Tensione crescente anche in area balcanica, dopo il respingimento forzato da parte macedone dei migranti chiusi nel campo profughi di Idomeni. E c’è timore sul rispetto dei diritti umani anche per coloro che la Turchia respingerà in seguito all’accordo con l’Ue. Amnesty International Italia lancia oggi un’azione strategica e sottolinea i rischi dei respingimenti. Al microfono di Gabriella Ceraso, il direttore Gianni Rufini:
R. – Noi stiamo seguendo il caso di 89 persone che il primo luglio 2009, nel tragitto dalla Libia verso Lampedusa, sono state affiancate e raccolte dalle navi della Marina Militare italiana che le ha successivamente consegnate a un’imbarcazione libica che le ha riportate in Libia: faceva parte degli accordi tra Italia e Libia, che garantivano il respingimento delle imbarcazioni di migranti in alto mare. Molte di queste 89 persone sono state imprigionate dalle autorità libiche e sono state sottoposte a tortura, alcune di loro sono fuggite e sono finite in Israele o in altri Paesi della regione. Molte di loro sono morte, molte di loro sono state sottoposte a tortura. Ecco, i sopravvissuti di questa tragica avventura stanno intentando un’azione penale nei confronti del governo italiano per questo respingimento illegale, e noi li aiutiamo in questo.
D. – Questo significa che chi viene respinto – bisogna ribadirlo – inizia una nuova vita di dramma?
R. – Assolutamente. Chi viene respinto, innanzitutto, ha esaurito le poche risorse con cui era riuscito ad arrivare nelle mani di organizzazioni spesso criminali; in secondo luogo, ha vissuto a volte anni di un viaggio terribile, faticoso in cui è stato sottoposto a ogni tipo di abusi, ricatti, violenza, stupro, tortura … Ecco: tornare indietro significa dover ricominciare daccapo, ed è francamente qualcosa che va al di là della possibilità di sopportazione di un essere umano. E soprattutto, fa parte di una pratica che in questo momento vediamo affermarsi su grandissima scala con i respingimenti in massa che avvengono anche in Grecia …
D. – Ecco, da qui l’esigenza di un’azione strategica di tutela che voi avete pensato: il caso è non solo riguardante il 2009-2010, ma può guardare ad oggi, può fare – cioè – da modello. In che cosa consiste l’azione strategica?
R. – L’azione strategica consiste nel far valere la legge, nel far valere il diritto internazionale, nell’imporre agli Stati il rispetto degli impegni che hanno sottoscritto, delle loro Costituzioni, della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Chiediamo che a queste persone venga concessa la possibilità di ottenere un asilo, se ne hanno diritto.
D. – “Visti umanitari”: potrebbero essere adottati?
R. – Naturalmente sì. In ogni caso, potrebbero essere una soluzione temporanea in attesa di poter esaminare i casi individuali come la legge prevede.
D. – Di fronte a queste masse e agli Stati che dicono: “Servono controlli più sicuri, dobbiamo dosare le nostre forze, alziamo muri”, voi che cosa pensate?
R. – Naturalmente, alzare muri è proprio la risposta più sbagliata che ci sia e poi abbiamo una situazione in cui ci ritroviamo in questo momento con almeno 50 mila persone che sono detenute illegalmente in Grecia, migliaia di persone che sono respinte con la violenza dalla polizia macedone, persone che vengono respinte in Siria dalla polizia turca che spara su coloro che tentano di attraversare la frontiera… Ecco, quando si è pensato il Diritto dei rifugiati, si è pensato un modo per garantire a queste persone di arrivare in un posto sicuro dove potrebbero essere trattenute legalmente e in modo umano in attesa di potere esaminare i loro casi. Sono situazioni d’emergenza, naturalmente, che sono provocate dai conflitti. Ma se noi non cerchiamo di fermare i conflitti, non possiamo anche rifiutarci di accogliere gli emigranti: significa condannarli a morte…
D. – C’è il rischio di radicalizzazione tra i migranti che rimangono bloccati? E’ un avvertimento che ieri ha lanciato il ministro della Protezione della cittadinanza in Grecia, Toskas…
R. – Ogni volta che si violano i diritti delle persone, si genera risentimento, frustrazione, a volte odio. Vengo a chiederti aiuto e mi rispondi sparandomi... Certo, questo non aiuta la comprensione tra i popoli, non aiuta lo sviluppo di sentimenti positivi. Io credo che in questo modo ci assumiamo una grossa responsabilità e forse anche un rischio. Gabriella Ceraso, Radio Vaticana, Radiogiornale del 12 aprile 2016.