Nella notte tra venerdì 16 e sabato 17 luglio del 1999, all’interno della Città Giudiziaria della Capitale, dove ha sede la filiale n. 91 della Banca di Roma, una banda di “cassettari” (ladri romani specializzati nell’apertura di qualsiasi cassaforte e di qualsiasi caveau) mette a segno la rapina italiana del secolo che, scopriranno nel 2016 i magistrati del Tribunale di Perugia, cambierà le sorti della Città di Roma e dell’intero Paese Italia!
A capo della banda di scassinatori c’è il quarantunenne Massimo Carminati detto “il Fascista” o “er Cecato”, mente e stratega dell’operazione, e componente “esterno” della feroce e cinica Banda della Magliana. Verranno aperte 147 cassette di sicurezza su oltre 2000 presenti nel caveau. Sono le cassette di sicurezza di magistrati, di avvocati, di alti dirigenti del Ministero di Giustizia e del Tribunale di Roma, di politici e di imprenditori romani. Sono 147 cassette di sicurezza che contengono pacchi di banconote per miliardi di lire, documenti molto riservati, gioielli preziosissimi. La lista dei 147 è fatta di personaggi molto noti e molto potenti. Da quel momento in poi, queste 147 persone saranno al “servizio” di Carmine Carminati che dominerà la città di Roma e l’intero Paese, creando un sistema di potere assoluto e incontrastato che gli inquirenti e i magistrati di Perugia hanno chiamato col nome di “Mafia Capitale”!
Quella che racconta nella sua inchiesta giornalistica Lirio Abbate, riportata fedelmente nel libro di cui stiamo discutendo, è l’evento criminale più importante della storia d’Italia dal dopoguerra in poi. Gli inquirenti parlano infatti di un “prima” e di un “dopo” il colpo al caveau della Banca di Roma per capire e interpretare giuridicamente, politicamente e socialmente i gradi fatti criminali romani e le indagini giudiziarie sulle grandi e sempre più misteriose ed inquietanti stragi avvenute nel nostro Paese alla fine del secolo scorso.
Solo poche settimane fa il Tribunale di Perugia ha sigillato, con una sentenza definitiva, l’inchiesta giornalistica di Lirio Abbate come estremamente attendibile e confortata dalle indagini giudiziarie passate in giudicato dello stesso Tribunale, che così scrive: «Il fine del giornalismo di inchiesta non è contrastare o perseguire specifici comportamenti, sia pure illeciti, ma promuovere una presa di coscienza nell’opinione pubblica di questo o quel particolare fenomeno avente un intrinseco disvalore morale o sociale. In altri termini, il giornalismo d’inchiesta individua temi di interesse pubblico, li analizza anche criticamente e li sottopone all’opinione pubblica. … Nell’inchiesta documentata e riscontrata di Lirio Abbate si esclude una connotazione diffamatoria in merito al contenuto dell’articolo … L’attività investigativa svolta da Abbate non rientra nell’alveo del giornalismo tradizionale d’informazione, ma appunto si basa su quanto dallo stesso in via diretta da fonti riservate e su riscontri incrociati dallo stesso effettuati in ordine alla persona del Carminati, alle sue peculiari relazioni passate e, soprattutto, presenti, e ai suoi noti trascorsi giudiziari, al fine di valutare l’attendibilità del resoconto fornitogli dalle presenti fonti riservate … risulta, dunque, rispettato il parametro delle notizie riferite in quanto comunque adeguatamente riscontrate, ancorché desunte da fonti confidenziali» (p.11).
Mi sembra di ritrovare, nelle parole di questo Giudice, quello che ebbe a scrivere Joseph Pulitzer nel 1904 nel suo saggio “Sul Giornalismo”, che incise indelebilmente i principi professionali, etici e morali del giornalismo moderno: «Un giornalista è la vedetta sul ponte di comando della nave dello Stato. Prende nota delle vele di passaggio e di tutte le piccole presenze di qualche interesse che punteggiano l’orizzonte quando c’è bel tempo. Riferisce di naufraghi alla deriva che la nave può trarre in salvo. Scruta attraverso la nebbia e la burrasca per allertare sui pericoli incombenti. Non agisce in base al proprio reddito né ai profitti del proprietario. Resta al suo posto per vigilare sulla sicurezza e il benessere delle persone che confidano in lui.» (Joseph Pulitzer, “Sul giornalismo”, Ed. Bollati Boringhieri, Torino, 2009).
Il libro di Abbate ricostruisce, con perizia di particolari e grande professionalità, la rete di altissime e potenti relazioni che il Carminati si crea a partire dal furto del 1999, e che conduce ai più gradi misteri d’Italia, ancora oggi irrisolti, tutti collegati da un inossidabile filo nero.
Il cittadino italiano che ha fame di verità, che ha fame di conoscenza dei più importanti fatti italiani politici, processuali, imprenditoriali, non può non leggere questo libro. Dopo averlo letto la sua conoscenza e il livello di informazione ottenuto sarà tale da consentirgli di capire perché oggi siamo il Paese che siamo, e perché oggi la politica, innanzitutto, è in mano alle persone che tutti conosciamo e che quasi quotidianamente vediamo sulle TV di Stato e sulle TV dei grandi net-work privati italiani. Politici che, ovviamente e certamente, come si evince nel libro di Abbate, non fanno l’interesse del popolo, dei cittadini, ma di chi il lettore potrà leggere ne “La Lista” messo in vendita al pubblico solo dopo la sentenza definitiva del Tribunale di Roma, e nello specifico il 30 marzo 2017.
La Lista. Il ricatto alla Repubblica di Massimo Carminati (Rizzoli, pagg. 240, € 18)
ANDREA GIOSTRA.
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Per chi volesse conoscere meglio virtualmente l’autore della Recensione, Andrea Giostra, ecco i suoi link:
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