Si apre questa sera a Milano il 26.mo Festival del cinema Africano, d’Asia e America Latina, interamente rivolto alle cinematografie di questi tre continenti. Un’accurata selezione di film mette lo spettatore a contatto con nuovi linguaggi espressivi e le realtà di Paesi e culture con cui oggi sono necessari dialogo e accoglienza. Il servizio di Luca Pellegrini:
Con la mostra fotografica “Designing Africa 3.0” il Festival milanese cerca quest’anno di esplorare lontane terre di contrasti e speranze, ribaltando anche l’immaginario comune dell’Africa come scenario di guerre, fame e malattie. Numerosi i film che aprono sguardi nuovi e inaspettati, molti naturalmente alle prese con le realtà cui l’Europa e l’Occidente si confrontano ogni giorno. Annamaria Gallone, che con Alessandra Speciale con passione dirige il Festival, conferma che immigrazione e fondamentalismo sono tra i temi più affrontati dai giovani registi:
R. – Direi di sì, magari in modo trasversale. Abbiamo moltissimi politici: infatti abbiamo fatto proprio una sezione tematica, chiamata “Designing Futures”, in cui parliamo delle situazioni nei vari Paesi e anche delle loro relazioni con l’Europa e il resto del mondo. Però, anche negli altri film trapelano tutti i problemi di questo momento, e quindi sono molto interessanti anche per questo; per esempio, il film “A peine j’ouvre les yeux” di Leyla Bouzid, che racconta la storia di una cantante nel momento della Primavera araba. Ci sono anche tantissime implicazioni che si riferiscono anche ai rapporti con l’Europa e il resto del mondo.
D. – Noi siamo soprattutto colpiti dal fenomeno dell’immigrazione e da quello del fondamentalismo: ce n’è riscontro nei film prodotti da questi Paesi?
R. – Sì, devo dire che c’è un riscontro. E inoltre sono presenti nella sezione “extra”, che è quella dei registi italiani che parlano di questi Paesi e di questi problemi, e alcuni – devo dire – anche in un modo molto profondo e interessante. Rispetto agli autori invece di questi Paesi è meno evidente: parlano di più dei problemi politici del loro Paese e delle rivoluzioni.
D. – Il pubblico a cui indirizzate il vostro Festival è dunque un pubblico tra l’altro particolarmente orientato e sensibile a questi temi…
R. – Sì, in buona parte sì. Abbiamo un pubblico di affezionati che ci segue da anni e che è interessatissimo. Però c’è anche un pubblico nuovo ogni anno e la cosa che ci piace moltissimo è il fatto che ci sia un pubblico di immigrati delle varie comunità, che vengono e seguono il film del loro Paese, che altrimenti non avrebbero modo di vedere.
D. – Che cosa significa in sala la presenza di un immigrato del Paese il cui film di riferimento passa sullo schermo in quel momento?
R. – È la cosa più interessante! E devo dire che è molto commovente vedere le reazioni in sala, perché, se noi vediamo questi film con interesse e attenzione alla tematica ma anche alla qualità artistica, si vede che queste persone vivono emotivamente il contenuto di questi film, le loro storie, e finalmente trovano la possibilità di sentirsi in qualche modo a casa. Quindi, le reazioni emotive sono fortissime. Devo dire “purtroppo”: ecco, questa è una nota che devo fare ai film di quest’anno. Molti di questi film sono tristi e rispecchiano l’angoscia che vive il mondo in questo momento. Luca Pellegrini, Radio Vaticana, Radiogiornale del 4 aprile 2016.