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Libri, Daniele Vriale a Fattitaliani: in "A modo mio" racconto la periferia, il disagio, la voglia di emergere al cospetto del mondo

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di Francesca Ghezzani

“Ricordo benissimo come mi è arrivata la scintilla per scrivere A modo mio. Mentre stavo facendo jogging, d’improvviso, ho mentalmente partorito l’incipit del romanzo. Un monologo duro, aggressivo, provocatorio. Mi sono subito chiesto: ma chi è questo che parla? Per tutta risposta ho visualizzato l’immagine di Nicolas Cage in Cuore selvaggio con indosso la sua giacca di pelle di serpente. Mi è parsa come se fosse damascata, e da lì è venuto fuori Damasco a cui ho associato un nome storicamente fiorentino come Vieri, ed è nato Vieri Damasco. Rientrato a casa ho subito trascritto il testo ed è iniziata una nuova avventura letteraria”.

Un romanzo totalmente diverso rispetto ai precedenti: “Enrico?”, “L’ultimo passo” e “La curva della vita” possono rientrare nel genere letterario intimista, mentre “A modo mio” è un romanzo d’azione, corale, sebbene ruoti intorno alla figura di un protagonista principale. Sinteticamente lo potremmo definire una epopea noir che si snoda tra la periferia estrema fiorentina delle Piagge e Barcellona. Ne parliamo con il suo autore Daniele Vriale.

Daniele, chi è Vieri Damasco e cosa lo rende diverso dagli altri?

Vieri è un ragazzo di periferia nell’Italia di metà anni ’80, con alle spalle una famiglia disagiata e un’esperienza di riformatorio, ma soprattutto con la voglia di smarcarsi da un destino di povertà ed emarginazione che sembra avere tatuato sulla pelle fin dalla nascita.

Che ruolo hanno gli amici di Vieri nella sua vita?

Di fatto sono l’uno la famiglia dell’altro, sono la reciproca assicurazione sulla vita, l’unica certezza su cui poter fare affidamento. Sono uguali, nati nelle medesime condizioni, nello stesso quartiere e con la stessa voglia di far vedere al mondo che esistono anche loro, anche se il destino avrà piani diversi per ciascuno.

Qual è l'importanza di Don Ruotolo, invece, nel percorso di Vieri?

Don Ruotolo è un prete di strada, dai modi bruschi, con un passato burrascoso e una gran voglia di sporcarsi le mani per aiutare gli ultimi. È una luce nel buio, è la dimostrazione, insieme al personaggio di Sonia, che anche nel degrado non vi è un’unica via obbligata da intraprendere. Per Vieri, per una fase, diverrà una guida, un maestro, quasi un padre putativo. Qualcuno che ti ascolta e che ti indica la strada giusta non a parole ma con i fatti.

Come si evolve il rapporto di Vieri con la violenza nel corso del libro?

Vieri nasce in una famiglia dove la violenza è all’ordine del giorno; lui e la madre ne sono vittime e in una sorta di coazione a ripetere, inizialmente, non può che replicare quel modello di vita, intensificato anche dalla sua escalation criminale. In una fase successiva, grazie a un percorso evolutivo, riuscirà a prenderne le distanze.  


Vieri riesce a lasciarsi il passato alle spalle?

Ci proverà, non per propria volontà o necessità, ma per alcune vicissitudini che lo porteranno ad abbandonare territorio e ruolo criminale. A Barcellona, dove riparerà, sentirà il bisogno di distaccarsi dal suo vissuto, e anche grazie all’incontro con Julia ci riuscirà, almeno fin quando il passato non tornerà a cercarlo.

Prima di salutarci, pensi che affronterai ancora il genere noir e tematiche sociali nei prossimi libri?

Il prossimo romanzo, che avrà come protagonista una giovane donna, sarà di un genere misto tra il romanzo di formazione ed il thriller. Nel futuro mi piacerebbe cimentarmi nel noir psicologico, cercando di scandagliare le parti oscure della mente umana.


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