Ricorre oggi il 25° anniversario dell’uccisione di Libero Grassi, imprenditore siciliano assassinato a Palermo da Cosa nostra, dopo essere stato un precursore nell’opporsi al racket del pizzo. Grassi, che fu freddato la mattina del 29 agosto con quattro colpi di pistola mentre si recava a piedi a lavoro, attirò le ire della criminalità organizzata anche e soprattutto quando ebbe il coraggio di denunciare pubblicamente le estorsioni sulle pagine del Giornale di Sicilia.
Numerose oggi le commemorazioni, a partire da questa mattina, nel luogo dell’agguato, in via Alfieri, fino a questa sera quando sarà proiettata una docufiction nella Biblioteca Comunale, in contemporanea con la messa in onda su Rai1. Un esempio, quindi, che continua ad essere vivo e fonte di coraggio per molti. Salvatore Tropea ha intervistato Daniele Marannano, presidente di “Addiopizzo”:R. – La sua storia ci insegna che non si può chiedere a commercianti ed imprenditori di denunciare se il contesto rimane indifferente, se dall’alto di chi governa e amministra a vario livello questo Paese non proviene il buon esempio. Ma se soprattutto dal basso di chi vive in questo Paese non vengono praticati comportamenti virtuosi, al di là di giornate significative come quella di oggi.
D. – La sua azione 25 anni fa, però, non ricevette un grande appoggio. E’ cambiato qualcosa da allora? Il suo sacrificio non è stato vano?
R. – Noi pensiamo che non sia stato vano, perché si sono create – rispetto a 25 anni fa – le condizioni per le quali commercianti e imprenditori possono maturare la forza e il coraggio di denunciare, senza essere lasciati soli e isolati come accadde, purtroppo, a Libero Grassi. Sono oramai centinaia le storie di operatori economici palermitani che hanno fatto questa scelta e che continuano a lavorare laddove hanno sempre vissuto. E’ chiaro, però, che c’è un rovescio della medaglia: sono ancora molti coloro che si piegano alle estorsioni e tanti che collaborano solo dopo che vengono convocati delle Forze di Polizia, a dimostrazione che la denuncia non è ancora una prassi di comportamento diffusa e dominante nel nostro tessuto sociale ed economico.
D. – Come si sta muovendo lo Stato in questi anni e come il mondo dell’associazionismo per continuare a contrastare questa piaga?
R. – Lo Stato – attraverso, in particolare, l’apparato repressivo – riesce ad assicurare un controllo tale del territorio che ha fatto si che si creassero le condizioni per cui imprenditori e commercianti possano decidere di denunciare: attraverso un’azione costante, quotidiana di prevenzione e di repressione del crimine organizzato. Dal basso, ci sono associazioni e movimenti – come “AddioPizzo” – che stanno accanto a quei commercianti e a quegli imprenditori che maturano la scelta di denunciare, evitando ciò che è accaduto a Libero Grassi, evitando cioè che chi compie questa scelta possa ritrovarsi in uno stato di isolamento e di solitudine. Quindi, il senso del nostro impegno è quello di stare a fianco di chi compie questa scelta, ma soprattutto di stimolare i cittadini comuni a fare la propria parte, necessaria per un cambiamento radicale e definitivo.
D. – Cosa bisogna fare per sensibilizzare ancora di più l’opinione pubblica affinché si comprenda che questa battaglia riguarda tutto il territorio nazionale e tutti i cittadini onesti?
R. – Bisogna comprendere che dalla battaglia contro le mafie dipendono le sorti sociali ed economiche del nostro Paese e non solo del Mezzogiorno. Oggi – ma oramai da tempo, da anni – assistiamo a un fenomeno di migrazione che non riguarda soltanto chi viene da Paesi in stato di guerra o di povertà, ma anche cittadini – ragazzi – che dal Mezzogiorno si spostano verso il nord, anche perché il peso del crimine organizzato è talmente forte che purtroppo impedisce a chi vive nelle regioni del sud di potersi realizzare. Se al nord il fenomeno della criminalità organizzata è così diffuso nel tessuto sociale ed economico, allora è chiaro che si tratta di tempi, di questioni e di problematiche per le quali il cittadino, l’opinione pubblica, deve assolutamente sensibilizzarsi e sentire la necessità di dover fare la propria parte, perché dalla propria parte dipende un cambiamento reale ed effettivo. Salvatore Tropea, Radio Vaticana, Radiogiornale del 29 agosto 2016.