Mi siedo al tavolino del bar dove sono stato già preceduto da Salvatore, il mio amico pensionato tecnologico che ha sostituito il giornale col tablet.
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– Buon giorno, Totò. |
– Buon giorno. Mah. |
Il “mah” e la bocca a emoticon dubbioso segnalano che anche stamattina ha individuato l’argomento della conversazione. |
– Che c’è? |
– Senti qua. Repubblica.it di oggi, l’articolo “L’Italicum: cosa resta dopo la sentenza della Consulta”. C’è scritto: “Quote rosa. Nessuno dei due sessi potrà essere rappresentato in misura superiore al 50% (con arrotondamento all'unità inferiore)”. |
– Cosa c’è che non va? |
– Cosa c’è che non va? C’è che mi pare una minchiata orba. |
– Ma come, uno moderno come te, che hai pure il tablet, è contrario alle quote rosa? |
– Ma chi è contrario? Io sto dicendo che così come è scritta questa cosa non funziona. |
– E perché? |
– Ora ti spiego. Quanti sono i sessi? |
– Due. Diciamo due. |
– Allora, dato che io partito non posso superare per nessuno dei due il 50%, se metto in lista il 49% di maschi per rispettare la regola, automaticamente sto mettendo in lista il 51% di femmine, ed ecco che sono fuori regola. |
– E va bene, vuol dire che tu metti tanti maschi quante femmine, per esempio dieci e dieci, e perciò sono 50% e 50% e sei a posto. |
– Ma allora bastava dire “fate le liste con lo stesso numero di maschi e di femmine”. Che bisogno c’era di specificare “con arrotondamento all’unità inferiore”? |
Ci penso sopra, poi ho una illuminazione: – Eh, evidentemente l’hanno fatto pensando alle liste con un numero dispari di candidati. |
Lui esibisce quel sorriso che segnala che mi ha beccato in castagna e ora cercherà di farmi impantanare per bene prima dimostrarmi che sono un cretino. – In che senso? |
Esito. |
– Eh… tu hai fatto l’esempio di dieci e dieci. Forse la Consulta si è detta “E se i candidati sono dispari e non possono quindi essere 50%-50%?” e ha introdotto il correttivo dell’arrotondamento. |
– Minchiata col botto. |
Ecco qua. Mi aspettava al varco. |
– Perché minchiata? |
– Dimostrazione. |
Prende un fazzolettino dal dispenser sul tavolo e tira fuori la penna fregata a quello che gliel’ha prestata all’ufficio postale. |
– Facciano undici maschi e dieci femmine. Totale ventuno. Qual è la percentuale dei maschi? |
– Eh… undici diviso ventuno moltiplicato cento. |
Mi porge il tablet che adesso è diventato un calcolatore. – Prego. Allora? Quanto fa? |
Digito. |
– 52,38% |
– Quindi se arrotondi all’unità inferiore quanto viene? |
– 52%. |
– E quindi sei in regola o no? |
– No. |
– Allora, dico io, non faceva meglio la Consulta a dire di mettere in lista metà maschi e metà femmine, in numero pari, e basta? |
Colpito e affondato. |
Dal tavolino accanto arriva la voce un po’ chioccia di Filippo detto Fifì, circasessantenne, decano degli omosessuali ufficiali del quartiere. |
– Scusate, ho sentito per caso. E se la soluzione fossero le quote arcobaleno? |
Totò e io rispondiamo in coro “In che senso?” e lui continua: |
– Semplice. Se mettiamo per legge una percentuale di gay, ecco che le percentuali di maschi e di femmine non sforano più. Nell’esempio che ha fatto lei, basta aggiungere un candidato omosessuale e i conti tornano. Veda un po’? |
Totò si reimposessa del tablet, digita e conferma: – Aggiungendo un gay il totale diventa ventidue, gli undici maschi vanno al 50% preciso e le dieci donne al 45,45 % periodico. |
– E con la quota arcobaleno - flauta Fifì - non solo risolviamo il problema delle percentuali, ma il Parlamento che Mussolini definì “aula sorda e grigia” diventerebbe finalmente un’aula allegra e colorata, hihihi. |
– Scusate, posso permettermi? |
Ci giriamo tutti e tre. |
È la prima volta che l’Eccellenza, silenzioso frequentatore del bar che chiamiamo così perché si dice abbia un passato di giudice in non si sa che tribunale, ci rivolge la parola. Fra noi pensionati è l’unico sempre in abito scuro, il suo lavoro deve avergliene lasciato una vagonata sufficiente per i saecula saeculorum. |
– Prego! |
– Si accomodi. |
– Si sieda con noi. |
Declina cortesemente con un gesto e sorride. |
– Solo per dirvi che i colleghi hanno voluto certamente dire qualcos’altro. |
Colleghi. Hai capito, l’Eccellenza… |
– Ah, ci dica. |
– L’“arrotondamento all’unità inferiore” non si riferisce alla percentuale, ma ai candidati intesi come unità. |
Per una volta sono io ad afferrare il concetto prima degli altri. – In altre parole, nell’esempio che ha fatto il mio amico, i ventuno candidati si considerano come se fossero venti, e così le percentuali risultano 50 e 50? |
– Esatto. È stato fatto certamente per eliminare il problema con i candidati dispari. diciassette si arrotondano a sedici, trentuno a trenta eccetera. E così anche se c’è un uomo o una donna in più rispetto alla metà, in questo modo si rimane in regola. |
Il botto di una manata su un tavolino. |
– Signori, signori! Ma scherziamo? Vogliamo dire le cose come stanno? |
Io e Salvatore ci guardiamo negli occhi terrorizzati. Si è risvegliato il professor Aristide, il terribile prof di lettere che si scuote solo quando c’è di mezzo la lingua italiana o un’altra morta a piacere. |
Il professore balza in piedi e punta il dito a braccio teso su una immaginaria lavagna. |
– Difetta la costruzione della frase, cari miei. Ecco la verità. Quell’“arrotondamento alla unità inferiore” è riferibile sia ai candidati come unità che alla percentuale. Avrei dato un bel tre a qualsiasi studente che mi avesse fatto un errore del genere. Ma ai giudici della Consulta, che dovrebbero esprimersi con fraseggi limpidi e cristallini, intellegibili senza esitazioni di sorta da tutti gli italiani, darei uno zero tagliato. Eh cari miei, ai miei tempi, ai miei tempi… |
Il prof crolla sulla sedia e ritorna in letargo mentre l’Eccellenza arrossisce, apre bocca per replicare, la richiude, mette fuori la mascella alla bulldog, fulmina Aristide, gira sui tacchi e se ne va. |
Nel bar il silenzio è totale. Mimmo, il proprietario, ci chiede preoccupato da dietro il banco: – Ma che gli avete fatto all’Eccellenza che se ne è andato senza pagare? |
Non lo degniamo di una risposta. |
Fifì sospira. – Una persona così elegante, anche un bell’uomo… ma quant’è antipatico. |
Accompagna le ultime parole con uno sfarfallìo della mano e conclude: |
– Secondo me ci vuole la quota arcobaleno. |
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Carlo BarbieriCarlo Barbieri è uno scrittore nato a Palermo. Ha vissuto a Palermo, Catania, Teheran, il Cairo e adesso fa la spola fra Roma e la Sicilia. Un “Siciliano d’alto mare” secondo la definizione di Nisticò che piace a Camilleri, ma “con una lunga gomena che lo ha sempre tenuto legato alla sua terra”, come precisa lo stesso Barbieri. Scrive su Fattitaliani, NitroNews, Il Fatto Bresciano, QLnews, Sicilia Journal e Malgrado Tutto, testata su cui hanno scritto Sciascia, Bufalino e Camilleri. Ha scritto fra l’altro “Pilipintò-Racconti da bagno per Siciliani e non”, i gialli “La pietra al collo” (Todaro Editore, ripubblicato da IlSole24Ore) e “Il morto con la zebiba” (candidato al premio Scerbanenco) e “Uno sì e uno no”, una raccolta di racconti pubblicata da D. Flaccovio Editore. Suoi scritti sono stati premiati alla VI edizione del Premio Internazionale Città di Cattolica, al IV Premio di letteratura umoristica Umberto Domina e alla VII edizione del Premio Città di Sassari e al Premio Città di Torino. I suoi libri sono reperibili anche online, in cartaceo ed ebook, su LaFeltrinelli.it e altri store. |