Da oggi sugli schermi italiani "Silence", il più severo e intimo dei film di Martin Scorsese: nel Giappone del XVII secolo gli ultimi missionari gesuiti rimasti affrontano, insieme alle piccole comunità cristiane, una feroce persecuzione. Cedendo ai dubbi e alla sofferenza, oppure compiendo atti valorosi. Ne sono interpreti i bravissimi Andrew Garfield e Liam Neeson. Il servizio di Luca Pellegrini.
Vanno, padre Rodrigues e padre Garupe, nel Giappone feudale, come agnelli tra i lupi, a cercare il confratello perduto, che ha abiurato la sua fede. E' il 1643. Vanno sprezzando quel pericolo, mentre la persecuzione miete vittime, e sangue e violenza si abbattono sulle piccole comunità cristiane, i loro miseri villaggi trasformati in catacombe della paura. La fede dei due missionari gesuiti è salda, ma sarà messa a durissima prova. "Silence", il romanzo epistolare scritto nel 1966 da Shūsaku Endō, ha colpito Martin Scorsese molti anni fa. Realizzarlo non è stato per nulla facile: la missionarietà, vissuta il quel grande secolo, assumeva risvolti pastorali e si fondava su presupposti dottrinali che oggi potrebbero far discutere, senza una corretta interpretazione storica. Ma il grande pregio di questo film - ispirato al rigore di Dreyer e di Bergman - è proprio quello di gestire i delicati dialoghi tra i persecutori e i perseguitati con una fedeltà assoluta al testo e una prospettiva che rispetta le dinamiche di allora e accoglie però le cogenti sfide di oggi, quando si parla di religioni, di proselitismo e di conversioni. "Silence" pur dedicato dal regista nei titoli di coda a tutti i pastori della Chiesa cattolica e ai martiri che subirono terribili torture, non affronta il dubbio come fosse un peccato da scontare e nemmeno un tradimento irreparabile. Sono i dubbi di Scorsese, immerso fin da bambino, come ha più volte dichiarato, nella fede cattolica per l'insegnamento ricevuto dalla famiglia. Quello che si delinea nel film non è uno scontro di due civiltà - quella giapponese e quella occidentale, saldamente ancorate a una tradizione da difendere o una fede da esportare, cui sottostanno ragioni politiche e interessi economici, e questo potrebbe anche avere degli addentellati inequivocabili alla realtà che ogni giorno viviamo su scala mondiale - ma è il dilemma che alberga in ogni cuore umano sincero, come appare quello di Scorsese: fino a quale punto la mia fedeltà ad una religione accolta e addirittura vissuta, che chiede la donazione della propria vita, può spingersi quando in pericolo è la vita degli altri, del prossimo che vi ha aderito. Esemplare e magnifico nella sua tragicità umana e spirituale è il dialogo che oppone Rodrigues, catturato, stremato e sul punto di cedere, a padre Ferreira, apostata, convertito al buddismo e con sposa giapponese. I cristiani giapponesi stanno sopportando violenze terribili se chi è catturato non cede e calpesta l'immagine del Cristo, buon pastore e crocifisso. Ma è quella Croce che assume un valore universale anche in quel momento così tragico: "Signore, è adesso che tu dovresti infrangere il tuo silenzio. Dimostrami che tu sei giustizia, sei bontà, sei amore", chiede disperato Rodrigues. Ma tace, il Signore, e l'animo del sacerdote è attraversato da tutto il male del mondo. Ferreira lo incalza: "Lei si mette al di sopra di loro. E' preoccupato della sua salvezza. Teme di tradire la Chiesa. Ma è amore il suo modo di comportarsi? Se Cristo fosse qui...". Cristo è lì. E chiede, nelle parole di Ferreira, che già ne ha fatto esperienza, "l'atto più doloroso d'amore che sia mai stato compiuto". Nel film questo dialogo assume proporzioni così vaste e allo stesso tempo così intime da chiedere, in tanta disperazione, il nostro, di silenzio, mentre Gesù nel cuore di Rodrigues chiede assillante: "Calpestami. Sono venuto al mondo per essere calpestato dagli uomini". Il rispetto che Scorsese fa di questo materiale incandescente è assoluto: la "messinscena", storicamente perfetta e visivamente potente, denuda in qualche modo anche la sua anima, che come quella di tutti si sarà più volte chiesta perché Dio tace. E dice, il regista americano: «"Silence"è la storia di un uomo che impara molto dolorosamente che l'amore di Dio è più misterioso di quanto lui pensi, che Lui lascia più spazio agli uomini di quanto crediamo e che è sempre presente, anche nel Suo silenzio". La Chiesa in quello spazio oggi accoglie e difende tutti gli uomini. Di ogni razza e religione. Quello è lo spazio in cui giochiamo la nostra pace, ossia il nostro futuro. Luca Pellegrini, Radio Vaticana, Radiogiornale del 12 gennaio 2017.