascinante riguarda la concezione delle reliquie dei santi e la fede degli abitanti in quell’epoca, un tema che presenta diversi chiaroscuri interessanti.



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