Solo negli Stati dell'Unione Europea sono 1,2 milioni le persone affette dal morbo di Parkinson. Il dato emerge nel quadro dell’odierna Giornata mondiale del Parkinson. Maria Laura Serpico ha chiesto a Patrizia Ciolli, coordinatrice della sede fiorentina dell’Associazione italiana parkinsoniani (Aip), se sia sufficiente la rilevanza data alle problematiche che le persone affette da questa patologia, assieme ai loro familiari, devono affrontare:
R. – No, secondo me non viene fatta abbastanza informazione, perché le persone che vengono anche alla mia Associazione sono piuttosto disinformate sulla malattia. Io posso dare i miei suggerimenti avendo, purtroppo, 34 anni di esperienza con mio marito malato di Parkinson e 20 anni di Associazione. Però, anche i medici stessi dovrebbero informare.
D. – Quali sono le implicazioni per coloro che assistono le persone colpite da questa malattia?
R. – Per quanto riguarda la mia esperienza personale, essendosi ammalato mio marito a 37 anni – io avevo 30 anni – non ho lavorato e mi sono dedicata completamente a lui. All’inizio, lui ha potuto continuare a lavorare però dopo otto anni ha dovuto lasciare e quindi la famiglia è coinvolta completamente: i figli, il “caregiver”, più che altro, che lo deve assistere, dopo tanti anni, anche giorno e notte. Quindi, le implicazioni sono tante. E aiuti non ce ne sono. Al 100% di invalidità hanno l’accompagnamento e questo è il loro aiuto.
D. – E’ possibile prevenire il Parkinson?
R. – So che fanno le analisi del sangue e possono vedere se uno è soggetto oppure no ad avere il Parkinson in futuro. Però, io personalmente non lo vorrei sapere: anche perché non esiste una cura. Finché non esiste una cura, io non so quanto una persona voglia sapere se le potrà venire oppure no.
D. – Perché è importante dedicare una giornata al Parkinson?
R. – Perché è una malattia debilitante che coinvolte tutti, principalmente il malato e i familiari. Purtroppo, ancora adesso non si conosce: pensano a un tremore, a un tremore essenziale. Invece no, la malattia consiste anche nei blocchi motori, consiste anche – dopo gli effetti collaterali dei farmaci – nei movimenti involontari, incontrollabili, persone che con i blocchi non riescono a bere né a mangiare. Il morbo di Parkinson non è soltanto il tremore e basta.
D. – Cosa simboleggia, invece, la “Run for Parkinson’s”?
R. – Vuole far vedere che il malato può partecipare anche a questi eventi: camminando con le racchettine o con il deambulatore. Noi la facciamo, questo è già il quarto anno che la faremo… E poi, anche questo: per far conoscere la malattia, per farci vedere... Ci siamo anche noi! Non bisogna escludere le persone, anzi.
D. – In cosa consiste il lavoro svolto dalla vostra Associazione?
R. – L’Associazione, prima di tutto, è importante perché tanti malati tendono a chiudersi in sé stessi, a chiudersi in casa, a non voler uscire, a non voler vedere più nessuno. Quindi, l’Associazione è un ritrovo anche per tutti noi: familiari, parkinsoniani, per scambiare le nostre esperienze, a volte utili, anche. E poi abbiamo il gruppo di sostegno con i teologi, abbiamo la Giornata della danzaterapia una volta a settimana, la logopedia una volta a settimana – sempre di gruppo – e poi abbiamo iniziato lì da noi anche l’attività fisica adattata. Maria Laura Serpico, Radio Vaticana, Radiogiornale dell'11 aprile 2016.